STORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI 07.03.2014 L’Europa nel 1870: quali sono gli interessi principali delle grandi potenze europee nel 1870 e quale equilibrio si sta profilando? Il primo avvenimento da ricordare è la grave sconfitta subita dalla Francia a seguito della guerra franco-prussiana, la quale segna l’inizio del pieno predominio continentale della Germania, che non si è soltanto avvantaggiata dal punto di vista territoriale con la conquista dell’Alsazia Lorena, ma che è diventata l’arbitro dell’equilibrio continentale europeo. L’equilibrio mediterraneo e d ei mari continua ad essere rappresentato e garantito dalla Gran Bretagna, che non vuole assolutamente essere coinvolta in alleanze impegnative sul continente, né però disinteressarsi la Gran Bretagna vuole avere la certezza che sul continente europeo non predomini alcun paese. Bismarck gestisce con molta prudenza il predominio tedesco, vigilando affinchè si mantenga un buon equilibrio sul continente. Il suo obiettivo principale, nonché faro conduttore della politica estera, è il mantenimento della tranquillità in Europa continentale, tenendo a bada l’Austria (reduce dalla sconfitta di Sadowa del 1866, la quale segna la sua fine e la sua uscita dal suo ambito di controllo e dominio + l’abbandono dei territori italiani. I confini italiani si attestano così sulle zone irredente, che non potranno essere messe in discussione, come il FVG e il Trentino, e che fino al 1914 non si staccheranno da Austria, in quanto l’Austria non le riterrà MAI oggetto di contrattazione). L’Austria si rassegna rapidamente al nuovo status quo e cerca di conseguenza una nuovo spinta espansionistica-difensiva altrove: come impero multinazionale, l’Austria cercava la protezione e la sicurezza dei propri confini imperiali le esigenze interne finiscono così per influenzare le esigenze di politica estera e l’Austria si proietta verso i Balcani. Inizia infatti per l’Austria un periodo di ricerca di tranquillità nei Balcani, in quanto la Dalmazia e lungo tutta la costa croata erano snodi commerciali importantissimi per l’impero austriaco, che vuole assicurarsi la stabilità proprio in Bosnia Erzegovina, una zona ballerina che occorreva mantenere ben salda nel dominio austriaco. Bosnia = Dalmazia = traffici commerciali. Quella zona era insidiata dall’Impero Ottomano, che era in quel periodo sia il grande malato d’Europa, sostenuto però dalla buona volontà della Gran Bretagna, sia un attore ancora insidioso. Anche l’Impero Ottomano, che trovava faticoso il processo di modernizzazione a cui tutti gli stati stavano partecipando, sarà influenzato dalle riforme interne e il suo carattere interno era prevalentemente la staticità. Nel 1867 avviene l’Ausgleich austriaco (kaiserliche und kӧnigliche Monarchie): si riconosce il dualismo dell’Austria-Ungheria (Impero d’Austria e Regno di Ungheria) e si riconosce al governo ungherese la facoltà di esprimere tutti i ministri, tranne il ministro della guerra e il ministro degli esteri. Gli ungheresi avevano non solo sudditi ungheresi, ma anche slavi e si dimostreranno tiepidi verso le loro istanze di indipendenza. È nei Balcani che si manifesta la volontà di autonomia delle diverse popolazioni che li abitano, con l’emergere delle richieste di riconoscimento di istanze nazionali, che trovano appoggio in Russia. Essa vuole accelerare il processo di disgregazione dell’Impero Ottomano; tuttavia, la Russia stava dirigendo il proprio interesse verso tutti i mari caldi, principalmente il Mediterraneo: la Russia guarda agli stretti mediterranei, che le permetterebbero di proiettarsi fuori dal Mar Nero, ma essa si trova in una posizione svantaggiata rispetto a quella di altri paesi, soprattutto a seguito di una serie di accordi (come la Conferenza di Londra 1841), in cui si decise che la sua flotta sarebbe stata relegata al Mar Nero e che gli stretti sarebbero stati posti nominalmente sotto il dominio ottomano, di fatto controllati dagli inglesi. In realtà gli inglesi sono fortemente interessati a presidiare il Mediterraneo e la Gran Bretagna non ha alcuna voglia di far uscire flotta russa nel Mediterraneo questo trattato consente l’entrata nel Mar Nero di altre flotte, qualora lo suggeriscano il sultano e le circostanze speciali, ma nessuna possibilità per la Russia di avventurarsi nel Mediterraneo. In questo modo, la Gran Bretagna riesce ad avere una certa forma di controllo sulla gestione degli stretti (che caratterizzeranno la politica estera russa fino a dopo la SGM). La Russia e l’Austria Ungheria si scontrano nei Balcani, che sono visti dall’Austria-Ungheria come una minaccia interna: pensare che la Serbia potesse gravitare attorno alla Bosnia Erzegovina era un problema rilevante per l’Austria-Ungheria, al quale si aggiungeva la composizione etnica del proprio impero, che poteva costituire un elemento di disgregazione per l’impero austroungarico. La Serbia poteva diventare infatti il portatore e faro illuminante del panslavismo e del nazionalismo slavo: vi era il rischio reale che si trasformasse in un paese canaglia. Tuttavia, per il primo decennio della sua indipendenza (1878- 1890 circa), la Serbia rimane saldamente sotto l’amministrazione austriaca, da cui si allontanerà solo in seguito. La Germania con Bismarck vuole gestire saggiamente la propria vittoria: forse l’incauta mossa dell’annessione dell’Alsazia Lorena fu una frattura terribile in Europa. Da essa, infatti, nasce la volontà di revanche francese, che Bismarck deve gestire lungo tutto il suo cancellierato. Egli cerca di dirottare il revanchismo francese verso la politica coloniale, che effettivamente la Francia sposerà. Bismarck teme che volontà di revanche sia una minaccia concreta verso la Germania, soprattutto se la Francia trovasse un alleato, magari utile e l’unico paese con cui si potrebbe prospettare un accordo del genere è la Russia. Un’alleanza tra Russia e Francia avrebbe però significato l’accerchiamento della Germania, la quale inizia a temere l’attacco su due fronti, che diventa l’assillo di ogni generale tedesco. Bismarck ha ben presente questa eventualità, ma riconosce anche che questa sia ovviamente molto remota. Russia e Francia erano ai tempi molto diverse: la Russia era impenetrabile a qualsiasi forma di modernizzazione ed era ancora un impero statico, con un imperatore per volontà divina (non dei sudditi). La Russia è estremamente conservatrice e su questo Bismarck cerca di fare perno, ad esempio quando cerca di trattenere la Russia accanto a sé, cercando di legare a sé anche l’Austria-Ungheria. Di fatto, Bismarck vi riesce attraverso la lega, l’alleanza dei tre imperatori (“dreikaiserBund”), firmata nel 1873. Questa è un’alleanza conservatrice per tenere sotto controllo la latente conflittualità presente in Austria-Ungheria e per rassicurare la Russia sulla neutralità tedesca in caso di coinvolgimento russo in qualche conflitto. Inizia qui un’epoca storica in cui l’equilibrio europeo si gioca sul concetto bismarckiano di equilibrio. La Francia, allo stesso tempo, ha sopportato perdita dell’Alsazia e della Lorena e la Comune di parigi il revanchismo è ormai un dato di fatto della politica estera francese. La Francia cerca alleati potenziali: escluse Russia e Austria-Ungheria, rimane solo l’Italia. Nel 1870 l’Italia è un paese sostanzialmente isolato, che, grazie a ciò che è successo nel 1870 (Roma capitale e annessione del Lombardo Veneto, grazie al sostegno tedesco), ha condotto una politica provocatoria verso la Francia, culminata con la breccia di Porta Pia. Se un tempo la Francia era una solida alleata (indicativamente durante il primo periodo di regno sabaudo), ora nel 1870 l’Italia percepiva di aver infranto una sorta di regola sacra, mettendosi contro tutto il mondo cattolico e ciò diventa evidente con la pubblicazione del Non Expedit. L’Italia teme che il revanchismo dei cattolici possa portare dei problemi, proprio perché la presa di Roma fu elemento di rottura con il mondo cattolico (basti ricordare che la Francia era cattolica!). Quest’ultima non può quindi rappresentare un potenziale alleato e finirà al contrario per diventare presto il principale competitore dell’Italia, soprattutto nel momento in cui l’Italia capirà che l’opzione irredentista è venuta meno e che non si potranno più portare avanti le istanze irredentiste, perché le caratteristiche politiche internazionali post 1870 non lo permetteranno più. L’Italia è allora isolata e l’isolamento, in politica internazionale, può rappresentare una duplice condizione: o una condizione di grande forza, vedi lo splendido isolamento inglese o, nel caso italiano, una condizione pericolosa, che occorre sanare presto. Nel quadro delle possibilità per la politica bismarckiana c’è sia l’avvicinamento con Russia e con l’Austria-Ungheria, che il mantenimento di una Francia isolata, che il punto interrogativo rispetto all’Italia. Ciò che ostacola l’alleanza tra Italia e Austria-Ungheria sono le velleità irredentiste tra i due paesi. Bismarck è titubante nell’avvicinamento all’Italia, perché sa bene che il suo prezioso alleato austriaco non intendeva cedere altri territori all’Italia. Essa è anche una nazione neofita nelle relazioni internazionali, ancora alla ricerca dei propri obiettivi internazionali. Inoltre, l’Italia ha una forza limitata, a livello militare, economico e politico. I problemi sono destinati a profilarsi presto, provenendo dai Balcani. Nei Balcani ben presto si concretizza il malessere crescente nei confronti del dominio ottomano, di cui si percepisce l’estrema debolezza. Esso viene chiamato il grande malato, ma verrà ancora salvato perché la Gran Bretagna e la Francia, le stesse che potrebbero “ucciderlo”, non permettono il suo collasso, che avrebbe causato la rottura del vaso di pandora, ovvero dell’equilibrio continentale. Si aprirebbe infatti una corsa degli stati europei per cannibalizzare i Balcani, la quale coinvolgerebbe l’ Austria-Ungheria, la Russia e sicuramente la Germania. In questa occasione emerge chiaramente la terzietà della Germania rispetto ai Balcani, dove non vuole svolgere un ruolo, perché nei Balcani non risiede l’interesse tedesco. Dal 1870 al 1890 il secondo reich si definisce una potenza soddisfatta, che non cerca l’espansione, né le avventure (“Drang nach Osten” e nessuna pulsione alla Weltpolitik, che partirà con Guglielmo IV). La Germania tenterà di premere sull’impero ottomano per modernizzarsi, cosa che avvierà ormai in tardo periodo, ovvero nel 1916, quando non sarà più il momento. La spinta alla rottura può venire allora soltanto dalla Russia, che si sente chiamata a tutelare gli interessi del mondo slavo: vuole controllare il mondo slavo e gli stretti, aprendosi un varco verso i Balcani. Proprio in questa zona si scatena una rivolta, più precisamente dal Montenegro, con la possibilità che essa si estenda a macchia d’olio in tutti gli altri stati balcanici. Ciononostante, una rivolta è destinata sicuramente ad essere sconfitta, salvo l’intervento di una grande potenza. Un intervento militare appare così alla Germania da scongiurare, soprattutto tra Austria-Ungheria e Russia. La Russia vuole però assicurarsi con un accordo e nel 1876 le dilaganti rivolte nei Balcani portano la Russia all’intervento armato, avendo però siglato in precedenza un accordo con l’ Austria-Ungheria. Si avvia un tentativo di spartizione razionale, per tutelare gli interessi di entrambe e nel 1876 si arriva al momento cruciale nei Balcani, dove avviene il tentativo ed effettivo accordo russo-austriaco. Sembra che i russi si apprestino a fare guerra nei Balcani e che accomodino le esigenze austriache, tutelando gli interessi austriaci di ripartizione dei possedimenti ottomani. L’accordo infatti prevede la spartizione dei territori ottomani in Europa, Asia Minore e Africa del Nord: la Bosnia Erzegovina poteva rientrare tra possedimenti dell’Austria-Ungheria e lo stesso avveniva specularmente per la Bulgaria verso la Russia. Essa sarebbe stata uno stato autonomo e molto ampio, soggetto pienamente all’influenza russa e varco di apertura russo verso l’Europa e i mari caldi. La Grande Bulgaria, estesa dal Mar Nero, all’Egeo, alla Macedonia e fino su al Danubio: la longa manus dell’influenza e la pressione russa si eserciterebbero così in una vastissima parte dell’Europa. Tutto questo avviene con il pieno appoggio dell’Austria-Ungheria, con la Russia che si garantisce il non intervento austriaco nel conflitto con l’impero ottomano. La Gran Bretagna vede chiaramente che le ostilità tra Impero Ottomano e Russia si stanno protraendo in una guerra vinta militarmente, ma persa dal punto di vista diplomatico dalla Russia e le condizione poste dal trattato di Santo Stefano del 1878 (quando la Russia detterà le sue condizioni da vincitrice) verranno smentite da congresso di Berlino alla fine di quello stesso anno. Gli errori russi furono i seguenti: 1. Russia non è forte militarmente da poter proseguire le ostilità, in caso di mancanza di rispetto delle condizione poste, è estremamente stanca 2. Russia sembra voler archiviare il precedente accordo con l’Austria-Ungheria e inizia a meditare un’annessione della Bosnia Erzegovina alla Serbia. Nel 1878 Bismarck, il grande mediatore e l’onesto sensale, non vuole intromettersi, ma neanche accettare che i fatti balcanici stravolgano l’equilibrio che egli stesso ha creato: la Germania avrebbe dovuto scegliere tra due alleati e la scelta si sarebbe risolta a favore dell’Austria-Ungheria, staccando così la Germania dalla Russia, che presto o tardi si sarebbe rivolta alla Francia. Il congresso di Berlino si propone di dirimere le controversie nate dopo la pace di Santo Stefano, ma finisce per scontentare tutti: la Bulgaria torna ad essere uno stato ipertrofico e i russi devono accettare il negoziato perché non sono in condizioni di protrarre il conflitto. Per l’Austria-Ungheria la pace di Santo Stefano era una minaccia e non rappresentava alcuna tutela: l’Austria-Ungheria non aveva lo stesso peso politico nei Balcani, con una situazione che si sbilanciava chiaramente a favore dei russi. Perciò l’Austria-Ungheria chiede che il congresso di Berlino regoli diversamente la questione dei confini, che era diventata una questione di SICUREZZA della Bosnia Erzegovina e dello stato cuscinetto del Sangiaccato di Novi Pazar l’Austria-Ungheria mantiene su di esso il diritto di guarnigione, ovvero il diritto di presenziare militarmente il territorio del sangiaccato. Esso divide la Serbia dal Montenegro e alla fine viene assegnato all’Austria-Ungheria. Esso diventa un elemento fondamentale soprattutto alla vigilia della PGM, perché era la chiave per consentire alla Serbia di unificarsi con il Montenegro e così di espandersi nei Balcani, con uno sbocco sul mare vicinissimo ai traffici commerciali dell’Austria-Ungheria nell’Adriatico, generando una fortissima pressione russa sulla politica continentale. La Bulgaria del trattato di Santo Stefano viene considerata inaccettabile dagli inglesi, che ne chiedono il ridimensionamento: la vittoria russa si profila quindi come una vittoria MILITARE, NON DIPLOMATICA e alla fine essa viene meno. La Gran Bretagna nel frattempo si era garantita il pieno controllo su Cipro e sugli stretti, che formalmente rimangono sotto la piena sovranità ottomana, di fatto inglese. Intanto l’amministrazione della Bosnia Erzegovina passa all’Austria-Ungheria, mentre la sua sovranità territoriale rimane quella esercitata dall’impero ottomano: il controllo austriaco è così pieno, anche se si parla solo di amministrazione. (Per un primo buon decennio della sua indipendenza, la Serbia rimane un protettorato austriaco, che ne protegge anche gli scambi economici. Un protettorato è un paese la cui politica estera viene esercitata da un paese terzo. La Serbia era nella condizione di non poter stipulare alleanze con paesi terzi senza previo consenso austriaco e diventa così una pedina nelle mani dell’AustriaUngheria). L’Italia, dal 1870, si trovava nella condizione di pericoloso isolamento, che andava aggirato. L’Italia partecipa quindi al congresso di Berlino e cerca di capire quanto sia verosimile la stipula di un’alleanza (una possibile è quella con Germania), mantenendo intatti alcuni postulati. Dato l’orientamento inorientato della duplice monarchia (Donaumonarchie), l’Italia cerca di capire come operare per ottenere il Trentino e il Friuli Venezia Giulia e ultimare il suo cammino risorgimentale. Si inizia a profilare così l’idea che, quando l’Austria-Ungheria otterrà altri territori nei Balcani, a quel punto essa potrebbe essere disposta a cedere i territori di confine con l’Italia, che potrà così realizzare il proprio progetto di unità nazionale risorgimentale. Non si profila l’opzione di una guerra contro l’Austria-Ungheria, ma di uno scambio, di una politica di compensi territoriali nei Balcani all’Austria-Ungheria in cambio dei territori abitati da italofoni: con la compensazione ad est si sarebbe potuto compensare l’Italia L’AUSTRIA ERA ASSOLUTAMENTE CONTRARIA e non contemplava quest’opzione, godendo in questo del favore della Germania. Le rivendicazioni italiane non avevano quindi senso per i diplomatici tedeschi e austriaci. Crispi si troverà a dover “passare per Vienna se voleva un accordo con Berlino”: ciò significava che era impensabile un’alleanza con Germania fino a che reggeva l’alleanza tedesca con l’Austria-Ungheria, primo alleato tedesco! L’Italia ha difficoltà a staccarsi dalla politica irredentista, ormai colma anche di retorica, ma è ben consapevole delle proprie debolezze, a livello internazionale e militare. All’Italia serve raccoglimento e una politica che le eviti qualsiasi opzione potenzialmente aggressiva: no forza, ma politica delle mani nette (Corti), con Italia che non vuole cercare guai altrove. Bismarck propone così all’Italia di prendersi l’Albania, che per ora non rientrava negli interessi italiani. L’Albania però era un’annessione strategica: essa chiude canale di Otranto ed è una chiave per l’Adriatico, permettendo all’Italia di giocare un ruolo importantissimo nel Mediterraneo! Pare che la reticenza italiana abbia portato al dirottamento da parte di Bismarck del revanchismo francese, che viene traslato dallo statista tedesco nel Nord Africa, dove si stava disgregando l’impero ottomano. La Tunisia, ad esempio, diventa il luogo in cui la Francia può esercitare il suo diritto di prelazione, sancito nel 1881 con il protettorato ufficiale francesce sulla Tunisia. L’italia subisce lo schiaffo di Tunisi, considerando soprattutto che in Tunisia c’era una colonia di italiani, che rappresentavano una enclave che doveva legittimare l’interesse italiano in Tunisia. C’era quindi una pretesa di prelazione italiana, che rimane insaziata. Al congresso di Berlino, l’Italia è timida e guarda più che altro all’Austria-Ungheria, mentre la Francia fa la voce grossa l’Italia capisce che deve cambiare la propria politica estera necessariamente. Essa sta portando avanti una politica estera a fondo cieco, in quanto è timida e non riesce a rimanere al passo delle altre potenze europee, che si stanno spartendo il mondo disponibile. Ciò appare ben chiaro a Crispi, imbevuto di ideali risorgimentali: egli capisce che è opportuno rinunciare all’irredentismo e dedicarsi ad una politica coloniale, ad un posto al sole che fallirà miseramente ad Adua. Cadendo l’opzione irredentista, cade l’unico ostacolo all’alleanza con la Germania: nel 1882 nasce la Triplice Alleanza, che consente all’Italia di uscire dall’isolamento e a carattere assolutamente difensivo. L’Italia riceve la protezione tedesca qualora essa venisse attaccata dalla Francia. Non si parla di compensi territoriali in questa prima stesura e l’Italia riesce ad uscire da un isolamento pesante e pericoloso. (inizialmente Crispi tendeva, come del resto l’opinione pubblica e la classe dirigente, a ritenere che un’alleanza con Austria-Ungheria era contro natura; sarà solo successivamente che Crispi ne diventerà uno strenuo sostenitore. Inoltre, l’ Austria-Ungheria chiederà di far tacere la voce dell’irredentismo, che saliva dal Trentino e da Trieste. Bisogna ricordare che ai territori irredenti era comunque accordata una certa autonomia). Nel 1882 si abbandona la Francia e la politica sabauda, per avvicinarsi all’eterno nemico e ora solido alleato, l’ Austria-Ungheria. 10.03.2014 Riassunto del primo sistema bismarckiano: innanzitutto, un sistema è un modello in grado di garantire un equilibrio che rende stabili tutti gli attori in gioco. Nel 1882 tutte le istanze bismarckiane sono compiute: 1. Isolamento della Francia, impossibilitata ad allearsi con l’Italia, che rimaneva ancora saldamente legata alla Triplice Alleanza; 2. La Russia legata all’alleanza dei tre imperatori con Germania e Austria-Ungheria 3. Inghilterra è invece isolata, ma ciò è frutto della scelta precisa di garantire comunque la propria influenza sull’equilibrio nel Mediterraneo. Sono i negoziatori italiani in questa fase a rendersi conto di quanto sia importante garantirsi un buon rapporto con la Gran Bretagna. Nella prima stesura della Triplice è prevista la “Clausola Mancini”: in nessun caso, ciò che è stabilito dalla Triplice può essere rivolto contro la Gran Bretagna, la quale garantiva in cambio la sua distanza dalla Francia. In realtà, dal 1881 con trattato del Bardo, la Francia (ministro degli esteri: Jules Ferry) inizia la sua avventura coloniale e prenderà una strada diversa dalle altre potenze europee, facendo il gioco di Bismarck e trovando comunque piena soddisfazione dei suoi appetiti. La Triplice è un accordo segreto, che non fu divulgato e questo ebbe ripercussioni anche sul piano interno: non specificando il contenuto effettivo degli accordi, le potenze straniere (vd. Francia) sono libere di sospettare qualsiasi cosa riguardo al trattato stipulato. Ci si illude che, per un certo periodo, il sistema bismarckiano possa funzionare. L’ Austria-Ungheria è invece soddisfatta dalle conseguenze e dall’esito del congresso di Berlino, perché vede riconosciute le proprie istanze di sicurezza interna. Il teatro balcanico dovrebbe quindi corrispondere allo scenario bismarckiano: i Balcani orientali di influenza russa, mentre i Balcani occidentali a influenza austriaca. L’accordo tra l’Austria-Ungheria e la Russia poteva mantenersi proprio grazie a questo equilibrio nei Balcani. Tuttavia, Russia e Austria-Ungheria avevano obiettivi diversi di politica estera: l’AustriaUngheria si voleva tutelare di fronte all’irredentismo slavo e voleva preservare i propri confini e traffici commerciali sull’Adriatico + Austria-Ungheria guarda alla “via per Salonicco” e quindi verso l’Egeo: non si trattava solo di una pulsione difensiva, ma si trattava anche di trovare nuovi sbocchi economici sull’Adriatico, facendo dell’Adriatico una sorta di monopolio, controllando di conseguenza anche l’Albania, dove ci sarà un braccio di ferro con l’Italia (tutto questo sempre sotto sovranità nominale ottomana). Ecco che l’Italia poteva sentirsi soffocata dalla presenza austriaca nell’Adriatico nuovo motivo di scontro possibile e potenziale tra stati appartenenti allo stesso sistema bismarckiano, il quale conteneva di già i semi del proprio fallimento. I Balcani, che Bismarck vedeva come luogo di pacificazione, erano in realtà un accomodamento parziale e il futuro luogo di disputa! Ad esempio, la Romania si vedeva privata della Bessarabia (affidata a Russia), ma riceveva la Dobrugia come “contentino”. La Romania sente allora che deve tutelarsi contro la Russia e cerca un accordo con gli Imperi Centrali dal 1883. La Romania affianca la Triplice senza dirlo a nessuno e nemmeno il governo lo sa: è re Karol che spinge e trova un accordo segretissimo con la Triplice per proteggere la Romania da un eventuale attacco russo. Il parlamento non ne è informato perché esiste un grandissimo irredentismo slavo e magiaro (vd. Transilvania, abitata da rumeni cui non vengono garantiti diritti etnici, né giuridici), che guardano alla Romania come una sorta di Piemonte rumeno. Nemmeno per la Russia il congresso di Berlino fu un successo e vennero soddisfatte poche sue aspettative: quando nei Balcani si ritorna a smuovere la situazione, tutto questo movimento parte dalla Bulgaria, governata dal nipote della zarina (Alessandro di Battenberg), che vuole affrancarsi dalla politica e dall’influenza russa. Il principe diverrà sempre più scomodo per la Russia. (citata la Rumelia). La situazione in Bulgaria preoccupa molto non solo l’Austria-Ungheria, ma anche gli stessi paesi che sono appena diventati indipendenti. La Serbia stessa non vede con favore un ingrandimento della Bulgaria e mandava giù faticosamente la politica espansionista bulgara; inoltre, i suoi interessi erano pienamente salvaguardati dall’Austria-Ungheria e quindi la Bulgaria decide, certa di una vittoria, di intervenire contro i serbi, lungo il cui confine erano schierate le proprie armate. La Serbia subisce una sconfitta e l’Austria-Ungheria pone delle condizioni ben chiare da non oltrepassare per non scatenare un conflitto tra le due potenze protettrici. La garanzia che tutto questo non avvenga sarebbe stato il sistema messo in piedi da Bismarck. Tuttavia, la Germania e l’Austria-Ungheria avevano siglato anche un accordo a due, dove l’Austria-Ungheria era saldamente sotto la protezione tedesca, anche militare (1885). Il profilarsi di una guerra tra le due potenze porta Bismarck a cercare una mediazione tra i due paesi, anche se di fatto si delinea una situazione di diverso peso assegnato dalla Germania ai suoi diversi alleati: succede quindi che l’Italia, pienamente protetta dall’accordo, viene “sacrificata” come anello debole dell’accordo e per essa si concluderà qualsiasi eventualità di veder riconosciute le proprie istanze di politica estera Italia ha una ridotta potenza politica, il cui peso è infatti inversamente proporzionale all’accordo tra Austria-Ungheria e Russia, tra le cui non sarebbe dovuta esserci alcuna rivalità. Quando questa rivalità emerge, l’Italia diventa alleato più prezioso, perché ben presto bisognerà ricostruire un nuovo sistema di equilibrio, di nuovo soddisfacendo Austria-Ungheria e Russia. Anche in Bulgaria presto nascono sospetti austriaci verso un tentativo presunto russo di far diventare la Bulgaria un satellite russo: all’Austria-Ungheria si alzano le antenne e si partecipa alla ricerca di un nuovo regnante. Si profila l’idea che sul trono bulgaro possa salire un ufficiale austro-ungarico cattolico, Ferdinando di Sassonia …, alterando l’equilibrio di una zona che per Bismarck doveva essere sotto l’influenza russa e non austriaca. In questo malessere balcanico, nel 1887 l’Italia è in grado di rinegoziare la Triplice Alleanza, ridando vigore alle proprie richieste di riconoscimento di un ruolo di maggior peso a livello internazionale: non più Italia come anello debole, ma Italia può costituire un peso determinante ante temporum. La Germania ha bisogno dell’Italia, perché si sta apprestando a deludere seriamente la Russia: Bismarck comincia a costruire una serie di alleanze più traballanti, contraddicendosi a vicenda. All’apice della crisi tra Russia e Austria-Ungheria, egli fa sapere all’ambasciatore russo che Germania e Austria-Ungheria erano legate da un accordo bilaterale. Quando lo fa, Bismarck cerca di persuadere i russi da un attacco, il quale è inopportuno e latore di guai per la Russia. Allo stesso tempo, Bismarck rimaneva saldamente convinto che il vero pericolo sia l’accerchiamento tra il fronte occidentale e quello orientale: non bisogna far sentire la Russia totalmente tradita dalla Germania! La Francia, considerata allora la culla di fermenti rivoluzionari o conservatori, diventa allora una meta possibile per un’alleanza con la Russia, la quale potrebbe ingrandire la propria sfera di influenza sul continente. In Francia tra l’altro sale al potere Boulanger, il rappresentante del revanchismo più tremendo e scatenato. D’altronde, la Russia non può certo guardare alla Gran Bretagna, con cui è in lotta per gli stretti e con cui cominciano contrasti nelle zone periferiche dell’Impero, ovvero attorno all’India: si pensi all’interesse espansionista russo verso l’Afghanistan. Cresce anche il peso internazionale dell’Italia in occasione del primo rinnovo della Triplice, quando si separano parallelamente i due accordi con Germania, la quale garantisce all’Italia un posto al sole e una politica coloniale possibile (Tripolitania e Cirenaica diventano possedimenti appetibili per l’espansionismo italiano, in quanto erano in decadenza ottomana, MA nasce un timore italiano per un possibile intervento francese nel Nord Africa. Il casus foederis è quindi il casus belli: l’eventualità nella quale l’alleato ha l’obbligo di intervenire. L’Italia non voleva più trovarsi davanti ad un fatto compiuto come avvenne nel 1881, anche perché essa sapeva benissimo che la Francia si stava rivolgendo verso il Marocco) e AustriaUngheria. Crescono le tensioni tra Italia e Francia e quando sale al potere Crispi, che inizialmente aveva criticato Depretis, si rivelerà un sostenitore acceso della Triplice alleanza, in funzione antifrancese e con sfumature di intervento militare e potenziale politica espansionista. Si inizia a parlare della Triplice come accordo militare che la renda effettivamente operativa: nel 1888 si inizia a negoziare un accordo militare che prevede un invio di forze armate italiane sul Reno, in caso di aggressione non provocata a danno della Germania e da parte francese. Si inizia a capire che qualcosa sta cambiando nelle relazioni europee e Crispi ammette che lui e Bismarck stanno “congiurando per la pace europea”, a cui la Francia non crede assolutamente. Aumenta inoltre la spesa militare sul bilancio pubblico italiano: Crispi vuole fare una politica da grande potenza e prende a modello in questo Bismarck, iniziando ad espandersi a Massaua si trova in un’altra zona, è all’ingresso del Mar Rosso! Non bisogna dimenticare che l’Italia arriva tardi nel banchetto coloniale, ma Massaua non infastidisce la Gran Bretagna, quanto provoca fastidio agli austriaci: le chiavi per l’ingresso nel Mediterraneo passano per il mar Rosso e si rivolge verso l’Abissinia. Ecco la virata operata da Crispi in politica estera: abbandono di qualsiasi tensione irredentista, anche in parlamento, per investire totalmente sulla Triplice alleanza, anche in termini economici. Eppure l’Italia ha problemi interni, vedi la situazione economica al sud Italia e la Francia nota benissimo questa situazione: nonostante il tentativo di negoziare un accordo commerciale, Francia e Italia ingaggiano una lotta commerciale basata sulle tariffe doganali e i rapporti economici tra Francia e Italia diventano squilibrati a favore della Francia l’economia italiana ne risentirà pesantemente, proseguendo un risentimento tra i due paesi che partiva dalla questione romana e continuava con la questione coloniale. Bismarck rinnova la Triplice Alleanza nel 1887 e rinnova il trattato d’amicizia con l’Austria-Ungheria, nel tentativo di calmierare la posizione austriaca (politica di ragionevolezza nei Balcani), ma Bismarck sa che la Russia potrebbe a questo punto decidere di allearsi con la Francia e quindi propone alla Russia un trattato di contro-assicurazione contro una politica tedesca percepita come troppo sbilanciata a favore dell’AustriaUngheria: Bismarck garantisce il rispetto della benevola neutralità, qualora uno dei due paesi si trovi in guerra contro un paese terzo (1887). In caso di guerra russa contro l’Austria-Ungheria o di Germania contro la Francia, non cadrebbe quindi questa garanzia di benevola neutralità: ciò significa che, sintetizzando, la Germania avrebbe potuto decidere in un senso o nell’altro quale dei suoi due alleati sostenere. Bismarck si lascia le mani libere e non si preclude alcuna via, godendo sempre di legittimazione. Non esiste l’aggressione tout court del paese cattivo contro il paese buono: ci sarà sempre un incidente, un casus belli, una provocazione aggressione non provocata diventa così un concetto estremamente aleatorio. L’Italia riesce intanto ad andare oltre la clausola Mancini con l’approdo a Massaua, anche se l’Italia vorrebbe in realtà far entrare la Gran Bretagna nella Triplice, facendola diventare una Quadruplice e immobilizzando quindi sia la Russia che isolando definitivamente la Francia; tuttavia, nessuno ha il coraggio di chiedere ciò e la Gran Bretagna non concepisce di vincolarsi ad alleanze continentali, preferendo agire attraverso accordi che comportano minor vincolo. Ecco che quando la Gran Bretagna accetterà un accordo con l’Italia, essa riceverà il nulla osta alla propria politica coloniale in Africa, il cui caposaldo è il mantenimento dello status quo nel Mediterraneo e nel Nord Africa, con la Gran Bretagna che avalla la volontà italiana di non vedere la Francia impossessarsi del Marocco, come fece nel 1881 con Tunisia l’Italia è ammessa alla discussione sulla politica nel Mediterraneo. Nel momento in cui status quo in Nord Africa venisse meno, ciò non avverrebbe senza previo trattato. Inoltre, i contrasti anglo francesi nel Mediterraneo sono in crescita, perché di mezzo c’è l’Egitto ed entrambe le potenze sapevano che chi avrebbe controllato le sorgenti del Nilo avrebbe poi controllato tutta l’Africa (vd. Incidente di Fashoda). Per quanto riguarda l’estremo Oriente, questione a cuore dell’ Austria-Ungheria e dell’Inghilterra, si cerca lì di tenere a freno l’espansionismo russo verso l’Oriente e verso gli stretti: l’Austria-Ungheria e la Gran Bretagna parlano del mantenimento della libertà degli stretti, dove la libertà era sì per tutti, tranne che per la flotta russa. Esse concordano inoltre sul mantenimento del decaduto Impero Ottomano, verso cui la Gran Bretagna si era garantita una posizione di favore, ma non la prevaricazione. (ad esempio, il governatore Rumelia orientale era eletto dall’Impero Ottomano nominalmente, sempre con approvazione della GB). Nel 1888 muore il re Guglielmo IV, il sovrano tedesco che aveva lasciato carta bianca a Bismarck la nuova politica estera tedesca, in quanto alle soluzioni diplomatiche paventate e sempre favorite da Bismarck, ora la nuova classe politica proponeva una politica di efficiente e veloce riarmo, con un attacco preventivo alla Russia. Il trono passa al nipote di Guglielmo, contraddistinto da una soggiacenza a varie influenze e non particolarmente intelligente. Egli subisce quindi i vari umori della cancelleria berlinese: parrebbe che Guglielmo sia pronto a rinegoziare il trattato di contro-assicurazione ormai scaduto con la Russia, ma molto abilmente Guglielmo riceve un documento, in cui sembra che lo zar parlasse di lui come un ragazzo maleducato e infido. L’imperatore percepisce quindi il tradimento russo e si rende conto che Bismarck gli ha celato questo documento, considerandolo un politico marginale in politica estera: Guglielmo si infuria e Bismarck non accetta di rinegoziare il trattato di contro-assicurazione tanto vale non correre il pericolo di una guerra su due fronti! Inizia così l’elaborazione del piano Schlieffen, piano di tattica e strategia veloce di guerra, sostenuto dagli junkers, i nobili guerrieri tedeschi. 13.03.2014 Il primo rinnovo della Triplice Alleanza è in realtà conosciuto anche come seconda edizione della Triplice, riferendosi con queste due espressioni al trattato rinnovato nel 1887. L’Italia del 1887 riesce ad ottenere che la Triplice non si limiti più a quel carattere di uscita dall’isolamento diplomatico, come era stato per la prima stesura, ma riesce a soddisfare le proprie istanze riguardo alla possibilità di una politica coloniale in Nord Africa, prevendendo l’eventualità di colpo di mano francese e ottenendo dalla Germania la garanzia che se ci fossero stati fastidi con la Francia riguardo alle questioni coloniali, la Germania avrebbe protetto l’Italia dalle ire francesi. Per quanto riguarda l’Austria, essa riconosce quello che diventerà il principio dei compensi, rivolto soprattutto allo status quo nei Balcani: qualsiasi modifica dello status quo sarebbe dovuto essere concordato e compensato territorialmente. Questo principio va tenuto ben a mente, perché esso genera incomprensioni e fraintendimenti, che risorgeranno all’alba della prima guerra mondiale e che non verrà mai dimenticato dagli irredentisti e dall’opinione pubblica italiana (giornali e classe dirigente, concetto forse eccessivamente moderno per questo periodo in Italia). L’opinione pubblica italiana era quindi ancora embrionale. Il principio dei compensi dà luogo al fraintendimento di base, riguardo all’eventualità che, qualora l’Austria avanzi nella sua strada verso Salonicco inoltrandosi nei Balcani e trovandovi delle soddisfazioni ai propri appetiti territoriali, l’Italia avrebbe potuto ragionevolmente avere più chances rispetto alle proprie speranze di una futura annessione del Trentino. Tuttavia, questa eventualità era esclusa ad ogni livello dall’Austria-Ungheria, che non avrebbe concesso nulla altro oltre ai territori ceduti nel 1866 all’Italia. Inoltre, operare cessioni territoriali all’Italia avrebbe portato ogni nazionalità a rivendicare dei territori politica dei compensi non contempla il Trentino. Nel 1887 l'Italia diventa inoltre un elemento necessario per la politica tedesca e la Germania preme di più sull’Austria, affinché accetti anche alcune condizioni e richieste italiane avanzate nei Balcani, nonostante l’Austria-Ungheria considerasse l’Italia un’intrusa nei Balcani. Altro attore fondamentale con cui Austria-Ungheria deve confrontarsi nei Balcani è la Russia. La triplice passa da un solo accordo a due accordi separati, uno con la Germania e uno con l’AustriaUngheria. Il motivo dei due accordi è che l’Austria-Ungheria non accetta di garantire il rispetto delle clausole riguardanti il Nord Africa e l’ Austria-Ungheria non si fa garante delle istanze italiane nei Balcani. Nel 1891 si parla del secondo rinnovo della triplice e in quell’occasione cade la struttura del primo rinnovo (ovvero i due accordi separati), ma nella sostanza gli articoli non vengono toccati un unico accordo a tre vincola maggiormente gli attori coinvolti nelle garanzie che offrono. L’Austria è inoltre chiamata a farsi responsabile della garanzia tedesca sulle future eventuali acquisizioni coloniali dell'Italia e la Germania è chiamata a farsi garante del principio dei compensi, secondo il primo articolo del primo rinnovo della triplice nei trattati tra l’Austria e l'Italia. Il primo articolo del primo rinnovo del 1887 diventa nel secondo rinnovo e nell’unico trattato l’articolo 7 della triplice alleanza, che garantisce principio della consultazione in caso di modifica dello status quo nei Balcani l’instabilità politica europea deriva dalle questioni balcaniche. Nel 1891 avviene il secondo rinnovo triplice: ormai è chiara l’idea in Europa che la triplice alleanza preveda anche un accordo militare, come pattuito dal 1888 da Italia e Germania, previsto rispettivamente nelle zone dell’arco alpino e sul Reno. Il coinvolgimento militare in realtà contribuisce a creare in Europa un processo di polarizzazione delle alleanze, processo pericolosissimo che innesca dei meccanismi di creazione di due blocchi rigidi e contrapposti, che avanzano ragioni legittime di difesa contrapposizione rigida tra blocchi in Europa è un elemento estremamente pericoloso. Le ragioni di difesa sono essenzialmente continentali e riguardano i Balcani e le questioni coloniali, anche se a breve inizieranno anche i primi screzi sul fronte orientale. La polarizzazione inizia certamente nel 1890, quando finisce l’era bismarckiana e il concetto di equilibrio in base al quale la funzione fondamentale della Germania era quella di tenere separate Russia e Francia: la Germania avrebbe dovuto alleviare le naturali diffidenze della politica russa nei confronti di quella tedesca, proprio perché la politica tedesca era così costantemente coesa con le istanze austriache. Bismarck, essenzialmente attraverso lo strumento della contro-assicurazione verso la Russia, tenta di non alimentare la diffidenza, ma al contrario di farla venir meno. Con la caduta di Bismarck, che cade proprio su una questione legata al rinnovo del trattato di contro-assicurazione, prendono piede nel ministero degli esteri e nella cancelleria altre tendenze e prende piede una concezione della politica del reich abbastanza diversa da quella bismarckiana, espansiva e a tutto tondo Weltpolitik e politica coloniale. È errato dire che Germania bismarckiana non aveva politica coloniale, perché una grossa parte delle acquisizioni territoriali tedesche vennero fatte durante il periodo bismarckiano, ma semplicemente in quel periodo la Germania era riuscita a garantirsi delle colonie e delle espansioni territoriali senza urtare la Francia o la Gran Bretagna. Per principio Bismarck non era un anticolonialista, ma sicuramente aveva una visione eurocentrica, in cui la politica coloniale era un questione di second’ordine. In primo piano stava la questione della politica continentale europea, dove la Gran Bretagna non avrebbe mai dovuto mettere il becco per non insidiare il dominio continentale tedesco. I Balcani sono considerati da Bismarck una polveriera per l’equilibrio europeo e sono essenziali perché lì si gioca il contrasto austro-russo, cosa che non doveva scoppiare per evitare l’accerchiamento della Germania e la disgregazione del suo sistema di alleanze. Nel 1890, quando prendono piede altre correnti di pensiero nella cancelleria, iniziano a farsi strada delle idee che affermano che la Germania ha libertà reale di manovre (secondo Bismarck inesistente), senza essere costantemente ossessionata dall’attacco su due fronti. L’evoluzione del pensiero esterno tedesco passa anche per la disgregazione nel 1890 del principio di equilibrio europeo secondo il sistema bismarckiano. Il Kaiser inoltre era un individuo estremamente permeabile a certe influenze e a giochi estremamente complessi in questa fase. In Germania cambia infatti il pensiero strategico e si inizia ad elaborare il piano Schlieffen, piano strategico con cui la Germania arriva alla guerra: esso viene concepito in questo periodo e prevede che la Germania dia per scontato l’attacco su due fronti l’incubo di Bismarck diventa qualcosa di assodato nella nuova politica strategica tedesca + si dà per scontata un’alleanza franco-russa e si pensa che la potenza militare tedesca sia assolutamente in grado di reggere una guerra su due fronti. La Germania, per avere garanzia di pieno successo militare, dovrà prima annientare la Francia e poi volgersi verso la Russia con il pieno delle proprie forze l’estrema ratio della guerra su due fronti, che rappresentava il fallimento della politica bismarckiana, diventa ora il paradigma dominante in Germania. Occorreva dunque 1. Lasciar cadere il trattato di contro-assicurazione, facendo percepire ai russi i cambiamenti della politica strategica tedesca 2. Nel 1891, il secondo rinnovo della Triplice avviene in una situazione di confusione sullo scenario internazionale: non si capisce se siano previsti anche accordi militari dietro alle alleanze politiche. La Francia ha le antenne tese e aumenta la tensione tra Germania e Francia, la quale commette l’errore di ritenere che l'Italia possa essere indotta ad allontanarsi dalla Triplice attraverso la pressione economica e finanziaria (guerra doganale e non rinnovo dei trattati commerciali): al contrario, l’Italia si stringe ancora più saldamente alla triplice alleanza politica dei giri di valzer e crescente avvicinamento dell'Italia alla Francia, che si rende conto che non servono ricatti e intransigenza verso l'Italia. Piuttosto la Francia voleva sapere le clausole dell’accordo militare della Triplice, ma a questo punto l’Italia non può far altro che rimanere nell’alleanza, al di là delle maggioranze parlamentari più o meno tripliciste. L’Italia può trovare i suoi spazi anche all’interno della Triplice, che non diviene più discutibile e che permetterà all’Italia di trovare vari accomodamenti: viene riconosciuto il principio dei compensi, viene accordata la garanzia delle istanze coloniali dell’Italia e viene mantenuta la clausola della desistenza nei confronti della Gran Bretagna: questi diventeranno poi gli accordi mediterranei nel primo rinnovo, che non verranno invece rinnovati nel secondo nel 1891, quando la Francia sarà convinta che la triplice non si è solo rafforzata militarmente, ma ha anche inglobato la Gran Bretagna. In realtà la convinzione francese è sbagliata e la Gran Bretagna gode ancora, pur difficilmente, della sua condizione di splendido isolamento. La Francia teme la Triplice, ha rapporti pessimi con l’Inghilterra e stanno per esplodere i conflitti con la Gran Bretagna sull'Egitto, che esploderanno nel 1898 con l’incidente di Fashoda. I francesi non sono disposti ad accettare il che il Sudan sia inglese e i rapporti resteranno tesi. Ecco che nel 1891 ormai si sta facendo strada l’idea della possibilità di un’alleanza Russia-Francia: nonostante i rapporti non siano così piani e semplici tra le due potenze, anzi, sembra ci sia una sorta di incompatibilità naturale tra i due, con la Russia che prova orrore per la Francia repubblicana, giacobina, che è temuta e pericolosa, la loro alleanza appare quella più verosimile al momento. I tedeschi son così inabili nella loro politica estera dopo la caduta di Bismarck che riescono a far cambiare idea alla Russia e a far ingoiare allo zar il rospo di un’alleanza che consente alla Russia di uscire dall’isolamento e che di fatto è l’unica strada percorribile per la Russia: qualsiasi contrasto con l'Austria non sarebbe stato protetto da alcun trattato di contro-assicurazione sul fronte tedesco e quindi si può postulare che qualsiasi contrasto con l’Austria nei Balcani avrebbe portato la Germania ad intervenire a favore del suo alleato, l'Austria, nei Balcani con l’aggravante dell’intervento della Gran Bretagna paura russa e francese! La Russia inizia a mostrare i propri interessi in Oriente e sugli stretti e altrettanto isolata è la Francia, che non ha vincoli con nessuno, ma ha contrasti coloniali con la Gran Bretagna, che hanno come fulcro centrale l’Africa e l’Indocina. È evidente che tutte le circostanze internazionali sembrano spingere la Francia e la Russia una nelle braccia dell’altra e l’avvio del negoziato per la loro alleanza avviene nel 1894 quando però, già nel 1892, l’alleanza si era compiuta con una convenzione militare, che ne rappresentava il braccio operativo e tecnico. La prima caratteristica del negoziato franco-russo sono i contatti conosciuti anche a livello internazionale: vi è una reciprocità di visite ufficiali e di contatti di vertice. L’oggetto dell’alleanza è l’eventualità di un’aggressione e in generale, in questa fase, ciò che muove tutti i paesi verso la ricerca di alleanze è un’esigenza difensiva e, in alcuni casi, anche il desiderio di uscita dall’isolamento diplomatico per tutelare la propria posizione internazionale. La Russia non stava pensando ad un colpo di mano garantito da un appoggio francese, ma a garantirsi sicurezza di fronte alla crescente instabilità del continente europeo. Al contrario, la Francia teme l’appoggio tedesco all’eventuale attacco italiano, che in realtà non era in preparazione, perché anch’essa continua a pensare in termini difensivi. Addirittura, Crispi e la classe dirigente guardavano ancora alla Francia come potenziale aggressore e si considerava ancora aperta la questione romana. La Francia e la Russia si alleano quindi per la paura di un attacco e l’alleanza con la Russia diventa un rospo da ingoiare anche per la Francia, la quale fa una retata di anarchici russi e dà un primo segnale politico alla Russia circa l’orientamento francese in politica interna. L’accordo con la Russia prevede l’intervento francese nel momento di un attacco ai danni di Russia da parte della Germania o dell'Austria e dalla Germania insieme; viceversa, la Russia garantiva il suo intervento in caso di Francia attaccata da Germania o da Germania e Italia contemporaneamente. Non si prevede alcun lasso di tempo teso ad allentare i vincoli alle alleanze (vincolo della previa consultazione), salvo il caso in cui la Russia venga attaccata dall'Austria: Francia interverrà previa consultazione, altrimenti sarebbe stata immediatamente invischiata nelle beghe balcaniche tra Russia e Austria-Ungheria. Laddove le questioni dell’alleato sono calde (vd. Balcani), l’alleato non voleva essere direttamente collegato. La convenzione militare tiene conto delle frontiere: l’Austria e la Francia non confinano e diventa difficile un’immediata invasione della Francia in caso di attacco austriaco. Il momento è estremamente complesso e la formalizzazione dell’alleanza franco-russa avviene nel 1894,anche se essa nasce già due anni prima: bene o male si è rotto il tabù che due paesi politicamente e culturalmente così diversi possano trovare un’alleanza vera, che diverrà in futuro l’Entente, cui si unirà anche l’Inghilterra, seppur con dei vincoli molto meno solidi rispetto a quelli che legavano Francia e Russia. Peraltro, la polarizzazione non è conclusa fintanto che l’Inghilterra mantiene il suo splendido isolamento, la sua piena autonomia, che essa si può garantire attraverso la sua superiorità sui mari. Tuttavia, nella nuova concezione politica tedesca, si modifica anche la percezione dei rapporti con la Gran Bretagna in modo abbastanza confuso: in realtà, la Germania pensa di mantenere un rapporto stabile e non conflittuale con la Gran Bretagna, ma allo stesso tempo la Germania ritiene di poterlo fare portando avanti una politica di riarmo navale a partire dalla seconda metà degli anni ’90. In quel periodo, la Germania agiva secondo le idee della geopolitica dell’epoca, che propugnavano l’idea della forza navale come chiave indispensabile per il dominio non solo sui mari, ma in senso più globale. Ecco che la Germania abbraccia l’ideale della Weltpolitik, una politica mondiale che ha una concezione globale dell’interesse tedesco, in cui le acquisizioni coloniali non sono più elementi marginali, ma anzi diventano i nuovi obiettivi dell’ambiziosa politica tedesca qualsiasi potenza dovrà fare i conti con la Germania. Ecco che la Germania si impiccerà in questioni in cui prima la Germania non era intervenuta e aveva spesso lasciato l’ultima parola alla Gran Bretagna; ad esempio, azioni volte a far frenare l’espansionismo francese in Nord Africa o perlomeno a segnalare alla Francia che senza il consenso tedesco non si poteva compiere alcun passo. Nel fare questo, la Germania non intendeva inimicarsi l’Inghilterra, perché ciò sarebbe illogico, ma vuole da un lato stabilire e oscurare il ruolo di primo piano della Germania sul continente europeo, nella convinzione che la Gran Bretagna possa essere convinta a stringere un’alleanza con la Triplice proprio nel momento in cui le si dimostri quanto la Germania sia in grado di portare avanti delle azioni di disturbo nei suoi confronti politica delle inutili provocazioni alla Gran Bretagna, che si manifesta ad esempio in Sud Africa, nella regione del Transvaal, una regione estrattiva soggetta ancora all’influenza boera. In questa fase, l’autonomia del Transvaal diventa un elemento sempre più pesante per la Gran Bretagna: infatti, il grosso dei minatori sono inglesi i cui diritti non vengono sostanzialmente riconosciuti e c’è una disparità di trattamento tra inglesi e boeri. Avviene quindi un colpo di mano ordito dalla Gran Bretagna per togliere di mezzo il governatore del Transvaal (von Krüger), che non riesce e la Gran Bretagna dichiara immediatamente la propria estraneità ai fatti. In quel momento, il Kaiser invia al governatore (nel frattempo rispristinato) un telegramma per congratularsi di essere riuscito a mantenere il proprio dominio sulla regione anche questa azione è volta a disturbare la Gran Bretagna in una zona in cui essa riteneva di avere la mano libera. La Germania invece vuole farle sentire il fiato sul collo, per spingerla a rompere il proprio splendido isolamento ed accelerare la propria adesione alla Triplice Alleanza, a cui la Gran Bretagna si era avvicinata con gli accordi mediterranei e la clausola Mancini. In realtà questa politica ottiene l’effetto contrario e nel momento in cui si risolveranno gli screzi coloniali anglofrancesi, la Gran Bretagna marcerà verso un’alleanza con la Francia, in quanto la Gran Bretagna si riterrà minacciata dalla politica di riarmo navale tedesco e non gradirà le continue infiltrazioni tedesche negli affari coloniali inglesi errata percezione della realtà da parte di Berlino, che immagina i contrasti tra Francia e Gran Bretagna come insolvibili. Al contrario, dopo Fashoda, culmine della tensione tra i due stati, il percorso diverrà in discesa e le due potenze si accorderanno sulle questioni coloniali, creando la cornice alla loro futura alleanza cordiale. La scarsa visione degli strateghi tedeschi compì così un errore grossolano, ma legittimo: si ritenevano insanabili i conflitti con la Francia nelle colonie e con la Russia nell’Asia Centrale. Se la Germania avesse praticato una politica accomodante verso la Gran Bretagna, come aveva fatto fino ad allora, avrebbe potuto ripetere la firma di accordi come gli accordi del Mediterraneo, i quali costituirono un bel passo avanti per la Triplice Alleanza. L’elemento italiano rappresenta qui un elemento di estraneità: Crispi (tornato al potere nel 1893) ritiene fondamentale la triplice alleanza, abbandonando l’opzione irredentista, anche perché la Libia e l'Abissinia saranno i prossimi passi della politica estera italiana. La visione strategica italiana si attesta su un allargamento delle proprie posizioni sul Mediterraneo e nel Mar Rosso, insediandosi a Massaua e immaginando che il Mar Rosso sia la chiave per il Mediterraneo. La tardiva politica coloniale italiana si disegnava così degli spazi in cui si riteneva che l’Italia non avrebbe nuociuto né alla Francia né alla Gran Bretagna, la quale sembra avallare da subito gli interessi italiani a Massaua, posta immediatamente dopo l’occupazione sotto il controllo italiano. Tuttavia, la Francia si irrita quando vede che l’espansione italiana, dopo essersi attestata sulla Baia di Massaua, procede verso l’interno. Crispi, tuttavia, si cura poco dell’interesse francese, perchè ritiene che qualsiasi percorso coloniale debba essere portato avanti con un preventivo assenso della Gran Bretagna, dominus assoluto del Mar Mediterraneo. In realtà, l’Italia sta pensando di ritagliarsi uno spazio proprio, anche perché appunto è stato individuato uno spazio espansivo, ma c’è il contrasto con la Francia e la difficoltà di trovare un compromesso accomodante con i vari re delle tribù abissine. Un protettorato non sarà quindi così semplice da imporre, nonostante la firma nel 1889 del trattato di Uccialli, che di fatto sanciva il protettorato italiano sull'Abissinia. Gli abissini non erano molto disposti a riconoscere il protettorato italiano e l’Italia inizia da subito a sottovalutare quella che può essere la realtà abissina nel 1893 il rais abissino denuncia il trattato di Uccialli, che non viene riconosciuto dall’Abissinia e l’Italia inizia a prepararsi per un conflitto, che essa pensa di vincere facilmente. Ottenuto nel 1891 il pieno assenso inglese, l’Italia si era accontentata di esso e si vedeva riconosciuta la propria influenza sull'Abissinia, che però non è sufficiente il rais inizia ad accumulare armi attraverso il porto di Djibuti, nelle mani della Francia, che è ben felice di infastidire i disegni italiani. La Francia ha questo atteggiamento perché l’obiettivo francese non è tanto l’Italia, quanto l’Inghilterra, di cui l’Italia è considerata un cliente in Africa orientale, dove la competizione tra le due potenze è totale. L’Italia è dunque vittima della competizione anglofrancese su tutta l’Africa orientale, con la Francia che riarma gli abissini e l’Inghilterra che accorda un tacito benestare sulle istanze italiane, che non è da intendere come legittimazione. Tuttavia, inizia l’avanzata italiana, da subito ben più difficile di quello che si pensava e traballa anche la preparazione diplomatica che l’Italia aveva posto in essere: l’alleato tedesco non si dimostra pronto a sostenere le istanze italiane contro la Francia, adducendo come ragione il carattere difensivo della Triplice Alleanza a fronte di un desiderio espansionistico italiano, che non contemplava l'Abissinia. Nel gennaio 1896, quando si concretizza la sconfitta di Adua, l’Italia si scontra con un insuccesso drammatico, che la segnerà a lungo. La mancata conquista dell'Abissinia rappresenta la frustrazione dei legittimi appetiti coloniali italiani sull’Africa e la sconfitta subita da parte di “selvaggi” è un’onta pesantissima. Questa causerà la caduta di Crispi e costringerà la politica estera italiana ad un drammatico ripensamento: fino a questo momento non ci sono stati frutti da parte della politica estera italiana e la Germania ha ragione quando non vuole sostenere l’impresa coloniale italiana che politica aveva creato l’Italia? L’approccio della discussione politica italiana sulla politica estera va a ridiscutere la triplice alleanza, che non ha portato garanzie all’Italia che garanzie può avere l’Italia e è davvero giusto rischiare di avere contro anche la Gran Bretagna, irritata dalla nuova politica tedesca? Non soltanto c’è il rischio di trovarsi contro la Francia senza un’adeguata protezione tedesca, ma l’Italia corre anche il rischio di trovarsi contrapposto un potenziale alleato nella politica coloniale italiana come la Gran Bretagna. Sorge quindi l’interrogativo rispetto alla Triplice e si sente la necessità di riproporre con forza la clausola Mancini, ribadendo la non-volontà di istigazione della Gran Bretagna. Da questo punto di vista, i tedeschi sono abbastanza sordi: la Germania sa benissimo che la strada per l’Italia è già segnata e non è ipotizzabile un’alleanza italiana con la Francia, però, se non è pensabile un passaggio di alleanze, è pensabile un ripensamento del rapporto italiano con la Francia, con cui si tenta di riaprire un dialogo. Ecco che inizia un equilibrismo della politica italiana, la famosa politica dei giri di valzer, che lascia il marito tedesco per ballare con la Francia e che diventa la connotazione principale della politica estera italiana tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento la percezione della triplice non è quella percezione esclusiva che si aveva in epoca crispina, ma è ormai solo una delle possibili scarpe in cui tenere i piedi. 