Direttore Generoso Andria, Napoli Comitato di Direzione Andrea Biondi, Monza Franco Chiarelli, Chieti Giovanni Cioni, Pisa Giovanni Corsello, Palermo Achille Iolascon, Napoli Alberto Martini, Genova Pierpaolo Mastroiacovo, Roma Luigi Daniele Notarangelo, Boston Luca Ramenghi, Genova Fabio Sereni, Milano Riccardo Troncone, Napoli Comitato Editoriale Salvatore Auricchio, Napoli Eugenio Baraldi, Padova Sergio Bernasconi, Parma Silvano Bertelloni, Pisa Mauro Calvani, Roma Liviana Da Dalt, Padova Mario De Curtis, Roma Gianantonio Manzoni, Milano Maurizio de Martino, Firenze Pasquale Di Pietro, Genova Alberto Edefonti, Milano Ciro Esposito, Napoli Carlo Gelmetti, Milano Giuseppe Maggiore, Pisa Bruno Marino, Roma Eugenio Mercuri, Roma Paolo Paolucci, Modena Daria Riva, Milano Martino Ruggieri, Catania Franca Rusconi, Firenze Francesca Santamaria, Napoli Luigi Titomanlio, Parigi Pietro Vajro, Salerno Massimo Zeviani, Cambridge, UK Gianvincenzo Zuccotti, Milano Redazione Scientifica Roberto Della Casa (Redattore Capo) Simona Fecarotta Iris Scala Redazione Editoriale Valentina Bàrberi Tel. 050 3130243 [email protected] Amministrazione Pacini Editore S.p.A. Via Gherardesca, 1 56121 Pisa Tel. 050 313011 - Fax 050 3130300 [email protected] Stampa Industrie Grafiche Pacini, Pisa Abbonamenti Prospettive in Pediatria è una rivista trimestrale. I prezzi dell’abbonamento annuo sono i seguenti: PREZZO SPECIALE RISERVATO A SOCI SIP: € 20,00. Contattare: fax +39 02 45498199 E-mail: [email protected] Italia € 60,00; estero € 70,00; istituzionale € 60,00; specializzandi € 35,00; fascicolo singolo € 30,00 Le richieste di abbonamento vanno indirizzate a: Prospettive in Pediatria, Pacini Editore S.p.A., Via Gherardesca 1, 56121 Pisa – tel. +39 050 313011 – fax +39 050 3130300 – E-mail: [email protected] I dati relativi agli abbonati sono trattati nel rispetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. del 30 giugno 2003 n. 196 a mezzo di elaboratori elettronici ad opera di soggetti appositamente incaricati. I dati sono utilizzati dall’editore per la spedizione della presente pubblicazione. Ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. 196/2003, in qualsiasi momento è possibile consultare, modificare o cancellare i dati o opporsi al loro utilizzo scrivendo al Titolare del Trattamento: Pacini Editore S.p.A., Via Gherardesca 1, 56121 Pisa. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, E-mail: [email protected] e sito web: www.aidro.org. © Copyright by Pacini Editore S.p.A. Direttore Responsabile: Patrizia Alma Pacini Rivista stampata su carta TCF (Total Chlorine Free) e verniciata idro. Vol. 44 • N. 175 Luglio-Settembre 2014 INDICE numero 175 Luglio-Settembre 2014 Reumatologia PEDIATRICA (a cura di Alberto Martini) Presentazione Reumatologia pediatrica: le novità degli ultimi anni Clara Malattia, Alberto Martini.............................................................................................................................................................. 140 La sclerodermia in età pediatrica: aspetti clinici e novità terapeutiche Francesco Zulian, Roberta Culpo, Giorgia Martini................................................................................................................................. 145 Osteoporosi in età evolutiva: l’importanza di giocare in anticipo Rolando Cimaz, Stefano Stagi.............................................................................................................................................................. 153 Cardiologia PEDIATRICA (a cura di Bruno Marino) Presentazione News and updates in Cardiologia Pediatrica: revisione della letteratura dal 2008 al 2013 Silvia Chiapedi, Savina Mannarino, Gianfranco Butera......................................................................................................................... 162 Le basi genetiche delle cardiopatie congenite M. Cristina Digilio, Lucia Martina Silvestri, Bruno Dallapiccola, Bruno Marino..................................................................................... 173 Idoneità fisica-sportiva in adolescenti con cardiopatie congenite Berardo Sarubbi.................................................................................................................................................................................... 187 Frontiere (a cura di Andrea Biondi, Achille Iolascon, Luigi D. Notarangelo, Massimo Zeviani) Editoriale. La genetica del gusto: uno scenario straordinario ancora da esplorare nel bambino Luigi Greco............................................................................................................................................................................................ 195 La genetica del gusto Antonietta Robino, Nicola Pirastu, Paolo Gasparini............................................................................................................................... 197 FOCUS La farmacovigilanza in età pediatrica Carmen D’Amore, Francesca Menniti-Ippolito, Giuseppe Traversa ...................................................................................................... 203 Reumatologia pediatrica La sezione di Reumatologia pediatrica contiene tre articoli di aggiornamento, uno di carattere più generale sulle recenti novità in questa specialità e gli altri due focalizzati su entità nosologiche ancora poco conosciute dalla comunità pediatrica. Il primo articolo riassume i progressi più significativi che si sono avuti negli ultimi anni nella diagnosi e nel trattamento delle malattie reumatiche infantili. Gli studi clinici controllati con farmaci biologici stanno progressivamente cambiando la prognosi dell’artrite idiopatica giovanile (AIG) nome sotto il quale viene raggruppato l’eterogeneo gruppo di artriti croniche che si osservano in età pediatrica e che hanno rappresentato fino a pochi anni fa una delle cause principali di disabilità acquisita in età pediatrica. In particolare due recenti studi controllati hanno dimostrato l’efficacia spettacolare di due farmaci: il canakinumab (anticorpo monoclonale contro l’interleuchina 1) e il tocilizumab (anticorpo monoclonale contro il recettore di interleuchina 6) nel trattamento dell’AIG sistemica. Nella maggioranza dei pazienti è stato possibile controllare i sintomi e sospendere la terapia steroidea. Sono risultati che cambieranno radicalmente l’approccio terapeutico e, si spera, anche la prognosi a lungo termine di questa malattia. Un altro settore in cui vi sono molte novità è quello delle malattie auto infiammatorie, malattie monogeniche in cui la mutazione genica causa una risposta infiammatoria incontrollata. L’individuazione di queste malattie e delle anomalie genetiche che le determinano sta anche cambiando in maniera radicale la nostra comprensione della patogenesi di molte, assai più comuni, malattie infiammatorie croniche. Un esempio recente è la dimostrazione che la mutazione del gene della adenosina deaminasi 2 causa un quadro clinico sovrapponibile a quello della panarterite nodosa. Il secondo articolo riguarda la sclerodermia, un’entità morbosa potenzialmente grave e probabilmente non sufficientemente conosciuta in età pediatrica. Ne esistono due forme. La forma localizzata, limitata alla cute, si manifesta come lesioni fibrotiche che coinvolgono la cute e che possono estendersi ai tessuti sottostanti e causare deformità anche importanti. La forma sistemica è invece una malattia generalizzata, caratterizzata da ispessimento e indurimento simmetrico della cute, associato a fibrosi degli organi interni, come polmoni, esofago e intestino. La prognosi è spesso severa e non esiste ancora una terapia provatamente efficace. Il terzo articolo riguarda l’osteoporosi, patologia considerata tipica della popolazione adulto-anziana, ma che spesso trova le sue premesse in un’insufficiente calcificazione dello scheletro nell’età dello sviluppo. Negli anni recenti si è avuta una maggiore consapevolezza del rischio d’osteoporosi in quei bambini che presentano mutazioni genetiche capaci di alterare le normali fasi del metabolismo osseo (osteoporosi primitiva) o che sono affetti da patologie croniche o che utilizzano farmaci capaci di interferire con il normale sviluppo osseo (osteoporosi secondaria). La cronica e progressiva perdita di massa ossea in questi bambini, se non precocemente trattata, impedisce il raggiungimento del picco di massa ossea al termine della pubertà, con un alto rischio di osteoporosi in età adulta; inoltre nelle forme più severe, già in età pediatrica si ha un’elevata incidenza di fratture da fragilità a carico del rachide e in misura minore degli altri segmenti scheletrici. Alberto Martini Pediatria 2 Reumatologia, Istituto G. Gaslini, Genova 139 Luglio-Settembre 2014 • Vol. 44 • N. 175 • Pp. 140-144 reumatologia pediatrica Reumatologia pediatrica: le novità degli ultimi anni Clara Malattia, Alberto Martini Dipartimento di Pediatria, Università di Genova e Istituto G. Gaslini, Genova Riassunto I progressi più rilevanti degli ultimi anni in reumatologia pediatrica hanno riguardato la scoperta di nuove indicazioni per il trattamento con farmaci biologici e l’identificazione di nuove malattie autoinfiammatorie. In particolare i farmaci diretti contro interleuchina(IL)-6 e IL-1 si sono rivelati molto efficaci nel trattamento della artrite idiopatica giovanile (AIG) sistemica, mentre l’inibizione di IL-6 si è rivelata anche efficace nell’AIG poliarticolare. Nell’ambito delle nuove malattie autoinfiammatorie particolarmente interessante è il deficit di adenosin deaminasi, le cui manifestazioni cliniche simulano un quadro di panarterite nodosa. Summary The most relevant progresses in paediatric rheumatology have concerned new indications for biological therapies and the discovery of new autoinflammatory diseases. Interleukin(IL)-6 and IL-1 blockers in particular have been shown to be very effective in the treatment of systemic juvenile idiopathic arthritis (JIA) while IL-6 inhibition has also shown to be effective in polyarticular JIA. Among the new discovered autoinflammatory diseases particularly interesting is the deficit of adenosin deaminase 2 which simulates a clinical picture of panarteritis nodosa. Metodologia della ricerca bibliografica La ricerca degli articoli rilevanti per preparare questa review è stata effettuata mediante ricerca bibliografica su Medline utilizzando come motore di ricerca PubMed e come parole chiave “Juvenile idiopathic arthritis”, “Autoinflammatory diseases”, “biological therapies”. Sono state scelte le citazioni più rilevanti alla presente pubblicazione. Introduzione I progressi in reumatologia pediatrica negli ultimi anni hanno riguardato due campi principali: la terapia con farmaci biologici e la scoperta di nuove malattie autoinfiammatorie. Farmaci biologici La possibilità di inibire selettivamente singole molecole o popolazioni cellulari ha considerevolmente migliorato l’efficacia della terapia in particolare nell’artrite idiopatica giovanile (AIG). Ha d’altra parte anche fornito un utile strumento di ricerca translazionale “inversa” (dal letto del malato al laboratorio), poiché l’osservazione occasionale dell’efficacia dell’inibizione di una molecola in una determinata malattia fornisce precise indicazioni sul suo ruolo patogenetico e rimanda al laboratorio per la comprensione dei meccanismi. Artrite idiopatica giovanile L’artrite idiopatica giovanile (AIG) non è una malattia, ma una diagnosi di esclusione che comprende tutte le artriti croniche di causa sconosciuta ad insorgenza in età pediatrica (Prakken et al., 2011). Negli ultimi anni importanti progressi sono stati ottenuti nella terapia dell’AIG sistemica e dell’AIG poliarticolare. Artrite idiopatica giovanile sistemica 140 L’AIG sistemica è malattia ben distinta dalle altre forme di AIG e caratterizzata da una importante attivazione dell’immunità innata, per cui viene considerata una malattia con una forte componente autoinfiammatoria. La sua terapia è stata rivoluzionata negli ultimi anni. Fino a pochi anni fa il solo farmaco efficace era il prednisone, ma la necessità di utilizzare spesso dosi alte e per prolungati periodi di tempo aggiungeva, ai danni della malattia, gli effetti collaterali degli steroidi. Inoltre il methotrexate ed i farmaci anti-tumor necrosis factor (TNF), molto efficaci nelle altre forme di AIG, si sono rivelati di impatto terapeutico assai minore nell’AIG sistemica. Negli anni ’90 studi effettuati nella clinica pediatrica dell’Università di Pavia avevano fatto ipotizzare un ruolo maggiore di interleuchina-6 nella patogenesi della malattia (De Benedetti e Martini, 1998). Questa ipotesi fu confermata dieci anni dopo da uno studio giapponese (Yokota et al., 2008) con Tocilizumab, un anticorpo monoclonale chimerico diretto contro il recettore di IL-6, necessario quest’ultimo perché la citochina esplichi la sua funzione. Più di recente un secondo studio controllato con Tocilizumab (De Benedetti et al., 2012) su di una popolazione di pazienti con malattia particolarmente severa ha confermato la grande efficacia di questo trattamento nella vasta maggioranza dei pazienti. Gli studi di laboratorio non avevano viceversa evidenziato un ruolo maggiore per interleuchina-1 (IL-1) che fu invece suggerito, aneddoticamente e con un meccanismo di ricerca translazionale inversa, dall’efficacia di Anakinra (Pascual et al., 2005), una versione ricombinante dell’antagonista recettoriale di IL-1 e quindi un inibitore naturale di IL-1. Il ruolo patogenetico di IL-1 non è in contrasto con quello di IL-6 poiché la secrezione delle due citochine presenta importanti reciproche connessioni. Fu in seguito osservato (Gattorno et al., 2008) come il trattamento con inibitori di IL-1 distingua, nell’ambito della AIG sistemica, due differenti gruppi di pazienti: 1) uno che risponde in maniera spettacolare con normalizzazione completa dei sintomi e degli indici di flogosi nello spazio di pochi giorni; 2) un Reumatologia pediatrica: le novità degli ultimi anni secondo gruppo che non risponde o risponde in maniera parziale. Il fattore che meglio discrimina queste due popolazioni è il numero delle articolazioni interessate. Minore è il numero delle articolazioni affette, maggiore è la probabilità di avere una risposta completa ad anakinra. In altri termini, minore è la componente autoimmunitaria, maggiore è la probabilità che l’inibizione di IL-1 sia in grado di indurre una rapida remissione. È verosimile che la forma con totale risposta ad Anakinra sia una entità distinta ed abbia una patogenesi puramente auto infiammatoria. È stato in seguito sviluppato un anticorpo monoclonale interamente umano diretto contro IL-1 (Canakinumab). Una volta identificata la dose ottimale (Ruperto et al., 2012), Canakinumab è stato studiato in uno trial controllato in pazienti con AIG sistemica (Ruperto et al., 2012) confermando gli ottimi risultati ottenuti con Anakinra. Si è in particolare confermato anche con l’impiego di Canakinumab l’esistenza di una consistente popolazione di pazienti squisitamente sensibile all’inibizione di IL-1 e che raggiunge molto rapidamente una remissione completa dopo una singola iniezione di anticorpo. L’introduzione in terapia di Tocilizumab e di Canakinumab ha radicalmente cambiato l’approccio terapeutico all’AIG sistemica, malattia per il trattamento della quale entrambi i farmaci sono stati registrati. Nelle forme di AIG sistemica che appaiono fin dall’inizio corticodipendenti, in quelle cioè in cui i sintomi ricompaiono quando si scala o si interrompe il deltacortene, si fa oggi un primo tentativo con Anakinra, farmaco che non è ancora registrato per l’uso nell’AIG sistemica ma che, grazie alla sua breve emivita (è