Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology Anno I numero 3 - ottobre 2009 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali Autismo e genetica Autism and genetics Giovanni Coglitore Scuola di Dottorato di ricerca in Scienze Cognitive, Università di Messina Abstract Autism is a biologically determined behavior disorder, with onset in the first three years of life. The DSM-IV lists autism among the pervasive developmental disorders. Autism is characterized by qualitative impairment in several areas of behavior, such as social interaction, verbal and nonverbal communication, interests and activities. Many observations (occurrence of 2-8% in brothers of affected children, recurrence in about 60% of monozygotic subjects, similar clinical pictures, although attenuated, are observed in members of the same family of individuals with autism) led the research to assess the genetic value in autism. The genetic analysis revealed many genes, located in different chromosomes (2, 5, 7, 15 and X), involved in the determinism of autism. However, no clear conclusions can be made currently about genetic loci involved in these disorders. Therefore, the research illustrates the autism as a genetically heterogeneous and polygenic disorder due to the effects of many different genes in specific chromosomal regions. These genes have different functions with modes of interaction still not well defined. Furthermore, multiple triggers also due to environmental factors (toxic, pollution, etc) have an important role to define phenotypic expression of these genes. However, in the autistic disorders, the involved genes and environmental factors and their interaction are not yet fully known. Key Words: autism, genetic, review Riassunto L’autismo è un disturbo del comportamento biologicamente determinato, con esordio nei primi tre anni di vita. Il DSM IV cataloga l’autismo tra i disordini pervasivi dello sviluppo. Il disturbo è caratterizzato da compromissioni qualitative in diverse aree del comportamento, quali l’interazione sociale, la comunicazione verbale e non verbale, interessi e attività. Numerose osservazioni (2-8% di casi di autismo nei fratelli di bambini affetti, ricorrenza del 60% nei fratelli monozigoti affetti, quadri clinici analoghi anche se attenuati in componenti della stessa famiglia di individui autistici) hanno indotto la ricerca a valutare il ruolo dell’assetto genetico nell’etiologia dell’autismo. L’indagine genetica ha messo in evidenza numerosi geni candidati locati in diversi cromosomi (in particolare il 2, 5, 7, 15 nonché nel cromosoma X). Inoltre non vi sono tuttora conclusioni chiare riguardo alle modalità con cui i loci genetici vengono coinvolti in questi disordini. Dalla ricerca emerge dunque che l’autismo è da considerare un disturbo geneticamente eterogeneo e poligenico, dovuto agli effetti di molti geni differenti localizzati in specifiche regioni cromosomiche. Tali geni sono implicati in diverse funzioni ed hanno modalità di interazione ancora non ben definite. Inoltre, molteplici fattori anche di natura ambientale (sostanze tossiche, inquinamento, ecc) svolgono un ruolo importante nell’espressione fenotipica. Tuttavia sia i fattori che rendono un soggetto predisposto geneticamente, sia i fattori ambientali che contribuiscono a determinare la patologia e le modalità della loro interazione non sono ancora del tutto noti. Discussione L’autismo, altrimenti definito Disturbo Autistico (DA), consiste in un disordine dello sviluppo che si manifesta con una sindrome clinica di sintomi e segni combinati di gravità variabile che il DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition) 1 cataloga tra i disordini pervasivi dello sviluppo (PDD Pervasive Developmental Disorders), insieme ad altre sindromi cliniche appartenenti alla stessa categoria diagnostica: disturbo di Asperger, disturbo di Rett, disturbo disintegrativo dell’infanzia, disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato. A differenza dei disturbi specifici dello sviluppo (SDD - Specific Developmental Disorders), caratterizzati da difficoltà o compromissioni in un