14.03.2014 La sconfitta di Adua costituisce a tutti gli effetti un momento di necessario ripensamento della politica estera italiana e di ridimensionamento delle mire coloniali italiane, che si estendevano dall'Abissinia e dal Mar Rosso alla Tripolitania e alla Cirenaica, dove occorreva scontrarsi con la Francia, senza dimenticare che quei territori sono ancora formalmente sotto la sovranità ottomana. In effetti, l’azione italiana in Libia è condotta a largo spettro e si concluderà con la guerra del 1911, ma che ha una lunghissima preparazione, con l’Italia che cerca di presidiare economicamente, finanziariamente, militarmente quei territori. Si cerca di avviare una rete di finanziamenti italiani in Libia, legando economicamente queste due zone e cercando di rendere la Libia un’enclave italiana (vd. Apertura di filiali del Banco di Roma in Libia). Anche la rete spionistica si attiva per scalzare il potere italiano in quei territori, accrescendosi per permettere l’espansione italiana in Libia, anche perché la zona del Mar Rosso è off-limits per la presenza britannica. L’Italia inizia quindi a ricercare il dialogo con la Francia, assente per la prima metà degli anni ’90 per questioni come quella romana o le varie guerre doganali e commerciali; in qualche modo, dopo Adua, la scelta di arrivare ad una forma di dialogo franco-italiano è rimessa alla Francia, perché da parte italiana c’è la volontà esplicita di avvicinarsi. Tuttavia, nel 1896 l’Italia rinnova la Triplice senza particolare convincimento, anche perché l’Austria blocca qualsiasi espansione italiana nei Balcani e, al contempo, l’alleanza con la Germania inizia ad essere non idonea, non adeguata agli obiettivi perseguiti dalla politica italiana per espandersi in Libia occorre l’avallo anglofrancese, con la Gran Bretagna che si attesta su posizioni di reticenza rispetto ad un accordo e la Francia che prosegue la sua politica del più forte con l’Italia, imponendole delle condizioni politiche per arrivare ad una forma di dialogo e di accomodamento economico, commerciale e politico. Tuttavia, lo splendido isolamento della Gran Bretagna si sta per incrinare: essa inizia a capire che molto probabilmente, è necessario stipulare accordi che le consentano il mantenimento dei suoi principali interessi imperiali, che risiedono nell’agibilità e nel primato pieno del Mediterraneo e nella tranquillità inglese rispetto alle questioni aperte con la Francia riguardo alle colonie, ad esempio. La Gran Bretagna vuole riprendersi il Sudan, toccando così la questione egiziana, che sfocerà nella crisi del 1898 con l’incidente di Fashoda. Tutto questo porta la Gran Bretagna a cercare un possibile dialogo con la Germania, per la ragione già citata della politica a “doppio binario” tedesco, che determina che da un lato la Germania voglia affermare la propria Weltpolitik (tra l’altro, questi sono gli anni in cui la Cina conosce una feroce industrializzazione e si risvegliano degli interessi tedeschi anche in Estremo Oriente applicazione dei diritti ineguali = prerogative economiche e territoriali riservate ai paesi europei, per cui ogni stato si sarebbe preso una parte di territorio su cui esercitare delle forme di assoluto privilegio), dall’altro la competizione si rivolge verso tutti i paesi europei. Ciononostante, la Germania concepisce ancora la bontà dei propri rapporti con la Gran Bretagna, mentre la Francia rimane fuori da qualsiasi disegno di alleanza tedesca, con l’eventualità che la Germania conceda una minima autonomia all’Alsazia-Lorena, cosa che Germania si guarda ben dal fare. In Francia risorge il revanchismo, che si manifesta anche in politica estera, e rimangono stabili le tensioni con i tedeschi. La Germania può dunque procedere nell’avvicinamento alla Gran Bretagna, nel tentativo di cercare la quadratura del cerchio con essa e raggiungendo l’obiettivo di una Francia isolata. Inoltre, la Germania continua a pensare di doversi affermare come potenza navale, soprattutto sul mare del Nord e così stabilire l’inattaccabilità della Germania, che nonostante ciò, non sta pensando ad un attacco verso la Gran Bretagna, ma al contrario ad un’alleanza! Per affermare la Weltpolitik, la Germania rischia di rimanere chiusa in un’alleanza che è destinata a diventare sempre più sterile come la Triplice politica estera miope esercitata dai tedeschi. Nel 1898, la crisi con la Francia è un momento drammatico e lo scontro di Fashoda è un vero e proprio scontro militare per il dominio dell’Egitto. Si può quindi postulare la possibilità di un conflitto contro la Gran Bretagna, con la Francia che sta intanto vivendo un momento di crisi interna dovuto allo scoppio e alla perpetrazione del caso Dreyfus. L’unico alleato francese appare quindi la Russia, la quale potrebbe partecipare al conflitto, ma essendo la sua flotta bloccata nei mari del nord, è impossibile per la Francia ingaggiarsi in un conflitto emergono per la prima volta i limiti dell’alleanza franco-russa, in quanto l’alleanza militare non riesce a scattare tra le due potenze e questo blocca di fatto l’alleanza. Inoltre, la Russia era interessata a tutto, tranne che ad intromettersi in conflitti contro la Gran Bretagna per le questioni coloniali francesi: questa è una follia! La soluzione possibile è quindi la ricerca di un accordo, che non può che essere un accordo generale complessivo sulla divisione delle sfere di competenza tra Gran Bretagna e Francia, che si compirà solamente con l’Entente Cordiale del 1904. Essa può forse garantire all’Italia proprio ciò che essa sta cercando, ovvero la possibilità di aprire un negoziato, in quanto in Italia c’è la volontà di portare avanti una politica estera commisurata ai mezzi che essa ha a disposizione, per ottenere in ogni caso la Libia. Questo tipo di accordo si può ottenere solo quando cambia la dirigenza in Francia, che significa cambio di ambasciatore in Italia e del ministro degli esteri, che indicano come la Francia finalmente capisca che la triplice alleanza in realtà può essere svuotata dei propri contenuti principali. Non necessariamente la Francia deve pretendere dall’Italia la denuncia dell’accordo della triplice alleanza, ma essa può assolutamente rivestire un’importanza minore nella politica estera italiana, nel caso in cui la Francia si predisponga in maniera migliore nei confronti dell’unico interesse avanzato dall’Italia, cioè la desistenza sulla Tripolitania e la Cirenaica (tacito avallo della Francia). Si assiste dunque in questa fase ad una interpretazione molto più libera dei vincoli previsti dalla triplice, con l’Italia che cerca di ritagliarsi uno spazio più ampio al di fuori della triplice. Questo anche perché l’Austria non mostrava cenni di concessioni nei Balcani, continuando ad esercitare la propria influenza sulla Bosnia e sul Sangiaccato, mentre rimaneva aperta l’opzione della loro annessione. L’Austria rimanda sine die questa annessione e il suo errore è di non procedere all’annessione della Bosnia Erzegovina proprio ora che l’Austria esercita ancora una buona influenza sulla Serbia. Inoltre, nel 1898 Russia e Austria siglano l’ennesimo accordo sui Balcani, in cui continua un dialogo tra sordi: gli austriaci intendono acquisita la possibilità di una futura annessione di questi territori, considerata invece dalla Russia una modifica dello status quo nei Balcani. Su questo converge con l’Italia, nel senso che anche l’Italia considera queste annessioni una modifica dello status quo, che ridestano il diritto italiano di essere ricompensata, ma l’Austria ritiene che questa prerogativa le derivi in realtà già dal congresso di Berlino e quindi non va interpretata come modificazione dell’equilibrio. Russia e Austria non condividono quindi la stessa concezione di modificazione dello status quo! In questo quadro, la rigidità austriaca rispetto alla propria politica nei Balcani, la rigidità tedesca rispetto alla Weltpolitik e all’apertura con la Gran Bretagna, la crisi del ‘98 e la crisi interna in Francia portano all’avvicinamento con l’Italia. Una prima fase negoziale si conclude con un accordo fondamentale nel gennaio 1901 per garantire all’Italia la possibilità di modificare lo status quo in Tripolitania e Cirenaica in conseguenza aad un atto analogo francese in Marocco; lo scambio tra Francia e Italia avviene su queste basi, a pochissimi giorni dal rinnovo segreto della triplice nel 1901. I contenuti della triplice nel 1901 e i contenuti dell’accordo reggono perché l’Italia ritiene di non avere in alcun modo alterato il senso della triplice, ma di essersi solo garantita un appoggio della Francia verso il soddisfacimento delle richieste italiane, ma è evidente che la realtà è cambiata dal 1882. la triplice non è più il perno attorno al quale ruota la politica estera italiana! Italia ha un marito, la Germania, e un amante, la Francia, con cui intrattiene relazioni parallele e da cui cerca di trarre il massimo. Il punto interrogativo rimane solo sull’accordo militare del 1888 che lega Italia e Germania, anche se esso viene ridiscusso e alterato in alcune sue clausole, in quanto non sembra essere così necessaria la presenza italiana sul Reno. L’Italia, in realtà, sta cercando di consolidare un sistema diplomatico di alleanze che le consentano il raggiungimento di obiettivi ad ampio raggio, come quello libico. L’accordo del 1901 è destinato a modificare la politica italiana, ma allo stesso tempo esso trascende il postulato che l’Italia possa agire in Libia in un secondo tempo, solo quando la Francia agirà in Marocco, viene a cadere. Il secondo accordo, infatti, l’accordo Prinetti-Barrère, consente all’Italia di agire liberamente in Tripolitania e Cirenaica indipendentemente dalla situazione francese in Marocco. È chiaro che questa libertà d’azione passa attraverso un passaggio più difficile da far collimare con la triplice alleanza, perché Francia e Italia si promettono una neutralità reciproca in caso di aggressione o in caso una delle due decida di andare in guerra in seguito ad una provocazione diretta; all’interno della triplice, l’Italia ha invece garantito il proprio intervento a fianco della Germania, qualora vi sia un intervento militare da parte della Francia. Viceversa, ora garantisce alla Francia una benevola neutralità in caso di aggressione tedesca e consultazione in caso la Francia decida una guerra perché ha subito una provocazione, che delinea un ampio spettro di possibilità. Quando un paese ha in piedi un accordo come la triplice e uno come il Prinetti-Barrère, si ampliano le possibilità italiane di comportamento in caso di guerra franco-tedesca. Forse l’operato di Prinetti è discutibile, ma di fatto questo è ciò che fece Bismarck a sua volta. In questa fase l’atteggiamento tedesco si può definire di incosciente arroganza, che la porterà ad avere come unico vero alleato l’Austria, vincolandola così ad un unico tipo di percorso. Nel 1902 succedono due cose importanti: l’accordo Prinetti-Barrère con distacco dell’Italia dalla triplice (avvicinamento Francia-Italia è vero strumento per spezzare la triplice al proprio interno, sfruttando l’alleato meno soddisfatto) e nel 1897 si arriva anche ad un accordo sulla mantenimento dello status quo in Albania, formalmente sotto sovranità ottomana, ma informalmente zona di influenza austro-italiana, dove si decide che nessuna delle due prenderà il sopravvento sull’altra. L'Albania è considerata un presidio adriatico fondamentale per chiudere l’Adriatico e l’Italia cita ripetutamente Valona e Saseno, dove essa cerca di avere un presidio militare, per chiudere il canale di Otranto. Di fatto, le varie discussioni tra ambasciatori italiani e austriaci continueranno fino al la conferenza degli ambasciatori del 1913 , alla ricerca di un accordo sulle questioni albanesi. L’Albania, però, si dichiarerà indipendente nel 1912 (successivamente all’annessione austriaca della Bosnia Erzegovina del 1908), che creerà un ulteriore equivoco tra Italia e Austria rispetto al reale ruolo austriaco in Bosnia l’Austria interpreta a proprio favore il diritto di prelazione sulla Bosnia che le era stato accordato dalla conferenza di Berlino, intendendo di poterla annettere in qualunque momento lo desideri. Questa visione si scontra però con quella italiana e quella russa, che bloccano le rivendicazioni austriache, ma l’Austria procederà all’annessione nel 1908 fuori tempo massimo e mollando il Sangiaccato. Nel 1902, l’accordo Prinetti-Barrère segna il definitivo avvicinamento Italia-Francia e si registra un altro importante passo avanti con l’accordo anglo-giapponese sull’Estremo Oriente, che deriva dal fatto che il Giappone è un paese è in rapidissima crescita militare, cosa che le grandi potenze europee non vedono di buon occhio. A seguito del primo conflitto tra Giappone e Cina, vinto dal primo (Giappone vedeva la Manciuria e la Corea come proprie zone di espansione territoriale), un accordo tra Russia, Gran Bretagna, Francia e Germania lo costringe a rimangiarsi i frutti politici della sua vittoria, che sostanzialmente coincidevano con la Manciuria, la Corea e altre zone della Cina. Giappone non deve esercitare alcun ruolo predominante sulla Cina, ma le potenze europee siglano un accordo traballante; inoltre, la Russia concepisce l’Estremo Oriente come luogo di sfogo della propria politica estera, frustrata nei Balcani, ma con reali possibilità di influenza nell’Estremo Oriente, dove però appunto ritrova l’aggressività giapponese. La Gran Bretagna si preoccupa per le velleità russe e deve evitarle ad ogni costo la Cina divisa così in tante piccole zone, che vengono occupate dai paesi europei per motivi di sfruttamento economico. Solo in Italia cade il governo su una questione di occupazione economica e territoriale in Cina, anche se successivamente l’Italia manterrà il presidio del Tientsin. L’Italia ha questa costante difficoltà legata al fatto di trovarsi in un ruolo intermedio tra una grande potenza, che non è, e la difficile rassegnazione ad una politica di costante raccoglimento. L’evidente volontà di espansione della Russia in Estremo Oriente deve essere fronteggiata dalla Gran Bretagna e il Giappone, contendente della Russia, sta cercando una forma di riconoscimento necessario da parte delle potenze europee per evitare che una vittoria della Russia porti ad una sconfitta non solo militare, ma anche politica gli serve un assenso preventivo con almeno una delle grandi potenze, la Gran Bretagna in questo caso. Tutto sommato c’è una buona disposizione della Gran Bretagna a trovare un accordo con il Giappone. L’accordo del 1902 è molto particolare: esso si arroga la funzione di monito, cioè ribadisce alla Francia che, nel momento in cui la Russia entrasse in guerra col Giappone, non è il caso che la Francia entri in guerra a sostegno della Russia tentativo di evitare l’alleanza franco-russa nel caso di conflitto russo-giapponese. La Gran Bretagna sarebbe intervenuta a fianco del Giappone, qualora esso fosse stato attaccato da due potenze: infatti, nel 1904, la Russia se la dovrà vedere con il Giappone senza poter contare sull’aiuto della Francia e questo è il secondo impedimento all’operatività dell’alleanza franco-russa. Allo stesso tempo, la Germania fa capire che si sarebbe attenuta ad una benevola neutralità nel caso di guerra della Russia in estremo oriente qual è l’obiettivo tedesco? Anche la Germania avrebbe avuto interesse a spingere la Russia in Estremo Oriente, perché ciò significava un minore impegno russo nei Balcani. Tra l’altro, nel 1902 si erano chiuse le possibilità di accordi con la Gran Bretagna e la distanza con la Francia aumentava. Nonostante ciò, la Germania lascia il via libera in oriente alla Russia. Il Giappone può quindi aver raggiunto un obiettivo di politica estera, ovvero una guerra, che permetterà al Giappone di mostrare e di sfruttare tutta la sua potenza militare; tuttavia, nel momento in cui nel 1902 il Giappone si garantisce la neutralità della Gran Bretagna in caso di guerra contro una potenza e l’intervento della Gran Bretagna in caso di guerra contro due potenze, il Giappone ha effettivamente ottenuto ciò di cui ha bisogno per ottenere un buon successo in un’eventuale guerra contro la Russia. Il trattato deve quindi deve essere reso pubblico, soprattutto per le conseguenze che avrebbe sulla Francia: nel 1902 per la prima volta viene meno l’isolamento britannico è tempo di concludere lo splendido isolamento e di stringere alleanze, che comunque non sono vincolanti rigidamente, ma al contrario sono alleanze settoriali, che garantiscono la salvaguardia degli interessi strategici britannici e l’intesa anglo-francese del 1904 è interamente concepita in chiave coloniale, per risolvere in primis il problema della vertenza sull’Egitto e sul Sudan, che rimangono territori di influenza inglese. Al contrario, la suddivisione del Siam va a vantaggio della Francia, che godrà anche della desistenza britannica rispetto alla propria eventuale espansione nel Marocco con la regolazione anglo-francese delle questioni coloniali ottenuta nel 1904, la Gran Bretagna esce sempre più concretamente dal proprio isolamento, per rivolgersi però verso la controparte, e non verso la Germania! Gli accordi mediterranei, d’altra parte, stretti tra Italia e Gran Bretagna, e la clausola Mancini avrebbero potuto far pensare ad un’entrata anche marginale e settoriale della Gran Bretagna nella triplice alleanza, ma con l’avvicinamento alla Francia e la risoluzione di alcuni screzi coloniali, questo non avviene e nel 1904 in realtà si è arrivati ad una ulteriore polarizzazione delle alleanze in Europa, anche se la struttura dell’Intesa (basata sull’alleanza franco-russa) non è assolutamente paragonabile alla struttura della triplice cadono le divergenze coloniali su cui è fondato il conflitto anglo-francese. La Germania dovrebbe quindi avere molto a cui pensare, anche perché l’Italia ha trovato un ampio spazio di manovra nella triplice, attraverso l’intesa con la Francia: gli avvenimenti del 1904 sono particolarmente rilevanti dal punto di vista tedesco, cui la politica estera tedesca non fa seguire dei cambiamenti sostanziali. La Germania continua a perseguire la propria idea di affermazione del proprio ruolo continentale, di riarmo navale (cosa che indispettirà ulteriormente il riarmo navale tedesco) e sta ulteriormente perturbando quello che tutto sommato era consolidato ai tempi di Bismarck, ovvero i buoni rapporti tra Gran Bretagna e Germania il riarmo navale tedesco è quindi un potenziale elemento di disaccordo. Nel 1882, in occasione della prima stesura della triplice e con la richiesta di Mancini (clausola che in nessun caso la triplice possa essere intesa contro la Gran Bretagna), Berlino implicitamente risponde che non sarebbe mai stata toccata la Gran Bretagna; ora, la politica estremamente spigliata della Germania rispetto a punti come il riarmo navale e il bilanciamento delle flotte preoccupavano la Gran Bretagna, che vedeva ridisegnate le proprie zone di influenza, che non erano più zone di suo dominio esclusivo. A questo punto, perché l’Italia rimane nella triplice, quando ormai essa sembra sterile? Perché in realtà, nonostante nella politica interna ci siano molti stimoli all’uscita dalla triplice, nonostante non venga a mancare l’elemento irredentista, nonostante non manchino le discussioni sugli autentici vantaggi della triplice per l’Italia, il suo abbandono richiederebbe una forza politica, militare ed economica che l’Italia non ha.; non bisogna dimenticare che all’interno della triplice esiste anche un elemento difensivo, di riparo dall’eventualità di problemi con l’Austria-Ungheria, con la quale ci si garantisce il confine alpino. Tuttavia, ora chi trae più vantaggio difensivo dalla triplice è sicuramente l’Austria-Ungheria, che può così dedicarsi al suo fianco orientale e in Austria c’è chi medita la possibilità di un attacco preventivo all’Italia ben prima del 1915. Il concetto di una guerra preventiva sorge perché viene messa in dubbio la fedeltà dell’Italia alla triplice nel momento in cui sorgano problemi seri altrove, ovvero nei Balcani. In questo periodo, la Serbia inizia a dare qualche problema: dopo il congresso di Berlino, essa era legata da un accordo commerciale all’Austria-Ungheria, da cui si svincola ben presto, soprattutto quando re Milan abdica a favore del figlio Alessandro Obregovic la politica austriaca inizia a vacillare e in Serbia si alternano due dinastie al trono (Obregovic e Karadordevic, che vanno al potere proprio nei primi del Novecento), indicatrici di due diversi indirizzi di politica estera. Nel momento in cui la Serbia si svincola dalla dipendenza dall’Austria-Ungheria, essa diventa la punta di diamante del panslavismo, diventando non solo una minaccia esterna ai confini dell’Austria, ma anche una minaccia interna: i milioni di slavi inglobati nell’impero austro-ungarico potevano vedere nella Serbia una latrice delle loro istanze irredentiste. Questo cambio di dinastia e l’instabilità interna della Serbia porteranno ad una spinta maggiore verso l’indipendenza serba e preoccuperanno notevolmente l’Austria. Con l’assassinio di Alessandro Obregovic, si risvegliano tutti gli elementi panslavisti in Serbia che promuovono un’esaltazione del regno serbo in chiave antiaustriaca: questo rimetterà in gioco tutto il discorso sul Sangiaccato, la cui funzione era quella di essere uno stato cuscinetto per impedire l’annessione serbo-montenegrina, ma sulla Serbia ci sono due problemi, appunto uno interno, cioè il panslavismo che non poteva essere tollerato dall’impero multietnico austro-ungarico e uno esterno, ovvero la maggiore presenza aggressiva serba nei Balcani, che tornano ad essere estremamente instabili. Si ripropone l’annosa questione sull’articolo 7 della triplice, la quale ha preso una connotazione sempre più austro-tedesca, con le due potenze che si stanno isolando sempre più, seppur la natura dell’alleanza austro-tedesca si basasse su alcune condizioni talvolta contraddittorie. 17.03.2014 Ai primi del Novecento, si assiste ad un processo di crescente destabilizzazione in Europa. Nell’ordine, avvengo 1. La polarizzazione delle alleanze; 2. La fine dell’isolamento della Gran Bretagna; 3. Le crescenti instabilità e divergenza di interessi all’interno della Triplice Alleanza: ognuno viaggia per conto proprio. Ad esempio, l’Austria-Ungheria è sempre più condizionata da problemi interni di impero multinazionale, che deve fronteggiare le ondate di nazionalismo interno, alimentato anche da spinte esterne. L’orientamento dell’Austria-Ungheria verso i Balcani va verso il tentativo austriaco di riportare la Serbia sotto il proprio dominio, a fronte di una crisi interna (all’AustriaUngheria) che richiederebbe un nuovo spunto di modernizzazione nella gestione dell’impero. In realtà, agli inizi del 900, si discute la possibilità di una triplice monarchia: si trattava di riconoscere l’autonomia all’elemento slavo parallela a quella riconosciuta all’elemento magiaro. Il grosso dell’elemento slavo si trova nella parte magiara ed è in questa fase che si comincia a ventilare l’idea che possa esistere un elemento di coesione tra tutti gli slavi presenti nella monarchia Il panslavismo può essere un elemento di unione tra popoli abbastanza diversi. Ci fu anche il tentativo nell’impero di istituire in riferimento alla Boemia qualcosa teso a riconoscere gli speciali diritti dei tedeschi di Boemia, ad esempio riconoscendo loro i diritti linguistici. (vd. Tentativo del primo ministro Badeni di introdurre il bilinguismo negli uffici pubblici, provocando la rivolta dei germanofoni, che temevano l’estromissione dalla funzione pubblica) scontro che anticipa e fa comprendere i problemi complessi che stanno emergendo nella gestione e amministrazione dell’impero austro-ungarico. L’elemento tedesco è infatti contrario a queste rivendicazioni e anzi si parla di un irredentismo di stampo tedesco: pangermanismo e predominanza assoluta dell’elemento di lingua tedesca, per portare il centro gravitazionale dell’impero attorno alla Germania. Anche gli ungheresi si stavano risvegliando e chiedevano il riconoscimento della magiarizzazione soprattutto tramite le forze armate. Infatti, quando entrò in vigore l’Ausgleich, ciò che rimase nella mani del potere centrale furono la politica estera e la difesa, ovvero i pilastri costitutivi di uno stato. (vd. Si discuteva ora la possibilità di lanciare ordini in ungherese ai reparti che erano a maggioranza ungherese) iniziava in germe la disgregazione dell’impero austroungarico. Nella Triplice Alleanza sale anche l’odio austriaco verso l’Italia, considerata inaffidabile, in quanto continuavano le manifestazioni di irredentismo nelle zone di confine: ecco che il capo dell’esercito maggiore austriaco Conrad teorizza la possibilità di un attacco preventivo sul fronte meridionale, in quanto l’Italia è un alleato nemico assolutamente inaffidabile, ma ciò succederà solo nel 1915. Inoltre, l’articolo 7 della Triplice, quello che prevedeva il principio dei compensi territoriali in caso di espansione di una potenza nella propria zona d’influenza, viene ancora considerato dall’Italia un elemento degno di considerazione, mentre l’Austria-Ungheria aveva capito che nei Balcani si doveva trovare un accordo con la Russia; al contrario, le frizioni italo-austriache si riflettevano invece solo in Albania ed era lì che andavano risolte. L’Austria-Ungheria, nei momenti di crisi, ritiene di dover cercare accordo sui Balcani proprio con la Russia e questo diventa ancora più urgente quando nei Balcani scoppia l’ennesima rivolta. La rivolta macedone, da sempre terreno di scontro, è fortemente appoggiata dalla Bulgaria e la reazione ottomana si esprime in repressioni e riprovazione da parte dell’opinione pubblica europea. Tra l’altro, risale alla fine dell’Ottocento l’inizio della persecuzione turca ai danni degli armeni. Inoltre, nello scenario internazionale, appare evidente dal 1903 che russi si concentrino in politica estera contro il Giappone per il controllo di Port Arthur: la guerra russo-giapponese era alle porte. Tra la Macedonia e l’Impero Ottomano si arriva ad un primo tacito accordo (Mürzsteg ) nel 1903, nell’ombra di un accordo austriaco-russo, che metteva d’accordo le superpotenze e che imponeva al sovrano alcune riforme da svolgere nell’interno. L’Austria-Ungheria immaginava la formazione di una grande Austria, la Romania nel suo disegno di grande Romania in funzione antiserba, la Bulgaria voleva invece realizzare una grande Bulgaria: ora la Bulgaria può essere una sorta di stato leader nei Balcani, strettamente saldata alla Triplice. In senso difensivo si applica una politica antiserba, la quale avrebbe potuto danneggiare l’equilibrio balcanico e quindi inizia l’allontanamento austriaco dalla Serbia, la quale si rivolse di conseguenza alla Francia. Inizia quindi guerra doganale tra Serbia e Austria-Ungheria (guerra dei porci, perché vengono bloccate le importazioni austriache di porci dalla Serbia, in quanto quest’ultima aveva iniziato ad importare armamenti dalla Francia) Serbia doveva essere sotto il controllo austriaco! L’accordo di Mürzsteg , che garantisce la pacificazione nei Balcani, permette di raggiungere nel 1904 un accordo più ampio tra russi e austriaci: un trattato di alleanza e amicizia che prevede la benevola neutralità, che viene mantenuta da entrambe qualora ci fosse attacco di una terza potenza che cerchi di modificare status quo balcanico. In questa fase, la politica estera degli stati non si forma solo sulla volontà dei governanti, ma esiste un processo di formazione di politica estera che riguarda anche il condizionamento che possono esercitare i vari ministri degli esteri (vd. Influenza dei vari cancellieri e dei ministri degli esteri, soprattutto di von Bülow , sull’imperatore Guglielmo II). La formazione della politica estera contemplava passaggi e condizionamenti che passavano dai ministri. Inoltre, l’accordo potrebbe essere contestato in rapporto alla Triplice Alleanza ciò evidenzia ulteriormente il fatto che l’Italia era trascurabile di fronte alle questioni balcaniche. La Germania reagisce positivamente all’accordo, ma per la prima volta dopo anni la politica austriaca è svincolata quasi totalmente dalla politica tedesca: l’Austria-Ungheria non è più un alleato sicuro e fedele, obbediente, ma anzi persegue le proprie istanze di politica estera. Anche la Gran Bretagna inizia a pensare di sciogliere il proprio isolamento e di eliminare l’Impero Ottomano dallo scenario politico. Conrad voleva un attacco preventivo, cui era assolutamente contrario Francesco Giuseppe e il quale accresce il clima di diffidenza presente in Italia verso l’Austria: in Italia si assiste alla politica del giro di valzer (vd. scorsa lezione), che la porta a siglare accordi con la Francia per avere la mano libera in Africa del nord e Tripolitania. Nel 1902 viene firmata l’alleanza franco-inglese, che tuttavia non assomiglia per nulla a quello della Triplice Alleanza; al contrario, le alleanze continentali della Gran Bretagna sono molto specifiche e non la vincolano preventivamente ad alcun intervento sul continente + Anche l’uscita della Gran Bretagna dall’isolamento non significa una volontà di maggior impegno sul continente. La Germania dovrebbe quindi correre ai ripari e riattrarre verso di sé la Russia, per evitare la creazione di un fronte franco-russo. La Germania dovrebbe ritornare sull’errore del 1890 (di non considerare più come un pericolo la guerra su due fronti, abbandonando la concezione strategica bismarckiana) e ritessere i rapporti con la Russia; tuttavia i tentativi sono destinati al fallimento, anche perché la Germania è ancora imbevuta della sua Weltpolitik, politica per far valere a tutto tondo le proprie ragioni anche in ragioni che precedentemente erano state più ininfluenti per la Germania. La Francia inizia quindi a rivolgersi verso il Marocco e a Fez arriva una spedizione francese agli inizi del 1905, per assicurarsi una pressione politica sul sultano: da un lato mantenimento, la spedizione cerca il mantenimento dello status quo con l’Impero Ottomano, dall’altro, in realtà lo si stava smantellando. La Francia sta preparando il suo protettorato sul Marocco, senza aver preventivamente interpellato la Germania; la Russia è rivolta altrove, mentre la Germania, con von Bülow e un altro politico, tenta un colpo di mano affinchè la Francia ritiri le proprie istanze sul Marocco. Il kaiser Guglielmo viene quindi dirottato verso Tangeri, dove effettuerà uno sbarco presentandosi come difensori dei diritti del sultano e dell’islam (marzo 1905). In realtà, la Germania vuole ribadire il fatto che non possa esistere uno sconquassamento così profondo degli equilibri internazionali senza il parere tedesco: ciò significa umiliare la Francia, cui viene lasciata solo la possibilità di convocare una conferenza internazionale. La questione marocchina viene riportata dalla Germania al tavolo delle trattative internazionali, in quanto essa vuole vedersi riconosciuto il suo predominio continentale, ma la Gran Bretagna si attiva per evitare che la Germania si potesse impossessare di porti ad esempio sul Mediterraneo avvicinamento Francia-Gran Bretagna, nonostante l’entente non sia ancora pienamente operativa. Vi sono ancora dubbi tra gli aiuti degli alleati e viene convocata la conferenza di Algeciras (1906) per definire le sfere e l’entità dell’influenza politica europea sul Marocco. Poteva avere grandi problemi in questa conferenza l’Italia, che doveva tentare di fare l’impossibile; infatti, essa era sia vincolata con la Germania, sia con la Francia da accordi specifici sulla questione marocchina, con i quali la Francia si era assicurata la libertà di operare per il meglio nel territorio marocchino. Nell’estate 1905 Germania e Russia cercano di riavvicinarsi a seguito dell’inasprimento dei rapporti RussiaFrancia. Si avvia una corrispondenza tra il Kaiser e lo zar, ma il loro accoro riguarda una difesa reciproca in caso di un attacco in Europa da parte di un qualsiasi attacco europeo: tuttavia, era più verosimile un attacco fuori dall’Europa! L’accordo finisce per scontentare tutti la Russia dovrebbe forse sacrificare la propria alleanza francese per riportarsi sull’asse tedesco?? No, Vitte vuole trovare l’appoggio francese, ma visto che esso mancava, la Russia, per non portarsi contro la Gran Bretagna, decide di continuare a rimanere nell’orbita francese, destando preoccupazioni nella Germania, dove si constatava di fatto un isolamento tedesco ante litteram. L’Italia, rappresentata alla conferenza da Visconti Venosta, raggiunge il minimo storico della propria influenza nella sua Triplice alleanza: l’idillio con l’Austria-Ungheria e la Germania è arrivata ai minimi storici. In Italia cambia nuovamente il governo, Sonnino è ora presidente del consiglio e San Giuliano è agli esteri: egli cerca di riaggiustare i rapporti italiani con la Germania, da acceso triplicista. Anche nel 1906 Sonnino credeva che, per l’Italia, l’unica alleanza possibile fosse quella con la Germania e chiede ai francesi di poter comunicare a Germania il contenuto dei rapporti del 1901 e 1902, cosa che chiaramente la Francia non permette. La Germania riafferma una politica di forza e sposta equilibrio internazionale nel senso di un aumento della revanche francese nei confronti della Germania; nonostante ciò, il Marocco diventerà un pieno protettorato francese e la politica di forza tedesca condurrà semplicemente al fallimento della politica estera stessa tedesca. Alla Germania rimane solo l’Austria-Ungheria, che ha dal 1907 un nuovo ministro degli esteri, Aehrental, convinto assertore di una nuova politica estera per la sua nazione. Egli credeva che occorresse trovare un accordo con Serbia e con una Bosnia Erzegovina sempre più difficile da controllare: bisogna arrivare ad una conclusione con essa. Si pensa ad una vera e propria annessione della Bosnia Erzegovina, ricca di sudditi slavi e ciò avrebbe significato un’ulteriore spinta alla soluzione trialistica, accrescendo l’elemento slavo. Nel 1908, dunque, l’annessione della Bosnia Erzegovina all’Austria-Ungheria di fatto scoperchia il vaso di Pandora. Nonostante avesse cercato una preparazione diplomatica con la Russia, la quale nel 1905 aveva appena concluso il suo conflitto con il Giappone, l’Austria-Ungheria ora può solo prendere come atto il dato che l’interesse russo tornava a rivolgersi nei Balcani. L’Austria cerca allora un accordo con i russi, che bene o male si gioca sul filo dell’equivoco. La Russia cerca di ottenere il libero accesso agli stretti, barattando con esso l’annessione della Bosnia, ma al contempo l’Austria-Ungheria si prepara a fare quella che ritiene una grandissima concessione: rinunciare al proprio diritto di guarnigione sul sangiaccato di Novi Pazar. Conrad e Aehrental discutono questa mossa politica e strategica e il primo inizia quindi a capire che per preservare l’essenza dell’accordo occorre anche concepire un attacco preventivo alla Serbia, aggirando la promessa alla Russia e facendo risultare il do ut des austriaco- russo a favore della Russia, quando invece l’AustriaUngheria aveva stabilizzato la situazione a proprio favore. L’annessione della Bosnia è un momento di grave destabilizzazione: la Russia si sente presa in giro dall’Austria-Ungheria, l’Italia è messa davanti all’evidenza che l’articolo 7 sulle compensazioni non conta nulla e che dal congresso di Berlino era implicito che l’Austria-Ungheria avrebbe prima o poi potuto decidere di annettere il territorio bosniaco si scatena una nuova fase di irredentismo in Italia e la Triplice Alleanza viene continuamente messa in discussione. Nel 1908 l’Italia è saldamente ancorata ad un accordo che non le sta garantendo nulla e che anzi vede l’Austria-Ungheria giocare un ruolo predominante nei Balcani, nonostante ciò che è stato concordato dalle varie alleanze. D’altro canto, l’annessione della Bosnia è un elemento di grave frustrazione, ma in realtà nel 1907 la Gran Bretagna decide di appianare anche le controversie che la dividono dalla Russia, che riguardano essenzialmente la Serbia e l’Afghanistan. La Gran Bretagna sta uscendo dall’isolamento non con alleanze classiche, ma attirando attorno a sé tutti i potenziali nemici la Persia viene quindi divisa in varie aree di influenza, una grande a nord russa e una piccola a sud britannica, con una al centro neutrale, il Tibet passa sotto l’influenza cinese e l’Afghanistan resta un paese ad influenza russa, di fatto non esercitata. 20.03.2014 La crisi del 1908 si manifesta nelle sue numerose conseguenze in Europa: innanzitutto, viene intaccato il prestigio della Russia. Essa aveva tentato di perpetrare un’intesa con l’Austria-Ungheria, tra i rispettivi ministri degli esteri Aehrental e Izvolski, che si basa sull’equivoco fondamentale che fosse realmente realizzabile l’accesso russo agli stretti in cambio dell’annessione austriaca della Bosnia Erzegovina. Bisognava inoltre che la Russia consolidasse una rete di appoggi ben più ampia: le frustrazioni e le incomprensioni che si creano in questa fase della politica europea saranno determinanti nello scoppio della prima guerra mondiale: l’annessione bosniaca è infatti uno dei punti critici che portano allo scoppio della prima guerra mondiale. La Germania, dal canto suo, non svolge più la funzione di moderatrice delle istanze austriache nei Balcani. Al contrario, la Germania sostiene pienamente le pretese austriache, anche perché essa è la sua unica alleata. L’Italia infatti, nonostante sia ancora nella Triplice Alleanza e continui a rinnovarla, di fatto è in crisi nelle sue alleanze e nelle sue strategie di politica estera. Anche nei dibattiti parlamentari italiani, emerge la sensazione di una pubblica umiliazione che si subisce costantemente dalla politica austriaca, perché al solito, la speranza di Tittoni (allora ministro degli esteri) sarebbe quella di ottenere dei compensi territoriali, legittimati dalla politica aggressiva condotta dall’ Austria-Ungheria nei Balcani, in quanto in quella zona si era modificato lo status quo; al contrario, per l’Austria-Ungheria l’occupazione della Bosnia decretata dal congresso di Berlino avrebbe sicuramente portato in futuro alla sua annessione era data per scontata come una naturale conseguenza della concessione e del privilegio ottenuto con il trattato di Berlino! L’italia quindi non riesce ad ottenere quel ruolo di primus inter pares nelle questioni balcaniche, non riesce a giocare un ruolo determinante e continua il rigurgito l’irredentista. Emerge infatti la questione dell’università di lingua italiana: all’interno dell’impero austro-ungarico gli studenti italiani chiedono l’istituzione di una facoltà di giurisprudenza di lingua italiana, preferibilmente a Trieste o a Trento, ovvero nelle zone irredente l’ Austria-Ungheria però non è disposta a rendere questa richiesta una proposta di trattativa. Allora viene proposto uno scambio: l’Italia avrebbe accettato che la Bosnia non diventasse un oggetto di rivendicazioni per compensi territoriali che spettavano all’Italia a patto che l’ Austria-Ungheria avesse aperto una facoltà di giurisprudenza in lingua italiana bocciatura piena austriaca, che propone invece la creazione di una facoltà di giurisprudenza a Vienna e non nelle città irredente, cosa che viene effettivamente realizzata. Si evidenzia, tuttavia, la riduzione della flessibilità austriaca nelle trattative, con un’ Austria-Ungheria che si attesta fermamente sulle proprie posizioni e che è saldamente interessata a non lasciar permeare condizionamenti italiani sulle zone della Venezia Giulia e del Trentino cala un muro da parte austriaca nei confronti dell’Italia + aumentano le tensioni austriache con la Russia e l’Italia. Sicuramente anche il regno serbo è leso da quest’annessione: nella Bosnia, dove vivevano un gran numero di serbi, c’erano delle pressioni sull’elemento nazionalista serbo per tenere vive le rivendicazioni serbe il suo passaggio sotto la sovranità austriaca è un pericolo e al tempo stesso un avvertimento che l’ AustriaUngheria manda alla Serbi, la quale arriva a mobilitare le proprie forze armate. Ciononostante, la Serbia dichiarerà guerra all’ Austria-Ungheria solamente quando avrà la garanzia del pieno appoggio russo, non solamente militare; al contrario, nel 1908, la Russia ha gli artigli spuntati e non è ancora pronta a sostenere un conflitto militare efficacemente. Qualsiasi tipo di reazione serba deve quindi limitarsi al piano interno e di conseguenza nasce in Serbia la Narodna Ovrana, un’organizzazione para-terroristica, ma riconosciuta, di cui l’Austria-Ungheria chiederà l’eliminazione dell’ultimatum dell’estate 1914. Era quest’organizzazione a celarsi dietro l’omicidio di Francesco Ferdinando d’Austria, in quanto essa proteggeva gli interessi serbi nei territori esteri. Dagli inizi del Novecento, la Serbia viaggia quindi su un doppio binario di una politica estera ufficiale e una nascosta, entrambe fondamentali e irrinunciabili. L’Austria sa benissimo che, oltre ai fanatici assassini, erano presenti in Serbia delle organizzazioni riconosciute e legittimate, che permeavano la politica interna serba. Il contrasto con essa diventa fondamentale, anche perché la Serbia inizia a guardare al Sangiaccato di Novi Pazar, territorio libero per le rivendicazioni serbe e che sarebbe potuto diventare il primo sbocco verso l’Adriatico, che era il reale obiettivo della politica estera serba e che costituiva una reale occasione per la Serbia di ampliare i propri confini. La situazione è così ancora più instabile: l’Austria ha sì ceduto il proprio diritto di guarnigione sul Sangiaccato, ma non è disposta ad accettare l’annessione del Montenegro alla Serbia, che avrebbe pericolosamente insidiato i suoi interessi commerciali. L’annessione della Bosnia non fu certamente un tentativo per stabilizzare i Balcani, nonostante fosse questa la visione austriaca: gli austriaci non volevano certo annettere la Serbia (che avrebbe significato incamerare altri slavi nell’ Austria-Ungheria), ma volevano rendere la Serbia incapace di nuocere in una zona che ormai era considerata di preminenza austriaca. L’Austria cerca quindi un contatto più stretto con la Bulgaria, che nel 1908 dichiara la propria indipendenza rispetto all’Impero Ottomano. Essa era dal congresso di Berlino un principato autonomo, ma nel 1908, di fronte alla palese instabilità dell’Impero Ottomano, la rivolta dei giovani turchi assesta un colpo quasi definitivo all’impero. I giovani turchi chiedevano una nazione turca, riaprendo il discorso delle autonomie nell’Impero Ottomano volevano la ricostituzione della forza dell’antico Impero Ottomano e qualsiasi spinta che portava all’indebolimento dell’Impero veniva recepita come una possibilità di ottenere maggior libertà nazionale. Non si muove solo l’Austria, ma il cambiamento di status nei Balcani seguito all’indipendenza della bulgari ha certamente destabilizzato l’Impero Ottomano ci si illude che l’equilibrio sia mantenuto tale, quando invece palesemente non è così. Inoltre, si inizia ad interrogarsi sulla reale tenuta di un’alleanza come l’Entente Cordiale. L’Italia nel 1908 ha ancora l’obiettivo della Tripolitania e della Cirenaica e quindi non può certo trascurare l’alleanza con la Francia: l’Italia cerca di avvicinarsi ulteriormente all’equilibrio libico con una visita in Italia dello zar di Russia, che di conclude con la firma degli Accordi di Racconigi, con cui l’Italia ottiene la desistenza russa rispetto all’eventualità di muoversi in Cirenaica e in Tripolitania l’Italia si sta preparando diplomaticamente per l’annessione della Libia, preceduta anche da due accordi nel 1902 (Barrère- Visconti Venosta e Barrère-Prinetti). Inoltre, l’Italia sapeva benissimo che l’Austria aveva un atteggiamento negativo verso di essa e oltre alle tensioni internazionali, nel 1908, a seguito del terremoto di Messina, in Austria esce un articolo su una rivista militarista che afferma che quello fosse il momento giusto per sferrare un attacco preventivo all’Italia. Questo umore rappresentava anche l’idea del ministro Conrad von Hötzendorf, che rappresentava una certa corrente, ma in realtà non erano solo i militari a sostenere questa visione, come emerge dall’appoggio accordatole anche da Francesco Ferdinando e da personalità vicine al trono. Nel 1909 l’Italia trova questa ulteriore chiave di dialogo con la Russia a Racconigi e ritiene di essersi ulteriormente avvicinata al suo obiettivo primario in politica estera: il consolidamento di una serie di rapporti per poter avviare la propria politica coloniale in Tripolitania e Cirenaica. La posizione dei territori di Tripolitania e Cirenaica è strettamente legata alla questione marocchina: nel 1909 la Francia cerca un accomodamento con la Germania per la questione marocchina alla fine, viene riconosciuta la preminenza francese in Marocco, entro i limiti stabiliti dalla conferenza di Algeciras, che tuttavia non permette alla Francia di instaurare un protettorato. Tuttavia, nel 1911 si scatena una crisi: a fronte di una serie di riforme in Marocco, i francesi inviano una serie di aiuti al sultano verso l’istituzione di una qualche forma di protettorato sul di esso. La Germania assume un atteggiamento ostile alle mosse francesi, manda un incrociatore nel porto di Agadir e nel 1911 si apre un nuovo fronte di crisi franco-tedesco. A questo punto, anche la Gran Bretagna comincia a guardare con crescente preoccupazione alle mosse della Germania, che in quel periodo portava avanti una “politica delle punture di spillo”. Gli inglesi sono realmente preoccupati di fronte a questa mossa tedesca la Germania cerca forse un appoggio in Marocco e magari nelle isole Canarie? Nel 1911 si aggrava anche la tensione tra Inghilterra e Germania, che inizia anche una politica di riarmo navale, cosa che preoccupa massicciamente la Gran Bretagna e che renderà i loro rapporti ulteriormente tesi. L’accomodamento raggiunto tra Francia e Germania è visto con un certo sospetto, anche perché passa da una serie di compensazioni: la Francia ottiene via libera in Marocco concedendo in cambio libertà alla Germania nel Congo francese, ma l’Inghilterra non ne è affatto contenta la Germania spadroneggia sul continente e la Francia sta a guardare, provocando i fastidi britannici. È ormai evidente la cancellazione totale della politica bismarckiana, visibile anche dalle nuove garanzie che la Germania concede all’Austria-Ungheria: la Germania sta ora preparando il piano Schlieffen e tra gli sponenti politici, inizia a diffondersi la visione che la strategia militare prevale sulla politica, la quale deve essere funzionale all’esercito e alla strategia militare la Germania va a mettersi volontariamente nell’idea di conflitto contemporaneamente su due fronti, quella che era stata la bestia nera di Bismarck. Se Vienna dovesse decidere di aggredire la Serbia e in conseguenza di ciò la Russia dovesse intervenire a fianco della Serbia, la Germania si mobiliterebbe immediatamente a fianco della sua alleata. È fondamentale per la Germania precedere la mobilitazione russa, che sarebbe stata ben più lunga di quella tedesca ecco che il casus foederis della Triplice non diventa più un’alleanza difensiva, quanto aggressiva: l’efficienza militare tedesca coprirà sempre eventuali mosse spregiudicate o dimostrazioni di violenza nei Balcani. L’Austria, aggredendo la Serbia, sarebbe stata protetta dalla Germania e così cade il principio in base al quale la Germania avrebbe dovuto costituire l’elemento moderatore dell’Austria nei Balcani. La situazione è estremamente fluida e pericolosa e la Germania, consapevole di accordi che legavano la Russia alla Francia, avrebbe volto il grosso delle forze verso la Francia mentre l’Austria veniva impegnata a est e solo successivamente, dopo una blitzkrieg, la Germania si sarebbe volta verso la Russia. La Germania quindi appoggiava sì politicamente l’Austria senza troppe condizioni, ma ciò implicava anche una guerra su due fronti per la prima, sia sul fronte francese che sul fronte russo e orientale. Il gioco si faceva così estremamente rapido. Tra l’altro, l’accordo in Marocco prevedeva che si toccassero le colonie tedesche in Camerun, che sarebbero passate alla Francia, e una parte del Congo francese, che sarebbe diventata invece tedesca, ma dal 1911 Francia ha via libera in Marocco la situazione è allarmante per l’Italia, che viene spinta a calcare sull’acceleratore, velocizzando la preparazione per la campagna in Libia, preparata bene dal punto di vista politico, molto peggio dal piano militare. L’Italia ritiene di dover reagire in Libia, da sempre territorio dei desideri coloniali italiani, ma essa teme che la Francia, avendo ottenuto il via libera sul Marocco, possa in qualche modo irritarsi rispetto ad un’operazione analoga condotta dall’Italia in Cirenaica e Tripolitania la Francia si irrita per la questione coloniale. L’Italia, dal proprio punto di vista, pensa che sia giunto il momento di invadere la Libia. Il presidente del consiglio Giolitti si decide ad un colpo di mano che molti giudicarono improvvido. L’Italia dà un altro colpo ad un equilibrio che era appena in fase di ricostruzione dopo la crisi in Bosnia e l’Italia si espone a delle critiche internazionali che trovano tutt’oggi un senso anche l’Italia ebbe responsabilità nello scoppio della prima guerra mondiale, aizzandosi le ire dell’Impero Ottomano e scatenando le prime guerre balcaniche e contro la Grecia. Giolitti fu accusato di aver scelto questo tipo di politica in ragione di vicende interne, nel tentativo tipico giolittiano di trovare un consenso più ampio per importantissime riforme interne che egli doveva portare avanti, come la riforma elettorale. Tuttavia c’erano anche ragioni di politica estera che potevano permettere di agire: l’Italia preparava l’annessione da almeno 50 anni di lento lavoro diplomatico contro l’Impero Ottomano da anni decadente. Nel 1912 l’Italia riesce a vincere la guerra e viene sancito il passaggio di sovranità della Tripolitania e della Cirenaica dalla sovranità ottomana a quella italiana; militarmente la vittoria non è piena e alcune zone rimangono inconquistate, evidenziando una debolezza intrinseca dell’esercito. Dal punto di vista internazionale, l’Italia agisce solo quando avrà benestare di Gran Bretagna e la sicurezza del sostegno tedesco previsto nella Triplice, ma almeno due potenze saranno scontente. La prima è la Francia, che dimostra la sua scontentezza rifornendo con armamenti i resistenti libici (incidente del Carthage e del Manouba) e successivamente ci saranno anche risvolti europei della questione libica: l’Italia guarda ad un contesto mediterraneo e con scusa di bloccare le navi turche nei porti ottomani, l’Italia occupa parte della costa albanese e le isole del Dodecaneso con Rodi l’Italia si sta muovendo nel Mediterraneo orientale e nell’Adriatico come zone di potenziale espansione. Ciò scontenta più di qualcuno ad esempio l’Austria, che vedeva come le mosse italiane andassero ad urtare i disegni austriaci nell’Adriatico. L’Austria-Ungheria non può tollerare un futuro dominio assoluto dell’Italia sull’Albania: occorre cercare una equa ripartizione dell’Albania tra Italia e Austria. Nel 1912, si scatena una rivolta albanese per tentare di affrancarsi dall’Impero Ottomano, che coinvolge principalmente gli interessi di Italia e Austria; tuttavia, anche la Serbia non sta a guardare, ma anzi vuole espandere le proprie sfere di influenza (vd. Kosovo già sotto influenza serba). Nel 1912 Conrad si fa sentire con Francesco Giuseppe e, bypassando il ministro degli esteri, tenta di estorcere l’assenso di Francesco Giuseppe ad un attacco preventivo all’Italia, che secondo lui stava meditando altri colpi di mano e che non avrebbe rispettato la Triplice Alleanza: un’Italia in guerra con l’Impero Ottomano era estremamente vulnerabile. Il difetto di Conrad fu probabilmente la volontà di incidere militarmente sulle scelte di politica interna ed estera e Francesco Giuseppe lo licenzierà, anche se solo per un anno. Conrad aveva anche l’ossessione di un’Austria totalmente impegnata sul fronte orientale balcanico e centro orientale, a protezione dei tedeschi impegnati sul fronte centro occidentale. 24/03/14 L’effetto che ebbe la guerra in Libia fu potenzialmente destabilizzante, nonostante una parte della storiografia ritenga che essa fosse sicuramente una guerra dichiarata all’Impero Ottomano dopo un’annosa preparazione diplomatica e che ora si percepiva come non più rinviabile; un’altra parte della storiografia è più concentrata sulla politica interna ed interpreta la guerra come uno strumento utilizzato per ottenere sostegno interno a favore della riforma elettorale. Tuttavia, c’è da notare che entrambe le visioni sottovalutavano la forza di opposizione presente all’interno del paese. Sangiuliano ammette infine che la guerra ha scontentato un po’ tutti, anche gli stessi alleati Germania e Austria, per non parlare dei francesi e dei loro affari con l’impero ottomano, che mostrano così di “tradire” il tacito accordo di desistenza francese rispetto a quest’azione italiana. Nel 1912 l’Italia stringe la pace con l’Impero Ottomano e si attesta sulla Libia, su Rodi e su altre isole del Dodecaneso, garantendosi temporaneamente una valida posizione strategica nel Mediterraneo orientale, punto di grande rilevanza per l’espansionismo italiano. L’occupazione è temporanea perché il Dodecaneso era ancora presidiato dall’Impero Ottomano, che lo aveva invaso comunque con navi. Nel 1912 avviene però anche l’ultimo rinnovo della Triplice Alleanza. Questo rinnovo chiama l’Italia, la Germania e l’Austria a dichiarare che quest’alleanza deve essere efficace e ciò non è scontato, a causa dei ben noti dissapori tra Italia e Austria. L’Italia, infatti, sente che nell’alleanza l’Austria-Ungheria gioca un ruolo mai pienamente riconosciuto dall’alleanza (nel senso che è predominante rispetto all’Italia e questo non era assolutamente previsto) e rimangono irrisolti gli screzi legati all’irredentismo, all’espansionismo austriaco, senza ricompense territoriali per l’Italia, e la convergenza sull'Albania, la quale nel 1912 diventa preda anche degli appetiti serbi. La Serbia, che si era posizionata anche nel Sangiacctao, vuole espandere la propria influenza anche nella parte nord dell'Albania, arrivando al porto di Durazzo. Nel 1912 l’Albania cerca di affrancarsi dal territorio ottomano, si dichiara indipendente, ma ha grosse difficoltà a causa di contrasti locali. L’Austria-Ungheria e l’Italia le offrono la loro protezione internazionale, sponsorizzando l’indipendenza albanese con operazioni di lobbying disinvolte e favorevoli ai loro interessi. Tuttavia, Giolitti e Sangiuliano rischiano un’implosione dell’Impero Ottomano, che avrebbe conseguentemente alterato l’equilibrio europeo e questo è ciò che assolutamente si vuole evitare in Europa si forma la Lega Balcanica, lega di stati che parte incentrata sull’alleanza tra Bulgaria e Serbia. L’alleanza tra i due stati appare però da subito impossibile, perché essi avevano pochi interessi in comune, ma con spinta e avallo della Russia, che vuole risollevare le proprie sorti nell’andamento della propria politica balcanica. Questo accordo prevede la divisione della Macedonia, dove il Sangiaccato e Kosovo sarebbero dovuti andare alla Serbia, mentre i territori ad est sarebbero andati alla Bulgaria. Inoltre, una convenzione militare segreta prevedeva un consistente intervento militare reciproco di una a favore dell’altra, in chiave anti-ottomana, ma con una diversa clausola per la Grecia, con cui la Bulgaria si disputava Salonicco la Bulgaria sarebbe dovuta arrivare all’Egeo. L’interesse comune è dare una spallata all’Impero Ottomano, nel momento in cui questa spallata può essere davvero efficace. Ad essa si unisce il Montenegro, che partecipa con accordi verbali e avanza interessi sul Sangiaccato e su una futura spartizione delle zone. Nella spartizione della Macedonia sono impliciti i futuri conflitti. Interessante è che questo sottobosco di accordi fortemente pilotato dagli ambasciatori russi non viene portato a conoscenza della Francia, principale alleato dei russi qual è la solidità dell’Entente Cordiale, dove emerge la reticenza russa ad informare i francesi delle manovre russe sui Balcani? La Russia si sta preparando velocemente ad un riarmo, deve risollevarsi militarmente e nel 1912 non è ancora pronta all’intervento, ma avrebbe dovuto informare la Francia, perché la Francia era vincolata da un intervento a fianco della Russia in caso di attacco offensivo con la Germania, la quale è legata all’Austria e un eventuale screzio nei Balcani avrebbe causato lo scoppio dell’antagonismo russo-austriaco, coinvolgendo tutti i sistemi di alleanza. Nel 1912 si lancia quindi un ultimo ultimatum all’Impero Ottomano riguardo alla concessione di autonomie e indipendenze, con la richiesta all’Impero Ottomano di uscire dallo scenario politico europeo. Questa lega riesce ad avere la meglio sulle forze ottomane. Inoltre, si è da poco conclusa la guerra libica e l’Impero Ottomano si trova in difficoltà a causa di un attacco concentrico su vari scenari, ma la difficoltà è anche per gli altri paesi europei è sempre più difficile mantenere l’equilibrio e preservare la pace, evitando lo scoppio del conflitto. Si indice quindi una conferenza nel dicembre 1912 a Londra le sei principali potenze impongono all’Impero Ottomano di accettare le conseguenze della sua sconfitta. L’Impero Ottomano deve ritirarsi ad est della linea Enos-Midia, due fiumi stabiliti come confine occidentale dell’Impero Ottomano. In effetti, le truppe bulgare stanno arrivando a 50 km dalla capitale Costantinopoli e l'Albania è intanto invasa da greci (provenienti dall’Epiro) e dai serbi, che si prendono Durazzo e trovano così uno sbocco sul mare, scatenando le ire austriache. In realtà il rischio è che sia Italia che Austria vedano stravolte le proprie aspettative riguardo all'Albania: da un lato i serbi prendono il controllo dell’Adriatico, pericolosissimo per l’Austria; viceversa i greci, a sud del paese, arriveranno a Valona, che da sempre è potenziale punto di prelazione italiana. Nel 1913 l’Albania diventa uno stato indipendente, per il quale bisognerà trovare una modalità di governo, magari eterodiretto dalle grandi potenze che hanno interessi sul territorio albanese breve reggenza dello sfortunato principe. Tuttavia, la conferenza lascia un grande scontento, perché non è facile tra Austria e Italia spartirsi l’Impero Ottomano, perché la Bulgaria avanza richieste consistenti sulla Macedonia e non trovano d’accordo né i serbi, né i greci. Anche la Romania ne esce scontenta, perchè vorrebbe dalla Bulgaria la Dobrugia, regione a sud sotto sovranità bulgara, ma alla fine alla Romania viene concessa una fascia territoriale costiera sotto le foci del Danubio e sul Mar Nero. Ricominciano i contrasti all’interno della stessa Lega Balcanica seconda guerra balcanica nell’estate 1913. In realtà, essa è la reazione dei bulgari ad un accordo tra la Serbia e la Grecia, che si attestano su un confine non condiviso dalla Bulgaria. La Bulgaria, che ha da poco firmato un armistizio con Impero Ottomano, volge le sue forze contro i precedenti alleati e nasce un’unione di intenti tra Serbia e Grecia per far fuori la Bulgaria, cui si aggiunge anche la Romania, che vuole appunto espandersi. In realtà, ciò che si era ritenuto di accomodare per il meglio a Londra nel maggio 1913 con la risoluzione non porta ad alcun miglioramento dello status quo e ciò costringe nell’agosto 1913 a concludere la pace di Bucarest: ai bulgari, sconfitti, viene assegnata una piccola parte della Macedonia, mentre la Grecia si annette tutta la parte di Macedonia a sud del lago di Ochrid. L’Impero Ottomano recupera almeno una piccola parte dei territori perduti (Imirne e la Tracia orientale) e la Romania si annette la Dobrugia meridionale gli stati successori dell’impero ottomano hanno difficoltà a trovare un accomodamento territoriale, anche perché le rivendicazioni su basi etnica sono molto frammentate. Nel marzo 1914 arriva in Albania il principe von Wied, nipote della regina di Romania e di religione protestante, il quale è un candidato accettabile per l’Austria-Ungheria e per l’Italia (che non voleva principi troppo vicini a Roma e al papa), nonostante conosca ben poco l'Albania e di cui tutti si fanno beffa. Egli controllava una piccola parte del paese e pensa di avere pieno sostegno dei notabili albanesi, mentre in realtà ciò non è vero e sarà solo utilizzato come un fantoccio. Egli rappresenta l’accordo austro-italiano e tentativo di tenerlo in piedi. L’Italia sta guardando all'Albania e alle manovre austriache con grande preoccupazione, perchè l’Austria vuole impossessarsi di una regione montuosa che domina uno sbocco a sud sul mare (bocche di Cattaro), nel tentativo di chiudere il controllo del mare Adriatico. Le reazioni austriaca e italiana non si fanno attendere: entrambe devono tutelare un ritiro serbo dall’Albania, mentre la Russia ancora una volta non vuole intervenire direttamente, ma sta guardando alle manovre balcaniche, sempre immaginando un futuro ridimensionamento della politica austro-ungarica di Aehrental. Nel 1913 si va molto vicino ad un conflitto generalizzato l’Austria-Ungheria dovrebbe essere trattenuta dalla Germania, che invece è sul piede di guerra e vorrebbe addirittura bombardare Belgrado. La Francia si sta spostando su posizioni differenti, essa si sente forte e fa comprendere alla Russia che è pronta a schierarsi al suo fianco. Nel 1913 si va molto vicino allo scoppio della guerra, perché l’Austria-Ungheria deve evitare un ridimensionamento della Serbia, affermando che non voleva distruggere la Serbia, né ridimensionarla, ma d’altro canto la Serbia stessa non vuole essere riportata sotto il controllo austriaco: molti leggono l’uccisione di Francesco Ferdinando come un tentativo di chiudere all’Austria-Ungheria qualsiasi possibilità di disegno di tripartizione dell’Austria Ungheria fare con l’elemento slavo ciò che si era fatto con l’elemento magiaro. Francesco Ferdinando però era più un accentratore e odiava gli ungheresi, che stavano disgregando la Duplice monarchia, laddove invece egli voleva tornare ad un drei kaiser Bund, ad una nuova alleanza tra Austria, Germania e Russia, tra i tre imperi. Ecco una chiave di lettura dell’assassinio di Francesco Ferdinando il 28/06, giorno di San Vito, sacro ai serbi in ricordo di una loro battaglia. In realtà, Francesco Ferdinando era un centro di potere? Esisteva sì la cricca del Belvedere (palazzo), ma non aveva di fatto molto potere. Nel 1912, una delle ragioni per cui l’Italia si affretta a firmare la Triplice, è che Francesco Giuseppe sta tirando gli ultimi colpi e se davvero la successione è imminente, ciò ridefinirà anche la politica estera italiana. Nel 1914 l’Austria Ungheria è scarsamente propensa al dialogo, perché ritiene di aver già ceduto troppo nel 1912 e nel 1913. Giugno 1914: come mai l’Austria Ungheria coglie l’opportunità dell’assassinio dell’erede al trono per chiudere la partita con la Serbia? Egli viene ucciso da un gruppo di moderni terroristi, ramificati dentro allo stato serbo (Serbia stato canaglia per l’Austria Ungheria). Indipendentemente dalla scelta del governo serbo di venire a patti con l’Austria Ungheria, quest’ultima è fermamente decisa ad arrivare allo scontro con la Serbia: l’ultimatum è confezionato apposta per non essere accettato. Nella sostanza perché poneva fine alla sovranità serba su molti territori e nella forma perché i termini di accettazione erano troppo brevi. Al ministero degli esteri a Vienna era stata vagliata l’opportunità di una totale accettazione dell’ultimatum, ma il piano b prevedeva già un altro modo per poter intervenire contro la Serbia Austria VOLEVA INTERVENIRE, senza se e senza ma. Da parte della Serbia ci si propone di negoziare, ma la clausola delle indagini interne è inammissibile. La Germania firma il famoso assegno in bianco, non ponendo vincoli all’azione del governo di Vienna, che viene esortato a decidere celermente. A Vienna decide il governo, il parlamento, il ministro degli esteri Berchtold; il primo ministro ungherese assolutamente contrario all’intervento austriaco in guerra e la possibilità di assorbire nuovi elementi slavi nella triplice è preoccupante per gli ungheresi. Poi c’è l’imperatore, che non è manovrato da terzi e anzi, Francesco Giuseppe è perfettamente razionale e in realtà sa bene cosa sta accadendo a livello internazionale, con sguardo realista sul presente e sul futuro. Nel momento in cui l’Austria-Ungheria deciderà un’azione militare contro la Serbia, le probabilità di un intervento russo sono molto elevate. In questo, l’Austria-Ungheria ha pieno sostegno tedesco. Il casus foederis è spinto molto aggressivamente contro la Russia e questo per vari motivi: una politica ormai da anni avversa alla Russia, che rende lo scontro inevitabile e l’aggravante del problema della fretta, a cui è particolarmente sensibile Berlino. I tedeschi hanno fretta perché i russi si stanno riarmando, la mobilitazione russa è lenta e a fronte dell’opzione militare si cerca di giocare sul vantaggio derivante dai tempi (Blitzkrieg e velocità sono una chiave di interpretazione). Per di più, il desiderio di ridurre i due fronti a uno solo si fa sempre più pressante: il fronte occidentale deve essere rapidamente concluso e questo è il primo errore tedesco NON CI SARA’ ALCUNA VELOCITA’ NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE e dopo la guerra veloce con la Francia ci sarebbe stato l’intervento contro l’Austria Ungheria. I tedeschi pensavano di inviare in Prussia orientale al massimo un corpo d’armata si pensava ad un’altra manovra! L’invasione del Belgio per prendere i francesi da dietro, risolvere velocemente la questione francese e poi rivolgersi ad est era la strategia della politica estera tedesca, che in questo periodo rileva una piena coesione tra generali e politici, dove la Weltpolitik era volta a questo tipo di conclusione. Anche gli ultimi tentativi di mediazione tra inglesi e tedeschi erano praticamente falliti. La questione del riarmo marittimo della Germania, che nel 1912 vara l’ennesimo provvedimento di riarmo sulla marina, continua ad infastidire la Gran Bretagna: la doppia azione tedesca va a toccare gli interessi a cuore da un lato della Gran Bretagna (da cui si isola totalmente) e dall’altro si abbandona totalmente la visione di Bismarck, affiancando le istanze austriache nei Balcani, che è ben più debole di quanto si pensasse. Nonostante l’abilità di comando di Conrad, tornato al comando dell’esercito nel 1914, l’esercito austriaco non stupisce per azioni militari e egli vede presentarsi l’occasione di dare un colpo definitivo alla Serbia, la quale voleva dare un colpo definitivo alla sopravvivenza della duplice monarchia. Il ministro degli esteri e il primo ministro austriaco sono ben contenti dell’intervento e il 3 luglio arriva a Berlino la missione Hoyos: la Germania è ben convinta dell’intervento, anche se all’inizio Conrad si trova sprovvisto ad est dell’aiuto tedesco e se ne stupisce. La previsione per gli austriaci è di una rapida azione contro la Serbia, che avrebbe causato l’intervento russo, che provocherà l’intervento tedesco tutti avevano ben chiara la situazione balcanica. Tuttavia, i tedeschi si continuano ad illudere su un intervento britannico, il quale non doveva avvenire solito errore tedesco. I francesi sono convinti e ben disponibili a rendere operativo il casus foederis e non cercano scuse contro un eventuale intervento tedesco immediata disponibilità ad intervenire a fianco dei russi e anche alla Francia spetta l’onere e la responsabilità di non aver in alcun modo trattenuto i russi dall’azione militare in difesa della Serbia. L’incognita rimane l’atteggiamento britannico: Lord Bray cerca di riaprire un tavolo negoziale, di cui gli austriaci non vogliono più sentir parlare: la Gran Bretagna inizia a pensare ad un intervento e questo sarebbe avvenuto a favore della Francia. Anche qui il Kaiser spera che nel 1914 di poter trattenere Inghilterra dall’intervento pro Francia. Inoltre, la Germania viola la neutralità del Belgio, che riceve un ultimatum tedesco, ovvero la preghiera di lasciar passare le truppe tedesche sul territorio belga, i quali rispondono negativamente. Anche l’Italia rimane in forse e la sua entrata faceva una gran differenza: stante la necessità di truppe ad est di Conrad, egli aveva necessità che il fronte meridionale fosse tranquillo e occorreva che la triplice fosse ben salda di fronte al confine meridionale. Finalmente nel 1914 Conrad si convince che l’Italia gli presterà fedeltà, nella figura garante del generale Pollio, capo di stato maggiore, che tranquillizza Conrad l’Italia sarebbe quindi intervenuta addirittura sul Reno e a favore dell’intervento tedesco, come precedentemente accordato. Tuttavia, a giugno 1914 il generale Pollio muore e l’Austria si costerna per questo. L’estate del 1914 vede tutti i protagonisti accesamente intenzionati a proseguire su una strada già segnata e soprattutto i principali attori europei escludono il negoziato e la trattativa, mentre sono più possibilisti gli inglesi. L’Austria-Ungheria considera l’imminente guerra come un dato imprescindibile della propria politica estera e l’aggressione alla Serbia non è più rinviabile: ecco che avviene la distinzione, all’interno della duplice monarchia, tra falchi e rassegnati. Paradossalmente la Germania si catapulta in un conflitto nel quale in realtà non ha interessi ben precisi da tutelare, trascurando inoltre il peso della mobilitazione russa. I russi, da parte loro, si stavano riarmando e riorganizzando dal 1904, nonostante la precaria situazione politica interna. Esistono anche pulsioni interne che spingono verso il conflitto, come la necessità di dirottare parte del malcontento popolare verso un conflitto di portata totalizzante, anche se la durata del conflitto è la vera incognita che rimane: si pensava infatti che il conflitto sarebbe stato di breve durata e rapido, quando invece sarà estremamente logorante e ben più lungo di quanto preventivato. In realtà, l’unico che aveva capito la novità della guerra pendente era il vincitore di Sedan, lo zio del futuro generale von Moltke, che affermava come fosse finita l’idea di guerra per gabinetto. L’atteggiamento dell’Italia è importante: la Triplice, rinnovata nel 1912, si regge in modo precario soprattutto rispetto all’Austria-Ungheria, perché gli interessi sono sommamente divergenti. Nel 1914, l’Italia non ha intenzione di affiancare l’Austria-Ungheria nella propria azione contro la Serbia: legittimamente, l’Italia contesta l’esistenza di un casus foederis e della presenza di un’aggressione serba nei confronti dell’Austria-Ungheria. Nel frattempo, l’Italia rammenta come la sua rivale non rispetti l’articolo 7 della Triplice, non ricevendo compensazioni territoriali e anche la visita di Hoyos a Berlino indica come l’Austria consideri la Germania l’alleato principale, mentre l’Italia è semplicemente un alleato infedele e ballerino timore che nel 1914 l’Italia possa compiere definitivamente il suo giro di valzer. In Italia regna un clima di irredentismo sovra-eccitato. A livello governativo, Sangiuliano (ministro degli esteri ancora per pochi mesi) è molto prudente e la via della neutralità è per ora quella più ragionevole, ma in realtà egli non esclude nulla, nemmeno un’entrata in campo nel campo che soddisfi maggiormente gli interessi italiani. Da questo punto di vista, i neutralisti schierati con Giolitti non hanno intenzione di entrare in campo, quindi l’analisi dell’atteggiamento dell’Italia lascia capire come ci si avvii sempre più ad un passaggio della dirigenza italiana verso una trattativa disinvolta a doppio binario, condotta da una parte con gli austriaci e i tedeschi (cosa si può ottenere in cambio della neutralità italiana? politica del parecchio) e dall’altra una segretissima trattativa con gli anglo-francesi, in particolare con il ministro degli esteri francese Barrère. La diplomazia italiana è favorevole ad un intervento pro intesa, salvo gli ambasciatori italiani a Vienna e Berlino (Varna e Bollati), che rassegnerebbero le proprie dimissioni in caso di intervento italiano pro Intesa. Prima dell’intervento italiano, passerà però quasi un anno, in cui si svilupperanno le varie trattative con i paesi da chi si può ottenere di più? Italia non si considera tenuta a rispettare un accordo, adducendo come motivo il comportamento austriaco e si sente legittimata a liberarsi da alleanze e svolgere liberamente le proprie trattative. Ora, ciò che si considera sono le ambizioni italiane, rivolte a 1. Trentino 2. Zone irredente di Trieste e della Venezia Giulia, sebbene l’Austria-Ungheria neghi assolutamente la loro possibile cessione. Nasce una profonda divergenza tra la monarchia austriaca e la Germania, la quale cerca una mediazione tra le due per non portare l’Italia al cambio di fronte. Berlino inizia inoltre ad erogare contributi per “ungere” la stampa italiana, raggiunta a Fiuggi tramite i colloqui tra gli ambasciatori tedesco e italiano. L’ambasciatore austriaco, invece, è estremamente intransigente e ritiene nella sua lunga missione in Italia che essa sia pronta a vendersi al miglior offerente accusa all’Italia di perseguire la politica della mano tesa e al contempo, l’AustriaUngheria ostenta una certa vanagloria rispetto alle forze che gli imperi centrali possono mettere in campo e al potenziale militare della Germania, quando invece lo stato delle forze austriache non è così brillante. L’Austria-Ungheria è estremamente rigida verso le richieste italiane: la cessione del Trentino potrebbe infatti aprire il vaso di pandora dell’impero multietnico austriaco perché, a questo punto, i rumeni non dovrebbero chiedere la cessione della Transilvania? L’Austria entra in guerra per mantenere integralmente la struttura della monarchia austriaca e l’eventuale discussione tra l’Austria e l’Italia viene deviata su zone periferiche, come l’Albania, ribadendo ancora una volta che i territori irredenti non sono oggetto di discussione. La Germania preme perché l’Austria inizi a cedere qualcosa, anche perché la prima nota come l’Austria non sia preparata benissimo; per di più, la Germania è impegnata sul fronte occidentale e questo sarebbe un ulteriore motivo per l’Austria a dover cedere con l’Italia. Le pulsioni della politica estera italiana non sono più però totalmente irredentiste, ma anzi l’idea di politica estera italiana è quella di dispiegare il proprio ruolo di grande potenza e di proiettarsi nel Mediterraneo orientale da irredentismo a imperialismo. In tutto questo, l’Italia capisce che c’è la grande opportunità di dare una vera spallata all’Austria-Ungheria, dominando dapprima l’Adriatico, poi il Mediterraneo orientale, dove l’Italia si era attestata sul Dodecaneso, continuando una politica iniziata prima della guerra di Libia, tesa a porre sotto il controllo e l’influenza economica italiana una zona dell’Anatolia da Smirne all’entroterra ottomano, in previsione di un disfacimento dell’impero ottomano. E’ infatti diffusissima l’idea di spartizione dell’Asia minore ottomana tra Italia e Francia e si parlava ancora di diritti ineguali e di prelazione sull’impero ottomano. Anche il governo spingeva per questi investimenti, preservando anche gli interessi di altri investitori, come le banche (vedi il Banco di Roma, in mano ai cattolici), che hanno interessi riguardevoli nella politica estera italiana. Quando però scoppia la guerra tra l’Italia e l’Impero ottomano, gli investitori devono ritirarsi velocemente e questo possibile futuro mercato viene frettolosamente abbandonato. In uno scenario di implosione dell’impero ottomano (forte presenza tedesca di interessi nell’impero ottomano + dopo il 1908 i giovani turchi si collocano su una politica filo-tedesca, affidando alla Germania l’addestramento del proprio esercito) e di indebolimento dell’Austria-Ungheria, risorge l’idea italiana di considerare le coste italiana e mediterranea come assi di espansione, convivendo nell’idea di dominio dei mari con la Gran Bretagna, con la quale i rapporti si incrineranno successivamente in questioni riguardanti la Grecia. Si capiva che, in caso di vittoria dell’intesa, alla fine della guerra l’Austria si sarebbe grandemente ridimensionata (finis Austriae) e l’Italia valuta bene come aggregarsi all’Intesa: gli anglo-francesi possono forse promettere più degli imperi centrali, ma l’Italia ha anche ben chiaro che, laddove essa voglia cercare di prevalere nel Mediterraneo, sarà indispensabile un accordo benevolo con la Gran Bretagna; tra l’altro, l’idea dell’irredentismo slavo, proveniente dalle zone che si sarebbe in futuro annessa l’Italia, rappresentava un elemento preoccupante per l’Italia, in quanto esso poteva essere usato in funzione antiitaliana (Istria, costa dalmata e Trieste). Quando iniziano le trattative per portare l’Italia a fianco della Triplice, la Francia promette all’Italia i territori irredenti del Trentino, di Trieste e della Venezia Giulia, ma NON Fiume, lasciando intendere anche la possibilità di cedere all’Italia di tutti i domini strategicamente interessanti per l’Italia, che appartenevano all’Austria L’Italia voleva far diventare l’Adriatico un lago italiano! L’idea di vittoria mutilata nascerà perchè l’Italia non avrà considerato alcuni fattori che avrebbero seguito lo scenario post-guerra. Si può affermare che il disegno italiano è ambizioso sì per l’epoca, ma non fantascientifico da irredentismo a IMPERIALISMO ITALIANO. A Pollio, appena deceduto, succede Cadorna, che inizialmente appoggia le alleanze militari italiane, ma all’interrogativo austriaco sulla disponibilità italiana all’intervento pro Imperi centrali, egli deve temporeggiare, esattamente come fa il re Vittorio Emanuele III. A Londra, nel frattempo, iniziano a svolgersi le trattative tra le potenze dell’Intesa, cui fino all’ultimo l’Italia cerca di rimanere esterna, per garantirsi una certa disinvoltura. Le promesse che la Francia e la Gran Bretagna sono in grado di fare a Sonnino (che porterà avanti con gran decisione l’interventismo in una guerra dall’esito incerto, ma che volge in favore dell’Intesa), nuovo ministro degli esteri italiani, non contemplano Fiume tra le posizioni future su cui si attesterà l’Italia: è difficile poter pensare ragionevolmente che oltre a Trieste, l’Austria dovesse cedere l’altro porto che aveva sull’Adriatico, ovvero Fiume. Trieste è quindi l’oggetto delle rivendicazioni, con l’Istria e la costa dalmata, le isole quarnerine (Quarnero) e Zara zone in cui il discorso etnico ha sicuramente una rilevanza e dove sin da subito emerge la difficoltà di disgregare il complesso melting pot balcanico. Le bocche di Cattaro, in Montenegro, erano il punto in cui era stanziata una parte della flotta austriaca e sarebbero state il punto di maggior espansione verso sud dell’Italia. D’altra parte, il Sud Tirolo va di spettanza alle pretese irredentiste dell’Italia, insieme al Brennero zona non etnicamente italiana, ma strategicamente migliore per il nostro paese. Ottenere territori oltre il Trentino significava combinare al meglio le proprie rivendicazioni strategiche e militare. La minima resistenza che trova l’Italia è quella russa, in quanto la Serbia sarebbe stata estromessa dall’Adriatico e la Russia, da protettrice della Serbia, si vede tagliata fuori dallo scenario balcanico. Anche la Russia viene persuasa a fare delle concessioni all’Italia la portata delle concessioni ad essa rivolte evidenzia come essa non fosse assolutamente irrilevante! L’Albania, invece, secondo il patto di Londra, sarebbe potuta diventare un protettorato italiano, che parte dalla città di Valona e da Saseno; è interessante inoltre sapere che l’Italia avanza rivendicazioni in Asia minore, ma su tono abbastanza generico. Inglesi e francesi restano vaghi sulla spartizione dell’ex impero ottomano, in particolare sull’Antalia. Tra l’altro, lungo la costa dell’Asia minore, c’è il Dodecaneso, presenza italiana. Italia avrebbe prevalso sul Mediterraneo orientale. Firmando il patto di Londra (26/04/1915), l’Italia si impegna ad entrare in guerra entro un mese dalla firma contro tutti i paesi che minacciano l’Intesa, ma l’Italia non ha alcun pretesto di dichiarare guerra alla Germania: la dichiarazione arriverà solo nel 1916 e da parte dell’Intesa c’è la richiesta di un fronte coeso, quando in realtà l’Italia si impegnerà prevalentemente contro l’Austria-Ungheria e impegnando le forze austriache sul confine di Gorizia e Trieste. Caporetto, episodio più tragico della guerra per l’Italia, mostra la debolezza militare italiana agli occhi degli alleati, anche perché nel 1917 l’Italia dovrà invocare l’aiuto esterno; tuttavia, era ben chiaro che ci sarebbe stato un attacco austriaco sul fronte italiano, in quanto la Russia aveva già annunciato la propria uscita dalla guerra. L’effetto sorpresa non giocava più alcun fattore e per forza di cose ci si trovò a difendere strenuamente sul Piave, mettendo in gioco addirittura la posizione di Venezia! La strategia diplomatica italiana viene sconvolta dall’entrata in guerra degli USA e dai famosi 14 punti di Wilson. (occorre non dimenticare che anche gli USA erano un paese multietnico, che si tengono inizialmente su posizioni di isolamento tranquillo riguardo ai fatti europei ed intanto esercitavano la dottrina Monroe nel Sud America). In realtà gli USA, istigati anche da una guerra sottomarina ingaggiata dai tedeschi poco prudentemente, entrano in guerra nel 1917 e determinano le sorti del conflitto e dell’Italia nel dopoguerra, con l’elemento politico che giocherà a sfavore dell’immagine che l’Italia si è creata della pace post guerra. 