necessario somministrarlo giornalmente) è molto maneggevole. Se i pazienti hanno una risposta spettacolare si prosegue allora con Anakinra o si introduce Canakinumab. Se la malattia si rivela resistente all’inibizione di IL-1, si passa allora a Tocilizumab. Con questo approccio si riescono oggi a controllare i sintomi nella maggior parte dei malati e a ridurre o sospendere gli steroidi, limitandone così grandemente gli effetti collaterali. La tollerabilità di Tocilizumab e Canakinumab si è rivelata buona negli studi controllati, ma occorrerà attendere il loro impiego in una larga popolazione di pazienti prima di potere trarre conclusioni definitive circa la loro sicurezza. Alcuni autori hanno suggerito che un trattamento iniziale con inibitori di IL-1 possa prevenire il manifestarsi di una artrite resistente alla terapia nelle fasi successive (Vastert et al., 2014). L’evidenza in questo senso è tuttavia debole e sarebbe necessario avviare uno studio controllato per verificare questa ipotesi. Artrite idiopatica giovanile poliarticolare Di recente è stato pubblicato uno studio controllato con Tocilizumab in pazienti con AIG poliarticolare che non avevano risposto in maniera soddisfacente al MTX (Brunner, 2014). I risultati sono stati molto soddisfacenti ed il farmaco è stato registrato con questa indicazione. Analogamente a quanto avviene per l’artrite reumatoide dell’adulto, le opzioni terapeutiche delle forme di AIG poliarticolari con inadeguata risposta al MTX comprendono quindi oggi, oltre ai farmaci anti-TNF (Etanercept e Adalimumab) e all’Abatacept (un inibitore dell’attivazione linfocitaria), anche il Tocilizumab Altre malattie Negli ultimi anni risultati positivi con l’impiego di farmaci biologici sono stati ottenuti anche in alcune altre malattie reumatiche. Lupus eritematoso sistemico Nella patogenesi del lupus eritematoso sistemico (LES), prototipo delle malattie autoimmuni sistemiche, si ritiene che i linfociti B giochino un ruolo centrale. Belimumab è stato il primo biologico sviluppato per il trattamento del LES ad essere stato approvato dalle autorità regolatorie. È un anticorpo monoclonale interamente umano diretto contro BLyS (B-lymphocyte simulator), una citochina capace di promuovere la proliferazione delle cellule B e la produzione di immunoglobuline. La sua efficacia è stata dimostrata in uno studio su 867 pazienti adulti con un LES di moderata gravità (Navarra et al., 2011). Resta ancora da stabilire quanto sia efficace nel trattamento delle forme più severe di LES (nefrite, interessamento del sistema nervoso centrale). Uno studio controllato in pazienti pediatrici è in fase iniziale. Vasculiti necrotizzanti Alcune severe vasculiti necrotizzanti, di rara osservazione in età pediatrica, sono associate alla presenza di anticorpi diretti contro il citoplasma dei neutrofili (ANCA). Comprendono la granulomatosi con poliangite (granulomatosi di Wegener), la poliangite microscopica e la malattia di Churg-Strauss. La loro terapia si basa sull’associazione di steroidi e ciclofosfamide. Il Rituximab è un anticorpo monoclonale chimerico diretto contro la molecola CD20, espressa sulla superficie dei linfociti B. Nel 2010 due studi randomizzati (Jones et al., 2010, Stone et al., 2010) in pazienti con vasculiti associate alla presenza di ANCA dimostrarono come a 6 e a 12 mesi il Rituximab fosse equivalente, in termini di efficacia e di sicurezza, alla ciclofosfamide. Non esistono studi in età pediatrica. Il trattamento con Rituximab deve comunque essere seriamente considerato nei pazienti in ricaduta che abbiano già effettuato un trattamento con ciclofosfamide. Pericarditi ricorrenti Pericarditi ricorrenti si possono osservare in varie malattie reumatiche, nella febbre familiare mediterranea, in corso di infezioni. Tuttavia più spesso l’eziologia sia del primo attacco che di quelli successivi rimane sconosciuta. In uno studio non controllato (Picco et al., 2009) la somministrazione diAnakinra ha indotto una risposta terapeutica prontissima e persistente (in presenza di una continua somministrazione del farmaco). La spettacolarità della risposta terapeutica all’inibizione di IL-1 suggerisce che le pericarditi ricorrenti rappresentino delle malattie autoinfiammatorie. Il farmaco è indicato nelle forme corticodipendenti e resistenti alla colchicina (Finetti et al., 2014). Malattie autoinfiammatorie Le malattie autoinfiammatorie costituiscono un nuovo, affascinante capitolo della medicina. Si tratta di malattie monogeniche in cui il difetto genetico altera i meccanismi di controllo della risposta infiammatoria, interferendo con la normale regolazione dell’immunità innata. Un numero crescente di malattie auto infiammatorie è stato identificato negli ultimi venti anni (Tab. I) e la scoperta del difetto genetico sottostante ha permesso di identificare nuovi meccanismi del controllo della risposta della immunità innata (Gattorno e Martini 2013). Alcune malattie di recente identificazione e di particolare rilievo sono discusse qui di seguito. Deficit dell’antagonista recettoriale di IL-1 (DIRA) La produzione dell’antagonista recettoriale di IL-1 (IL-1Ra) è uno dei normali meccanismi di controllo dell’attività di IL-1. Agisce occupando il recettore cellulare di IL-1 (senza però trasmettere il segnale) rendendolo così indisponibile per l’interazione sia con IL-1_ e il 1_. La sua versione ricombinante (Anakinra) è un farmaco biologico usato per l’appunto per inibire IL-1. L’importanza di IL-1Ra nel controllo dell’attività di IL-1 è assai ben dimostrata 141 C. Malattia, A. Martini Tabella I. Principali malattie auto infiammatorie Malattia Trasmissione Gene Proteina Principali manifestazioni cliniche Febbre Familiare Mediterranea AR MEFV Pirina Breve durata degli episodi febbrili: 24-48 ore. Dolore addominale e toracico. Rash similerisipela. Alta incidenza di amiloidosi renale. Buona risposta alla Colchicina. Deficit di Mevalonato Chinasi AR MVK MVK Durata degli episodi febbrili: 4-5 giorni. Esordio nei primi anni di vita. Rash cutaneo, dolore addominale, vomito, diarrea e splenomegalia. Bassa incidenza di amiloidosi. Buona risposta agli steroidi. Sindrome associata al recettore del TNF AD TNFRSF1A TNFR1 Lunga durata degli episodi febbrili: 1-3 settimane. Edema periorbitale, mialgie, dolore scrotale, fascite monocitaria. Incidenza di amiloidosi renale 15-25%. Buona risposta all’inibizione di IL-1. FCAS (Familiar Cold Autoinflammatory Syndrome) AD NLRP3 Criopirina FCAS: Orticaria e febbre scatenate dall’esposizione al freddo, artrite, congiuntivite. MWS: Orticaria cronica, sordità neurosensoriale, amiloidosi. CINCA: Orticaria cronica, displasie ossee, ritardo intellettivo, meningite cronica, sordità neurosensoriale Tutte ottima risposta al blocco di IL-1. FCAS2 (Familiar Cold Autoinflammatory Syndrome type 2) AD NLRP12 NLPR12 Lesioni orticarioidi, artro-mialgie e febbre scatenati dal freddo. Possibile sordità neurosensoriale. Malattie Granulomatose Sindrome di Blau AD CARD15/ NOD2 CARD15 Esordio precoce (<5 anni). Poliartrite granulomatosa, uveite, rash cutaneo. Buona risposta al blocco di TNF. Deficit del proteasoma Sindrome autoinfiammazione, lipodistrofia e dermatosi AD PSMB8 PSMB8 Esordio nella prima decade. Episodi febbrili, panniculite, artralgia/artriti. Nella seconda decade: atrofia lipomuscolare e contratture articolari. Disordini piogenici PAPA (Pyogenic sterile Arthritis, Pyoderma gangrenosum and Acne) AD PSTPIP1 PSTPIP1 Artrite asettica piogenica, pioderma gangrenoso ed acne cistica. Aneddotica risposta al blocco del IL-1 e TNF. Sindrome di Majeed AR LPIN2 LPIN2 Osteomielite multifocale, anemia congenita diseritropoietica e dermatosi neutrofilica. DIRA (Deficiency of IL-1 Receptor Antagonist) AR IL1RN IL1Ra Osteomielite multifocale a esordio neonatale, periostite e pustolosi asettica. Incremento degli indici di flogosi. Risposta ottima all’Anakinra. DITRA (Deficiency of IL-36 Receptor Antagonist) AD IL36RN IL36Ra Ripetuti episodi di febbre, rash generalizzato eritematoso e pustolare e malessere generale. Deficit di adenosin deaminasi 2 (DADA2) AR CECR1 ADA2 Esordio precoce, febbre ricorrente con livedo reticularis, strokes cerebrali, Quadro clinico e istologico compatibile con poliarterite nodosa. Febbri periodiche Sindromi associate a NLRP Sindrome di Muckle-Wells CINCA (Chronic Infantile Neurological Cutaneous and Articular syndrome) Deficit di adenosina deaminasi2 dal fatto che la mancanza di IL-1Ra, secondaria a mutazioni del gene, causa una malattia molto grave e potenzialmente mortale (Aksentijevich et al., 2009, Reddy et al., 2009). L’esordio è neonatale e caratterizzato principalmente, oltre che da una marcata elevazione degli indici di flogosi, da pustolosi asettica, periostite e osteomielite asettica multifocale. La malattia risponde in maniera spettacolare alla somministrazione di Anakinra che rappresenta in questo caso un vero farmaco salvavita. 142 Deficit dell’antagonista recettoriale di IL-36 (DITRA) Si tratta di una malattia a patogenesi simile alla precedente e che sottolinea anch’essa l’importanza dell’integrità dei meccanismi di controllo dell’immunità innata. Tre citochine pro infiammatorie (IL36α, IL-36β and IL-36γ), appartenenti alla famiglia di IL-1 ed espresse con maggiore abbondanza a livello cutaneo, esercitano la loro azione attraverso un comune recettore. Anche per questo recettore, come per quello di IL-1, esiste un antagonista recettoriale (IL-36Ra) Reumatologia pediatrica: le novità degli ultimi anni naturale. Mutazioni che causano una carenza di IL-36Ra causano una grave malattia ad espressione prevalentemente cutanea e conosciuta come psoriasi pustolosa generalizzata (Marrakchi et al., 2011). In fase di acuzie la malattia si caratterizza per una eruzione cutanea eritematosa e pustolosa associate a febbre elevata e importante aumento degli indici di flogosi. Nella maggioranza dei pazienti la malattia esordisce in età pediatrica anche se ampie variazioni nell’età d’esordio sono state osservate. Non esiste al momento una terapia efficace. Sindrome autoinfiammazione, lipodistrofia e dermatosi (ALDD) Questa malattia è stata descritta con vari eponimi “joint contractures, muscle atrophy, microcytic anaemia and panniculitis-induced childhood-onset lipodystrophy (JMP), Nakajo-Nishimura syndrome, chronic atypical neutrophilic dermatosis with lipodystrophy and elevated temperature (CANDLE disease)”. Esordisce in genere nella prima decade di vita ed è caratterizzata da febbre elevata, artrite, dattilite, panniculite, progressivo sviluppo di lipoatrofia e contratture articolari, ritardato sviluppo somatico e mentale. L’aspettativa di vita è considerevolmente ridotta. La mutazione responsabile della malattia riguarda una componente dell’immunoproteasoma, una proteina denominata PSMB8 (proteasome subunit beta type 8) (Agarwal et al., 2010). L’immunoproteasoma è una proteasi composta di varie subunità che collabora con il sistema dell’ubiquitina nella degradazione delle proteine non-lisosomiali dopo attivazione con stimoli pro-infiammatori come l’interferone. La mutazione causa un difetto di attività che porta ad un accumulo di proteine ubiquitinate che a loro volta stimolano vari meccanismi pro-infiammatori. Non esiste a tutt’oggi una terapia efficace. Questa malattia è un esempio di come l’identificazione dei geni responsabili delle malattie autoinfiammatorie possa portare alla scoperta di nuovi, importanti meccanismi del controllo del processo infiammatorio. Deficit di adenosin deaminasi 2 (DADA2) La poliarterite nodosa (PAN), malattia severa caratterizzata da infiammazione dei vasi di medio calibro con necrosi fibrinoide, è una grave vasculite per cui è stata ipotizzata una patogenesi immunomediata. Di grande rilievo è stata perciò l’osservazione (Zhou et al., 2014, Navon Elkan et al., 2014) che un quadro del tutto simile alla PAN è indotto da mutazioni del gene dell’adenosin deaminasi 2. Il quadro clinico più comune è quello di una febbre ricorrente con livedo reticularis e ricorrenti emorragie cerebrali (strokes lacunari). I reperti bioptici mostrano spesso un quadro classico di PAN. La mutazione è particolarmente frequente negli ebrei di origine georgiana dove è stata osservata un’ampia variazione nell’età di esordio e nella severità della sintomatologia che varia da casi rapidamente fatali con stroke multipli ad insorgenza nel primo anno di vita a manifestazioni cutanee limitate in età adulta matura. È quindi possibile che la cosiddetta sindrome di Sneddon, descritta soprattutto negli adulti e caratterizzata da livedo reticularis, stroke e, in alcuni pazienti, anticorpi anti-fosfolipidi, possa essere anch’essa dovuta a mutazioni di ADA2. è noto come il deficit di ADA1 sia responsabile di una severa immunodeficienza dovuta all’accumulo intracellulare di nucleotidi. ADA2 ha somiglianze strutturali con ADA1 ma un’affinità per l’adenosina cento volte inferiore e non causa accumulo di adenosina o desossiadenosina. In alcuni pazienti con DADA2 è stata descritta una modesta immunodeficienza a carico principalmente dei linfociti B. La mutazione si accompagna a livelli bassi di ADA2 o alla perdita dell’attività enzimatica. ADA2 è responsabile della degradazione extracellulare di adenosina e sembra rappresentare un fattore di crescita per lo sviluppo e la differenziazione di leucociti ed endotelio e svolgere un ruolo nel mantenere l’integrità delle cellule endoteliali (anche se non è espressa a livello endoteliale). Un aspetto molto rilevante, vista la gravità della malattia, che viene riferito in un lavoro (Navon Elkan et al., 2014) ed è corroborato dalla nostra personale esperienza su 4 pazienti, è la spettacolare efficacia del trattamento con farmaci anti-TNF, che induce non solo una rapida remissione della febbre e della livedo con normalizzazione dei parametri di flogosi ma anche previene l’insorgenza di stroke cerebrali. Conclusioni L’impiego dei farmaci biologici e la scoperta di nuove malattie auto-infiammatorie hanno continuato a costituire anche negli ultimi anni le novità più rilevanti in ambito reumatologico. Ormai anche nell’AIG, compresa più di recente l’AIG sistemica, si dispone di una vasta gamma di biologici molto efficaci e che verosimilmente cambieranno in maniera radicale la prognosi a lungo termine di questa condizione. D’altra parte l’identificazione di nuove malattie autoinfiammatorie ha permesso anche di scoprire nuovi meccanismi importanti di controllo della risposta infiammatoria. È verosimile, e il deficit di ADA2 ne è esempio tangibile, che queste scoperte cambieranno nei prossimi anni in maniera radicale la nostra interpretazione della patogenesi di molte malattie infiammatorie croniche. Box di orientamento Cosa sapevamo prima Sapevamo che i farmaci biologici possono avere un ruolo maggiore nel trattamento dell’artrite idiopatica giovanile e che la scoperta dei geni responsabili di malattie auto infiammatorie può aprire nuove prospettive nell’interpretazione dei processi infiammatori. Cosa sappiamo adesso Oggi sappiamo che l’inibizione di IL-1 e IL-6 è molto efficace nel trattamento dell’artrite idiopatica giovanile sistemica e che malattie autoinfiammatorie possono simulare quadri di vasculite, come quello di una panarterite nodosa. Quali ricadute sulla pratica clinica Il trattamento dell’artrite idiopatica giovanile sistemica è stato rivoluzionato dalle nuove terapie, mentre la scoperta di nuove malattie autoinfiammatorie, al di là della definizione di nuove entità, ha anche aperto nuove prospettive nell’interpretazione della patogenesi di malattie infiammatorie croniche più comuni. 