solo ambito, i PDD interessano diverse aree del comportamento (interazione sociale, comunicazione verbale e non verbale, interessi e attività) 2, 3, 4 e definiscono quelle alterazioni comunemente note come disturbi dello spettro autistico5 (ASD - Autism Spectrum Disorders). Il DSM-IV indica inoltre, attraverso specifici algoritmi, i criteri per definire il riconoscimento clinico-diagnostico di ognuna di queste affezioni. L’autismo si manifesta all’incirca durante i primi 3 anni di vita, con un rapporto maschi/femmine6, 7 di 3-4:1 e prosegue negli anni successivi e nell’età adulta come una “disabilità permanente”, la cui storia naturale si configura con un’espressività clinica poco variabile nel tempo8. Secondo i dati più recenti è stimata una prevalenza di 10 casi ogni 10.000 bambini, mentre non è evidente una prevalenza geografica e/o etnica9. Si era ritenuto per molto tempo che le cause del disturbo autistico fossero da ricercare nell’ambito delle condizioni ambientali ed educative10, 11 e che esso fosse la conseguenza di una distorsione nel rapporto madre-bambino, un disturbo cioè derivato da comportamenti dei genitori ritenuti ostili, con conseguente chiusura affettiva e relazionale del bambino “in un mondo tutto suo”. Negli anni successivi sono state formulate, nell’ambito della etiopatogenesi dell’autismo, diverse teorie che fanno riferimento a modelli interpretativi fondati sulla clinica dei soggetti affetti, tra cui la letteratura segnala: la Teoria Socio-Affettiva12, 13, 14, 15, la Teoria della Mente16, 17, la Debolezza della Coerenza Centrale18, 19, il Deficit delle Funzioni Esecutive20, 21, ai cui lavori scientifici si rimanda per chi fosse interessato agli approfondimenti. Il riscontro epidemiologico della familiarità (ricorrenza del 2-8% nei fratelli di bambini affetti da DSA), gli studi sui gemelli (ricorrenza del 60% nei monozigoti rispetto agli eterozigoti) e l’osservazione che componenti della stessa famiglia di individui affetti da autismo presentano quadri clinici analoghi anche se attenuati, hanno indotto la ricerca a valutare la componente genetica nell’etiologia dell’autismo22, 23, 24 e, più in generale, hanno dato l’avvio allo studio neurobiologico di queste affezioni. Attualmente gli individui con autismo possono essere divisi in due grandi gruppi. Il primo gruppo (10% dei casi circa), in cui la sindrome autistica è associata a mutazioni di un singolo gene, fa riferimento a soggetti affetti dal cosiddetto autismo sindromico, ovvero secondario ad altre patologie note, ereditate geneticamente, come la sclerosi tuberosa, la neurofibromatosi, la sindrome da X-fragile, la sindrome di Rett e alcune malattie citogenetiche. In questo gruppo il disturbo autistico è associato, in percentuale variabile, in co-morbilità con le suddette patologie. Fanno parte del primo gruppo anche i soggetti con sindrome autistica che hanno subìto alterazioni cromosomiche nel corso di infezioni del sistema nervoso centrale da citomegalovirus e rosolia e quei rari casi dovuti a riarrangiamenti cromosomici secondari a esposizione prenatale a sostanze tossiche (acido valproico, talidomite). Il secondo gruppo (90% dei casi circa) si riferisce a soggetti affetti da autismo idiopatico, cioè primario o essenziale, non associato ad altre patologie, ma dovuto verosimilmente a condizioni per le quali la recente ricerca prospetta fortemente il coinvolgimento della componente genetica insieme ad altri fattori di rischio non genetici. . L’indagine genetica prevede diverse modalità di studio per la ricerca dei geni candidati25. La prima consiste nello screening dell’intero genoma (whole genome screen) su un numero considerevole di famiglie con due o più individui affetti, attraverso micro-marcatori delle sequenze di DNA al fine di selezionare zone del genoma potenzialmente interessate nella sindrome autistica. Una seconda modalità si avvale di studi di citogenetica (cytogenetic analysis) effettuati su individui affetti e sulle loro famiglie, volti ad identificare eventuali anomalie cromosomiche ereditate o de-novo. Una terza modalità consiste nella identificazione, attraverso le