Background La storia (alcune date ed eventi significativi) La genetica moderna inizia nel 1865 con le leggi formulate da Mendel sull'ereditarietà dei caratteri genetici; nel 1943 il DNA viene riconosciuto come portatore ed organizzatore del materiale ereditario; nel 1945 si scopre che ogni gene codifica una proteina; nel 1953 la rivista Nature pubblica il lavoro di Watson e Crick che spiega la struttura del DNA; nel 1964 viene scoperto il codice genetico, ovvero il modo in cui il messaggio contenuto nel DNA viene tradotto in proteine; nel 1968 un microbiologo svizzero, Wener Arber, scopre gli enzimi di restrizione che consentono di tagliare il DNA; nel 1973, Stanley Cohen e Herbert Boyer (S. Francisco, USA), costruiscono la prima molecola di DNA ricombinante, cioè inseriscono il gene di un organismo dentro il patrimonio genetico di un altro; nel 1977 la Genetech, impresa di ingegneria genetica, annuncia la produzione di una proteina umana, la somatostatina, da parte di un batterio; nel 1983 nasce la prima pianta transgenica di tabacco; nel 1985 viene condotto il primo rilascio di piante in ambiente naturale; nel 1992 nella conferenza di Rio de Janeiro viene introdotto il "Principio di Precauzione"; nel 1994 viene commercializzato il primo ortaggio transgenico, il pomodoro; nel 1996 nel mondo vengono coltivati 2,6 milioni di ettari di piante transgeniche; nel 1998 nel mondo vengono coltivati 29,6 milioni di ettari di piante transgeniche che diventano 52,6 milioni nel 2001. Il mercato ed i prodotti Le varietà transgeniche coltivate nel mondo hanno interessato numerose specie di interesse agrario, tra le quali soia, mais, cotone, colza, patata, zucchino, papaya, bietola, pomodoro, radicchio, tabacco, garofano. I caratteri per cui le piante sono state modificate hanno principalmente riguardato la resistenza ad insetti (54% di tutta la superficie totale investita a piante GM), ad erbicidi (31%) ed a microrganismi (14%), la maturazione ritardata, la resistenza a stress ambientali, il colore dei fiori, la composizione proteica. Nel 1996 sono stati coltivati nel mondo circa 2,6 milioni di ettari di colture transgeniche di cui: 1,5 milioni in USA, 1 milione in Cina, 100.000 in Canada, 100.000 in Argentina. Nel 1997 la superficie coltivata con piante transgeniche è cresciuta fino a 12,8 milioni di ettari cioè 4,5 volte quella del 1996. In particolare in USA 8,1 milioni di ettari erano destinati a colture OGM, in Cina 1,8 milioni, in Canada 1,3 milioni, in Argentina 1,4 milioni, il restante in Australia e Messico. Nel 1998 le superfici coltivate con prodotti transgenici erano salite a 29,6 milioni di ettari e facendo particolare riferimento ai prodotti risulta che in USA nel 1998: - 8,1 milioni di ettari sono stati coltivati con mais transgenico - 400.000 ettari sono stati coltivati con cotone transgenico, - 8,9 milioni di ettari sono stati coltivati con soia transgenica. Questi dati dimostrano che nell’America settentrionale, in parte anche in quella meridionale e centrale ed anche in paesi ad elevata densità demografica (Cina) il fenomeno è in rapida evoluzione. I dati acquisiti nel triennio 1996-1998 consentono di indicare che: - in Cina si è avuto un aumento di produzione pari al 7% del tabacco transgenico; - in USA si è avuto un aumento della produzione pari al 7% di cotone transgenico, con un risparmio sui costi di produzione di 77 euro/ettaro; - in USA si è avuto un aumento della produzione pari al 7% di mais transgenico con un guadagno medio di 180 milioni di euro per anno - in Canada si è avuto un aumento della produzione pari al 9% del mais transgenico per un guadagno complessivo di 52 milioni di euro. Nel 1999 sono state coltivate nel mondo circa 40 milioni di ettari di colture transgeniche, di cui: 28,7 milioni in USA, 6,7 milioni in Argentina, 4 milioni in Canada, 300.000 in Cina e 100.000 in Australia e Sud Africa. Nel 2000 e nel 2001 le superfici coltivate con piante transgeniche sono aumentate fino a raggiungere i 52,6 milioni di ettari di cui: 35,7 milioni in USA, 11,8 milioni in Argentina, 3,2 milioni in Canada, 1,5 milioni in Cina, 200.000 in Australia e in Sud Africa. La Posizioni di alcuni paesi e le problematiche internazionali La problematica relativa alla produzione e commercializzazione di vegetali transgenici ha visto schierarsi due gruppi contrapposti che si confrontano con grande impegno ed alterni risultati: da un lato i paesi produttori ovvero USA, Argentina, Cile, Uruguay, Canada, Australia (il cosiddetto "Gruppo di Miami") ovviamente favorevoli al libero commercio dei vegetali OGM e contrari alla etichettatura dei prodotti, dall'altro il "Like Minded Group", in cui confluiscono più di 100 paesi del sud del mondo (di fatto questo gruppo rappresenta la maggior parte della popolazione), che rivendicano il diritto di conoscere ciò che stanno importando ed il diritto di rifiutare i prodotti in caso di rischi sanitari od ambientali. A quest'ultimo gruppo appartengono anche organizzazioni di estrazione diversa come le associazioni ambientaliste e rappresentative organizzazioni di agricoltori (Confédération Paysanne) e gli stessi paesi europei che, anche se con posizioni diverse, di fatto sono sostanzialmente contrari all'importazione non controllata di vegetali GM. A fronte delle problematiche evidenziate è curioso osservare come la posizione di autorevoli scienziati americani fosse, almeno agli inizi della controversa questione, molto prudente: infatti nel 1975 in USA, a seguito del dibattito creatosi tra numerosi esperti presenti al Congresso di Asilomar (California), venne redatta la "dichiarazione di Asilomar" che poneva l'accento sui potenziali pericoli della tecnologia del DNA ricombinante e proponeva una moratoria sugli esperimenti in attesa di capire i rischi ambientali e sanitari. Nel tentativo di stabilire protocolli comuni nel summit internazionale di Rio de Janeiro, organizzato nel 1992 per stilare "Il protocollo sulle biodiversità" (la cosiddetta convenzione sulle diversità biologiche, sottoscritta anche dall'Italia), una commissione internazionale di esperti propose l'adozione del "Principio di Precauzione" (il Principio di Precauzione riguarda i casi in cui i riscontri scientifici sono insufficienti per sapere se esiste o meno un elevato livello di protezione sanitaria ed ambientale e parte dal presupposto che l'assenza di certezze scientifiche non deve servire come pretesto per rimandare a più tardi l'adozione di misure efficaci). Nel 1995 a Cartagena (Colombia), ai sensi del Protocollo sulle Biodiversità di Rio, si tenne un primo round negoziale per stilare un protocollo condiviso sulla biosicurezza (sostanzialmente l'adozione da parte della comunità internazionale del principio di precauzione), che non ottenne risultati soddisfacenti. Un analogo esito ebbe l'incontro organizzato nel 1999 a Seattle dall'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), in cui si discusse di libero mercato, di etichette, di impatti ambientali, sanitari e socioeconomici. Infine nel gennaio del 2000, nel summit di Montreal, delegati provenienti da tutti i paesi del mondo, nell'ambito del protocollo sulla biosicurezza, adottarono il "principio di precauzione", affermando che l'importazione di un qualsiasi vegetale GM deve essere sottoposta ad un procedimento di consenso. Nel maggio del corrente anno (15/05/2000), a Nairobi, l'Europa ha firmato il protocollo di Cartagena sulla Sicurezza Biologica; per entrare in vigore questo protocollo dovrà essere ratificato da almeno 50 paesi entro il giugno del 2001 e come conseguenza, gli esportatori di prodotti agricoli dovranno indicare con la dizione "può contenere organismi geneticamente modificati" la spedizione di cibi transgenici. Sulla base del principio di precauzione la Unione Europea ha modificato il suo atteggiamento nei confronti dei vegetali GM, di fatto è stata sfiorata la moratoria sulle importazioni, in modo tale da creare problemi con gli USA, principali esportatoti (in Europa con la legge sui novel food è bloccata la commercializzazione di piante GM ad eccezione di mais e soia perché autorizzati prima della legge in questione). Infine nel 1999 nasce il consorzio europeo dei supermercati GM-free (di cui fanno parte anche importanti marchi italiani) che garantisce di non usare ingredienti geneticamente modificati per le proprie produzioni alimentari. Recentemente (marzo 2001) il Parlamento Europeo ha emanato la Direttiva 2001/18 CE, che individua precisi momenti autorizzativi e cautelativi. In particolare: - rimozione dei geni che conferiscono antibiotico resistenza alle piante geneticamente modificate e che vengono usati come marcatori; - limitazione delle autorizzazioni a 10 anni anche se rinnovabili; - valutazione del rischio ambientale e della salute umana con valutazioni caso per caso nel medio e nel lungo periodo; - realizzazione di un pubblico registro sulla localizzazione degli OGM coltivati sia per la parte B della Direttiva (ricerca e sviluppo) che per la parte C (commercializzazione); - responsabilità ambientale con rintracciabilità ed etichettatura in tutte le fasi fino all’immissione in commercio. Le norme Il quadro normativo europeo che governa la produzione e la commercializzazione di vegetali transgenici parte dalla Direttiva 90/220/CEE (recepita in Italia nel 1994 con il Decreto Legislativo n. 92) relativa all'immissione volontaria nell'ambiente di organismi geneticamente