143 C. Malattia, A. Martini Bibliografia Agarwal AK, Xing C, Demartino GN, et al. PSMB8 encoding the beta5i proteasome subunit is mutated in joint contractures, muscle atrophy, microcytic anemia, and panniculitis-induced lipodystrophy syndrome. Am J Hum Genet 2010;87:866-72. ** Dimostrazione che mutazioni nel gene di una componente dell’immunoproteasoma causano una malattia autoinfiammatoria. Aksentijevich I, Masters SL, Ferguson PJ, et al. An autoinflammatory disease with deficiency of the interleukin-1-receptor antagonist. N Engl J Med 2009;360:2426-37. ** Uno dei due articoli che hanno descritto il difetto di IL-Ra. Brunner HI, Ruperto N, Zuber Z, et al. Efficacy and safety of tocilizumab in patients with polyarticular-course juvenile idiopathic arthritis: results from a phase 3, randomised, double-blind withdrawal trial. Ann Rheum Dis 2014 May 16 [Epub ahead of print]. De Benedetti F, Martini A. Is systemic juvenile rheumatoid arthritis an interleukin 6 mediated disease? J Rheumatol 1998;25:203-7. De Benedetti F, Brunner HI, Ruperto N, et al. Randomized trial of tocilizumab in systemic juvenile idiopathic arthritis. N Engl J Med 2012;367:2385-95. ** Dimostrazione dell’efficacia di tocilizumab nell’AIG sistemica. Finetti M, Insalaco A, Cantarini L, et al. Long-term efficacy of interleukin-1 receptor antagonist (anakinra) in corticosteroid-dependent and colchicine-resistant recurrent pericarditis. J Pediatr 2014;164:1425-31. Gattorno M, Piccini A, Lasigliè D, et al. The pattern of response to anti-interleukin-1 treatment distinguishes two subsets of patients with systemic-onset juvenile idiopathic arthritis. Arthritis Rheum 2008;58:1505-15. Gattorno M, Martini A. Beyond the NLRP3 inflammasome: autoinflammatory diseases reach adolescence. Arthritis Rheum 2013;65:1137-47. Jones RB, Tervaert JW, Hauser T, et al. Rituximab versus cyclophosphamide in ANCA-associated renal vasculitis. N Engl J Med 2010;363:211-20. Marrakchi S, Guigue P, Renshaw BR, et al. Interleukin-36-receptor antagonist deficiency and generalized pustular psoriasis. N Engl J Med 2011;365:620-8. ** Dimostrazione che la psoriasi pustolosa generalizzata è dovuta a mutazioni del gene dell’IL-36Ra. Navarra SV, Guzman RM, Gallacher AE, et al. Efficacy and safety of belimumab in patients with active systemic lupus erythematosus: a randomized, placebo controlled, phase 3 trial. Lancet 2011;377:721-31. Navon Elkan P, Pierce SB, Segel R, et al. Mutant adenosine deaminase 2 in a polyarteritis nodosa vasculopathy. N Engl J Med 2014;370:921-31. ** Mutazioni di ADA2 inducono una vasculopatia severa simile alla panarterite nodosa. Pascual V, Allantaz F, Arce E, et al. Role of interleukin-1 (IL-1) in the pathogenesis of systemic onset juvenile idiopathic arthritis and clinical response to IL-1 blockade. J Exp Med 2005;201:1479-86. Picco P, Brisca G, Traverso F, et al. Successful treatment of idiopathic recurrent pericarditis in children with interleukin-1beta receptor antagonist (anakinra): an unrecognized autoinflammatory disease? Arthritis Rheum 2009;60:264-8. Prakken B, Albani S, Martini A. Juvenile idiopathic arthritis. Lancet 2011;377:2138-49. Reddy S, Jia S, Geoffrey R, Lorier R, et al. An autoinflammatory disease due to homozygous deletion of the IL1RN locus. N Engl J Med 2009;360:2438-44. ** Uno dei due articoli che hanno descritto il difetto di IL-Ra. Ruperto N, Quartier P, Wulffraat N, et al. A phase II, multicenter, open-label study evaluating dosing and preliminary safety and efficacy of canakinumab in systemic juvenile idiopathic arthritis with active systemic features. Arthritis Rheum 2012;64:557-67. Ruperto N, Brunner HI, Quartier P, et al. Two randomized trials of canakinumab in systemic juvenile idiopathic arthritis. N Engl J Med 2012;367:2396-406. ** Dimostrazione dell’efficacia di canakinumab nell’AIG sistemica. Stone JH, Merkel PA, Spiera R, et al. Rituximab versus cyclophosphamide for ANCA-associated vasculitis. N Engl J Med 2010;363:221-32. Yokota S, Imagawa T, Mori M, et al. Efficacy and safety of tocilizumab in patients with systemic-onset juvenile idiopathic arthritis: a randomised, double-blind, placebo-controlled, withdrawal phase III trial. Lancet 2008;371:998-1006. Vastert SJ, de Jager W, Noordman BJ, et al. Effectiveness of first-line treatment with recombinant interleukin-1 receptor antagonist in steroid-naive patients with new-onset systemic juvenile idiopathic arthritis: results of a prospective cohort study. Arthritis Rheumatol 2014;66:1034-43. Zhou Q, Yang D, Ombrello AK, et al. Early-onset stroke and vasculopathy associated with mutations in ADA2. N Engl J Med 2014;370:911-20. **Mutazioni di ADA2 inducono una vasculopatia severa simile alla panarterite nodosa. Corrispondenza Alberto Martini, Pediatria 2 Reumatologia, Istituto G. Gaslini 16147 Genova. E-mail: [email protected] 144 Luglio-Settembre 2014 • Vol. 44 • N. 175 • Pp. 145-152 reumatologia pediatrica La sclerodermia in età pediatrica: aspetti clinici e novità terapeutiche Francesco Zulian, Roberta Culpo, Giorgia Martini Dipartimento di Pediatria, Università di Padova Riassunto La Sclerodermia Giovanile comprende un gruppo di condizioni che determinano abnorme fibrosi, sono per lo più croniche e su base autoimmune e colpiscono principalmente la cute, ma anche articolazioni, vasi sanguigni e organi interni. Ne esistono due forme: la Sclerosi Sistemica (SS), che colpisce cute e organi interni, e la Sclerodermia Localizzata (SL), conosciuta anche con il termine “morfea”, che è limitata alla cute. In età pediatrica la Sclerodermia Localizzata è più frequente rispetto alla forma sistemica e si manifesta come lesioni costituite da tessuto fibrotico che coinvolgono la cute e, estendendosi al tessuto sottocutaneo, arrivano a quadri più gravi che possono causare deformità con conseguenze funzionali ed estetiche. La classificazione attualmente più accreditata suddivide la SL in cinque sottotipi: morfea circoscritta o a placche, nelle sue varianti superficiale e profonda, sclerodermia lineare, morfea generalizzata, morfea pansclerotica e forme miste. Il trattamento con metotrexate a basse dosi rappresenta la scelta terapeutica più efficace per la maggior parte di queste forme. La Sclerosi Sistemica è una malattia sistemica cronica del tessuto connettivo. È caratterizzata da ispessimento e indurimento della cute, associato a fibrosi di organi interni come esofago, intestino, cuore, polmoni e reni, e ad artrite e miosite. L’esordio in età pediatrica è molto raro e consiste nel fenomeno di Raynaud e nell’indurimento cutaneo. Non esiste al momento attuale una terapia sicuramente efficace per questa forma che tuttavia, rispetto alle forme dell’età adulta, presenta una prognosi più favorevole. Summary Juvenile Scleroderma includes a group of chronic conditions that cause abnormal fibrosis and involve not only the skin but also the joints and internal organs. They essentially include two varieties, Juvenile Localized Scleroderma (JLS) and Juvenile Systemic Sclerosis (JSS). Juvenile localized scleroderma, also known as morphea, is the more frequent subtype of scleroderma in childhood. It comprises a group of distinct conditions which involve the skin and subcutaneous tissues. They range from very small plaques of fibrosis involving only the skin, to diseases which may cause significant functional and cosmetic deformity. According to the more recent classification we recognize five main subtypes: circumscrobed morphea, linear scleroderma, generalized morphea, pansclerotic morphea and the mixed variety. Methotrexate represents the treatment of choice for the more aggressive subtypes. Juvenile systemic sclerosis is quite rare and involves both skin and internal organs. Up to now, no treatment showed a proven efficacy. Unlike adults, children with JSS show a significantly less frequent involvement of the internal organs and a slightly better outcome as far as mortality and morbidity. Metodologia della ricerca bibliografica La ricerca degli articoli rilevanti degli ultimi 5 anni è stata effettuata sul motore di ricerca PubMed, utilizzando le parole chiave: “neonate OR children OR adolescent AND scleroderma, scleroderma AND morphea AND therapy, scleroderma AND morphea AND outcome”. Sono stati inclusi solo gli articoli in lingua inglese. molteplici condizioni che coinvolgono variamente la pelle e il tessuto sottocutaneo. Sebbene i processi patogenetici conducano allo stesso tipo di danno tessutale e vi siano similitudini o sovrapposizioni in alcune caratteristiche cliniche, è molto probabile che all’interno di questo sottogruppo l’eziologia di alcune forme sia differente. Infatti, alcuni tipi di SL sono relativamente miti e autolimitanti, altri sono estesi, severi e difficili da controllare. Introduzione Epidemiologia Con il termine Sclerodermia Giovanile si comprendono condizioni cliniche diverse, il cui elemento comune è la presenza di un indurimento cutaneo. La Sclerodermia, sia in età pediatrica che in età adulta, si suddivide in due forme: la Sclerodermia Localizzata (SL) e la Sclerosi Sistemica (SS). La forma localizzata, in cui il processo patologico è prevalentemente limitato alla cute e ai tessuti sottostanti, è la più frequente in età pediatrica, mentre la forma sistemica, caratterizzata da interessamento di organi interni, è più rara. Sebbene la SL sia una malattia rara, in età pediatrica è molto più comune della SS, con un rapporto di almeno 10:1. È stata riportata un’incidenza di 1 caso su 100.000 soggetti di età <18 anni ed una prevalenza di circa 50 casi/100.000 soggetti < 18 anni (Peterson LS, et al. 1997) Un pediatra ha quindi la possibilità di vedere, nel corso della sua carriera, almeno 1-2 casi di SL. Come in molte altre malattie del tessuto connettivo, la SL è nettamente prevalente nel sesso femminile con un rapporto F:M pari a 2-3:1. Per quanto riguarda la frequenza dei singoli sottotipi, la forma lineare risulta di gran lunga la più frequente, interessando circa il 65% dei pazienti, seguita dalla morfea circoscritta (o a placche) (26%), dalla morfea generalizzata (7%) e dalla morfea profonda (2%) (Zulian F, et al. 2006). Sclerodermia localizzata La SL, è la forma più frequente in età pediatrica. Essa comprende 145 F. Zulian, R. Culpo, G. Martini Tabella I. Classificazione della sclerodermia localizzata giovanile (International Consensus Conference, Padova 2004) (da Laxer et al., 2006). TIPO PRINCIPALE Morfea circoscritta SOTTOTIPO DESCRIZIONE a. superficiale Aree circoscritte ovali o rotondeggianti di indurimento limitate all’epidermide e al derma, spesso con alterata pigmentazione ed alone eritematoso violaceo (lilac ring). Possono essere singole o multiple. b. profonda Aree circoscritte ovali o rotondeggianti di indurimento cutaneo profondo che interessa il tessuto sottocutaneo fino alla fascia e può coinvolgere il muscolo sottostante. Possono essere singole o multiple. a. tronco/arti Indurimento lineare che interessa il derma, il tessuto sottocutaneo e, a volte, il tessuto muscolare e l’osso sottostante a livello del tronco e/o degli arti. b. capo Variante En coup de sabre (ECDS). Indurimento lineare che coinvolge la parte superiore del volto e/o il cuoio capelluto e a volte anche il tessuto muscolare e l’osso sottostante. Variante Parry Romberg o Atrofia Emifacciale Progressiva. Perdita di tessuto che interessa un emivolto, può coinvolgere il derma, il tessuto sottocutaneo, il tessuto muscolare e l’osso. La cute sovrastante è mobile. Morfea generalizzata Indurimento cutaneo che inizia in placche singole (4 o più e di diametro maggiore di 3 cm) che diventano confluenti e interessano almeno 2 di sette siti anatomici (testa-collo, estremità superiore destra, estremità superiore sinistra, estremità inferiore destra, estremità inferiore sinistra, tronco anteriore, tronco posteriore). Morfea pansclerotica Interessamento circonferenziale di uno a più arti che coinvolge la cute, il tessuto sottocutaneo, il tessuto muscolare e l’osso. Le lesioni possono interessare altre aree, senza coinvolgimento degli organi interni. Morfea mista Combinazione di due o più dei precedenti sottotipi. L’ordine dei sottotipi concomitanti, specificato tra parentesi, segue la predominanza di rappresentazione nel singolo paziente [es. Mista (lineare-circoscritta)] Sclerodermia lineare Patogenesi L’eziologia e la patogenesi della SL non sono ben note. Studi anatomo-patologici, condotti su cute e sottocute di pazienti con SL, hanno dimostrato che nelle fasi iniziali sono presenti edema e ipervascolarizzazione, successivamente compaiono un abnorme deposito di collagene, perdita degli annessi cutanei e atrofia cutanea. Alcune evidenze clinico-laboratoristiche, quali l’alta prevalenza di anticorpi antinucleo e la presenza di infiltrato linfocitario alla biopsia, suggeriscono una genesi autoimmune. Tra le varie ipotesi trovano spazio inoltre alcuni agenti infettivi, quali il virus di Epstein-Barr o la Borrelia Burgdorferi, spirocheta responsabile della malattia di Lyme, o traumi accidentali. Una storia positiva per traumi recenti è stata infatti riportata in circa il 13% dei pazienti con SL (Zulian et al. 2006) ma il meccanismo con cui il trauma contribuisca a sviluppare la Sclerodermia non è ancora chiaro. Classificazione e manifestazioni cliniche Figura 1. Morfea circoscritta superficiale periombelicale. Nel tempo, varie classificazioni della SL sono state proposte. La più recente e probabilmente più utilizzata, introdotta da un gruppo internazionale di lavoro comprendente pediatri, dermatologi e reumatologi ed in fase di validazione, suddivide la SL in cinque sottotipi: morfea circoscritta, nelle sue varianti superficiale e profonda, sclerodermia lineare, morfea generalizzata, morfea pansclerotica e forme miste (Tab. I) (Laxer e Zulian, 2006). La morfea circoscritta superficiale (Fig. 1) si manifesta come chiazze di ispessimento ovali o tonde di diametro di almeno 1 centimetro che coinvolgono la cute e il tessuto sottocutaneo e sono più comunemente localizzate sul tronco. Generalmente le lesioni appaiono inizialmente come aree di indurimento della cute e del sottostante tessuto sottocutaneo con bordi eritematosi (lilac ring). Segue un progressivo processo di ipo- iperpigmentazione secondaria. In alcuni casi, con il passare del tempo, si osserva una spontanea riduzione dell’ispessimento cutaneo a livello delle lesioni. Nella morfea circoscritta profonda sono coinvolti in maniera predominante gli strati più profondi del derma; a volte la lesione interessa primariamente il tessuto sottocutaneo, risparmiando invece la cute. La sclerodermia lineare (Fig. 2) si manifesta come strie di ispessi- mento cutaneo che generalmente interessano in parte o tutto un arto, ma che possono manifestarsi anche sul tronco o sul volto. Queste lesioni solitamente iniziano con un aspetto infiammatorio di iperemia localizzata: la cute diventa in seguito sclerotica e si manifestano cambiamenti del suo aspetto superficiale con retrazioni o ipotrofia. Con il tempo la sclerosi interessa anche il derma sottostante e la lesione può assumere un aspetto perlaceo, a cui si associano perdita di annessi piliferi e ipoidrosi. Alterazioni della pigmentazione possono variare ampiamente con ipo e/o iperpigmentazione. Le lesioni lineari possono estendersi in modo variabile e, quando interessano strutture articolari, comportano un grave impatto funzionale. Il coinvolgimento del muscolo e delle ossa sottostanti nel processo sclerotico può condurre a un rallentamento o addirittura al blocco di crescita dell’arto colpito. La lesione lineare al volto è comunemente definita “en coup de sabre” (ECDS) (Fig. 3), per la sua somiglianza alla cicatrice che rimane dopo una ferita da colpo di sciabola sulla fronte e sul cuoio capelluto. Tale coinvolgimento che interessa la parte superiore del volto 146 Sclerodermia in età