27.03.2014 L’Italia si appresta a fronteggiare i trattati di pace con una serie di rivendicazioni piuttosto ampie, fatalmente destinate a non trovare necessariamente piena soddisfazione. In realtà la prima guerra mondiale distrugge tre imperi, l’impero ottomano, l’impero austro-ungarico e l’impero russo. La sconfitta russa si consuma nel marzo 1917, seguita dall’immediato proclama di una “pace senza annessioni e senza indennità”: la Russia perde parte del suo territorio, della sua popolazione e di oltre il 70% della propria produzione pesante Russia ormai fuori dal contesto europeo, salvata in questo senso solo dalla sconfitta tedesca, con cui troverà una sinergia in politica estera. Nonostante l’instabilità interna e la precarietà che doveva fronteggiare il neo-instaurato governo bolscevico (che però non fronteggiava alcuna opposizione), gli alleati si troveranno a trattare con una Russia bolscevica, la quale doveva essere isolata con un cordone sanitario, altrimenti avrebbe esportato il pericoloso comunismo, infettando realtà politiche già instabili nel dopoguerra europeo. Il 1917 è anche l’anno dell’entrata di guerra degli USA (sotto la presidenza Wilson), sin dall’inizio neutrali riguardo al conflitto nel rispetto del melting pot americano (ci sarebbero potute essere potenziali gravi divisioni al proprio interno, in caso di intervento americano pro una o altra fazione). Tuttavia, la neutralità americana non era certo isolazionista, anzi essi sono attivamente coinvolti nel conflitto europeo con grandissime quantità di export verso l’Intesa assoluta convergenza di interessi tra USA e Intesa, che si indebita esponenzialmente nei confronti dell’industria statunitense (armi, armamenti logistici, che vengono prestati a fondo perduto in cambio di riconoscimento agli USA del ruolo di creditore europeo). Successivamente, gli USA verranno accusati di isolazionismo e la presidenza di Wilson sarà chiamata la presidenza delle lobby, che spinse per l’entrata in guerra solo a causa di fattori economici. In realtà, Wilson era fortemente connotato da un’impronta idealista, che avrà un grosso peso in sede di trattative. L’ingresso degli Stati Uniti è favorito dalla scelta strategica tedesca, ovvero: tra il rischio di avere gli Stati Uniti contro e il soffocamento del blocco navale, i tedeschi scelsero di ingaggiare contro gli USA una guerra sottomarina, boicottando i commerci dell’Atlantico altro pretesto per l’entrata in guerra statunitense. Altro pretesto fu l’incidente diplomatico del telegramma Zimmermann: viene intercettato un dispaccio tra l’ambasciatore tedesco Zimmermann e l’ambasciatore tedesco a Washington nel tentativo di contattare l’ambasciatore del Messico per fare in modo che, qualora non si fosse riusciti ad evitare il conflitto USAGermania, la Germania potesse contare sul sostegno del Messico (animato dal proprio spirito di revanche contro gli Stati Uniti) al proprio fianco. Gli inglesi intercettano il dispaccio e lo portano a conoscenza degli americani: a due anni di distanza dall’affondamento del Lusitania, questa è la goccia che fa traboccare il vaso. Da non trascurare sono anche i condizionamenti derivanti dagli appuntamenti elettorali: nel 1916 Wilson era stato rieletto e questo lo aveva rafforzato nella conduzione della sua politica estera. Wilson si era inoltre introdotto nei tentativi del re Carlo d’Austria di trovare una pace separata durante la guerra con l’Intesa, chiedendo ai belligeranti di definire i propri obiettivi e di trattare per un’intesa futura, cosa che la Germania rifiuta categoricamente, mentre l’intesa si dimostra più pronta alle trattative. Anche le potenze dell’Intesa hanno alcuni obiettivi, manifestati attraverso accordi durante la guerra. Ad esempio, gli accordi Sykes-Picot determinano, prima della conclusione del conflitto, la spartizione dei territori ottomani nella zona dell’ex-mezzaluna fertile, ovvero Iraq, Palestina (GB), Libano e Siria (FR), con territori a governabilità non semplice dopo la caduta dell’Impero Ottomano. L'accordo Sykes-Picot del 16 maggio 1916 fu stipulato fra i governi del Regno Unito e della Francia per definire segretamente, dopo la fine della prima guerra mondiale, le loro rispettive sfere d'influenza e di controllo sul Medio Oriente, in particolar modo sui territori fra la Siria e l'Iraq. Al Regno Unito fu assegnato il controllo delle zone comprendenti approssimativamente la Giordania, l'Iraq ed una piccola area intorno adHaifa. Alla Francia fu assegnato il controllo della zona sud-est della Turchia, la parte settentrionale dell'Iraq, la Siria ed il Libano. La zona che successivamente venne riconosciuta come Palestina doveva essere destinata ad un'amministrazione internazionale coinvolgente l'Impero russo e altre potenze. Sull’Asia minore si prevedevano una zona di influenza francese e una inglese, che corrono ad accaparrarsi la migliore collocazione marittima e commerciale. A questa corsa partecipa anche l’Italia, che rivendica i propri interessi sulla zona costiera dell’Anatolia fino a Smirne. L’impero ottomano sarebbe stato spartito quindi anche laddove l’identità era un’identità turca: si sta parlando del cuore dell’identità ottomana e bisognava capire in che misura mantenere la sovranità ottomana. Sarebbe stato un diritto ineguale alla fine a dettare le regole, sotto forma di sovranità economica e commerciale. Tuttavia, nei riguardi della spartizione dell’Asia minore, l’Italia, che era in guerra dal 1915, non viene consultata: gli italiani vengono tenuti all’oscuro di un rapporto preferenziale tra Gran Bretagna e Francia, che passa per un loro accordo coloniale. Si rimprovera all’Italia di aver condotto il conflitto in maniera troppo settoriale e di non aver speso grossi contingenti di uomini in zone che non fossero di pieno interesso italiano (vd. fronte alpino); l’Italia ribatte che essa ha però impegnato forze ingenti degli imperi centrali sui propri fronti di combattimento. Purtroppo la sconfitta di Caporetto non ha giovato al prestigio politico dell’Italia e si riflette negativamente sulle aspettative e sulle richieste italiane il principio dell’etnicità cozza con le rivendicazioni imperialiste firmate a Londra, dove il patto di Londra non era stato firmato né avallato dagli USA, che sono quindi portati a disconoscerlo. La Grecia, che entra nel conflitto in modo tardivo e approssimativo, condottavi principalmente dalla Gran Bretagna, la quale diventa protettrice della Grecia, per vedere soddisfatti tutti i suoi appetiti sull’Asia minore e sul Mediterraneo, assicurandosi una posizione di privilegio nel Mediterraneo e sul fronte mediorientale. L’Italia quindi, in sede di trattativa, si troverà a scontrarsi con le rivendicazioni avanzate dalla Grecia, appunto protetta dagli inglesi. La Turchia, d’altra parte, vive la rivoluzione kemalista, riorganizza l’esercito e smentisce i progetti che le potenze estere si stavano facendo sulla spartizione turca. Smirne, rivendicata dagli italiani, viene infine concessa ai greci, soprattutto perché premevano gli inglesi; inoltre, Smirne era una città ad etnia mista e con una gran componente greca. Con la rivolta kemalista, Smirne subisce immediatamente le conseguenze dell’assegnazione alla Grecia e si verifica un’epopea drammatica di profughi, che si spargeranno dalle isole del Dodecaneso all’estero la Gran Bretagna ha grandi responsabilità nel futuro conflitto tra Grecia e Turchia, dove oltre alle rivendicazioni delle potenze europee, si scontrano il sentimento pan-turco e le istanze greche. Ben presto, si capisce come il concetto di rispetto delle etnie dei 14 punti di Wilson fosse difficilissimo da rispettare: occorreva tutelare ogni minoranza e ogni istanza di autodeterminazione, ma questo comportava una politica e delle normative ben avanzate in materia di diritti alle minoranze. Era impossibile tracciare dei confini geografici per stati in cui erano ovviamente presenti grandi enclave religiosi e culturali, anche perchè la prima guerra mondiale è il momento dei discorsi ipernazionalisti, che porteranno le potenze vincitrici a sfogarsi sulle istanze esterne a fronte di una situazione interna che era tremenda. L’economia era a terra, demograficamente si era verificato un crollo di nascite e matrimoni e in Italia, paese nuovo sul panorama dell’industrializzazione, la situazione era particolarmente delicata: la politica estera in questo caso è funzionale agli equilibri interni, perché bisognava salvare la faccia e la trattativa di Parigi si dimostra da subito estremamente complessa. Da un lato si rivendica ciò che era previsto dal patto di Londra, ma dall’altro si aggiunge la questione fiumana, con Fiume che nel 1918 rivendica la propria annessione all’Italia quale criterio sostiene l’Italia? Come e con quale forza devono essere rivendicati Fiume e il patto di Londra? Fiume si è autoproclamata italiana, ma era ben presente una componente slava che abitava l’immediata periferia delle città (gli italiani invece abitavano nel centro delle città e quindi si prospetta anche l’idea di annettere solo la parte cittadina, tagliando fuori il contado. Ovviamente era irrealizzabile). Era difficilissimo individuare le “linee etnicamente riconoscibili” di cui parlava Wilson! Inoltre, per l’Italia, era cambiato lo scenario in Asia minore, nonostante con accordi di San Giovanni di Moriana (Gli accordi di San Giovanni di Moriana furono un patto d'intesa tra Francia, Italia e Regno Unito, firmato a San Giovanni di Moriana il 26 aprile 1917 e ratificato tra il 18 agosto e il 26 settembre 1917. Il testo redatto dal Ministero degli Esteri italiano era volto al raggiungimento di un accordo tra le tre nazioni al fine di trovare l'equilibrio dei loro interessi in Medio Oriente. Fu principalmente negoziato e successivamente firmato dal ministro degli esteri italiano, il barone Sidney Sonnino, insieme con i ministri italiani, inglesi e francesi. La Russia non era rappresentata nell'accordo poiché il regime zarista era in uno stato di collasso. L'accordo era necessario agli alleati per assicurarsi la presa di posizione delle forze italiane in Medio Oriente. L'obiettivo era di equilibrare le forze militari coinvolte nel "teatro del Medio Oriente della prima guerra mondiale", dove le forze russe (zariste) erano impegnate nella campagna del Caucaso che avrebbe portato alla nascita della Repubblica Democratica di Armenia.), firmati nel 17 con la Gran Bretagna e la Francia sulla spartizione dell’Asia minore, stabiliscono che la loro entrata in vigore sarebbe stata approvata con il pieno appoggio russo. I russi, appena usciti dal conflitto, pubblicano tutti gli accordi e quando si arriva alla conferenza post conflitto, la loro validità era ormai terminata, proprio perché tutti li conoscevano. La Grecia, nel frattempo entrata nel conflitto, rivendica il sud dell’Albania (Epiro) e Smirne alleato già ben scomodo. L’Italia inoltre si scontra contro gli “slavi del sud”, che nel 1915 erano ritenuti ancora un’entità spuria e tale si pensava sarebbero rimasti; tuttavia nel 1918, viene proclamato il Regno dei serbi, dei croati e degli sloveni: l’Italia vede questa nuova realtà come una minaccia oggettiva e Wilson, che sostiene attivamente questo regno, non capisce tutta la preoccupazione italiana derivante dal esso ridimensionamento totale dell’influenza italiana nei Balcani e nell’Adriatico. L’Italia non riconosce il regno dei serbi, croati e sloveni ed anzi, inizia a foraggiare tutti gli elementi disgregatori nazionali del regno perché portassero avanti le proprie istanze nazionali (vd. Croati vs serbi) Italia si aggrappa ai croati nell’idea momentanea che possano far implodere il regno. Al tavolo delle trattative, la Gran Bretagna e la Francia non sostengono le istanze italiane, ma si rivolgono a favore di Wilson, il quale comunque deve venire a patti per far passare il suo più importante punto della politica: la Società delle Nazioni. La grande creatura politica di Wilson, il suo desiderio principale, lo porta a fare alcune concessioni territoriali proprio per ottenere la sua nascita ecco che la SdN indebolisce alcuni ideali americani di rispetto delle etnie, aprendo alla Francia la possibilità di contrattare sulla questione che essa riteneva più importante, ovvero la sicurezza in Europa, dando quindi spazio alle rivendicazione revanchiste francesi contro la Germania. Riguardo alla questione coloniale, le colonie diventano stati amministrati formalmente da dei mandati: gli USA non avevano colonie e quindi, pur non cambiando nulla nella sostanza per i paesi colonizzatori, la Francia e la Gran Bretagna continuano ad esercitare il proprio dominio sulle loro colonie, ricevendo, a seguito di una spartizione, anche i domini tedeschi. La Germania, infatti, era ritenuta indegna di amministrare le proprie colonie, ma dalla spartizione rimane fuori l’Italia! mito vittoria mutilata. L’Italia a Parigi ha una politica miope, focalizzata sul problema delle proprie rivendicazioni, tanto più che nel maggio 1919, in piena trattativa, Wilson si rivolge all’opinione pubblica italiana, spiegando con un certo paternalismo le ragioni per cui si ritiene di dover affossare le rivendicazioni dei politici italiani: Sonnino, presente a Parigi, si indispettisce e rientra in Italia sdegnatamente, aspettandosi un bagno di folla. Al contrario, l’audience italiana accoglie meglio il discorso di Wilson e a Parigi i lavori continuano senza la delegazione italiana doppia beffa per Sonnino, sia in termini di prestigio personale (era personalmente garante degli accordi da lui firmati a Londra) sia in termini di politica negoziale. Si concludono anche le ultime fasi del trattato di spartizione dell’Asia minore e di pace con la Germania e anche in quell’occasione, l’Italia sembra mantenere quello stesso atteggiamento del 1915, quando per un anno non aveva dichiarato guerra alla Germania Germania non è un interesse per Italia. A Parigi nel 1919 manca uno sguardo complessivo sul nuovo scenario di politica estera che l’Italia voleva disegnarsi. In patria si alimenta un clima incandescente e le azioni di D’Annunzio, che va ad occupare Fiume, destabilizzano chiaramente la situazione, ponendo la questione del comando dell’esercito. A chi obbedisce l’esercito italiano? Nonostante si cerchi di lavorare sul piano negoziale, D’Annunzio continua a portare avanti il proprio progetto sul Carnaro e su Fiume, alimentando la tensione che si respirava già in patria, dove l’estrema conflittualità verso la classe dirigente e politica aveva provocato i primi scioperi. Ciò che emerge ben presto è l’impossibilità di trovare un compromesso tra la situazione interna e le rivendicazioni di politica estera. Iniziano i primi scioperi, le truppe italiane all’estero e nelle zone di confine non sanno a chi obbedire (erano presenti truppe in Bulgaria, Albania, Carinzia e a Fiume, in Russia e si vaneggiava di una spedizione ipotetica nel Caucaso), dove gli inglesi attraggono gli italiani e le loro mire espansionistiche il 1919 è il momento di massima discrepanza tra mezzi e fini, dove alle altissime rivendicazioni italiane trovano riscontro le scarsissime possibilità di ottenerle. Gli scioperi interni si affrontavano con l’esercito e, quando ad Ancona l’esercito si ammutinerà invece di partire per l’Albania, la situazione sarà davvero complessa. Il problema effettivo che si pone per il negoziato di pace è la Germania e la gestione della sconfitta degli imperi centrali. La pace è sicuramente una pace dei vinti e dei vincitori e classicamente, la pace imposta è un Diktat, una serie di imposizioni successive all’armistizio che la Germania non può fare altro che accettare. Tutti i negoziati di Parigi non contemplano la presenza degli sconfitti al tavolo dei negoziati: alla Germania vengono presentate le risultanze del negoziato con l’obbligo di accettarle. Ciò che condiziona profondamente la politica verso la Germania è l’esigenza francese di garantirsi un’assoluta sicurezza nei confronti della Germania, realizzando l’annichilimento tedesco. La Germania implode prima di tutto politicamente, ma la sua forza industriale ed economica era praticamente integra. Nel 1918 essa era quindi ancora un pericolo ed era in grado di rimettere in sesto le proprie energie. La Francia voleva evitare un altro attacco tedesco e ciò porta ad una serie di clausole estremamente vessatorie: in primis territoriali, con l’immediata annessione dell’Alsazia-Lorena alla Francia, con la creazione di un insieme di stati successori della Duplice Monarchia che vanno a pesare sui territori della Germania e ad isolarla. Ad esempio, la Polonia viene creata con dei territori dell’impero austro-ungarico, ma inglobando anche territori tedeschi la suddivisione del territorio tedesco porta all’estromissione della Prussia orientale attraverso il famigerato corridoio di Danzica, futuro porto polacco. Il corridoio polacco passava all’interno del territorio tedesco ed isolava la Germania orientale. Queste clausole vessatorie furono così drammatiche perché ispirate al concetto inaccettabile per i tedeschi della loro responsabilità per aver scatenato il primo conflitto mondiale nessun dirigente tedesco lo vorrà riconoscere e anche l’entità delle riparazioni verrà rapportata a questo principio di responsabilità: 1. Costi di occupazione del paese; 2. Germania deve pagare i danni gravissimi susseguiti al conflitto; 3. Germania deve pagare le pensioni dei militari alleati. Ciò accresce il conto esorbitante che la Germania dovrà pagare agli alleati, seppur non venga da subito individuato come la Germania avrebbe potuto pagare il conto. La Germania doveva essere 1. Isolata territorialmente, 2. Indebolita economicamente, 3. annichilita nell’esercito le clausole militari sono estremamente rigide e prevedono il divieto di coscrizione obbligatoria (divieto di chiamata alle armi e quantità irrisoria di soldati + totale demolizione dello stato maggiore, delle accademie, delle scuole di guerra) + misure territoriali a scopo difensivo di tutela del confine francese, come la smilitarizzazione della linea difensiva a sinistra del Reno. Inoltre, veniva ribadito il divieto di Anschluss dell’Austria, cosa che sarebbe verosimilmente accaduta. L’Austria infatti viene fortemente ridimensionata nei propri confini dalla pace di Parigi e viene connotata in senso tedesco: era dunque lecito immaginare un’annessione austriaca come Land meridionale alla repubblica di Weimar. (Art. 80 del trattato di pace e art. 88 del trattato di Saint-Germain con l’Austria). Il trattato di Saint-Germain utilizzerà l’obbligatorietà dei pagamenti e delle riparazioni come principale strumento di vessazione contro l’Austria. CIAO BOOOOOZZZ <3 <3 TANTI BACINI DA ZHONG GUO!! 28.03.2014 La Germania è stata punita e messa in condizioni di non nuocere sotto l’aspetto territoriale: - perdita di Danzica e la creazione del corridoio polacco (Kӧnigsberg viene estromessa dal Reich); - per la zona dell’alta Slesia si prevede in futuro un plebiscito, che sarà convocato per definire l’annessione della regione alla Danimarca, cosa che verrà decretata, nonostante risultato del plebiscito fosse favorevole alla Germania. Anche la regione dello Schleswig passa alla Danimarca; - concessione ai danesi delle parti più produttive della Slesia; - il confine occidentale della Germania viene demilitarizzato (Renania), come previsto dalle clausole di ordine militare e l’Alsazia-Lorena viene posta sotto sovranità francese, mentre la Saar verrà amministrata congiuntamente dalla Francia e dalla Società delle Nazioni, fino ad un plebiscito previsto per il 1935; - perdita del 100% delle colonie e dell’80% della flotta navale. Sotto il profilo tecnologico non è prevista la possibilità per la Germania di proseguire con lo sviluppo e la ricerca nel settore militare e in particolare dell’aviazione, l’arma futura di qualsiasi conflitto. In qualche modo passa a Versailles il concetto di un’esigenza di sicurezza francese, che è ulteriormente rafforzato dal crollo di un postulato fondamentale del dopoguerra, ovvero la presenza USA ben presto, il presidente Wilson, dopo aver fatto passare in Europa la Società delle Nazioni, non riuscirà a consolidare in patria una maggioranza in senato tale da permettergli di far accedere gli USA ad un trattato internazionale. Wilson fallisce in casa e già dentro al senato inizia a crearsi un nucleo abbastanza forte di posizioni scettiche riguardo alla sua politica (si parla dell’isolazionismo violento di alcuni senatori). Questa bocciatura significa che gli USA non entrano nella Società delle Nazioni e quegli accordi di garanzia che la Francia aveva ritenuto di poter ottenere dagli USA vengono meno, destabilizzando parzialmente le credenze francesi nel dopoguerra. Le posizioni francesi non però trovano ostacoli nella politica britannica: la Gran Bretagna, con la voce di Keynes che critica i provvedimenti economici presi contro la Germania, decide di avallare comunque la scelta francese di condurre questo tipo di politica, perché avviene l’incontro comune degli interessi anglo-francesi, ricalcati sull’accordo precedente e anteguerra, che esce addirittura rafforzato dalla conferenza di pace. In sede di conferenza, la Germania viene accusata di essere la sola colpevole e l’unica responsabile dello scoppio della guerra e i dirigenti tedeschi si attestano dell’impossibilità di accettare la sostanza di questo trattato di pace è ingiusto attribuire solo alla Germania la responsabilità della guerra. Per la Germania inoltre, si pone da subito la questione dell’impossibilità di far fronte ai pagamenti (riparazioni, consegne di materie prime e prelievi di oro), che il trattato le imponeva. Successivamente, le somme, seppur di grande entità, verranno costantemente ridiscusse, ma si tratta comunque di somme notevoli. È evidente quanto la Francia cerchi di colpire il cuore produttivo della Germania, agendo sulla zona della Saar che è molto ricca di materie prime e industrializzata; lì, la politica francese sarà volta a sostenere la grande impresa tedesca già esistente e i movimenti di protesta contro i tedeschi a fronte della grande crisi del dopoguerra. Il trattato di Versailles non è però negoziabile per la Germania e i delegati tedeschi lo devono solo firmare; tuttavia si possono discutere le modalità di imposizione del trattato: inizialmente, le relazioni tra Francia e Germania vengono poste sul piano economico, con la Francia che esercita pressioni per ottenere pagamenti puntualmente, mentre la Germania vuole rinegoziare l’entità del debito e le scadenze dei pagamenti. In realtà, il revisionismo tedesco non può che essere presente a tutti i livelli della politica di Weimar, forse con eccezione del partito comunista: il nemico è nemico di classe, non nazionale. Il centro, le forze moderate e liberali sono revisionisti rispetto alle riparazioni e ai territori orientali la vera ferita del trattato sono i territori orientali e il corridoio di Danzica. Le modalità con cui la risposta francese si articola sono estremamente rigide; difatti, non si ipotizza una possibile negoziazione delle riparazioni, ma si passa alla politica del pegno produttivo: i francesi esercitano sulla Germania una pressione decisa sull’entità e sulla puntualità del pagamento, occupando il territorio tedesco in caso di inadempimento tedesco (idea di prelievo di riparazione). La Società delle Nazioni, che nasce dagli accordi di pace, ha però due grandi difetti. Innanzitutto, non vede la partecipazione degli Stati Uniti che l’hanno creata e secondariamente, da essa sono esclusi gli stati vinti, principalmente l’Unione sovietica, da isolare dal consesso dei paesi capitalisti, e la Germania. Non c’è al suo interno una rappresentazione globale, oltre al fatto che essa non ha uno strumento effettivamente valido per dirimere le controversie: non era un reale strumento di deterrenza. Tutto questo è affidato alla volontà dei membri della Società delle Nazioni di accordarsi su questioni comuni, ma l’eterogeneità degli interessi e dei fini nazionali non consentiva un’azione coesa limite della Società delle Nazioni, che viene ritenuta un paravento delle azioni di politica estera dei paesi partecipanti. L’isolamento principale esercitato dalla Società delle Nazioni è verso la Germania e l’URSS. Nell’estate 1920 si aprono le conflittualità tra Turchia e Grecia, rimettendo in discussione l’ordine stabilito dal Tratto di Sèvres. Il trattato di Sèvres è stato il trattato di pace firmato tra le potenze alleate della Prima guerra mondiale e l'Impero ottomano il 10 agosto 1920 presso la città francese di Sèvres. Con esso, l'Impero ottomano, già drasticamente ridimensionato col trattato di Londra del 1913, si ritrovò ridotto ad un modesto Stato entro i limiti della penisola anatolica, privato di tutti i territori arabi e della sovranità sugli stretti del Bosforo e dei Dardanelli. Con esso la Grecia, realizzando la "Megali Idea", guadagnava le città di Adrianopoli e Smirne, da cui i Greci sarebbero stati allontanati nel 1922, nella fase finale della Guerra Greco-Turca e la Catastrofe dell'Asia Minore, dalle truppe di Mustafa Kemal. Il Trattato, inoltre, prevedeva ampie tutele per le minoranze presenti in Turchia e, ai suoi articoli 62-64, garantiva ai Curdi la possibilità di ottenere l'indipendenza all'interno di uno Stato, i cui confini sarebbero stati definiti da una commissione della Società delle Nazioni designata ad hoc. Il trattato non venne ratificato dal Parlamento ottomano poiché questo era stato precedentemente abolito il 18 marzo 1920, e quindi non entrò mai in vigore. Esso ricevette il sostegno del Sultano Mehmed VI ma fu invece fortemente osteggiato da Mustafa Kemal Pasha, il quale vinse la Guerra d'indipendenza turca e costrinse le ex potenze alleate a tornare al tavolo negoziale. Le parti firmarono e ratificarono un nuovo accordo col trattato di Losanna nel 1923. A seguito del trattato di Sèvres, Kemal rinuncia ad una prospettiva di islamizzazione dei territori e in Turchia scoppia la guerra di indipendenza, che vedrà prevalere Kemal scoppia conflitto Grecia-Turchia, con la seconda che riesce parzialmente a neutralizzare le condizioni del trattato di Sèvres. La firma del trattato di Losanna del 1923 evidenzia la vera azione kemalista ed infine la Turchia riesce a ripristinare la propria sovranità sui territori propriamente turchi. La mezzaluna fertile rimane spartita dagli accordi Sykes-Picot e Cipro resta saldamente sotto il controllo britannico; la Turchia si riprende la Tracia e Smirne. Nel frattempo, la Turchia si era accordata con i bolscevichi con il trattato di Kars, un trattato di amicizia tra la Turchia e le Repubbliche Socialiste Sovietiche di Armenia, Azerbaigian, e Georgia con la partecipazione della Repubblica sovietica russa. Venne firmato a Kars il 23 ottobre del 1921 ed è stato ratificato a Erevan l'11 settembre del 1922. Con questo trattato vengono trasferiti alla Turchia i territori acquisiti dall'impero russo nel Caucaso meridionale con il Congresso di Berlino del 1878, tranne il Governatorato del Caucaso sud-occidentale, ossia Batumi e il suo circondario, che vengono assegnate alla RSS Georgiana. Il trattato segnò la pace ad est e consentì ai turchi di concentrare le loro forze ad ovest nella guerra d'indipendenza turca e guerra greco-turca e rappresentò una delle prime azioni di politica estera dello stato bolscevico, che in quegli anni affronta la guerra contro i polacchi); al di là della conclusione della guerra russo-polacca, da quel momento la dirigenza bolscevica ha la percezione di essere sotto una minaccia costante paura che si riesca a concretizzare in Europa la possibilità di armare un esercito multinazionale su base volontaria nel tentativo di sconfiggere il bolscevismo. Esso poneva come problemi l’internazionalizzazione del bolscevismo e poneva per la Russia al contrario l’ipotesi di subire un attacco: l’URSS è isolata e vive l’isolamento come un grave pericolo. Si tratta anche di cercare di ripristinare dei rapporti commerciali che sono stati cancellati dai rivoluzionari: la Russia sovietica si rifiutava e si rifiuterà di risarcire i debiti contratti prima e durante la prima guerra mondiale, indispettendo i francesi, principali creditori russi. Lo stesso appoggio che arrivava dagli Usa viene cancellato. La Germania è altrettanto isolata, senza possibilità di dialogare con la Francia. In occasione di una conferenza internazionale convocata a Genova, cui vengono invitate anche Germania e URSS per accordarsi su relazioni commerciali e riparazioni, la Francia e la Gran Bretagna ritengono di poter imporre alla Russia e alla Germania delle condizioni precise, in quanto esse sono prive del potere di negoziazione. A Genova, la conferenza fallisce, ma al contempo chi trova l’accordo sono i russi e i tedeschi: nel 1922 si firma accordo di cooperazione politica, economica e militare, che rimane in vigore fino agli accordi Molotov-Ribbentrop. La coesione deriva dalla convenienza della necessità di uscire da un isolamento diplomatico e di stringere delle relazioni economiche. L’accordo di Rapallo del 1922 è molto importante, perché prevede il riconoscimento reciproco e l’annullamento reciproco dei debiti tra URSS e Germania e di fatto l’accordo con la Russia pone e formalizza la sostanza di una serie di contatti che erano iniziati tra russi e tedeschi già nel 1921, convergenti sulla necessità di entrambe di aggirare segretamente le clausole militari del trattato di pace per la Germania e per la Russia di riuscire a consolidare l’Armata Rossa come uno strumento efficiente. L’accordo militare è assolutamente segreto (elaborato dal generale von Seeckt), che viene riconfermato a livello politico nel 1922, favoriva la possibilità per la Germania di trovare degli spazi dove l’esercito si potesse sviluppare ed esercitare, individuati sul territorio sovietico; al contempo l’URSS beneficiava del know-how tecnologico dei tedeschi che ai sovietici mancava: scambio spazi-know how. Questo tipo di accordo è in realtà contro-natura: un generale prussiano che si allea con i bolscevichi è improbabile! Il comunismo era un elemento di preoccupazione, ma in Russia stessa viene meno il dato ideologico, proprio per la necessità di uscire dall’isolamento diplomatico. Ovviamente esso esiste, tant’è che si è convinti che il fronte capitalista si sfalderà presto sotto l’ondata deli rivoluzionari, ma per ora vengono accantonate le istanze politiche e ideologiche. Le potenze europee vincitrici sono preoccupate per il consolidamento dei rapporti Germania-Russia: nel 1923, in assenza dei pagamenti tedeschi, la Francia e il Belgio occupano il bacino della Ruhr. La Francia esercita una pressione che costringerà la Germania a pagare (essa aveva tardato a pagare le riparazioni, anche nella consegna delle materie prime) occupazione del territorio della Ruhr, bacino carbonifero matrice dell’industria pesante tedesca, a cui la Germania risponde con la resistenza passiva. I lavoratori e i minatori della Ruhr dichiarano lo sciopero e ciò costringe francesi e belgi a inviare lavoratori propri al posto dei locali. La scelta dello sciopero è una scelta politica del governo, con cui la Germania si oppone alla politica francese da dove arrivavano però i soldi per pagare i lavoratori scioperanti tedeschi? Non c’era più la produzione della Ruhr, non c’erano più le entrate provenienti dalla Ruhr + iperinflazione colpisce la Germania. Il risultato per la Francia è che la situazione è destinata ad arrivare ad uno stallo: la Francia non trae benefici economici dall’occupazione, anche perché la produzione della Ruhr in quell’anno si dimezza. Manca il dialogo tra Francia e Germania, con la Gran Bretagna che non condivide la politica francese, ma non la condannerà né riterrà necessario farlo. Dopo un anno di occupazione, il governo tedesco deve cambiare politica e capisce che occorre riaprire il dialogo con la Francia: se ne fa carico Gustav Stresemann, un uomo politico del centro, prima cancelliere poi ministro degli esteri, che ha nel programma del suo governo la cancellazione della questione della Ruhr. Stresemann è estremamente importante perché rappresenta quel revisionismo moderato attraverso cui la Germania sperava di recuperare il proprio ruolo in Europa, riaprendo un negoziato a tutto tondo sulle riparazioni e sulle questioni territoriali, pur sapendo che la revisione delle frontiere orientali rimaneva un punto caldo e pur capendo che la Francia doveva ricevere garanzie e sicurezza nella propria politica estera. Stresemann decide di porre fine, a duro costo, alla resistenza passiva (nonostante i borbottii dell’opinione pubblica, che sponsorizzava gli elementi meno moderati della politica tedesca si apre la stagione dell’estremismo politico, sia di destra che di sinistra). Anche per i francesi è giunto il momento di cambiare qualcosa e in Francia è ministro degli esteri Briand, figura moderata e ragionevole. In quel momento la Germania non è in condizioni di fare la voce grossa e non può chiedere una revisione del trattato di Versailles: si può riaprire il dialogo intanto sulla resistenza passiva. Anche la Gran Bretagna sostiene attivamente la riapertura del dialogo franco-tedesco e riemergono le critiche keynesiane rivolte al trattamento durissimo a cui è stata sottoposta la Germania dopo la guerra. La pesantezza delle riparazioni e la volontà di distruggere la Germania sottolineano l’incoerenza delle condizioni poste dal trattato. È importante aprire una parentesi sulla politica USA dopo l’uscita di scena di Wilson. Nella fase post wilsoniana, gli Usa si ritirano nel loro isolazionismo di politica estera, disinteressandosi totalmente della politica europea. In realtà non è così, perché rimangono con l’Europa vincoli economici molto forti, sotto forma di crediti che gli USA vantavano verso i paesi europei dal 1914 una questione economica, il credito, diventava così una questione politica nell’interesse nazionale americano, che giustificava qualsiasi azione di politica estera fuori dai propri confini. Allo stesso tempo c’è ormai la grande espansione industriale e produttiva degli USA, che quindi cercano un mercato su cui esportare, motivo per cui una crisi in Europa non avrebbe giovato alle esigenze economiche statunitensi. La grande discussione politica sulla Germania di quegli anni coinvolge anche gli Stati Uniti, che si rendono conto di come non possano prescindere dai legami economici con l’Europa e la Germania, verso la quale il tipo di politica condotta fino a quel tempo non aveva portato ad alcuna soluzione la Germania non poteva far fronte ai pagamenti e quando si riapre con forza il problema delle riparazioni tedesche, gli USA si mostrano attivissimi sulla scena europea, economica e politica. Tutto il nuovo dialogo che si abbozza tra Francia e Germania passa attraverso una rinegoziazione delle riparazioni e un punto di accordo su come evitare questo problema. La scusa utilizzata dai debitori degli Stati Uniti, in particolare la Francia, è che i debiti sarebbero potuti essere onorati solo quando la Germania avrebbe consegnato le proprie riparazioni bisogna far ripartire economicamente la Germania e nel 1924 viene presentato il Piano Dawes, un banchiere a cui è affidata la presidenza delle commissione che ridiscute le riparazioni tedesche. Dawes ritiene che serva una svolta radicale, rimettendo in sesto il motore produttivo dell’economia tedesca. Bisognava riorganizzare la banca centrale (Reichsbank di Schahct, che lavorerà in strettissima collaborazione con la Gran Bretagna e gli USA). Principalmente, la Germania ha bisogno di ripristinare le proprie infrastrutture, rimettendo in gioco ciò che la Germania già possedeva politica del grande volano economico e, tra l’altro, anche la Gran Bretagna è indebitata in misura pesante nei confronti degli Stati Uniti, ma a sua volta è creditrice nei confronti delle altre potenze dell’Intesa. Negli Stati Uniti, l’opinione pubblica è inoltre convinta che il credito americano non debba essere cancellato verso i paesi europei rafforzamento di una linea intransigente Il governatore della Bank of England vede la possibilità di investire nell’economia tedesca, accordando appunto questi prestiti alla Germania: anche la sterlina era uscita indebolita dalla prima guerra mondiale e l’impero stava già traballando. Quando avvengono i primi contatti tra banca centrale inglese e i grossi banchieri americani, la Gran Bretagna si rende conto che gli investitori americani sono in grado di mettere in campo una massa di fondi consistente, facendo defluire i dollari verso la Germania. Se riparte la Germania, essa avrebbe potuto rifondare i propri debiti e successivamente pagare i debitori, che a loro volta avrebbero risarcito gli Stati Uniti ingresso della grande finanza americana sul problema tedesco. Non si può quindi parlare di vero isolazionismo americano, in quanto l’economia è un fattore indissolubile nei rapporti USA-Europa. Il piano Dawes è la premessa degli accordi di Locarno dell’ottobre 1925: riparte dialogo franco-tedesco e Stresemann ribadisce la sua prima convinzione, ovvero che la Germania doveva uscire dall’isolamento diplomatico e porsi al pari dei propri interlocutori internazionali, entrando infine nel 1926 con Stresemann nella Società delle Nazioni: l’entrata sancisce il riconoscimento del percorso tedesco di parità con le altre potenze. Nel 1925 gli accordi di Locarno riguardano la necessità di garantire e rassicurare la Francia riguardo all’ assoluto rispetto della frontiera occidentale della Germania essa non rimetterà in discussione il confine con Francia e Belgio, rinunciando a ciò a cui le è più semplice rinunciare (Alsazia Lorena e alcuni cantoni), mentre rimane fissato il plebiscito della Saar e la demilitarizzazione della frontiera. Garanti dell’accordo sono la Gran Bretagna e l’Italia (Mussolini). Tuttavia c’è una CONTRADDIZIONE le frontiere orientali non vengono assolutamente garantite e ci si può accordare su un’eventuale espansione tedesca verso est e quindi verso una Polonia che si poteva “sacrificare”. La Polonia era stata concepita come ipertrofica e la Germania conclude con la Polonia e con la Cecoslovacchia degli accordi di arbitrato = Germania promette alla Polonia e alla Cecoslovacchia che, qualora fossero sorte vertenze a livello territoriale, esse sarebbero state sottoposte ad un tribunale arbitrale e non sarebbero state affrontate con guerra, conflitto o azioni militari. La Francia garantisce a propria volta il proprio sostegno alla Polonia e all Cecoslovacchia, in caso di aggressione tedesca. Locarno prevede quindi che le frontiere con l’Austria debbano essere rispettate, senza possibilità di Anschluss (art. 80 Trattato di Versailles e art. 88 Trattato di Saint-Germaine). Nonostante Mussolini fosse inizialmente recalcitrante, egli aveva cercato di porre la questione della frontiera del Brennero (voleva dalla Germania una garanzia su di essa), che Stresemann non aveva ritenuto opportuno di dare, perché tutte quelle frontiere erano per Stresemann da rivedere in futuro. Al principe ereditario, egli spiega che l’Anschluss austriaco non è escluso, ma evidenzia come in quella fase non sia nemmeno una priorità contraddizione numero 2! L’Anschluss preoccupa soprattutto l’Italia, che si sarebbe trovata ai confini la Germania e l’Austria gli obiettivi di Stresemann dovevano essere perseguiti solo dopo aver trovato un clima pacifico con la Francia, un’accettazione internazionale nella Società delle Nazioni e solo allora si sarebbe potuta riaprire la questione frontaliera questo era il contesto in cui Stresemann immaginava lo svolgersi della sua politica. In riferimento al rapporto privilegiato della Germania con la Russia, Locarno preoccupa l’URSS, che a questo punto ipotizza davvero che si chiuda il cordone sanitario attorno a lei: un nuovo ruolo continentale della Germania sarebbe stato un gran pericolo per la Russia sovietica, ma Stresemann va a riconfermare con la Russia gli accordi di Rapallo (cooperazione economica e militare), in una sorta di contro-assicurazione di stampo bismarckiano: non cambia la volontà tedesca di collaborazione con l’URSS. 31.03.2014 Il Trattato di Locarno (1925) si fonda attorno ad un probabile nuovo accordo tra la Germania e la Francia, fondato sul revisionismo tedesco, che punta a ricondurre la Germania su un piede di parità e uno status di potenza, in un crescendo di revisione del trattato di Versailles, rimettendo quindi mano alle clausole gravemente limitative della sovranità territoriale tedesca imposte dal trattato. Per la Germania era inoltre aperta la questione relativa al confine orientale e, al contempo, Stresemann opera in un orizzonte ideale bismarckiano, ovvero di equilibrio con l’URSS, la quale rischia di sentirsi isolata e messa da parte a fronte di una Germania nuovamente integrata nel contesto europeo. L’accordo di Rapallo del 1922 era stato l’incontro tra due pericolosi isolamenti e nel 1926, con il trattato di Berlino, Stresemann è pronto di nuovo ad un nuovo trattato di contro-assicurazione con l’URSS, a garanzia della continuità degli scambi commerciali, dell’accordo segreto sul piano militare e di un nuovo accordo di neutralità con cui ci si promette neutralità reciproca in caso di attacco da parte di un paese terzo. Il ruolo francese, con Briand, è più rivolto a rivedere in parte l’assetto generale europeo rispetto a quanto fatto con la politica del pegno produttivo: ora la politica francese è più ad ampio raggio. In URSS regna l’insicurezza: sta per cominciare la NEP, c’è un processo di grande accentramento in atto, sono gli anni in cui arriva al potere Stalin. Ciò significa che il paese è ancora ripiegato su se stesso e sulle proprie esigenze interne, con una politica estera giocata in chiave difensiva; inoltre, è appena finita la guerra contro la Polonia, una guerra vissuta dalla Russia come guerra di accerchiamento da parte della potenze capitaliste nei suoi confronti. Deve ancora passare qualche anno prima che l’URSS diventi un attore con ruolo centrale nelle relazioni internazionali. Infatti, ancora nel 1927 i rapporti con la Gran Bretagna erano nulli e ancora reggeva la situazione dell’indebitamento russo, che doveva essere rifondato agli alleati e che causava conflitti all’interno del fronte stesso degli alleati, tra USA e Gran Bretagna. Per quanto riguarda la politica estera italiana, emerge tra le due guerre, l’esigenza per la politica italiana di cambiamento: con la marcia su Roma e l’ascesa del fascismo, la politica estera deve muoversi su orizzonti diversi. In realtà, soprattutto nella prima fase, la politica estera fascista continua sostanzialmente la politica precedente. Mussolini lascia che il dicastero sia guidato da Contarini, quando poi nel 1926 Mussolini assumerà la carica e farà dimettere il primo. Tra i due c’erano state tensioni riguardo al rapporto da tenere con il regno di Jugoslavia. Dopo le trattative di Versailles, l’Italia si sente una potenza non perfettamente soddisfatta nelle sue ambizioni e ciò fu dovuto agli ideali wilsoniani, che palesemente sostenevano la Jugoslavia, oltre al fatto che l’Italia non riteneva di aver ricevuto equi compensi al tavolo negoziale aperto riguardo alla questione coloniale e alle spartizioni coloniali (Italia richiedeva ampie rivendicazioni). Il problema sostanziale riguarda il fatto che una serie di ex alleati (Jugoslavia, Grecia, posizioni britanniche sulla Grecia) avevano progressivamente eroso il pacchetto di Londra, che non aveva più una matrice irredentista, quanto imperialista l’Italia voleva il Mediterraneo orientale e lì voleva avere voce in capitolo. Ecco che la politica estera italiana continua a rivolgersi verso i seguenti fronti: Fiume e l’Asia minore, dove nel frattempo si era consolidata la Turchia e la rivoluzione di Kemal, l’Albania, Trento e Trieste. Nel 1919 cade il postulato dell’indipendenza albanese, perché l’Italia ritiene che l’Albania sia troppo minacciata a nord dalla Jugoslavia e al sud dalla Grecia l’Italia si sente minacciata strategicamente e viene meno la garanzia italiana dell’indipendenza albanese, la quale diventa una sorta di protettorato. Nel 1920 però i presidi italiani non sono più in grado di sostenere la rivolta nata nel territorio albanese e i presidi militari italiani si ritirano a Valona rapidamente in un mese. Valona viene tenuta quindi come avamposto, anche se alla fine gli italiani non riusciranno nemmeno a fare questo, decidendo con Giolitti per il ritiro e il mantenimento dell’isolotto di Saseno, anche se ciò è chiaramente una farsa. Albania viene meno! Essa è importantissima per il futuro ed effettivamente essa costituirà il motivo di scontro con la Jugoslavia negli anni a venire e, quando l’Italia penserà di arrivare ad una forma di accomodamento sulle questione territoriale su Fiume e sulla Dalmazia, riemergerà la questione albanese, coinvolgendo tutta la politica italiana. Nel 1920 Giolitti risolve il problema albanese e insieme tutti i conflitti dove l’Italia aveva truppe schierate nella fase armistiziale. Dove si sono schierate le truppe, poi si può consolidare la presenza italiana (idea di Sonnino). Ciò non avviene in Albania e nemmeno in Asia minore, dove trionfa la rivoluzione kemalista. La Turchia non è in discussione e nodo irrisolto è anche lo stesso Fiume: i trattati di Versailles non dirimono la controversia e nel 1920, le posizioni jugoslave con la bocciatura del sostegno americano e della Società delle Nazioni negli Stati Uniti, la Jugoslavia perde il suo massimo sostenitore e portatore delle proprie istanze. Inoltre, l’Italia nota la differenza di interessi e di caratteristiche tra serbi e croati i croati e gli sloveni guardano verso le rivendicazioni italiane, le quali riguardano territori abitati da croati e sloveni; al contrario, la Serbia guarda ad un discorso balcanico di consolidamento della propria presenza in Montenegro e in quelle zone come la via di Salonicco che puntavano all’Adriatico. divergenza in politica estera e interna, che si ripercuote anche sulla politica italiana. Nel 1920 termina con Giolitti anche la questione fiumana: egli sa accordarsi praticamente con chiunque e anche Mussolini capisce che non si può continuare a sostenere D’Annunzio, in quanto la sua impresa si stava rivelando controproducente. L’avventura dannunziana si conclude con il Natale di sangue e si arriva agli accordi italo-jugoslavi di Rapallo, rimandando le controversie ad una loro risoluzione bilaterale tra Italia (che stabilisce il proprio confine sul Monte Nevoso e ottiene l’indipendenza di Fiume) e il regno dei serbi, croati e sloveni, per comodità jugoslavi. Per Fiume si trova la soluzione della città libera legata all’Italia da un corridoio, mettendo fine ad una situazione che era seriamente fuori controllo. Con la conclusione dell’avventura fiumana, ciò che l’Italia porta a casa in termini territoriali sono i seguenti confini strategici: Monte Nevoso; Pieno controllo dell’Istria ; La città di Zara e le isole più esterne del Quarnero della Dalmazia, Cherso, Lussino, Pelagosa e Lagosta (non geograficamente appartenenti al Quarnero) posizioni strategiche per il controllo delle isole dalmate più esterne. Il criterio è strategico e prevede il controllo delle isole più esterne, per agire più facilmente nell’Adriatico. L’Italia deve abbandonare le velleità di Londra, di fronte all’ambizione del regno jugoslavo e si rinnova l’impossibilità italiana di portare avanti una conflittualità all’estero, perché i contingenti italiani si ammutinano all’estero. Con l’ascesa del fascismo, ci si aspetta un netto cambio della politica estera italiana. Pur assumendo Mussolini stesso il dicastero degli esteri, il controllo viene lasciato a Contarini e Mussolini sa che esistono determinate questioni che lo chiamano a garantire la continuità con la linea giolittiana, che era stata a sua volta in continuità con la linea di Sforza, il quale aveva trovato accordi politici con la Jugoslavia, abbandonando quella che era stata l’opzione iniziale dell’immediato dopoguerra: l’Italia decide di attuare una politica di non riconoscimento della Jugoslavia, anzi al contrario di fomentare l’instabilità balcanica finanziando i croati. Sforza abbandona questa politica e inizialmente la abbandona anche Mussolini: l’Italia ragiona sulla possibile opzione che in realtà forse convenga cercare un accordo con l’elemento serbo non c’è ragione di destabilizzare dall’interno l’assetto del regno, perché un accordo con la Serbia e con la sua politica estera è raggiungibile. La Serbia stava infatti guardando altrove (via di Salonicco) e non certo alle rivendicazioni italiane; i serbi volevano un fronte esterno compatto, perché il fronte interno riusciva ad essere già abbastanza instabile. Sostanzialmente durante il fascismo la diplomazia italiana non aveva reagito al fascismo, ma anzi si era adattata al cambio di regime e questo fu forse l’errore dei diplomatici. C’è una linea di continuità che porta nel 1924 ad un nuovo accordo, basato sul fatto che l’autonomia fiumana era un esperimento che non funzionava, perché la città era soffocata da un’autonomia che non poteva essere foriera di sviluppo. Non si troverà mai una vera collaborazione e Fiume non decollerà come città autonoma: la situazione è migliorabile e rimane spazio per le rivendicazioni italiane specificamente sul centro città. Per una parte di essa, di maggioranza italiana e non croata, avviene il passaggio sotto la sovranità italiana e la dirigenza serba è ben convinta di dover trovare un ampio accordo con l’Italia, cedendo parte di una parte di Fiume e questo accomodamento porterebbe con sé una serie di riconoscimenti reciproci difficili: la difficoltà estrema delle conseguenze della guerra riguardano il fatto che le ampie minoranze rimangono comprese all’interno di altri stati e l’ampia minoranza slovena e quella croata rimangono nel territorio italiano, come gli italiani rimangono sotto il territorio croato e sloveno. Inoltre, la politica di nazionalizzazione estrema che viene portata avanti anche nei modi più astrusi, senza realmente capirne la ratio e anche nel Dodecaneso si instaura un governo nazionalista può soltanto creare dei nuclei di resistenza. Questa politica di nazionalizzazione e di non riconoscimento dei diritti alle minoranze (lingue autoctone, modificazione dei cognomi) è estremamente praticata in tutta l’Europa del dopoguerra, con sfumature più o meno calcate in Europa post prima guerra mondiale. Lo stesso problema si presenta in Dalmazia riguardo alla salvaguardia dei diritti degli italiani in Dalmazia. Nel 1924, accanto al trattato di Roma, gli accordi raggiunti vorrebbero sistemare in modo omogeneo le relazioni internazionali tra il Regno di Italia e quello di Jugoslavia. Nel 1924 si cerca quindi una risoluzione sull’Albania: essa era gestita facendo fronte all’ipotesi che l’elemento austriaco potesse prevalere in territorio albanese no, pericolo da evitare e per questo, si trova un accordo con l’Austria a tutela dell’indipendenza albanese. Si cerca di gestire strumentalmente l’indipendenza albanese, la quale torna ad essere la soluzione politicamente più utile per l’Italia, evitandone la frammentazione tra Kosovo e Grecia. I trattati di Roma si fondano sul presupposto ben presto equivocato dagli jugoslavi di una loro non ingerenza nelle questioni albanesi, o per lo meno questa è la lettura italiana. La lettura jugoslava è un tacito accomodamento sulla questione fiumana, accordandosi finalmente sulle questioni ancora aperte nell’entroterra in cambio di un ruolo più decisamente attivo della Jugoslavia nel territorio albanese l’intesa viene interpretata come forma di desistenza italiana sull’Albania, ma nel 1924 la questione è aperta, perché in realtà il fronte albanese è ben aperto. L’Italia opererà quindi un netto cambiamento di politica estera. Inoltre, in Europa orientale si era formata la piccola intesa (1921), un accordo tra Cecoslovacchia, Romania e Jugoslavia, tenute insieme dall’elemento antiasburgico e antirevisionista, che non combaciano. Bene o male tutti e tre sapevano che dovevano prevenire il proprio territorio dal revisionismo degli stati confinanti e risultati sconfitti dopo la Prima Guerra Mondiale Ungheria ha perso 2/3 del proprio territorio in favore della Romania e difficilmente l’Ungheria potrà entrare nella piccola impresa. Un altro stato antirevisionista dovrebbe essere la Polonia, antirevisionista contro la Germania, ma in realtà essa ha in piedi una disputa contro la Cecoslovacchia, che sarà invasa da Hitler e le cui briciole andranno alla Polonia. Presto si pone la questione della zona di Teschen, zona di rivendicazioni aperte e si consolida uno schieramento di questo tipo in chiave antiasburgica perché l’ultimo velleitario tentativo di Carlo d’Asburgo di costruire una confederazione danubiana in realtà fallisce e anzi è osteggiato anche dall’Italia per Sforza, l’Italia deve essere paese leader contro il revisionismo ad oltranza ed egli cercherà un avvicinamento con la Francia. Su piccoli stati come la Grecia, l’Albania, i paesi usciti vinti dalla prima guerra mondiale si giocano le politiche strumentali delle grandi potenze, che cercano di perseguire i loro interessi. Le grosse rivendicazioni nazionali appena avanzate emergono chiaramente nel 1919 ed è chiaro che nella logica della Realpolitik, dell’Ungheria ad esempio rimane pochissimo. La politica delle grandi potenze tra le due guerre non è così lungimirante, in quanto assoggettano alla loro politica le conflittualità tra stati cuscinetto ma anche tra potenze. Risorge la rivalità tra Italia e Francia, ad esempio nel momento in cui bisognerà trovare un protettore internazionale alla piccola intesa. C’erano stati ipertrofici, anche rispetto alla capacità di mantenere i loro territori attuali, nonostante sia necessario dare delle garanzie di sicurezza agli stati appena nati. Inoltre, non era un caso che alcune questioni fossero state regolamentate (fronte occidentale tedesco) ed altre invece non stabilizzate gli stati più piccoli o neonati cercavano una protezione internazionale, che d’altra parte era una possibilità per le potenze europee di espandere le proprie zone di influenza. A questo punto si pone un bivio per la politica estera italiana, che si qualifica come revisionista o antirevisionista? Il mito della vittoria mutilata porta a pensare al revisionismo, alimentato dal nazionalismo e dalla propaganda fascista, ma in realtà i primi passi della politica estera italiana sono mossi in direzione contraria nel momento in cui si capisce che l’Italia può giocare un ruolo importante nell’Europa orientale, con accordi e può influenzare la protezione degli interessi di questi paesi. Nel momento in cui l’Italia trova accordo con la Jugoslavia, essendo la Jugoslavia così intimamente parte della piccola intesa, l’Italia capisce che potrebbe giocare un ruolo trascinante nei Balcani e nell’Europa centro-orientale, collocandosi su posizioni pericolosamente antirevisioniste. Gli interessi diretti dell’Italia sono in parte costruiti sull’anti-revisionismo, ad esempio contro l’Anschluss dell’Austria alla Germania l’Italia aveva già tentennato nel 1919, quando Mussolini si era fatto ripetere che non ci sarebbe stata l’annessione. Tuttavia, è da quegli stessi anni che l’Austria cerca di procedere ad un’annessione alla Germania, per uscire da una situazione politica ed economica disperata: ad essa vengono accordati prestiti finanziari in cambio della promessa che non avverrà l’annessione con il protocollo di Ginevra del 1922, l’Austria ribadisce che non cercherà di annettersi alla Germania, ma lo stesso Stresemann ritiene che questo dato sarà prima o poi realizzato, in quanto è un passaggio naturale. La politica di una potenza più corposa, come la Germania, e la ragione logica di ammissione di una politica austriaca volta ad annettere tutta la popolazione di lingua tedesca sono fattori che destabilizzano il confine del Brennero, dove viveva popolazione di lingua tedesca autodeterminazione del Brennero? La politica italiana era a riguardo rigidamente osservante del trattato di Parigi. La vittoria mutilata stava nelle questioni coloniali a metà anni 1920, l’Italia aveva delle rivendicazioni coloniali da avanzare contro la Francia, ad esempio in Etiopia. Essa è parte della Società delle Nazioni, ma comunque territorio aperto di pretese italiane e francesi e delle reciproche politiche coloniali. Il grosso malinteso con la Jugoslavia sul destino albanese fa sgretolare la politica pro-serba avanzata inizialmente da Mussolini: quando emergerà la volontà serba di rivendicare delle aspirazioni sull’Albania contro l’Italia, la Jugoslavia comincerà a foraggiare una delle due parti in campo e a questo punto esisterà all’interno della Consulta l’idea che si possa svoltare la politica estera italiana e che la svolta si giochi sulla questione albanese non vale più l’opzione del mantenimento dell’indipendenza albanese, ma anzi, l’Italia cerca di farsi sentire sempre più sul territorio albanese. Nel 1924 avviene il delitto Matteotti, punto di non ritorno per l’instaurazione del regime fascista. diversa visione sulla politica estera, che porta alla rottura nel 1926 tra Mussolini e Contarini, con il primo che ne prende il controllo e che svolta le relazioni con la Jugoslavia, firmando il Patto di Tirana del 1926, con cui l’Italia pone un punto fermo sulla sua politica albanese, verso la quale vuole esercitare un ruolo di prim’ordine, di fronte al contraltare della Jugoslavia che cerca la protezione francese ed entra nella sua sfera d’influenza, allargando la longa manus francese nei Balcani, non solo nelle zone coloniali, ma anche nell’Europa continentale contrapposizione con la Francia si sfoga quando l’Italia chiama a raccolta gli insoddisfatti verso le conseguenze della prima guerra mondiale. Ci si rivolge agli stati revisionisti, come l’Ungheria e autentico terreno di scontro tra Italia e Francia si gioca nei Balcani. Lo scontro continua fino agli accordi Mussolini-Laval del 1935, ma l’avvicinamento sarà molto breve. È evidente che questo nuovo andamento della politica estera italiana porterà necessariamente a riscoprire quello che era stato il protocollo Badoglio, facendo sì di indebolire il regno di Jugoslavia, incitando i movimenti indipendentisti per far saltare il regno di Jugoslavia. Quando la politica estera serba si scontrerà con quella italiana, ci sarà bisogno per la Jugoslavia di indirizzarsi verso la Francia, che assumerà pienamente la guida della piccola intesa, letta come schieramento sotto l’egida e la guida della Francia. La polarizzazione franco-italiana porterà la Francia ad essere antirevisionista, mentre l’Italia ad essere sempre più revisionista, pur non discutendo il confine sul Brennero. L’Italia si porta su posizioni che fanno pensare che la politica italiana trovi la propria collocazione di potenza più in Europa continentale che nelle colonie per un certo periodo, il posto al sole non sembra una priorità mentre al contrario lo sembra il consolidamento delle posizioni nell’Europa orientale. In questa fase vengono al pettine i nodi irrisolti dei trattati e ben presto Locarno si mostra inadeguata a mantenere la pace europea, innanzitutto perché il piano Dawes ha funzionato entro certi limiti, successivamente perché si è creato una specie di circolo vizioso tra prestito e riparazioni e i prestiti fatti alla Germania servivano per pagare le riparazioni: mancava una coerenza d’insieme e nel 1928-29 c’è la necessità di rivedere le riparazioni e il piano Dawes ridimensionamento della rateazione con il piano Young, che ribadisce il ruolo di primo piano dell’economia americana sul problema delle riparazioni tedesche. Tuttavia, la crisi è necessariamente un elemento di aggravarsi degli equilibri precari a livello politico, con l’Austria che inevitabilmente si sente spinta verso l’Anschluss e si destabilizza la crisi tra Austria e Germania con l’accordo di un’unificazione doganale, letta immediatamente da Francia, Inghilterra e Francia come tentativo di portare avanti un’annessione mascherata. Benchè le caratteristiche dell’accordo siano economiche, l’obiettivo è l’unificazione politica e territoriale. Nonostante il mal di pancia italiano, l’Italia si convince ad appoggiare la rigidità francese nella rinuncia all’accordo. L’Inghilterra, che ancora una volta dovrebbe fungere da mediatrice, investe la faccenda con un carattere di legittimità internazionale e sottopone la faccenda al giudizio della corte internazionale dell’Aia. In realtà, questa piccola crisi, a cui segue una discussione arbitrale all’Aia, non è sufficientemente rassicurante per i francesi e in qualche modo si passa alle vie di fatto, ovvero esercitare una pressione vera e sostanziale su uno dei due attori, Germania o Austria. Nel 1931 la grande banca centrale austriaca (ӧsterreichisches Kreditanstalt) rischia il fallimento e risulta che essa potrebbe dichiarare la bancarotta una crisi finanziaria evidenzia le crescenti e sensibili ripercussioni della crisi americana in Europa. La Francia ha una posizione ancora finanziariamente consistente e potrebbe salvare l’Austria a condizione che l’Austria rinunci unilateralmente all’accordo doganale con la Germania. È evidente che l’improvvisa difficoltà finanziaria del Kreditanstalt fosse stata aiutata dalla Francia, che poteva ancora far leva sull’elemento finanziario – per lo meno in quel periodo storico. La dirigenza austriaca decide di seppellire il progetto di unificazione doganale, illegittimo anche secondo la corte dell’Aia. 1. Capiamo l’importanza dell’aspetto della crisi economica nel fallimento della repubblica di Weimar. Il cancelliere Brüning cerca di far passare questo progetto anche in chiave di salvezza di ciò che può rimanere della repubblica di Weimar (In Germania si sta affermando l’estrema destra); 2. La Germania si trova umiliata una seconda volta nelle sue aspirazioni a livello politico, nonostante le aspirazioni di Stresemann avessero trovato una soddisfazione negli accordi di Locarno. Inoltre, la moratoria Hoover del 1931 su tutti i crediti darà il colpo di grazia alla crisi economica. Rimangono nodi irrisolti a cui si aggrapperà Hitler nel momento della sua salita al potere. 