modificati. La Direttiva, tra l'altro, stabilisce le procedure di autorizzazione per l'immissione nell'ambiente di OGM sia per il commercio sia per scopi di tipo sperimentale. Del 1997 è il Regolamento Comunitario n. 258 sui nuovi prodotti ed i nuovi ingredienti alimentari, detto "novel food", che ha un campo di azione più ampio della Direttiva precedente, in quanto si applica sia ai prodotti che contengono direttamente OGM che ai prodotti ottenuti a partire da OGM, ovvero i cosiddetti derivati, indipendentemente dal fatto che, alla fine del processo di lavorazione, i prodotti risultanti contengano o meno materiale geneticamente modificato. Per quanto concerne l'etichettatura Il Regolamento distingue fra alimenti che contengono OGM e alimenti che derivano da OGM, infatti mentre nel primo caso l'etichetta è obbligatoria nel secondo lo è solo se sono tali alimenti sono dichiarati non equivalenti ai prodotti alimentari già esistenti. Un caso a parte sono soia GM e mais GM la cui immissione sul mercato è stata autorizzata prima dell'entrata in vigore del Regolamento Novel Food; per evitare discrepanze il Consiglio della UE ha adottato un regolamento ad hoc il n.1139/98 che obbliga alla dichiarazione in etichetta per tutti i prodotti di soia o mais che contengono DNA o proteine ingegnerizzate. Infine con il Regolamento n.49 del gennaio 2000, tenendo conto che non è possibile escludere una contaminazione accidentale degli alimenti naturali, viene stabilita una soglia di tolleranza, pari all'1% di contenuto involontario di OGM, sotto alla quale non occorre obbligo di etichetta; mentre con il Regolamento n.50 vengono considerati gli additivi e gli aromi derivati da OGM, che, non essendo ritenuti equivalenti a quelli convenzionali, debbono riportare in etichetta "derivato da ……… geneticamente modificato". Dell’aprile 1999 è il Decreto del Presidente della Repubblica n. 128 che impone la tolleranza zero per alimenti destinati a lattanti e bambini. Infine, nel febbraio 2001, l’Unione Europea, con la Direttiva 2001/18 CE, ha riscritto ed interpretato alla luce delle nuove conoscenze la Direttiva n. 220 del 1990 sul controllo dell’immissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati (OGM) e dell’immissione sul mercato di prodotti contenenti OGM o derivati da essi. I rischi per la salute del consumatore Semplicemente non si dispone ancora di sufficienti dati per conoscere quali effetti avrà il cibo transgenico sulla salute; sono solo stati ipotizzati, ma non provati, almeno tre tipologie di rischi sanitari per il consumatore: • generalmente accanto al gene che si vuole inserire in una cellula (ad esempio il gene che codifica la resistenza ad un insetto o ad un erbicida) se ne inserisce anche un altro detto marcatore (che codifica un carattere facilmente distinguibile, di solito la resistenza ad antibiotici); successivamente le cellule su cui è avvenuta l'operazione di ingegneria genetica vengono immesse in un brodo antibiotico per garantire la sola sopravvivenza di quelle in cui l'inserimento genetico è avvenuto con successo. E' stato ipotizzato che quando un alimento, modificato con geni che esprimono la resistenza ad antibiotici, viene ingerito è possibile un trasferimento di questi geni ai batteri della flora intestinale e da questa a germi patogeni, conferendo a questi ultimi la capacità di resistere agli antibiotici. • Nel caso di vegetali modificati per resistere meglio a determinati erbicidi, attivi viceversa contro gli infestanti, è stato ipotizzato un maggior uso dell'erbicida, con conseguente accumulo di sostanze chimiche che finiranno nella filiera alimentare. • L'altro problema è quello delle allergie, di fatto non è stato dimostrato che gli OGM sono allergenici, ma nemmeno il contrario ed in questi casi è d'obbligo la prudenza. I rischi per l'ambiente L'introduzione nell'ambiente di geni non selezionati naturalmente può comportare effetti a lungo tempo, quali eventuali interazioni con l'ecosistema, difficilmente prevedibili ed effetti a breve/medio periodo, tra i quali è stato ipotizzato: - la selezione di ibridi ottenuta dalla diffusione, mediante il polline, dei transgeni della pianta modificata a piante della stessa specie o di specie affini, - la selezione di insetti resistenti ai caratteri inseriti nella pianta transgenica (l'ipotesi fa riferimento a piante modificate con un gene proveniente da un batterio che produce una proteina con effetto letale nei confronti di insetti parassiti dei vegetali), - la riduzione delle biodiversità, favorita dalla grande diffusione nonché dal massiccio utilizzo di pochi tipi di semi transgenici uguali in tutto il mondo, con conseguente scomparsa di razze e specie attualmente esistenti.