pediatrica Figura 2. Sclerodermia lineare dell’arto inferiore. Figura 3. Sclerodermia lineare del volto. può variare in modo considerevole da un lieve rientramento a una severa atrofia con avvallamento della teca cranica. Spesso si associano alopecia e perdita degli annessi oculari (ciglia, sopracciglia), o alterazioni dell’apparato stomatognatico. Nel 5-8% di questi casi si ha il coinvolgimento del sistema nervoso centrale con epilessia o calcificazioni intracraniche (Zulian et al., 2005). Sono stati inoltre documentati casi di uveite sia isolata che associata al coinvolgimento del SNC, con importanti sequele sulla funzione visiva (Zannin et al., 2007, Blaszczyk e Jablonska, 1999). In alcuni casi, la diffusa disseminazione delle lesioni sclerodermiche inizialmente circoscritte può essere così estesa da portare al quadro descritto come morfea generalizzata, definita dalla presenza di quattro o più lesioni > di 3 cm di diametro in più parti del corpo, che diventano confluenti e coinvolgono almeno due diverse aree corporee (Laxer et al., 2006) (Fig. 4). La morfea pansclerotica si presenta come un indurimento cutaneo diffuso non delimitato da contorno iperemico con coinvolgimento di ampie aree del corpo ed estensione in profondità di fasce e muscoli. Si tratta di una forma rara ma grave in quanto è rapidamente progressiva e invalidante con gravi contratture articolari, ulcere cutanee e occasionalmente fenomeni di autoamputazione (Diaz-Perez JL et al., 1980). Infine, nelle forme miste di SL due o più dei sottotipi precedenti coesistono nello stesso individuo; queste forme sono probabilmente più comuni di quanto si pensi. La SL e la SS sono da molti considerate due espressioni diverse di una stessa malattia. A favore di questa teoria è il fatto che circa un quarto di pazienti con SL può presentare, durante il decorso della malattia, uno o più manifestazioni extracutanee. In uno studio multicentrico internazionale, che ha interessato 750 bambini con SL, sono state riportate manifestazioni extra-cutanee nel 22% dei bambini e il 4% ne presentava più di una (Zulian et al., 2005). Il coinvolgimento articolare è la più frequente complicanza descritta, soprattutto in pazienti con lesione lineare. L’artrite rappresenta la complicanza più frequente (19%), seguita da manifestazioni neurologiche (4%), malattie autoimmuni e fenomeno di Raynaud (3%), malattie vascolari, interessamento oculare, gastrointestinale (2%) e respiratorio (1%). L’artrite può localizzarsi sia a livello di articolazioni coinvolte dalla lesione cutanea sia, occasionalmente, in articolazioni distanti dalla sede della lesione cutanea. Nel 19% dei casi con ECDS è stata documentata la presenza di un significativo coinvolgimento neurologico: episodi di epilessia, cefalea, cambiamenti di comportamento e difficoltà di apprendimento. Sono state anche riportate alterazioni del parenchima cerebrale come calcificazioni, alterazioni della sostanza bianca, malformazioni vascolari o vasculiti. Diagnosi e monitoraggio clinico La diagnosi di SL è essenzialmente clinica, tuttavia possono essere utili alcune indagini di supporto. Gli indici di flogosi possono a volte essere modicamente elevati; in particolare, la VES è elevata all’esordio della malattia in circa il 20% dei pazienti, mentre la proteina C reattiva può essere lievemente elevata solo in alcuni casi, soprattutto nei pazienti con morfea profonda (Zulian F, et al. 2006). La presenza di eosinofilia è stata riscontrata in circa il 15% dei casi in generale. Per quanto riguarda il profilo autoanticorpale, gli anticorpi antinucleo (ANA) sono presenti in circa il 40% dei pazienti e sono più frequenti nelle forme lineari di SL; la positività del fattore reumatoide, a basso titolo, si riscontra nel 20% dei pazienti (Zulian et al., 2006). La biopsia cutanea non è mandatoria per la diagnosi di tutte le forme, tuttavia può risultare utile per una conferma diagnostica nei casi dubbi. Recentemente, nel monitoraggio dei pazienti con SL, è stato introdotto l’uso della termografia a raggi infrarossi (Li et al., 2007), una tecnica non invasiva che rileva le alterazioni della temperatura cu- 147 F. Zulian, R. Culpo, G. Martini Terapia Negli anni sono stati utilizzati molti trattamenti per la SL, sia topici che per via sistemica. Le terapie topiche sono utilizzate nelle forme isolate di morfea circoscritta. Ad oggi i preparati più utilizzati sono quelli a base di corticosteroidi, tacrolimus e derivati della vitamina D (Laxer e Zulian, 2006). Nelle forme di SL in cui esiste un rischio significativo di estensione della malattia e di conseguenti deformità, è necessario intraprendere un trattamento sistemico. Le terapie finora utilizzate includono cortisonici, D-penicillamina, ciclosporina, fototerapia con UVA, analoghi della vitamina D e metotrexate (MTX) (Zulian F, et al. 2006, Laxer e Zulian, 2006). Recentemente, un trial randomizzato controllato in doppio cieco ha testato l’efficacia dell’associazione prednisone-metotrexate a basse dosi, rispetto al solo prednisone (Zulian et al., 2011). I risultati hanno dimostrato che il metotrexate è efficace in oltre due terzi dei pazienti trattati. Lo schema più diffuso di trattamento prevede l’utilizzo di MTX alla dose di 10-15 mg/m2/settimana, associato a prednisone per os (1 mg/kg/die per 3 mesi poi scalato fino alla sospensione) o a metilprednisolone endovena in boli (IVMP 20-30 mg/Kg/die per 3 giorni al mese per 3 mesi). Molti pazienti mostrano una risposta entro 2-4 mesi dall’inizio della terapia e gli effetti collaterali (nausea, irritabilità, dispepsia) sono di solito di modesta entità e presenti solo nelle fasi iniziali del trattamento. Nei pazienti che non rispondono a tale trattamento, un’alternativa promettente sembra essere costituita dal micofenolato mofetil (Martini et al., 2009). Figura 4. Morfea generalizzata. tanea correlate all’attività di malattia e al rischio di ulteriore danno tessutale. Questa tecnica ha mostrato un’alta sensibilità per lesioni clinicamente attive e un’alta riproducibilità tra diversi operatori (Martini, et al., 2002, Howell et al., 2000). Lo Skin Score Computerizzato (CSS) è un altro utile strumento di monitoraggio clinico della malattia (Zulian et al., 2007). Consiste nell’ottenere un’immagine della lesione, attraverso l’applicazione di un film adesivo trasparente sulla cute del paziente e il successivo rilievo dei bordi con un pennarello indelebile. Di tale immagine, successivamente digitalizzata, è possibile calcolare con esattezza l’area della lesione, che può essere rapportata all’area di superficie corporea (BSA) del paziente. Il rapporto tra l’area della lesione e la BSA (Skin Score Computerizzato Ponderato) ripetuto nei controlli successivi permette di valutare l’estensione o meno delle lesioni in modo indipendente dall’incremento della superficie corporea che avviene durante lo sviluppo fisico del paziente pediatrico (Zulian et al., 2007). Altri approcci per la diagnosi e il monitoraggio clinico si avvalgono delle moderne tecniche di imaging. L’ecografia ad alta frequenza sembra rappresentare una tecnica molto valida nel monitoraggio di questi pazienti soprattutto se associata al color Doppler che permette di apprezzare, oltre alle variazioni di spessore e di ecogenicità del derma correlate con i vari stadi della lesione, anche le variazioni di flusso sanguigno espressione di infiammazione (Li et al., 2007). La RMN è un utile supporto nella gestione clinica in particolare quando si sospetti un coinvolgimento del SNC e dell’occhio, ma è in grado anche di dimostrare l’effettiva profondità delle lesioni cutanee, dato estremamente utile nel sospetto di coinvolgimento osseo (Schanz et al., 2011). 148 Sclerosi sistemica La SS giovanile è una condizione cronica che interessa il tessuto connettivo; è caratterizzata da ispessimento e indurimento simmetrico della cute variabilmente accompagnati da sclerodattilia, ulcere digitali, fibrosi degli organi interni (specialmente tratto intestinale, cuore, polmone e rene), artrite e miosite. L’esordio in età pediatrica è molto raro, costituendo circa il 10% di tutte le forme di sclerodermia “giovanili”. La SS si può suddividere in tre sottotipi: la forma diffusa, la forma limitata e le forme overlap. La prima è caratterizzata da una sclerosi cutanea diffusa, che coinvolge gli arti sia prossimalmente che distalmente ed è associata ad un interessamento precoce e severo degli organi interni; la seconda, denominata in passato con il termine CREST (Calcinosi, Raynaud, Esofago, Sclerodattilia e Teleangiectasie) ha invece un decorso più favorevole, interessando principalmente la cute della parte distale degli arti e tardivamente e in maniera incostante gli organi interni; le forme overlap o da sovrapposizione sono invece caratterizzate dalla coesistenza di segni e sintomi tipici di altre connettiviti qulai la dermatomiosite e il lupus eritematoso sistemico. Caratteristiche cliniche La SS presenta un andamento cronico e l’esordio della malattia è frequentemente insidioso, con un intervallo medio tra la comparsa del primo segno clinico e la diagnosi di circa 2 anni (Scalapino et al., 2006, Martini et al., 2006). Le casistiche pediatriche risultano scarse, per cui non è facile stabilire l’esatta prevalenza riguardo a manifestazioni cliniche, decorso e prognosi (Schanz et al., 2011; Seely et al., 1998). Le manifestazioni cliniche più frequenti sono senza dubbio il fenomeno di Raynaud, che si presenta come primo segno di malattia nel 70% dei casi, e l’indurimento della cute, presente nel 40% dei casi. Durante il de- Sclerodermia in età pediatrica corso della malattia la sclerosi cutanea ed il fenomeno di Raynaud sono i sintomi più frequenti (84%), seguiti dal coinvolgimento respiratorio con fibrosi ed ipertensione polmonare, dalle manifestazioni gastrointestinali (malassorbimento e reflusso gastroesofageo), dall’artrite e dall’interessamento cardiaco (aritmie, insufficienza cardiaca) (Martini et al., 2006). Più raro è invece il coinvolgimento renale. Il fenomeno di Raynaud è l’espressione di un vasospasmo che interessa generalmente le estremità (dita delle mani e dei piedi), specie in seguito ad esposizione a basse temperature o a stimoli emozionali. Clinicamente è caratterizzato dalla successione di una fase ischemica, seguita da una fase di stasi venosa e successivamente da una fase di iperemia reattiva; queste alterazioni del microcircolo si manifestano con la classica successione di pallore, cianosi ed iperemia delle dita, accompagnate generalmente da formicolio e dolore. Nel 10% dei casi, il fenomeno di Raynaud si accompagna ad ulcere digitali. È importante differenziare il fenomeno di Raynaud dall’acrocianosi, una condizione comune soprattutto nelle adolescenti. Si tratta di un fenomeno di vasospasmo, non dolente, che si manifesta con estremità fredde e bluastre. Occasionalmente si può associare ipersudorazione ed edema e può essere associato ad esposizione al freddo. Contrariamente al fenomeno di Raynaud, nell’acrocianosi non c’è un cambiamento trifasico del colore e le dita ritornano raramente al loro colorito normale. Le alterazioni cutanee inizialmente si presentano con edema, segno di infiammazione, e si caratterizzano poi per la sclerosi e l’aderenza alle strutture sottocutanee, soprattutto a livello di dita e volto (Fig. 5). Il coinvolgimento degli organi interni è associato a significativa morbidità; più frequentemente sono interessati il polmone ed il tratto gastrointestinale. La malattia polmonare è spesso asintomatica e deve essere ricercata con attenzione. È presente in circa il 40% dei pazienti ed è caratterizzata da alterate prove di funzionalità respiratoria (ridotta FEV1, FVC, e DLCO), alterazioni radiologiche (immagini a vetro smerigliato, a nido d’ape, opacità lineari o micronoduli subpleurici) (Seely JM et al., 1998). Quando sintomatico, il coinvolgimento polmonare si presenta con tosse o dispnea da sforzo (Martini et al., 2006). L’interessamento gastrointestinale è costituito essenzialmente dalla malattia da reflusso gastroesofageo, presente in un terzo dei casi Figura 5. Sclerodattilia con ulcerazioni digitali in una paziente con Sclerosi Sistemica Giovanile. già all’esordio (Martini et al., 2006); meno frequentemente sono riportati stipsi, diarrea o dolore addominale. Il coinvolgimento cardiaco è presente in circa un quinto dei pazienti e rappresenta una delle cause principali di morbidità tra i pazienti con sclerosi sistemica giovanile. Circa il 10% dei pazienti presenta inoltre coinvolgimento renale, sottoforma di proteinuria o, più raramente, di insufficienza renale. Approccio diagnostico Recentemente sono stati definiti i criteri classificativi per la SS Giovanile (Zulian et al., 2007). Sulla base di questa proposta, un paziente di età inferiore a 16 anni può essere definito affetto da SS Giovanile in presenza di un criterio maggiore (sclerosi/indurimento della cute in regione prossimale alle articolazioni metacarpo-falangee) più almeno due criteri minori raggruppati in 9 categorie (Tab. II). Un attento esame del letto ungueale risulta utile per porre il sospetto diagnostico di SS: la dilatazione dei capillari periungueali, le aree avascolari ed il sovvertimento dell’architettura dei capillari rappresentano anomalie tipiche in questa malattia (Spencer-Green et al., 1983). Per quanto riguarda il coinvolgimento polmonare, l’approccio diagnostico prevede l’impiego di test di funzionalità polmonare (spirometria con test di diffusione del CO) e di metodiche di imaging quali la TAC ad alta risoluzione. Il coinvolgimento gastrointestinale è progressivo. In genere inizia a livello esofageo per poi proseguire distalmente. Le indagini diagnostiche prevedono, in successione, scintigrafia esofagea, pH metria, contrastografia mediante pasto baritato e, ove possibile, nei soggetti più grandi, la manometria. Prognosi In generale, la prognosi delle forme giovanili di Sclerosi Sistemica è più favorevole rispetto alle forme ad esordio in età adulta; la sopravvivenza a 5, 10, 15 e 20 anni dalla diagnosi risulta infatti dell’89%, dell’80-87%, del 74-87% e del 69-82,5%, rispettivamente, quindi significativamente migliore rispetto alle forme dell’adulto (Martini et al., 2009, Foeldvari et al., 2000). Ciononostante, la SS Giovanile è una condizione piuttosto severa, con elevata morbilità legata per lo più all’interessamento polmonare e cardiaco. Anche se l’indurimento della cute e le limitazioni articolari possono comportare grave disabilità, la prognosi del bambino con SS è principalmente legata al grado di coinvolgimento degli organi interni. In età pediatrica la malattia sembra avere due pattern possibili di decorso: può presentare un’evoluzione rapida, con sviluppo di insufficienza degli organi interni, disabilità severa o decesso precoce, mentre, più spesso, l’evoluzione è più lenta ed insidiosa e la mortalità ridotta. L’esito fatale è correlato principalmente al coinvolgimento cardiaco, renale e polmonare. La cardiomiopatia è una complicanza rara, solitamente associata alla forma cutanea diffusa ed alle forme overlap con polimiosite, ed è una delle cause principali di decesso precoce (Martini et al., 2009, Foeldvari et al., 2000). La fibrosi miocardica comporta dapprima solo aritmie cardiache, successivamente un quadro di insufficienza cardiaca congestizia. Un trattamento immunosoppressivo aggressivo si è dimostrato efficace sul coinvolgimento muscolare, cutaneo e polmonare, ma non sempre è in grado di rallentare la progressione del danno miocardico. La crisi renale o l’encefalopatia ipertensiva acuta possono essere raramente causa di esito fatale, ed in genere si verificano nei primi mesi dall’esordio della malattia (Martini et al., 2009). Terapia