due modalità precedenti, delle mutazioni genetiche ereditarie nei geni candidati che predispongono un individuo all’autismo e che sono responsabili dello sviluppo del cervello o sono associati a strutture cerebrali, neurotrasmettitori o neuromodulatori coinvolti nella patogenesi dell’autismo (clinical studies & developmental models). Altre investigazioni prevedono test per l’individuazione di anomalie di linkage (linkage disequilibrium tests), studi di associazione con le strutture cerebrali (association studies) e studi su modelli animali (animal studies). Fino ad oggi non è stato identificato un singolo gene capace di scatenare la patologia né è stato messo in evidenza un unico pattern di geni la cui interazione causa sindrome autistica in tutti i soggetti studiati. Quel che è certo allo stato attuale è che un numero considerevole di geni sono candidati come responsabili (co-responsabili) del manifestarsi del disturbo. I risultati dell’indagine genetica hanno messo in evidenza numerosi geni locati su diversi cromosomi (Tab I). Tab. I - Principali geni candidati e locus cromosomico di appartenenza Il locus 7q22-q33 è risultato essere un sito chiave nella predisposizione all’autismo26, 27. In tale regione è stato identificato il gene RELN (protein reelin) che agisce durante la migrazione cellulare nelle le fasi di sviluppo. Alterazioni del gene RELN interessano lo sviluppo corticale e cerebellare, aree cerebrali trovate ridotte a livello volumetrico in numerosi casi di autismo28, 29. Altre mutazioni riscontrate nel cromosoma 7 riguardano i geni NPTX2, FOXP2, IMMPL2 e RAY1/ST7. Il gene NPTX2, locato sul 7q22.1, è fortemente implicato nella connettività sinaptica, che risulta anomala nei pazienti con autismo. Il FOXP230, gene regolatore locato sul 7q31, è stato identificato in una famiglia inglese nota come KE family i cui membri presentavano gravi anomalie articolatorie del linguaggio non associate ad autismo. In quanto l’area comunicativa è un segno clinico e diagnostico chiave nella patologia autistica, alcuni ricercatori hanno avanzato l’idea che il gene FOXP2 e la cascata di geni da esso regolata, possano essere implicati nella sindrome autistica. In questa direzione sono stati compiuti diversi studi da parte di ricercatori31 che hanno identificato un gene regolato dal FOXP2, il CNTNAP2 la cui mutazione sembra essere correlata ad alcuni casi di disturbi specifici del linguaggio (SLI - Specific Language Impairment) e alla sindrome autistica. Il CNTNAP2 regola la proteina neuroxina, presente sulla superficie dei neuroni con la funzione di collegamento tra le varie cellule ed il loro cablaggio durante le fasi di sviluppo embrionale e largamente espressa nella corteccia cerebrale, particolarmente a livello dei lobi frontali. Altri geni identificati nella regione 7q31-q33 sono IMMP2L, identificato come un locus cromosomico implicato nella sindrome di Tourette e nella sindrome autistica32 e RAY1/ST7 locus trovato interrotto da una traslocazione in alcuni individui con autismo25. Nella regione 15q11-q13 sono stati identificati i geni per i recettori GABRB3, GABRA5 e GABRG3, sub-unità recettoriali del gene GABAA33, responsabili dell’inibizione neurale al livello sinaptico e il gene UBE3A34. Tra questi, mutazioni a carico del gene GABRB3 risultano essere correlate ad epilessia e anomalie elettroencefalografiche, mentre il gene UBE3A, la cui espressione risulta essere predominante per il cervello umano, sembrerebbe giocare un ruolo importante nella Sindrome di Angelman (patologia dovuta ad un difetto nella duplicazione cromosomica ad imprinting genetico), la cui sintomatologia è rappresentata da ritardo mentale, difficoltà di linguaggio e anomalie facciali. Recenti ricerche confermano che le anomalie genetiche delle regioni 15q11-q13 sono responsabili all’incirca nell’1% dei casi di disturbi delle spettro autistico 35. Altro locus di suscettibilità riguarda il cromosoma 2, dove sono stati individuati e studiati diversi geni quali DLX1, DLX2, HOXD1, NR4A2, UPP2. Tra questi, particolare attenzione meritano NR4A2 e UPP2. Il primo codifica per una proteina coinvolta nel