01.04.2014 In questa fase dei primissimi anni ’30 siamo entrati in un periodo di ridiscussione degli equilibri a livello europeo, perché ormai si sono ampiamente seminati in Europa gli effetti della crisi finanziaria ed economica, con ovvie ripercussioni sullo scenario politico. Si manifesta inoltre l’inadeguatezza della Società delle Nazioni, che a partire dai primi anni ‘30 conosce una serie di crisi di immagine che denotano il primo scossone vero e momento di disaccordo profondo. Emerge anche come essa non sia in grado di fronteggiare le situazioni di crisi, come avvenne nel caso della crisi manciuriana, con il tentativo del Giappone di annettersi la Manciuria. Il Giappone era una potenza in continua crescita dal 1870-80, che si era alleata con la Gran Bretagna, aveva sconfitto la Russia e aveva partecipato alla PGM a fianco dell’Intesa la militarizzazione del paese e la politica estera di grande espansione coinvolsero la Korea e si tradussero in una serie di possibili inserimenti in territori, che erano stati oggetto del contendere con la Russia. In Manciuria l’elemento della contesa era la ferrovia trans-manciuriana, di cui il Giappone deteneva gran parte delle azioni: era un’enclave extraterritoriale giapponese all’interno del territorio cinese. La Cina era estremamente debole politicamente, con il movimento nazionalista cinese che si stava sviluppando parallelamente al partito comunista di Mao, con sostegno a ritmi alterni dell’URSS. La Cina non ha pieno controllo sul proprio territorio e il Giappone può facilmente attaccare la Cina. Nominalmente alcune zone erano ancora sotto influenza europea, ma in misura minore. Dopo la prima guerra mondiale inoltre, la Cina, territorio asiatico che gli stati europei si erano spartiti rivendicandone delle zone di prelazione, fu riportata in un alveo di piena legittimità per tutelarla a fronte di un paese che poteva esercitare una potenza predominante su di essa. Non essendovi all’interno della Cina alcuna potenza dominante, essa poteva continuare ad essere oggetto di spartizione delle diverse politiche estere. Per queste ragioni, la Cina diventa la meta dell’espansionismo giapponese agli americani preme quindi di isolare nuovamente il Giappone, rompendo l’alleanza con la Gran Bretagna. La politica americana cercava di limitare il riarmo giapponese a livello navale, ma gli USA già nel 1922 commettono la svista di sottovalutare il pericolo giapponese nel pacifico e si accordano per non fortificare le basi USA nel pacifico. I negoziati navali sono quindi scarsamente lungimiranti. La politica americana passa attraverso lo strumento del disarmo, con il Giappone che deve accettare un disarmo navale: gli USA sono ben convinti a persuadere gli inglesi dall’abbandonare l’alleanza con i giapponesi, cosa che successivamente avverrà. C’era appena stata anche la débâcle russa e quindi l’unico elemento che poteva opporsi al territorio giapponese non ritrovava immediatamente la forza di opporsi al Giappone l’URSS è consapevole della propria debolezza e i sovietici si sforzano di condurre una politica di moderazione verso i giapponesi. In questa fase comunque la dirigenza giapponese è divisa tra militaristi e liberali e nel 1931, con il pretesto di un incidente occorso lungo una linea ferroviaria, i giapponesi intervengono militarmente in Manciuria, territorio sotto sovranità cinese. La Manciuria si appella alla Società delle Nazioni e i giapponesi ne accettano la competenza, la quale può significare tutto o niente. Tutto è rimesso all’atteggiamento delle grandi potenze, senza le quali la Società delle Nazioni non si può muovere autonomamente. C’è da considerare inoltre che i due principali paesi di peso direttamente coinvolti dall’espansionismo giapponese sono l’Unione Sovietica e gli USA, entrambi fuori dalla Società delle Nazioni nel 1931. La politica estera giapponese è quindi molto intelligente, anche perché la politica americana aveva chiarito bene che non si sarebbe intromessa nell’attività dell’organizzazione internazionale. Per un lungo periodo, gli USA pensano realmente di poter proseguire il loro isolazionismo. La politica estera degli USA è assolutamente isolazionista e anche all’interno si condivide questa visione di politica estera, fomentata dalla crisi economica, che ha allentato vincoli economici tra la politica estera americana e le riparazioni è infatti il new Deal ad essere percepito come necessità imminente, non tanto un cambio di politica estera (1932 Roosevelt alla presidenza e inoltre non bisogna dimenticare nel 1931 la moratoria Hoover dei pagamenti. I legami economici con l’Europa sono costituiti dai debiti interalleati (enormi crediti verso tutti i paesi dell’Intesa) e questo lega la politica USA alla questione delle riparazioni, con gli USA che percepiscono la minaccia proveniente dall’occupazione della Ruhr no fondamento economico di questa politica punitiva. I giapponesi sono sempre più disinvolti nella loro politica di espansione e ciò preoccupa gli USA: si arriva ad un processo di annessione della Manciuria, attraverso uno stato fantoccio del Manchukuo. In questo quadro, che delinea potenzialmente la totale immobilità statunitense di fronte all’espansionismo giapponese, il quale è percepito con timore, l’azione politica statunitense è bloccata da un lato dalla paura di un’azione giapponese (che sarebbe stata rapida ed efficace) e dall’altro dalla convinzione che nessuna condizione politica avrebbe potuto permettere agli Stati Uniti o a qualsiasi attore di fermare la politica giapponese. Sono gli stessi giapponesi a chiedere la convocazione di una commissione che si installasse sul territorio manciuriano, affidata ad un inglese, per controllare che i giapponesi non stessero portando avanti una politica di espansione in Manciuria; tuttavia, l’inchiesta della commissione evidenzia la realtà ben nota che i giapponesi stavano portando avanti un’annessione e che quindi si sarebbero dovuti ritirare, ma avevano ormai proceduto ad annettere quasi totalmente la regione, agendo così su due binari di politica estera. Da una parte, l’opinione pubblica internazionale non riconosce la politica giapponese di annessione della Manciuria, ma dall’altra l’isolazionismo paralizza l’azione politica estera statunitense anche laddove essa avrebbe dovuto avere un interesse dominante. (Nel 1923 avviene la crisi di Corfù: per risolvere l’annosa questione delle frontiere albanesi era stata indicata e incaricata una commissione di tracciare i confini dell’Albania. La commissione era presieduta dal generale Tellini, il quale viene ucciso in un attentato a sud dell’Albania e la prima ipotesi sviluppata è di una matrice attentatrice greca. Mussolini risponde duramente, ma in realtà da questo episodio emerge la difficoltà dei rapporti dell’Italia con la Grecia e l’atteggiamento italiano è un atteggiamento di intransigenza, basato sull’invio di un ultimatum alla Grecia (il quale è chiaramente inaccettabile per il paese, in quanto consisteva nella consegna in 5 giorni i responsabili dell’omicidio) e a cui l’Italia bombardando dal mare l’isola di Corfù, passando così dalla parte del torto e uccidendo alcuni profughi. In realtà, l’atteggiamento di Mussolini era teso a disconoscere la legittimità della Società delle Nazioni a risolvere questa controversia.) Nel 1933 il Giappone decide di uscire dalla Società delle Nazioni ed essa subisce un secondo forte colpo alla sua legittimazione. Inoltre, Hitler diventa cancelliere in Germania proprio in quell’anno, discutendo e sfruttando ampiamente la questione della Gleichberechtigung, della parità dei diritti della Germania in materia di riarmo, la quale diventa il nuovo centro del dibattito della Società delle Nazioni. Hitler pone nuovamente la questione del riarmo tedesco, ma, al contrario di quello che aveva fatto Stresemann con la sua politica conciliatoria, egli cerca una rottura sul fronte internazionale. Ecco che nel 1933 anche la Germania esce dalla Società delle Nazioni e di ciò se ne farà un manifesto per la politica estera: di fronte alle difficoltà vissute dai precedenti cancellieri, Hitler fa capire che l’antifona è cambiata. Hitler va al potere con largo consenso elettorale e popolare Hindenburg si trova quasi costretto a nominarlo cancelliere. Inoltre, nel 1933, una larga parte della classe dirigente tedesca (vd. Junkers e generali, come von Schleicher) pensano ancora di potersi avvalere strumentalmente di Hitler, trascinando il cancelliere a seconda delle opinioni dei generali prussiani. L’uscita tedesca dalla Società delle Nazioni è un monito da sfruttare nel piano interno massima delegittimazione della Società delle Nazioni. Tutta la questione del disarmo costituisce una premessa del disarmo generale e i governi di Weimar chiederanno di conseguenza il diritto a riarmare. Su questo versante, anche l’Italia sta rivedendo la propria politica dal 1926 è in atto la fascistizzazione della politica estera italiana e nel 1927 diventa ministro degli esteri Dino Grandi. In realtà non c’è una più chiara attribuzione del ministero degli esteri e ciò prelude ad un drastico cambio politico; Grandi è semplicemente il volto più presentabile del fascismo, è un uomo internazionale ed è convinto che l’Italia debba sostenere la Società delle Nazioni in una partita giocata nel tentativo di capire qual è il vero prestigio dell’Italia e il suo vero ruolo. Lo scenario internazionale era però tutt’altro che limpido: con la Francia si stava aprendo la competizione sull’Europa orientale, mentre con la Germania si riapre nella questione del disarmo e dell’Anschluss, che va letto in una chiave ampia di minaccia sul Brennero, sull’Alto Adige e potente leva di ripotenziamento tedesco nell’area centrodanubiana. La polemica che divide Francia e Italia sul disarmo riguarda non a caso l’entità della flotta navale: l’Italia chiede che l’entità di essa sia uguale a quella francese (non si parla di diminuire, ma di limitare il tetto navale) perché politicamente si vagliano le varie necessità nazionali (e la Francia a questo punto adduce le sue necessità di una flotta più grande per l’ampiezza dei suoi traffici commerciali) sarà la Gran Bretagna a decidere infine quali limiti imporre ai paesi europei. In secondo luogo, l’Italia pretende e chiede livello di parità con la Francia, che viene riconosciuto alla prima conferenza del disarmo nel 1919; successivamente, la Francia non sarà più disposta alla discussione, anche perché dall’inizio degli anni Venti, essa fronteggerà il problema tedesco, per cui le serviva il sostegno italiano. Quando si consumerà il contrasto tra anti-revisionismo francese e revisionismo italiano nei Balcani e nell’Europa danubiana, la politica francese si irrigidirà contro le richieste italiane, anche perché, anche dal punto di vista politico, l’Italia fascista non può accettare una diminuzione di ciò che era stato ottenuto dall’Italia pre-fascista Italia non può arrischiarsi verso manovre troppo militariste, ma anzi le conviene tenere bassi gli armamenti fino al 1931, data in cui Grandi viene dimesso, perché in realtà tutta la sua idea di politica estera era ormai contestata da Mussolini. Non appena Mussolini capirà che la politica societaria (orientata a favore della Società delle Nazioni) di Grandi non può funzionare, egli fa ricadere sulle spalle di quest’ultimo il peso di una scelta che non era sua. Inizialmente i due erano concordi di mostrarsi con un volto ragionevole sullo scenario politico, ma nel ‘31 si conferma un rapporto privilegiato anglo-francese, che lascia l’Italia da parte. Un accordo a due tra Francia e Gran Bretagna sembra non riconoscere all’Italia il ruolo di grande potenza che le spettava. Nel 1932, quando mussolini avoca a sé il ministero, si svolta la politica estera fascista e questo viene esemplificato con l’assunzione del dicastero da parte di Mussolini stesso. Egli però si rende conto di aver sbagliato, avallando una politica che non aveva dato i risultati sperati: ormai l’Italia si è fortemente orientata verso l’obiettivo del famoso “posto al sole”, ovvero di una politica coloniale finalizzata a lavare l’onta di Adua (desiderio dei fascisti più radicali, come Cesare Balbo) e dal 1932 si inizia a predisporre quest’operazione. Nel 1932, l’assunzione del dicastero degli esteri da parte di Mussolini significa l’abbandono della politica societaria, che però non si esplicita nell’uscita italiana dalla Società delle Nazioni, ma in una serie di interrogazioni che riguardavano la natura di tale strumento come modo migliore per perseguire la nostra politica estera. Parallelamente riprende vigore la politica estera tedesca e occorre quindi ridisegnare la politica estera italiana. Di fronte all’impeto del revisionismo tedesco e in Francia la politica estera viene rappresentata dall’azione diplomatica di Barthou, che cerca una nuova forma di contenimento del revisionismo tedesco, oltrepassando Locarno nel senso anche orientale ritorna in gioco anche l’Unione Sovietica, che stava attuando grandi cambiamenti in politica estera. Avviene anche la presa d’atto che l’Unione Sovietica debba uscire dal proprio isolamento di fronte ad un ritorno della minaccia tedesca. A fronte di una politica tedesca molto dinamica, l’URSS cambia la propria politica estera e inizia a concepire il mondo dell’imperialismo occidentale, che prima era visto come praticamente tutto uguale, dal 1933, con l’insediamento agli Esteri di Litvinov, come un fronte di paesi in grado di contrapporsi nettamente contro il revisionismo tedesco, che preoccupava abbondantemente l’URSS. Ora, seppur Litvinov incarnasse la rappresentazione di politica estera di Stalin, egli era arrivato a capire che esistono degli imperialisti meno cattivi di altri e nel campo delle relazioni internazionali l’URSS intraprenderà delle azioni meno ideologicamente orientate (la politica sovietica in questa fase ha due percorsi: nel 1934 i comunisti appoggiano i governi di sinistra da una parte e d’altra parte Lenin disprezzava il mondo capitalista, composto da Germania, Francia e Gran Bretagna. Con Litvinov, si vedono le differenza tra i periodi e di fronte alla minaccia diretta della Germania, l’URSS tenta la strada verso una alleanza contro la Germania, che ne insediava la sicurezza) nel tentativo di interagire con le potenze capitaliste e per risollevare il cammino della Società delle Nazioni. L’URSS, difatti, ne entra a far parte nel 1934, cercando di costituire una rete di alleanze con i paesi capitalisti, ma in un fronte ideologico antirevisionista. L’impatto di Hitler alla cancelleria è immediato e l’escalation dei colpi di mano della Germania non cessa dalla presa di potere di Hitler. Nel 1933 l’uscita dalla Società delle Nazioni della Germania esemplifica l’uscita di una potenza che perseguiva una politica propria tutti rivedono le proprie posizioni di politica estera. Tra l’altro, nel 1933, Mussolini propone il patto a quattro con le quattro potenze egemoni in Europa, che si impegnano a far fronte al revisionismo: attraverso questa politica di collaborazione, la Germania può ridiscutere le proprie frontiere, ridimensionando il territorio di Danzica ogni nazione percepisce il messaggio che le fa più comodo dal patto. In quella fase la politica anglofrancese non era totalmente antirevisionista, ma al contrario essa era parziale: la volontà dell’anti-revisionismo di contrapporsi al revisionismo tedesco è fortemente limitata dai propri interessi soggettivi e alle differenti esigenze nazionali. I vari fronti opposti al revisionismo hitleriano non diventeranno mai operativi e non si tramuteranno mai in qualcosa di più attivo, sebbene Hitler sia ben attivo in senso opposto! Nel 1934, dopo l’uscita tedesca e l’entrata dei sovietici nella Società delle Nazioni, anche i sovietici non hanno voglia di chiacchiere e iniziano a cercare un accordo secondo quanto era stato fatto in precedenza con il revisionismo tedesco, mentre la Gran Bretagna e la Francia sono ben più scettiche. L’idea di un patto a quattro in qualche modo non trova troppi consensi, mentre si persegue il progetto di Barthou attraverso un accordo anglofrancese e l’utilizzazione delle entrature che la Francia ha nel mondo balcanico, ad esempio con la Jugoslavia. Il 1934 è però anche l’anno dei tre omicidi politici. A Marsiglia muore il ministro Barthou insieme al re Alessandro di Jugoslavia, a seguito di un attentato ordito da una matrice separatista croata, quella parte dell’estrema destra ustascia che aveva tutto interesse ad eliminare Alessandro (= l’esemplificazione della possibilità dell’unità della Jugoslavia) e di Barthou e del suo progetto anglofrancese. Hitler ora sta guardando a Mussolini come un modello, ne ha grandissima ammirazione e prende spunto da molte delle sue azioni, guardando all’Italia come ad un potenziale interlocutore, con cui è ben evidente che esistono degli interessi totalmente divergenti. Infatti il primo elemento del revisionismo tedesco è rappresentato dall’unificazione di tutti i popoli di lingua tedesca presenti in Europa. L’Anschluss vuole essere ottenuto da Hitler senza necessariamente passare per l’Italia, anche perché, soprattutto in questa prima fase, l’avallo italiano non c’è. In Austria, satellite rispetto all’Italia, era salito al potere Dollfuss, cancelliere fascista austriaco (nazionalista, ma non pantedesco), estremamente legato a Mussolini anche perchè essa stava vivendo un momento di difficoltà economica e politica: ora sono i tedeschi a premere prevalentemente per l'Anschluss e l’idea dell’annessione è fortemente ai primi punti nell’agenda del revisionismo hitleriano. Si ritiene che sia possibile arrivare all’Anschluss senza la rottura con l’Italia e nel 1934, quando c’è il tentato Putsch che costa la vita a Dollfuss, Hitler è pronto a disconoscere totalmente l’Austria non appena il colpo di stato fallisce. Hitler non vuole dare il colpo di grazia ad un’Austria che non sarebbe resistita, anche perché l’Italia era ancora profondamente ostile ad un’unione dell’Austria con la Germania Mussolini sposta dei reparti dell’esercito sul fronte alpino, correndo un bel rischio, ma inviando un preciso messaggio politico: nel 1934 Mussolini è ancora fortemente legato all’idea che occorra fermare il revisionismo tedesco nell’Europa centro-danubiana, ma egli sa che il ruolo prospettato potenzialmente all’Italia in questa zona è destinato a scomparire con l’ipertrofismo del Reich. In più, l’indipendenza austriaca deve essere preservata per evitare che vengano avanzate pretese verso l’Alto-Adige. Nel 1934, quindi, l’intransigenza di Mussolini è ancora decisa e la morte di Barthou, che era un alleato di Mussolini, andò contro lo stesso interesse italiano. L’Italia non è propensa a sposare totalmente la politica hitleriana e anzi l’assassinio di Barthou è un elemento scoraggiante non solo per la politica estera italiana, ma anche per la politica di Litvinov e dell’URSS, che passava attraverso un accordo con la Francia. Quando successivamente Laval sostituirà Barthou si arriverà ad un momento di accomodamento e di compromesso verso il revisionismo tedesco e in realtà, la figura di Laval riesce maggiormente ad avvicinarsi verso Mussolini, dialogando con l’Italia verso un accordo importante: l’accordo Mussolini-Laval nel gennaio 1935, importantissimo perché è un accordo di desistenza. L’Italia sta preparando il terreno diplomatico per ottenere un nulla-osta in Etiopia e ha bisogno dell’avallo francese. In qualche modo l’Italia ritrovava nell’Etiopia una propria possibilità di sbocco, ma per perseguirla, occorre il consenso prima di tutto della Francia e la risoluzione degli ultimi conflitti coloniali che ancora dividevano i due stati transalpini. Si riapre quindi la questione degli italiani in Tunisia, con l’Italia che accetta di perdere il proprio status privilegiato e quindi pone tutti i suoi sudditi sotto la sovranità francese; in più, si procede a vari impegni di natura territoriale, piccole concessioni economiche e piccole sistemazioni territoriali, lette e interpretate da Mussolini come la desistenza della Francia nella fine della ricerca di posizioni a scapito dell’Italia queste azioni vengono interpretate come la formale desistenza francese rispetto ad un atto di forza italiano, con l’instaurazione di un mandato o protettorato sull’Etiopia, la quel è però uno stato membro della Società delle Nazioni. Laval intendeva dare il placet francese ad un’azione italiana in Europa e in quell’occasione Mussolini fa esperienza della grande disinvoltura francese nell’avallo delle proprie pretese coloniali, ma quando ci sarà lo stop inglese, la Francia cambia atteggiamento e nega di aver mai dato il via libera ad un intervento militare italiano in Etiopia, quando invece fino a quel momento, l’Italia aveva avuto la piena libertà di movimento a livello nazionale, non chiudendosi in alleanze né in alcun polo. L’Italia si riteneva favorita dalla situazione politica e su questo, lasciandosi una possibilità di manovra, l’Italia pensava di poter ottenere i migliori risultati e il massimo dalla propria politica estera politica del peso determinante, con Italia che è il fattore che fa la differenza e quella politica conosce un momento di distacco proprio in Etiopia, quando l’Italia vede misconosciute le proprie velleità a livello coloniale. La Gran Bretagna si pone in contrasto con l’Italia non per approcci ideali anticoloniali, in quanto non sono stati lesi diritti di alcuno, quanto per la pericolosità dell’azione italiana la Gran Bretagna è ancora sotto i livelli di sicurezza di armamento, non è pronta al conflitto e con un tale colpo di mano italiano avrebbe un fronte troppo lungo e indifendibile da presidiare in Africa, che non le garantiva sicurezza. Nel 1935 la politica estera italiana realizza il postulato che ogni azione coloniale dovesse passare per un avallo della Gran Bretagna. L’Italia si pone all’interno di un vicolo cieco da cui non riuscirà ad uscire, ma anche dopo il 1935 l’Italia ha ampi spazi di manovra e nel momento in cui si intercetta la volontà degli appeasers britannici, in realtà c’è ancora margine di ritrovare la politica di assenso con la Gran Bretagna. L’intervento in Etiopia provoca una polarizzazione delle alleanze, da cui trae un incredibile vantaggio la Germania, che pone un cuneo di fronte ad un fronte unico contro le pretese italiane. Per Hitler, l’invasione dell’Etiopia è la quadratura del cerchio, che gli permette di solidarizzare con l’Italia a livello pubblico, mentre di nascosto alimenta la resistenza etiope ed essendo fuori dalla Società delle Nazioni, ottiene i livelli di massimo consenso anche nell’opinione pubblica italiana. Il piano Laval-Hore cerca di riportare l’Italia dalla parte della Gran Bretagna, promettendole la zona di influenza che ricercava in Etiopia senza colpo ferire, ma sarà successivamente smentito da Eden e dalla politica anti-italiana perseguita dalla Gran Bretagna. 03.04.2014 Con l’ascesa di Hitler, continua la centralità della Germania nella politica europea. Il cambio della politica sovietica ad esempio è senz’altro ascrivibile alla rigidità ideologica e al realismo accentuato che seguono alla nuova aggressività tedesca; in realtà, in questa fase, la politica sovietica è volta alla costruzione di un fronte da opporre al pericolo hitleriano. Hitler sarà sempre percepito come un pericolo, con il timore costante che egli possa esercitare su Inghilterra e Francia una sorta di richiamo affascinante per queste nazioni contro il bolscevismo sovietico Hitler poteva fare un gioco uguale e opposto per guadagnare consensi contro il nemico sovietico. Il cambio di politica a cui si assiste dal 1933 in URSS è funzionale alla percezione dell’URSS del nazionalsocialismo in ascesa in Germania; tuttavia, le due nazioni avevano in piedi dagli anni Venti una relazione speciale, in piedi e ribadita nel corso dei vari anni. Nel maggio 1933 viene riconfermato il trattato di Berlino, nonostante nell’autunno 1933 le installazioni tedesche presenti sul territorio sovietico iniziano ad essere smantellate: l’accordo segreto si basava anche sulla possibilità tedesca di usare il territorio sovietico per installare opere militari che le erano vietate dal trattato di Versailles il rapporto nell’autunno del 1933 si interrompe, salvo poi essere recuperato con il patto Molotov-Ribbentrop. Nel 1934, per un periodo molto breve, Hitler cerca di capire se la Germania può ottenere i suoi obiettivi di politica estera e come: 1. Uscita brusca dalla Conferenza di Ginevra e 2. Uscita brusca dalla Società delle Nazioni, con il cancelliere che cerca di fare la voce grossa. In questo si scontra con la Gran Bretagna, preoccupata dal riarmo navale tedesco, ma con un’auto-percezione di condizione di grande debolezza. Essa non è sufficientemente armata e deve iniziare a riarmarsi (cosa che avverrà nel 1936 con tempi abbastanza lunghi) ecco perché la GB si comporta in un certo modo e accetta l’appeasement + spiegazione della reazione britannica alla campagna d’Etiopia italiana. In Italia, la Francia aveva concesso il nulla osta all’Italia, con la convinzione di Laval che nel 1935 anche la Gran Bretagna avrebbe dato il suo assenso. Non casualmente l’Italia persegue il suo obiettivo coloniale quando la Germania inizia ad insidiarla nella propria sfera d’influenza in Europa centro-danubiana rinasce l’idea coloniale di lavare l’onta di Adua. La Gran Bretagna è disposta alla rottura con l’Italia non solo per questioni di principio, ma essa aveva interesse ad imporre sanzioni economiche in una zona in cui tecnicamente l’Inghilterra non aveva apparenti interessi, ma di mezzo c’era il lago Tana che la Gran Bretagna voleva usare per abbeverare il Sudan e per avvicinarsi al Nilo. Si trattava quindi di un problema strategico, perché, se l’Italia avesse davvero preso possesso dell’Etiopia, il confine da difendere da parte britannica era assolutamente troppo lungo, a fronte della politica estera italiana nuova e più insidiosa. Sembrava che l’Italia avesse dimenticato la clausola Mancini di non interferenza negli affari britannici e la Gran Bretagna inizia a preoccuparsi e a chiudersi a seguito della questione etiope: essa si sente scarsamente sicura e sa che se davvero l’Italia pone l'Etiopia sotto il suo controllo, essa sarebbe stata vulnerabile nelle zone in cui era più debole. La Gran Bretagna non si decide mai a perseguire per davvero una politica che sarebbe stata, col senno di poi, in grado di far fronte all’espansionismo aggressivo tedesco, ovvero una politica di sistema: una politica di sistema solido, di collaborazione politica e alleanze vere tra Gran Bretagna, Francia, Unione Sovietica e Italia, che poteva ancora giocare la carta della politica del peso determinante, in quanto manteneva una certa dose di indipendenza in politica estera. In realtà, l’impresa etiope ha facilitato ampiamente la strategia di Hitler, che procedeva rapidamente alla demolizione del sistema di Versailles, iniziando a rivedere le clausole territoriali e cercando nel 1935 un accordo territoriale di stabilizzazione con la Polonia. Quest’ultima era minacciata da URSS e dalla Germania, che cercano inizialmente una politica di accordi e a cui la politica polacca risponde con delle azioni deliranti e presuntuose auto-percezione polacca è altissima, crede di poter riuscire a tenere in vita un gioco di alleanze pericolose, immaginando uno spazio di manovre che non ha. La salvezza della Polonia sarebbe passata attraverso un accordo, che necessariamente passava per l’URSS, ma che la Polonia non si premurò di firmare. Negli accordi franco-sovietici, la Francia sta cercando una forma di negoziato e accordo con l’URSS in funzione antitedesca. Probabilmente l’unico accordo che si poteva stipulare era una riedizione dell’accordo del 1892, che nasceva da una convenzione militare a fronte della minaccia tedesca nel 1935, si doveva riproporre un accordo militare, ma il problema che si pone è l’esistenza della polonia. Nel momento in cui c’è una garanzia reciproca tra URSS e Francia, si tira in mezzo la Polonia, la quale non acconsente al passaggio delle truppe sovietiche dell’Armata Rossa sul proprio territorio, svuotando di significato l’accordo. I polacchi rifiutano di lasciar entrare le truppe sovietiche, nemiche fino a pochi anni primi, sul territorio polacco e quindi la stessa folle idea polacca di poter contrastare la Germania attraverso accordi diplomatici causa la morte della Polonia Hitler non aveva mai nascosto di volerla inglobare e cancellare. Nel 1935, a seguito della politica di Litvinov (su indicazione di Stalin, che dava prova di idealismo sul piano internazionale, mentre sul piano interno aveva avviato le purghe), i tedeschi si convincono che l’esercito e lo stato maggiore sovietici erano assolutamente deboli e necessitavano di essere ricostituiti + come poteva funzionare l’esercito in un clima di terrore? Nasce un grande grado di sfiducia riguardo ad un possibile accordo con l’URSS da parte di Inghilterra e Francia, in quanto l’Unione Sovietica non pareva un alleato affidabile. Al di là di tutto, nel 1934 l’entrata dell’URSS nella Società delle Nazioni aiuta la rilegittimazione di quest’ultima e porta nel 1935 ad un accordo con la Francia. L’URSS stava cercando di tutelarsi a fronte di un futuro attacco di Hitler al mondo orientale e al mondo slavo, ma in realtà l’accordo ha valore limitato per prima cosa, per l’opposizione polacca (Polonia non avallerà il passaggio delle truppe sovietiche sul suo territorio) e come seconda cosa, la Gran Bretagna richiede di circoscrivere l’operatività dell’accordo, connettendo l’effettività dell’accordo agli accordi di Locarno e alla Società delle Nazioni. L’idea di aggressione poteva essere convalidata come tale solo se si fosse pronunciato a questo riguardo anche il consiglio della Società delle Nazioni limitazioni ad efficacia e deterrenza dell’accordo. L’URSS non avrebbe permesso che scattasse il casus foederis contro il Giappone, con cui l’URSS stava portando avanti una politica prudente. I sovietici vendono al Manchunko pacchetti azionari della ferrovia transiberiana, riconoscendo il governo fantoccio filo-giapponese e portando avanti una politica quasi compiacente con il Giappone. L’URSS sta cercando infatti un accordo di non-aggressione, importantissimo per l’interesse sovietico, anche perché in Cina si era sviluppato un forte partito comunista da parte del quale ci si potevano aspettare delle rivendicazioni. Nel 1934 Hitler aveva colpito gli alleati cercando un’alleanza con la Polonia e tenendo diviso il fronte che gli si poteva contrapporre in futuro: occorreva isolare la Polonia + assecondare il tentativo di Putsch in Austria + 1935 Hitler ripristina unilateralmente la coscrizione obbligatoria per l’esercito e infastidisce l’intervento italiano in Etiopia. Gli obiettivi tedeschi erano essenzialmente tre (1937): 1. Ritorno di Danzica alla Germania 2. Comunicazione diretta attraverso il corridoio tra Reich e Prussia orientale 3. Accordo di non adesione al Komintern, in funzione antipolacca. Nel 1935 era chiaro alle cancellerie europee che l’Italia si stava avviando al proprio colpo di mano in Etiopia. La risposta generale fu il fronte di Stresa, che in realtà fu uno strumento senza effettiva deterrenza sull’aggressività tedesca. Esso era una rappresentazione dei propositi comuni di Inghilterra, Francia e Italia e non diventa un sistema (= qualcosa che è in grado di contrapporre un equilibrio laddove un nuovo equilibrio si sta creando), ma a Stresa nessuno volutamente vuole affrontare il discorso fondamentale delle aspettative italiane sull’Etiopia. Inghilterra, Francia e Italia, pur determinate a fronteggiare il revisionismo tedesco, sono però saldamente ancorate ai loro interessi soggettivi, come l’impresa in Etiopia per l’Italia e per la Gran Bretagna la questione di disarmo. A quest’ultima continua a preoccupare l’idea di non riuscire a fermare il riarmo poderoso tedesco e subito dopo Stresa viene stretto un patto navale tra Gran Bretagna e Germania, a dimostrazione della facilità della rottura di qualsiasi fronte che si poteva provare a costituire. Tra l’altro, il fronte operava contraddittoriamente in quanto, ancora nel 1935, esso si era pronunciato a favore della preservazione dell’integrità e dell’indipendenza dell’Austria, un grosso stato revisionista legato alla Germania, ma è chiaro che con le operazioni italiane in Etiopia e i malumori britannici, i tedeschi possono porsi come nuovi fari della politica estera italiana. L’Italia si troverà più isolata dopo il colpo di mano in Etiopia e nonostante non tutto il Foreign Office si schieri contro l’Italia e le sue richieste (addirittura viene elaborato un piano di concessioni all’Italia, che poteva essere molto appetibile), gli inglesi si rimangeranno ben presto le loro promesse, perché l’opinione pubblica era pacifista e su posizioni societarie. L’Italia si presenta quindi anche agli occhi dell’opinione pubblica inglese dalla parte del torto e sotto le spoglie di un paese aggressore. Si arriva quindi alla politica delle sanzioni, a seguito del ritiro (ordinato dalla Gran Bretagna alla Francia) del patto Laval-Hore. Tuttavia, le sanzioni non costituiscono nulla di decisivo nel far desistere l’Italia dalla propria azione coloniale, si possono svincolare e garantiscono all’Italia e a Mussolini un enorme consenso interno, che non avrà eguali. In questo periodo, il regime ha un consenso altissimo e l’effetto delle sanzioni ha esiti diversi sul piano internazionale e interno. Hitler era quindi riuscito a dividere il fronte che gli si poteva contrapporre, in quanto i britannici sentono continuamente il bisogno di ribadire la propria volontà negoziale con la Germania segno di insicurezza britannica, sempre sulla questione del disarmo, in quanto Hitler poteva compiere atti di forza da un momento all’altro. La questione dell’Etiopia fratturerà il fronte anti-revisionista e farà il gioco di Hitler: l’Italia distoglie forze e attenzioni dallo scenario dell’Europa danubiana, cosa che permette a Hitler di focalizzare una potenziale unione tra Germania e Austria. È evidente che Hitler voglia unificare e riportare nel Reich tutta la popolazione di lingua tedesca (Austria, Sudeti in Cecoslovacchia e Danzica tre ovvi passaggi territoriali). L’Italia cerca il suo posto al sole, per porre fine e lavare l’onta di Adua e cercando la piena soddisfazione dei propri interessi territoriali, mentre la Germania stava consolidando il suo fronte di sicurezza. Hitler era libero da qualsiasi vincolo con la SdN, sostiene non apertamente il negus etiope per rendere più impegnativa l’impresa italiana, che avrebbe quindi visto nella Germania un aiuto fondamentale, proprio quell’aiuto che non poteva ricevere dalla Gran Bretagna e dalla Francia. Nel marzo 1936, a seguito dell’invasione dell’Etiopia, si prospetta per la possibilità reale per la Germania di sfruttare le divisioni del fronte a lui contrapposto (contando sull’esclusione italiana da una alleanza con Francia e Gran Bretagna) e di fare una mossa molto rischiosa e azzardata: Hitler decide la rimilitarizzazione della Renania = strategicamente significava che, in un futuro e potenziale conflitto, con la Germania che si sarebbe volta verso la Polonia e il suo confine orientale, la Francia sarebbe stata legata alla Polonia da trattati da garanzia stipulati ancora ai tempi di Locarno, che difendevano la Polonia da un attacco o invasione tedeschi. Questa azione di rimilitarizzazione avrebbe portato al blocco sul confine occidentale della Francia, in quella che sarebbe stata poi conosciuta come “drôle de gruerre” senza possibilità di intervenire a favore della Polonia perde qualsiasi valore il patto di garanzia che la Polonia aveva da un attacco tedesco. La politica polacca è senza via d’uscita, soprattutto perché ci sono grandi avvisaglie del processo di “satellizzazione” che la Polonia ormai presagiva. Tuttavia, Hitler sapeva benissimo che la Germania non era ancora militarmente pronta a fronteggiare la risposta armata di Francia e Gran Bretagna: egli parte dal presupposto, rischioso ma corretto, che le due potenze europee non avrebbero reagito, cosa che di fatto fecero. In caso di reazione di Gran Bretagna o Francia, Hitler sarebbe dovuto tornare sui propri passi, perché il riarmo tedesco non era ancora finito. Nel 1936 Francia e Inghilterra perdono l’occasione di reagire al colpo di mano tedesco, per cui la rimilitarizzazione renana alla fine si rivela una mossa rischiosa, ma vincente. In quell’anno, inoltre, Hitler dà una crescente caratterizzazione ideologica alla sua politica, con la firma del patto anti-Komintern, patto che nasce inizialmente tra un’alleanza tra Giappone e Germania per contrastare il bolscevismo. Esso vuole da un lato convogliare il consenso ideologico delle destre e dei regimi militari (coinvolgendo l’Italia, che dopo la guerra in Etiopia è sempre più propensa a spostarsi a favore della Germania, nonostante Mussolini non sia realmente convinto di questa svolta così forte della politica estera). L’Italia chiedeva indipendenza e libertà di manovra, assolutamente da preservare per poter proseguire la politica coloniale, ma allo stesso tempo si vede chiaramente che lo spazio di manovra italiano si è ridotto per lo screzio nato con la Gran Bretagna e per lo strascico di rivalità che ci si trascina con la Francia. La Francia è considerata lo stato traditore che non ha rispettato i patti! In Etiopia, la Francia aveva deciso abbandonare le promesse accordate all’Italia nei termini di un accordo abbastanza controverso, decidendo di accodarsi alla politica inglese, che già di per sé non era ben definita. La Francia cercava di tenersi saldamente ancorata alla Gran Bretagna, in quanto era momentaneamente spaesata. Nel 1936, la legittimazione della rimilitarizzazione in Germania viene dalla supposta violazione della Francia degli accordi di Locarno, alleandosi con l’URSS cogliere l’opportunità favorevole alla Germania di vanificare la protezione francese sulla Polonia, la quale è totalmente priva di difesa sul fronte tedesco. D’altro canto, né in Francia né in Inghilterra non vi è una percezione di quanto stia pericolosamente avanzando la politica tedesca, la quale stava già pensando al colpo di mano da effettuare verso est. L’URSS stava già considerando la seconda opzione? Nel momento in cui salta un accordo con Francia e Gran Bretagna, si pone la questione se non sia più vantaggioso accordarsi direttamente con la Germania, secondo una visione di politica estera prudente e societaria, rivolta quindi alle due grandi nazioni europee. La crescente preoccupazione sovietica riguardo all’espansionismo tedesco si accresce con la nascita dell’Anti-Komintern e con l’intervento nella guerra in Spagna. La guerra civile spagnola delinea di fatto i due futuri schieramenti della guerra, con un’alleanza che non era assolutamente scontata tra Francia, URSS e Gran Bretagna in realtà, la partecipazione sovietica alla guerra di Spagna con le Brigate Internazionali sarà riconosciuta all’estero, ma non in patria + quelli erano gli anni del fronte popolare, in cui l’URSS ha posto in essere un tentativo politico di cambiamento delle relazioni con i propri partiti comunisti in Europa. È Mosca che detta la linea politica e non esistono voci contrastanti. I fronti popolari, contrariamente a quanto fatto negli anni Venti, delineano invece la ricerca della piena collaborazione tra partiti comunisti e partiti di sinistra in Europa, nel tentativo di opporsi alla Germania. 07.04.2014 Nel 1936 la situazione è la seguente: la guerra civile era appena cominciata in Spagna, facilitando la coesione ideologica tra Germania e Italia, a cui si era opposto da subito un comitato di non-intervento composto dalle altre potenze europee. Esistevano interessi specifici e la guerra in Spagna contribuisce ad accrescere le insidie che l’Italia poteva rivolgere verso la Gran Bretagna, acquistando posizioni strategicamente rilevanti nel Mediterraneo: si trattava di controllare le isole Baleari e il Mediterraneo intero. L’Italia stava inoltre insidiando il governo inglese ancora in Etiopia, causando la strenua opposizione del ministro agli Esteri Eden, che si opporrà a qualsiasi forma di concessione territoriale verso l’Italia il Sudan non egiziano avrebbe presentato una frontiera debole e scoperta rispetto all’Etiopia, che era enormemente pronunciata a danno della Gran Bretagna. La politica italiana va quindi assumendo una connotazione filo-tedesca, anche se questa attribuzione è sbagliata. L’ambizione italiana è resa perfettamente dal discorso del novembre 1936, che conclude la stagione di grandissimo successo (o perlomeno definita tale da Mussolini) e con il quale viene proclamato l’impero italiano. L’Italia ora chiede l’avallo britannico per procedere in Etiopia, sulla quale si stavano concentrando tutte le aspettative della propaganda interna. A Milano, nel 1936, Mussolini pronuncia il discorso dell’Asse, affermando che si stava creando tra Berlino e Roma un asse = concetto che si stava prospettando tra Italia e Germania per impaurire soprattutto la Gran Bretagna. Dopo la rimilitarizzazione della Renania, vero colpo al sistema di Locarno, Hitler è percepito ed è realmente una minaccia, con l’Italia che può pesare e fare la differenza in quella che può essere una crescente polarizzazione dei rapporti europei. Tuttavia, con la Gran Bretagna è aperta la questione di riconoscimento de iure dell’impero italiano, che all’interno del foreign office spacca i ministri. Eden ritiene che gli interessi britannici nel Mediterraneo siano minacciati direttamente dalla politica italiana, mentre Neville Chamberlain, appena salito al potere, è convinto che l’asse e la convergenza di idee tra Italia e Germania debbano realmente concretizzarsi in un’alleanza divergenza interna al foreign office. “L’Italia è un’isola che si immerge nel Mediterraneo, un mare che per la Gran Bretagna è una scorciatoia verso i suoi territori periferici. Per noi italiani, il Mediterraneo è la vita” (discorso di Mussolini a Milano): da questo discorso si capisce però che esiste ancora un margine negoziale aperto tra Italia e Gran Bretagna, che avrebbe potuto trascinare l’Italia distante dalle posizioni tedesche Italia voleva il riconoscimento del suo peso nel Mediterraneo, con un’intesa rapida e schietta per il riconoscimento dei propri reciproci interessi. Solo con il mantenimento della libertà di manovra italiana, essa pensa di avere un peso determinante; infatti, nel gennaio 1937, nasce il Gentlemen’s Agreement, ovvero uno scambio di note tra ministri italiani e britannici per accordarsi sulle rispettive zone di influenza lungo tutto il Mediterraneo, nel tentativo britannico di staccare l’Italia dalla Germania. Tuttavia, è ancora distante il riconoscimento de iure dell’impero e la sistemazione delle zone di influenza nel Mediterraneo per ora, impegno reciproco a non modificare lo status quo nel Mediterraneo, nonostante il carattere molto vago dell’accordo. Anche la pressione italiana in Spagna diventava uno strumento pesante da sopportare per la Gran Bretagna. Nel frattempo, Hitler aveva cercato di trarre il massimo dalla situazione, mettendo zizzania tra Italia e Gran Bretagna e cercando l’asse con l’Italia, ma soprattutto dando un immediato riconoscimento tedesco all’impero italiano. L’alleanza con essa passava però per la risoluzione dell’Anschluss, laddove nel luglio 1937 si era stipulato un accordo tra Austria e Germania, con l’Austria che lascia spazio alla propaganda tedesca nel proprio territorio. La propaganda NSDAP poteva quindi ora rivolgersi anche in Austria, la quale era formalmente riconosciuta indipendente, ma dove in realtà il partito di Hitler aveva piena libertà di manovra. Tra il 1934 e il 1936 era Mussolini che si era fatto garante dell’indipendenza austriaca, mettendo la sentinella al Brennero che infatti infastidiva Hitler. Egli voleva sia annettere l’Austria, che cercare un accomodamento con l’Italia, senza disturbare i propri alleati. Il cancelliere austriaco cerca quindi il consenso italiano per l’annessione austriaca alla Germania e Mussolini alla fine acconsente che nell’accordo venga contenuta una generica garanzia di mantenimento dell’indipendenza austriaca: Mussolini lascia l’Austria al proprio destino e, nonostante egli avesse sostenuto le Heimwehr di Stahremberg in funzione antihitleriana (formazioni di destra contrarie all’Anschluss) fino a quel momento, dal 1936 Mussolini fa cadere il suo sostegno ad esse. L’asse dà all’Italia la possibilità di aver una via spianata verso l’accordo con la Germania. L’appeasement viene, in modo abbastanza netto e manicheo, ascritto all’ascesa di Chamberlain a primo ministro inglese (1937), quasi a cesura tra il maggio 1937 e ciò che c’era stato prima. L’appeasement è un atteggiamento politico che parte dal convincimento che fosse possibile ricondurre Hitler alla calma, permettendogli una serie di cambiamenti sullo scenario europeo-orientale = disponibilità a trattare e dialogare con la Germania, che passa attraverso la convinzione che questo dialogo avrebbe potuto evitare la guerra mondiale. Questa è la distinzione tra Hitler e il fronte alleato: al primo va bene evitare la guerra, che è messa in conto, ma non è fondamentale al raggiungimento dei suoi fini; al contrario, Francia e Gran Bretagna erano imperativamente contro la guerra, sia per la contrarietà dell’opinione pubblica, sia per la scarsa preparazione bellica e l’evidente debolezza militare inglese. La Gran Bretagna era entrata in una fase di crisi imperiale e finanziaria (indebolimento della sterlina) e si fa strada in qualche modo l’idea della decolonizzazione. Essa ha un impegno strategico a 360 gradi, difendendo posizioni mondiali e non solo europee (anche per questo Eden è contrario all’Italia e alle sue rivendicazioni avrebbero intaccato le posizioni mondiali inglesi nel Mediterraneo e nel Medio Oriente). L’appeasement quindi non è solamente giustificato dai filo-britannici; per altri, esso fu intriso di un elemento ideologico su cui Hitler cercò per un certo periodo di puntellare le proprie relazioni diplomatiche con la Gran Bretagna egli riteneva possibile un accomodamento tra le due politiche, basato sul trait d’union dell’anti-bolscevismo. Gli appeasers non erano così ideologicamente distanti e ritenevano che il nazismo e la Germania armata e rivolta ad est fossero ben più accettabili dell’URSS e utili in funzione anti-sovietica. Questi appeasers, conservatori, erano convinti che il nazionalsocialismo fosse il male minore accordo tra Germania e Gran Bretagna era quindi possibile e la Germania sarebbe stata un ottimo presidio anti-bolscevico. Si poteva passare sopra alla politica interna di Hitler, il quale contava moltissimo su queste idee che mandava all’estero. Anche per questi motivi nasce il patto anti-Komintern, interpretato da Hitler come un patto attorno al quale convogliare eventualmente anche il consenso britannico, ma la Gran Bretagna era preoccupata dalla presenza giapponese, aggressiva, revisionista, militarizzata, in un patto anti-bolscevico e che insidiava gli interessi mondiali britannici. Il patto anti-Komintern vedrà l’adesione italiana nel 1937 ed esso fungerà inoltre alla creazione di un sistema di satelliti o protettorati tedeschi, soprattutto in Europa dell’est, dove stati oggettivamente inferiori militarmente alla Germania ne accetteranno la sua protezione. Non fu quindi solo con Chamberlain che iniziò l’appeasement: egli, pressato da avvenimenti storici e dalle necessità di riarmo, rende operativa una politica preparata già dal precedente governo Baldwin (vd. Accordo navale del 1935, con trattative inglesi con la Germania sul dominio dei mari). “Accontentiamo le rivendicazioni revisioniste della Germania, in quanto anche noi inglesi non ne eravamo così d’accordo, così che la Germania sarà presto accontentata e pronta a schierarsi sulle nostre posizioni, magari rientrando anche nella Società delle Nazioni.” Lo stesso Eden, anti-appeaser, aveva cercato degli accordi con la Germania, in quanto era convinto che, così facendo, non avrebbe dovuto aprire alcun tavolo negoziale con l’Italia per il riconoscimento delle pretese italiane in Europa; al contrario, Chamberlain era convinto di quanto fosse fondamentale la negoziazione con l’Italia per allontanarla dalla Germania questo scontro porterà alle dimissioni dagli Esteri di Eden nel 1937. Le sanzioni in Etiopia erano state eliminate e l’Italia vi aveva insediato una sede consolare riconoscimento non di diritto, ma di fatto le si permetteva di fare ciò che riteneva. Ancora nel 1937 l’elemento di attrito tra Germania e Italia era la questione austriaca, sulla quale l’Italia era però ben disposta a trattare: fase di grande eterogeneità di pensiero. D’altro canto, Mussolini si era dimostrato flessibile e alla fine del 1937 egli confesserà a Ribbentrop che era stanco di presidiare la frontiera del Brennero Italia al Brennero non ha più un potere di deterrenza, in quanto le sue forze militari sono impegnate in Spagna e in Abissinia. Dal 1937 si delinea quindi quella che sarà la politica tedesca sul territorio europeo, con l’interesse volto all’Europa orientale e danubiana (Lebensraum + Drang nach Osten) e l’Italia sarà pronta ad avallare questo tipo di politica. Ora Hitler vuole giocare d’anticipo su Francia e Gran Bretagna, anche perché il quadro internazionale gli è estremamente favorevole, agendo su Austria e Cecoslovacchia per avvantaggiarsi rispetto ai contendenti ancora disarmati. Un eventuale intervento sarebbe stato uno scontro durevole e continuato, per il quale è impensabile che Francia e Gran Bretagna fossero adeguatamente armate Hitler decide di agire, convocando il cancelliere austriaco e ponendo un ultimatum inaccettabile per poter procedere nel marzo 1938 all’Anschluss. Nonostante il cancelliere austriaco cerchi di opporvi una minima resistenza, non è possibile alcuna resistenza austriaca senza appoggio italiano, che in quel momento mancava. L’Italia nel 1937 aderisce al patto anti-Komintern, aumentando la propria caratterizzazione ideologica nel tentativo di premere sulla Gran Bretagna per aprire una trattativa e un tavolo negoziale. L’uscita dalla Società delle Nazioni dell’Italia nel 1937 e l’ascesa di Ciano al ministero degli Esteri sono ulteriori segnali di una più stretta alleanza con la Germania e le varie politiche indicano un cambio di politica del dittatore. Nel 1937 anche la politica inglese reagisce a questi cambiamenti, con le dimissioni di Eden e la successione di Lord Halifax. L’Anschluss avviene con ampio consenso popolare austriaco, che non mancava dalla fine della prima guerra mondiale. A Vienna nel 1938 Hitler scatenerà una pesantissima repressione contro gli ebrei = Vienna era il coacervo del decadentismo culturale odiato da Hitler, era la città dove egli era etichettato come un “poveretto” e ora egli prevedeva la sua occasione di rivincita. Hitler agisce a colpo sicuro e con l’avallo italiano; tuttavia, l’Austria non è che la premessa per il passo successivo della Cecoslovacchia, dove è presente il territorio dei Sudeti con cospicua presenza tedesca. Tra l’altro, nei Sudeti opera il SüdetenDeutsche Partei, che rappresenta il braccio destro del NSDAP in Cecoslovacchia, dove la democrazia era tra l’altro traballante piena garanzia da parte di Francia e Gran Bretagna. È evidente che neanche queste nazioni siano disposte a spendersi come garanti della Cecoslovacchia e quindi ora il problema diventa di convincere Hitler ad accontentarsi dei Sudeti. La vera questione riguardava il ruolo dell’URSS un accordo militare con l’Unione Sovietica avrebbe potuto rappresentare la via di salvezza per la Francia e la Gran Bretagna, che avrebbero potuto usare quest’alleanza per limitare la futura rivendicazione tedesca su Danzica, la quale era assolutamente scontata e prevedibile. La politica sovietica, dal canto suo, è orientata ad evitare la formazione di un fronte unico contro l’URSS, che teme l’accerchiamento dei paesi capitalisti, la politica anti-Komintern e soprattutto l’inclusione della Germania in una tale alleanza. Allo stesso tempo, Francia e Gran Bretagna si fidano pochissimo dell’URSS e neppure sono convinti dell’efficienza di una tale alleanza, in quanto non si sapeva quanto potesse essere abile l’Armata Rossa, anche alla luce degli scontri in Mongolia del 1938 e della successiva guerra contro il Giappone + le purghe erano una realtà ben nota. Si poneva anche un problema di convergenza sui confini: come sarebbe intervenuta l’URSS in Germania? Occorreva assolutamente passare per la Polonia. Sulla Cecoslovacchia, né Gran Bretagna né Francia potevano dare una garanzia e nel 1938 arriva contemporaneamente una nuova forma di spinta di accordo inglese verso la Gran Bretagna: Chamberlain e Mussolini firmano gli accordi di Pasqua, coronamento della politica del peso determinante in Italia, con cui si vogliono sistemare le questioni del Mediterraneo. Gli accordi riguardano la questione coloniale, sono estremamente specifici e sono l’ennesimo tentativo di trascinare l’Italia verso la Gran Bretagna. Si stabiliscono confini, prelazioni su laghi e fonti, ci si danno garanzie reciproche di passaggio e transito anche in tempi di guerra. Inoltre, tra Ciano e Lord Perth c’è uno scambio di lettere riguardo alla diminuzione degli effettivi dell’esercito italiano in Libia + sulla Spagna l’Italia promette di non cercare vantaggi territoriali politici ed economici ritirando tutto il materiale bellico. Nel 1938 l’accordo mette nero su bianco che la Gran Bretagna avalla pienamente l’annessione dell’Etiopia all’impero italiano. Nel frattempo, in aprile, si tiene il congresso della Südeten-Deutsche Partei, che si prefigge di annettere al più presto possibile la regione dei sudeti alla Germania. È chiaro che la crisi cecoslovacca in qualche modo è alle porte ed è altrettanto chiaro che il limite negoziale per cercare una trattativa con la Germania è molto vicino ad un ultimatum. La conferenza di Monaco (1938) è costruita nel tentativo di salvare il salvabile, nonostante sia ben chiaro che gli anglo-francesi non si sarebbero impegnati militarmente nella difesa dell’integrità territoriale cecoslovacca. L’annessione sarà così immediata e non progressiva e l’Italia è ormai definitivamente entrata nell’orbita tedesca. Nel settembre 1938 avviene l’annessione immediata dei Sudeti alla Germania, con la dirigenza cecoslovacca che viene totalmente superata dalla mediazione di Hitler, Mussolini e Chamberlain qual è l’effettività degli accordi di Pasqua? I mancati accordi preventivi sulla gestione della crisi cecoslovacca sono in realtà accordi assolutamente farlocchi. L’esito vero della conferenza di Monaco (trionfo dell’appeasement nel senso più negativo) è l’estromissione dell’URSS dalla questione cecoslovacca e questo lascia ampi margini per supporre che da quel momento in poi l’URSS cercherà di accordarsi velocemente e direttamente con la Germania. Un accordo antisovietico fatto alle proprie spalle era visto dall’URSS come molto probabile da parte degli anglo-francesi e quindi si decide di accordarsi direttamente con la Germania. Nonostante Litvinov non venga sostituito per lasciare uno spiraglio aperto al negoziato con gli anglo-francesi, i sovietici non concepiscono la nascita di accordi che abbiano una deterrenza vera contro la Germania, che doveva essere circondata ad est e ad ovest. 10.04.2014 Con lo smembramento della Cecoslovacchia, comunque non definitivo fino all’invasione della Boemia e della Moravia nel marzo 1939, con cui Hitler segnala che l’espansionismo tedesco non si limita alle zone di lingua tedesca inizia a realizzarsi il progetto di nuovo ordine hitleriano riguardo all’Europa orientale. Nel settembre 1938, la conferenza di Monaco crea una serie di illusioni, come l’illusione italiana di aver svolto un ruolo di mediazione che potesse durare nel tempo e di politica di peso determinante, che in realtà è costretta in una sorta di vicolo cieco. La libertà italiana è invece sempre più costretta, man mano che la politica hitleriana prende piede, non interrotta dagli anglofrancesi, che sono disposti al dialogo sempre e comunque la concezione tedesca riteneva quindi che un colpo di mano sulla Polonia non avrebbe visto l’intervento degli alleati. Inoltre, essendo l’URSS estromessa dalla politica sul continente, Stalin adotta un approccio pragmatico, non idealistico: non si contrappone al nazionalsocialismo in quanto regime di destra autoritario e antidemocratico, quanto egli si oppone alla Germania perché la sua politica estera è aggressiva e mette in pericolo la sicurezza dell’URSS. L’alleanza con Inghilterra e Francia è unico deterrente contro un attacco tedesco, ma l’aggressione all’URSS è ritenuta non realmente possibile da parte di un Hitler ragionevole quale convenienza trarrebbe Hitler dall’attacco all’URSS nel momento in cui si profila una guerra sempre più vicina con Francia e Gran Bretagna? Dal punto di vista sovietico, l’attacco sui due fronti doveva ancora essere un incubo per la Germania, incubo a cui essa ancora non riusciva a far fronte. Non concludendo nessuno la trattativa con l’URSS, a Stalin balena in mente l’idea di accordarsi con Ribbentrop, secondo la logica del realismo politico e della sicurezza nazionale. L’Inghilterra e la Francia conducevano una politica inconcludente verso l’URSS, che lasciava intendere che una guerra russo-tedesca fosse la soluzione migliore e preferita dagli alleati europei (non volevano entrare negli screzi di queste potenze). Il settembre 1938 è uno dei punti di minimo della politica estera alleata: l’Anschluss del 1938 esemplifica il fatto che finalmente si possa arrivare ad una forma più stretta di accordo con l’Italia (punto di arrivo del rapporto tra Italia e Germania, con Hitler che riesce a vincere il revisionismo italiano è venuta meno la ragione fondamentale che ostacolava un accordo tra Hitler e Mussolini). Hitler esprime l’assoluta gratitudine all’Italia dopo essersi annesso l’Austria e promette che la Germania non vorrà in nessun modo annettersi il Sud Tirolo (fino al 1943). Nel frattempo, il dialogo Italia-Francia e Italia- Gran Bretagna stava peggiorando e diventando sempre più difficile. L’invasione italiana in Albania è una sorta di dimostrazione alla Gran Bretagna di quanto la politica mediterranea italiana non sia cambiata e anzi si voglia rafforzare a fronte di un’Inghilterra sempre più debole. Il primo arbitrato di Vienna prefigura la nuova sistemazione europea hitleriana, che riguarda la risistemazione parziale delle frontiere cecoslovacche la Cecoslovacchia viene invitata a cedere parte delle due frontiere all’Ungheria (1938), che fino a quel momento era stato il paese revisionista per definizione nell’Europa orientale, con cui era alleata l’Italia per portare avanti le proprie rivendicazioni revisioniste. A Vienna, gli italiani fungono da mediatori nel cercare di assecondare il disegno di ordine hitleriano in Europa orientale, non solo riprendendosi i Sudeti e Danzica, ma procedendo alla completa satellizzazione dell’Europa orientale per circondare l’URSS. Nel marzo 1939 l’invasione della Boemia e della Moravia pone la questione in altri termini, con l’appeasement che è davanti alla realtà Hitler non avrebbe fermato le sue pretese e il destino della Polonia è segnato. Anche in questa fase la dirigenza polacca sembra viaggiare in un mondo parallelo ed essa affronta l’armata tedesca con una brigata corazzata: follia! Chamberlain aveva garantito davanti alla Camera dei Comuni l’indipendenza della Polonia (1939), che non è l’integrità esiste ancora il margine della trattativa di accomodamento con Hitler che avrebbe previsto il sacrificio di Danzica. Si vuole scongiurare l’ipotesi che la Polonia sparisca dalla cartina geografica, nonostante la spartizione della Polonia fosse già stata oggetto di discussione di trattati tedesco-sovietici degli anni Venti. Inoltre, come mai la Cecoslovacchia garantita dalla Francia può essere smembrata senza intervento di Francia e Gran Bretagna? Lo smembramento cecoslovacco poteva essere una sorta di atto consenziente. L’ipotesi che anche in questo caso inglesi e francesi fossero paralizzati rispetto all’eventualità di intraprendere un’azione militare era corretta e non bisogna dimenticare che Hitler aveva messo in conto la guerra, ritenendola accettabile, salvo un problema: non era il caso di affrontare una guerra con uno schieramento così aperto e senza sapere cosa avrebbero fatto i sovietici. In questa fase Hitler decide di attaccare la Polonia nella primavera del 1939 e in aprile egli denuncia il patto con la Polonia (firmato nel 1934, sorta di accordo di garanzia). Pare che gli inglesi e i francesi non si rendessero ben conto di questo e inoltre, la Germania denuncia l’accordo navale con la Gran Bretagna negoziato nel 1935 da Eden. Inoltre, nel maggio 1939 a Litvinov succede Molotov; il primo aveva incarnato la politica filo-occidentale di Stalin, volta ad un negoziato con Francia e Inghilterra e nel maggio 1939 la dirigenza sovietica trae le conclusioni del temporeggiare francese e pensa alle proprie esigenze politiche: 1. Politica di garanzia ai paesi baltici, a cui l’URSS guardava come territori da annettersi e da influenzare maggiormente e 2. Apertura con la Germania di un dialogo e un negoziato, opzione sorprendente per la Germania, che nel 1939 aveva anche firmato il Patto d’acciaio con la Germania. Il Patto d’acciaio fu un’alleanza con la Germania, che a quel punto sembrava un sentiero univoco, ma il primo principio di questo patto andò contro qualsiasi logica Italia si legò mani e piedi ad un alleato effervescente e imprevedibile, nonostante essa fosse militarmente impreparata e consapevole a priori di questo. Mussolini cerca disperatamente di far capire all’alleato che prima del 1942 l’Italia non sarebbe stata in grado di entrare in guerra, ma nonostante questo l’Italia si lega indissolubilmente alla Germania, anche nel caso in cui la Germania non venga sfortunatamente attaccata, ma sia lei stessa l’aggressore. È per di più particolare la volontà con cui il patto viene portato avanti Ciano si avvicina alla politica tedesca, per rendersi conto successivamente dell’eccessiva disinvoltura tedesca nelle trattative, ad esempio nel caso del protocollo Cavallero, il quale faceva presente alla Germania le necessità italiane di colmare i propri deficit e i propri ritardi militari. Esso non è una conditio sine qua non, bensì una clausola aggiunta successivamente e che di fatto perde ogni valore. Quando a malincuore l’Italia deve dichiarare la propria non belligeranza, con una lista di materiali che mancavano ancora all’esercito e all’industria italiana, l’Italia appare chiaramente inferiore e può solo assecondare l’azione tedesca Italia è un buon secondo, cui non è nemmeno necessario comunicare la conclusione dell’accordo Molotov-Ribbentrop. Il patto Molotov-Ribbentrop (23/08/1939) viene concluso velocemente. I sovietici stanno tenendo in piedi una trattativa con inglesi e francesi e quella con i tedeschi: quanto è corretto o scorretto l’atteggiamento sovietico? L’URSS si stava solo tutelando in caso di fallimento del negoziato con i tedeschi. In questo accordo la centralità è data dal protocollo segreto, che è la prova dell’eccezionale pragmatismo delle due nazioni: esso prevede la spartizione politica ed economica della Polonia. Nel caso in cui i tedeschi provocassero una modificazione dello status quo in Polonia, l’URSS avrebbe ingabbiato i territori ucraini e bielorussi della Polonia, riprendendosi i confini persi durante il conflitto russo-polacco. Erano territori di grande peso strategico, laddove l’Ucraina è fondamentale per i sovietici, in quanto da essa possono avanzare rivoluzioni e malumori (elemento strategico da tenere calmo e ben saldo, interamente sotto il controllo sovietico) e questa viene considerata da Stalin una politica di sicurezza, a cui si aggiungeva la Polonia etnica (per lo meno nella prima stesura, che prevedeva Lubin e Varsavia all’Unione Sovietica). I russi avrebbero avuto mano libera nei paesi baltici e in Finlandia, mentre la Polonia sarebbe stata gestita secondariamente da Germania e URSS. Sarà solo in futuro che verrà deciso il destino polacco. Al contempo, l’URSS manifesta il particolare interesse sovietico alla Bessarabia rumena, il cui sottosuolo era ricco di materie prime. Ecco che il destino polacco è segnato e sia Germania che l’URSS si sentono ora più sicure riguardo ad un’azione in Polonia. Nel momento in cui si era smembrata la Cecoslovacchia, la Polonia si era presa Teschen. C’è ancora la speranza che il Lebensraum tedesco e il Drang nach Osten fosse ormai accantonato da parte della Germania, con un Hitler che agisse razionalmente e che si guardasse bene dall’andare oltre i confini definiti dal patto Molotov-Ribbentrop grande errore di valutazione di Stalin, che però in quel momento era convinto di aver compiuto il passo migliore per garantirsi contro la Germania. Si stava però a guardarsi sempre da una possibile alleanza tra i paesi capitalisti in funzione antisovietica e questa era un’altra ossessione staliniana. Tuttavia, la prima prova militare dell’URSS in Giappone (Manciuria) non fu negativa e i giapponesi dovettero arretrare. (al contrario in Finlandia ci fu un totale fallimento militare). La Polonia non è militarmente in grado di sostenere l’attacco tedesco e tra l’altro con l’invasione della Polonia scatta la risposta anglo-francese a tutela della Polonia; ai primi di settembre si realizza ciò che era stato ampiamente preventivato: la drôle de guerre vede una Germania che si mangiava la Polonia, insieme ai sovietici che arrivarono il 17 settembre. Già il 28 settembre c’è una prima modifica degli accordi territoriali tra Germania e URSS, che riguardano il dato della Polonia etnica, a cui ora rinunciano i sovietici. Lublino e Varsavia sono lasciate alla Germania (che acquisisce Memel), dando in cambio all’URSS la Lituania, unico dei paesi baltici che sarebbe dovuto andare alla Germania. Questa è l’opzione razionale di Stalin, perché egli si leva il peso di tenere al proprio interno in futuro una rivolta in più che non è assolutamente necessaria a lui i paesi baltici erano strategici per la sicurezza sovietica, come lo era la Finlandia che era vicinissima a Leningrado. I sovietici avvisano cortesemente la Finlandia per ottenere un confine sicuro e ulteriore territorio intorno a Leningrado + base militare in Finlandia in cambio della Carelia russa. I finlandesi avrebbero così rinunciato alla loro sovranità militare di fatto (insignificante rilevanza strategica), con l’influenza sovietica che si sarebbe estesa su tutto il territorio. L’assoluta mancanza di qualsiasi provvedimento militare o strategico, difensivo, a tutela dell’URSS contro l’azione politica ed espansiva tedesca fa presagire una fiducia cieca sovietica verso l’alleato: Stalin sceglie quindi di fidarsi fino alla fine dell’accordo Molotov-Ribbentrop, nonostante la politica estera sovietica fosse a tratti ondivaga a tratti orientata ad ottenere il massimo. Nel novembre 1939 parte l’attacco sovietico alla Finlandia, che si rivelerà fallimentare e la Società delle Nazioni decreterà l’espulsione dell’Unione Sovietica; negli Stati Uniti, la campagna finlandese ha effetti prorompenti nell’opinione pubblica e la non buona prova militare sovietica annebbia il prestigio dell’alleato tedesco. I tedeschi si interrogano quindi sulla possibilità di portare a termine il nuovo ordine militare e iniziano a riflettere su un potenziale attacco della Wehrmacht all’Armata Rossa + l’URSS aveva un approccio realista che guardava sempre alle sue esigenze di evitare l’accerchiamento. Nel 1940, la Germania invade Norvegia, Danimarca e a maggio la Francia, con cui a giugno si firma l’armistizio. A giugno inoltre, l’Italia pugnala alla schiena la Francia e le dichiara guerra, perché Mussolini temeva di essere tagliato fuori dalla Blitzkrieg che stava procedendo le truppe tedesche sembravano inarrestabili e l’armistizio con la Francia a giugno significa per la Germania aver grossomodo risolto il conflitto. Innanzitutto, Hitler pensa di potersi accordare con la Gran Bretagna, in quanto gli interessi tedeschi non confliggevano direttamente con quelli inglesi; in realtà a luglio, la Gran Bretagna respinge le proposte di pace della Germania (perchè era già in guerra con la Germania) e a settembre viene stipulato il patto tripartito tra Italia-Germania-Giappone = elemento con il quale Hitler porta avanti la sua politica in tutta l’Europa orientale. Nel 1940, la Gran Bretagna godeva di una posizione insulare, che le permetteva di trattare con l’aggressore senza averlo nelle proprie vicinanze. All’alba del 1940 gli Usa non sono ancora entrati in guerra, eppure sono pronti a foraggiare la Gran Bretagna in ogni modo possibile, permettendole di godere di un vantaggio che sarà rilevante sul lungo periodo. La politica USA raggiunse il massimo del suo isolazionismo negli anni trenta, dopo la crisi di Wall Street, quando i movimenti conservatori del congresso e quelli pacifisti si schierarono nettamente contro l’intervento, ma dal 1932, quando Roosevelt diventa presidente, che inizia il cambiamento del sentore pubblico riguardo alla politica estera americana. La politica di Roosevelt è assolutamente isolazionista nella prima fase della sua politica estera, in quanto il suo obiettivo domestico è il New Deal + leggi di neutralità = serie di bills che vengono votati al congresso in maggioranza isolazionista che orientano la politica americana verso il mantenimento di una neutralità assoluta, in quanto gli Usa non devono in alcun modo essere coinvolti in un conflitto, indipendentemente da aggressori o aggrediti. Quando poi i pacifisti e i conservatori convergeranno favorevolmente sull’intervento pro-UK, gli Usa decideranno quindi di convogliare le loro forze a sostegno della Gran Bretagna. Passerà poi un emendamento che permetterà al presidente USA di decidere dove c’è in atto una guerra e dove non vi è (ad esempio, guerra Cina-Giappone non sarà considerata guerra). Alcuni atti di neutralità sono la legge Cash and Carry del 1937, che prevede che gli acquirenti di merci sul mercato Usa tra i belligeranti dovevano pagare cash (quindi no prestiti) e trasportarle autonomamente, per evitare che convogli americani fossero soggetti a incidenti di percorso. Dal 1938-39 Roosevelt tiene monitorata la situazione della politica interna americana, con sondaggi di opinione utilizzati per la prima volta in modo sistematico per valutare la politica e l’orientamento americano è teso ad offrire prima una mediazione e i discorsi del caminetto già indicano l’orientamento di portare l’opinione pubblica USA di intervenire come grande arsenale delle democrazie (prima di Pearl Harbour). L’ultima legge di neutralità sarà nel 1941 la legge degli Affitti e dei prestiti, che di fatto segnerà l’ingresso Usa nel conflitto, a suggello dello scambio epistolare tra Churchill e Roosevelt. chiaro sostegno economico, militare e politico alla Gran Bretagna. 