L’approccio farmacologico al paziente pediatrico con Sclerosi Sistemica non è standardizzato: non esiste infatti ad oggi un trattamento 149 F. Zulian, R. Culpo, G. Martini Tabella II. Criteri preliminari di classificazione per la Sclerosi Sistemica Giovanile (da Zulian F et al. 2007). Criterio maggiore Indurimento cutaneo in sede prossimale alle articolazioni metacarpo-falangee Criteri minori - Cute sclerodattilia - Vascolare fenomeno di Raynaud anormalità alla capillaroscopia ulcere digitali - Gastrointestinale disfagia reflusso gastroesofageo - Renale crisi renale Ipertensione arteriosa di recente riscontro - Cardiaco aritmie insufficienza cardiaca - Respiratorio fibrosi polmonare (alla TAC o Rx) ridotta DLCO ipertensione polmonare - Muscoloscheletrico sfregamenti tendinei artrite miosite - Neurologico neuropatia sindrome del tunnel carpale - Autoanticorpi anticorpi anti-nucleo autoanticorpi specifici della SSG: (anticentromero, anti-topoisomerasi I, antifibrillarina, anti-PM-Scl, anti-fibrillina o anti-RNA polimerasi I o III) La Sclerosi Sistemica Giovanile può essere definita in presenza di un criterio maggiore (sclerosi/indurimento della cute in regione prossimale alle articolazioni metacarpofalangee) più almeno due tra i 20 criteri minori raggruppati in 9 categorie. ufficialmente riconosciuto e sicuramente efficace in tutti i pazienti. Nel 2009 sono state proposte alcune raccomandazioni per il trattamento della SS (Kowal-Bielecka et al., 2009). Per il trattamento del fenomeno di Raynaud e delle sue complicanze, i farmaci di prima scelta sono i calcio-antagonisti come la nifedipina o la nicardipina. I prostanoidi a somministrazione endovenosa, come l’iloprost, vanno riservati alle forme con ischemia severa o associate ad ulcere digitali (Kowal-Bielecka et al., 2009, Zulian et al., 2004). Per le forme con coinvolgimento polmonare è indicato un trattamento con ciclofosfamide per via endovenosa in boli mensili di 0,5-1 g/ m2 per un periodo di almeno 6 mesi. Per il coinvolgimento dell’apparato muscolo-scheletrico un’opzione valida è rappresentata dai glucocorticoidi (prednisone ad un dosaggio di 0,3-0,5 mg/kg/die). Non si deve dimenticare, tuttavia, che l’utilizzo di questi farmaci nel paziente con SS è associato ad un aumentato rischio di crisi renale, per cui è raccomandato un monitoraggio frequente della funzionalità renale e della pressione arteriosa. In presenza di manifestazioni cutanee severe, il metotrexate, alle dosi di 10-15 mg/m2/settimana, si è dimostrato efficace e sicuro. ACE-inibitori, come captopril o losartan, sono indicati per il controllo a lungo termine della pressione arteriosa e nella stabilizzazione della funzionalità renale in corso di crisi renale. 150 Infine, i trattamenti sintomatici per le manifestazioni gastrointestinali includono gli inibitori di pompa protonica per la prevenzione o il trattamento del reflusso gastroesofageo e delle ulcerazioni esofagee, i procinetici per la gestione dei disturbi della motilità gastrointestinale e l’antibioticoterapia per il trattamento del malassorbimento dovuto alla contaminazione batterica intestinale. Per adeguare questi diversi trattamenti alla variabile severità della malattia, è stato recentemente proposto alla comunità scientifica internazionale uno score di severità, denominato Juvenile Systemic Sclerosis Severity Score (J4S) (La Torre et al., 2012). Il J4S consente di valutare lo stato di malattia sulla base sia di parametri generali, quali per esempio il body mass index o il valore dell’emoglobina, sia di parametri clinico-strumentali riferiti a 8 apparati: vascolare, cutaneo, osteoarticolare, muscolare, gastrointestinale, respiratorio, cardiaco e renale (Tab. III). Oltre alla semplicità di questo score per la pratica clinica quotidiana, la sua peculiarità è rappresentata dall’inserimento di coefficienti in grado di valutare in modo ponderato l’importanza del coinvolgimento dei singoli organi interessati. È intuitivo, infatti, che un peggioramento della funzione respiratoria o cardiaca abbiano un peso maggiore nella decisione terapeutica rispetto a quello della funzione articolare o muscolare. Sclerodermia in età pediatrica Tabella III. Juvenile Systemic Sclerosis Severity Score (J4S) (tratto da La Torre et al., 2012). PARAMETRI GENERALI* Apparato VASCOLARE CUTE 0 (normale) 1 (lieve) 2 (moderato) 3 (grave) 4 (molto grave) Punteggio massimo BMI ≥ al basale BMI ridotto di 1 percentile rispetto al basale BMI ridotto di 2 percentilI rispetto al basale BMI ridotto di 3 percentilI rispetto al basale BMI ridotto di 4 percentilI rispetto al basale 4 Hb ≥11,5 g/dl Hb 10-11,4 g/dl Hb 9-9,9 g/dl Hb 7-8,9 g/dl Hb <7 g/dl FR assente FR che necessita di terapia con vasodilatatori Cicatrici puntiformi ai polpastrelli Ulcerazioni ai polpastrelli Gangrena alle dita 4 mRSS 0 mRSS 1-14 mRSS 15-29 mRSS 30-39 mRSS >40 4 Artrite e/o sfregamenti tendinei 2 cMAS 13-25 cMAS 0-12 2 Malassorbimento Iperalimentazione 4 Ossigenodipendenza 8 8 Apparato OSTEOARTICOLARE Nessun coinvolgimento articolare MUSCOLO Forza muscolare nella norma Apparato GASTRO-INTESTINALE* Indagini del tratto GI prossimale nella norma Limitazione della mobilità articolare cMAS 39-51 cMAS 26-38 Presenza di sintomi Ipomotilità GI dell’esofago medio e/o prossimale Ipomotilità dell’esofago distale Reflusso gastro-esofageo Apparato RESPIRATORIO*° Alterazioni CARDIACHE*° Funzionalità RENALE^ DLCO >80% DLCO 70-79% DLCO 50-69% DLCO <50% FCV >80% FCV 70-79% FCV 50-69% FCV <50% HRTC nella norma Opacità a vetro smerigliato e/o altri segni di alveolite all’HRTC Aspetti a favo d’api e/o altri segni di fibrosi all’ HRTC Fibrosi polmonare visibile all’Rx sPAP <30 mmHg sPAP 31-45 mmHg sPAP 46-75 mmHg sPAP >75 mmHg ECG nelle norma Difetti di conduzione Aritmie Scompenso cardiaco LVEF >50% LVEF 45-49% LVEF 40-44% Aritmie che richiedono trattamento LVEF 30-39% VFG >90 ml/min VFG 75-89 ml/min VFG 50-74 ml/min VFG 10-49 ml/min Insufficienza renale terminale LVEF <30% 4 BMI=indice di massa corporea, Hb= emoglobina, FR= fenomeno di Raynaud, mRSS= modified Rodnan skin score, cMAS= childhood muscle activity score, GI= gastrointestinale, DLCO= capacità di diffusione del monossido di carbonio, FCV= capacità vitale forzata, HRTC= tomografia computerizzata ad alta risoluzione, sPAP= pressione sistolica in arteria polmonare stimata all’ecodoppler, ECG= elettrocardiogramma, LVEF= frazione di eiezione del ventricolo sinistro, VFG= velocità di filtrazione glomerulare. *almeno uno dei seguenti parametri è sufficiente a definire il punteggio °ogni punteggio per questo apparato deve essere moltiplicato per 2 (punteggio massimo: 8) § ogni punteggio per questo apparato deve essere moltiplicato per 0,5 (punteggio massimo: 2) ^ Calcolo della VFG: - maschi 0-12 anni = 0,55*altezza (cm) /creatininemia (mg/dl) - maschi 12-18 anni = 0,7*altezza (cm) /creatininemia (mg/dl) - femmine 0-18 anni = 0,55*altezza (cm) /creatininemia (mg/dl) - maschi > 18 anni = (peso in kg*140) - età(in anni)/72*creatininemia (mg/dl) - femmine > 18 anni = [(peso in kg*140) - età(in anni)/72*creatininemia (mg/dl)]*0,85 151 F. Zulian, R. Culpo, G. Martini Box di orientamento Che cosa sapevamo prima La Sclerodermia Giovanile comprende un gruppo di condizioni che determinano abnorme fibrosi, sono per lo più croniche e su base autoimmune e colpiscono principalmente la cute. Ne esistono due forme: la Sclerosi Sistemica, che colpisce cute e organi interni, e la Sclerodermia Localizzata, conosciuta anche con il termine “morfea”. Che cosa sappiamo adesso La Sclerodermia Localizzata non colpisce solo la cute ma può interessare anche organi interni come il sistema nervoso centrale o l’apparato osteoarticolare. Abbiamo ora a disposizione strumenti idonei per il monitoraggio quali la termografia o lo skin score computerizzato. Il metotrexate a basse dosi rappresenta il trattamento di scelta per le forme più aggressive e va intrapreso nelle fasi più precoci della malattia. La Sclerosi Sistemica è una condizione altamente invalidante e potenzialmente mortale. Abbiamo ora a disposizione una nuova classificazione che consente di uniformare la diagnosi e standardizzare il trattamento. Nonostante siano stati fatti notevoli progressi nel monitoraggio di questa condizione, siamo ancora distanti dall’individuazione di un trattamento efficace e sicuro. Per la pratica clinica In questi ultimi anni, sono aumentate le conoscenze riguardanti la sclerodermia in età pediatrica e la disseminazione di queste in ambito pediatrico e dermatologico. Questo consente una diagnosi precoce e un trattamento tempestivo specie delle forme più evolutive. L’invio del paziente in Centri di Reumatologia Pediatrica o di riferimento per Malattie Rare e l’approccio multidisciplinare rappresentano elementi essenziali per un tempestivo inquadramento clinico e per il miglioramento della prognosi a distanza. Bibliografia Blaszczyk M, Jablonska S. Linear scleroderma En coup de sabre: relationship with progressive facial hemiatrophy. Adv Exp Med Biol 1999;455:101-14. Diaz-Perez JL, Connolly SM, Winkelmann RK. Disabling pansclerotic morphea of children. Arch Dermatol 1980;116:169-73. Foeldvari I, Zhavania M, Birdi N, et al. Favourable outcome in 135 children with juvenile systemic sclerosis: results of multi-nationl survey. Rheumatology (Oxford) 2000;39:55659. Howell KJ, Martini G, Murray KJ, et al. Infrared thermography for the assessment of localised scleroderma in children. Thermology Int 2000;10:204-9. Kowal-Bielecka O, Landewé R, Avouac J, et al. EULAR recommendations for the treatment of systemic sclerosis: a report from the EULAR Scleroderma Trials and Research group (EUSTAR). Ann Rheum Dis 2009;68:620-28. La Torre F, Martini G, Russo R, et al. A preliminary disease severity score for juvenile systemic sclerosis. Arthritis Rheum 2012;64:4143-50. *Proposta di uno score di severità di malattia per il monitoraggio clinico della Sclerosi Sistemica giovanile. Laxer RM, Zulian F. Localized scleroderma. Curr Opin Rheumatol 2006;18:606-13. Li SC, Liebling MS, Haines KA. Ultrasonography is a sensitive tool for monitoring localized scleroderma. Rheumatology 2007;46:1316-19. *Ruolo dell’ecografia cutanea con sonde ad alta frequenza per la valutazione dell’attività e della profondità dell’interessamento cutaneonella sclerodermia localizzata giovanile. Martini G, Murray KJ, Howell KJ, et al. Juvenile- onset localized scleroderma activity detection by infrared thermography. Rheumatology (Oxford) 2002;41:1178-82. *Descrizione dell’utilizzo della teletermografia a raggi infrarossi nella valutazione dell’attività di malattia in pazienti con Sclerodermia Localizzata giovanile. Martini G, Foeldvari I, Russo R, et al. Systemic sclerosis in childhood: clinical and immunological features of 153 patients in an International Database. Arthritis Rheum 2006;54:3971-8. *Studio internazionale multicentrico che riporta le caratteristiche cliniche e di laboratorio di un’ampia casistica di pazienti con Sclerosi Sistemica giovanile. Martini G, Ramanan AV, Falcini F, et al. Successful treatment of severe or methotrexate-resistant juvenile localized scleroderma with mycophenolate mofetil. Rheumatology (Oxford) 2009;48:1410-13. Martini G, Vittadello F, Kasapçopur Ö, et al. Factors affecting survival in Juvenile Systemic Sclerosis. Rheumatology (Oxford) 2009;48:119-22. *Descrizione dei fattori di rischio e dei predittori prognostici negativi in un’ampia casistica di pazienti con Sclerosi Sistemica giovanile. Peterson LS, Nelson AM, Su WP, et al. The epidemiology of morphea (localized scleroderma) in Olmsted County 1960-1993. J Rheumatol 1997;24:73-80. Scalapino K, Arkachaisri T, Lucas M, et al. Childhood onset systemic sclerosis: clas- sification, clinical and serologic features, and survival in comparison with adult onset disease. J Rheumatol. 2006;33:1004-13. * Descrizione delle caratteristiche cliniche e di laboratorio di una casistica di pazienti con Sclerosi Sistemica giovanile seguitio presso un unico centro. Schanz S, Fierlbeck G, Howell KJ, et al. Localized Scleroderma: MR Findings and Clinical Features. Radiology 2011;260:817-24. * Studio sulle più frequenti e caratteristiche alterazioni della Sclerodermia Localizzata giovanile mediante risonanza magnetica nucleare. Seely JM, Jones LT, Wallace C, et al. Systemic sclerosis: using high-resolution CT to detect lung disease in children. AJR Am J Roentgenol 1998;170:691-97. Spencer-Green G, Schlesinger M, Bove KE, et al. Naifold capillary abnormalities in childhood rheumatic diseases. J Pediatr 1983;102:341-46. Zannin ME, Martini G, Athreya BH, et al. Ocular involvement in children with localised scleroderma: a multi-centre study. Br J Ophthalmol 2007;91:1311-14. Zulian F, Corona F, Gerloni V, et al. Safety and efficacy of iloprost for the treatment of ischaemic digits in paediatric connective tissue diseases. Rheumatology (Oxford) 2004;43:229-33. Zulian F, Vallongo C, Athreya BH, et al. Localized sclerodermia in childhood is not just a skin disease. Arthritis Rheum 2005;52:287381. **Descrizione delle alterazioni extra-cutanee presenti in un’ampia casistica internazionale di pazienti con sclerodermia localizzata. Zulian F, Athreya BH, Laxer R, et al. Juvenile localized scleroderma: clinical and epidemiological features in 750 children. An international study. Rheumatology (Oxford) 2006;45:614-20. *La più ampia descrizione delle caratteristiche cliniche di una grossa coorte di pazienti con Sclerodermia Localizzata raccolta mediante uno studio multicentrico internazionale. Zulian F, Woo P, Athreya BH, et al. The Pediatric Rheumatology European Society/American College of Rheumatology/European League against Rheumatism provisional classification criteria for juvenile systemic sclerosis. Arthritis Rheum 2007;57:203-12. **Criteri classificazione della Sclerosi Sistemica giovanile stabiliti mediante una metodologia basata sull’analisi di un’ampia casistica di pazienti e sul consenso di esperti internazionali. Zulian F, Meneghesso D, Grisan E,et al. A new computerized method for the assessment of skin lesions in localized scleroderma. Rheumatology (Oxford) 2007;46:856-60. *Validazione e descrizione dello skin score computerizzato, una metodica semiquantitativa per la valutazione della progressione di malattia in pazienti con Sclerodermia Localizzata giovanile. Zulian F, Martini G, Vallongo C, et al. Methotrexate treatment in juvenile localized scleroderma: a randomized, double-blind, placebo-controlled trial. Arthritis Rheum 2011;63:1998-2006. **Primo studio randomizzato in doppio-cieco per valutare la sicurezza e l’efficacia del metotrexate nel trattamento della Sclerodermia Localizzata giovanile. Corrispondenza Francesco Zulian, Centro Regionale e Unità di Reumatologia Pediatrica, Dipartimento per la Salute della Donna e del Bambino, Università degli Studi, Azienda Ospedaliera di Padova, via Giustiniani 3, 35128 Padova. Tel. +39 049 8213583, Fax +39 049 8218088. E-mail: [email protected] 152 Luglio-Settembre 2014 • Vol. 44 • N. 175 • Pp. 153-160 reumatologia pediatrica Osteoporosi in età evolutiva: l’importanza di giocare in anticipo Rolando Cimaz, Stefano Stagi* Dipartimento NEUROFARBA, Università degli Studi di Firenze, e SOD di Reumatologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Anna Meyer; *Dipartimento di Scienze della Salute, Università degli Studi di Firenze, e SOD di Auxo-Endocrinologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Anna Meyer, Firenze Riassunto L’Osteoporosi è stata considerata una patologia tipica quasi esclusivamente della popolazione adulto-anziana e la sua prevalenza in età pediatrica è stata ampiamente sottostimata. Da parte dei medici, ed in particolare da parte dei pediatri, solo recentemente