differenziamento di neuroni che producono dopamina, neurotrasmettitore che interviene negli stati emozionali e nel controllo del movimento. Mutazioni a carico di questo gene sono state associate a patologie, che comportano disfunzioni del sistema dopaminergico, come la schizofrenia e la sindrome maniaco-depressiva36. Il gene UPP2 codifica per la proteina uridina fosforilasi 2, enzima che interviene nella biosintesi dei nucleotidi37. Tale enzima è coinvolto nella regolazione del sonno e viene usato nei trattamenti delle crisi epilettiche ed è ampiamente noto che numerosi casi di autismo sono associati a disturbi del sonno e a fenomeni epilettici. In alcuni casi di autismo associato ad epilessia, alcune evidenze dimostrano che la somministrazione di uridina comporta riduzione delle crisi epilettiche e miglioramenti nella capacità linguistica38. Ricercatori tedeschi39 nel 2006 hanno identificato in due famiglie con autismo una mutazione genica sul cromosoma X che codifica per la proteina ribosomiale L10 (RPL10), necessaria per la traduzione dell’informazione genetica e la cui espressione è fondamentale per il corretto funzionamento del sistema limbico implicato nelle funzioni cognitive dell’apprendimento, della memoria e delle funzioni sociali. Un passo importante nello studio della componente genetica dell’autismo è stato compiuto di recente da diversi gruppi di ricerca che puntavano sull’identificazione dei geni responsabili delle anomalie della connettività cerebrale. Attraverso la tecnica dell’analisi degli SNP (Single Nucleotide Polymorfism), alcuni ricercatori40, nell’ambito del Autism Genome Project Consortium, hanno scoperto una regione cromosomica di un gene candidato, la 11p12-p13 che codifica per la -neuressina che con neurolignina forma una coppia di molecole responsabili della formazione delle giunzioni sinaptiche, fondamentali per la trasmissione dei segnali chimici tra le cellule nervose. Un’alterazione del gene codificante per tali proteine può avere ripercussioni a livello della connettività sinaptica che risulterebbe anomala nei soggetti autistici. Studi più recenti41, 42, pubblicati sulle riviste scientifiche Nature e Annals of Human Genetics, hanno messo in evidenza che le mutazioni di due geni potrebbero essere responsabili del 15% di tutti i casi della patologia. I geni mutati sono stati trovati sul cromosoma 5 e codificano per le proteine caderina 9 (CDH9) e caderina 10 (CDH10), indispensabili per l’adesione cellulare. Nei diversi studi sono stati confrontati gli interi genomi di individui sani con individui affetti da autismo. Ciò ha reso possibile isolare le mutazioni genetiche legate alla malattia. Studi di neuroimaging hanno evidenziato come nel cervello dei soggetti autistici ci sia una carenza dei cosidetti “ponti” tra neuroni, con conseguente rallentamento/interruzione della trasmissione del segnale. I geni CDH9, CDH10 e altri geni sarebbero quindi responsabili di alcune anomalie strutturali del cervello autistico che sarebbe quindi “disconnesso” dall’interno. La ricerca inoltre si è concentrata sullo studio dei neurotrasmettitori coinvolti nella patogenesi del disturbo autistico. Nei soggetti autistici sono stati descritti numerose alterazioni della concentrazione di neurotrasmettitori, che includono serotonina, dopamina, norepinefrina, glutammato/NMDA, GABA e oppioidi. Tutti questi neurotrasmettitori sono ben rappresentati nell'amigdala, struttura cerebrale importante per gli aspetti dell'interazione sociale. Durante le fasi embrionali i neurotrasmettitori agiscono come segnali di regolazione dello sviluppo e della plasticità del sistema nervoso centrale. Studi condotti nel 1999 hanno dimostrato, mediante l’utilizzo della PET, che nei bambini sani durante l'infanzia la capacità di sintesi di serotonina a livello del sistema nervoso centrale è particolarmente elevata e che questo processo è fortemente alterato nei bambini autistici43. Questi risultati suggeriscono che il gene per il trasportatore della serotonina possa essere considerato un buon candidato per l'autismo. Va sottolineato che non tutti i dati della letteratura sono