28.04.2014 Nel primo 1940, durante la battaglia d’Inghilterra, è fondamentale capire l’andamento delle relazioni tra Germania e Unione Sovietica, per capire come può avvenire l’operazione Barbarossa e il rovesciamento di un’alleanza (quella del patto Molotov-Ribbentrop), che stava dando risultati convenienti ad ambe le parti, nei termini di protezione sul fronte orientale per la Germania e per l’Unione Sovietica di porre in essere una politica difensiva, allargandosi verso l’occidente, inglobando l’Ucraina e la Bielorussia nella propria sfera di influenza e evitando che vigessero i confini stabiliti dal Trattato di Riga (1921) considerati alquanto insicuri. In qualche modo la politica sovietica viene definita in chiave difensiva; concetto di difesa dell’URSS facilmente si confonde con il contrario, cioè l’avanzata verso territori non sovietici. Dalla prima stesura del patto Molotov-Ribbentrop i sovietici cambiano d’avviso e rinunciano alle Polonia etnica per occupare i territori del Baltico, mettendo in sicurezza i confini verso la Finlandia: infatti, la distanza del confine finlandese da Pietrogrado era minima. È evidente che l’attacco temuto non era quello dei finlandesi, quanto si temeva l’influenza che i tedeschi avrebbero presto esercitato sulla Finlandia, con l’URSS che sarebbe stata di conseguenza più vulnerabile. Non è corretto pensare che l’URSS non si tuteli minimamente dalla Germania, ma una volta che Stalin decide di correre il rischio legandosi alla Germania esso si rivela presto irreversibile : si inaugura uno stato di diffidenza temporanea e cecità permanente di non voler vedere che il fine ultimo di Hitler dal 1940 è proprio orientato a portare l’attacco verso l’URSS sul fronte orientale. Tuttavia, nel corso di tutti questi decenni la Germania è sempre stata terrorizzata dall’attacco su due fronti e ora ciò non sembrava più spaventare i tedeschi quali ragionamenti giustificano l’operazione Barbarossa? Inoltre, nonostante la Francia fosse ormai battuta, la battuta con l’Inghilterra non era stata risolutiva né tantomeno sarà combattuta in un futuro prossimo. L’operazione Leone Marino di invasione tedesca ai danni britannici sarà infatti rimandata ad un secondo momento e poi mai attuata Hitler sceglie di aprire un secondo fronte orientale quando non ha ancora chiuso il fronte occidentale. Le ragioni di questa scelta sono da ritrovare nelle seguenti motivazioni: 1. L’elemento ideologico prende il sopravvento sulle scelte strategiche e razionali, con l’intrinseca avversione del nazionalsocialismo al bolscevismo e agli Untermenschen. Si teorizza una inferiorità razziale di popoli abitati in maniera nutrita anche da ebrei; 2. Il dato logistico acquista un’importanza fondamentale, in quanto vincerà la guerra chi sarà in grado di far fronte ai rifornimenti e di approvvigionarsi costantemente l’est Europa era ricco di materie prime, soprattutto di metalli e quindi poteva essere ampiamente sfruttato. La Germania ha un bacino siderurgico ricco, ma le mancano metalli ferrosi indispensabili alla creazione di armi per il conflitto (vedi nella Battaglia d’Inghilterra tutto l’uso di aerei che si dispendono). Il disegno tedesco di battere la produzione britannica fallirà per quanto riguarda gli aerei. Non c’è solo l’Ucraina da sfruttare nella sua produzione agricola, ma ci sono tanti altri bacini petroliferi che non devono essere sottostimati e per di più, il tutto avviene prima del totale e pieno coinvolgimento Usa nel conflitto; 3. L’eventualità che Hitler si riappropri del suo disegno iniziale di dominio sul continente, nel quale rientrava secondariamente anche la Gran Bretagna, verso la quale la Germania non aveva delle precise rivendicazioni, se non di accettare il nuovo ordine tedesco. La Gran Bretagna non avrebbe sopportato alcuna perdita territoriale, ma avrebbe semplicemente verificato l’instaurazione del nuovo ordine hitleriano sul continente i tedeschi nutrono la speranza costante che l’Inghilterra ceda rispetto a questo progetto, accettando che la Germania faccia il lavoro sporco di liberarsi dei bolscevichi. Ciò che l’URSS temeva maggiormente era una convergenza di tutti i paesi capitalisti contro i bolscevichi, ovvero lo scenario prospettato dai primi appeasers secondo cui, a fronte delle minacce e dei pericoli provenienti sia dalla Germania nazista che dal bolscevismo, la Germania era tutto sommato il male minore. Il conflitto avrebbe ricevuto quindi una caratterizzazione più ideologica, portando la Gran Bretagna a sostenere il nuovo ordine. Inoltre, si stava creando qualche problema all’interno dell’alleanza MolotovRibbentrop: da un lato i sovietici cercano di rassicurare la Germania riguardo al loro rispetto dell’accordo, ma dall’altro essi dichiarano le loro pretese, che non toccavano solo i paesi baltici, ma anche la Bessarabia rumena e una serie di ulteriori rivendicazioni territoriali che rivelano il disegno difensivo e geostrategico dell’URSS per diventare inattaccabile. I tedeschi non vogliono che la presenza sovietica nei Balcani possa essere rilevante e appena essi chiedono di occupare la Bucovina (regione con popolazioni di origine ucraina e mai menzionata dai precedenti accordi) e la Bessarabia, i tedeschi si risvegliano sull’evidente competizione russa e tedesca sull’occupazione di questi territori. A giugno 1940 la Russia si annette quindi sia la Bucovina del Nord che la Bessarabia rumena e i tedeschi rispondono attraverso l’accordo del Secondo Arbitrato di Vienna. Il primo arbitrato aveva sistemato le faccende slovacche: l'Italia fascista e la Germania nazista obbligarono la Cecoslovacchia a cedere vaste porzioni della Slovacchia meridionale e della Rutenia all'Ungheria ed esso va quindi ad intendersi in una logica di politica revisionista dell’Ungheria, mentre il secondo arbitrato prevede che la Romania ceda gran parte della Transilvania all’Ungheria e la Dobrugia meridionale alla Bulgaria, con il resto del territorio rumeno che viene garantito territorialmente dalla Germania, prevenendo qualsiasi sorta di istanza sovietica nei Balcani. Il secondo arbitrato di Vienna esemplifica il nuovo ordine germanico, di cui si avevano avute le prime avvisaglie già dalla conferenza di Monaco, quando Hitler aveva risistemato la situazione polacca strappando alcuni territori alla Cecoslovacchia e dando Teschen ai polacchi: la filosofia era quella di una sorta di “divide et impera”, di spartizione interna ai paesi dell’Europa orientale per ribadire e rafforzare l’influenza tedesca su questi paesi; con il secondo arbitrato, la Germania vuole togliere dalla Romania tutti i territori che storicamente erano oggetto di rivendicazione da parte dei paesi vicini, rendendo quest’ultima una enclave tedesca nei Balcani. Qualsiasi ulteriore velleità di espansione sovietica viene chiarita rispetto a quelle tedesche: da un lato, la volontà sovietica è quella di rassicurare i tedeschi riguardo all’integrità del patto MolotovRibbentrop, mentre dall’altro l’URSS dimostra una certa rigidità verso le istanze tedesche non conviene alla Germania avanzare una politica estera aggressiva verso l’URSS. Il 27 settembre nasce il patto tripartito tra Italia-Giappone-Germania, chiarendo il ruolo guida della Germania e dell’Italia sul continente europeo ed esso ingloberà presto l’Ungheria e la Romania e successivamente vi entrerà volontariamente anche la Jugoslavia. In qualche modo la stretta tedesca sui Balcani e sull’Europa orientale diventa un dato irreversibile e il patto tripartito delinea benissimo l’influenza tedesca dei Balcani. Da ultima, il patto tripartito accoglierà 1941 anche la Croazia, dove era al potere il regime di destra ipernazionalista, fascista, razzista degli ustascia. Nel novembre 1940 avviene il viaggio di Molotov a Berlino e in questo frangente i tedeschi cercano di persuadere i sovietici ad entrare nel patto tripartito, con una volontà tedesca di influenzare incondizionatamente la politica sovietica Molotov accoglie questa proposta come una provocazione, in quanto l’URSS si sarebbe dovuta piegare al nuovo ordine instaurato dalla Germania. È già ben chiara a tutti i vertici militari tedeschi la prossimità di un’operazione militare contro l’URSS. Nel marzo 1941 la Jugoslavia e il suo reggente Paolo dichiarano di voler entrare nel patto tripartito, ma alcuni giorni dopo un colpo di mano serbo fa saltare dal trono l’attuale reggente Paolo, a cui succede re Pietro, sostenitore della resistenza alla Germania e non propenso a firmare il patto tripartito. La Germania si vede così porre davanti l’eventualità di invadere la Jugoslavia per controllare totalmente i Balcani; inoltre, l’alleato principale della Germania, l’Italia, è in gran difficoltà in Grecia (attaccata per calcolo tedesco di destabilizzare la Gran Bretagna) e la dispersione delle forze per l’Italia è rilevante, la quale stava sopportando anche un fronte in Africa e il tutto era particolarmente difficoltoso data la scarsa preparazione italiana. La Germania comunque condivide l’idea italiana di porre saldamente sotto controllo la Grecia, che avrebbe indebolito la posizione britannica nel Mediterraneo orientale. Solitamente si dice che Hitler abbia dovuto ritardare l’operazione Barbarossa proprio per la necessità di soccorrere gli italiani in Grecia. In realtà, il ritardo dell’operazione Barbarossa avviene perché in primis i tedeschi devono sistemare la vicenda jugoslava e chiarire l’entrata di essa nel patto tripartito l’invasione della Jugoslavia comporterà inoltre la spartizione del suo territorio da parte delle truppe tedesche. La Jugoslavia sceglierà di resistere e verrà successivamente creato un regno di Croazia di estrema destra fascista, razzista, ipernazionalista sotto gli ustascia e da qui inizierà una guerra estremamente cruenta, che avrebbe dovuto consentire all’Italia di rimettere mano alla Jugoslavia e conquistando nuove posizioni sulla costa dalmata, consentendo inoltre ai tedeschi di puntellare le loro posizioni nel Balcani. La collocazione temporale dell’operazione Barbarossa è molto importante. Il dato climatico è estremamente importante da considerare, perché il tempo per agire e avanzare è poco. Il 22 giugno 1941 ha inizio l’operazione Barbarossa, con le prime truppe corazzate tedesche che passano la frontiera sovietica. L’unico elemento con il quale l’URSS aveva rafforzato la propria posizione nei confronti della Germania durante l’irrigidimento delle relazioni tra queste ultime è il trattato di neutralità stipulato con il Giappone nell’aprile 1941, con cui l’URSS si garantisce la neutralità del nemico storico. Il Giappone è convinto di doversi focalizzare verso i possedimenti britannici in estremo oriente e guarda di conseguenza alla Birmania e ad un altro percorso; la neutralità reciproca giova quindi sia al Giappone che all’Unione Sovietica. L’URSS non era quindi rimasta immobile, sfruttando anche il peggioramento delle relazioni tra Giappone e Usa che inizia nell’aprile 1941, in quanto il Giappone non aveva alternative al tipo di politica aggressiva che stava portando avanti. È innegabile che il Giappone avesse enormi difficoltà logistiche e di approvvigionamento militare, in quanto non dispone di risorse interne per provvedere alla creazione e al sostentamento di un apparato militare e deve guardare altrove si rivolge alla Cina e ai possedimenti dell’impero orientale britannico, poiché gli Usa chiudono al Giappone con una politica di sanzioni economiche ed embargo. Questo è sufficiente per garantire agli Stati Uniti che presto o tardi si avvicinerà il momento di una guerra contro il Giappone. È interessante che nel 1941, dopo l’inizio dell’operazione Barbarossa, per i primi 10 giorni le truppe tedesche non incontrano alcuna resistenza e Stalin non dà alcuna notizia di sé giorni di crisi estrema del regime. A Stalin si sta profilando il peggiore degli incubi, ovvero una guerra combattuta sul territorio russo, laddove l’ultima guerra combattuta sul territorio russo aveva significato il crollo del regime degli zar. La responsabilità politica di Stalin è evidente, è lui che ha scelto la politica del patto Molotov-Ribbentrop di alleanza con la Germania ed è lui che ora ne fa politicamente le spese. Si pone un punto interrogativo sul destino politico dello stesso Stalin, che dopo 10 giorni riprende però in mano la situazione, modifica la propria politica nel corso della guerra con la Germania e la volge al ritrovamento dei valori panrussi e della vecchia madre Russia Russia contro il nemico storico tedesco. In realtà, la campagna tedesca sul fronte orientale è estremamente cruenta e la Wehrmacht non solo continua nello sterminio degli ebrei, ma stermina anche civili, nonostante queste comunicazioni vengano ben presto occultate. I militari devono sopportare il peso di un conflitto drammaticamente cruento e giocato in modo sbagliato; non si sfrutta l’eventualità di una ribellione ucraina contro il dominio sovietico e i tedeschi non considerano queste sottigliezze politiche. L’Ucraina è e rimane il tallone d’Achille dell’URSS ed è un’ossessione per Stalin durante tutta la guerra. Ora conta il dato militare: è vero che i tedeschi penetrano in profondo nel territorio sovietico, ma è altrettanto vero che una serie di elementi (clima, vastità territoriale) giocheranno ben presto a favore dei sovietici, che iniziano immediatamente le tappe forzate del trasferimento dei grandi impianti industriali sovietici oltre gli Urali. Allo stesso tempo sono fondamentali per il sostentamento del fronte sovietico gli aiuti americani nel 1941 gli Usa hanno definitivamente mutato la loro politica. Roosevelt non è più totalmente neutrale, anzi è riuscito pian piano a portare gli Stati Uniti verso un coinvolgimento diretto inizialmente economico poi militare all’interno del conflitto. Ad esempio, l’ultima legge economica statunitense, la Cash and Carry, che prevedeva che chi dei belligeranti avesse acquistato sul mercato americano avrebbe dovuto farlo in contanti e avrebbe dovuto trasportare sui propri convogli la merce, faceva presumere quindi che gli Stati Uniti si rivolgessero a quelle potenze che esercitavano un controllo sull’Atlantico, ovvero la Gran Bretagna, prevenendo l’isolamento degli Usa in politica estera. Nel 1941 la svolta di Roosevelt è definitiva e l’opinione pubblica è in modo crescente benevolente verso il suo presidente. Anche i calls, i sondaggi di opinione che diventano uno strumento consuetudinario per cogliere l’umore americano, rilevano il favore popolare all’entrata in guerra e Roosevelt entra nel conflitto certo di un pieno appoggio della società, avendo abilmente strumentalizzato anche l’attacco giapponese a Pearl Harbour. Gli statunitensi infatti sapevano presumibilmente sia la data dell’attacco che le modalità di esso e lasciando ancora alle Hawaii parte della flotta americana perseguirono vari scopi: innanzitutto, la distruzione di una parte di flotta anziana e vuota, minimizzando il danno e permettendo all’industria di lavorare ulteriormente per il rinnovamento della marina e secondariamente, l’attacco e la sua pubblicizzazione favorirono lo sdegno pubblico e la crescita del sentimento popolare di interventismo. Il primo strumento con cui gli Usa entrano nel conflitto è la legge Affitti e Prestiti della primavera 1941: la politica americana viene modificata in favore di un aiuto totale verso la Gran Bretagna, unica nazione rimasta a resistere contro la Germania. Tuttavia, la Gran Bretagna ha bisogno di ulteriori finanziamenti e la legge Affitti-Prestiti indica la predisposizione Usa di affittare simbolicamente delle somme all’Inghilterra e alle potenze belligeranti primo grande coinvolgimento Usa nel conflitto con tutto il loro peso economico. Successivamente, la Gran Bretagna siglerà l’accordo delle cacciatorpediniere, nell’occasione in cui Churchill chiederà direttamente agli Stati Uniti e otterrà la concessione di 50 cacciatorpediniere americane, che simbolicamente rappresentano l’affiancamento Usa alla Gran Bretagna, ormai sola a sostenere con le proprie forze il conflitto. Con la legge Affitti-Prestiti avviene il cambiamento decisivo nella concezione di politica estera statunitense e Roosevelt utilizzerà la metafora della casa bruciata per spiegare l’aiuto pronto e puntuale alla Gran Bretagna (se al vostro vicino di casa brucia la casa, gli prestate un idrante e gettate acqua sulla casa, senza chiedergli di pagarvi in anticipo). La politica di coinvolgimento in guerra e della legittimità di esso viene inculcata passo dopo passo nella mente dei cittadini americani, in un’ottica lungimirante delle necessità difensive degli stessi Stati Uniti, i quali sanno di poter vedere direttamente minacciati da questo conflitto europeo anche i loro interessi. Questa è la condizione della legge AffittiPrestiti, la quale ancora una volta simboleggia il modo attraverso il quale gli Usa garantiscono dall’inizio prima alla Gran Bretagna poi all’URSS dei rifornimenti costanti, attraverso il Golfo Persico o i porti artici, di petrolio, cibo, materiali e vestiario per i soldati. I bisogni sovietici sono infiniti e gli Usa danno una risposta eccezionalmente efficiente, perché l’industria statunitense è nel pieno della propria produttività e questo tipo d’aiuto è il primo grande punto di forza per la Gran Bretagna e per l’URSS. Dall’estate del 1941, quando sembra che le sorti del conflitto siano segnate, si attivano questi aiuti, ma attenzione, l’URSS non era disarmata e aveva truppe corazzate! Ben presto l’URSS dimostra di saper tener testa militarmente alla Germania e nel momento in cui l’URSS contrattacca, Stalin chiarirà da subito con il proprio alleato Churchill il dato fondamentale che in nessun caso l’URSS è disposta ad accettare il ripristino del trattato di Riga. Fin dall’estate 1941 il destino dei polacchi comincia ad essere segnato e la vertenza polacca sarà un fattore di divisione del fronte alleato nel dopoguerra, ma su cui la posizione di Stalin è in realtà ferma: le frontiere del trattato di Riga, giudicate non convenienti dal punto di vista strategico per l’URSS, non vanno ripristinate. C’è un accordo tra i sovietici e il governo di Londra, il governo polacco in esilio: i sovietici con il tempo volevano delegittimare il governo nazionalista in esilio di Londra per invece sostenere l’Unione dei Patrioti Polacchi, longa manus sovietica per tenere sotto controllo la dirigenza polacca. Se formalmente i sovietici disconoscono inizialmente l’accordo Molotov-Ribbentrop con i polacchi, essi chiariscono che non vogliono assolutamente tornare sulle posizioni del trattato di Riga e iniziano ad insistere per l’apertura ovvia di un secondo fronte, teso a scaricare l’attacco tedesco. A quel punto, con una Francia occupata, il mondo orientale sotto l’egida tedesca e il patto tripartito, il grosso del conflitto viene sostenuto dai sovietici, che non chiedono un fronte secondario come quello africano, ma un secondo fronte europeo evidentemente in Francia. Psicologicamente, la mancata apertura di un secondo fronte a ovest pone gli inglesi e gli americani in una situazione di difficoltà rispetto all’alleato sovietico, che riceve tante promesse, ma nessun fatto. La sua apertura viene quindi costantemente rinviata e fino al 1944 esiste un elemento che condiziona gli angloamericani, ovvero il fatto che, seppure con i fondamentali aiuti economici che elargiscono ai sovietici, è vero che sono questi ultimi a sostenere il peso dell’offensiva tedesca. Il 1943 segna un fatto importantissimo per i sovietici, ovverp la loro vittoria definitiva a Stalingrado, che segnerà il punto di non ritorno per i tedeschi, che perdono qualsiasi possibilità di vincere; eppure, nel settembre 1943 avviene la resa italiana, con l’Italia che diventa uno scenario solo di impegno marginale per gli angloamericani. L’impegno è anche calcolabile in termini numerici e il valore dell’intervento italiano sarà squisitamente politico. La questione dell’apertura del secondo fronte diventa una costante negli incontri di vertice anglo-sovietici e successivamente a tre l’apertura del secondo fronte sarà rinviata a oltranza, nonostante nell’agosto 1942 Churchill garantisca a Mosca a Stalin che gli alleati si stanno adoperando per aprire un secondo fronte, cosa che avverrà sì in Africa, ma non certo sul continente europeo. I costanti rinvii sono un elemento che pesa nelle relazioni tra sovietici e angloamericani. Inoltre, regna una sostanziale diffidenza da parte dell’URSS verso gli angloamericani: perché loro non avrebbero potuto firmare una pace separata con la Germania, lasciandola compiere la sua invasione verso est? Ritorna l’incubo di un’alleanza dei paesi capitalistici contro il bolscevismo e lo stesso Roosevelt nel 1941, quando gli Usa sono ormai pienamente nel conflitto, si sospetta fosse a conoscenza dell’attacco giapponese, della data e dell’entità della perdita. Il danno fu sicuramente “accettabile” e l’entrata in guerra avvenne senza minime opposizioni dell’opinione pubblica e gli Usa non dovettero nemmeno dichiarare guerra a Italia e Germania, in quanto furono esse stesse a dichiararla agli Stati Uniti. Roosevelt cerca da subito di connotare precisamente il suo grande disegno rispetto all’assetto del dopoguerra ruolo centrale degli Stati Uniti, ma diverso da quello che eserciteranno dopo il 1945. Un ruolo di primus inter pares all’interno delle Nazioni Unite, ma anche un insieme di relazioni internazionali che consentiranno agli Stati Uniti di rientrare nel loro mondo. Inoltre Roosevelt pensa che sia sbagliato agire con precisi accordi preventivi: la mancanza di accordi preventivi precisi e la morte dello stesso Roosevelt nell’aprile 1945 sono elementi che favoriscono l’addensamento di nubi sul fronte interalleato. Innanzitutto Roosevelt voleva lavorare per eliminare la diffidenza sovietica e immediatamente si parla della resa incondizionata, in base alla quale nessun belligerante avrebbe dovuto firmare una pace separata con la Germania, che doveva firmare una sconfitta definitiva e tout court; al contrario, la possibilità di trovare un accordo politico con la Germania era la possibilità più temuta dall’URSS, in quanto si poteva prevedere che l’URSS fosse lasciata sola a sostenere il fronte di combattimento contro la Germania. Roosevelt ha una gestione molto personale della politica estera e poche figure vicine a lui sono al corrente delle misure di politica estera che intende prendere; essenzialmente egli è un accentratore e questo elemento sarà una difficoltà per il suo vice e futuro presidente Truman nel trovare una continuità con la politica precedente. Le caratteristiche di Roosevelt sono quindi degne di comprensione, in quanto da esse possiamo capire quanto la morte del presidente abbia pesato sulle sorti dell’alleanza tra gli anglo-sovietici. Churchill è portatore di una visione più classica e di interessi differenti, in quanto Roosevelt non pensa di avallare in alcun modo l’esistenza in vita di un impero britannico, modificando il proprio assetto imperiale dopo la fine della guerra necessità di indipendenza indiana e matrice anticoloniale. Sia Stalin che Churchill partono da presupposti classici di politica estera e non vogliono rompere: Churchill cerca di prevenire l’eventualità che l’URSS, alla fine della guerra, possa esercitare un’influenza o portare avanti delle istanze su zone classicamente di influenza inglese, come il Mediterraneo e gli stretti, e per questa ragione Churchill corteggia la Turchia, che si trova in una situazione pericolosamente traballante tra le due alleanze, con il premier inglese che la vuole portare all’intervento. Anche Stalin concepisce la possibilità di un accordo preventivo per tutelare le esigenze sovietiche e, nonostante il destino della Polonia sia segnato, la Gran Bretagna difende a spada tratta i suoi alleati sovietici soprattutto dopo l’episodio della foresta di Katyn. Pur con l’apparenza di difendere il governo polacco in esilio a Londra, al ritrovamento dei massacri di Katyn e dopo la ritirata tedesca, i sovietici attribuiscono immediatamente la responsabilità dell’eccidio ai tedeschi e gli inglesi li appoggiano nelle loro accuse. A questo punto il primo ministro polacco in esilio chiede che la Croce Rossa Internazionale possa recarsi in loco a svolgere un’indagine e Churchill, terrorizzato dall’eventuale scoperta di una responsabilità sovietica e quindi di un appannamento del prestigio alleato, rifiuta qualsiasi ispezione sui morti, in quanto ormai erano tali e non sarebbero tornati in vita la stessa Gran Bretagna, che inizialmente aveva difeso le sorti polacche, è ora disposta alla ricerca del compromesso con l’alleato sovietico, riportando la Polonia nei suoi confini etnici (=non avrebbe inglobato né territori ucraini né bielorussi). Nel 1943 i sovietici si relazionano ormai solo con l’Unione dei Patrioti Polacchi e si prevede una Polonia etnica spostata verso ovest, che incameri una fetta di Germania e lasci i territori ad est sotto sovranità sovietica. La Polonia non potrà che gravitare nell’orbita sovietica, a ragion del fatto che doveva difendersi dal revanchismo tedesco, essendo il confine sulla linea Oder-Neisse. La politica strategica sovietica è classica e nel lungo termine guarda a questo assetto territoriale, per evitare ritorni aggressivi della Germania. Non ci si affida solo al modello wilsoniano, affidandosi ciecamente al modello delle Nazioni Unite. 05.05.2014 Nel corso del conflitto, tra il 1942-43, i rapporti interalleati si orientano sempre più verso una serie di blocchi psicologici: Stati Uniti e Gran Bretagna devono costantemente far fronte alla richiesta sovietica di aprire un secondo fronte, che per i sovietici doveva essere qualcosa di cospicuo. Le operazioni in Africa, in Sicilia, fino alla resa italiana del settembre 1943 non erano sufficientemente consistenti per l’URSS, ragion per cui il vero secondo fronte era rappresentato dall’avvio dell’operazione Overlord, che avrebbe aperto un fronte in Francia. Negli incontri a tre, rimandando sempre l’apertura di questo fronte, soprattutto dopo la battaglia di Stalingrado che segna la superiorità sovietica, Stalin inizia a trattare da una posizione privilegiata. Dall’ottobre 1943 gli incontri non saranno più quindi a due, tra americani e inglesi, ma a tre, con sovietici, inglesi e americani, laddove inizialmente i primi vertici coinvolgeranno i ministri degli esteri, ma successivamente tutto culminerà nella Conferenza di Teheran. Nel settembre 1943 l’Italia esce di scena, firma l’armistizio e dal punto di vista delle relazioni internazionali il settembre 1943 è un primo vero banco di prova nelle relazioni effettive tra gli alleati: per la prima volta, si tratta per gli alleati di arrivare ad un pre-accordo di pace con una potenza dell’asse. Sebbene dalla conferenza di Casablanca si sia stabilito il principio della resa incondizionata, avallando l’idea che qualsiasi armistizio sarebbe stato comunque deciso “a tre”, in realtà l’armistizio italiano è diverso. Lo sbarco alleato in Sicilia avviene ad opera degli alleati, con l’aiuto della popolazione locale che tendenzialmente non resiste all’avanzata. Tuttavia, Badoglio sa che l’annuncio dell’armistizio significa mostrare ai tedeschi l’entità del tradimento italiano e questo ha come conseguenza il disperato tentativo di Badoglio di rimandare l’armistizio. Si parla quindi di armistizio breve e lungo l’armistizio breve, quello stipulato a settembre, contiene le clausole militari dell’armistizio e le clausole della resa italiana; l’armistizio lungo contiene tutte le clausole della pace e della sconfitta italiana. Nonostante gli italiani si illudano che la cobelligeranza possa ammorbidire la posizione italiana, dopo l’armistizio e dopo la dichiarazione di Roma come città aperta (nel senso che non verrà difesa, ma lasciata in balia dei tedeschi), ci saranno grosse ripercussioni. I sovietici non partecipano alla liberazione dell’isola, dal momento che stanno ancora respingendo i tedeschi, ma quando si parla di armistizio ci si riferisce al caso italiano con l’espressione “precedente italiano”: gli alleati preparano clausole senza ascoltare il parere sovietico, data anche la diffidenza di Stalin verso gli angloamericani. Stalin, in questa occasione, fa buon viso a cattivo gioco, in quanto le logiche stanno rispondendo al suo disegno di avanzata militare che serve a stabilire il dato politico la maggior avanzata delle truppe di liberazione stabilirà i futuri confini politici del paese. Gli angloamericani si terranno l’Europa meridionale, ma dovranno riconoscere la supremazia dell’Armata Rossa nell’Europa orientale, perlomeno sotto l’influenza sovietica, aprendo così la discussione non ancora risolta riguardo al carattere della politica staliniana, se essa sia espansionista e aggressiva oppure ossessivamente difensiva (sindrome da accerchiamento). Le incognite del dopoguerra sono affrontate da Roosevelt con il sistema delle Nazioni Unite: un sistema internazionale in grado di bilanciare le relazioni interalleate. In questo c’è pochissimo dell’idealismo wilsoniano, in quanto Roosevelt non porta avanti un negoziato finalizzato a cercare il consenso per la creazione dell’ONU sul piano interno Wilson non aveva un reale nulla osta, mentre Roosevelt ha ben chiaro il consenso interno sulla sua figura, ma al contempo ha molto chiara l’idea che gli USA potrebbero essere tentati ancora una volta dall’isolazionismo. Inoltre, Roosevelt non considera l’ipotesi che gli USA possano essere impegnati a tempo indefinito in Europa: a guerra finita gli Stati Uniti sarebbero dovuti, nell’ottica rooseveltiana, rientrare nel loro emisfero, non nel senso isolazionista, ma evitando un coinvolgimento a 360 gradi sul continente, cosa che poi avverrà e che si trasformerà in competizione con l’URSS. Roosevelt ritiene un potenziale scenario per il futuro quello di un realistico bilanciamento della forze tra USA-GB sul fronte occidentale, URSS sul fronte orientale e Cina per quanto riguarda l’Asia (concetto dei quattro poliziotti) si potrà portare avanti un rapporto collaborativo con l’URSS! Quest’idea fondamentale di Roosevelt gli costerà dei rimproveri e il presidente sarà poi accusato di aver fatto una serie di concessioni tra il 43-44 per quanto riguarda il futuro assetto di paesi dell’est Europa (vd. Polonia). Riguardo alla Polonia, Stalin chiarisce che non intende transigere su quella questione e le richieste sovietiche sulla Polonia dal 1944 si definiscono bene: essa deve spostare le proprie frontiere verso ovest, compensandosi a spese della Germania (confine sulla linea Oder-Neisse), contando che 1. La Polonia necessita di appoggiarsi all’URSS, perché dovrà tutelarsi dalla revanche tedesca, anche perché i tedeschi inglobati nei territori della nuova Polonia usciranno da quei confini e si trasferiranno in Germania occidentale e 2. Stalin aveva considerato che questa sistemazione avrebbe punito ulteriormente la nuova Germania. Le sorti tedesche nel 43-44 non erano ancora ben definite quale destino per la Germania? All’URSS erano ben chiari due punti: che i nazisti avrebbero perso la guerra e che la Germania nuova non doveva assolutamente avere velleità aggressive verso l’URSS. La Germania poteva dunque anche essere unita, ma completamente neutrale e quindi sotto la sfera di influenza sovietica: questa era un’ipotesi presa in considerazione da Stalin. Sulla Germania la politica di Stalin è abbastanza incoerente; mentre bene o male sulla Polonia ed sull’Est Europa, le sue idee erano chiare, Stalin in Germania è contraddittorio e perderà. Roosevelt e gli angloamericani accettano questa politica alla conferenza di Teheran nel novembredicembre 1943 e si spartiscono il mondo a Yalta non si decise sulla che non si fosse già deciso a Teheran. Il quadro non è ancora certo, ma è evidente che l’URSS guarda all’Europa orientale come al proprio “orticello”, in cui si evidenziano anche le sorti della Polonia, senza assenso formale da parte degli angloamericani. Già nel 1943 gli angloamericani si presentavano disposti a trattare sul quadro delineato da Stalin e su quel tipo di configurazione delle frontiere polacche e questo perché alla fine del 1943 non erano ancora avvenuta l’operazione Overlord se non aprite il secondo fronte in Francia, io comando e detto la futura sistemazione dell’Europa perlomeno orientale. Chiaramente il sostegno del fronte sovietico contro i tedeschi fu possibile per i sovietici solo grazie alla legge Affitti e Prestiti statunitense. L’operazione Overlord rimane un gran punto interrogativo, anche perché significava un numero di perdite elevatissimo e per un successo che non era neppure certo. Non è neppure vero che nel 1944 le forze tedesche erano annientate (infatti sferreranno l’offensiva delle Ardenne) e c’era l’incognita su come sarebbe andata l’operazione Overlord; per di più su Roosevelt pesava anche l’appuntamento elettorale quanti elettori di origine polacca avrebbero votato per lui, nonostante il destino della Polonia? Stalin non ha questo impedimento, ha stabilità politica. Alla fine le cose avvengono man mano che la situazione si chiarisce da un punto di vista militare e nel 1944 tutta l’azione militare sovietica avrà un chiaro e pieno significato politico, come chiarisce l’episodio di Varsavia. A Varsavia, nel 1944, la popolazione insorge contro i tedeschi sapendo che stavano arrivando i sovietici, ma improvvisamente Stalin ordina che l’avanzata sovietica si arresti: egli aspetta che i tedeschi facciano il lavoro sporco, liberandosi di una potenziale potente classe dirigente polacca, che poteva vantarsi della liberazione di Varsavia, con i tedeschi che alla fine vincono sulla popolazione e Stalin che attacca i “quattro criminali” insorti di Varsavia, intervenendo solo in un secondo momento in Polonia. L’eccidio di Katyn, inoltre, ebbe lo scopo di annientare lo stato maggiore polacco e ridurre la Polonia a ciò che doveva essere storicamente, uno stato che non ha ragione d’essere. Nell’agosto 1944 si prefigura il fatto che Stalin manovra l’avanzata dell’Armata Rossa basandosi su una concezione politica, pensando alla sistemazione europea del dopoguerra e ciò lo può fare perché mancano accordi ben definiti sul futuro assetto politico europeo si consuma un grosso equivoco in base al quale gli angloamericani sono scandalizzati dall’atteggiamento sovietico, ma lasciano che i russi sconfiggano il governo polacco di Londra in esilio: è giunto ora il tempo dei polacchi di Mosca, una dirigenza che Mosca ha costruito a proprio uso e consumo e che sarà legittimata per il futuro stato polacco. In Polonia si esemplifica il destino di una larga parte dell’Europa orientale, ma nel 1944 la situazione in Est Europa non era ancora ben definita, con Churchill che sperava di contrastare l’avanzata sovietica. Quando avviene a Mosca l’incontro tra Churchill e Stalin, cui Roosevelt non partecipa in segno di mancata approvazione di quella politica, i due leader dividono le percentuali di attribuzione di influenza tra URSS e angloamericani riguardo ai paesi il cui futuro era ancora in dubbio: la Romania sarebbe stata spartita 90-10 a favore URSS, la Grecia 90-10 a favore degli angloamericani, la Jugoslavia 50-50. L’accordo delle percentuali corrisponde alla speranza di Churchill di recuperare il tempo perduto, arrivando a degli accordi preventivi che possano fermare l’avanzata sovietica prima che diventi politicamente e strategicamente troppo vincolante: la Gran Bretagna mira sempre al Mediterraneo e si tiene la Grecia, con URSS che comunque voleva arrivare ai mari caldi e voleva arrivare agli stretti (la richiesta di Stalin riguardava il controllo sovietico degli stretti), con quella rivendicazione che è tutt’oggi una costante per la politica estera russa, sovietica e di nuovo russa. Gli accordi di Montreux furono i primi di cui l’URSS chiese la revisione nel dopoguerra, in quanto disciplinavano proprio l’accesso agli stretti. La convenzione di Montreux venne firmata nel 1936 da Turchia, Francia, Grecia, Romania, Regno Unito e Unione Sovietica. La convenzione aveva lo scopo di regolamentare la navigazione ed il passaggio attraverso lo Stretto dei Dardanelli, il Mar di Marmara ed il Bosforo (compresi tutti sotto la denominazione di Stretti Turchi). Nel 1938, anche l’Italia sottoscrisse l'accordo. Nella Convenzione, per garantire la sicurezza alla Turchia e agli Stati che si affacciano sul Mar Nero, è affermato il riconoscimento della piena libertà di transito delle navi mercantili di qualsiasi bandiera in tempo di pace, con la sola condizione di soddisfare i diritti di transito e le prescrizioni sanitarie. Si evidenzia da subito la scarsa propensione sovietica al perdurare dell’alleanza con gli angloamericani e quando la Wehrmacht resiste in Ungheria, Stalin inizia a chiedere a Roosevelt perché le truppe tedesche siano così impegnate a resistere di fronte a pochi villaggi ungheresi, mentre hanno già abbandonato il Reno. La domanda è legittima e i militari tedeschi ormai tengono testa solo ai sovietici, mentre si arrendono agli angloamericani, perché i tedeschi sapevano benissimo cosa avevano fatto ai russi e per l’ideologia politica di poter ottenere una pace separata con gli angloamericani, sperando magari un cambio di fronte tedesco, con un possibile confronto Usa e Occidente vs URSS. Questo è il sospetto non infondato di Stalin e in parte c’è anche la tentazione angloamericana di firmare una pace separata, che porterebbe secondo Stalin ad un cambio di alleanze contro l’Unione Sovietica, nonostante questa ipotesi non sia mai contemplata né da Churchill né da Roosevelt. Qua si pongono le radici della guerra fredda. Ora, l’armistizio con l’Italia dell’8/9/43 viene considerato il precedente italiano, con i sovietici che lasciano stendere l’armistizio agli angloamericani, perché si predispongono ad esigere lo stesso comportamento in Europa orientale. L’annuncio dell’armistizio significa la repentina fuga di Badoglio, della gran parte dello stato maggiore e del re verso il sud, con il Regno d’Italia che rimane rappresentato dal maresciallo Badoglio. Lo spazio di trattativa per l’Italia è nullo con gli angloamericani, in quanto l’Italia non ha resistito contro gli angloamericani e allo stesso tempo, Eisenhower può dettare chiaramente le condizioni dell’armistizio. Quando Badoglio chiede di posticipare al più tardi l’annuncio dell’armistizio ai tedeschi (che sapevano tutto da agosto), gli USA rifiutano e obbligano all’annuncio dell’ 8 settembre. Il primo problema si verifica nei confronti dei militari, che non recepiscono il contenuto poco chiaro dell’armistizio e non capiscono più da che parte combattere: avviene la tragedia di Cefalonia, di reparti che fino al giorno prima erano alleati dei tedeschi e ora, dato che l’esercito non era fedele al regime ma al re, gli ufficiali sono senza ordini a chi tenere fede, all’alleato o al re? Il re fa dichiarare a Badoglio che i combattimenti con il nemico sono stati sospesi e non si chiarisce a chi debba rispondere l’esercito. Ora le trattative si concentrano sul futuro di Roma, dichiarata città libera (e di conseguenza non difesa dagli italiani) perché si diceva che la presenza tedesca nella capitale fosse massiccia, tanto da mettere in pericolo le truppe italiane. In realtà, i tedeschi avevano presente che dovevano abbandonare la capitale, in quanto c’erano molte divisioni italiane pronte ad intervenire sulla capitale e radunate sui colli romani, tanto più che gli angloamericani avevano garantito l’appoggio aereo all’esercito italiano, sottoposto alla precondizione del controllo degli aeroporti. Quando viene inviato a Roma un ufficiale di collegamento americano per capire a che punto sia l’operazione sulla città, egli si accorge che nessuno ha fatto nulla e anzi, gli alti ufficiali italiani cadono dalle nuvole. Questo fa ipotizzare a una parte della storiografia che ci sia stato un accordo preventivo tra Kesselring e Badoglio, tra tedeschi e la casa regnante, secondo il quale gli italiani non resisteranno nella capitale purchè al re sia consentito di andarsene indisturbato. A quel punto lo spazio di azione politica per Badoglio era minimo e non c’era possibilità di trattare clausole armistiziali con gli alleati il principio della resa senza condizioni viene applicato anche all’Italia, se non che la situazione italiana è ben particolare anche dal punto di vista interno. Nelle fasi successive all’armistizio, nella lenta risalita verso il nord, si sviluppa la lotta partigiana e si dovrebbe costituire il fondamento di una diversa accezione dell’Italia la cobelligeranza prefigura una serie di equilibri all’interno del CLN, che hanno peso dal punto di vista internazionale. I comunisti partecipano alla resistenza italiana e rispondono agli ordini dell’URSS (Togliatti è a Yalta in questo frangente) e quindi si offre a Stalin la possibilità di rivedere parzialmente l’atteggiamento tenuto fino a quel momento rispetto all’armistizio con l’Italia. Nell’ottobre 1944 Stalin esorta a Togliatti di rientrare in Italia e questa è conosciuta come la svolta di Salerno. In quel momento si delinea un quadro diverso rispetto a quello analizzato fino ad ora: i sovietici entrano nelle questioni italiane non dalla porta principale per evitare che gli USA facessero lo stesso in Europa orientale, bensì cercano di aiutare Badoglio (che cercava di accordarsi con qualcuno per darsi un peso politico in sede di trattativa con gli angloamericani e di ritagliarsi una sfera d’influenza). Badoglio si tutela quindi attraverso accordi diretti con i sovietici e avviene in riconoscimento reciproco diplomatico tra l’URSS e il Regno d’Italia di Badoglio, con Togliatti che rientra in Italia appoggiando il governo del maresciallo e ricoprendovi delle cariche politiche i comunisti sono esecutori della linea di Mosca, la quale fa intendere che non tutto è perduto riguardo all’Italia e che la potenziale influenza sovietica in Italia passa attraverso il grosso consenso del partito comunista in Italia. (accordi Badoglio-Visinsky). Sul finire della guerra, l’Italia si trova di fronte alle elezioni, con la possibilità per i comunisti di vincere le elezioni verso chi confluirà l’Italia? Un altro elemento non trascurabile nell’idea di Roosevelt è l’enfasi posta sulla costituzione delle Nazioni Unite, le quali nascono come un organismo per sua natura impossibilitato a funzionare senza consenso assoluto in assemblea generale. È previsto un concetto di veto, su cui i sovietici insistono perché temono che vengano prese risoluzioni senza il loro accordo, che di fatto ne blocca il funzionamento e un ulteriore problema riguarda la rappresentanza nell’assemblea di ogni singolo stato dell’URSS, che verrà riconosciuta solo alle repubbliche dell’Ucraina e della Bielorussia. L’altro aspetto è il paragone che viene spontaneo con la politica di Wilson, ma i presupposti delle visioni dei due presidenti sono diversi e Roosevelt fa tesoro dell’esperienza di Wilson: gli umori isolazionisti dell’opinione pubblica statunitense sono tenuti in considerazione e le Nazioni Unite dovrebbero permettere agli USA di non prendere impegni troppo pressanti sul continente europeo, dal containment in poi. Roosevelt è inoltre ben attento all’aspetto economico, dal momento che gli Stati Uniti vivono un momento di gran rilancio economico e sono destinati ad essere dei punti di riferimento per la futura sistemazione economica internazionale. Ormai la sterlina sta decadendo, parallelamente all’impero, e, anche se fino alla crisi di Suez gli inglesi non vogliono rendersene conto, è inarrestabile il processo di decadenza della Gran Bretagna. Roosevelt pone il punto della decolonizzazione come viatico per i dominions di ottenere la loro autonomia ed infatti nel 1947 l’India sarà indipendente. Soprattutto è evidente che dal punto di vista della prospettiva economica, la Gran Bretagna è drammaticamente provata alla fine del conflitto e i provvedimenti presi saranno punitivi contro i lavoratori, innescando una profonda crisi economica, che farà perdere le elezioni a Churchill politica interna pesa più che la vittoria della seconda guerra mondiale. Al contrario gli USA devono cercare un mercato per il loro progresso economico e il dollaro diventerà quindi la nuova valuta convertibile in oro con gli accordi di Bretton Woods da un lato gli Stati Uniti razionalizzano i meccanismi del mercato finanziario, dall’altro si sancisce in via definitiva il ruolo predominante del dollaro nella politica degli scambi. Non sarà più la Gran Bretagna controllore degli scambi, ma le subentreranno gli Stati Uniti. La politica di Roosevelt è ben più avveduta di quella di Wilson, in quanto mancano per Roosevelt i presupposti ideali, sui quali prevalgono i presupposti economici e politici. Inoltre, le Nazioni Unite si predispongono da subito ad accogliere il numero maggior possibile di paesi, mentre è ristretto ai vincitori il Consiglio di Sicurezza, che spesso si trova in situazioni di paralisi politica, prezzo che americani pagano per ottenere la stabilità e per ottenere un accordo con i sovietici. L’interesse statunitense è quello allora di garantire una sorta di collaborazione con l’URSS, dove ben si chiarisce la situazione della Polonia e dei paesi baltici (i confini finlandesi verranno tracciati in maniera favorevole all’URSS) e i paesi baltici vengono incamerati come repubbliche sovietiche; al contempo, il nodo fondamentale delle questioni sono quei paesi su cui rimane il punto interrogativo, come la Jugoslavia. Lì, Tito è riuscito a costituire una resistenza efficace nei confronti dei tedeschi, largamente appoggiata dalla Gran Bretagna in un paese in cui era esplosa una sanguinosissima guerra civile e dove c’era il problema dei contrasti interetnici tra cetnici serbi monarchici, ustascia croati fascisti e partigiani comunisti, più interessarsi a farsi guerra tra loro che all’invasore. Si profilava lo scenario della liberazione di un paese ad opera della guerriglia comunista senza il fondamentale sostegno sovietico paese comunista potenzialmente autonomo, con i partigiani titini che potevano dire di aver combattuto con successo senza l’intervento diretto dell’Unione Sovietica, le cui truppe arrivano solo tardivamente. I cecoslovacchi (Benes presidente) cercano un accordo immediato con i sovietici, nel tentativo di tutelare una vaga parvenza di autonomia per la Cecoslovacchia, instaurando un governo misto cecoslovacco-sovietico e questo scenario regge fino al 1948, quando poi i sovietici effettueranno il golpe di Praga ed installeranno un governo eterodiretto da Mosca. Sulla Jugoslavia il discorso è ben diverso. 06.05.2014 Il problema che si pone a Roosevelt e allo stesso Churchill è capire in che misura si possa gestire il rapporto con l’URSS e Stalin concetto di relazione semplice di collaborazione, piuttosto di alleanza o competizione. Il punto di vista sovietico è condizionato dalla diffidenza di Stalin verso un possibile cambio di fronte della Germania o degli USA e dalla paura, a guerra finita, di un ritorno aggressivo della Germania, con l’ulteriore problema dei confini polacchi, che oggettivamente dovrebbero mettere in difficoltà la Germania. La questione di sudditanza psicologica fu propria della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, fintanto che non fu compiuto lo sbarco in Normandia, in quanto si rileva la difficoltà per gli angloamericani a recuperare un atteggiamento produttivo dal punto di vista dei risultati i risultati rimangono favorevoli all’opzione iniziale di Stalin. In questo senso, nonostante nell’ultima fase delle trattative gli angloamericani si oppongano, la Polonia rimane il fulcro delle rivendicazioni staliniane e della strategia univoca del leader sovietico; al contrario, il rapporto tra Churchill e Roosevelt vede emergere finalità differenti e mezzi parzialmente diversi. Churchill è legato a logiche vecchie imperiali, mentre Roosevelt è un innovatore, nonostante il giudizio su di lui sia storicamente controverso: la guerra fredda, imputabile a lui, fu alla fine un insuccesso, il suo insuccesso! Roosevelt muore nell’aprile 1945, mentre la conferenza di Yalta si tiene a febbraio: la morte di Roosevelt segna la mancanza di una figura comunque centrale in quel periodo. Truman, il suo vice, era abbastanza al di fuori della sfera della politica estera di Roosevelt e si dovette affidare a funzionari del dipartimento di stato che avevano fino a quel momento trattato con l’URSS: quanto quei funzionari conoscevano la politica, gli scopi e la mentalità di Stalin? In realtà, secondo Kennan, la stretta cerchia di collaboratori di Roosevelt non sapeva nulla dell’URSS e nemmeno quindi poteva capirne la politica, anche perché la realtà non era così chiara. Stalin attua all’estremo una politica di sicurezza, ma emergeranno rivendicazioni con carattere espansivo e di stampo russo (imperialista), come l’usuale direttiva di politica estera che preme sugli Stretti verso il Mediterraneo. Altre difficoltà vengono anche dal fatto che Roosevelt e Churchill devono rendere conto all’elettorato e anche per questo la loro politica è prudente: si creano anche equivoci, ma già da prima di Yalta Churchill cerca un cambio di passo, modificando la sua strategia ed adattandola a quella duramente realista di Stalin. È importante la corsa a Berlino chi prima libera la Germania e Berlino ipoteca il proprio futuro, ma su questo la strategia angloamericana è ondivaga e prima dell’operazione Overlord, Churchill non è così predisposto allo sbarco in Normandia, preferendo liberare l’Italia e i Balcani, mentre Roosevelt era più preparato ad aprire il fronte francese (scelte più nette e decise). In sostanza, non è vero che Churchill non voleva lo sbarco in Normandia, mentre Roosevelt lo avrebbe permesso: la realtà è più sfumata e in ogni caso si verifica un’incredibile coesione operativa tra gli inglesi e gli americani, che ovviamente si scontrava nei limiti dei divergenti obiettivi di politica estera dei due paesi. Sul finire della guerra, nel periodo della conferenza di Yalta, già Roosevelt stava ponendo il suo futuro; facendo i conti con l’isolazionismo americano, Roosevelt aveva gettato le basi per una futura sistemazione in Europa e, a suo avviso, la garanzia della pace europea si puntellava su un accordo tra Gran Bretagna e URSS, tra cui già stavano emergendo differenze ineludibili. Roosevelt inoltre emargina costantemente la Francia e non si considera mai la Francia come un interlocutore vero nella gestione degli equilibri, perché non si può dimenticare il cambio di fronte francese e non bisogna sottovalutare anche la fortissima antipatia personale di Roosevelt verso De Gaulle. Al di là del riconoscimento unanime che De Gaulle avrebbe ottenuto sul piano interno, Roosevelt non avrebbe accettato di perdonare alla Francia il proprio passato e presente di paese colonizzatore, che per giunta nel 1940 era diventato collaborazionista la politica francese era intrinsecamente distante da quella di Roosevelt. Già a Yalta nel febbraio 1945 emerge il fallimento del grande design americano rispetto al futuro dell’Europa e delle relazioni internazionali. Sulla questione stessa del ritiro, Roosevelt non può promettere, come fece Wilson, un impegno a tempo indeterminato sul continente: gli americani si sarebbero ritirati e Stalin può accrescere e irrigidire le proprie richieste e la propria posizione. La morte di Roosevelt del 1945 lascia aperto il disaccordo tra gli alleati: Truman non sa come affrontare una situazione fluida e senza accordi scritti. A Trieste, il 1 maggio 1945, la città viene liberata dai tedeschi ad opera dei partigiani di Tito. Trieste mescola le opzioni nazionali e quelle ideologica (rivendicazioni slave su Trieste, ben antecedenti la salita di Tito). Tito riesce ad entrare a Trieste 24 ore prima degli avamposti alleati (reparti neozelandesi) che arrivano dalla costiera. Nei giorni successivi gli alleati e i titini si incontrano non amichevolmente e non è chiaro a nessuno a chi competa l’occupazione della città, così le truppe del nono corpus titino l’avrebbero occupata a tempo indefinito. Tuttavia, gli angloamericani 1. Non avrebbero consentito che il fatto compiuto diventasse un precedente insostenibile per loro verrebbe premiata sempre la prevalenza militare su quella politica sul territorio e per Churchill era scontato che Trieste non sarebbe passata sotto la sovranità jugoslava, ma 2. Trieste ha un’importanza logistica vitale ed è il porto logisticamente utile per spingersi verso Vienna e nel momento in cui gli angloamericani sono operativi verso Vienna (una città in cui si assisterà alla comune convivenza tra sovietici e alleati), i punti di incontro diverranno spesso punti di frizione. Si verifica il rifiuto assoluto degli jugoslavi di ritirarsi, come invece chiedono i reparti americani, cui viene ordinato di non abbandonare la città pericolosissimo stallo. Due risvolti di questa situazione: Stalin non è nella sua mentalità uno squilibrato, quanto un realista. Non vuole rischiare scontro diretto con gli alleati per favorire Tito, che non è neppure una sua creatura probabilmente Tito era da tenere sotto controllo e non è possibile contrapporgli un leader di comodo eterodiretto da Mosca. Il dato della dominanza ideologica c’è e la forza di Tito è consistente anche per i sovietici, in quanto egli è il leader che ha liberato il territorio senza l’aiuto dei sovietici, quindi Stalin 1. Non vale a pena rischiare uno scontro che a questo punto diventerebbe insostenibile con gli alleati, 2. Non vale nemmeno la pena sostenere qualsiasi istanza a oltranza, ma anzi è meglio chiarire a Tito che nelle questioni internazionali la voce in capitolo parte da Mosca e non da Belgrado. Tito successivamente verrà espulso dal Kominform. Su Trieste Stalin si mostra realista e dopo 40 giorni di occupazione jugoslava, la città passa sotto il pieno controllo alleato e gli jugoslavi si ritirano in un confine pressoché simile a quello odierno; si formano le due zone A e B di Trieste, si forma il TLT (territorio libero di Trieste), con una zona di occupazione A angloamericana e una zona di occupazione B fino a Cittanova jugoslava. L’accordo di pace non è comunque in grado di risolvere la questione di Trieste. Nel febbraio 1945 si svolge la conferenza di Yalta, ad aprile muore Roosevelt e a luglio si tiene la conferenza di Potsdam, la prima cui partecipa l’amministrazione Truman. Ne emerge la goffaggine di Truman, che comunica il ritiro dei convogli in partenza per l’URSS, verso la quale rimaneva in vigore la legge Affitti e Prestiti i sovietici percepiscono questo gesto come un segno di profonda inimicizia. Il passo falso di Truman si era verificato al congresso, ma il dato peggiore era che i convogli erano stati fatti rientrare in un secondo momento negli Stati Uniti e questo, nel contesto delle relazioni USA-URSS, voleva preludere a un’epoca di contrasti e tensioni ben più gravi. L’esordio di Truman è quindi negativo e scarsamente lungimirante; tuttavia, è giusto ricordare a favore di Truman che la legge Affitti e Prestiti non era un programma di ricostruzione. Sul nuovo presidente pendeva anche il fattore importante del Giappone pesa infatti la decisione di come comportarsi con il Giappone, il quale è, in quel momento, un paese altamente bombardato dagli Usa, dove la capitale Tokio è rasa al suolo, però non si arrende ancora. Il progetto Manhattan attorno al quale stanno lavorando un nucleo di scienziati sta dando i suoi primi esiti: bene o male, negli USA, ci si chiede in che misura si sapeva cosa si aveva tra le mani. Si sapeva che si stava gestendo un’arma pericolosissima, ma non si conosceva esattamente l’entità della forza di questa nuova arma. La politica di Truman era consapevole di poter usare politicamente uno strumento militare, ma la bomba atomica è un’arma che si può usare anche politicamente: l’arma atomica originava uno squilibrio incolmabile e la bilancia degli armamenti era sbilanciata a favore degli Usa. I sovietici erano a conoscenza del progetto Manhattan e spiavano ogni azione americana. Ormai i giapponesi non avevano più possibilità di resistere, sia in termini logistici che umani; da parte loro, gli Stati Uniti ritenevano che la guerra si stesse prolungando troppo, ma d’altra parte volevano dare una prova di forza sia ai giapponesi che ai sovietici. Gli effetti si sarebbero visti sul campo, nonostante gli accordi sul Giappone fossero già chiari tra gli alleati gli americani avevano chiesto ai russi di intervenire contro il Giappone a tre mesi dalla sconfitta della Germania in Europa ed effettivamente questa promessa sarà mantenuta, portando alla rottura del patto di neutralità che i sovietici avevano firmato il 13/4/1941 con l’alleato giapponese. Una delle ragioni per cui dopo Hiroshima i sovietici non cambiano immediatamente la propria politica è una certa incuranza rispetto al monopolio nucleare americano, ma i sovietici non erano fermi nella loro ricerca scientifica, anzi 4 anni dopo risponderanno facendo esplodere a loro volta una bomba nucleare. Soprattutto i sovietici hanno una costante superiorità in termini di armamenti convenzionali nei confronti degli americani, i quali lasciano che il proprio assetto e armamento convenzionale sia deficitario, proprio perché hanno la sicurezza del fronte atomico. Tuttavia, ciò che preoccupa gli americani è il dato incontrovertibile della presenza sovietica in Europa, mentre gli americani sono localizzati in alcuni punti strategici del continente, come Berlino, e la loro presenza non è definitiva né a lungo termine. Riguardo al Giappone, Stalin sa che esso è un affare americano e lascia fare perché in cambio ha ricevuto ciò che gli preme la parte sud di Sakhalin e altri possedimenti verso la Cina gli erano già stati riconosciuti e la Cina di Chiang Kai Shek è ancora impegnata dalla guerra civile fino al 1949. Per l’URSS, la Cina rimane un competitore sul quale far deviare le vertenze russe, ma al tempo stesso la Cina di Chiang Kai Shek è protetta dagli Usa, che vogliono farla diventare una dei quattro poliziotti sul continente asiatico. Il rapporto con Chang fu un evidente fallimento degli agganci americani sui leader locali da sostenere, in quanto egli fu molto difficile da gestire perchè circondato da una serie di elementi corrotti, nonostante i comunisti costituissero una minaccia oggettiva al potere di Chang. I nodi per l’amministrazione Truman sono quindi tanti e dopo il primo passo falso a maggio a Trieste e la storia dei convogli ritirati, Truman cerca di ammorbidire le proprie posizioni verso i sovietici. Fintanto che dura il monopolio atomico americano i sovietici quasi ostentano un atteggiamento tranquillo, ma esso (il monopolio) non viene tradotto dagli americani in un vantaggio politico: il monopolio atomico non sarebbe comunque rimasto tale a lungo. Le problematiche sono molteplici: Trieste, la legge Affitti e Prestiti, le pressioni sulle zone dove gravava un punto interrogativo (stretti, questioni coloniali). I sovietici chiedono difatti l’amministrazione fiduciaria sulle ex colonie italiane, nonostante si sia convenuto di guidare i paesi ex colonizzati verso un processo di indipendenza le richieste sovietiche insospettiscono gli angloamericani, proprio perché vengono al pettine le questioni derivanti dalla mancanza di accordi veri e sostanziali. Nel 1947 è concluso il processo di satellizzazione di alcuni paesi dell’Europa orientale, come la Polonia, la Bulgaria, la Romania, l’Ungheria e le repubbliche baltiche, mentre rimaneva un punto interrogativo la Cecoslovacchia. La gestione delle zone calde riguardava anche la Grecia: scontri tra monarchici e partigiani filocomunisti, ma chi deve foraggiare la resistenza monarchica? Lo fanno gli inglesi, che avevano l’interesse a controllare e proteggere la Grecia, attestandosi sul Mediterraneo, ma la Gran Bretagna non è più grado di fare fronte ai costi della propria politica estera. Il governo laburista di Attlee non può finanziare queste direttive di politica estera e quindi, quando nel 1947 questo quadro è decisamente certo, l’incognita rimane la misura dell’impegno americano. Cos’avrebbero fatto? Torneranno all’isolazionismo nel senso di assenza di alleanze stabili sul continente europeo, ma si lasceranno coinvolgere in una collaborazione economica? Ciò non basta più perché la controparte è in crescente espansione e la stessa URSS avrebbe avuto bisogno di riconsiderare la propria ricostruzione. Al contrario gli Usa sono usciti dal conflitto con un sistema economico incredibile, non devono far fronte a nessun tipo di costo e ad alcuna ricostruzione, però è chiaro che non è così semplice presentare all’opinione pubblica americana l’opzione di un impegno fermo sul continente europeo. Questo processo avviene in misura graduale e la prima fonte di nuova ispirazione è il lungo telegramma di Kennan studio del 1947 sulle origini del comportamento sovietico e studio vero e approfondito sulle ragioni che spingono l’URSS nel 47 a determinati comportamenti. Studio delle modalità di condotta di Stalin. Kennan è funzionario all’ambasciata di Mosca, che presenta un ritratto serio della politica estera sovietica: egli afferma che non necessariamente l’espansionismo sovietico doveva manifestarsi territorialmente, ma l’influenza sovietica poteva facilmente penetrare in quei paesi con una situazione economica e politica instabile e precaria, utilizzando mezzi non militari. Ecco che l’URSS può entrare non solo nei paesi dell’Europa orientale, ma anche in Italia. Nonostante nel 1946 De Gasperi vada negli Stati Uniti a chiedere aiuti alimentari, anticipando il futuro piano Marshall, sull’Italia vertevano anche gli appetiti sovietici essa era un punto strategico nel Mediterraneo e nonostante gli alleati le abbiano fatto firmare un trattato della stessa sostanza di quello di un paese vinto, l’Italia otterrà poi la protezione americana grazie al piano Marshall. Non è un caso, infine, che l’Italia ottenga come unica compensazione territoriale il Brennero e l’Alto Adige (con i trattati Gruber-De Gasperi), perché anche l’Austria era stata sconfitta e non era neppure uno stato (lo sarà solo nel 1955 con il trattato che garantirà la sua neutralità). Riguardo all’ex impero italiano, De Gasperi sperava di mantenerlo in quanto le colonie italiane erano state colonie di popolamento, ma l’Italia è un paese sconfitto e sia la Gran Bretagna che la Russia iniziano a pensare di spartirsele. L’Italia ha un forte partito comunista e delle elezioni alle porte: ecco che essa si inserisce pienamente nel contesto della guerra fredda e della competizione tra sovietici e occidentali. Il contrasto è sempre più evidente e Kennan ha delineato quanto il contrasto poteva diventare pericoloso in un’Europa così in crisi finanziaria, la quale poteva effettivamente essere soggetta ad una nuova forma di contaminazione comunista nei confronti di zone estremamente vulnerabili. Anche la Grecia, tra l’altro inserita nei Balcani che Churchill doveva proteggere dall’avanzata sovietica, era un nodo fondamentale e nei Balcani inoltre nasce la Jugoslavia, partigiana a favore di Tito e non sottoposta alle direttive di Mosca. Ecco che sull’Europa cala la cortina di ferro e il long telegram diventa operativo attraverso la dottrina Truman del contenimento la sua finalità militare e pratica è la necessità di aiutare in primis la resistenza in Grecia e di far fronte alle pressioni sulla Grecia e sulla Turchia. Gli americani promuovono un piano di aiuti sia alla resistenza greca, che alla Turchia ed esso va a sostituire i finanziamenti che fino a quel momento aveva erogato la Gran Bretagna: la dottrina di Roosevelt cade già adesso. Nel containment si assoda il fatto che il ruolo di paciere inglese sul continente con l’URSS non sia possibile, in quanto il rapporto tra i due è già competitivo e non collaborativo gli Usa devono prendersi le proprie responsabilità, anche perché nel 1946 avviene la prima crisi iraniana, quando l’Iran, occupato congiuntamente da Usa e URSS, che sarebbe dovuto essere liberato dopo la guerra, in realtà non vede una liberazione dai sovietici, i quali, anzi, appoggiano movimenti filocomunisti. Iran = pozzi petroliferi nelle mani britanniche e zone assolutamente strategiche, dove i sovietici sentono che si può presentare una possibilità di esercitare una certa influenza. In ogni caso, bisogna tenere a mente che Stalin non aveva alcuna intenzione di mettere in discussione la tenuta di una pace già molto fragile. 