si è assistito ad una maggiore consapevolezza del rischio d’osteoporosi in quei bambini che presentino mutazioni genetiche capaci di alterare le normali fasi del metabolismo osseo (osteoporosi primitiva) o che siano affetti da patologie croniche o utilizzino farmaci capaci di interferire con il normale sviluppo osseo (osteoporosi secondaria). La cronica e progressiva perdita di massa ossea in questi bambini, se non diagnosticata precocemente e trattata di conseguenza, impedisce il raggiungimento del picco di massa ossea al termine della pubertà con un alto rischio di osteoporosi in età adulta. Le patologie associate ad osteoporosi primitiva sono nel complesso rare (principalmente Osteogenesi Imperfetta), molto più frequenti nella pratica clinica sono le forme di osteoporosi secondarie a patologie croniche o farmaci. Una popolazione ad alto rischio di sviluppare osteoporosi è rappresentata dai pazienti con patologie infiammatorie croniche; in questi bambini la ridotta densità ossea, unita ad una minore qualità dell’osso depositato, è conseguenza sia del processo infiammatorio per sé (citochine) sia della terapia cronica con corticosteroidi sistemici. La terapia dell’Osteoporosi in età pediatrica si basa sull’eliminazione dei fattori di rischio (ridotto esercizio fisico, obesità, deficit nutrizionali e di Vitamina D) e, nei casi severi, sull’utilizzo di Bifosfonati. Summary Osteoporosis has been traditionally considered as a geriatric disease, and its prevalence in the pediatric age has been widely underestimated. Only recently pediatricians have acknowledged its importance, since some patients have genetic mutations able to affect bone metabolism and others are affected by chronic conditions which can impact bone health. If not diagnosed and treated early enough, bone loss can proceed and impact beak bone mass, with a relevant effect on further fracture risk. Primary osteoporosis is rare, mainly represented by osteogenesis imperfecta, while the conditions linked to low bone mass because of chronic disorders and drug administration are more frequent. Chronic inflammatory diseases have an impact on bone both for the effect of inflammatory cytokines and for glucocorticoid treatment. Treatment of low bone mass in the pediatric age is mainly based on risk factor avoidance, and only in severe cases on bisphosphonate therapy. Legenda delle abbreviazioni con traduzione aBMD = areal Bone Mineral Density (densità minerale ossea rispetto a un’area) AD-SOS (Amplitude Dependent Speed of Sound): tecnica a trasmissione, che misura la velocità dell’onda ultrasonora calcolata nel momento in cui il segnale supera una soglia di ampiezza prestabilita ALP = Alkaline phosphatase (fosfatasi alcalina sierica) BMC = Bone Mineral Content (contenuto minerale osseo) BMD = Bone Mineral Density (densità minerale ossea) BTT = Bone Trasmission Time (intervallo di tempo tra il primo segnale che supera la soglia e il momento in cui il segnale stesso raggiunge la velocità di 1700 m al secondo) BUA = Broadband Ultrasound Attenuation (attenuazione del raggio ultrasonoro) CTX = Collagen type 1 cross-linked C-telopeptide (telopeptidi C-terminali del collagene maturo tipo I) DPD = Urinary Deoxypyridinoline (deossipiridinoline urinarie) DXA = Double X-ray Absorptiometry (assorbimetria a doppio raggio X) ICTP = Cross-linked carboxyterminal telopeptide of type I collagen (cross-link terminale telopeptide C del collagene di tipo I) NTX = Collagen-type I N-telopeptides (telopeptidi N-terminali del collagene maturo tipo I) OC = Osteocalcin (osteocalcina sierica) PICP = Procollagen I C-Terminal Propeptide (peptide carbossi-terminale del procollagene di tipo I) pQCT = Pheripheral Quantitative Computerized Tomography: (tomografia computerizzata quantitativa periferica) PYD = Urinary Pyridinoline (piridinoline urinarie) QUS = Quantitative Ultrasound (ultrasonografia quantitativa) SOS = Speed of Sound (Velocità di propagazione dell’onda ultrasonora) UBPI = Ultrasound Bone Profile Index (parametro che utilizza un algoritmo aggiornato per la valutazione della traccia grafica.) È una sintesi matematica di tre parametri che descrivono le caratteristiche della traccia grafica: fast wave amplitude (FWA, mV), dynamic of ultrasound signal (SDy, mV/μs2) e bone trasmission time (BTT, μs) Z-score = unità di misura rappresentata dalla differenza, espressa in deviazione standard, tra valore osservato di BMD e valore medio di BMD dei soggetti di pari età e sesso 153 R. Cimaz, S. Stagi Metodologia della ricerca bibliografica Gli articoli studiati per preparare questa review sono stati selezionati mediante ricerca bibliografica su Medline usando come motore di ricerca PubMed. È stata utilizzata la parola chiave “Osteoporosis” e il filtro di ricerca < 18 anni. Sono state scelte le citazioni più rilevanti alla presente pubblicazione. Introduzione L’osso è un tessuto connettivo “dinamico” e altamente specializzato, le cui funzioni consistono nel fornire supporto al tessuto muscolare e protezione agli organi interni. Inoltre, esso rappresenta anche un deposito di sostanze minerali e partecipa al mantenimento dell’omeostasi minerale (Zemel, 2012; Stagi et al., 2013). Il dinamismo osseo si mantiene durante tutte le fasi della vita, ma varia qualitativamente e quantitativamente nelle diverse età. Infatti, l’osso subisce un costante processo di modellamento (prevalente nell’età evolutiva) e di rimodellamento (tipico nell’età adulta), che dalla nascita fino all’età adulta, porta la massa ossea a presentare un progressivo aumento fino a raggiungere un valore massimo definito picco di massa ossea (Peak Bone Mass o PBM) (Bachrach, 2005). Il raggiungimento della PBM, generalmente durante la terza decade della vita, sembra essere condizionato da fattori genetici, nutrizionali, endocrini e meccanici (Kelly et al., 1990; Bachrach, 2005). Tali fattori, infatti, vanno a influenzare il tasso di turnover, l’architettura, il grado di mineralizzazione, oltre alle proprietà del collagene e della matrice ossea. In età evolutiva sia il rimodellamento del tessuto osseo già mineralizzato che la formazione di nuovo tessuto osseo sono i principali processi di cambiamento del tessuto osseo; per quanto siano due processi diversi, entrambi comunque prevedono la formazione di nuovo tessuto osseo (Ma & Gordon, 2012). Tale processo di guadagno di massa ossea presenta un equilibrio molto delicato; pertanto, se vi è una prevalenza del riassorbimento osseo o un difetto qualitativo o quantitativo che coinvolge i processi di neosintesi, si può giungere ad una condizione di ridotto guadagno o addirittura perdita di massa ossea con conseguente alterata massa e/o qualità ossea fino alla osteoporosi (Ott, 1990). Concetto di picco di massa ossea L’infanzia e l’adolescenza sono tipicamente caratterizzate da una crescita staturale nonché da cambiamenti nelle dimensioni e nella forma dello scheletro. Infatti, dalla prima infanzia fino alla tarda adolescenza l’attività di formazione ossea predomina sul riassorbimento osseo, con un costante accumulo di massa scheletrica, che aumenta dai circa 70-95 g alla nascita ai 2,400-3,300 grammi in giovani donne e uomini, rispettivamente (Stagi et al., 2013). L’età esatta in cui i valori di massa ossea raggiungono il loro picco nei vari siti scheletrici varia dai 16-18 anni circa (per colonna vertebrale e collo del femore), fino ad arrivare anche a 35 anni (per il cranio) (Ott, 1990) (Fig. 1). Unitamente all’impatto sulla crescita nel suo complesso, è soprattutto la pubertà che ha un ruolo fondamentale nell’acquisizione della massa ossea (Kelly et al., 1990; Bachrach, 2005). In effetti, tra l’inizio della pubertà e l’età adulta la massa scheletrica raddoppia (Fig. 1). Tuttavia, questo “accumulo” avviene a velocità diverse a seconda del segmento scheletrico considerato. Ad esempio, il guadagno dello scheletro appendicolare è predominante prima della pubertà, dopo di che si assiste, sotto l’influenza degli steroidi sessuali, a un incremento di crescita della colonna vertebrale (Recker et al., 1992). Quindi, il completamento della normale crescita scheletrica 154 richiede un’adeguata produzione di ormoni tiroidei, ormone della crescita, fattori di crescita e steroidi sessuali. Prima della pubertà, la crescita delle ossa dipende in gran parte dall’ormone della crescita, ma gli steroidi sessuali sono essenziali per il completamento della maturazione delle epifisi e dell’apposizione minerale ossea durante la pubertà e l’adolescenza (Kelly et al., 1990; Bachrach, 2005). Su tutti questi processi, influenzati da questa complessa sequenza di cambiamenti ormonali, interagiscono inoltre fattori nutrizionali ed ambientali, in grado di modificare il potenziale genetico dell’individuo (Turner et al., 1992; Matkovic et al., 1990; Matkovic et al., 1990). Fino all’80% della BMD sarebbe geneticamente determinata, mentre il maggior periodo di rapido sviluppo scheletrico, che avviene nell’infanzia e nell’adolescenza, renderebbe conto del 30-40% dell’aumento totale della massa ossea. Fattori ambientali come un costante esercizio fisico, l’intake dietetico di calcio ed una corretta azione della vitamina D, potrebbero influenzare fino al 20% della BMD (Bachrach, 2005). Calcio e vitamina D sono due nutrienti essenziali a lungo conosciuti per il loro ruolo nella salute ossea (Demay et al., 2007; Ward et al., 2010; Welten et al., 1995; Winzenberg et al., 2011; Winzenberg et al., 2010). Molti dati confermano che un adeguato apporto alimentare di calcio è importante per raggiungere una corretta PBM, evidenziando come la supplementazione di calcio possa aumentare l’acquisizione di massa ossea durante l’adolescenza e l’età giovane-adulta (Bonjour et al., 1997; Johnston et al., 1992). Quando tale supplementazione di calcio cessa, l’effetto benefico sull’osso scomparirebbe. La sintesi cutanea della vitamina D per azione della luce solare è insufficiente a soddisfare il fabbisogno nei paesi europei, soprattutto durante i mesi invernali, quando l’esposizione al sole è ridotta (Prentice, 2008). Quindi, appare necessario un adeguato apporto di vitamina D durante l’infanzia e l’adolescenza per garantirne un livello sufficiente ad assicurare una normale mineralizzazione ossea (Holick et al., 2011). La vitamina D, infatti, attraverso la sua azione di ottimizzazione dell’assorbimento intestinale di calcio, appare essenziale per garantire la normale calcificazione della cartilagine di accrescimento e la mineralizzazione della matrice osteoide a livello dell’osso trabecolare e corticale (Lamberg-Allardt, 2012). Inoltre, un adeguato livello di vitamina D è necessario per un efficace assorbimento di calcio e per il mantenimento di normali livelli ematici di calcio e fosfato, che a loro volta sono necessari per la normale mineralizzazione delle ossa (Bouillon et al., 2008). Il livello sierico di 25(OH)D, o calcidiolo, è generalmente ritenuto un buon indicatore dello stato nutrizionale della vitamina D (Ross et al., 2011). Ad oggi non è tuttavia emersa alcuna chiara indicazione di una specifica relazione dose-risposta tra assunzione di calcio o livello della vitamina D e BMC o BMD, anche se alcuni studi osservazionali sembrano evidenziare una associazione tra il livello sierico di 25(OH)D, la BMD e/o il BMC nei bambini e negli adolescenti, come pure un effetto sulla BMD e sul BMC dell’integrazione combinata di una dieta abituale con calcio e vitamina D (Stagi et al., 2013). Oltre all’intake di calcio e vitamina D, bisogna considerare che l’osso è un tessuto vivente che ha la capacità di rispondere a stimoli meccanici come l’attività o l’esercizio fisico. La presenza di stimoli continui da parte di un carico meccanico, quindi, è essenziale per mantenere una normale massa ossea. Al contrario, l’inattività porta ad una rapida perdita di massa ossea, come si osserva nei pazienti allettati (Frost, 1987). La deformazione meccanica prodotta sull’osso, infatti, sarebbe rilevata dagli osteociti tramite le loro giunzioni cellulari, producendo una serie di modificazioni in grado di portare al rimodellamento dell’osso. L’attività fisica rappresenta un fattore modificabile che può quindi aumentare l’accrezione ossea se effettuata con regolarità. Nell’infanzia e l’adolescenza, l’attività fisica determina degli indubbi Osteoporosi in età evolutiva ♀ ♂ ♀ ♂ ♂ ♀ Figura 1. In alto: Confronto e differenze tra la velocità di crescita staturale (a) e la velocità di crescita ponderale (b) tra individui di sesso maschile (♂) e femminile (♀). In basso: crescita della massa ossea in relazione alla velocità di crescita staturale e differenza nel picco di massa ossea tra individui di sesso maschile (♂) e femminile (♀). effetti positivi sulla massa ossea, sia a breve termine che a lungo termine. L’incremento potrebbe essere maggiore qualora l’attività fisica venga iniziata precocemente e/o in età prepuberale. Comunque, ciò è anche importante nell’adolescenza, periodo in cui il guadagno osseo è più significativo fisiologicamente (Gunter et al., 2012). Metabolismo osseo I marker biochimici del turnover osseo ci possono permettere di comprendere i meccanismi di fomazione e riassorbimento; pur non essendo specifici, possono fornire indicazioni sulla patogenesi di eventuali disordini del metabolismo e/o della qualità ossea (Stagi et al., 2013; Basit, 2013; Michigami, 2014). Tutti i marcatori biochimici del turnover osseo possono essere misurati in campioni di sangue e/o di urine. Nei bambini, i marker biochimici correlano con la velocità di crescita; quindi, essi saranno più alti nei periodi di maggiore crescita, come nel primo anno di vita, e durante lo scatto di crescita puberale (Stagi et al., 2013; Naylor & Eastell, 2012). I marcatori della formazione ossea più frequentemente utilizzati sono: • Fosfatasi alcalina sierica (ALP). Si tratta di un enzima prodotto dall’osso, ma anche da altri tessuti, tra cui il fegato, l’intestino ed i reni. Nell’osso, la ALP è espressa sulla superficie degli osteoblasti e l’enzima può essere clivato dalla membrana e rilasciato nella circolazione; perciò, l’attività enzimatica può essere determinata in campioni sierici. Anche se la ALP totale è ampiamente utilizzata come marker del metabolismo osseo, consistendo in diverse isoforme la misurazione dell’isoenzima osseo specifico della ALP è preferibile (Stagi et al., 2013; Naylor & Eastell, 2012). • Osteocalcina sierica (OC). L’OC è una piccola proteina sintetizzata principalmente dagli osteoblasti, ma anche dagli odontoblasti e dai condrociti. Mentre l’OC è principalmente depositata nella 155 R. Cimaz, S. Stagi matrice extracellulare dell’osso, una piccola quantità entra nella circolazione, dove è rapidamente degradata. L’OC ha un ritmo circadiano con elevati valori notturni rispetto ai valori diurni (Stagi et al., 2013; Naylor & Eastell, 2012). • Peptide carbossi-terminale del procollagene di tipo I (PICP) sierico. Il collagene tipo I rappresenta più del 90% della matrice ossea organica. Esso viene continuamente sia sintetizzato che degradato; da questi processi originano continuamente piccoli frammenti molecolari, indice sia dei processi di formazione che di quelli di riassorbimento osseo. I primi, scissi dalle molecole di collagene di nuova costituzione, sono indicati col termine di PICP e PINP a seconda dell’origine C- o N-terminale. Come l’osteocalcina, PICP mostra un ritmo circadiano (Naylor & Eastell, 2012). I marcatori del riassorbimento osseo più frequentemente utilizzati invece sono: • Piridinoline (PYD) e deossipiridinoline (DPD) urinarie. Si tratta di molecole rilasciate nella circolazione durante il riassorbimento osseo ed escrete nelle urine. Quindi, le quantità di PYD e DPD nel siero e nelle urine derivano