concordanti, sebbene i risultati di più gruppi di ricerca puntino su quelle stesse regioni cromosomiche. Tali discordanze sono dovute sia alla complessa definizione del fenotipo autistico che alla moltitudine dei geni che per un motivo o per un altro possono essere considerati implicati nel determinare la patologia. Sulla base dei dati della ricerca emerge dunque che non esiste “il gene dell’Autismo”, ovvero un singolo gene responsabile della etiologia di questa affezione. Esistono invece molteplici geni implicati nel determinismo del disturbo autistico, di diversa natura e funzioni, ognuno dei quali è responsabile di singoli e specifici effetti fenotipici, con modalità di interazione ancora non ben definite. Inoltre non vi sono tuttora conclusioni chiare riguardo alle modalità con cui i loci genetici vengono coinvolti in questi disordini. Tuttavia la sola alterazione di uno o più geni non può essere considerata la causa diretta della patologia, in quanto avrebbe comportato il manifestarsi del disturbo autistico in tutti i gemelli monozigoti nei quali invece la ricorrenza è soltanto del 60% circa. Per il manifestarsi della sindrome autistica occorre dunque considerare anche altre condizioni che svolgono il ruolo di fattori scatenanti, mentre le alterazioni geniche assumono il significato di condizione predisponente che conferisce vulnerabilità per il manifestarsi del disturbo. Alcune ricerche identificano i fattori scatenanti nelle condizioni ambientali inquinanti. In particolare vengono chiamate in causa alcune sostanze tossiche, come i metalli pesanti (mercurio e piombo), molecole ad attività teratogena (talidomite e l’acido valproico), i pesticidi che agiscono attraverso l’inibizione dell’acetilcolinesterasi che interviene nel metabolismo del neurotrasmettitore acetilcolina, e altre sostanze ambientali inquinanti non meglio identificate. L’ipotesi, su cui la ricerca sta tuttora indagando, è che l’esposizione a sostanze tossiche (a livelli normalmente innocui per gli individui non geneticamente predisposti) possano provocare, durante l’embriogenesi e nel corso della vita fetale e neonatale dei soggetti con predisposizione genetica, alterazioni più o meno gravi dell’assetto neurobiologico con esiti corrispondenti a livello clinico che si manifestano, entro i 3 anni di vita, con la sindrome autistica. Allo stato attuale non sono ancora definiti i complessi meccanismi dell’interazione gene-ambiente, che possono realizzarsi sia attraverso un’azione “diretta” del fattore tossico sul genotipo, sia “indirettamente” incidendo sull’assetto neurobiologico geneticamente predisposto e dunque vulnerabile. L’incremento della prevalenza del disturbo autistico nella popolazione generale, registrato nell’ultimo decennio, non sarebbe soltanto dovuto ad una migliore definizione e accuratezza dei processi diagnostici e all’aumento del numero dei Centri per l’Autismo istituiti sul territorio, ma vi sono evidenze che si sia verificata una crescita reale in rapporto alle possibili cause di natura ambientale, pure in aumento che, interagendo con il genoma, sono all’origine di questa affezione. In conclusione, diversi dati di letteratura ipotizzano che l’autismo sia da considerare un disturbo del comportamento geneticamente eterogeneo e poligenico, dovuto agli effetti di molti geni differenti locati in specifiche regioni cromosomiche, di diversa natura e funzioni, con modalità di interazione ancora non ben definite, le cui alterazioni condizionano il terreno predisponente su cui incidono fattori scatenanti di inquinamento ambientale, con produzione di sintomi e segni combinati di gravità variabile fino alla piena espressività clinica del disturbo autistico. Tuttavia, sia i fattori che rendono un soggetto predisposto geneticamente e quindi vulnerabile, sia i fattori ambientali che contribuiscono a determinare la patologia nonchè le modalità della loro interazione non sono ancora del tutto noti. BIBLIOGRAFIA 1. American Psychiatric Association. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders: DSM-IV (fourth edition, text revision). 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