08.05.2014 Siamo ormi all’entrata vera e propria nella realtà bipolare, nella quale il dialogo tra gli ex alleati sembra diventato molto complicato a causa delle ragioni di attrito già citate precedentemente: il rifiuto sovietico ad abbandonare l’Iran nel 1946, i presupposti di Teheran, Yalta e Potsdam che non sono mai rispettati a pieno e le modalità di satellizzazione utilizzate dall’URSS nei confronti dei paesi dell’Europa orientale, la quale si compie già nel 1947, anno cruciale perché in quell’anno la stessa politica americana prende una posizione più strategica rispetto all’iniziale ritiro delle forze in Europa. Nel mese di marzo si enuncia la dottrina Truman del containment, che rivela l’impossibilità inglese di continuare a sostenere le forze controrivoluzionarie in Grecia: la Gran Bretagna non è in grado di far fronte ai suoi impegni imperiali e di conseguenza essi si rivolge al suo potenziale successore, gli Usa. Gli Stati Uniti non percepiscono ancora a pieno la strategicità del Mediterraneo in Europa, ma dal 45 essi acquisiscono sempre maggiore consapevolezza riguardo alla sua centralità conseguentemente, si amplifica il ruolo strategico dell’Italia, che nel 1947 ha firmato il trattato di pace del dopoguerra, che tuttavia lascia irrisolta la questione di Trieste e si limita a istituire il TLT con una zona A di Trieste ad occupazione angloamericana e una zona B ad occupazione jugoslava. Le rivendicazioni italiane e jugoslave riguardavano TUTTO il TLT e la questione è speculare rispetto all’andamento della guerra fredda. Rimane impregiudicata la questione coloniale e i possedimenti ottenuti dal fascismo in Libia, in Somalia e in Etiopia vengono immediatamente annullati, riconoscendo all’Etiopia la propria sovranità statale e ponendo la questione dell’amministrazione fiduciaria come gestire il passaggio dal periodo coloniale all’indipendenza? L’unico punto che la politica estera italiana riuscirà realmente a risolvere è il confine al Brennero, con gli accordi Gruber-De Gasperi del 1946. Nel 1947 il containment, condizionato almeno in parte dal lungo telegramma, si propone di arginare l’avanzata sovietica, che significa non già il roll back di Eisenhower, ma un semplice contenimento e un chiaro e definito argine all’influenza sovietica in quelle zone rimaste nel “limbo” la Grecia e la Turchia erano esempi storici di paesi contesi. In sostanza gli Usa forniranno aiuti concreti e in primis militari a questi paesi e il passaggio è epocale: l’orientamento americano è in concreta sostituzione dell’impegno britannico. Il contenimento può essere variamente giudicato: essenzialmente è fuori discussione che l’andamento dei rapporti Usa-URSS abbia preso un’impronta manichea, si tratta di una lotta tra bene e male senza sfumature e negli Usa, soprattutto nei repubblicani, sta germogliando il maccartismo (movimento d’opinione di anticomunismo isterico, con azioni tese a sconfessare il comunismo in qualsiasi modalità possibile, vd. Processi di Hollywood, con gli artisti che vengono accusati di compiacenza con il nemico). È fuori discussione che questa polarizzazione anche ideologica si stia estremizzando sempre più. Tra l’altro, gli Usa operano sempre nel mantenimento della loro immagine di paese guidato da principi e regole libertari e democratici, ma già con la dottrina del contenimento gli Usa scelgono di appoggiare regimi che sono tutto fuorché democratici struttura ideologica del contrasto della guerra fredda. Dall’altra parte l’URSS ha un crescente bisogno di concentrare e incrementare il proprio controllo sui paesi satelliti e il processo di satellizzazione significa, per l’URSS, assunzione di controllo anche verso paesi che non lo avrebbero sopportato; ecco che, nel 1948, si crea la rottura storica tra Mosca e Belgrado, con la cacciata di tito dal Kominform. L’URSS, applicando un giudizio ideologico e di realismo estremo, decide nella persona di Stalin di stringere sulla direzione univoca di politica estera e di arrivare alla rottura con Tito, che era un leader indipendente: Tito è un comunista nemmeno sui generis, ma è il leader di paese che ritiene di poter condurre una politica estera in proprio e che ritiene di gestire a proprio piacere la politica nei Balcani rottura drastica e totale, con Tito che viene sconfessato da Mosca. Allo stesso tempo l’URSS teme particolarmente non tanto il long telegram, quanto il piano Marshall del giugno 1947: si teme un provvedimento politico e non militare! Il piano European Recovery Program nasce da un’idea in linea con il long telegram di Kennan e con l’idea che era necessario quanto prima ripristinare un’autosufficienza economico-finanziaria in Europa, per garantirle stabilità politica. Questo periodo è anche ricco di elezioni e appuntamenti elettorali e la contrapposizione tra bene e male era assoluta: le forze della sinistra confluiscono attorno ai partiti comunisti, mentre le forze popolari confluiscono sulla destra. In Francia come in Italia erano molto forti i partiti comunisti, ma in realtà nel 1947 questi partiti cessano la loro collaborazione con i governi; De Gasperi stesso rompe con i comunisti proprio nell’anno in cui si inaspriscono i contrasti tra Usa e URSS e in cui viene erogato il piano Marshall. Kennan aveva capito la fragilità sovietica in economia, che provocava una conseguente instabilità politica in cui gli Stati Uniti si sarebbero potuti insidiare, ma il piano Marshall si rivolge anche alla Germania. In Germania, nel marzo 1947, era stato prodotto l’Hoover report, un rapporto con il quale si imputava alla scelta di Potsdam di smantellare l’apparato industriale tedesco la gravissima responsabilità di produrre rischi effettivi per la stabilità e il controllo statunitense in Europa. L’opzione di Potsdam sulla Germania si rifaceva ancora al piano Morgenthau, che prevedeva la deindustrializzazione forzata per la Germania con una sorta di ripetizione dell’approccio tenuto con la Germania post prima guerra mondiale. Il rapporto Hoover invece arriva a cadenzare ulteriormente i pagamenti era importante favorire una lenta, ma persistente ricrescita tedesca, in quanto la Germania era un avamposto fondamentale sul continente per gli statunitensi contro l’URSS, la quale, a propria volta, temeva il riarmo della Germania. Stalin, poco razionale, non ha progetti chiari, salvo l’idea di evitarne il riarmo, ma non chiarisce in che modalità intende evitarlo Incentivandone l’unificazione e neutralità o la divisione? Non è chiaro, ma l’URSS per il momento applica una politica di razzia sul territorio di propria competenza, trasportando industrie in Unione Sovietica idea di spogliazione, che crea contrasto sempre maggiore con la trizona alleata, ben presto unificata in una zona unica. I sovietici capiscono che quella zona di occupazione verrà in qualche modo resa autonoma e dal 1947, quando gli Stati Uniti decidono di battere moneta tedesca per ridare alla loro zona di occupazione una limitata sovranità e autonomia statale, i sovietici si insospettiscono, rendendosi conto che la loro politica nel lungo periodo non li avrebbe ripagati, ma semplicemente avrebbe provocato un enorme movimento di emigrazione verso la zona americana. Nel giugno 1948 l’annuncio del piano Marshall non viene compreso dall’URSS nella sua reale entità; inizialmente, i sovietici pensavano che il piano Marshall fosse una nuova denominazione di un lend-lease act, che prevedesse una serie di aiuti a pioggia per i paesi ex alleati e quindi l’atteggiamento sovietico è inizialmente interlocutorio. Il dialogo culmina con la partecipazione ingenua, ma accordata da Molotov, di una delegazione sovietica accompagnata dai dirigenti dei paesi satelliti alla conferenza di Parigi, dove verrà illustrato il funzionamento dello European Recovery Act; nel frattempo era stato commissionato uno studio a Varga (economista del regime sovietico) sul piano Marshall, dal quale ci si attendeva una risposta per l’orientamento sovietico l’esito dello studio è che gli Stati Uniti stavano erogando un gran prestito economico, sapendo che non ne avrebbero ricevuto il pagamento da parte dei paesi dell’Europa occidentali che ne avrebbero beneficiato, ma sapendo anche di estendere la propria influenza economica e politica sul continente e lavorando nella direzione dell’unificazione della Germania, che successivamente si potrà riarmare e potrà tornare potente sotto l’egida americana. Questo è l’esito dello studio di Varga, che evidenza esattamente la minaccia che rappresenta il piano Marshall per gli interessi sovietici. In realtà è chiaro che la conferenza di Parigi è destinata ad un esito sgradevole e le delegazioni dei paesi della sfera sovietica rientrano velocemente nei paesi satelliti dopo il “niet” di Mosca: il piano Marshall era costruito per non poter essere accolto dai sovietici! La rinascita economica europea passava per la rinascita economica della Germania e il piano Marshall è in questo senso veramente efficace per far ripartire l’industrializzazione, con gli aiuti che cadevano non a caso solo sulle industrie salve dalle ingerenze sindacati di sinistra. C’è un fattore di rafforzamento politico che non è un mistero per nessuno e gli Stati Uniti sono schierati in qualsiasi paese d’Europa che considerano strategico, con De Gasperi che è essenzialmente l’uomo degli Stati Uniti in Italia. Washington gli accorda piena fiducia e l’atteggiamento italiano in quel periodo è ben preciso. La politica estera italiana si concentra ora su Trieste, in quanto mancava una ripresa economica, non c’era un esercito né forza militare l’Italia decide di passare alla rivendicazione nazionale di Trieste. Nel 1947 l’Italia ha ottenuto Gorizia, ma ha perso l'Istria e le conquiste fasciste (e questo era prevedibile da De Gasperi, che però non accettava che l'Istria non tornasse all’Italia); la Jugoslavia però era riuscita militarmente ad occupare quelle zone ed era impensabile chiederle di abbandonarle. Si stabilisce quindi che Trieste debba essere governata da un governatore, che non sarà mai nominato per convenienza reciproca, dalle Nazioni Unite, ma è meglio lasciare che la cosa rimanga così com’è; tuttavia, fino al 1948, l’Italia si sente potentemente sostenuta dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti nel marzo 1948 gli alleati dichiarano tripartitamente che auspicano il ritorno di tutto il TLT all’Italia, a rafforzamento del fronte politico interno a de Gasperi nel momento delle elezioni, ma l’Italia inizierà a dover sostenere posizioni negoziali difficoltose. Dopo le elezioni, l’Italia diventa saldamente occidentale, ma allo stesso tempo Tito ha rotto con l’Unione Sovietica, diventando il “nostro figlio di puttana” e gli Stati Uniti elaborano dunque l’idea che Tito debba essere accontentato in tutti i modi possibili, perché l’influenza su Tito significava il controllo strategico e militare della Jugoslavia e di conseguenza dei Balcani, il quale avrebbe segnato una gran superiorità nei confronti dell’URSS. Togliatti è diviso dalla questione triestina: allearsi a fianco di Mosca o ascoltare gli umori dell’opinione pubblica e scegliere un punto di vista nazionale? Se da un lato Togliatti ha rotto con Tito per ovvie ragioni di direttive da Mosca, dall’altro egli arriva a proporre Gorizia (che non era ancora italiana) come scambio per Trieste, la quale non era neppure interamente jugoslava! Da un lato Tito ha superato la prova del 1948 e dall’altro è stato cacciato dal Kominform gli americani iniziano a foraggiarlo immediatamente subito dopo aver visto la sua rottura, in quanto a loro non interessa mettere in discussione il comunismo balcanico, ma vogliono avvicinare la Jugoslavia per una collaborazione. A quel punto, dopo la rottura, la Jugoslavia rischiava di trovarsi in un isolamento molto grave: la paura era quella di un colpo di mano sovietico, non tanto degli italiani, anche perché si stavano verificando golpe in vari paesi satelliti. Gli avvenimenti di Praga del 1948 erano l’indicatore di una piena polarizzazione e un monito per la Jugoslavia : la Cecoslovacchia pagava il fatto di non avere un governo pienamente comunista, con soggetti non totalmente controllabili da Mosca e quindi doveva essere ricondotta sotto l’influenza sovietica. Quando Tito rompe con Mosca, la questione di Trieste si affievolisce lentamente e diventa un ferro vecchio della guerra fredda. L’Italia rivendicava una zona (B) che non controllava e le possibilità di controllo per l’Italia erano minime così come Trieste si era salvata dall’occupazione permanente nel 1945 grazie al fatto che era punto fondamentale nei contrasti nella guerra fredda, successivamente Tito riesce a smussare la questione triestina, si riavvicina agli USA per proteggersi dall’URSS e aumenta le frecce al proprio arco per la questione di Trieste. È evidente che, risolto il nodo della vera natura del piano Marshall per i sovietici (non aiuti a pioggia, ma strumento politico), le direttive di Mosca sono lineari e vanno nella direzione di indicazioni precise per tutti i partiti comunisti; il piano Marshall è da combattere sia per il partito comunista italiano che francese, in quanto è una misura di condizionamento politico e questi partiti si devono chiudere al progetto. Esso avrebbe posto delle basi per la collaborazione economica tra i vari paesi europei, facendo presagire una futura integrazione economica. Il piano Marshall fu in definitiva uno strumento geniale che funzionò egregiamente per quanto riguarda le richieste americane e che aiutò fortemente il ripristino e il riavvio dell’economia europea e conseguentemente la stabilizzazione a livello politico. D’altro canto, nel marzo 1948, si arriva all’Unione Occidentale, ovvero un accordo tra Francia, Gran Bretagna e Benelux per un trattato di reciproca garanzia di sicurezza, un primo accordo di quello che diventerà la Nato e una collaborazione militare permanente degli Usa in Europa. Sull’onda di questo accordo a Bruxelles iniziano i pentagon talks, che riguardano l’opzione americana su questo accordo, sul loro appoggio reale o meno e come dev’essere strutturato l’asse portante. La strutturazione sembra essere atlantica, a privilegio dell’asse Gran Bretagna-Stati Uniti, con un possibile ruolo secondario per l’Italia e per i paesi sul Mediterraneo qual è percezione strategica del ruolo italiano? L’Italia è un paese chiave nel Mediterraneo e di convenienza per le basi americane, ma nel 1948 l’Italia è ancora fortemente condizionata nella propria politica, soprattutto nel dato fondamentale della questione triestina e dell’amministrazione delle proprie colonie. L’auto percezione che l’Italia ha di sé è quella di un paese militarmente nullo e in difficoltà economiche, che ha bisogno di raccoglimento politico. L’Italia però non perde la propria attitudine di porre condizioni: prima che, nel marzo 1948, le venga offerta la possibilità di entrare tra i paesi fondatori del patto di Bruxelles, l’Italia pone come condizione do ut des della propria entrata la risoluzione della questione di Trieste, quasi che Italia potesse valutare come negoziazione l’entrata nel patto di Bruxelles in realtà era una sorta di elargizione e la direttrice era atlantica e si poteva benissimo escludere l’Italia! Non è chiaramente delineata la situazione italiana e all’interno della stessa DC esisteva un’ala che propugnava un certo neutralismo dell’Italia, a fronte di un deciso schieramento pro Stati Uniti. In quel momento gli Usa stavano valutando quanta autonomia potesse avere l’Europa nel suo processo di integrazione e realisticamente che valore poteva avere questo patto europeo senza l’appoggio americano? L’URSS nel frattempo guarda alla propria zona di occupazione in Germania, in quanto guarda con timore l’accelerare dell’indipendenza della parte occidentale e Mosca reagisce contestando il diritto americano di consentire alla Germania di battere moneta regolare, bloccando Berlino. La capitale tedesca orientale è un’enclave completamente circondata dalla zona di occupazione sovietica e gli accordi sulle vie stradali e tramviarie, attraverso cui passavano i rifornimenti, vengono trasgrediti con la chiusura delle vie di comunicazione e l’obbligo per gli Stati Uniti di creare un ponte aereo per rifornire la città. Gli usa si possono permettere di far partire un aereo ogni due minuti per rifornire Berlino e i sovietici riescono a premere per la risoluzione della questione tedesca. I cittadini di Berlino est stavano già scappando verso ovest e quando muore Stalin, nel 53, la prima sommossa scoppia da parte degli operai di Berlino, speranzosi di un cambiamento, ma ciò indica un malessere crescente per la Germania est: concetto di vetrina della Germania ovest con confronto diretto tra le due ideologie. In realtà il tentativo sovietico di stringere su Berlino provoca una risposta americana che è una dimostrazione di potenza, con il fatto che gli Usa escono dalla guerra con forze ben maggiori che l’Unione Sovietica, la quale deve anche ricostruirsi interiormente. Procede nel frattempo il discorso del trattato di Bruxelles come concreto impegno statunitense sul continente europeo, su cui lo schieramento di forze convenzionali continua ad essere a favore dei sovietici e nel giugno 1948, avviene la risoluzione epocale e storica per la politica estera USA, con l’adozione della risoluzione Vandenberg. Essa consente agli Stati Uniti di associarsi ad accordi regionali sul continente europeo basati sul principio dell’autodifesa e che concernono la difesa degli interessi americani negazione del presupposto isolazionista, con gli Usa che preparano il terreno per la stipulazione di accordi permanenti sul territorio europeo, a patto che venga messa a rischio la national security statunitense. Gli Usa escono dall’isolazionismo e superano Roosevelt stesso, che ai suoi tempi aveva capito l’impossibilità di farlo. Tuttavia, nel 1948 l’ottica diventa quella di impegnarsi in Europa per allontanare l’ipotesi di un’avanzata sovietica e assicurarsi la propria sicurezza nazionale. Nel 1948 la questione tedesca si pone chiaramente e gli Usa non vogliono più battute d’arresto sul principio di processo di autonomia e di ripresa della Germania cambiamento dei postulati di Potsdam, con il piano Marshall ormai pienamente operativo: si rilevano le difficoltà dell’URSS a corrispondere con un piano altrettanto valido e la reazione sovietica sarà la rottura con Tito e il golpe in Cecoslovacchia Stalin serra i ranghi verso una possibile aggressione esterna ed esclude dall’URSS tutti gli elementi che avrebbero potuto destabilizzarla, in un contesto di totale polarizzazione del confronto tra USA e URSS, di cui si può parlare di a partire dal 1948. Pola zona A! italiana 12.05.2014 Nel 1948-49 vediamo che c’è una crescente militarizzazione e polarizzazione della guerra fredda: ciò significa che le principali potenze europee si raggruppano attorno al patto di Bruxelles e necessariamente bisogna cercare una risposta con una maggior risposta militare ed efficace scambio imprescindibile con gli stati uniti (trattato di washington e formazione nato, permessi entrambi dalla risoluzione vandenberg, varco nella tradizione isolazionista usa), ma esistono anche altri elementi che contribuiscono a creare un contrasto non dichiarato, una dicotomia decisa tra il blocco sovietico e il blocco occidentale, cui contribuì il piano Marshall. 49 primo esperimento nucleare sovietico e fine del monopolio americano, con tutto questo che comporta una tensione crescente e probabilmente la stessa vittoria di Truman (secondo mandato, primo mandato elettivo) rafforzò particolarmente l’amministrazione Truman, il presidente. Il successo della posizione americana rispetto alla questione di Berlino, il blocco aereo e la presa di posizione usa ha aiutato e rafforzato le posizioni di Truman in politica estera. Si può spiegare un irrigidimento dell’amministazione, che si sente confermata nella politica estera e può virare verso una politica estera più decisa. Piuttosto che smussarsi sembra che i contrasti siano destinati a crescere e a coinvolgere aree sempre più ampie. Nel 1949 arriva un altro colpo per la sicurezza usa, con la vittoria di mao in Cina. L’idea iniziale di Roosevelt che vedeva nella Cina nazionalista di Chiang kai shek uno dei quattro poliziotti sull’asia orientale, questa politica viene sconfessata dalla vittoria di mao, Chiang si ritira a formosa, usa non riconoscono il governo comunista come legittimo e unico governo titolare della rappresentanza della Cina sarà quello in esilio a Chiang. Il trionfo di Mao viene accolto dall’URSS in maniera ambivalente, in quanto essa considera sia il dato numerico che il dato geografico l’Unione Sovietica aveva ben chiaro che non avrebbe potuto satellizzare la Cina, ma l’unica opzione considerabile sarebbe stata l’apertura di un dialogo tra pari, con la Cina che, visto il suo dato demografico, avrebbe costituito il partner privilegiato dell’Unione Sovietica ad est. In realtà, la politica sovietica in Asia Orientale è estremamente realista e anche nei confronti del Giappone prevale il dato realista, che lo consacra un bastione dell’influenza statunitense. Fino a quel momento, i rapporti con la Cina erano basati sul realismo, che viene prima del dato ideologico: questo emerge anche in occasione dell’alleanza che i comunisti siglano con Chiang. Un altro episodio di realismo avviene nel 1945 nell’occasione dell’accordo tra URSS e Cina, la quale deve acconsentire a cedere all’URSS la Manciuria, Port Arthur e i possedimenti che rientrano nelle rivendicazioni classiche della politica estera sovietica. Nella politica estera di Stalin, infatti, non vengono meno degli elementi costanti già dalla tradizione zarista: lo sbocco sul Mediterraneo e sui mari caldi e l’influenza sul Pacifico, insieme alle logiche di politica sovietica a livello continentale. L’accoglienza che l’URSS riserva al nuovo stato cinese è strategica: la Cina affiancherà l’URSS nel dominio dell’Asia orientale, ma alcuni storici individuano una sorta di entusiasmo contenuto di Stalin rispetto al grande successo di Mao, perché c’era già la consapevolezza che la Cina sarebbe potuta diventare un elemento di disturbo in quel momento storico, il monopolio ideologico è sovietico e in questa fase il mondo del comunismo si muove come una sorta di chiesa, dove le direttive arrivano da Mosca, non da altrove. L’atteggiamento cinese ne deve essere consapevole e nonostante si profilino già quelli che saranno i futuri contrasti tra comunismo cinese e sovietico, l’occidente percepisce la Cina comunista come un grande insuccesso. Tuttavia, lo stesso Chiang era vissuto da qualche tempo come un elemento fuori controllo, un soggetto al quale era impossibile dettare le linee, molto autonomo rispetto al sostegno americano. Le ragioni del fallimento del sostegno accordato a Chang erano ben note già prima della vittoria di Mao gli Usa sapevano che avrebbero perso la Cina! Ciononostante, da un lato gli Stati Uniti avevano iniziato a preoccuparsi dell’estremo oriente, una zona ampia e pericolosa che rischiava di fuggire al loro controllo, anche perché si era avviata la decolonizzazione (nell’Indocina e nei possedimenti ex olandesi, essa assume ben presto delle caratterizzazioni fortemente comuniste e antioccidentali) e dall’altro essi si trovano ben presto coinvolti nel problema coreano: nel 1949 la Corea viene divisa secondo il 38esimo parallelo. Con lungimiranza, i sovietici avevano abbandonato la parte nord, lasciando bene o male un regime filo comunista, mentre nella Corea del Sud gli Usa non avevano instaurato un regime altrettanto forte (non era particolarmente democratico, né liberale). Nell’occupazione della Corea le due potenze lasciano aperta la possibilità di sforare oltre le reciproche frontiere e per questo, nel 1949, Kim Il Sung si reca a Mosca, a chiedere l’appoggio sovietico per tentare di unificare la Corea sotto il regime comunista, ma Mosca rifiuta già dal 1949 i sovietici e i cinesi sapevano cosa si stava preparando in Corea e quando nel giugno 1950 la Corea del Nord interviene, gli americani pensano si tratti di un semplice incidente di confine e non di un’invasione in grande stile. In questa fase il dittatore coreano non si sogna di agire da solo, ma nel 1950 riesce ad ottenere il consenso sovietico, accordato con l’idea di arrivare alla vittoria attraverso l’appoggio cinese. La politica sovietica è estremamente realista e Stalin non prende mai rischi eccessivi, anche perché Truman, nell’eventualità di una partecipazione aperta sovietica all’invasione, aveva già deciso che avrebbe sganciato una bomba nucleare sull’URSS l’opzione nucleare era ancora contemplata e non si era ancora arrivati all’idea della distruzione reciproca. Un coinvolgimento dell’URSS anche in estremo oriente significava che lo scontro nucleare Usa-URSS sarebbe pericolosamente potuto accadere, ma la politica americana stava facendo degli errori derivanti dal passato nonostante Dean Acheson avesse definito il teatro asiatico marginale rispetto a quello europeo, nel 1950 le vicende europee e quelle asiatiche vanno di pari passo e si intrecciano. Nel momento in cui gli Stati Uniti decidono di rispondere con la forza in Corea, guardano all’Europa e al precedente asiatico. In Europa è primario il problema della Germania, separatasi nel 1949 in BRD e DDR. La sua precarietà costante è un elemento che contribuisce ad accrescere le tensioni tra gli ex alleati e l’URSS, che in ogni caso non voleva necessariamente rendere stabile la divisione tra le due Germanie, punta come obiettivo diplomatico al NON RIARMO della Germania, perlomeno ad occidente, in quanto da subito si era posta la questione del riarmo tedesco, collegata alla Nato. Negli anni 50, infatti, il riarmo tedesco è coerente con la politica statunitense rispetto alla Germania occidentale; gli Stati Uniti non avevano esteso il piano Marshall alla Germania per mera benevolenza, né tantomeno avevano preservato gran parte della classe dirigente tedesca compromessa con il nazismo per magnanimità si trattava di un calcolo politico estremamente delicato in un momento in cui, in Europa, si apre il discorso sulla volontà espansionista sovietica, sempre se di espansionismo si tratti. La Nato, il patto di Bruxelles, l’Unione Europea Occidentale sarebbero rimasti progetti campati per aria senza il riarmo tedesco e questo lo sapevano bene tutti. Da un lato la Corea è l’indicatore di un teatro marginale per gli Stati Uniti, ma dall’altro ciò che succede, con le manovre coreane che appaiono chiaramente come un’invasione di grande stile, porta gli Stati Uniti ad un intervento militare e soprattutto ad un attento presidio posto attorno all’isola di Formosa, dove era in esilio il governo nazionalista cinese. La settima flotta presidia Formosa, a garanzia che non si invada la Cina nazionalista, e al contempo la risposta militare può avvalersi della circostanza fortuita dell’assenza dell’URSS al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, permettendo alla risoluzione di passare all’unanimità. L’assenza sovietica è plateale e dovuta ad una protesta per la presenza della Cina nazionalista presso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, invece della Cina comunista di Mao; l’ONU obbliga infine i sovietici a dichiarare il “cessate il fuoco”. Da questo episodio emerge come la controreazione statunitense avvenga a livello delle Nazioni Unite, anche se è chiaro che il grosso delle operazioni militari sarà svolto dal contingente americano. Al di là dell’iniziale ipotesi Truman, nel corso del conflitto, la politica di Truman diventa più avveduta e prudente, attenta ad evitare un’escalation del conflitto ed è chiaro che il conflitto diventa globale nel momento in cui viene coinvolta la Cina. L’URSS, che guardava alla guerra di Corea tirando il sasso, ma ritraendo la mano, invitava i cinesi a sostenere militarmente i nordcoreani e nell’ottobre 1950 si verifica l’intervento cinese, anche perché l’andamento del conflitto era stato altalenante. Ora l’entità dell’appoggio sovietico è improntata al realismo e i sovietici non vogliono che risulti il coinvolgimento sovietico, quindi non garantiranno alcun appoggio aereo e questo è il primo elemento di tensione nelle relazioni tra Cina e URSS. I sovietici, per farsi perdonare, sposteranno e armeranno meglio le zone di confine (Manciuria) per dare un chiaro segnale che, come gli Usa non tolleravano minacce su Formosa, l’URSS non avrebbe tollerato un’eventuale tentata invasione della Cina comunista. Dal punto di vista militare l’atteggiamento e i limiti che la politica interna impone alla politica americana sono tollerati a fatica dal generale Mac Arthur, vincitore della guerra con il Giappone secondo lui occorreva un bombardamento e il coinvolgimento della Cina nazionalista, in uno scontro diretto tra Cina e Stati Uniti, cosa che amministrazione statunitense è restia ad approvare. Nonostante la fama di Mac Arthur e i suoi successi in Giappone, il grosso della dirigenza cinese non venne toccata dagli americani, che si guardarono bene dal toccare anche l’imperatore giapponese, elemento centrale della politica giapponese, nel nome sì di un ammodernamento del paese, ma senza destabilizzarlo troppo. Fino al 1950 la politica statunitense verso il Giappone si profila come una politica di successo e Mac Arthur inizia improvvisamente a giocare un ruolo politico, rilasciando interviste politiche e bypassando ordini di Truman è chiaro come il generale e il presidente siano in rotta di collisione, che culminerà con le dimissioni obbligate di Mac Arthur e con scelta di Truman di contenere il conflitto. Emerge già il realismo sufficiente da entrambe le parti, perché il realismo usa sia sufficiente a limitare un crescendo di violenza nel conflitto. Sul fronte europeo, nel frattempo, l’Europa vede la guerra di Corea come una sorta di prefigurazione del proprio futuro. Tutti in Europa erano a conoscenza dell’ingente armamento convenzionale e militare di cui disponeva l’URSS e i suoi stati satelliti e ben presto nasce il timore di un’apertura di ostilità tra blocco sovietico e occidentale, si sente al centro di un potenziale terzo conflitto, che aleggia con alti e bassi fino alla prima distensione: anche l’opinione pubblica vive l’incubo di un terzo conflitto mondiale. La Corea ha una situazione interna non troppo diversa da quella della Germania, già oggetto di crisi con il ponte di Berlino ed è chiaro che l’incertezza europea deve stimolare il dibattito sul riarmo tedesco, cosa tutt’altro che facile. Sono passati pochissimi anni dalla fine del conflitto mondiale e in Europa c’è ancora la convinzione che la Germania debba essere tenuta prudentemente disarmata, come volevano i francesi, che d’altro canto si rendevano conto che il modello di difesa europeo sostenuto dagli Usa è realmente efficace solo nel momento in cui è prevedibile un riarmo della Germania occidentale. Si inizia a pensare ad un’integrazione militare che abbia come sua specificità un esercito integrato (sì al riarmo della Germania, senza che esercito sia totalmente sotto il controllo tedesco riarmo tedesco sotto il controllo europeo, CED presentata dai francesi tra il 50-51, con il piano Pleven). Questo è il progetto entro il quale si ragiona in Europa nei successivi tre anni, considerando sempre l’impulso americano. Si cerca di integrare il riarmo tedesco con una guida europea, ma ciò è molto difficile, perché l’integrazione comporterebbe per i francesi la condivisione delle loro forze armate, tema non così semplice. Per il momento, tuttavia, l’URSS continua a condurre una politica incerta riguardo alla Germania perché neanche Stalin sa che pesci pigliare. Stalin non si fossilizza sull’idea delle due Germanie, ma anzi propone nel 1951 una Germania unificata con un’impronta pacifista, non necessariamente neutrale, che non aderirebbe a nessun tipo di organizzazione politico-militare, in sostanza una Germania debole e facilmente addomesticabile. La BRD sarebbe così ben lontana dalla Nato: una Germania sì unita, ma militarmente debole sarebbe comunque facilmente controllabile dall’URSS e alla lunga, URSS avrebbe potuto estendere un’influenza abbastanza rilevante su di essa. Nel 1955 questo sarà ciò che avverrà con l’Austria, che pure era soggetta alla doppia occupazione, la quale diventerà neutrale = essa deve bilanciarsi con attenzione tra i due blocchi. Tuttavia, il disegno sulla Germania sarà irrealistico, in quanto gli Usa non stavano lavorando per una Germania unita ma neutrale, magari sotto influenza sovietica scarsa lucidità e lungimiranza di Stalin. Molto probabilmente la Germania costituisce il nodo centrale per l’URSS, che nel frattempo estende la propria smisurata volontà di espansione o smisurata ricerca di sicurezza in Europa, strizzando l’occhio al processo di decolonizzazione in atto. Il long telegram di Kennan svela chiaramente come gli stati europei insoddisfatti della politica occidentale siano ben disposti a passare sotto il paese anticoloniale per eccellenza, l’URSS. Le potenze coloniali o ex tali (GB e Francia), che si erano alleate con gli Usa, non possono presentarsi come sostenitrici della libertà e la democrazia, mentre è ben più facile farlo per l’URSS. L’india era già indipendente dal 1947, e secondo l’URSS sarebbe diventata il primo paese comunista; Israele nascerà nel 1948 con il pieno sostegno sovietico, nonostante il sionismo sia mal interpretato da Stalin, che ritiene che Israele possa essere un avamposto di comunismo nel Medioriente arabo e sempre di più l’URSS si infiltra in zone prima inconcepibili. Nel 1954, in concomitanza con la sconfitta francese in Indocina, avverrà l’infiltrazione dei sovietici e questa politica sarà percepita nel tempo come una minaccia crescente verso gli Stati Uniti, che si sentiranno a loro volta accerchiati (Eisenhower e Dulles) e sempre più condizionati nei rapporti con questi paesi dalla logica bipolare, quando in realtà alla fine la politica sovietica non riuscirà a mantenere le proprie promesse. Il Nord Africa, ad esempio, resterà estraneo all’influenza sovietica, perché ai sovietici mancherà sempre uno strumento economico operativo, una sorta di piano Marshall, in quanto l’URSS si premurava di intervenire con consiglieri e armamenti militari, ma alla fine i suoi mezzi non erano mai sufficientemente potenti non ci sarà mai un piano Marshall sovietico e il sostegno sarà più ideale e teorico che pratico, con gli americani che sopravvaluteranno il potenziale sovietico; tuttavia, nella pratica, queste politiche sovietiche si riveleranno sterili e l’URSS non consoliderà la propria influenza in nessun paese in via di decolonizzazione. Tuttavia, la minaccia percepita dagli Usa si spiega molto bene in ragione della geografia dei focolai di crisi, in zone che classicamente erano state di influenza britannica; il containment viene enunciato in riferimento alla Grecia (guerra civile) e alla Turchia, che sente la pressione sovietica. Quella è la zona rispetto alla quale la Gran Bretagna si sta ritirando, in quando essa non riesce più a portare avanti una politica costosa, dal momento che sterlina è ormai debole (e lo era già da prima di bretton Woods) e quindi essa lascia le sue consegne in politica estera dagli Stati Uniti, che da un lato si propongono come stato portatore di un pensiero contrario al colonialismo e quindi come democratici e liberali, ma allo stesso tempo devono affiancare la Gran Bretagna (paese coloniale di lunga storia) per evitare che si espanda l’influenza sovietica. In Iran, ad esempio, nel 1951 sale al potere Mossadeq; la situazione era molto delicata, in quanto il paese asiatico aveva accordi economici riguardo alle proprie riserve petrolifere con la Gran Bretagna e rientrava nella sfera di sicurezza di quest’ultima. Caduto il colonialismo inglese, l’Iran conosce un momento di velleità di maggiore autonomia: tutti i pozzi iraniani sono in mano agli inglesi (sfruttamento coloniale) e Mossadeq potrebbe essere tentato dalla nazionalizzazione dell’estrazione del petrolio sotto l’egida protettrice dell’URSS. Non potendo intervenire da soli in un territorio di propria competenza storica, gli inglesi si rivolgono agli Stati Uniti nel 1951, dove però il dipartimento di stato fa orecchie da mercante alle richieste inglesi, che rischierebbero di mettere gli Usa in posizione molto scomoda. Tra l’altro, in Gran Bretagna era tornato al potere Churchill, il quale riprende la sua politica convinta della special relationship angloamericana. Si capisce che Mossadeq non ha nulla a che vedere con il comunismo, ma egli cerchi l’appoggio strumentale dell’URSS e realisticamente l’URSS si rende conto di aver bisogno di leader se non assoggettati, quanto meno ubbidienti o suoi amici. Al di là dell’Europa orientale, i sovietici non hanno la pretesa di instaurare regimi comunisti, ma vogliono far capire che la spalla su cui appoggiarsi è quella sovietica, che avrà sempre il grave limite dell’assenza di uno strumento economico! Nel 1951 le pressioni per liberarsi di Mossadeq vengono interpretate in un’ottica bipolare: non solo si sarebbe verificato un notevole danno economico per la Gran Bretagna, ma Mossadeq è un potenziale leader bolscevico, ricalcando il timore americano di una potenziale nascita del comunismo in qualsiasi luogo. In realtà, nel 1951, le richieste britanniche non trovano una risposta definita, ma la troveranno nel 1953 con Eisenhower, quando i repubblicani di Dulles reagiranno alle logiche del containment con quelle del roll back: non solo contenere l’espansionismo sovietico, ma respingerlo oltre la cortina di ferro. Questo proposito, essenzialmente elettorale, verrà tradito nella pratica da azioni di contaiment e man mano che passa il tempo si evidenzia sempre più quanto uno scontro generalizzato e nucleare sia impossibile e a somma zero. Il roll back indica la disponibilità americana ad utilizzare armamenti nucleari contro l’URSS e questi propositi erano tesi a disorientare l’URSS, che percepiva in questa fase la politica statunitense come una politica minacciosa verso le posizioni sovietiche in Europa. Stalin ha l’idea fissa dei complotti ovunque e ciò lo porterà, verso la fine della sua vita, a purghe indiscriminate. Nel 52 si conclude la guerra di corea, con una pace di pan bun gion che sancisce la stessa divisione al 38esimo parallelo che conosciamo oggi e di fatto non c’è il roll back in politica estera. 53 operazione ajax mossadeq viene eliminato. Khomeini sarà sostenuto fino al 79 dagli americani e se nel 53 è evidente quanto la nuova amministrazione voglia portare a conclusione determinate vicende, è altrettanto evidente che gli usa recepiscono la politica sovietica come una politica di espansione e dip di stato, pentagono sono convinti della politica aggressiva in grande stile è chiaro che la risoluzione vandenberg, che apre le porte ad un’alleanza sul continente europeo, debba essere contrapposto l’indirizzo di una risposta ferma verso l’URSS, con usa che diventino potenza garante in tutte quelle zone che gb aveva dovuto abbandonare passaggio di consegne tra gb e usa, per i quali c’è il grosso rischio da un lato di doversi sostituire alla gb, er evitare che la decolonizzazione destabilizzi troppo il fronte europeo, ma l’appeal anticoloniale statunitense rischia di cadere + al contempo continua il discorso sulla rimilitarizzazione della Germania e nel 52 si è approdati al piano pleven, che deve essere ratificato dai paesi che ne fanno parte, ma nel 54 i francesi, reduci dalla sconfitta di diem piem phou e prossimi alla conferenza di ginevra, non approvano la comunità Europea di difesa, con la giustificazione di una influenza troppo rilevante sulla politica interna. I francesi, che pur avevano promosso questo piano, vorrebbero un’integrazione unilaterale sì per la Germania, ma non per la Francia! Al contempo, nel 54 i francesi a ginevra tentano di ingraziarsi i favori di mosca bocciando un progetto che trattando della rimilitarizzazione della Germania non avrebbe costituito un buon biglietto da visita per la Francia nei suoi rapporti con l’URSS. Tutto questo e la discussione della ced vengono mandanti avanti obtorto collo, perché in qualche modo gli euuropei devono provvedere autonomamente alla propria difesa e nonstante fossero sì stanchi della geuerra, ma una geurra tra usa e URSS li vedrebbe fare le spese per primi di questa guerra: si devono allora difendere! Non bisona dimentaricare che sia in Francia che in Italia i pc assumano supinamente le direttive di mosca e si schierino contro la ced e all’epoca la politica estera italiana si divideva anche all’interno della stessa dc, che propendeva per una politica neutralista dell’Italia. Dulles: angosciose ripercussioni della politica americana su quella europea e nel 55 la Germania ovest entra nella nato, questa è la risposta al fallimento della ced e la rispsota assolutamente speculare del blocco sovietico è quella del patto di varsavia (14-5-55): esso nasce in risposta all’ingresso della brd nella nato. Differenzaz sostanziale tra patto di varsavia e nato è che patto di varsavia opera all’interno della cortina di ferro e dei paesi satelliti urss, come in Ungheria. 14.05.2014 La situazione successiva alla morte di Stalin va analizzata a tre livelli: a livello interno, nei paesi satelliti e nell'occidente. Si chiude un periodo lungo per la politica sovietica, terminato con una transizione non facile, nel senso che non è chiaro quali siano gli equilibri interni al PCUS. Nella fase iniziale prende il potere il triumvirato composto da Kruscev, Malenkov e Berija, che poi porterà Kruscev ad ottenere il potere e facendo pensare all'occidente che sia l'ala più aperta a prevalere. Tuttavia, non bisogna pensare che l'assunzione del potere di Kruscev sia analoga a quella di Gorbacev, anche se dopo qualche anno si terrà il XX congresso del PCUS, che aprirà la strada alla destalinizzazione, che però appare da subito nei suoi limiti, tant'è che, immediatamente dopo la morte di Stalin, i paesi satelliti pensano che avevnga un ammorbimento delle posizioni dell'Urss con delle proteste che si scatenano ad esempio a Berlino est, ma che vengono subito ricondotte all'ordine --> questo atteggiamento sarà una costante dell'atteggiamento krusceviano per quanto riguarda i paesi satelliti, ovvero, da un lato si ammette la critica verso Stalin, ma dall'altro la briglia sarà tenuta molto corta verso le zone di influenza sovietica nell'Europa orientale, come non macheranno di ricordare da lì a poco gli avvenimenti del 1956 in Ungheria. Nel momento in cui in Ungheria, con una rivoluzione che era partita dall'interno dello stesso partito comunista, si rivela l'ipotesi allarmante essa marci verso l'autonomia ed esca dal patto di Varsavia, gli spazi di autonomia torneranno ad essere limitati come lo erano nel periodo staliniano e l'intervento sovietico in Ungheria culminerà con l'arresto di Nagy, che verrà giustiziato in un secondo momento, e in una transizione post-staliniana difficile se non inesistente per i paesi dell'est. Sul versante mediorientale si sta intanto consumando la crisi di Suez, momento caldo a cui il mondo accorda un'attenzione mediatica elevata, anche grazie ai nuovi mezzi di comunicazione di massa. In questo scenario politico, l'amministrazione di Eisenhower non può praticare la sua dottrina del roll back, che dovrebbe contrapporsi al containment di Truman, il quale in realtà rimane solo teorico. Dal long telegram di Kennan alla metà degli anni 50 ciò che si è modificato è la tendenza sovietica a voler espandere la propria influenza in tutti quegli ambiti dove effettivamente si registra una debolezza e un'instabilità economica e politica, quindi anche in settori che possono risultare nuovi per la politica russa. Le rivendicazioni sugli Stretti non sono una novità, ma una novità è l'attenzione accordata dall'URSS all'Africa, anche perchè in quaesta fase il Nord Africa è soggetto alla decolonizzazione, che mette in gioco i consolidati rapporti di colonizzazione che avevano caratterizzato quel contesto. Il nuovo attore, gli Usa, che non avevano alcun debito con l'Africa politicamente parlando, sembra inoltre insidiare l'URSS. Nel 1948 ottiene la propria indipendenza anche Israele --> la questione del riconoscimento di Israele è il frutto della spinta sionista, che si fa sempre più forte e consistente e che accelererà dopo la seconda guerra mondiale con la shoah. Alle Nazioni Unite pare verificarsi la strana unità d'intenti sia sovietica che americana, ma in realtà gli stessi sovietici vedono nello stato israeliano una potenziale zona di influenza sovietica in un Medioriente arabo; in questa fase transitoria e contraddittoria i sovietici malinterpretano i lasciti della politica stalianiana, che immaginava di poter veramente estendere la propria influenza al Medioriente e per questo rilevava la necessità vitale per l'URSS di sfruttare Israele come un proprio avamposto. Nel 1948 sono gli arabi però a non riconoscere l'esistenza dello stato d'Israele ed operano un accerchiamento che avrebbe dovuto portare alla cancellazione di Israele addirittura dalle Nazioni Unite, ma che sfocia in realtà nella prima guerra israelo-araba: emerge lo spirito di revanche nel mondo arabo, animato dall'idea che l'elemento dell'antisionismo sia il collante della politica estera, pur diversa, di qualsiasi stato arabo e di un mondo eterogeneo, che però si muove verso l'obiettivo comune della distruzione di Israele, stato esemplare di un retaggio coloniale occidentale, che non ha ragione di esistere in quel territorio. Israele, infatti, appare come una proiezione del colonialismo occidentale, vissuto come una moderna edizione dell'imperalismo e come un rinnovamento del dominio coloniale e gli ebrei confluiti in territorio israeliano sono recepiti come un corpo estraneo, proprio come lo erano i dominatori coloniali. Si crea un concatenamento ideologico quasi immediato per il quale i sostenitori di Israele diventano automaticamente delle potenze coloniali: ecco che avviene l'identificazione USA = potenza neocoloniale, soprattutto dopo che l'URSS abbandona Israele e la possibilità che gli Usa avevano di farsi riconoscere nel Medioriente verrà quindi compromessa dal sostegno accordato a Israele e dal fatto di trascinare con loro Gran Bretagna e Francia, che invece incarnavano ancora una mentalità vetero-coloniale. Questa concatenazione di eventi si manifesta nella crisi di Suez nel 1956. Nel 1954 va al potere in Egitto il generale Nasser, leader carismatico, che ha una strategia di lungo periodo per quel che riguarda la politica e il ruolo dell'Egitto nel Medioriente e nel Nord Africa. L'Egitto è parte integrante del Medioriente e per questo esso si pone come faro guida nel problema dello scontro tra un paese arabo e un paese sionista, in quanto in questa fase Israele era percepito come tale. Nasser vive l'elemento dell'antisionismo come collante del mondo arabo, con il quale egli spera di porsi alla testa di un movimento arabo, profondamente dipendente dall'occidente, ma desideroso di rendersi indipendente ad esempio dalle potenze coloniali europee (la Tunisia sarebbe stata indipendente in quegli anni, mentre l'Algeria era ancora lontana dalla decolonizzazione) --> Nasser guarda nella direzione di Israele, guarda all'obiettivo di poter conseguire un successo che faccia dimenticare la sconfitta del 1948-49. In questo, la politica Usa vive una situazione estremamente complicata: l'Egitto è evidentemente strategico, in quanto si tratta del canale di Suez, ma lo è anche per l'URSS. Nonostante gli americani si chiedano cosa vogliano i russi dall'Egitto, a maggior ragione perchè i sovietici sono indipendenti dal punto di vista energetico, l'URSS cerca un maggior controllo della flotta americana che si affaccia sul Mediterraneo e quindi, da questo punto di vista, emerge chiaramente come i sovietici non siano più mossi da alcuna ideologia in tutte le zone che NON TOCCHINO LA LORO FASCIA DI SICUREZZA. Ai sovietici interessava che Nasser cercasse, trovasse e accettasse l'appoggio sovietico piuttosto che quello americano. A questo punto Nasser cerca di tenere entrambi i contendenti sulle spine, sondando da quale dei due avrebbe potuto ottenere di più, ma nel momento in cui gli Usa non invieranno armi agli egiziani (i quali chiaramente le avrebbero utilizzate per colpire Israele), loro le chiederanno alla Cecoslovacchia = URSS, la quale non aveva più alcun legame ideologico con Israele ad impedirla. La diga di Assuan, per cui erano stati stanziati inizialmente dei fondi americani , vede lo stesso refrain: ora, gli Usa ritireranno il loro appoggio, perchè si stancheranno della politica di Nasser troppo orientata verso l'Unione Sovietica e i sovietici subentrano agli americani, nonostante l'URSS non avesse un potenziale economico, anche a lungo termine, così notevole. In questo la politica sovietica trova una rispondenza soprattutto in quella fase con l'Egitto e gli Usa vengono scalzati da quella zona. A quel punto, Nasser diventa il problema per tutto l'occidente, soprattutto perchè nel 1956 Nasser procede alla nazionalizzazione del canale di Suez, che prima era gestito da una compagnia privata legata a francesi e inglesi. Ora, gli americani sono fortemente in difficoltà, anche perchè l'idea fondamentale di Dulles era che gli Usa dovessero fare di tutto per riuscire a mantenere un aggancio con il mondo arabo --> gli Usa praticano una politica altamente limitante, ovvero essi leggono il problema mediorientale alla luce del bipolarismo. Ad un certo punto gli Usa arriveranno a temere la deriva comunista di Nasser, la quale era assolutamente fuori dalla realtà e non aveva ragion d'essere, in quanto Nasser si appellava principalmente al panarabismo e al riscatto del mondo arabo contro l'occidente colonizzatore. Questo è il limite americano, l'ossessione della logica bipolare, che loro applicano ovunque e in contesti geopolitici totalmente diversi e che li porta a semplificare in maniera estrema il contrasto a due e a temere un'ulteriore polarizzazione. Le capacità stesse di interpretare le soggettività culturali diventano minime ed è anche vero che in molte di queste zone agli Usa viene a mancare una conoscenza e una capacità di interpretazione che in fondo è anch'essa un retaggio coloniale. Paradossalmente, questa conoscenza era un appannaggio britannico, ma gli Stati Uniti difettano di quello che si rivela un necessario appiglio culturale. Ad esempio, in Iran, l'operazione Ajax sarà possibile anche grazie ai consigli e al know how britannico. Gli inglesi, però, erano portatori di interessi coloniali e imperiali e in Iran il vero problema sono ancora le compagnie petrolifere e gli interessi economici che gravitavano attorno ad esse. Sul canale il problema è lo stesso: come si può pensare che il canale, importantissimo tratto commerciale, possa essere nazionalizzato? Ecco che la questione diventa un problema politico, ovvero accordare a Nasser il permesso di chiudere il passaggio sul canale a suo piacimento sarebbe stato un minaccioso precedente politico per gli anglofrancesi. Gli inglesi sono terrorizzati da questo e quindi sono fortemente orientati a procedere allo stesso modo dell'Iran nel 1946, trovando in questo una piena convergenza con i francesi di De Gaulle --> la crisi di Suez non è solamente una questione economica per la Francia, ma si trattava anche di sbarazzarsi di un leader fastidioso in quanto propugnatore del panarabismo e quindi di trovare una maniera per salvaguardare gli interessi francesi in Algeria, la cui causa indipendentista Nasser sosteneva attivamente con armamenti. Israele vive male la nazionalizzazione del canale, in quanto Nasser poteva aumentare conseguentemente il suo potere regionale; in questa fase Israele non ha però possibilità di negoziare, perchè non ha territori su cui negoziare (secondo il principio terra-pace) e anche se con la prima guerra arabo-israeliana riesce a strappare un po' di territorio, ciò comunque non costituisce un fattore possibile di negoziazione, che d'altronde non volevano neppure gli arabi. Inoltre, i segnali egiziani contro Israele non erano stati solo teorici, quanto i primi avevano evidenziato l'idea di indebolire Israele e di isolarlo. L'Egitto aveva chiuso gli stretti di Tiran, impedendo ad Israele di avere sbocchi sul mare e cercando di farlo crollare sotto la pressione araba ed egiziana. Perciò, nel 1956 Israele converge con gli anglofrancesi, per la ragione pratica di una guerra impossibile contro l'Egitto, che tuttavia si trattava solo di rimandare --> Israele si aspetta continuamente una guerra contro l'Egitto, essa era solo rimandata. In Gran Bretagna, Eden è ossessionato dalla questione di Nasser e lo vuole assolutamente eliminare, ma la sua concezione di politica estera è ormai vecchia e ancora impregnata del retaggio imperiale inglese (in una parola, anacronistica), che lo porta a sposare concezioni imperiali e che gli fa pensare che l'Impero possa agire autonomamente, anche senza l'assenso americano. Nonostante il dipartimento di stato statunitense avesse chiarito bene che non avrebbe sostenuto alcuna operazione contro Nasser, in quanto Dulles 1. non sapeva con chi sostituire Nasser e 2. pensava che questo avrebbe aperto un varco potenziale contro l'Urss e chiuso con il mondo arabo, gli inglesi, sebbene avvertiti, captano l'interesse francese e le preoccupazioni israeliane. I tre attori stringono quindi un accordo preventivo che prevedeva l'invasione israeliana sul Sinai, seguita dall'arrivo sul canale di contingenti di Francia e Gran Bretagna, che avrebbero intimato un "cessate il fuoco", circondando nel frattempo i punti strategici del canale con le loro truppe (ma non intervenendo militarmente direttamente): così Nasser sarebbe stato destabilizzato sul fronte interno, il canale sarebbe tornato di nuovo sotto il controllo anglofrancese e gli israeliani che arriverebbero in Sinai, occupando la terra in cambio di pace (vi diamo la terra se non ci attaccate). Se non che questi non calcolano che Eisenhower e Dulles erano assolutamente contrari all'azione dei loro alleati; invece, i sovietici possono sfruttare il fronte diviso e si proclamano a questo punto sdegnati contro un'operazione coloniale, minacciano l'uso dell'arma nucleare, mentre, nel frattempo, gli israeliani hanno riportato un nuovo successo militare, arrivando al canale e occupando il Sinai, con i francesi e gli inglesi che stavano sì presidiando il canale, ma a quel punto viene a mancare a loro il sostegno Usa --> gli Stati Uniti impongono il ritiro e riportano la questione nell'ambito della gestione delle Nazioni Unite. Le conseguenze della crisi di Suez sono molteplici: Eden impazzisce; la special relationship tra Gran Bretagna e Usa ne esce ridimensionata: la Gran Bretagna ha capito suo malgrado che ha un limitato spazio di manovra se non ottiene precedentemente un avallo politico e militare degli Stati Uniti e con Suez vengono effettivamente tracciati i limiti della politica estera britannica; la Francia non ha ottenuto nulla, perchè non è riuscita a far cadere Nasser nè tantomeno ad installare un regime ad essa più compiacente. Dal canto suo, Nasser è uscito rafforzato da quella che è una sconfitta militare e ancora una volta gli israeliani hanno riportato un successo militare, nonostante il SUCCESSO POLITICO SIA QUELLO DI NASSER, aggredito da Israele e dalle potenze coloniali e per di più riuscito ad ottenere il sostegno sovietico. In realtà i sovietici hanno sapientemente de-ideologizzato il contrasto bipolare, cosa che si possono permettere di fare solo in Medioriente --> avviene un do ut des molto pragmatico, che però non si ripete nell'ottobre 1956, quando i sovietici sono molto più ideologici e in Ungheria si leggono chiaramente i limiti della destalinizzazione. Nel momento in cui Budapest pensa di uscire dal Patto di Varsavia, avviene l'intervento sovietico: sarebbe stato inammissibile rimettere in discussione l'ordine europeo. Dulles e la dottrina Eisenhower (ovvero riportare il Medioriente di nuovo al centro della scena politica) hanno il limite grosso di essere visto come scontro bipolare, quando invece la situazione è carica di sfumature. La Francia e l'Inghilterra sono le grandi sconfitte, l'Egitto vince politicamente, Nasser ne esce rafforzato e Israele ha ottenuto un ampliamento territoriale (nonostante non avesse politica aggressiva in quella fase; in ogni caso, si ritova con il Sinai, Gaza e altri territori che un domani saranno parte del negoziato terra-pace). Si chiude qui qualsiasi possiiblità per la Gran Bretagna di azioni autonome per le zone che fino a quel momento essa considerava zone di propria prelazione: non solo la Gran Bretagna viene allontanata dall'Egitto, ma gli americani sono ben chiari su un altro punto --> non ci sarebbe stata alcuna azione inglese senza l'appoggio americano (eccetto durante il conflitto delle Falklands, ma in quel caso gli inglesi saranno attaccati dagli argentini e risponderanno senza avere l'appoggio statunitense). Dal 1947, momento in cui l'Italia stipula il trattato di pace, essa è un paese in forte difficoltà. Il 1947 non dirime la questione centrale di Trieste, che trova la sua risoluzione ufficiosa, non ufficiale, con il memorandum d'intesa del 54. In realtà nel 48, anno in cui Tito e Stalin rompono e in cui il primo viene cacciato dal Kominform, la Jugoslavia esce dall'area sovietica ed inizia il corteggiamento americano, perchè gli Stati Uniti non vogliono che essa torni nel lato dello schieramento militare orientale. E' evidente che la Jugoslavia teme un attacco sovietico e in questo frangente emerge la bravura di Tito, abile a sfruttare bene il proprio ruolo di ago della bilancia, facendo in modo che già dal 1951 arrivino aiuti alla Juglosvia, non solo economici. La Jugoslavia non è più una protetta di Mosca e ha più voce in capitolo sulla questione di Trieste, particolarmente difficile per gli italiani, perchè la zona B è sotto il controllo jugoslavo, mentre la zona A è sotto controllo militare alleato (e quindi di Francia, Inghilterra e Usa, non dell'Italia, a cui tuttavia si sarebbe dovuto sostituire un mai nominato governatore delle Nazioni Unite). Accade che Trieste passa dall'essere l'avamposto della guerra fredda all'essere un ferro vecchio; gli italiani iniziano a pensare di risolvere il problema così la Jugoslavia si collocherà definitivamente militarmente. Chiaramente non ci si aspettava un'entrata della Jugoslavia nella NATO, ma essa si sarebbe legata con dei patti regionali all'occidente. In questo il segretario di stato Dulles aveva una sorta di "patto-mania": riteneva che le alleanze dovessero essere composte da tanti patti concentrici, non direttamente da un'alleanza solidamente occidentale, ma ad esempio si sarebbero potute creare delle alleanze balcaniche tra Jugoslavia-Grecia-Turchia) o delle alleanze mediorientali, come sarà il Patto di Baghdad e altri patti bilaterali, per unire elementi che magari sono ben distanti. Nel 1954 il memorandum d'intesa stabilisce che la zona A fino al confine odierno passi sotto il controllo italiano, mentre la zona B rimanga sotto il controllo jugoslavo. Il memorandum viene considerato ufficiale, anche perchè in quella fase è necessario chiudere la questione in tempi brevi e nonostante il TLT fosse rivendicato sia dall'Italia che dalla Jugoslavia interamente, nel 1954 si giunge ad una chiusura della questione triestina; l'Italia si sente liberata da un'ipoteca che gravava sulla propria politica estera, in quanto questo era il primo punto da risolvere. In realtà la crisi di Suez apre nuovi spazi per la politica estera italiana, che comincia a sviluppare una vocazione sempre più mediterranea, rendendo l'Italia una zona strategicamente interessante per gli americani. Essa si propone in un nuovo spazio di manovra, nel momento in cui è caduta in disgrazia la Gran Bretagna; al contrario, l'italia è in grado di mediare nel mar Mediterraneo, politica che cuminerà nella persona di Enrico Mattei, una sorta di uomo nero per tutte le lobby petrolifere americane. Verso il Medioriente devono confluire una serie di aiuti non solo economici, ma anche militari, che provengono dagli Usa con una serie di patti concentrici difficili da gestire (con tavolta la richiesta inglese di entrarci) e con governi instabili in alcuni paesi. L'equilibro militare che si crea in termini di armamento tra Usa e Urss è ormai paritario, dal momento che anche i sovietici avevano acquisito un deterrente nucleare e da allora, con una incredibile scioltezza, le due potenze iniziano a condurre con estrema ingenuità esperimenti nucleari anche potenti, di cui non si conoscevano le reali ricadute radioattive sul territorio e sulla popolazione. Tuttavia, da entrambe le parti si capisce che il possesso dell'armamento nucleare rende l'ipotesi di un conflitto un'eventualità non contemplata, se non nella misura in cui la dotazione nucleare consente un'effettiva deterrenza. Non si ferma inoltre la ricerca in due direzioni: da un lato, nella direzione di un aumento del potenziale di energia sprigionato e dall'altro verso la possibilità di sganciare la bomba con vettori aerei --> avvio in Germania, con Von Braun (padre ricerca missilistica) della ricerca missilistica e, avendo capito che oltre ad un certo potenziale distruttivo non avrebbe avuto più senso confrontarsi, la ricerca si concentra sulle modalità di trasporto della bomba nucleare. Nel 1957 i sovietici lanciano lo Sputnik, satellite a gittata intercontinentale che destabilizza fortemente la psiche del Pentagono, il quale percepisce una netta superiorità militare sovietica a fronte di un ritardo tecnologico americano, che ne avrebbe determinato la perdita della loro condizione di superiorità. La ragione per cui quello che viene presentato con un esperimento spaziale pericolosissimo è che si rileva la paura di un attacco militare missilistico nel territorio statunitense: un missile a lunga gittata rendeva vulnerabile lo spazio americano e nel 1957 inizia la corsa allo spazio. Avviene inoltre anche un incidente spionistico, per cui l'URSS scoprì di essere spiata dagli americani. Nel 1957 i russi hanno sì un missile che va lontano, ma che è anche fortemente impreciso e in realtà gli americani sopravvalutano ciò che Kruscev vende molto bene. Riprende quindi e si velocizza la corsa al riarmo, dove la superiorità americana era dettata solo dal numero maggiore e della collocazione geografica delle basi militari che avevano. 