principalmente dall’osso che presenta un turnover maggiore rispetto agli altri tessuti contenenti collagene. Il DPD è considerato più osso-specifico e quindi rappresenta un utile marker del riassorbimento osseo (Stagi et al., 2013; Naylor & Eastell, 2012). • Idrossiprolina urinaria. Si tratta di un aminoacido che si trova nelle proteine del collagene. Solo il 10% della idrossiprolina è escreta con le urine. Inoltre, un altro svantaggio è che vi possono essere anche fonti dietetiche di idrossiprolina. Le influenze della dieta possono essere minimizzate misurando il rapporto idrossiprolina/creatinina su urine del mattino a digiuno. Sarebbe perciò da preferire il dosaggio delle DPD urinarie (Naylor & Eastell, 2012). • Telopeptidi N- (NTX) o C-terminali (CTX) del collagene maturo tipo I. Tali marker possono essere misurati sia nel sangue che nelle urine (Stagi et al., 2013). • Calcio urinario. L’escrezione di calcio totale giornaliera dipende dall’assunzione di calcio. Come l’idrossiprolina, l’influenza della dieta può essere minimizzata attraverso la misurazione del rapporto calcio/creatinina nelle urine della prima mattina (Stagi et al., 2013; Naylor & Eastell, 2012). • Cross-link terminale telopeptide C del collagene di tipo I (lCTP). L’ICTP viene rilasciato durante il riassorbimento osseo di collagene. L’ICTP mostra un ritmo circadiano, come l’osteocalcina ed il PICP (Naylor & Eastell, 2012). In età pediatrica, il parametro da prendere in considerazione per un esame densitometrico è rappresentato dallo Z-score. Il T-score, è bene ricordarlo, è invece un parametro da utilizzare solo in soggetti adulti (Lewiecki et al., 2008). Lo Z-score rappresenta il numero di deviazioni standard (DS) al di sopra o al di sotto del valore atteso, in base all’età, alla razza e al sesso del paziente. Z-score = BMD del soggetto – media dei soggetti di stessa età e sesso/ DS dei soggetti di stessa età e sesso È da notare che, fino ad alcuni anni fa, per la valutazione della DXA in età pediatrica si utilizzava lo Z-score con gli stessi limiti di riferimento utilizzati per il T-score. Nel soggetto in età evolutiva, comunque, non è mai stata definita con certezza una correlazione tra riduzione della massa ossea e l’entità del rischio di frattura. Per tale motivo nel 2004, l’International Society for Clinical Densitometry (ISCD) ha stabilito che la diagnosi di osteoporosi in età pediatrica non può essere fatta esclusivamente su criteri densitometrici, utilizzando la definizione di riduzione della densità ossea in base all’età cronologica quando lo Z-score risulti inferiore a -2,0. Il database pediatrico di riferimento per l’interpretazione dello Z score deve essere citato nel referto (Baim et al., 2004). Tecniche densitometriche Esistono numerose tecniche densitometriche per la misurazione non invasiva della massa ossea (Tab. I). Le tecniche più diffuse utilizzano l’attenuazione dei raggi X nell’attraversare il distretto scheletrico da esaminare. Tali tecniche sono basate sull’assorbimento e l’interazione con il tessuto osseo di fotoni incidenti (Blake & Fogelman, 2009; Bogunovic et al., 2009). Radiologia tradizionale Tra queste vi è lo studio radiologico tradizionale, che consente l’osservazione della morfologia ossea e l’analisi della porzione corticale e spongiosa. Con questa tecnica è possibile individuare zone di aumento della trasparenza per riduzione della componente trabecolare e di riduzione dello spessore della corticale che sono segni di osteopenia, oltre a zone di importante alterazione come fratture, esiti di fratture, o deformazioni della normale morfologia ossea. Sedi abituali per tali valutazioni sono lo studio della mano e lo studio morfometrico del rachide (Bogunovic et al., 2009). Un’esempio di frattura vertebrale è indicato in Figura 2. L’interpretazione dei dati è, tuttavia, molto operatore-dipendente e correlata alla qualità dell’immagine Definizione di osteoporosi Nell’adulto, l’osteoporosi è una malattia scheletrica caratterizzata da una bassa massa ossea ed un deterioramento micro-architetturale del tessuto osseo, con conseguente aumento della fragilità ossea e suscettibilità alle fratture. Si tratta, inoltre, di una delle principali cause di morbilità e mortalità tra gli anziani. Solo negli ultimi anni tale definizione è stata adattata all’età evolutiva, quando si può parlare di osteoporosi solo se alla riduzione della massa ossea si accompagna una storia di fratture. Nel bambino e nell’adolescente una riduzione dei valori di densità minerale ossea di oltre 2 DS rispetto alla media per l’età ed il sesso dovrebbe essere considerata patologica, analogamente a come viene normalmente fatto nella pratica clinica per i vari parametri auxologici (Lewiecki et al., 2008). Tuttavia, oltre all’età, altre variabili come la razza, la statura, il peso e lo stadio puberale, potrebbero interferire sensibilmente sui valori di riferimento (Cimaz & Stagi 2013). 156 Tabella I. Principali tecniche densitometriche per la misurazione non-invasiva della massa e/o qualità osssea. Radiografia morfometria qualitativa tecniche morfometriche quantitative Assorbimetria a raggi X a doppia energia (Dual-energy X-ray absorptiometry o DXA) Tomografia computerizzata quantitativa periferica (Peripheral quantitative computed tomography o pQCT) Ultrasonografia ossea quantitativa (Bone Quantitative Ultrasonometry o QUS) Risonanza magnetica quantitativa (Quantitative Magnetic Resonance o QRM) Osteoporosi in età evolutiva per esempio di un ritardo puberale. Pur con questi limiti, la DXA è tuttora considerata il gold standard per la misurazione della massa ossea (van Kuijk, 2010). Tomografia Computerizzata Quantitativa Una nuova tecnica, anch’essa però basata sull’uso di radiazioni ionizzanti, è la Tomografia Computerizzata Quantitativa, che a differenza delle due tecniche precedentemente descritte, non è una tecnica proiettiva, ma permette una valutazione volumetrica senza sovrapposizione di altri tessuti e permette di ottenere valutazioni tridimensionali superando alcuni dei limiti della DXA. I distretti esaminati sono di solito il rachide lombare e il collo del femore. Tra le QCT, la pQCT o tomografia computerizzata quantitativa periferica rappresenta una delle tecniche più interessanti e promettenti. La pQCT viene effettuata a livello di ulna e radio oppure tibia e perone del lato non dominante. Con questa tecnica è possibile valutare in vivo la superficie della componente spongiosa, il numero delle trabecole per singola sezione, il numero di “nodi” (incroci tra le trabecole) e di end point (inizio e fine delle trabecole) e la resistenza del tessuto osseo alla torsione. La relazione tra i parametri di pQCT nei soggetti normali e le variazioni osservate con il progredire dell’età é stata oggetto di diverse pubblicazioni, le quali hanno dimostrato una correlazione tra variazioni della massa ossea a livello periferico ed età del soggetto. Purtroppo l’utilizzo di questa tecnica è ancora limitato dalla scarsità di strumenti disponibili e di informazioni relative all’interpretazione dei dati, non essendo attualmente disponibili limiti di riferimento specie in età evolutiva (Engelke et al., 2009; Zemel, 2011). Figura 2. Radiogramma che evidenzia fratture vetebrali in paziente con connettivite in teapia corticosteroidea cronica. ottenuta, inoltre non è possibile individuare segni di riduzione della densità ossea nelle fasi iniziali, ma solo quando la patologia è in fase molto avanzata (circa il 30-40% di perdita ossea). L’indagine morfometrica, al contrario, supera i limiti legati alla valutazione dell’operatore e permette, in maniera affidabile, di misurare le altezze dei corpi vertebrali e di riconoscere pertanto le fratture vertebrali legate a una alterata densità o qualità ossea. Densitometria a raggi X a doppia energia Un’altra tecnica basata sui raggi X è la densitometria a raggi X a doppia energia (DXA), che permette di raccogliere dati relativi al contenuto osseo minerale (BMC) e alla densità ossea minerale (BMD) del distretto esaminato. I valori ottenuti vengono riportati dallo strumento su una curva di riferimento e messi in rapporto all’età e al sesso del paziente. In età evolutiva questa tecnica ha però diversi limiti, in quanto i parametri auxologici possono influire sulla valutazione del risultato, potendo dare valori di densità falsamenti ridotti a causa del volume osseo che nel bambino è ridotto rispetto all’adulto, e nel caso di variazioni parafisiologiche o patologiche delle tappe di sviluppo puberale. Infatti, parametri auxologici, come statura o peso, possono influire sulla valutazione della aBMD, i cui risultati vengono espressi in rapporto a una superficie e non a un volume. Quindi, un osso più piccolo può avere una densità (gr/cm2) falsamente ridotta, visto che, essendo una metodica non volumetrica, è impossibile calcolare direttamente lo spessore. Inoltre, lo sviluppo puberale condiziona il picco di massa ossea. Per questo motivo, una riduzione della BMD dovrebbe essere valutata con cautela in corso Risonanza Magnetica Quantitativa Una nuova tecnica non invasiva che non si avvale di raggi X è la Risonanza Magnetica Quantitativa, che permette lo studio della microarchitettura trabecolare, dello spazio intertrabecolare e della distribuzione spaziale delle trabecole, ed evidenzia l’eventuale presenza di microfratture patologiche. Le sedi più studiate con questa tecnica sono il calcagno, le falangi e il radio distale. Questa tecnica al momento è utilizzata a livello sperimentale, ma sembra essere molto promettente per la qualità delle informazioni che fornisce e per la non invasività. Ultrasonografia Ossea Quantitativa Infine, l’ultrasonografia ossea quantitativa è una tecnica che utilizza gli ultrasuoni e ha molti vantaggi essendo priva di effetti collaterali, non invasiva, poco costosa, di facile esecuzione e fornendo dati affidabili che si prestano ad una rapida interpretazione. I distretti ossei studiati con questa tecnica sono il calcagno, la porzione mediale della tibia, le falangi distali (tranne quella del primo dito) della mano non dominante o il metacarpo nei bambini di età inferiore ai 3 anni. Le tecniche ad ultrasuoni si basano sulla misura del grado di attenuazione (BUA) o della velocità degli ultrasuoni (SOS; AD-SoS; BTT) durante l’attraversamento in senso trasversale del segmento osseo in esame (es. falangi della mano, calcagno) oppure sulla misura della velocità dell’onda ultrasonica dopo trasmissione lungo l’asse longitudinale dell’osso esaminato (es. porzione mediale della tibia). Questa tecnica fornisce dati non solo quantitativi, ma anche qualitativi sul tessuto osseo del paziente. Si presta allo studio del tessuto osseo in età pediatrica per le caratteristiche precedentemente elencate ed essendo disponibili valori di riferimento per soggetti in età evolutiva corretti per età, sesso e stadio puberale. Questa tecnica non si può sostituire alla DXA, ma si integra ad essa e può essere utilizzata per eseguire followup più ravvicinati (Lum et al., 1992; Simonini et al., 2005). 157 R. Cimaz, S. Stagi Figura 3. Diagramma che schematizza la patogenesi dell’osteoporosi da corticosteroidi. Cause principali di alterata massa e/o qualità ossea Vi sono numerose evidenze scientifiche che documentano come un’alterata densità e/o qualità ossea possano interessare non solo l’età adulta ma anche l’infanzia e l’adolescenza. Lo studio di quelle condizioni che possono essere associate ad un’alterata densità e/o qualità ossea, perciò, riveste particolare importanza dal momento che le malattie metaboliche dell’osso possono essere particolarmente invalidanti (Stagi et al., 2013; Stark et al., 2014; Cimaz, 2002). Tra gli esempi di osteoporosi più frequenti sono quelle iatrogene, in particolare legate all’uso dei corticosteroidi. L’azione dei corticosteroidi sull’osso si esplica mediante mutipli meccanismi, che sono esemplificati nella Figura 3. Quindi, compito del Curante o e/o dello Specialista è quello di porre diagnosi il più precocemente possibile, affinché possano essere instaurati per tempo gli opportuni provvedimenti per la terapia e/o la profilassi delle complicanze. La diagnosi, oltre che su criteri clinici e/o laboratoristici, deve però sempre basarsi su un’accurata valutazione della densità minerale ossea mediante metodiche densitometriche che, al contrario del comune esame radiografico, permettono di individuare riduzioni del contenuto minerale osseo e/o qualità ossea, anche di lieve entità, intorno al 3-4%. In generale, una valutazione densitometrica, oltre che approfondimento ad un quesito clinico o laboratoristico, dovrebbe essere effettuata in soggetti che presentino importanti fattori di rischio (Tab. II). 158 Per le caratteristiche del turnover osseo, inoltre, l’esame densitometrico andrebbe effettuato all’inizio e ripetuto nel tempo per valutare l’evoluzione; le variazioni del contenuto minerale osseo, infatti, si realizzano piuttosto lentamente. Un ciclo di rimodellamento osseo richiede un periodo di 4-6 mesi, dal suo inizio al suo completamento; per tale motivo la valutazione della densità ossea ad intervalli inferiori ai 6 mesi ha scarso significato clinico (Stagi et al., 2013; Stark et al., 2014; Cimaz, 2002). In generale, per il follow-up di una condizione che si associa a riduzione della densità ossea, è sufficiente una valutazione ogni 12 mesi, mentre una valutazione ogni sei mesi dovrebbe essere indicata nelle forme rapidamente ingravescenti, come quelle derivanti dall’uso di corticosteroidi o chemioterapici ad alte dosi, nei malassorbimenti intestinali o in situazioni di grave malnutrizione; oppure per valutare l’effetto a breve termine sulla mineralizzazione ossea di trattamenti farmacologici (bifosfonati, ormoni gonadici) (Stagi et al., 2013; Stark et al., 2014; Cimaz, 2002). Conclusioni Una ridotta densità o qualità ossea può essere frequentemente diagnosticata in bambini ed adolescenti. Ciò può essere legato o aggravato da un insufficiente intake di calcio, ridotti livelli di vitamina D, ed un ridotto tasso di attività fisica. Tale alterazione patologica della Osteoporosi in età evolutiva Tabella II. Principali condizioni che possono causare un’alterata densità e/o qualità ossea in età evolutiva. Malattie endocrine Ipogonadismo Sindrome da insensibilità agli estrogeni Panipopituitarismo; deficit di GH Ipertiroidismo Sindrome di Cushing Iperparatiroidismo primitivo Sindrome di McCune Albright Iatrogene Corticosteroidi Anticonvulsivanti Analoghi del GnRH L-tiroxina (dosi elevate) Antiretrovirali Anticoagulanti Chemioterapici Malattie genetico-metaboliche Osteogenesi imperfetta Omocistinuria Sindrome di Marfan; Sindrome di Ehlers-Danlos Sindrome di Menkes Intolleranza alle proteine con lisinuria Fenilchetonuria Malattia di Gaucher Fibrosi cistica Cromosomopatie Sindrome di Turner Sindrome di Klinefelter Sindromi da delezione cromosoma 22 Neoplasie maligne Leucemia Linfoma Tumori solidi Alterazioni nutrizionali Anoressia nervosa Intolleranza al latte Carenza di calcio, rame, etc Diete vegetariane Malnutrizione Carenza di vitamina C, K Nutrizione parenterale totale Sovrappeso/obesità Altro Immobilizzazione/scarso uso Intensa attività fisica Post-trapianto Morbo di Paget giovanile Malattie osteolitiche Malattia di Rett Osteoporosi idiopatica giovanile Prematurità Malattie infiammatorie croniche Reumatiche (artrite giovanile idiopatica, lupus eritematoso sistemico, dermatomiosite) Renali (insufficienza renale cronica, acidosi tubulare renale, ipercalciuria idiopatica) Gastroenterologiche (MICI, epatopatie colestatiche) Cardiache (insufficienza cardiaca congestizia) Ematologiche (talassemia, emocromatosi ereditaria, emofilia A, anemia a cellule falciformi) Immunologiche (mastocitosi sistemica, sindr. da iper-IgE) Box di orientamento Cosa sapevamo prima L’osteoporosi è stata a lungo considerata una malattia principalmente geriatrica. L’impatto di tale condizione è rilevante dal punto di vista sociale ed economico, soprattutto in relazione alle fratture che ne conseguono. Cosa sappiamo oggi La prevenzione dell’osteoporosi riguarda anche e soprattutto l’età pediatrica, in quanto lo scheletro accumula sostanza ossea nelle prime due o tre decadi di vita, quando viene raggiunto il picco di massa ossea. Per la pratica clinica Numerose condizioni patologiche hanno un impatto importante sulla salute ossea; ruolo del pediatra è anche quello di conoscere tali condizioni e seguire in maniera sistematica i soggetti a rischio con metodiche densitometriche adeguate e standardizzate. Una prevenzione e una terapia farmacologica possono essere fondamentali nei casi che hanno sviluppato osteopenia o in coloro che sono a maggior rischio. densità e della qualità ossea può essere primaria oppure rappresentare una complicanza di malattie croniche o dei trattamenti farmacologici effettuati. In ogni caso, poichè la maggior parte della massa ossea viene raggiunta al termine della crescita longitudinale di un individuo, la crescita dello scheletro durante l’infanzia e l’adolescenza è un fattore determinante della vita per il rischio di osteoporosi e fratture in età adulta. Bibliografia Bachrach LK. Assessing bone health in children: who to test and what does it mean? Pediatr Endocrinol Rev 2005;2(Suppl. 