15.05.2014 Il lancio dello Sputnik prelude ad una crisi interna per gli Stati Uniti: essi sentono una sorta di inferiorità militare e la necessità di riprendere la corsa tecnologica; i sovietici, infatti, avrebbero potuto sancire la loro superiorità sugli americani, ma questo senso di divario (inside gap?) ha delle conseguenze abbastanza rilevanti in vari settori. Innanzitutto, Kruscev utilizza il gap millantando la superiorità tecnologica sovietica, che però gli armamenti sovietici, per la loro infima qualità, non rappresentavano veramente. Si capisce nei primi anni 60, con le prime esplorazioni satellitari, che questo gap è in realtà una mezza fandonia (inziano le esplorazioni satellitari con i missili u2) e d'altro canto lo stesso gioco che Kruscev portava avanti nei confronti dell'occidente prosegue nei confronti dei cinesi, i quali si persuadono che lo stato di avanzamento della ricerca tecnologica sovietica sia effettivo e sostanziale e questo porta i cinesi a domandarsi logicamente perchè, a questa superiorità, non segue una politica sovietica più volitiva in politica estera. Questa curiosità mette in difficoltà Kruscev, che realisticamente sapeva che un attacco nucleare, da qualsiasi parte provenisse, avrebbe portato alla distruzione reciproca e cambia in definitiva la percezione di una guerra. Questo concetto per i cinesi è qualcosa di diverso, perchè per i cinesi contava il dato demografico (anche se ci bombardano con la bomba nucleare, noi siamo milioni di persone) e a Kruscev perviene l'accusa di essere troppo timido verso l'occidente. Non bisogna dimenticare che l'ideologia cinese, durante tutto il periodo staliniano, era stata saldamente assoggettata a quella sovietica; al contrario, con la destalinizzazione, Kruscev aveva messo in discussione alcuni fondamenti dell'ideologia e i cinesi possono contendere lo scettro dell'ideologia all'URSS. Kruscev inoltre riavvicina la Jugoslavia non appena arriva al potere: non è un caso, perchè la Jugoslavia si trova in una posizione strategica e Kruscev fa capire a Tito che è ben disposto ad accoglierlo nuovamente sotto l'egida sovietica. Tito gioca questo vantaggio anche nei confronti dell'occidente, non teme più l'attacco dell'URSS e anzi inizia a sfruttare il suo spazio di manovra scegliendo la strada nel non allineamento (inaugurata con la conferenza di Bandung del 1955), che strizza l'occhio anche alla Cina. Ecco che il rapporto tra Urss e Cina inizia ad essere difficoltoso, nonostante i due paesi comunisti abbiano siglato un accordo nel 1957, in base al quale l'Urss avrebbe dovuto fornire del know how tecnologico e strategico alla Cina, che si sarebbe potuta dotare pe rragioni di sicurezza di una bomba nucleare. In realtà è evidente come si stia creando un malessere tra le due, che tuttavia gli occidentali non avevano ancora rilevato --> si pensi al fatto che la politica di riavvicinamento Usa-Cina inizierà solo nel 1971 con Kissinger e Nixon e sarà effetticamente tardiva, a maggior ragione se si pensa che alcuni analisti fanno risalire l'origine dei contrasti sino-sovietici addirittura alla guerra di Corea. E' rimasto anche aperto il discorso della difesa europea: viene creata e fallisce nel 54 la CED e nel 55 si arriva all'ingresso della Germania Ovest nella Nato. il discorso della difesa europea non si può concludere qui: cosa sarebbe successo se davvero si fosse arrivati ad un confronto militare tra i due blocchi? Da chi sarebbe stata difesa l'Europa, che comunque sarebbe stata abbandonata dagli Usa? L'Europa rimane ancora un terreno di scontro e il processo di integrazione europea, che parte da una strutturazione economica, fa fatica a trovare una coesione politica e militare, anche a causa dell'atteggiamento ambiguo degli Stati Uniti. Il problema tedesco rimane ancora irrisolto e la situazione tedesca rimane indeterminata > non c'è nulla di assodato e anzi si presenta l'ulteriore opzione di nuclearizzare la Germania Occidentale (gli Stati Uniti prendono in considerazione l'opzione di dotare le loro basi tedesche con l'arma nucleare). Il problema tedesco rimane una spina nel fianco per i sovietici, nella misura in cui i sovietici non hanno ancora trovato una strategia a lungo respiro per la Germania. Inoltre, nel confronto diretto a Berlino tra i due modelli di vita, appare chiaro il fallimento del modello sovietico, dato che un sesto della popolazione di Berlino est è passata a Berlino ovest. La Germania occidentale si trincea nella dottrina Hallenstein, che prevede che la Germania occidentale non intratterrà rapporti nè politici nè economici con qualsiasi paese che intrattenga rapporti politici/economici con la Germania orientale -> politica di non riconoscimento, stante anche il fatto che la Germania ovest era una potenza in via di sviluppo e lanciata economicamente. La BRD viene lasciata isolata, tanto quanto lo è a DDR all'interno del blocco di Varsavia. La DDR non è riconosciuta a occidente e per Kruscev rimane la vecchia convinzione che la Germania costituisse ancora un punto debole non solo per l'Urss, ma anche per gli Usa, laddove attraverso Berlino i sovietici potevano esercitare pressioni anche sulla zona occidentale amministrata dagli alleati. A quel punto Kruscev sa che il controllo delle vie d'accesso a Berlino è ancora nelle mani dei sovietici per il momento: ora, il controllo delle vie d'accesso alla capitale deve passare alla DDR, minacciando la Germania occidentale con un'ulteriore pressione e i sovietici chiedono inoltre che tutta Berlino passi alla DDR -> le provocazioni sugli americani, che nel frattempo stanno valutando l'ipotesi della nuclearizzazione della Germania occidentale (e i sovietici lo sapevano), hanno effetto e gli americani si trovano a dover agire su più fronti, ponendosi anche il problema del trasporto e dei vettori nucleari e iniziando a lavorare ora sia su missili a medio che a lungo raggio. I missili a medio raggio, installati in Italia e Turchia, sono effettivamente in grado di colpire il territorio sovietico e parallelamente gli americani sviluppano la ricerca di basi mobili per il lancio dei loro missili ("polaris"), ovvero sottomarini da cui avrebbero potuto sganciare le loro armi nucleari. E' un fatto però che quando Kennedy viene eletto presidente, con alle spalle una trionfale campagna elettorale con cui ha battuto Nixon, promettendo una politica nuova, Kruscev ritiene almeno nella fase iniziale della sua presidenza di poter premere sul nuovo presidente e sulla sua amministrazione, poichè ci si trova ancora in un momento di assestamento per la politica statunitense. Tra l'altro, l'esordio sulla scena internazionale dell'amministrazione Kennedy non è brillante, in quanto avviene in concomitanza dell'incidente della baia dei porci con Cuba. Cuba è da qualche anno passata sotto il controllo di un regime rivoluzionario e castrista, che almeno inizialmente non è così allineato a Mosca e all'Urss. Con Batista, Cuba era sotto il controllo americano e questo permetteva alle grandi compagnie agroalimentari che investivano sull'isola di operare tranquillamente e di spadroneggiare sul territorio. Quando Castro va al potere egli parla di nazionalizzare le grandi compagne economiche americane, provocando l'indisposizione verso Cuba sia degli Stati Uniti che delle compagnie economiche e al solito, se l'amministrazione Usa nell'era Eisenhower aveva voluto vedere ogni realtà locale come scontro bipolare, questo limite è ancor più evidente in America Latina, in quanto essa rappresenta il punto di vulnerabilità massima degli Stati Uniti. E' evidente che un moto rivoluzionario a Cuba avrebbe potuto spargersi nei paesi vicini e quindi che la rivoluzione castrista avrebbe potuto essere internazionalizzata, aprendo la porta ad un potenziale ingresso dell'Urss nel giardino di casa degli Stati Uniti; in America Latina, inoltre, la rivoluzione castrista va a ledere interessi diretti di compagnie agroalimentari, che sono rappresentate al congresso da potenti lobby, almeno quanto lo sono gli esuli cubani stabilizzati in Florida e quando Kennedy diventa presidente, la CIA ha già elaborato un piano atto a destabilizzare Castro con una core operation (operazione sotto copertura). Essa consisteva nella preparazione di un tentativo di sollevazione popolare contro Castro, previo lo sbarco ad opera statunitense di alcuni esuli cubani nella baia dei porci, il tutto ovviamente sostenuto dalla CIA. Kennedy dà il via libera all'operazione, azione che apre un dilemma nel giudizio del suo effettivo operato in politica estera, nonostante l'operazione alla baia dei porci risulti un fallimento. Gli americani non intendono venire allo scoperto ad ogni modo e Kennedy rifiuta imemdiatamente di accordare una copertura aerea all'operazione, in quanto ciò avrebbe significato scoprirsi di fronte all'opinione pubblica e svelare il proprio coinvolgimento e quindi bene o male gli sbarcati sono lasciati al loro destino. Dal fallimento dell'operazione ci guadagna Cuba, che si avvicina definitivamente all'Urss in ragione della sua necessità di protezione militare e per non essere isolata politicamente, e l'URSS, che incassa un successo inaspettato in una zona altamente strategica, ad una distanza ridicola dalle coste americane. La politica americana verso Cuba fu davvero limitante e sebbene Kennedy volesse condurre una politica di progresso verso Cuba, smettendo di foraggiare proprietari fondieri corrotti dell'America Latina, egli non ebbe tempo per agire concretamente. E' da notare come, tra le ipotesi a riguardo dell'assassinio di Kennedy, fu presa in considerazione anche quella degli esuli cubani. Quindi, la nuova ammistrazione democratica da un lato registra questo insuccesso e dall'altro procede a colmare nell'inside gap con le esplorazioni satellitari: gli Usa iniziano a rendersi conto che non è vero che i sovietici sono così potenti e al contempo Kennedy deve gestire la questione di Berlino,su cui confluisce la pressione sovietica. Questo porterà necessariamente kennedy ad accettare il male minore, che quindi significa accettare il muro --> quando i sovietici, dopo l'ennesima provocazione, annunciano di aver passato alla DDR il controllo delle vie d'accesso a Berlino, l'Urss fa costruire il muro, che svolge primariamente la funzione di impedire il flusso umano di abitanti che stava subendo la DDR. Gli americani e Kennedy accettano comunque una sistemazione della questione tedesca non troppo ottimale in via di principio, perchè così facendo per lo meno congelano un problema e un elemento di frizione potenzialmente pericoloso e destabilizzante. Il problema delle relazioni e dell'approccio della Germania occidentale con la DDR rimane tale fino a fine anni 60, quando salirà al potere Willy Brandt e procederà alla Ostpolitik. Dunque, la situazione di Cuba successiva alla crisi della baia dei porci vede il baricentro spostarsi totalmente a favore dell'Urss, con la quale Cuba riesce a stringere un grosso accoro economico, riguardo all'esportazione di materie prime (soprattutto canna da zucchero) --> dopo questo primo avvicinamento economico si capisce come la "conquista" di Cuba da parte di Mosca sia una vittoria ben più consistente di quella che era riuscita ad ottenere in Egitto. Con Cuba, Kruscev trova una piena convergenza non solo economica quanto ideologica e Cstro ha bisogno di proteggere il proprio regime comunque da un potenziale attacco americano che ovviamente non è così onirico nè imprevedibile. Gli Usa hanno tutto l'interesse del caso a far saltare il regime castrista e Kruscev coglie l'occasione di questa nuova relazione come un'opportunità per collocare dei missili sovietici sull'isola. I vantaggi erano molteplici: 1. non sarebbero serviti missili a lunga gittata, 2. la collocazione geografica avrebbe permesso un'elevata possibilità di intervento e 3. Cuba sarebbe stata sicura che gli americani non avrebbero infastidito il regime. Ora gli americani avevano visto le foto di quella che era ormai l'installazione e la costruzione di rampre di lancio missilistiche per testate nucleari a Cuba --> l'amministrazione Kennedy è posta in una situazione difficile e sicuramente, in tutta la guerra fredda, la crisi di Cuba fa vermente sfiorare il rischio di un conflitto militare. L'amministrazione statunitense non è assolutamente disposta a consentire una minaccia effettiva e un'incredibile vulnerabilità del territorio americano, nè che i sovietici entrino nell'emisfero americano ponendo una minaccia così grave al territorio americano: inizia l'excalation della violenza e gli Usa intimano ai sovietici di ritirare consiglieri, navi, costruttori di navi e missili dall'isola, dichiarando un blocco navale attorno all'isola di Cuba. Ciò avrebbe significato che le navi sovietiche avrebbero trovato un impedimento nella loro navigazione verso Cuba e l'ipotesi che effettivamente ci possa essere un blocco rende concreta uno scontro diretto. Kruscev non è uno sconsiderato quando decidere di mettere dei missili a Cuba, ma anzi è consapevole di prendersi un gran rischio, ma è altrettanto consapevole e fermo nella convinzione che la guerra militare si sarebbe combattuta in zone periferiche al territorio statunitense o sovietico, in quanto, con una buona dose di realismo, la guerra nucleare non era di certo presa in considerazione. D'altra parte, Kruscev agiva in un contesto in cui l'asimmetria nucleare era già sbilanciata a favore degli Usa, che potevano contare su basi nucleari installate in Turchia e in Italia, dalle quali si poteva facilmente colpire il territorio sovietico, mentre i sovietici si sarebbero potuti rivalere solo sul territorio europeo, non direttamente su quello americano. Inoltre, i segnali che arrivavano dall'attitudine al compromesso dell'amministrazione Kennedy, che aveva fallito con lo scarco sulla Baia e aveva accettato il muro di Berlino senza troppe insistenze, gli aveva fatto intendere di poter attuare questa prova di forza. In terzo luogo, la storiografia occidentale non prende mai appieno in considerazione l'importanza delle relazioni con i cinesi, il cui pessimo andamento stava influenzando anche la politica estera sovietica, a cui Mao continuava a chiedere una prova di forza. In questi anni, inoltre, i sovietici rompono l'accordo del 1957 riguardo allo scambio di tecnologia militare, che segna un punto di rallentamento nel processo di creazione cinese di una propria bomba nucleare. Kruscev sperava che o gli Usa facessero buon viso a cattivo gioco o al limite pensava di trascinarli ad un piano negoziale, ma, in realtà, la risposta di Kennedy fu assolutamente rigida e l'amministrazione Usa decise di correre il rischio e di aspettare e verificare se l'Urss stesse bluffando. Entrambe le parti corsero un gran rischio, ma soprattutto il culmine della tensione si toccò con il blocco navale, potenzialmente foriero di incidenti pericolosissimi; siccome però alla fine prevalse il buonsenso, i sovietici chiedono per lo meno di avere la garanzia che gli Usa rispettino l'indipendenza cubana (tentativo di ascrivere la crisi ad un equilibrio interno cubano). Inoltre, i sovietici chiedono con una lettera non pubblica che avvenga il ritiro dei missili americani dall'Italia e dalla Turchia, cosa che poi non avverà, sebbene gli americani accettino ufficiosamente di ritirare i propri missili. Al contempo la rinuncia americana è parziale, in quanto gli Usa stavano portando avanti la ricerca su un nuovo vettore di potenziale vantaggio che erano i missili polaris, i missili sottomarini. Per il momento il bilancio è questo, con la vicenda cubana che sicuramente non aiuterà il prestigio interno di Kruscev. Un altro fronte che si apre è quello vietnamita: quando si parla delle responsabilità nel coinvolgimento americano in Vietnam il confronto non è semplice. Il coinvolgimento è ascrivibile, durante la presidenza Kennedy, all'interessamento che la politica americana aveva sviluppato verso il Vietnam del Sud, successivamente agli accordi di Ginevra post sconfitta francese del 1954. Il Vietnam del sud è fortemente instabile e gli Usa lo sostengono perchè il Vietnam nord stava evidentemente cercando di unificare il paese sotto il governo comunista. La politica statunitense è quella di accordare un sostegno politico ed economico al Vietnam del Sud, scegliendo Diem come referente politico Diem, che sceglierà di perseguire una politica piuttosto religiosa che militare (lui era cattolico e il suo regime si sosteneva sui cattolici, in contrasto con i profughi buddisti), ammazzando buddisti e provocando solamente il disgusto dell'opinione pubblica. Quindi gli Stati Uniti non trovano il giusto referente politico e la contraddizione della politica americana sarà quella che gli americani ben presto si renderanno conto che Diem è incontenibile, decideranno di farlo cadere e lo uccideranno. In questa fase gli Usa iniziano ad inviare consiglieri militari in Vietnam, preludendo ad un futuro coinvolgimento militare in questo territorio --> Kennedy non scatenò il conflitto, ma il crescendo del coinvolgimento inizia con l'amministrazione Kennedy, in quanto sarà proprio Johnson, futuro presidente, ad essere inviato in quei territori. La crisi di Suez ha lasciato i caschi blu attestati nella zona del Sinai, con Nasser politicamente rafforzato sul fronte interno, ma al contempo con il mondo arabo ancora in attesa di rivalersi su Israele. Gli americani hanno pienamente preso in gestione il problema, anche se i sovietici non perdono tempo e cercano uno spazio in Medioriente presso i paesi arabi, cosa che risulterà ben più facile per loro dopo il 1956. Alla metà degli anni 60, quando gli Usa inizieranno un crescente impegno militare in Vietnam, i sovietici trovano uno spazio più ampio e facile da sfruttare in Medioriente e non essendo compromessi con la politica sionista, essi hanno un vantaggio decisivo rispetto agli Stati Uniti. Nel 1967 Nasser cerca di riaprire la questione, chiedendo alle Nazioni Unite di ritirarsi dal Sinai. A questo punto viene concluso un accordo internazionale che prevede la sanzione internazionale verso l'Egitto nel caso in cui quest'ultimo avesse chiuso gli stretti di Tiran, non permettendo ad Israele di avere uno sbocco sul mare e, non appena Nasser muove verso il Sinai, cosa che avrebbe dovuto causare l'applicazione dell'accordo, di fatto nessuno sembra interessato ad applicarlo e a difendere Israele. Gli Stati Uniti erano sicuramente impegnati principalmente in Vietnam e non potevano correre ad aiutare l'alleato, così gli israeliani si rendono conto dell'excalation di violenza da parte di Nasser, il quale stava ammassando le truppe egiziane sul Sinai e stava siglando una serie di accordi di mutua difesa con Giordania e Iraq, contando sull'amicizia di lunga data con la Siria. L'Egitto si stava proiettando in un disegno panarabo di radunamento di tutte le forze esistenti all'interno del mondo arabo per riuscire a condurre un attacco vincente nei confronti di Israele e, a questo punto, nel giugno 1967 gli israeliani decidono di passare all'attacco preventivo contro l'Egitto e nei confronti degli alleati dell'Egitto (Siria e Giordania) per evitare l'accerchiamento e l'attacco su tre fronti. La Siria aveva alture del Golan, che erano appetibili per Israele come frontiera di difesa; nel momento in cui gli israeliani avessero reagito ad un attacco, avrebbero colpito anche la Siria. Ecco che si scatena la guerra dei sei giorni, nel 1967, con cui Israele riesce a distruggere completamente l'aviazione egiziana e a vincere sulla Siria, sulla Giordania e sull'Egitto e ottenendo un quantitativo di territori piuttosto cospicuo: Sinai, la Cisgiordania, la Striscia di Gaza, le alture del Golan e Gerusalemme est. Gli israeliani portano a casa territori che saranno successivamente oggetto di scambio per una garanzia precisa di un pieno riconoscimento dello stato di Israele e dei suoi diritti: accordo di pace vero in cui gli israeliani pensavano di ritirarsi dal Sinai e dal Golan. Nel settembre 1967, al vertice di Khartoum, la coalizione araba elabora la propria risposta politica che consiste nella necessità di unire le proprie forze e vengono enunciati i famosi "tre no" di Khartoum: no alla pace, no al riconoscimento e no ai negoziati. La risposta araba è di assoluto irrigidimento e nel novembre 1967 la risoluzione 242 dell'Onu sembra risolvere la questione arabo-israeliana, ma la risoluzione stessa contiene un dato politico formale molto interessante: nella risoluzione inglese si dice che gli israeliani dovranno andarsene da territori occupati (e quindi da alcuni); nella versione francese di dice che gli israeliani si sarebbero dovuti ritirare dai territori occupati (tutti)--> Kissinger parlerà di ambiguità costruttive. Il problema arabo israeliano è pesante a livello internazionale, soprattutto perchè è accompagnato dal problema dei profughi che vanno verso tutti i paesi arabi. I profughi sono stati volutamente tenuti in quella tale condizione e non è mai stato previsto un insediamento decente --> essi diventano uno strumento di pressione politica ai danni di Israele, soprattutto perchè nei campi profughi, composti da migliaia di persone e radunati in luoghi come la Giordania, si riorganizzerà la resistenza palestinese di Arafat attorno all'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), cui seguirà una durissima risposta giordana con il settembre nero. Il problema dei profughi viene lasciato impregiudicato e il problema palestinese riemerge nei primi anni Settanta, quando i giordani decisono di fare piazza pulita dei vertici palestinesi che si stavano riorganizzando nel territorio giordano e che premevano sul re giordano; inoltre, nei primi anni 70 il problema arabo israeliano si fonde con il terrorismo internazionale e si manifesta negli atti terroristici non solo sul territorio israeliano, ma anche a livello internazionale, come avvenne nel 1972 alle Olimpiadi di Monaco. I palestinesi decidono di usare il terrorismo anche sotto forma di dirottamenti aerei per agire su Israele, fino al 1973 quando avverrà un ulteriore conflitto tra Israele e l'Egitto. 19.05.2014 Seminario Relazioni Israelo-Palestinesi 1967: guerra dei Sei Giorni. Gli effetti sono i seguenti: a livello geografico, Israele vede la propria superficie precedente raddoppiare e incamera un milione e mezzo di profughi palestinesi e arabi, che vanno ad alterare la struttura demografica; inoltre, Israele si estende su territori ad est, sulla Città Vecchia, sul Sinai, sulla Cisgiordania, sulla striscia di Gaza, sulle alture del Golan, territori che non gli spettavano, secondo la risoluzione 181 del 1946, ma anzi apparterebbero ad uno stato di Palestina che ancora non c'è. A livello internazionale, la guerra del 1967 chiarisce gli schieramenti: l'URSS rompe i rapporti con Israele, che diventa un protetto degli Usa --> effetto diretto della guerra del 1967 è la risoluzione ONU 242, che sarà alla base di ogni successivo tentativo di risoluzione del conflitto israelo-palestinese. Il 67 rafforza molto il movimento palestinese e già dal 1964 la Lega Araba aveva riconosciuto l'OLP come unico rappresentante del mondo arabo e unico interlocutore, che viene rafforzato nel 67. L'OLP si sposta dal Cairo ad Amman e inizia la costruzione di uno stato nello stato in Giordania, che culminerà con gli avvenimenti del settembre nero del 1970 (espulsione dell'OLP da Amman e dalla Giordania, tensioni tra la corona giordana e il movimento palestinese e la fuga da Beirut). A livello politico interno degli stati arabi ci sono due grandi sommovimenti da tenere a mente: nel 1967 avviene la sconfitta politico-militare che dà il colpo finale al nasserismo in Egitto e nel mondo arabo, che peggiora nel marzo 1970 con la sua morte. Nasser muore quando vede che ciò che aveva costruito era ormai in crisi e gli succede Sadat, personaggio di seconda fila, suo fedelissimo, che tuttavia non aveva il suo carisma; era un rivoluzionario, ma minore, che ha subito due grossi problemi da risolvere --> 1. deve crearsi una base di sostegno politico e deve diventare una personalità politica riconosciuta all'interno dello stato israeliano, 2. deve riavviare l'economia egiziana e per fare questo occorre abbandonare l'ingombrante modello di sviluppo sovietico, per rafforzare il privato e incentivare il commercio = ciò significa aprirsi all'influenza economica degli Usa, che potevano dare nuovi aiuti all'Egitto e politicamente questo rappresenta un cambiamento di campo! L'avvicinamento agli Stati Uniti avviene lentamente, con Sadat che, a fronte del suo potere debole in Egitto, si rivolge a questi ultimi, mentre in Siria, Assad prende il potere con l'ennesimo golpe e diventa il capo di stato della Siria. Per certi versi, Assad ha gli stessi problemi di Sadat: è un militare, ma deve costruirsi una base politica e così come Sadat fa della riconquista del Sinai il punto della sua politica interna e internazionale, Assad trasforma la necessità di riconquistare le alture del Golan la propria stella della politica interna --> successo militare per legittimarsi a livello di politica interna. A livello politico, ciò che potrebbe rilegittimare i regimi è una nuova guerra contro Israele: Sadat la userebbe per iniziare un dialogo con gli Stati Uniti verso la pace con Israele e sempre per questioni di popolarità, mentre Assad la utilizzerebbe per scopi politici interni e per delle rivendicazioni territoriali. 6 ottobre 1973 scoppio della guerra dello Yom Kippur, che non nasce dalle dall'intento roboante di spazzare via i sionisti dalla carta geografica del Medioriente, quanto dal tentativo sirio-egiziano di legittimare i confini e i loro regimi e di ricominciare e coinvolgere gli Usa in dialogo politico-militare senza apparentemente tradire (Egitto) la fiducia dei sovietici, con i quali gli egiziani avevano rinnovato delle convenzioni di cooperazione militare nel 1972. L'attacco del 1973 avviene su due fronti, dalle alture del Golan e dal Sinai, durante la festività dello Yom Kippur: shock politico-militare per Israele, in quanto crolla il mito della sua invincibilità --> Israele subisce una duplice invasione (per quanto limitata), ma in brevissimo tempo si riprende, avviando una contro offensiva e portandosi in vantaggio sui contendenti, arrivando a 30 km da Damasco e Sharon, nel deserto del Sinai, si va ad incuneare tra due divisioni egiziane, stabilendo una testa di ponte sulla sponda occidentale del canale di Suez, arrivando a minacciare direttamente Il Cairo. A quel punto l'Urss interviene, minacciando un intervento militare diretto, al quale risponde la posizione americana e si giunge ad uno stop ritardato delle operazioni (stop ritardato da parte israeliana, perchè si voleva terminare l'occupazione di alcune parti del Golan), approdando all'approvazione di tre risoluzioni (338, 339, 340) per cessare le ostilità e ripristinare lo status quo. La guerra del 73 fa capire che Israele militarmente non si può vincere, ma si può piegare a livello politico, incidendo sui suoi alleati --> gli stati dell'OPEC usano politicamente l'arma energetica, ponendo l'embargo petrolifero contro gli alleati di israele; l'embargo si ripercuote sulla politica estera degli stati europei, che inizieranno a porre un'attenzione nuova sulla causa palestinese, anche quando essa si manifesterà con il terrorismo. Gli effetti di questa guerra non si riprecuotono a livello territoriale, non ci sono vantaggi per nessuno, ma i vantaggi rilevati sono tutti politici, poichè la guerra del 73 segna una vittoria di israele, che, dalla condizione di aggredito, si difende, contrattacca e vince; a livello politico, emerge la sconfitta israeliana e la vittoria degli stati arabi della Siria e dell'Egitto, che infliggono colpo mortale al mito dell'invincibilità di Israele (tant'è che ancora oggi il 6 ottobre è festa nazionale in Egitto e in Siria). Gli stati arabi non ci guadagnano, ma la loro popolarità e il loro prestigio cresce nel mondo arabo e nei due anni successivi avverranno le elezioni in Israele, che vedranno il crollo del partito laburista e la vittoria della coalizione di destra conservatrice del Likud. A livello pattizio, la Siria si rifiuta di parlare con Israele, per la questione di principio della restituzione del Golan, ma tra 1973 e 74 vengono siglati gli accordi del km 101 con l'Egitto, che permettono, grazie a mediazione di Kissinger, di liberare la terza armata israeliana bloccata nel deserto e di istituire di una fascia smilitarizzata lungo il canale di Suez, una fascia cuscinetto che verrà affidata ai caschi blu dell'ONU. Con l'intervento Usa riparte il dialogo Israele-Egitto, grazie all'intervento di Kissinger si ristabiliscono a pieno le relazioni insraelo-egiziane e Sadat riesce a ottenere l'appoggio economico statunitense, staccando un pilastro della politica economica statunitense (Israele) e riuscendo (Sadat) a garantirsi l'appoggio statunitense per iniziare a normalizzare le relazioni con Israele --> coinvolgere gli Usa nello scacchiere mediorientale, per ottenere il loro favore nelle trattative di pace. 9 Novembre 1977: con una mossa a sorpresa, Sadat propone a Begin (primo ministro israeliano del Likud) di raggiungerlo a Gerusalemme e di parlare di un piano di pace di fronte alla Knesset, tradendo la linea politica degli stati arabi (suggellata dal vertice di rabat negli anni 60, ovvero NO alle paci separate con Israele) e a Gerusalemme avverrà il dialogo su un piano di pace basato sul concetto di scambio di territori contro la pace --> inizieranno negoziati diretti tra Egitto-Israele, che culmineranno il 26 marzo 1979 con la firma del trattato di Camp David, svolta definitiva nelle relazioni tra Israele e il mondo arabo, che rompe il tabù degli arabi di parlare con Israele. Tuttavia, il trattato non è un armistizio nè un accordo temporaneo, ma un trattato di pace definitivo: a fronte della restituzione del Sinai, l'Egitto accetta di normalizzare le relazioni con Israele e questo è il primo trattato di pace tra uno stato arabo e Israele. Il mondo arabo reagisce rompendo le relazioni diplomatiche con l'Egitto, che per molti anni viene isolato sul panorama arabo, benchè nel mondo arabo si profili una spaccatura tra un fronte intransigente, rappresentato da Siria, Iraq, Yemen, Algeria e Libia sotto il cappello sovietico e una seconda cordata di stati arabi più esposti verso l'occidente come gli stati del Golfo persico, l'Arabia Saudita, il Marocco, la Giordania e gli Emirati arabi. Coloro che risultano perdenti da questo trattato sono i palestinesi. Camp David nel 1979 rappresenta anche lo storico tradimento della causa palestinese, che non viene citata se non un vago accenno alla possibilità di una futura autonomia del mondo palestinese, ma non si va oltre a questo. Quest'autonomia rappresenta da un lato, per Sadat, la base per la richiesta di statualità prevista dalle risoluzioni dell'Onu, ma dall'altro Begin non la pensa così: l'autonomia palestinese non ha senso se non nella misura di eventuali sacche all'interno dei territori occupati da Israele e quindi aumenta la frustrazione e il risentimento del mondo palestinese, tradito dall'Egitto e dal mondo arabo e questa rabbia confluisce nella base politica che sosterrà, nel dicembre 1987, lo scoppio della prima intifada. L'ultimo effetto riguarda la Siria, dove Assad può riprendere in mano le proprie politiche interna de internazionale, si è legittimato e capisce che nel mondo arabo, l'Egitto è fuori gioco e non c'è più nessuno che possa tener testa alla supremazia siriana nel mondo arabo --> nel dicembre 1975, Assad può intervenire nel dramma libanese, nella guerra civile appena scoppiata. Il Libano, che dal 1861 era gestito da un regolarmento organico che regolava i rapporti tra le varie comunità confessionali ed etniche (il Libano è un crogiuolo di etnie e religioni, così come la Siria del resto), e data la sua particolare condizione etnica e sociale estremamente frammentata e differenziata, il Libano aveva goduto di un regime protetto sotto l'Impero Ottomano, il quale viene beceramente alterato dai francesi con il mandato del 1920, che diluisce il piccolo Libano nel "grande Libano", uno stato nuovo di dimensioni enormi, dove le vcchie comunità sono sciolte all'interno di uno stato che non percepiscono come proprio. Si giunge a due scadenze: nel 1932 avviene primo censimento in Libano e la stipulazione del 1943 del patto nazionale. Esso è un accordo non scritto tra tutte le comunità libanesi, il quale prevede un accordo di power sharing, secondo il quale la repubblica libanese avrebbe sempre avuto un presidente della repubblica cristiano-maronita, un presidente del consiglio dei ministri (quindi capo del governo) musulmano sunnita e un presidente del parlamento musulmano sciita. Questo accordo denuncia una difficoltà interna a gestire il potere, nonostante le fratture politiche religiose non abbattano il Libano per una quarantina d'anni. Tuttavia, la vicinanza con il mondo arabo, instabile e particolarmente volitivo, fa vacillare la stabilità interna. Inoltre, l'aumento delle disuguaglianze interne nello stesso mondo arabo e tra mondo arabo e mondo ebraico e le guerre, infastidiscono ulteriormente le componenti del mondo palestinese, che vedono chiaramente la disomogeneità con cui vengono distribuiti i flussi di denaro provenienti dall'estrazione del petrolio; i proventi finanziari fluivano solo verso alcune componenti della comunità libanese. Nel 1970 l'OLP si sposta da Amman a Beirut e grazie ad un accordo con Nasser, l'OLP palestinese fa del Libano la propria base operativa, con un grado di autonomia militare e politica straordinario --> ingestibilità dell'OLP, stato nello stato all'interno del Libano (da rivedere la parte sopra), che si manifestava nella presenza costante dei militari israeliani sulle zone di confine, alterando l'equilibrio demografico; nel 1967 il governo libanese, per cercare di equilibrare l'influenza della varie comunità, vara una legge disastrosa che aumenta l'autonomia delle varie comunità libanesi, le quali, nel clima dell'instabilità mediorientale, procedono alla propria autonomizzazione, cui seguirà la loro politicizzazione e infine la militarizzazione delle comunità religiose, sicchè quando nel settembre 1975 alcuni incidenti tra maroniti e musulmani prendono piede, scoppia una guerra civile che flagella il Libano. Lo stato centrale libanese perde completamente il controllo del proprio territorio. Il governo libanese può solo chiedere aiuto alla Siria di Assad, che non chiede altro, in quanto riesce a 1. entrare in Libano e a pacificarlo a condizioni siriane, che prevedono l'estensione di un'influenza politica, l'eliminazione dell'OLP e l'aumento del divario politico-militare contro Israele. Il 31 maggio 1976 la Siria entra in Libano, il quale diventa il giardino di caccia della Siria, ai confini con Israele. Ora, nel quadro internazionale, di lì a breve, l'Egitto si sarebbe pacificato con Israele con gli accordi di Camp David, nel maggio 1977 la destra intransigente israeliana vince le elezioni e tra il 1977-79 scoppia la rivoluzione iraniana, che provoca la fuga dello scià e la ricostruzione della Repubblica Islamica dell'Iran. Israele ha dunque mani libere sul fronte meridionale, l'Egitto è pacificato, gli Usa hanno perso un grande alleato come l'Iran e quindi essi sono obbligati ad essere più sensibili verso Israele, il quale può sbarazzarsi dei palestinesi, ormai suo unico problema. Nel marzo 1978 scatta operazione Litani (Prima guerra del LIbano): Israele invade il Libano meridionale per "bonificare l'area" e per colpire definitivamente l'OLP, ma l'operazione è un insuccesso perchè l'OLP, che perde sì il controllo dei territori del Libano del sud, fugge a nord e nel giugno 1982 avviene una seconda grande operazione di Israle contro il Libano con l'operazione "Piccoli Pini" (si rivolge alla pulizia del Libano meridionale dai fedayyin): essa sarebbe dovuta essere un bis dell'operazione Litani per bonificare l'area, ma contemporaneamente a questo, sotto la responsabilità di Sharon e con la connivenza segreta e presunta del governo e dello Stato Maggiore israeliani, avviene l'operazione "Grandi Pini", che porta all'invasione completa del Libano da parte del contingente isralieno, alla distruzione di Beirut e alla distruzione fisica e materiale del Libano. L'OLP viene scacciato dal Libano, esso si trasferisce a Tunisi (esilio tunisino di Arafat), l'influenza dell'OLP sarà vanificata per diversi anni, nonostante le grandi potenze internazionali vengano costrette all'intervento per raggiungere nel 1989 l'accordo di Taif, firmato in Arabia Saudita. Esso prende atto della situazione sul campo: il patto nazionale del 1943 viene riconfermato in vigore, si riducono poteri del presidente siriano e della componente cristiano-maronita, aumentando i poteri della comunità musulmana. Nel 1982 avvengono i massacri nei campi profughi di Sabra e Shatila, una strage che non venne certo ostacolata da Israele e che fu perpretata dalle milizie cristiano-maronite alleate di Israele; è anche vero che furono i soldati israeliani a fermare i massacri. Le stragi nei campi profughi cominciano però nel 1976 e i fedayyin palestinesi vengono massacrati dai siriani e sempre nel 1982 Assad rade al suolo la città di Homs in Siria, con una ripercussione sulla Fratellanza Musulmana, che considerava Homs una propria roccaforte. La guerra civile libanese termina nell'ottobre 1989 con gli accordi di Taif, con i quali, avendo constatato la sola presenza di vittime, i contendenti confermano la situazione sul campo, ribadendo il patto nazionale del 1943 leggermente modificato a vantaggio della popolazione musulmana e prescrivendo un protettorato siriano all'interno del mondo arabo, con Assad che ne esce vincitore (Libano ne esce tacitamente come protettorato della Siria). A livello politico, Israele ci mette la faccia per le stragi contro i profughi e ciò indebolisce il sostegno internazionale ad Israele, sempre meno quotabile nella comunità internazionale (italiani accusati di essere alleati degli stragisti) e nel 1982 si verifica il tentativo di riemersione del problema palestinese: la comunità internazionale, dal 1975, si focalizza sull'espansione continua di Israele nei territori occupati e quando nel 1982 l'OLP scappa in tunisia, esso viene allontanato e non può controllare la situazione sul campo, con Israele che indebolisce l'influenza palestinese, favorendo la nascita di formazioni musulmane parallele come i gruppi religiosi (non nazionalismo palestinese) e questo si rivela drammatico per Israele. Si verifica un aumento della rabbia palestinese, l'invivibilità della vita quotidiana non tanto nella Westbank, quanto nella striscia di Gaza, la nascita di una generazione palestinese in cattività che si trova con un'OLP lontana e inefficace e si ritrova a Gaza a convivere con delle associazioni che promulgano la religione come cura delle oppressioni e elemento di liberazione --> la Fratellanza Musulmana da assistenzialista si politicizza e a metà anni '80 sotto la spinta di Yassin, esse si militarizzano e la Fratellanza Musulmana passa a Hamas alle Brigate Ezzebin al-Qassam di stampo islamista e nel dicembre 1987, quando la situazione è invivibile, la situazione scoppia e si scatena una rivolta popolare inattesa (rivolta delle pietre), in cui questa generazione di palestinesi sfoga la propria rabbia contro l'occupazione israeliana e contro il disinteresse dell'élite araba e di quella palestinese riguardo alle loro condizioni --> prima Intifada. L'OLP a Tunisi non sa come agire, le brigate Ezzedin al-Qassam espandono la loro influenza, cogliendo di sorpresa Israele che subisce un'altra sconfitta politica: Israele non è abituato a sparare contro bambini e neppure a dotarsi di armi "piccole" e non letali --> smacco internazionale. Non può esserci una soluzione: o si rade tutto al suolo o non se ne esce; allora Israele capisce che a livello politico e sociale esiste davvero una questione palestinese, in quanto i fatti del 1977 non hanno definito nulla e il problema palestinese è ancora aperto. Dall'altro lato l'OLP capisce di dover modificare la linea politica di intransigenza e di terrorismo, che non sta portando al alcun risultato, anzi Arafat capisce che si sta indebolendo a livello internazionale e interno. L'Intifada coinvolge le potenze e bisogna ripalestinizzare il conflitto arabo-israeliano: al massimo si poteva pensare ad una soluzione giordana (la striscia di Gaza non ha nessuna importanza, però la Westabank, che confina con la Giordania ed è più grande sarà assorbita dalla Giordania), che secondo Israele sarebbe potuta essere assorbita dalla Giordania (Giordania è protettore palestinese nella Westbank, di cui ha una responsabilità politico-amministrativa). Nel luglio 1988, la corona giordana ha in mano la chiave di svolta: la Giordania può sfruttare o rifiutare questa situazione e re Hussein afferma che, in ossequio alla volontà dell'OLP, rescinde i legami politico-amministrativi con il mondo israeliano nella Westbank. Letto al contrario, questo comunicato significa che, se Israele si ritira dalla Cisgiordania, la responsabilità sarebbe andata in capo all'OLP come unico rappresentante del mondo palestinese = indicare che nessun altro per la Palestina poteva essere l'interlocutore, che diventava solo l'OLP di Arafat. Questo è uno smacco per politica del Likud, che aveva sempre individuato nella Giordania un alleato tacito, mentre l'OLP, dal canto suo, è a Tunisi, lontano dal territorio, ha subito l'Intifada, è stato sconfitto in Libano, è in competizione con Hamas e con la Fratellanza Musulmana --> come i primi coloni sionisti, l'OLP capisce che, se vuole avere una parola nella politica palestinese, deve cambiare rotta politica e deve rinunciare alla linea dura di riprendersi l'interezza della Palestina, accontentandosi di ripartire dalle frazioni del territorio che gli spetterebbero non tanto dalla risoluzione 181 dell'ONU, ma rinunciando alle rivedicazioni storiche della Palestina: l'OLP si spacca in due tronconi, uno duro che non vuole rinunciare a tutta la terra che a loro spetta, che perde e la linea possibilista del novembre 1988 di Arafat, che afferma che realisticamente non ci si può riprendere tutta la Palestina -> occorre avviare un negoziato di pace con Israele, accettare delle risoluzioni ONU su base delle precedenti 181, 242, 338 = occorre accettare le condizioni internazionali sulla Palestina. I palestinesi rinunciano alle loro rivendicazioni storiche e rendono vani i moti che sono stati fatti contro Israele, ma queste sono le condizioni per avere l'appoggio statunitense nelle trattative per la pace. Nel settembre 1988, Arafat emana una dichiarazione detta Khalaf, con la quale egli accetta le risoluzioni ONU, accetta di negoziare con Israele e a dicembre 1988, accetta di rinunciare al terrorismo, accetta di riconoscere i confini di Israele, accetta la risoluzione 242 del 1967 e le sue successive modificazioni in toto, tutto questo per il favore statunitense e quindi OLP può trattare con la presenza di Israele. L'apertura di Arafat ai negoziati non è ciò che cercano Begin e il Likud, non vogliono una soluzione pacifica della questione palestinese, perchè per Israele la situazione sul campo è favorevole e non ci sono ragioni per negoziare: nell'89 viene elaborato un piano di pace per i palestinesi che prevedeva condizioni assolutamente inaccettabili: no alla Palestina stato, no alla trattativa con l'OLP, ma eventualmente far eleggere dai palestinesi locali una rappresentanza con cui negoziare un accordo transitorio di autonomia, ovvero ciò che i palestinesi non vogliono. Anche il partito laburista rifiuta questa proposta. A gennaio 1989, Bush padre diventa presidente USA e insieme a Baker (segretario di stato) introduce una spinta forte verso il negoziato Israele-Palestina, anche a causa della seconda guerra del golfo (agosto 1990, invasione Kuwait da parte dell'Iraq e formazione di una coalizione multinazionale in cui, a fianco gli Usa, combattono con la Siria, l'Egitto e stati arabi che storicamente erano stati nemici degli Usa ed essa porta ad una apertura nel mondo arabo e la spaccatura tra possibilisti e intransigenti si annullanel marzo 1991, con la sconfitta iraquena e alla sconfitta dell'unico alleato di Saddam Hussein, che ora l'OLP di Arafat); anche la Giordania si schiera con Iraq, in modo strumentale e d'accordo con gli Usa, per difendere il proprio confine. Rimasti gli Stati Uniti come unica grande potenza, non c'è ragione di dividere il fronte arabo e nel marzo 91 l'Iraq è prostrato, l'OLP è retrocesso politicamente e deve riabilitarsi a occhi della comunità internazionale; in questo contesto, gli Usa lanciano l'idea di una conferenza multilaterale di pace a Madrid nel 1991, che porta allo stesso tavolo tutti i nemici storici, Stati Uniti e Urss che la copresiedono, Libano, Siria, Egitto, Israele, Giordania e rappresentanza palestinese --> sarà un fallimento. Gli obiettivi saranno 1. la riappacificazione dell'area e 2. dei negoziati tra Israele e gli stati arabi della zona, ma la conferenza non funziona e i negoziati si arenano su questioni procedurali. Il Likud perde le elezioni in Israele e i laburisti di Rabin, con Peres agli esteri, vincono in contemporanea alle trattative di Madrid. Il mondo laburista riconosce la necessità del principio scambio territori-pace per assicurare la certezza della sicurezza di Israele. I negoziati non procedono particolarmente bene, gli israeliani vogliono il Golan, ma la Siria non lo molla e in questo stallo infruttoso, ad Oslo, il ministro delle finanze dell'OLP incontra alcuni studiosi israeliani per degli incontri culturali e inizia un dialogo, prevedendo una potenziale apertura palestinese. Gli studiosi tornano a Tel Aviv e, essendo collegati a Peres e all'ala giovane dell'OLP, si decide di continuare questi dialoghi informali nel più assoluto segreto, tanto che neppure i negoziatori di Madrid sapevano nulla di questo, finchè non si giunge a rispolverare l'idea pensare ad un progetto di prova ad interim (invece che ad un accordo definitivo) per negoziare un futuro accordo definitivo --> gli israeliani si sarebbero nel frattempo dovuti ritirare da alcune zone (Khalaf) e si giunge all'idea di un accordo su due basi: 1. possibilità riconoscimento reciproco tra OLP-Israele e 2. possibilità di giungere ad una dichiarazione di principi, per un accordo ad interim che possa portare ad un ritiro israeliano da Gaza e Gerico (Cisgiordania), mentre il resto dell'accordo definitivo sarebbe stato negoziato circa 9 mesi dopo il primo. 13 settembre 1993, la base dell'accordo temporaneo porta agli accordi di Oslo I, firmati a Washington: 1. riconoscimento reciproco, 2.accettazione della pace e della tranquillità dei confini israeliani, 3. nascita dell'autonomia palestinese su alcuni territori a fronte di un limitato ritiro israeliano da queste zone, ma mancano accordi su 1. status di Gerusalemme, sui confini israelo-palestinesi, sul ritorno dei profughi nelle loro terre, sulla rimozione degli insediamenti nei territori occupati. I negoziatori di Madrid sono stupiti e ritengono di essere stati presi per i fondelli, anche perchè la firma dell'accordo negli Usa non era giustificabile, data la completa ignoranza statunitense in materia. Tuattavia, Washington rappresenta un accordo con il nemico storico e la copertura statunitense era fondamentale per ragioni di politica interna -> un governo laburista poteva essere accusato dal Likud di aver svenduto la causa israeliana. L'accordo storico rappresenta però il tradimento delle speranze palestinesi. Seminario 20 maggio 2014 L'elemento che balza gli occhi nel 1973 è la grande capacità di Sadat di allontanarsi dal campo sovietico e di avvicinarsi al campo occidentale e statunitense, con l'unica pretesa di risovere la questione con Israele, tradendo in un certo senso il fronte arabo, avvicinandosi al fronte occientale e israeliano, con un trattato di pace che arriva nel 1979 con gli accordi di Camp David. Essi sono un trattato storico, che segna il grande tradimento del fronte arabo e che si ripercuoto sulla situazione palestinese sotto forma di un aumento del loro risentimento e della loto frustrazione, in quanto percepiscono di essere lasciati a loro stessi. Il tradimento si somma alla balzata diplomatica della guerra in Libano, che non si risolve nè con una vittoria di Israele nè dell'OLP. Anzi, l'OLP viene allontanata dal Libano e Israele sostiene la nascita di associazioni assistenzialiste, che vengono successivamente a politicizzarsi e infine a militarizzarsi --> trasformazione della Fratellanza Musulmana in Hamas e poi nelle brigate Ezzedin al-Qassam. Tutto questo va ad unirsi alla tensione palestinese, alla mai cessata colonizzazione israeliana dei territori contesi e alla presenza di una nuova generazione palestinese che vuole eliminare Israele, in quanto esso è un nemico noto. Nel 1987 si scatena quindi la prima Intifada, che in un certo senso indebolisce politicamente Israele, perchè da piccolo Davide ebraico contro il gigante Golia arabo (come era successo nel 1948 e nelle occasioni di tutte le altre guerre), Israele si trova ad essere il cattivo, mentre il palestinese è il piccolo Davide che lotta contro il nemino israeliano --> avviene uno stravolgimento di ruoli e di posizioni politiche. Dall'Intifada emerge che l'OLP, se vuole pensare di avere un ruolo nel futuro della Palestina e se vuole pensare che possa in futuro esistere uno stato di Palestina, deve scendere a compromessi con lo stato d'Israele. Questi compromessi sono quelli che pongono gli Usa, ovvero l'accettazione dell'esistenza di uno stato d'Israele, la rinuncia al terrorismo, l'assicurazione dei confini reciproci e l'accettazione delle risoluzioni 242, 338 e seguenti dell'ONU, che definiscono la nascita di uno stato di Palestina su una determinata porzione del territorio --> rinuncia palestinese alle richieste iniziali del movimento al-Fatah e delle richieste della Palestina. Nel dicembre 1988, l'accettazione delle richieste Usa da parte dei paelstinesi si avvia e ci sono i presupposti per un processo di pace, che però Israele non vuole: a quel punto interviene la seconda guerra del golfo del 1991, che destabilizza gli equilibri regionali. L'Iraq invade il Kuwait, cosa che gli Usa non possono accettare in quanto unico garante dell'ordine internazionale, ma nemmeno gli stati arabi possono accettare questo colpo di mano: questo significherebbe per loro accettare richieste del subnazionalismo regionale, che disgregherebbero il panorama mediorientale e soprattutto permetterebbero e legittimerebbero azioni di forza di qualsiasi stato contro un altro stato sovrano. Nel 1991, nell'agosto avviene l'invasione iraquena e la reazione Usa, che culmina con la sconfitta di Saddam nel febbraio 1991, riconosciuta come una contestuale sconfitta politica dell'Iraq e del suo unico alleato politico, che è l'OLP. La Giordania, infatti, era sì alleata dell'Iraq a livello politico, ma solamente per una causa di sicurezza interna e di protezione dagli eventuali missili che potevano arrivare da Baghdad. Questi missili, lanciati dall'Iraq, raggiunsero però anche Israele e solo con la forte mediazione statunitense fece in modo che Israele non rispondesse militarmente a propria volta, per evitare una excalation del conflitto. Nell'ottobre 1993 gli Stati Uniti capiscono che hanno combattuto contro un nemico assieme a degli stati arabi, in una coalizione che comprendeva la Siria, l'Egitto, gli Emirati Arabi e altre 29 nazioni tra cui l'italia, che ha interessi nel Mediterraneo. Si pensa a questo punto di indire una grande conferenza multilaterale a Madrid, che permetta ad Israele di parlare con i siriani per risolvere il nodo del Golan, con i libanesi per la questione della striscia del Libano meridionale martoriata dal Golan e da Israele, con l'Egitto e con una delegazione mista giordano-palestinese, alla ricerca intanto di un accordo con la Giordania (unico vero risultato della conferenza di Madrid) e in secondo luogo, di giungere ad una soluzione quantomeno territoriale con i palestinesi dell'OLP. A Madrid non si trova la quadratura del cerchio, ma nel frattempo ad Oslo cominciano i colloqui e gli incontri informali tra il responsabile economico dell'OLP e degli studiosi israeliani, che si confrontano con Peres e Rabin, finchè nell'estate 1993 anche Rabin si rende conto che le cose si fanno serie e che i palestinesi si stanno muovendo dalle proprie posizioni, accettando di riconoscere Israele; dall'altro lato, gli israeliani hanno offerto una autonomia palestinese, secondo il concetto di "Gaza e Gerico first", ovvero prima Gaza e Gerico (dall'altra parte del confine e testa di ponte in Cisgiordania), o perlomeno questa era l'idea di Rabin. Ora, assicurare il ritiro israeliano da Gerico, l'autorità autonoma di autogoverno palestinese, il riconoscimento reciproco e l'accettazione della pace e dei confini formano la base degli accordi di Oslo siglati a Washington del settembre 1993. Questa iniziativa non nasce quindi sotto l'egida americana. Gli accordi di Oslo sono quindi formati da due parti: una prima parte è composta da lettere di mutuo riconoscimento (Arafat accetta di fronte al governo israeliano di rinnegare la violenza e di sconfessare il terrorismo palestinese, si accettano le risoluzioni 242 e 338 e le loro successive modifiche, si accetta la presenza di uno stato d'Israele e del suo diritto a vivere in pace, cui Rabin risponde riconoscendo l'OLP come rappresentante dei palestinesi e riconoscendo la necessità di una forma di autonomia palestinese, ma NON SI PARLA DI STATO). Il 13 settembre 1993, l'accordo viene siglato a Washington tra Rabin e Arafat, con il secondo che è ben più contento e con Clinton che riporta un gran successo per la sua politica estera. Gli accordi di Oslo non sono quindi un accordo definitivo vero e proprio, piuttosto sono un accordo ad interim, che dice che per un certo periodo si procederà in una determinata maniera, laddove successivamente potranno partire i negoziati per uno statuto definitivo. Lo statuto definitivo significa giungere ad un accordo completo e onnicomprensivo sulla questione israelo-palestinese, che vada a toccare anche tutti gli aspetti non accennati ad Oslo e quindi: regolamentazione dello status di Gerusalemme (nel 1967 Israele era entrata nella città vecchia e l'aveva conquistata), problema dei profughi palestinesi e questione dei campi profughi che non vengono accettati neppure dagli stessi stati arabi, definizione dei confini, chiari e nitidi tra autonomia palestinese (che i palestinesi interpretano come base della loro statualità, mentre gli israeliani lasciano intanto parlare di autonomia, non specificando cosa sarà in futuro), la questione pressante di Israele sugli insediamenti in Cisgiordania, a Gaza e a Gerusalemme est, l'espansione di Israele e dell'urbanizzazione di Gerusalemme est. Questi argomenti, non toccati ad Oslo, provocano all'interno dell'OLP l'ennesima spaccatura tra chi aveva negoziato ufficialmente a Madrid per trovare un accordo anche su questi temi, trattando direttamente con gli israeliani e tra chi, da Tunisi, intratteneva accordi segreti ad Oslo, alle spalle di chi negoziava in modo ufficiale. Questa spaccatura nell'OLP culmina con l'accusa di una fazione all'altra di aver tradito la causa palestinese, già tradita nel 1988 con la dichiarazione Khalaf e ora avviene il tradimento definitivo con la firma di un accordo con i nemici storici --> banalizzazione del negoziato ufficiale. Tuttavia, queste dinamiche interne all'OLP sono ancora gestibili, mentre quello che non lo sono sono le organizzazioni palestinesi non OLP, in modo particolare Hamas e Al-Fatah. Se l'OLP con gli accordi di Oslo 1 e Oslo 2, diventata AP (Autonomia Palestinese), accetta di abbandonare la armi, gli accordi non sono validi per Hamas e per i gruppi nati prima delle intifade. Il periodo che va dall'applicazione degli accordi di Oslo nel maggio 1994 fino al maggio 1996 con le elezioni israeliane e la vittoria del Likud sono il periodo più violento della storia recente di Israele. La spirale di odio è profonda, perchè Hamas e i gruppi jihadisti islamici rifiutano gli accordi e continuano la guerra terroristica contro Israele, mentre Israele dal canto suo spinge per rintuzzare = respingere i palestinesi; posto che Arafat non è in grado di farlo, come può Arafat andare a colpire i gruppi palestinesi che avevano sempre combattuto contro gli israeliani? Come poteva bloccare i gruppi che avevano da sempre combattuto contro l'oppressore? Da un lato Arafat era incapace di bloccare questi gruppi, ma dall'altro, la risposta israeliana contro i palestinesi andava ad indebolire l'unico rappresentante palestinese che aveva accettato di parlare gli israeliani. Dal lato israeliano le critiche arrivavano dal Likud, dalla destra israeliana che aveva accusato Rabin e Peres di avere svenduto la sicurezza nazionale di Israele, esponendo lo stato al terrorismo palestinese, di aver aperto la porta ai terroristi e di non aver rispettato il dogma basilare dello stato d'Israele, ovvero assicurare la sopravvivenza di Israele come stato ebraico immerso in un mondo arabo, che ne minaccia l'esistenza quasi quanto l'Europa. Se gli ebrei sono dovuti scappare in Israele per scappare dall'Europa nazista, che senso ha ora esporre Israele al pericolo del terrorismo palestinese? Ecco che quindi si verifica una crisi e ne fa le spese Rabin, che il 4 novembre 1995 viene assassinato da un estremista ebreo a Tel Aviv, a margine di una manifestazione popolare a favore del processo di pace. Peres diventa primo ministro e apre un governo ad interim fino al 1996 quando vengono indette le elezioni generali, che Peres è sicuro di vincere, non tanto capitalizzando l'assassinio di Rabin, quanto è sicuro di avere dalla sua parte la maggioranza degli israeliani, che vogliono sinceramente arrivare ad un accordo di pace con la Palestina. Tuttavia, nel maggio 96 la vittoria va alla destra israeliana del Likud, Netanyahu diventa primo ministro e inizia a cambiare l'antifona. Il 26 ottobre 1994 avviene la stipula del trattato di pace Israele-Giordania: l'unico grande effetto del processo di Madrid è questo e che sigla la pace e la fine delle conflittualità tra i due paesi. In realtà, dal 1987 la Giordania occupava uno spazio particolare nelle relazioni con Israele, era un sua amica e pur essendo uno stato nato da un compromesso di Churchill, di fatto fu sempre filo-occidentale. Il secondo elemento ottenuto a Madrid fu il proseguimento del dialogo con la Siria, che però non viene proseguito, in quanto ci sono di mezzo le alture del Golan, strategiche militarmente e ricche di risorse naturali (acqua). Nel 1996 Netanyahu vince con una maggioranza risicata, la destra torna al potere e benchè ufficialmente si attenga ad una linea di rispetto e prosecuzione degli accordi internazionali, di fatto la politica del Likud non ha piacere a parlare con i palestinesi. Neppure i laburisti hanno piacere a dialogare con i palestinesi, ma si attestano su posizioni più possibiliste. Netanyahu va al potere, accetta di proseguire il negoziato che però nei fatti non si traduce in realtà, anzi, proseguono gli insediamenti israeliani, il dispiegamento di forze a Gaza e Gerico, con il rallentamento di ciò che era stato deciso ad Oslo, e nell'ottobre 1996, Clinton, infastidito dalla politica israeliana, richiama Arafat a Washington per far ripartire dei negoziati --> a gennaio 1997 si concretizza la stipula dell'accordo su Hebron, una città storica per la presenza araba e sacra per gli israeliani, in quanto ospita le quattro tombe di Adamo ed Eva, Mosè e Sara. La città viene divisa in parti e si trova un accordo per la gestione della città ormai araba. La firma dell'accordo di Hebron non aiuta a far ripartire definitvamente il dialogo, il terrorismo palestinese continua, con Arafat che fa fatica a controllarlo e l'espansione degli insediamenti israeliani non cessa, colonizzando la città vecchia; Clinton si trova quindi a dover intervenire nuovamente. Nell'autunno 1998 Arafat e Netanyahu vengono richiamati a Washington per dei negoziati che si rilevano inconcludenti fino quasi all'ultimo giorno, quando grazie alla mediazione della Giordania (con re Hussein che si reca appositamente in America) si giunge ad un accordo che prevede il ritiro israeliano dal 13% della Cisgiordania, a fronte dell'impegno bilaterale di cominciare i negoziati su uno status definitivo dei territori e a fronte dell'impegno palestinese di bloccare definitivamente il terrorismo palestinese di qualsiasi orientamento politico e di cancellare dalla carta dell'ANP (carta nazionale palestinese) tutti gli articoli che prevedevano come oggetto sociale la distruzione dello stato di Israele. Nell'ottobre 1998 avviene stipula degli accordi di Wye River tra Netanyahu e Arafat; tuttavia, il governo del Likud non rispetta esattamente gli accordi. Netanyahu torna e cambia il governo, perde la fiducia alla Knesset e si arriva nel maggio 1999 a delle nuove elezioni e alla vittoria dei laburisti di Barak. Barak è un militare altamente decorato, è un piccolo Napoleone nazionale e afferma la necessità di cambiare completamente approccio: il governo israeliano non avrebbe dovuto continuare a fare accordi ad interim cedendo il 10-13% della Cisgiordania e di Gaza, quando, così facendo, erodeva il suo potere negoziale; invece sarebbe meglio giungere ad un accordo definitivo, discutendo di tutti i temi e chiudendo definitivamente la bocca ai palestinesi. Vince questa linea politica nel maggio 99 e questaproposta di Barak converge nella convocazione del vertice internazionale di Sharm El-Sheik alla presenza di Usa, Egitto,Arabia Saudita e Giordania. All'ordine del giorno ci sono diversi punti. Il primo riguarda la questione israelo-palestinese: era giunto il momento di chiudere con i palestinesi. Il secondo punto riguardava il ritiro dal Libano meridionale, con la fascia occupata dagli israeliani che era oggetto di continue scaramucce e il terzo punto trattava di giungere ad un accordo con la Siria. Da questo punto decide di partire Barak, ma i negoziati si arenano ben presto, perchè non si trovano accordi nè sul Golan nè Israele vuole concedere alla Siria di avere una sponda sul lago di Tiberiade: Barak non può accettare che le acque del lago di Tiberiade taglino il confine siriano, tanto più che nel settembre 2000, Affez Al-Assad muore e gli succede il figlio Bashar, con un processo politico interno che blocca qualsiasi speranza internazionale. A quel punto Barak, nel 2000, decide che Israele si ritiri dalla fascia del Libano meridionale unilateralmente, per indebolire la posizione siriana. Resta in peidi il problema palestinese, che viene nuovamente ridiscusso con un vertice a Camp David nel 2000, dove Barak e Arafat si incontrano, con Barak che offre ai palestinesi l'offerta più generosa della storia: uno stato indipendente sulla striscia di Gaza e sull'80% della Cisgiordania, con il resto che sarà per metà occupato da Israele e l'altro occupato. Il 20% del territorio cisgiordano rappresenta la fascia di occupazione che Israele si vuole mantenere per tutelare i propri abitanti. Barak offre un progressivo lento riassorbimento dei profughi palestinesi, ad una quota di circa 500 l'anno e offre la spartizione di Gerusalemme (si fa riferimento alla dichiarazione 181 ONU del 1947), ma nega il controllo palestinese sui luoghi santi e sulla parte più simbolica della città. Ora, la Palestina può prendere o lasciare, ma Barak specifica che l'accettazione precluderà la possibilità di qualsiasi altra concessione israeliana ai palestinesi. Arafat negozia e rifiuta l'accordo, per ragioni di politica interna (era indebolito dalla competizione interna palestinese), per la questione dei profughi (500 all'anno è una cifra irrisoria) e perchè arriva impreparato al vertice; non si era preparato, ma Clinton andava verso la fine del suo mandato e voleva stringere i tempi. La risposta storica a quest'offerta di Barak sarà lo scoppio della seconda intifada, nel settembre 2000, che viene sostenuta dall'OLP, dai palestinesi e dagli arabi israeliani, stanchi di essere considerati cittadini secondari. Conclusioni: nel 2000, Giovanni Paolo II andò in Palestina e alla domanda se il conflitto avrà mai una fine, egli rispose che ci potranno essere due soluzioni: una miracolosa, che prevede un accordo tra i due paesi, e una realistica, che non prevede alcun accordo. La questione israelo-palestinese presenta difficoltà storiche, culturali e politiche, ma dal punto di vista degli accordi si possono evidenziare alcuni elementi: un primo elemento può essere un processo di pace che parte attraverso la guerra. E' dopo la guerra del 67 che un primo leader arabo cerca la pace attraverso lo strumento della guerra e sarà la guerra dell'82 a portare agli accordi di Oslo del 1993 in prospettiva, andando a modificare le condizioni che poi sapienti mediatori fanno fiorire. Il secondo elemento riguarda i negoziatori: innanzitutto Israele ha il grosso problema di dover rinunciare a dei territori in cui ha una presenza stabile e se questo può essere quotabile per un governo laburista, non lo può essere per il Likud --> spesso i negoziati si perpetrano in cattiva fede. Al contrario i palestinesi sono incapaci di gestire il negoziato da un'ottica statuale: Arafat continuerà a trattare da una posizione simile a quella di un delegato di un'ONG a stampo terroristico; egli doveva controllare tutto e dominare la situazione, ma fu incapace di leggere i fenomeni politici da un'ottica di stato, benchè spesse volte abbia mostrato un buona flessibilità. Per quanto riguarda gli Usa, essi si attestarono su una posizione che, per quanto equilibrata, è sempre stata percepita dai palestinesi a favore palesemente di Israele e questo inficerà la bontà dei negoziati. IL GOLFO PERSICO Il golfo persico è una zona geografica che dal 1973 vive una serie di modifiche particolarmente rilevanti. Nel 1973 la guerra dello Yom Kippur avvia un processo di riappacificazione, ma che per la prima volta in modo forte fa vedere agli stati arabi la potenza strategica dell'arma petrolifera. Il 16 ottobre 1973 gli stati arabi decidono di utilizzare l'arma petrolifera aumentando il prezzo del petrolio e ponendo l'embargo agli alleati di Israele, non colpendo quindi gli Usa (che potevano contare su delle risorse proprie), ma indebolendo gli alleati europei, le cui economie boccheggiano a fronte di un travaso monetario molto forte nei paesi produttori, dove gli squilibri economici non fanno altro che aumentare (condizione di stati rentiers). Gli stati rentiers sono stati che vivono di rendita e redistribuiscono i proventi derivanti dal petrolio tra l'esercito e l'economia e generano un reddito di cittadinanza. Il petrolio quindi è certamente uno strumento di sviluppo in quanto genera reddito, ma rischia di diventare il freno più grande alla democrazia e allo sviluppo politico dei paesi produttori; esso diventa la variabile più importante nella vita di alcuni paesi, attorno al quale girano quesioni politiche, identitarie e di indipendenza. Lo stato che storicamente ha vissuto in modo più incisivo dal petrolio è l'Iran. Nell'agosto 1941 gli alleati hanno il problema di rifornire l'URSS, che altrimenti sarebbe rimasta isolata: occorre rifornirla di materiali, armi e cibo o attraverso la rotta polare o da sotto, passando per l'Iran. Data l'impossibilità di passare per la rotta artica, nell'agosto 1941, i sovietici incontrano gli inglesi in Iran e il paese viene occupato militarmente (a nord dai sovietici, a sud dagli anglo-americani). Lo scià Mohamed Reza padre abdica nel 1944 e sale al potere il figlio Mohamed Reza. Dal 1941 fino al 1953 l'Iran vive la stagione dell'interregno nazionalista o intervallo democratico, in cui, essendo il potere della dinastia regnante sempre frenato dalla presenza sul territorio di altri stati, si generano le condizioni per uno sviluppo sociale e politico dell'Iran, emergono i due grandi partiti del Tudeh (partito comunista), che sopravvive anche al 1946 e al ritiro delle forze anglosovietiche e dall'altra parte fiorisce il fronte nazionale, nelle cui file si trova la personalità di Mohamed Mossadeq, uomo politico di educazione europea, il quale aveva dedicato la sua vita alla causa nazionale iraniana. Egli si trova a lottare contro gli oppressori anglosovietici e contro chi era stato posto sul trono, Reza. Il suo obiettivo è quello di tutelare l'indipendenza iraniana, ma il problema è che l'Iran è un gran produttore di petrolio di ottima qualità, di cui rifornisce gli alleati. In breve la titolarità di queste risorse diventa l'elemento centrale dell'indipendenza e dell'autonomia dell'Iran. Lo scià è assoggettato chiaramente agli alleati e nel marzo 1951 l'Iran emula gli altri stati dell'area, votando la nazionalizzazione del petrolio come stavano facendo altri paesi. Il caso vuole che due giorni dopo Mossadeq venga nominato a capo del governo; il petrolio viene nazionalizzato il 20 marzo 1951, provocando una fortissima crisi politica con la Gran Bretagna, in quanto nazionalizzare il petrolio = togliere risorse alla longa manus inglese in Iran e quindi toccare i rifornimenti energetici britannici, aumentando la tensione tra Iran e Gran Bretagna e inasprendo il braccio di ferro tra i britannici e lo scià da un lato e Mossadeq dall'altro. La CIA e i servizi segreti permettono allo scià di effettuare un golpe, portandolo al potere e allontanando Mossadeq; nel 1963 termina il momento di interregno democratico e si instaura quindi un governo forte dello scià, che prende in mano la situazione, espande capillarmente il controllo sul paese grazie all'opera dei servizi segreti (1957 nascita della polizia politica) e nel 1961 Mohamed Reza riprende in mano un programma già avviato dal padre. Ritorna a gestire i traffici energetici la Anglo-Persian Oil Company, con un accordo nuovo tra il governo iraniano e l'Anglo-Persian Oil Company, che si allinea con lo standard degli accordi di concessione petrolifera. Nel 1961 lo scià Reza riprende in mano un percorso di riforme radicali interne, con l'idea di trasformare l'Iran in una grande potenza e di modernizzare il paese segnato profondamente da una forte cultura nazionale che va ad essere intaccata. Nel 1961 avviene la rivoluzione bianca: modernizzazione e occidentalizzazione del paese, oppressione da parte della polizia politica --> la rivoluzione porta ad una ripresa delle relazioni sociali ed economiche, perchè la riforma agraria ed economica, insieme al concetto di rentier state, generano una grande disomogeneità economica interna e nel frattempo emerge una grande opposizione trasversale allo scià, dal partito comunista, al partito nazionalista erede di Mossadeq, ma dalla metà degli anni 60, inizia ad emerge la figura di un ayatollah, Khomeini, che spicca non tanto quanto leader religoso, quanto come uno dei più strenui oppositori allo scià. In modo particolare, Khomeini sottolinea l'innovazione nel mondo sciita: l'islam sciita è l'islam minoritario, quello dei "perdenti" e della minorità rispetto alla grande maggioranza sunnita. Khomeini stravolge questo assunto e predica l'opposizione all'intossicazione occidentale propinata dallo scià, che deve essere strenua e attiva, perchè l'identità sciita è la vera e unica identità dell'iraniano. Egli reinterpreta il messaggio sciita in chiave rivoluzionaria, prende questo messaggio e ne fa una rivoluzione, ma, nel 1964, Khomeini viene arrestato ed esiliato. Reza viene riportato al trono, sostenendo l'idea che l'Iran, paese estremamente religioso, debba diventare una potenze moderna. L'Iran dei primi del novecento non ha uno stato, che anzi si realizza grazie all'intervento dei servizi segreti, che con terrore e violenza, unificano il paese e permettono l'esercizio di un'autorità generalizzata. Iran è la denominazione del 1935, prima il paese si chiamava ancora Persia. Il padre di Mohammad Rezah trasforma l'Iran in uno stato moderno e il figlio continua questo processo. Nel novembre 1964, lo scià manda in esilio Khomeini, in Francia, ma, anzichè fargli un danno, gli dà la possibilità di predicare la sua idea politica anche dall'occidente, da dove Khomeini ha la possibilità di continuare la sua battaglia contro lo scià, coinvolgendo sia gli iraniani fuori dal paese, che i cittadini all'interno. In questo periodo, Khomeini elabora il progetto di Velāyat-e faqih, letterlamente di tutela del giurisperito, ovvero una dottrina politica che prevede che il potere, in Iran, debba appartenere all'empio sovrano o al giurisperito, a colui che conosce le leggi di Dio, le studia e le medita e quindi è in grado di dare al popolo leggi. Il potere deve appartenere al Faqui, al giurisperito, che sa tradurre la legge di Dio in legge umana e poichè c'è Dio, egli dà agli umani la legge. Questo messaggio corre velocissimo fuori e dentro l'Iran e tutti i partiti politici interni si ritrovano ad essere improgionati ed imbavagliati dallo scià, mentre il clero era libero --> quando lo scià affermerà che il clero è l'ostacolo alla modernizzazione iraniana, ecco che avverà una frattura interna, data dall'importanza della fede religiosa per la popolazione iraniana. Nell'ottobre 1973 si verifica un boom economico grazie all'aumento del prezzo del petrolio, ma i soldi non si traducono in uno sviluppo omogeneo, anzi, al contrario, in una maggior sperequazione sociale. Nel frattempo si verifica la rivoluzione bianca: lo scià tocca le linee di lealtà del paese, inimicandosi la base sociale; un paese è in preda allo scià e alle sue rivendicazioni, all'interno regna una situazione di grande stress economico e sociale, mentre da fuori Khomeini predica la rivoluzione. Nel 1977 il figlio di Khomeini viene ucciso da mano ignota (in realtà si sapeva benissimo che l'assassinio era stato ordinato dagli Usa) e nel gennaio 1978 sul maggior quotidiano iraniano esce un articolo in cui si accusa Khomeini di essere un comunista al soldo dell'URSS--> l'articolo accende la miccia della rivoluzione, che si radicalizza, esplode in maniera virulenta e, sfruttando le condizioni di salute precarie dello scià, si impone definitivamente il 16 gennaio 79, quando Reza Pahlavi scappa definitivamente dall'Iran e Khomeini torna in patria, dopo un esilio che durava dal 1964. Ora comincia la rivoluzione iraniana e Khomeini si pone immediatamente con forte competizione con tutte le anime dell'opposizione, che prima contestava lo scià. In breve tempo, nel novemrbe 1979, il referendum sull'istituzione di una repubblica islamica viene largamente approvato: nasce la Repubblica Islamica dell'Iran. A livello internazionale, l'Iran era un grande alleato degli Stati Uniti, che perdono un paese forte e alleato nella zona; tuttavia, nemmeno l'URSS canta vittoria, in quanto avere uno stato anticomunista che può fomentare i sentimenti islamici degli abitanti sovietici sotto i propri confini nazionali non fa piacere. Il quadro regionale è destabilizzato, con gli sciiti che hanno ripreso in mano il proprio destino e l'Iran islamico può diventare ora il punto di riferimento delle comunità sciite sparse negli stati arabi e in particolare nel vicino antipatico iraqueno. Gli sciiti si collocano, tra l'altro, proprio sui pozzi petroliferi, facendo sì che i rapporti tra Iran e Iraq, che di per sè non sono mai stati amichevoli, a metà degli anni 70 si incrinino ulteriormente, a causa dell'impegno iraqueno in guerra contro la propria minoranza curda, a favore della quale interviene l'Iran. Si giunge nel 75 al trattato di Algeri tra le due parti: riconferma della necessità della non ingerenza negli affari interni dei propri paesi. Gli iraniani non pungoleranno la minoranza curda in Iraq e viceversa gli iraqueni non foraggeranno i sunniti iraniani, ma soprattutto il confine viene stabilito su una linea mediana alla foce del fiume Tigri (?). Le due parti però non sono soddisfatte del trattato, perchè gli iraniani non sono arabi! In Iraq prende allora il potere Saddam Hussein, allontana i capi politici e si accorge che l'Iran è sconvolto dalla rivoluzione, ha epurato l'esercito (che era la base potente del potere di Reza) e pensa che, dato che agli iraniani manca anche il favore della comunità internazionale, si possano invadere gli iraniani, per ristabilire i confini e per riprendere il controllo sul Golfo persico. Nel 1980 scoppia la prima guerra sanguinosa tra Iran e Iraq, contando su una supposta predominanza iraquena, ma il grosso degli ufficiali era rimasto al proprio posto e l'Iran usa questa aggressione come modo per propugnare la causa jihadista e anzi riarmarsi. Questa guerra dura otto anni, distrugge i paesi e si risolve con un nulla di fatto e alcun risultato territoriale. Nel 1987 il consiglio di sicurezza dell'ONU approva la risoluzione 597 di "cessate il fuoco", nonostante la situazione territoriale non sia variata. Ci rimettono la pelle 1 milione di persone e i curdi, contro cui l'Iraq di Saddam usa il gas (Halabja), ma si ottengono due grandi risultati politici interni: in Iran la guerra comporta il rafforzamento del regime, viene propugnata la causa della jihad e della guerra contro l'empio, che permette di riorganizzarsi e di mobilitarsi contro l'iraqueno, con Khomeini che allontana fisicamente quelli che credevano a mezzo cuore nella rivoluzione iraniana e tutti gli oppositori. Il 3 giugno 1989 muore Khomeini, sapendo di aver battezzato nel sangue la Repubblica islamica e chi le succederà. Gli succede l'ayatollah Khamenei come guida suprema. (nel 1981, dopo l'assassinio di Muhammad ʿAli Rajāi, e durante la guerra Iran-Iraq, Khāmenei fu eletto Presidente dell'Iran con numerosissimi voti alle Elezioni presidenziali iraniane dell'ottobre 1981 e divenne il primo religioso a ricoprire la carica. Khāmeneī fu inizialmente ricercato fuori dalla Presidenza per aiutare i religiosi ma questa intenzione fu compromessa: molti videro la presidenza di Khāmeneī come il segno dell'abbandono di una politica laica. Per mantenere l'equilibrio tra i gruppi di potere in Iran, Khomeyni gli impose come primo ministro Mir Hosein Musavi. Khāmeneī fu rieletto per il secondo mandato nel 1985. Fu un fermo alleato di Khomeynī e durante la sua carica venne raramente in contrasto con la Guida Suprema, diversamente dal primo presidente dell'Iran Abolhassan Banisadr). E' il momento che le forze del paese tirino il fiato, occorre liberalizzare l'economia iraniana e far respirare la gente e le successive riforme vanno lentamente nella direzione di un reinserimento dell'Iran nella dimensione internazionale, con l'avvio di un dialogo economico con l'Unione Europa e di dialogo con gli Usa. Il primo tentativo è quello di riallacciare l'Iran inizialmente a livello economico, per ampliare poi l'influenza su di esso a livello sociale, ma le riforme economiche non danno risultato e le riforme politiche vengono bloccate dai conservatori frustrati. Khatami e i cattivi risultati economici determinano la sua fine politica e dal 2001 l'Iran è descritto dagli Usa come l'asse del male, consegnando la vittoria elettorale nel 2005 ad Ahmadinejād. In Iraq la distruzione è palpabile e l'establishment politico militare capisce che il loro leader non è così forte --> la guerra è stata un bagno di sangue economico e umano, il paese non ha infrastrutture, ha miliardi di debito verso gli stati sunniti del Golfo che l'avevano sostenuto nella guerra contro l'Iran persiano e sciita. Saddam si reca quindi all'OPEC, afferma che deve far ripartire la propria economia e chiede di aumentare il prezzo del petrolio per guadagnare di più, ma gli stati petroliferi rifiutano per non turbare i mercati. Allora l'Iraq decide di invadere il vicino Kuwait, che storicamente non è mai pienamente stato considerato uno stato (sebbene nel 1962 abbia ottenuto l'indipendenza da Gran Bretagna), anzi borderline e poco definito. Nell'agosto 1990 Saddam invade il Kuwait, perchè i fratelli kuwatiani vogliono liberarsi di una dinastia interna opprimente. Ora, l'Urss è in macerie, gli Usa sono rimasti l'unica grande potenza e sono tutori dell'ordine internazionale, la Germania aveva destabilizzato la situazione internazionale e l'Iraq torna ad essere aggressore: se l'Iraq può invadere un altro stato, perchè Israele non può tenersi i propri territori palestinesi? E' inaccettabile; si forma una coalizione di 29 stati che costringono l'Iraq e che gli intimano di ritirarsi dal Kuwait, salvo la possibilità per i membri del Consiglio di Sicurezza di comportarsi come meglio ritengono. Nel 1991 scatta la guerra contro l'Iraq, velocemente piegato dall'occidente e a questo punto Saddam cerca di salvarsi la pelle. Il regime viene indebolito da bombardamenti e da operazioni di guerra, ma gli Usa non sono disponibili ad operare completamente e invadere totalmente un paese, destabilizzandone il governo --> ecco che sciiti e curdi si fanno avanti da sud e nord per riprendersi e nel marzo 1991, a sud dell'Iraq (Bassora) e nel Kurdistan, scoppiano le intifade curde e sciite, sollevazioni popolari con pieno appoggio verbale occidentale, salvo che poi non mosse un dito per vent'anni. Saddam invia la propria guardia repubblicana, che compie una repressione durissima e a metà 91 il Consiglio di Sicurezza dell'ONU autorizza la Gran Bretagna e gli Usa a bombardare Saddam e tutelare queste minoranze. Dalle intifade, Saddam riesce a uscirne, soffiando sul fuoco delle divisioni fra le varie comunità, gioca la carta dei sunniti contro i cattivi sciiti al sud e di giocare la carta araba contro i curdi. L'occidente applica delle sanzioni economiche contro l'Iraq aggressore, ma bloccando lo sviluppo economico iraqueno a causa delle sanzioni si riconfermava il dominio sul sistema produttivo e distributivo del governo iraqueno: pochi proventi del petrolio distribuiti solo a chi vuole il governo e Saddam riesce così a far passare l'idea propagandistica che gli occidentali stavano togliendo le loro risorse agli iraqueni stessi, rafforzandosi sul fronte interno. A metà anni 90 la situazione di conflitto israelo-palestinese è ad un punto di svolta, tra Madrid e Oslo, ma non risolve la maggior polarizzazione conflittuale del mondo arabo. L'Urss è crollata, si è verificata l'implosione dell'Iraq, è nato uno stato ostile all'occidente, l'Iran, e nella seconda guerra del golfo, gli Usa sono consacrati l'unica potenza nella regione: Di Nolfo parla di pax americana. Nel Medioriente, l'effetto diretto della fine della guerra fredda determina una situazione di stallo concreto: il Golfo rimane blindato all'interno delle conflittualità irrisolte tra mondo arabo e cristiano e questo significa che gli stati dell'area si indeboliscono e che le realtà statutali che emergono dal crollo impero ottomano sono realtà fragili, quanto emergono attori subnazionali e regionali che spopolano nella regione e si pongono come nuovi leaders. 21.05.2014 La crisi dei missili a Cuba si risolve con un successo internazionale a livello di immagine per Kennedy, con l'URSS che deve recedere di fronte alla politica del pugno di ferro statunitense, nonostante la doppia lettera tra Kennedy e Kruscev (lettera aperta divulgata pubblicamente, che segna la "sconfitta diplomatica" sovietica e lettera segreta tra i due presidenti) preveda il do ut des tra i due --> si rivedono le posizioni americane in Europa, attraverso il ritiro dei missili stanziati in Turchia e in Italia. Questa politica da un lato non tocca la centralità della strategia missilistica statunitense, che in realtà stava già studiando missili a lunga gittata e si stava evolvendo verso i missili Polaris; dall'altro lato, si viene incontro a certe richieste dell'URSS, facendo un'azione che comunque si sarebbe fatta (limitare i missili attuali) al di là dell'aspetto negoziale. E' anche vero che si inizia a percepire la necessità di avviare un negoziato per quanto riguarda le armi strategiche il prima possibile, portando ben presto l'URSS al tavolo delle trattative e facendolo da una posizione di forza. Dopo lo shock dello Sputnik del 1957, gli Usa vogliono comunque mantenere una superiorità tecnologica, ma la crisi di Cuba pone nuovi interrogativi sullo scenario geostrategico globale, tra cui la posizione della Cina. Nel 1957 Cina e Urss avevano siglato un accordo in base al quale i russi avrebbero ceduto alla Cina il know how per potersi dotare dell'arma atomica, ma è anche vero che già dal 1957 si coglie qualche perplessità sovietica rispetto alla politica estera cinese, che è destinata ad aumentare, destando il sospetto sovietico che la Cina voglia impossessarsi del monopolio ideologico della dottrina comunista, anche perchè kruscev si era impegnato a riavvicinarsi a Tito appena salito al potere. Per evitare l'eccessivo avvicinamente tra Usa e Jugoslavia, l'Urss intervenne, ma i cinesi urlarono all'eresia, che ovviamente non era nelle intenzioni di Kruscev. La Cina mette in discussione il monopolio ideologico sovietico, facendosi paladina della dottrina ideologica comunista e questo nasce anche dalla situazione in cui si trovava il comunismo cinese: esso era un comunismo ancora convintamente sperimentativo e nelle proprie fasi embrionali, era ancora un comunismo agricolo. La crisi Urss-Cina parte quindi dall'aspetto ideologico, prima ancora che dalle divergenze seguite alla crisi dei missili di Cuba e si sostanzia lentamente un'evoluzione negativa nei rapporti sino-sovietici. Immediatamente viene meno l'accordo del 1957 (succederà nel 1960), quando l'Urss ritira il proprio appoggio alla Cina nel campo scientifico. I cinesi non avevano bisogno, secondo l'Urss, della bomba atomica e il primo accordo globale sugli armamenti del 1964, siglato tra Usa e Urss, stabilisce proprio la messa al bando degli esperimenti nucleari in atmosfera. Questa messa al bando, successiva ai fatti di Cuba e che dovrebbe rappresentare un inizio di distensione, nasce anche dall'esigenza sovietica di fermare la Cina sul proprio cammino nucleare --> RIBADIRE CHE LE UNICHE DUE SUPERPOTENZE CON IL MONOPOLIO ATOMICO SONO URSS E USA. Da un lato l'Urss si contrappone alla Cina e dall'altro gli Usa si contrappongono all'Europa: anche l'Europa inizia ad interrogarsi sulla politica che gli Usa stavano conducendo nei loro confronti. Il ritiro dei missili dal territorio europeo significava che l'Europa era scoperta di fronte ad un possibile attacco nucleare sovietico e che viene accontonato il concetto della "massive resiliation?" di Eisenhower --> il ritiro dei missili significa che ci si avvia all'introduzione del concetto di risposta flessibile della Nato e della presidenza Kennedy, con gli europei che si interrogano sul problema di un probabile scoppio della terza guerra mondiale, dove l'Europa sarebbe stata la primissima linea di attacco. La risposta dell'entrata della Germania Ovest nella Nato nel 1955 era ancora una risposta parziale e rimanevano molti interrogativi aperti: da un lato, gli Usa si dimostrano sì forti, ma i fatti successivi alla crisi di Cuba avevano fatto capire agli europei che comunque c'è stato un oggetto di scambio con l'Urss, che è stato in parte la sicurezza europea. Gli americani lasciano intravedere la convizione di dover controllare perennemente l'armamento nucleare: forse la strada per rassicurare l'Europa è dotare la Germania di un armamento nucleare? Il primo a rompere su questo fronte è Charles De Gaulle, che si crea una dotazione nucleare autonoma, la quale in ogni caso non avrebbe potuto sostenere una guerra nucleare, ma egli vuole piuttosto ribadire il margine di indipendenza francese nella determinazione della politica estera. Tuttavia, in chiave europeista, la Francia stava agendo in maniera ambigua: per certi versi, cercava di essere più autonoma e di procedere per la propria strada, ponendos contro gli accordi di Roma del 1957 (ad esempio, De Gaulle è contro la burocratizzazione europea); per altri versi il generale francese vorrebbe un'Europa forte e con una voce meno flebile nei confronti degli Usa, un'Europa che sarebbe stata chiaramente a guida francese. Gli inglesi, invece, dopo il terribile colpo di Suez, cercavano di ritrovare la special relationship come punto fondamentale della loro politica estera e dopo i primi momenti dalla crisi di Suez, la Gran Bretagna assume il suo ruolo consapevole dei propri limiti e anche gli accordi stipulati di lì in avanti, come gli accordi delle Bermuda, che dotano la Gran Bretagna dell'arma nucleare, sono condotti sempre sotto l'egida americana. De Gaulle, quindi, legge nella politica ingelse il lungo braccio della politica americana e anche per questo la Francia pone il veto all'entrata della Gran Bretagna nella Comunità Europea --> scelta politica americana in quella fase di far entrare la Gran Bretagna in Europa, di modo tale da far entrare gli Stati Uniti nelle faccende europee. Sul fronte orientale, la crisi interna al blocco sovietico era ben peggiore: nel 1964 Kruscev viene destituito, poichè il comitato centrale non aveva gradito il bilancio magro della sua politica --> viene sostituito da Breznev, che dovrebbe rappresentare un cambiamento della politica sovietica. Tuttavia, il cambiamento non è possibile, perchè il dato economico influisce pesantemente sulla situazione interna dell'Unione Sovietica. Innanzitutto, la crescita economica è lenta e stagnante, i progressi sono limitati, non esiste un benessere interno all'URSS tale da trasmetterlo ai paesi satelliti e nonostante il potere centrale debba controllare sia i satelliti che le repubbliche sovietiche, il rigido controllo sovietico non riesce a vincere sulla situazione economica disastrata già dai primi anni 60. A questo si aggiunge la preoccupazione per l'Europa Orientale, con paesi satelliti che devono essere rigidamente controllati --> l'unica defezione che si registra a seguito della rottura con la Cina è quella tutto sommato gestibile dell'Albania, mentre la Romania si destreggia tra Mosca e Pechino. Nonostante la calma apparente, i fatti del 1953 a Berlino e del 1956 a Budapest non nascondevano l'insofferenza ancora presente. Per gli Usa inevce si stava profilando un problema ben più grande, quello del conflitto in Vietnam: è un dato di fatto che Johnson, cui sono attribuite tante responsabilità, ha portato avanti una politica che si stava già portando avanti dai tempi di Kennedy. Si stava continuando a ragionare secondo la teoria del domino, in base alla quale se cadeva il Vietnam, poteva essere messa a repentaglio un'ampia fascia di sicurezza americana nel Pacifico --> la destabilizzazione di un'area marginale poteva scatenare un conflitto ben più rilevante. Già Kennedy aveva preso opportuni provvedimenti, sostenendo prima il cattolico Diem e successivamente destabilizzandolo, tuttavia ora Johnson capisce che bisogna porre un freno all'avanzata comunista dal Vietnam del nord, che minacciava di unificare tutto il paese sotto l'egida comunista. All'amministrazione Kennedy si attribuisce anche la responsabilità di aver affossato chi prima si era sostenuto (Diem), ma il 22 novembre 1963 muore Kennedy, cui subentra il suo vice, Lyndon Johnson. Nel 64 si verifica l'incidente del Tonchino: in questa fase gli Usa avevano pensato di esercitare una positiva influenza sul Vietnam del sud, favorendone la crescita economica e sociale, ma i vietkong pongono una minaccia militare --> due cacciatorpediniere vietnamite attaccano due navi americane nel golfo del Tonchino e il congresso Usa vota nel 1964 la risoluzione del Tonchino: Johnson non agisce in maniera dittatoriale, ma con un buon appoggio del Congresso e dell'opinione pubblica, che verrà meno negli anni successivi. Ora Johnson non è più il vice di Kennedy, ma un presidente legittimato da una vittoria elettorale ottenuta soprattutto grazie alle idee sul fronte interno, dove egli ingaggia delle battaglie per il Welfare state e per l'abolizione del regime razziale. In politica estera egli invece aveva immaginato un coinvolgimento militare in Vietnam, ma senza mandare a morire i ragazzi americani: il punto è sempre la sicurezza nazionale, ma è ovvio che sarebbero stata gli asiatici a combattere per la loro patria, cosa che sosterrà successivamente anche Nixon. La risoluzione del Tonchino permette agli americani di bombardare i vietkong nelle loro basi, a cui succederà un attacco da via navale. Inizialmente l'impegno statunitense manca di una visione strategica: si va in Vietnam e ci si impegna in un intervento sempre più massiccio, ma senza un vero disegno, senza un progetto politico, che possa poi portare ad una vittoria. Il Vietnam viene letto secondo l'impostazione di Dulles, ovvero che anche dal Vietnam poteva nascere un problema di avanzata del comunismo, laddove i vietkong erano sicuramente appoggiati dall'Urss, ma avevano delle caratteristiche proprie, che non risentivano dell'influenza sovietica. Il Vietnam coinvolge esponenzialmente un'amministrazione che in realtà sta avanzando in maniera progressista sul fronte interno, procedendo sulla linea del New Deal rooseveltiano verso un Welfare State e procedendo verso l'eliminazione della segregazione razziale. La politica estera di Johnson non fu invece particolarmente brillante e l'effetto psicologico sul Vietnam del sud fu la deresponsabilizzazione del Vietnam del sud --> gli americani sono i grandi protettori e il Vietnam è una pedina nelle loro mani. Nixon, quando si ritirerà, cercherà prima di vietnamizzare il conflitto. A fronte della sconfitta che si profilava sempre più vicina, Johnson afferma nel 1967 che non si sarebbe ricandidato alle elezioni dell'anno successivo, provocando la caduta del fronte interno: innanzitutto per un coinvolgimento personale e psicologico, in quanto il Vietnam inizia ad essere percepito come lontano e non influente sulla sicurezza nazionale statunitense; perciò, l'opinione pubblica inizia a chiedersi che senso abbia andare a morire in questi posti, o meglio, che senso abbia mandare a morire i propri giovani i quei posti (la coscrizione in Usa era ancora obbligatoria). Inoltre, il conflitto vietnamita è il primo conflitto mediatizzato, nel quale l'appoggio dell'opinione pubblica diventa un fondamentale feedback per la politica estera. Cominciano a trapelare le informazioni per cui, seppure nella violenza, era difficile, per i soldati americani essere onesti e essere portatori di valori supremi e per l'opinione pubblica sarà uno shock scoprire l'uso delle bombe e del Napalm sulla popolazione vietnamita. Nel 1968, con l'offensiva del Tet, in realtà si verifica un successo di immagine per i vietkong, con gli Usa che corrono ad asserragliarsi all'ambasciata di Saigon, ma, negli scontri sul campo aperto, vincevano gli americani. Con l'offensiva del Tet comincia la politica di rientro americano dal Vietnam e Johnson decide di non ricandidarsi, in quanto è provato da quanto accaduto in Vietnam ed è lui che respinge la richiesta del generale Moreland di inviare in Vietnam altri 200.000 uomini. Da quel momento, Johnson chiede l'apertura di un negoziato, laddove la sfida che si apre al suo successore è ora abbastanza difficile --> ricerca di una exit strategy e far uscire gli Stati Uniti dal Vietnam, tenendo presente il fatto che gli Usa non possono giustificarsi facilmente. Siamo nel 1968, si sta aprendo un fronte di protesta giovanile, di crisi dei sistemi bloccati, che coinvolge non solo l'occidente, ma anche il blocco orientale, dove si scatena la primavera di Praga: la temutissima rivolta interna al blocco orientale si scatena definitivamente in Cecoslovacchia, rivelando il limite sovietico = non riconoscere che la rivolta praghese è interna al partito. La conduzione di Novotny, prona al volere dell'Urss, è contestata da Dubcek, propugnatore di un socialismo dal volto umano, che cerca una nuova interpretazione del comunismo, ma i sovietici di Mosca non lo capiscono --> si contesta il partito, non i principi fondanti del comunismo, che dovevano essere applicati in maniera differente e magari diversamente da come li predicava l'Urss. Si mette in discussione inoltre il concetto di dottrina comunista, di ideologia e di paese satellite, con Breznev che ha gli stessi timori di Stalin! La Cecoslovacchia viene quindi invasa dall'Armata Rossa, intervento deciso dopo la consultazione tra Breznev e i vertici del patto di Varsavia. I sovietici useranno il pugno di ferro, Dubcek dovrà retrocedere dalle sue posizioni, ma non sarà giustiziato (scomparirà politicamente) --> l'Urss non può tollerare alcun tipo di cambiamento, in quanto per sopravvivere il sistema sovietico ha bisogno di rimanere immobile e questo è percepito in occidente come un segno di chiusura e assenza di libertà. Nel 68 inoltre Breznev dichiara la dottrina Breznev, in base alla quale si asserisce che gli spazi di critica in Urss e nei apesi satelliti non esistono, legittimando l'intervento dell'Armata Rossa e del Patto di Varsavia, nel momento in cui vi siano destabilizzazioni in Europa orientale --> ruolo di liberazione dei paesi dell'Europa orientale ed è chiaro che le varie dissidenze anti-comuniste e anti-sovietiche vengono lette come capitaliste e occidentali. Ancora una volta rimane pienamente al centro delle relazioni est-ovest la Germania, il luogo dove la visione dello scontro è fisica e percepibile. La dottrina che vige nella Germania di Adenauer per quanto riguarda i rapporti con la DDR è la dottrina Hallstein del non riconoscimento; inoltre, la carta costituzionale tedesca prevede che solo la BRD possa attribuirsi la definizione di "tedesco". Per tutta la fase di Adenauer, quindi, la DDR non sarà riconosciuta e inoltre la BRD è allarmata da qualsiasi provvedimento della politica estera statunitense, quindi sia le conseguenze di Cuba sia il rapporto tra Germania e Francia destano ora timori e inizia una discussione sull'orientamento della politica estera europea: conveniva stringere con la Francia o rispondere a Washington e alla special relationship angloamericana? In realtà ci saranno accordi tra De Gaulle e Adenauer, nonostante il punto di svolta per la politica tedesca arrivi con la grosse Koalition, la grande coalizione che porta al governo anche i socialdemocratici e al ministero degli esteri Willy Brandt, che pone in discussione la dottrina Hallstein. La BRD, secondo Brandt, deve iniziare a guardare a est, costituendo dei rapporti con la DDR e con gli stati del blocco orientale. La Germania ovest sta vivendo inoltre un miracolo economico, mentre la DDR era assoggettata a Ulbricht e a Mosca. In realtà, lo spazio di mavnovra della politica della BRD è stretto, ma esso si amplifica perchè la dottrina della risposta flessibile della Nato 1967 vede l'Europa rispondere con un tentativo di distensione e di ricerca di maggiore autonomia. Brandt incontra quindi i sovietici e i polacchi, con la Germania che si sta disponendo a riconoscere i confini acquisiti del 1945 --> solo attraverso questo atto può iniziare un dialogo verso est. Dal 1970, con i trattati di Mosca e successivamente quelli di Varsavia, con Brandt che si inginocchia davanti al ghetto ebraico di Varsavia, da un lato si apre all'est, dall'alto si rassicura il blocco orientale, riconoscendo le frontiere polacche. Le ultime tappe di questo processo si stanno ancora scrivendo e Brandt apre ad un nuovo ruolo sovietico; essi erano molto interessati all'apertura di rapporti commerciali, cosa che terrorizzava la DDR, che temeva di essere divorata dalla Germania voest. Furono i tedeschi della DDR a premere per l'edificazione del muro, per porre fine alla crisi economica che si stava verificando in quei territori e per questo premettero su Mosca. La Germania orientale non era abbastanza forte e Mosca invita Ulbricht a farsi da parte a favore di Honecker, il nuovo segretario del partito comunista tedesco. I sovietici hanno ancora la percezione della loro debolezza economica, ma in questa fase sicuramente lo sviluppo tecnologico sovietico è accelerato e notevole, nonostante la necessità perenne dell'URSS di avere maggiori certezze economiche --> la vulnerabilità sovietica passa per la sua debolezza economica. Con l'amministrazione Nixon, chiamata a risolvere la questione vietnamita, avviene attraverso un primo ritiro delle truppe di terra, via via accompagnato da un irrobustimento di interventi di altro tipo, come i bombardamenti. Il conflitto ora prende la piega della vietnamizzazione del conflitto, con Nixon che ne cede la responsabilità agli abitanti interni: prima mossa politica di nixon. allo stesso tempo, però, gli americani si rendono conto che vacilla qualcosa nel fronte urss. Nel 1969 si arriva alle prime scaramucce militari sul fiume Ussuri tra la Cina e l'Urss ed è evidente che agli americani servirebbe una ventata di novità rispetto alla politica del Two China policy: la Cina rimane sempre un punto delicato della politica estera americana da gestire. Nixon sgombera l'aspetto ideologico da quello pratico, attuando un'apertura storica alla Cina, che in sostanza significa 1. gestione più facile della chiusura del conflitto vietnamita (l'implicazione cinese è evidente perchè il conflitto si sta espandendo a macchia d'olio) e 2. pressione potente sull'Urss, trascinandola ad un tavolo negoziale sugli armamenti che ormai è indispensabile. 22.05.2014 Siamo alla vigilia dei negoziati sul disarmo: nell'amministrazione Nixon spicca la figura del presidente, rivalutata nel complesso negli anni, nonostante egli si costringa spontaneamente alle dimissioni nel 1973, per non essere sottoposto al processo di impeachment. Lo scandalo di Watergate, che riguardava un caso di spionaggio interno, ha condizionato l'immagine del presidente a livello interno, sebbene complessivamente il giudizio della sua politica non sia così negativo. La figura di Nixon nel contesto è quindi chiaro-scura, soprattutto per quanto riguarda la politica estera, di cui fu il grande interprete Kissinger, nonostante Nixon l'abbia sempre seguita da vicino si può parlare di un tandem Nixon-Kissinger, che intraprese scelte liberali, alcune anche non semplici, come quella di ritirare i soldati dal Vietnam, con un'impresa che richiese un lungo periodo di preparazione e un cambio di strategia politica. Bisognava preservare la faccia di fronte alle pressioni dei democratici sul congresso, ma allo stesso tempo fuoriuscire dal Vietnam, laddove la gestione dell'exit strategy si prospettava particolarmente complessa; tuttavia, l’exit strategy dal Vietnam intercettava la questione sino-statunitense: avvicinamento alla Cina, la quale in quella fase era in aperto dissidio con l’URSS (nel 1969 avvengono i primi scontri lungo il fiume Ussuri) e che dava adito a speranze di poter realizzare un avvicinamento per far uscire la Cina dal suo isolamento internazionale e per infastidire i sovietici, cogliendo l'occasione di portarli ad un tavolo per un negoziato sugli armamenti strategici. Questo negoziato era una prosecuzione dell'accordo grazie al quale si era messa al bando la sperimentazione nucleare in URSS, servita per porre paletti ai cinesi e ai francesi. In questa fase esiste ancora un bipolarismo che, anche in termini di armamenti nucleari sovietici e statunitensi, è intenzionato a rimanere tale. L'exit strategy non consistette in un immediato rientro, ma al contrario c'è una fase di allargamento del conflitto. Infatti, da un lato è vero che (anche con Johnson) si ridimensiona il numero di uomini occupati in Vietnam, ma dall'altro Nixon allarga ulteriormente il fronte vietnamita, estendendo alla Cambogia e al Laos il controllo statunitense, nel tentativo di tagliare i rifornimenti al Nord Vietnam. Questo tipo di politica in realtà aumenta una condizione già drammatica e successivamente in estate si estenderà l'influenza sovietica sulla Cambogia. La Cina vede il progresso dell'influenza sovietica in una zona che potrebbe essere il suo giardino di casa, in quanto l’Urss appoggia chiaramente Vietnam del nord, con Hanoi che si riferisce all’URSS e non alla Cina! La Cina invece estende la propria influenza sui khmer rossi cambogiani, aumentando le criticità sino-sovietiche. Allo stesso modo, Nixon parla apertamente di vietnamizzazione del conflitto, ridando responsabilità al Vietnam del sud, perché da quando gli Usa decisero negli anni 60 di inviare consiglieri militari americani in Vietnam del sud, si avvia in realtà una situazione in cui il Vietnam del sud passa sotto la tutela militare degli Usa, che fanno la guerra al posto dei vietnamiti. E' evidente che è tardi ormai per la vietnamizzazione del conflitto e nel momento in cui i vietkong, che sono estremamente efficaci militarmente (anche se non lo sono in territorio aperto), sono stati in grado di tenere in scacco le forze americane, è impensabile per gli Usa arrivare ora ad una stabilizzazione del conflitto, a maggior ragione della chiarezza che il Vietnam del nord ha una strategia anche politica di cui è sprovvisto il Vietnam del sud e nel momento in cui l'exit strategy americana sarà portata al termine lasciando il territorio, sarà evidente che il Vietnam del sud sarà destinato a cadere. Nel 1975 il Vietnam sarà unificato sotto il nord, salvo poi la zona del conflitto e dell'estensione, che si allargherà conflittualmente in tutta l'Indocina. A tutto questo si lega un problema del fronte interno, di come Nixon vive la situazione post 68, con un’opinione pubblica ancora fortemente vigile su quello che sta accadendo all'interno e in Vietnam, orientata alla contestazione e in questa fase si verificano molte fuoriuscite di informazioni: nella prima fase dell'amministrazione Nixon escono i pentagon papers, dei documenti che riguardano un'analisi fatta sul coinvolgimento americano in Vietnam che non dovevano arrivare nel circuito mediatico. Nixon è costantemente ossessionato dall'idea di chiudere le falle, da cui potevano fuoriuscire queste informazioni e ciò lo fa grazie al lavoro costante di alcuni uomini, i plumbers, che dovevano tappare le falle informative. Ciò significa che si porta avanti una politica borderline sul fronte interno per quanto riguarda la legalità, in cui si esercita un controllo molto stringente sui cittadini americani. --> quanto l'amministrazione Nixon riesce a rimanere in un ambito di piena legittimità? L'atteggiamento si ripercuote sulla politica estera, dove avviene una dicotomia tra la “mission” americana e la lotta al comunismo, portata avanti al contempo con mezzi sempre più disinvolti e imputabili non sempre agli Usa (vedi Diem, che era sì sostenuto dagli Stati Uniti, ma le politiche nazionali non potevano essere portate avanti dagli Usa e inoltre inizia un periodo di uccisione dei dittatori dispotici); anche in Cile gli Usa ostacolano l'ascesa democratica al potere di Allende, non fermandosi di fronte all'elezione democratica e libera del presidente cileno gli Usa cercano di rovesciare un regime legittimamente eletto e questa disinvoltura in politica estera pone il problema che, essendo quest’ultima interpretata in maniera particolarmente realista per Nixon e Kissinger, il realismo possa prendere la mano sulla razionalità e sull’efficacia di quello che era, secondo Kissinger, lo strumento primario della politica estera, ovvero la balance of powers. Lo scontro bipolare deve essere gestito in termini equilibrati tra sovietici e americani, considerando che il disarmo non è più un problema simile a quello degli anni ’50 e anzi ora si pone non più il problema nucleare QUANTITATIVO, in quanto entrambe hanno lo stesso quantitativo di armamento ma bilanciato, quanto il concetto di deterrenza: creare un deterrente ad aggressione altrui, laddove il deterrente non è più potenziale in termine di bombe, ma in termini di collocazione geostrategica delle bombe e alla gara missilistica: quanto sono in grado di far arrivare le bombe sull'obiettivo, con precisione e velocità? Nel 1957 gli Usa avevano percepito il missile gap: idea statunitense secondo la quale i sovietici avevano realmente messo in dubbio la prevalenza americana, ma poi si scopre il bluff dello Sputnik, inizia lo sviluppo dei missili polaris, che continua lungo tutti gli anni Sessanta; nel campo sovietico la ricerca in campo missilistico prosegue con la gara nella spazio, con i sovietici tengono più al colpo di teatro per condizionare l'opinione pubblica, gli altri e se stessi della loro superiorità. Gli Usa sviluppano invece tutta una ricerca sull’imitazione degli armamenti strategici, con gli americani che rispondono efficacemente all'ipotesi di un'aggressione sovietica che porti gravi danni agli Usa con il second strike e con grande efficacia, distruggendo i centri vitali sovietici e l'idea che l'avversario sia in grado di vincere e chiudere automaticamente il conflitto. Il nuovo fulcro del dibattito nucleare sono quindi il “first strike-second strike”, ma in realtà la questione è complicata, anche perchè gli Usa stanno facendo ricerche sui sistemi antimissile, che sarebbero in grado di destabilizzare il confronto in termini di armamenti se ho un efficace sistema anti missile, sono in grado di neutralizzare un attacco nemico e non è detto che un sistema anti missile debba essere un'arma difensiva; al contrario, essere in possesso di un sistema antimissile difensivo renderebbe gli Usa in grado di portare un attacco efficacissimo, creando uno squilibrio e non commettendo l’errore di pensare che sia difensivo, non offensivo. Si lavora anche al MIRV: missili a testata multipla, che prefigurano un risparmio di risorse economiche per la loro produzione. La discussione ha in realtà molte sfumature e la discussione sul disarmo è molto articolata: i negoziati del SALT I e II, attorno ai quali ruota tutta la politica strategica statunitense e americana negli anni 70, c'è la possibilità di usare l'armamento strategico, anche grazie al nuovo riavvicinamento con la Cina, che potrebbe avvantaggiare gli Usa. Nonostante nei primi anni 70 la Cina porti a casa il posto nel consiglio di sicurezza all’ONU, essa non parteciperà ai SALT, in quanto già nel 1964 si verifica la prima esplosione nucleare cinese e quando vengono firmati i primi Salt, la Cina è in possesso di un arsenale nucleare a media gittata che le permetterebbe di colpire il territorio sovietico. Per i sovietici si pone l'ipotesi che gli Usa possano colpire per primi e successivamente i cinesi su un altro fronte: sicuramente l’ipotesi è fantascientifica, ma è considerata e questo per i sovietici è una fonte di preoccupazione al tavolo dei negoziati, gli Usa arrivano con il pensiero di uscire dal Vietnam, ma con un successo della collaborazione cinese; Mao è realista e si tratta sempre di un paese culturalmente lontanissimo e le trattative di avvicinamento sono comunque improntate ad un grande realismo, per cui gli Usa lasciano Formosa (non lasciando però che essa passi sotto sovranità cinese o autonoma, semplicemente abbandonano la Two China policy gli Usa conservano però la giurisdizione su Formosa). Tuttavia, sul fronte interno, dal giugno del 71 emerge il Watergate e l'andamento di esso è abbastanza prolungato, con implicazioni pesanti dal punto di vista sociale. Nel 1973 quando ormai il congresso ha concluso il capitolo iniziato con la risoluzione del Tonchino e che si chiude con il warfare, non è consentito agli Stati Uniti di partecipare o mettere le mani nei confronti del Vietnam e in Indocina e questo viene sancito a livello congressuale. Dal momento in cui si apriranno i negoziati, gli Usa dovranno esserne fuori e l'exit strategy di Nixon non sarà più facile come egli pensava. Quando Nixon decide di fare invadere la Cambogia, lo fa con un'operazione segreta, negando di aver mandato aerei da bombardamento con una core operation (è impensabile fare partire segretamente degli aerei per bombardare, questo significa modificare i dati dell'operazione all'opinione pubblica): la mania di segretezza è abbastanza ingenua, come si può pensare che il coinvolgimento Usa non emerga? Il Nixon del 1972 è un presidente che già sente le problematiche interne che stanno uscendo e nonostante entrambe la potenze volessero andare al negoziato da una posizione di forza, a questo punto prevalgono esigenze politiche e militari, con l’emergenza in Vietnam che deve essere affrontata, nonostante gli Usa non abbiano un disegno preciso su di esso. Nixon ha un gap di credibilità, con un impatto sulla sua politica e nel 1972, quando nel giugno di arriva ai Salt, la discussione riguarda i limiti ai sistemi di difesa: per riportare l'equilibrio e la deterrenza ad uno stato soddisfacente è necessario trattare il problema dei sistemi antimissile, che devono essere ridotti e si realizza una convenzione provvisoria che congela lo status quo dei rispettivi contingenti nucleari basati sulla terra (ICBM) + si pone tetto alle flotte dei sottomarini, come un tentativo di dare un relativo vantaggio ai sovietici, ma in realtà il vantaggio sovietico viene dal fatto che la tecnologia basata sui raggi intercontinentali a testata multipla era americana e quindi ci avrebbero perso gli Usa. Nel 1972 si raggiunge la PRIMA FORMA DI ACCORDO e si può iniziare a parlare di distensione: in qualche modo il realismo di Kissinger e di Breznev porta a casa dei risultati. A questo risultato si aggiunge il fatto che i sovietici sono anche spinti da una molla che è in realtà la molla forte della necessità di cercare anche accordi commerciali con l'occidente (politica di Brandt, che riesce a trovare un fronte morbido grazie al fatto che l’URSS è interessata a trovare uno scambio economico con l’ovest). Senza un nuovo apporto di grano, l’URSS avrebbe rischiato l'ennesima carestia e per la stabilità politica interna, bisognava aprirsi al commercio per attutire una tale mancanza di autonomia economica e finanziaria e bisognava inaugurare una politica stabile commerciale per evitare gli effetti devastanti di una mancante autonomia economica e finanziaria, dove gli Usa risulterebbero il partner commerciale in grado di fornire prestiti e approvvigionamenti di grano. Per la prima volta però, negli anni settanta, anche gli Usa stanno vivendo un periodo di crisi, con il dollaro che si deve sganciare dalla convertibilità aurea (dopo Bretton Woods del 1944) e gli Usa avevano iniziato a importare più di quanto esportavano: anche la moneta americana viveva un periodo di minor prestigio. In questa fase anche l’elemento economico può portare i sovietici al tavolo negoziale e il tentativo di agganciare la distensione passa anche per gli scambi commerciali, sebbene ci sia chi, nel congresso, pone questioni di principio: rispetto all’eventualità di accordi commerciali con l’Urss, si pone come primaria la questione dei principi = emendamento Jackson-Vanik passato in congresso, che lega la questione degli accordi commerciali all’Urss al problema dei profughi verso Israele, provenienti dall’URSS. La politica sovietica era di chiusura contro Israele: i cittadini di religione ebraica non potevano emigrare verso Israele e questa questione è un esempio di negazione dei diritti fondamentali della persona. Il congresso cerca di affermare il ritorno della politica americana alla tutela di questi principi basilari: questo emendamento è un deterrente all’elargizione del prestito all’URSS e i sovietici sono ben alterati di fronte a questo tipo di condizione. Spesso in termini di risultato paga più il realismo che il principio momento di arresto del processo di distensione, che invece si doveva fondare anche sugli accordi commerciali, cui i sovietici tenevano moltissimo. L’Europa si sta orientando nel senso di un’apertura verso la Germania orientale, con l’amministrazione americana che non vede questa nuova politica di buon occhio. Questa politica orientale rientra nel processo di distensione, dove rientra anche la concezione di balance of power (di Kissinger): gli accordi che Germania stipula con Mosca e Varsavia garantiscono il rispetto delle frontiere stabilite dopo la seconda guerra mondiale e anche su Berlino viene garantito un accordo: non deve più costituire un luogo da cui si fomentano le crisi e tutto questo può essere risolto con accordo che riconosca la status di Berlino siglato dalle ex potenze occupanti. Nessuno minaccerà l’unificazione dell’unificazione di Berlino e la Germania abbandona la dottrina Hallstein, si inserisce in un quadro positivo che è destinato a progredire quando in Europa si apre il discorso propositivo sulla CSCE. La CSCE deve essere letta con una buona continuità rispetto a quanto detto finora, ovvero dev’essere interpretata come un tentativo di portare avanti il discorso sul disarmo e di estendere questo discorso all’Europa. Si mette in gioco anche quello che era stato aperto con la Ostpolitik = continuità dei rapporti tra Europa occidentale e orientale, ma si sa che gli elementi di debolezza sovietici sono non solo dati economici, ma anche il dato politico diventa importante, nella misura in cui l’Urss cerca di mantenere il controllo saldo sui paesi satelliti e sulle repubbliche sovietiche interne e dove si registra una certa continuità. Sull’anello esterno, come dimostra la primavera di Praga del 1968 e la dottrina Breznev, è chiaro che queste azioni dimostrano quanto l’Europa orientale sia un anello vitale per la sopravvivenza dell’URSS. È altrettanto evidente che la Ostpolitik ha in qualche modo costituito un elemento di iniziale e potenziale rottura di questo controllo, in quanto lascia un margine d’iniziativa all’Europa occidentale e orientale, riportando la centralità delle relazioni all’Europa. Kissinger è convinto che non sia il caso di iniziative indipendenti da parte dell’Europa verso l’URSS, ma questo è un momento di miopia da parte del segretario Usa, perché l’iniziativa europea si iscrive in un punto debole sovietico: l’iniziativa europea intercetta la volontà sovietica di stringere dei legami sovietici con l’ovest. oltre al discorso sul disarmo, si può parlare di accordi economici. Nel 72-73 si apre la conferenza con l’idea di riportare tutto il discorso ad un progetto di distensione, mentre successivamente ci sarà la conferenza MFBR sul disarmo che tratta del disarmo e dell’armamento convenzionale in Europa. (The aim of the negotiations was an agreement on disarmament and control of conventional arms and armed forces in the territories of Federal Republic of Germany, the Netherlands, Belgium and Luxembourg (from NATO) and East Germany, Czechoslovakia and Poland (from the Warsaw Pact). The talks were attended by representatives from these nations, as well as the United States, Britain, Canada and the Soviet Union.) In questa chiave l’amministrazione americana continua ad essere sfidata e Ford, salito al potere nel 1973, continuerà sostanzialmente la politica di Nixon: egli continua a gestire i rapporti est-ovest sulla base della politica di balance of powers. Nell’agosto 1975 la CSCE approda all’atto finale di Helsinki: questo accordo coinvolge stati europei, stati del blocco sovietico, Canada e Stati Uniti. La caratteristica di quest’atto è che non ha un contenuto vincolante, sembra una raccolta di buone intenzioni, ma in realtà a Helsinki si arriva alla fase culminante del processo di distensione. Innanzitutto, l’Europa è tornata alla ribalta ed è un attore attivo in grado di prendere iniziative riguardo all’ovest, ma anche all’est. Si parla di cesti, di panieri di accordi, che sostanzialmente portano avanti la Ostpolitik e riguardano la sicurezza in Europa, la non ingerenza nelle questioni interne, la rinuncia all’uso della forza, il rispetto dei diritti umani, il riconoscimento dei confini post seconda guerra mondiale, la cooperazione economica, l’indizione nel 77 di una nuova conferenza a Belgrado. La questione del rispetto dei diritti umani contraddice spesso le condizioni dei diritti nei paesi orientali, ma alla fine, grazie al realismo sovietico e statunitense, questo terzo punto sui diritti umani viene accettato. Il processo sui diritti umani diventa un futuro sostegno per quei movimenti che continuano a prodursi nell’Europa orientale, come Charta 77 in direzione di maggior autonomia e liberalizzazione. Tuttavia, l’URSS censura il punto sui diritti umani in Cecoslovacchia, Havel si ribella e gli intellettuali redigono la famosa Charta 77: molte forze interne nei paesi dell’Europa orientale si organizzano per ribellarsi e questo paniere sui diritti umani è sottovalutato dagli stessi sovietici, che da un lato non vogliono abbassare il controllo sui satelliti, ma dall’altro sono attirati dalla questione dei diritti umani, che non si è certo spenta dopo Praga. Un nuovo interprete nel cambio di amministrazione sale al potere dopo Ford, Carter, democratico, che ha una concezione molto diversa della politica americana rispetto a Kissinger egli portava avanti l’affermazione dei principi che portava a degli esiti di politica estera di irrigidimento (paradossalmente). L’esito finale più volte è stato un necessario irrigidimento, perché i principi hanno come necessità collaterale un irrigidimento delle proprie posizioni. Carter vuole un gestione meno disinvolta dei principi della politica estera ed è chiaro che carter, con le sue azioni, si ripercuoterà in una ridiscussione del riarmo e di sottoporre la questione est-ovest alla questione dei diritti umani. La sua amministrazione sarà in linea rispetto ai diritti umani del terzo paniere di Helsinki. Il realismo di Kissinger ha portato ad una grande distensione, mentre con Carter il discorso si va complicando, perché si pone il problema che i sovietici hanno l’idea di invadere l’Afghanistan. L’Afghanistan è un nodo strategico della politica sovietica, che si rifà alla politica russa. La valenza strategica dell’Afghanistan è indubbia, ma gli americani sono stupiti rispetto ad un’operazione speculare rispetto alla loro in Vietnam, così inusuale per i sovietici: si tratta di dare man forte al regime comunista afghano, che aveva vinto le elezioni autonomamente ben prima dell’intervento sovietico, ma che poi sarà travolto da quello che è la multietnicità dell’Afghanistan. I sovietici pensano che un’invasione potrebbe essere risolutiva, ma in realtà si verificherà il Vietnam sovietico. Per l’URSS essa fu la tomba politica, essa costò moltissimo in termini politici e nel breve periodo l’Afghanistan ha significato il blocco della politica di distensione. A questo punto, gli Usa bloccano il dialogo e emergono la crisi iraniana, la crisi degli ostaggi e l’inizio dei nuovi problemi in Europa orientale, con agitazioni in Polonia. Nel 1980 Solidarnosc inizia a movimentare le folle polacche, proprio come fa anche il papa Karol Wojtyla e in quel decennio il sistema sovietico entra definitivamente in una crisi che era iniziata ben prima, aveva i suoi germi molto prima (anni 60), anche perché economicamente non funzionava la politica economica sovietica nei satelliti. Con la politica reaganiana gli Usa riprendono la corsa agli armamenti verso lo scudo stellare, che per i sovietici però non è più sostenibile e nel giro di un decennio l’Urss cadrà. 23.05.2014 Il 1989 è un anno di avvenimenti epocali: se fino a quel momento la realtà bipolare sembrava demolibile solo a prezzo di un’instabilità permanente e se Andreotti definiva la pace ormai garantita proprio dall’esistenza del muro, come mai la caduta del muro è avvenuta in un contesto di tale calma? Come mai la rivoluzione non comportò alcuno spargimento di sangue? Carter cerca di improntare la sua politica estera accordi si può cancellare il modello di distruzione reciproca, per il quale si era mantenuta la deterrenza fino a quel momento. Il suo approccio non era meno realista, ma anzi Carter voleva premere sull’URSS sfruttando il paniere dei diritti umani promosso dalla CSCE. Nella mente di Carter, i diritti umani dovevano costituire un punto di discussione comune (anche dando sfogo alle rivendicazioni interne al blocco sovietico, come quelle emerse in Cecoslovacchia nel 68). Tuttavia, l’Urss sembrava una creatura immobile, rappresentata ancora da un segretario statico come Breznev, che non si poneva il problema del dialogo. La presidenza di Carter è completamente condizionata dagli avvenimenti iraniani, non c’è alcun tipo di avvenimento di politica estera che abbia più condizionato il presidente americano, portandolo ad un drammatico insuccesso. Carter in realtà si trovò di fronte ad una vicenda iraniana che coinvolgeva uno scenario ben più ampio e strategico, che si estendeva anche sul golfo persico. L’idea di Carter è comunque di portare avanti i SALT e quindi gli accordi sul disarmo e sulla riduzione dell’armamento. Il piano che prosegue rileva una riduzione agli armamenti risibile, infatti gli armamenti rimarranno su livelli alti e stabili; nei SALT non si vede una riduzione consistente dell’armamento. È vero però che comunque gli accordi e il negoziati tracciano dei confini intorno alle paure reciproche, allentano il clima di tensione e tutto questo è ssa invaderà nel dicembre 1979 l’Afghanistan, a quel punto Carter interromperà la discussione in senato rispetto al SALT II e l’atteggiamento dell’amministrazione si irrigidirà verso l’URSS. Vengono immediatamente boicottate le olimpiadi di Mosca, vengono ostacolati i negoziati commerciali, ma allora viene da chiedersi perchè l’URSS invada l’Afghanistan. L’intervento militare diretto fuori dalla sua area è una novità nella politica sovietica e avviene perché in Afghanistan si poteva pensare di estendere l’influenza sovietica, in quella che era comunque una zona calda per gli interessi sovietici, in quanto esso confina con le repubbliche sovietiche, primo cerchio della politica sovietica. Le repubbliche sovietiche potevano diventare un problema potenziale se attorno alle frontiere si fosse creata un’influenza musulmana, che avrebbe causato agitazioni interne alle repubbliche. L’Afghanistan significava anche Golfo persico nell’ottica americana e l’intervento in Afghanistan diventa per gli Usa un intervento che i sovietici compiono per influenzare il Golfo persico, nel domino e se l’Afghanistan fosse stato totalmente satellizzato dall’URSS, essa avrebbe esteso il proprio controllo su un’area che era di vitale importanza per gli Usa. Da un lato quindi, questo era il modo in cui gli Usa intendevano l’invasione sovietica in Afghanistan; dal canto loro, i sovietici imputano la scelta di questa invasione a Breznev, che infine approva l’intervento militare, rispetto a consiglieri a lui vicini che erano convinti del rischio che stavano correndo. Ci si attendevano le reazioni americane, come il boicottaggio economico (accordi su cereali e sulle esportazioni) e in realtà la situazione economica sovietica era estremamente difficile. In dieci anni l’URSS imploderà, ma già nel 1979 l’URSS sembrava tecnologicamente all’avanguardia (dal 1957 in poi il sistema sovietico si muove verso l’investimento dell’armamento e nell’industria pesante), ma al di là del settore militar-industriale che era ipersviluppato, gli altri settori erano davvero atrofizzati e l’URSS sapeva bene che l’approvvigionamento agricolo e alimentare era fragilissimo. L’URSS si struttura su uno scambio economico di energia verso l’Europa contro materie prime alimentari, ma questo scambio porta l’URSS a continua a dipendere all’estero per il rifornimento di materie prime e anche l’innovazione viene meno, perché manca la capacità innovativa del regime, in quanto ormai tutto avveniva in un’estrema segretezza: non si disponeva dei dati reali e attuali sulla condizione e sulle situazioni sovietiche (forse solo il KGB li conosceva). Questo sistema ha quindi i limiti chiari posti da Breznev quando i suoi consiglieri gli consigliano di non intervenire. La situazione in Afghanistan però era delicata, in quanto si coinvolgevano le repubbliche sovietiche e per primi i sovietici si trovavano di fronte al rischio di islamizzazione delle repubbliche: fattore di destabilizzazione su cui potevano intervenire gli americani. I sovietici iniziano inviando consiglieri militari come fecero gli Usa in Vietnam e sperano di poter contenere i disordini interni attraverso l’invio di consiglieri militari, ma ci sono grandi difficoltà, che sono destinate ad esplodere dopo lo scoppio della rivoluzione khomeinista in Iran. Gli americani vedono crollare il loro solidissimo appoggio in Iran, la rivoluzione khomeinista spiazza tutti perché è totalmente fuori dalle logiche di potere che lo renda assimilabile ai leader occidentali. Si tratta di un concetto di potere religioso ed egli cerca di impedire qualsiasi possibilità di laicità dello stato. L’elemento forte di questa rivoluzione è l’elemento islamico, che sfugge dalla logica bipolare. I sovietici non erano dietro alla rivoluzione iraniana, ma anzi pensano che ci sia poter intervenire nella zona vitale del Golfo persico, giustificandosi dietro ad un attacco sovietico. Anche la rivoluzione iraniana va sul piatto dei “pro” per Breznev ed questa diventa un buon motivo per il leader sovietico per intervenire in Afghanistan. C’è anche il fatto che all’interno dello stesso nucleo di comunisti filosovietici in Afghanistan ci sono delle rivalità: i sovietici vanno ad impelagarsi su un territorio difficile, con una guerra asimmetrica e dagli attori non ben definiti. Questa è inoltre un costo enorme per uno stato che non se lo poteva permettere e il dato umano, che è una componente delle grandi scelte che condizionano l’andamento della guerra è dato anche dal dissidio tra i comunisti filosovietici afghani (Taraq e Amin, che fa incarce sovietiche. Applicare le categorie bipolari a scenari periferici è ancora l’errore principale dell’amministrazione sovietica, una destabilizzazione che, nel caso statunitense, sarebbe arrivata fino al Pacifico in Vietnam, oppure, nel caso sovietico, nel golfo persico in Afghanistan. Gli Usa avevano sostenuto mujaheddin il nemico del mio nemico diventa mio amico è la filosofia di tutto questo periodo, ma è anche diventato foriero di problemi ancora più grandi. I sovietici non immaginavano l’intervento Usa! In Afghanistan ci sono anche zone che sono permeabili dal Pakistan e dal Libano e quando i sovietici decidono di intervenire, si verificano azioni di guerriglia anti sovietica, cosa che loro non avevano certo valutato. Lo smacco, gli effetti intollerabili, lo scontro tecnologico furono elementi non trascurabili all’interno del conflitto, in quanto gli Usa utilizzarono missili nuovi per lanciare un messaggio ai sovietici: siamo tecnologici quanto voi. Al di là del fatto che i conflitti interni in Afghanistan siano un colpo ammortizzabile, bisogna anche controllare ciò che i soldati riferiscono sospensione dei SALT. Si è giunti al problema degli euromissili e ancora una volta l’Europa si interroga sul proprio ruolo e la propria sorte nell’atto finale di Helsinki. Gli euromissili erano schierati dall’URSS nell’anello più esterno in modo tale da poter colpire a 360 gradi tutto il pianeta. Ora, questo pone il problema riguardo alla reale efficacia dei SALT, che non possono risolvere il problema dei missili. L’Europa ancora una volta era al centro dei discorsi e l’Italia tra loro. Nell’aprile 1980 avviene il disastroso tentativo di Carter di liberare gli ostaggi americani prigionieri in Iran: in realtà, questa operazione affosserà l’amministrazione Carter in un momento critico e il presidente fallirà in seguito a questa crisi. Carter prenderà pochissimi voti alle elezioni e perderà in quasi tutti gli stati americani, lasciando l’idea di un presidente estremamente debole, ma di fatto si trovò di fronte ad una situazione internazionale assolutamente sfavorevole. Il tentativo di liberazione degli ostaggi fallì davanti agli occhi del mondo intero e riportò per questo una sconfitta bruciante alle elezioni che elessero Reagan, ma Carter non fu un tappetino. La successione a Carter fu inaspettatamente quella di Reagan, un ex attore western di Hollywood: sottovalutare Reagan fu un grandissimo errore, come lo fu sottovalutare l’onda di oltranza aveva fatto precipitare il confronto bipolare in uno stato di instabilità perenne e i sovietici erano riusciti a destabilizzare un’area mediorientale proprio per le disattenzioni statunitensi, che erano invece concentrati sulla distensione. Ad un certo punto però, Reagan rispolvererà dei moniti di tempi ormai andati, parlerà di impero del male, riferendosi all’Unione Sovietica, quasi a riscoprire il maccartismo statunitense e riappropriandosi di un dato ideologico che era prima passato in secondo piano. Reagan sarà anche il fautore di una politica molto diversa sul fronte interno, egli lancerà la reaganomics, proclamerà che il governo non ha problemi perché il governo è il problema: meno governo, meno stato, ridiscussione del welfare per stare meglio. Allo stesso tempo Reagan porta avanti una politica che vuole riportare i sovietici al tavolo negoziale, ma alle sue condizioni, ovvero da una condizione di forza degli Stati Uniti: gli Usa aumentano le spese per gli armamenti e dall’81 all’87 crescono del 43% gli investimenti in armamenti, premendo sull’URSS e intercettando l’elemento della debolezza sovietica, ovvero sfidandola su un piano di un nuovo investimento economico che ne avrebbe provocato la morte in breve tempo. Reagan affianca a questo un’idea di enorme impatto dal punto di vista tecnologico: lancia lo scudo stellare, un modello di difesa strategica che pensa di portare nel specialmente quelli intercontinentali, non con un armamento nucleare, ma con un’arma tecnologica come lo scudo, con il quale si potevano intercettare i missili sovietici e quindi 1. Usa potevano vanificare il second strike sovietico e 2. Si sfida l’Unione sovietica al rialzo. Lo scudo stellare non è una cosa che viene propagandata e realizzata velocemente: i tempi per la realizzazione dello scudo sarebbero stati attorno ai 20 anni e in realtà Reagan dà il via ad una serie di ricerche in merito, che comunque creano un gap riarmo americano contro i SALT, mentre gli americani si proteggono dicendo che stanno sviluppando un modello difensivo, non offensivo. È chiaro che l’URSS ha una difficoltà reale, soprattutto perché nell’80 iniziano nuovi problemi in Polonia, si tratta di un sindacato che attrae i lavoratori, è di matrice cattolica in uno stato cattolicissimo e c’è un rischio nuovo di destabilizzazione in un paese che la dottrina Breznev considerava fondamentale per la propria sopravvivenza, ma intervengono prima i militari polacchi e portano al potere il generale Jaruzelski per evitare le conseguenze di Budapest. Jaruzelski ha salvato la Polonia da un futuro simil-Cecoslovacchia! Ascende inoltre al soglio pontificio il primo papa non italiano, Wojtyla, e muore anche Breznev, cui succede Andropov. Ad Andropov viene affidato il compito di risollevare l’Unione sovietica e di realizzare riforme strutturali che avrebbero perm dell’occidente e ben presto Andropov morirà, per essere succeduto da Cernenko: nel PCUS prevalgono le forze che guardano con terrore al fatto che il processo di rinnovamento venga portato a termine. Andropov aveva iniziato a ripulire la dirigenza e il partito, mentre Cernenko era l’ex segretario di Breznev e quindi rappresenta il tentativo di riportare tutto all’immobilità. Si prende atto che nel partito c’è una fazione conservatrice che se la batte con una fazione pro-riforma strutturale. Chiaramente la lotta all’interno del partito era assolutamente sconosciuta in occidente, dove si ha qualche vaga impressione che non tutto funzioni. In realtà in occidente filtra poco della realtà sovietica, ma quando nell’85 Gorbaciov va al potere, si capisce che il messaggio è diverso. La nomina di Gorbaciov è l’opzione meno conservatrice per il PCUS. Nel febbraio 1986 Gorbaciov chiarisce immediatamente le sue posizioni, per la prima volta viene menzionata la parola perestrojka = riforma. Al concetto di perestrojka Gorbaciov accompagnerà la glasnost, trasparenza. Egli sta cercando di imprimere sempre all’interno di un sistema immobile qualche accenno di riforme, che implicitamente avrebbero portato ad un ribaltamento della nomenklatura e ad una liberalizzazione in economia. Via via c’è un rientro su molte condizioni, ma soprattutto si paragonano Gorbaciov e Kruscev: entrambi furono portatori di novità, ma Gorbaciov ha per la prima volta nella sua concezione strategica un grosso cambiamento, ovvero l’idea che l’Europa orientale non sia necessariamente un fattore di sopravvivenza per l’URSS --> è già disposto a lasciare dei margini di manovra e libertà all’Europa orientale, che Kruscev con la destalinizzazione non aveva previsto. Secondo Gorbaciov è arrivato il momento anche per l’Europa orientale di aprire ai movimenti di rinnovamento nati all’interno dei essere il tutore e il protettore dell’Europa orientale, scelta e merito che si attribuiscono a Gorbacev. La strada in questa direzione permetterà di arrivare alla caduta della DDR e dei regimi orientali con rivoluzioni di velluto. È evidente che Gorbacev deve affrontare problemi come l’Afghanistan: è necessario rivedere tutte le direttive strategiche dell’URSS, che negli anni ‘70 ha anche un altro teatro di azione, il terzo mondo come l’Angola e il Mozambico, dove però non interviene direttamente + si è stabilizzato lo scenario del Medioriente, ma non quello orientale, con la Cina che combatteva contro il Vietnam e l’Indocina era spaccata tra alleanze con la Cina o l’URSS, rappresentando sempre uno scenario instabile. Ora Gorbaciov, per agire, ha bisogno di una precondizione per riprendere qualsiasi negoziato: gli americani rinuncino al progetto di scudo stellare, rinuncino a quell’idea che bene o male è impraticabile per l’urss. È evidente che c’è una successione di evrtici molto scenografici, ma falliti, a partire quello di Reikjavik del 1986 anche perché le divisioni del PCUS sono proprio interne al partito stesso. È chiaro che tutte le proposte di compromesso sovietico sono sostanzialmente dei fallimenti perché rifiutate dagli americani, che volevano dettare le condizioni dei negoziati. A febbraio 1987 a Gorbacev non rimane altro che aprire un negoziato sugli euromissili e quindi ripartire dall’Europa, bypassando la richiesta che gli americani rinuncino al loro progetto di scudo stellare e lasciando correre la realtà. Nel dicembre 1987 c’è il primo risultato di questa politica, ovvero il trattato per l’eliminazione delle forze nucleari in Europa, che rappresenta un accordo molto importante che sembra dar luogo ad una nuova distensione tra est e ovest. Nel frattempo, sul fronte statunitense, nel gennaio 1989 Bush vince le elezioni e diventa presidente. Il successo della presidenza repubblicana emerge nella figura non particolarmente carismatica di Bush padre, nonostante egli venga subito messo alla prova dalla crisi periferica riguardo alla riconferma della special relationship Usa-Gran Bretagna con il conflitto delle Falklands. Queste isole, situate al ridosso dell’Argentina, ma rivendicate e in possesso della Gran Bretgna: il regime dei generali argentini, che stava tentando di annetterle all’Argentina, coglie l’opzione nazional-patriottica e fa appello al fatto che le isole appartengono allo stato sudamericano e che quindi l’appartenenza alla Gran Bretagna è ennesima prova dei retaggi coloniali. Queste isole appunto danno luogo a quella che potenzialmente è una crisi che potrebbe questionare la special relationship. Questa cosa però è sfuggita agli occhi occidentali, nonostante gli Usa fossero in quel momento in crisi e nonostante il primo ministro britannico a quei tempi, la Thatcher, rispose fermamente che la Gran Bretagna non intendeva consentire che l'Argentina annettesse le isole. Il sentimento diffuso è che queste isole in realtà appartengano all’Argentina e che quindi la volontà britannica di trattenerle sia solo un retaggio dell’imperialismo e della politica coloniale inglese. In realtà però la popolazione delle Falklands è ben felice di rimanere sotto sovranità britannica. Questo episodio potrebbe rappresentare la rottura della special relationship Usa-UK. All’atto di forza della Gran Bretagna, che decide per un'azione militare disattendendo le aspettative degli argentini, che per di più si aspettavano l’appoggio americano dalla loro parte (per una sorta di panamericanismo), gli Usa infine rispondono appoggiando la Gran Bretagna, una democrazia, un paese con cui vi erano antichi rapporti, ecc. Il punto interrogativo per l’amministrazione Bush riguarda le dimensioni massime che può raggiungere il clima di fiducia con l'Urss: fino a che punto ci si può fidare? Bush amministra politicamente in modo abbastanza saggio questa fase, anche perché comincia ad emergere una desistenza piena dei sovietici rispetto all’Europa orientale, in cui si sta verificando una reazione a catena, la quale va a toccare il principale punto di frizione europeo: la Germania, dove il discorso si fa più delicato. Paradossalmente la prospettiva in Germania è questa: lasciare che le cose prendano una strada inevitabile. Quando il leader ungherese Nemeth comunica a Mosca di voler aprire le frontiere sia a sud che a ovest, non gli viene opposta da Mosca nessuna resistenza per la prima volta. Lasciare le frontiere aperte in un mondo chiuso verso l’esterno come era l’Europa orientale significa che decine di migliaia di tedeschi della Germania orientale corrono verso l’Ungheria, che significa ora libertà. La prospettiva tedesca è ora totalmente inaspettata, la situazione prende una velocità incredibile. Gorbacev va in Germania orientale, perché si festeggia l’anniversario della vittoria della rivoluzione comunista, ma il suo atteggiamento è criptico, prende decisioni sempre con una cerchia ristretta di consiglieri (tra cui vi è sempre Shevarnadze). Gorbacev, citando un poeta russo dirà che “l’amore ha un potere unificante più forte dell’acciaio”. Questo significa che non si opporrà alcuna resistenza all’unificazione tedesca; quindi Gorbacev non manderà alcun carro armato in difesa della DDR. → Wiedervereinigung Deutschlands La dottrina Breznev, quindi, per l’Urss aveva ragione di essere, in quanto poi la caduta dell’Europa orientale ha significato la caduta stessa dell’Urss.