3):332-6. Baim S, Leonard MB, Bianchi ML, et al. Official Positions of the International Society for Clinical Densitometry and executive summary of the 2007 ISCD Pediatric Position Development Conference. J Clin Densitom 2008;11:6-21. ** Linee guida ufficiali della Società Internazionale di Densitometria 159 R. Cimaz, S. Stagi Basit S. Vitamin D in health and disease: a literature review. Br J Biomed Sci 2013;70:161-72. * Recente review della letteratura sulla vitamina D in stati di salute e di malattia. Blake GM, Fogelman I. The clinical role of dual energy X-ray absorptiometry. Eur J Radiol 2009;71:406-14. Bogunovic L, Doyle SM, Vogiatzi MG. Measurement of bone density in the pediatric population. Curr Opin Pediatr 2009;21:77-82. Bonjour JP, Carrie AL, Ferrari S, et al. Calcium-enriched foods and bone mass growth in prepubertal girls: a randomized, double-blind, placebo-controlled trial. J Clin Invest 1997;99:1287-94. Bouillon R, Carmeliet G, Verlinden L, et al. Vitamin D and human health: lessons from vitamin D receptor null mice. Endocr Rev 2008;29:726-76. Cimaz R. Osteoporosis in childhood rheumatic diseases: prevention and therapy. Best Pract Res Clin Rheumatol 2002;16:397-409. Cimaz R, Stagi S. Managing Pediatric Osteoporosis. Int J Clin Rheumatol 2013;8:509-12. Cimaz R. Osteoporosis in childhood rheumatic diseases: prevention and therapy. Best Pract Res Clin Rheumatol 2002;16:397-409. Engelke K, Libanati C, Liu Y, et al. Quantitative computed tomography (QCT) of the forearm using general purpose spiral whole-body CT scanners: accuracy, precision and comparison with dual-energy X-ray absorptiometry (DXA). Bone 2009;45:110-8. Frost HM. Bone “mass” and the “mechanostat”: a proposal. Anat Rec 1987;219:1-9. Gunter KB, Almstedt HC, Janz KF. Physical activity in childhood may be the key to optimizing lifespan skeletal health. Exerc Sport Sci Rev 2012;40:13-21. * Sottolinea l’importanza dell’attività fisica come fattore benefico sulla salute ossea durante l’età evolutiva. Holick MF, Binkley NC, Bischoff-Ferrari HA, et al. Evaluation, treatment, and prevention of vitamin D deficiency: an Endocrine Society clinical practice guideline. J Clin Endocrinol Metab 2011;96:1911-30. Johnston CC Jr, Miller JZ, Slemenda CW, et al. Calcium supplementation and increases in bone mineral density in children. N Engl J Med 1992;327:82-7. Kelly PJ, Twomey L, Sambrook PN, et al. Sex differences in peak adult bone mineral density. J Bone Miner Res 1990;5:1169-75. Lamberg-Allardt C. Vitamin D in children and adolescents. Scand J Clin Lab Invest Suppl 2012;243:124-8. Lewiecki EM, Gordon CM, Baim S, et al. International Society for Clinical Densitometry 2007 Adult and Pediatric Official Positions. Bone 2008;43:1115-21. ** Linee guida ufficiali della Società Internazionale di Densitometria. Lum CK, Wang MC, Moore E, et al. A comparison of calcaneus ultrasound and dual X-ray absorptiometry in healthy North American youths and young adults. J Clin Densitom 1999;2:403-11. Ma NS, Gordon CM. Pediatric osteoporosis: where are we now? J Pediatr 2012;161:983-90. * Recente ottima review su osteoporosi pediatrica. Matkovic V, Fontana D, Tominac C, et al. Factors that influence peak bone mass formation: a study of calcium balance and the inheritance of bone mass in adolescent females. Am J Clin Nutr 1990;52:878-88. Matkovic V, Fontana D, Tominac C, et al. Factors that influence peak bone mass formation: a study of calcium balance and the inheritance of bone mass in adolescent females. Am J Clin Nutr 1990;52:878-88. Michigami T. [Regulation and disorders of calcium and phosphate metabolism]. Clin Calcium 2014;24:169-75. Naylor K, Eastell R. Bone turnover markers: use in osteoporosis. Nat Rev Rheumatol 2012;8:379-89. ** Importanza e ruolo dei marker di rimodellamento osseo nell’osteoporosi. Ott SM. Attainment of peak bone mass. J Clin Endocrinol Metab 1990;71:1082A1082C. Prentice A. Vitamin D deficiency: a global perspective. Nutr Rev 2008;66:S15364. Recker RR, Davies KM, Hinders SM, et al. Bone gain in young adult women. JAMA 1992;268:2403-8. Simonini G, Cimaz R, Falcini F. Usefulness of bone ultrasound techniques in pediatric rheumatic diseases. J Rheumatol 2005;32:198-9. Stagi S, Cavalli L, Iurato C, et al. Bone metabolism in children and adolescents: main characteristics of the determinants of peak bone mass. Clin Cases Miner Bone Metab 2013;10:172-9. Stark C, Hoyer-Kuhn H, Knoop K, et al. [Secondary forms of osteoporosis: Special features of diagnostics in childhood and adolescence]. Z Rheumatol 2014;73:335-41. Turner JG, Gilchrist NL, Ayling EM, et al. Factors affecting bone mineral density in high school girls. N Z Med J 1992;105:95-6. van Kuijk C. Pediatric bone densitometry. Radiol Clin North Am 2010;48:623-7. Ward KA, Das G, Roberts SA, et al. A randomized, controlled trial of vitamin D supplementation upon musculoskeletal health in postmenarchal females. J Clin Endocrinol Metab 2010;95:4643-51. Welten DC, Kemper HC, Post GB, et al. A meta-analysis of the effect of calcium intake on bone mass in young and middle aged females and males. J Nutr 1995;125:2802-13. Winzenberg T, Powell S, Shaw KA, et al. Effects of vitamin D supplementation on bone density in healthy children: systematic review and meta-analysis. BMJ 2011;342:c7254. ** Meta-analisi sull’utilità della vitamina D per aumentare la massa ossea in soggetti sani di età pediatrica. Winzenberg TM, Powell S, Shaw KA, et al. Vitamin D supplementation for improving bone mineral density in children. Cochrane Database Syst Rev 2010;(10):CD006944. Zemel BS. Human biology at the interface of paediatrics: measuring bone mineral accretion during childhood. Ann Hum Biol 2012;39:402-11. Zemel BS. Quantitative computed tomography and computed tomography in children. Curr Osteoporos Rep 2011;9:284-90. ** Ruolo della tomografia computerizzata nella diagnostica e follow-up dell’osteoporosi giovanile. Corrispondenza Rolando Cimaz, AOU Meyer, viale Pieraccini 24, 50139 Firenze. Tel. +39 055 5662924. Email: [email protected] 160 Cardiologia Pediatrica Torna in questo numero di Prospettive in Pediatria, dopo alcuni anni, la sezione dedicata alla Cardiologia Pediatrica. Gli straordinari risultati ottenuti negli ultimi 30 anni nella diagnosi e nella terapia delle cardiopatie congenite hanno contribuito a ridurre drasticamente la mortalità neonatale e pediatrica di queste malformazioni, che nei centri altamente specializzati è attualmente inferiore al 5%. In questo campo sono certamente da attendersi ulteriori nuovi progressi nelle strumentazioni diagnostiche, nelle tecniche e nei materiali cardiochirurgici e interventistici finalizzati ad un ulteriore miglioramento dei risultati, ma è piuttosto evidente che al momento i contribuiti più originali provengono dai settori che precedono e che seguono la fase diagnostica e curativa. In accordo a ciò, la sezione si apre con una revisione completa della recente letteratura scientifica, seguita da un’articolo sulle cause genetiche delle cardiopatie e da una messa a punto sul follow-up in età evolutiva e l’idoneità fisico-sportiva degli adolescenti con cardiopatia congenita. Con il primo articolo Gianfranco Butera e i suoi collaboratori ci mettono a disposizione un’accurata ed esauriente revisione critica dei più rilevanti contributi scientifici apparsi in letteratura negli ultimi 5 anni. Vengono riportate le novità riguardo la cardiologia fetale, la genetica, le malattie pediatriche con coinvolgimento cardiaco, i bio-markers, l’imaging, l’emodinamica interventistica, la cardiochirurgia e le cardiopatie congenite nell’adulto. Interessante, inoltre, l’ultimo paragrafo che riporta le recenti prospettive di terapie non convenzionali e innovative. Nel secondo articolo Cristina Digilio presenta un’ampia e dettagliata revisione sulle cause genetiche a oggi conosciute delle cardiopatie congenite. Si analizzano le cardiopatie in associazione a tutte le sindromi genetiche, sia quelle dovute a difetti cromosomici, incluse le microanomalie, che quelle dovute a mutazioni geniche. Vengono inoltre illustrate le anomalie genetiche rilevate anche nel sottogruppo numericamente significativo delle cardiopatie congenite sporadiche non sindromiche. Nel capitolo le varie cardiopatie sono inquadrate seguendo la classificazione morfogenetica di Ed Clark, assai utile per inquadrare in termini di patogenesi i difetti congeniti cardiaci. Le implicazioni cliniche delle recenti scoperte scientifiche nel campo della genetica sono quelle che più interessano il medico specialista e vengono in questo articolo sottolineate in termini di classificazione, di diagnosi, di approccio multidisciplinare e di prognosi chirurgica. Nel terzo articolo Berardo Sarubbi chiarisce quali sono le tendenze attuali della letteratura e delle società scientifiche al fine di facilitare l’attività fisica ed eventualmente lo sport agonistico nei pazienti portatori di cardiopatia congenita in storia naturale o nel post-operatorio. Visto che, come dicevamo, gli attuali risultati cardiochirurgici garantiscono, nei centri di alto livello una sopravvivenza nella grandissima maggioranza dei pazienti con cardiopatie congenite, è importante ora concentrarsi anche sulla loro sopravvivenza a distanza, sulla loro qualità di vita e sul loro inserimento sociale. L’attività fisica e sportiva è una componente fondamentale per il benessere fisico e psicologico di tutta la popolazione, ma anche di questi pazienti cardiopatici, sia in età pediatrica evolutiva sia in età adolescenziale. Un accurato studio cardio-respiratorio è prerequisito essenziale per valutare le condizioni cardiache e la risposta allo sforzo e per rilasciare un’eventuale idoneità alla attività ludico-addestrativa o alla attività sportivo-agonistica. Alcune linee guida basate sul tipo di cardiopatia e sull’intervento eseguito sono al riguardo utilissime, ma, come Sarubbi ricorda nel suo articolo, solo una valutazione individuale del singolo soggetto potrà portare a un’indicazione responsabile riguardo all’attività fisica e/o sportiva. In conclusione questa sezione di Prospettive in Pediatria dedicata alla Cardiologia evidenzia problematiche importanti del settore e risulterà utile per la conoscenza e per l’aggiornamento dei nostri lettori. Bruno Marino Dipartimento di Pediatria, La Sapienza, Roma 161 Luglio-Settembre 2014 • Vol. 44 • N. 175 • Pp. 162-172 CARDIOlogia pediatrica News and updates in Cardiologia Pediatrica: revisione della letteratura dal 2008 al 2013 Silvia Chiapedi, Savina Mannarino, Gianfranco Butera* Cardiologia Pediatrica, Fondazione IRCCS Policlinio S. Matteo, Pavia; * Cardiologia pediatrica e cardiopatie congenite dell’adulto, Policlinico San Donato IRCCS, San Donato Milanese Sommario I progressi scientifici hanno portato negli ultimi anni a considerare nuove prospettive diagnostiche e terapeutiche nell’ambito della Cardiologia Pediatrica dall’epoca perinatale all’età adulta: 1 In epoca fetale è possibile uno screening cardiologico precoce già a partire dalla 12°-14° settimana. Le tecniche di interventistica fetale eseguite sotto guida ecografica nel secondo trimestre di gravidanza hanno dato il via a tentativi di terapia in utero di alcune cardiopatie congenite. 2 I meccanismi genetici, epigenetici ed ambientali responsabili delle cardiopatie congenite sono ancora oggi poco conosciuti. Nuove avanzate tecniche applicate allo studio della genetica hanno accelerato la scoperta di geni candidati e meccanismi patogenetici alla base di alcune cardiopatie congenite sporadiche e delle più comuni modalità di presentazione. 3 La patologia cardiaca acquisita nella popolazione pediatrica si esplica con vecchi problemi e nuove emergenze: alla “vecchia” malattia reumatica non ancora sconfitta si affiancano patologie croniche coronariche e secondarie a tossicità terapeutica nel paziente oncologico. 4 Le nuove tecniche di imaging non invasivo consentono uno studio più accurato del ventricolo destro grazie all’integrazione dei dati ottenuti da più metodiche. 5 Sono disponibili, i risultati di interessanti studi di follow-up in pazienti sottoposti ad interventi cardiochirurgici o a tecniche di cardiologia interventistica nelle principali cardiopatie congenite. 6 Lo sviluppo della tecnologia ha portato all’applicazione in età pediatrica di nuovi device per l’assistenza ventricolare. Sono nate procedure ibride che associano contemporaneamente tecniche cardiochirurgiche e interventistiche. Summary Scientific progress led in the last years to consider new diagnostic and therapeutic approaches in the field of pediatric cardiology from the perinatal age to adulthood: 1 Thanks to the technological advancement of the ultrasound imaging systems, today it is possible to have early fetal cardiovascular imaging starting at 14 weeks. Through the development of minimally invasive techniques image-guided foetal interventional therapy may improve the outcome of some congenital heart disease (CHD). 2 The precise genetic, epigenetic or environmental basis for CHD in humans remains poorly understood. The advent of contemporary genomic technologies are accelerating the discovery of genetic causes of CHD. Importantly, these approaches enable study of sporadic cases, the most common presentation of CHD. 3 The acquired heart disease in the pediatric population shows old problems and new emergencies: the not yet defeated “old” rheumatic disease alongside with the acquired coronary disease and cardiovascular disease due to cardiotoxicity after childhood cancer. 4 Important progress in the fields of non-invasive imaging techniques allows a more careful study of the right ventricle. 5 Improvements of cardiac surgery and interventional catheterization results in the correction of complex cardiac defects: we present the results of interesting follow up studies. 6 Technical research brought to the development of a pediatric specific ventricular assist device. New hybrid procedures combine surgical and interventional techniques. Introduzione Lo scopo di questo articolo è dare ai lettori una overview ragionata dei principali lavori della letteratura nel campo della cardiologia pediatrica nel periodo 2009-2014. In particolare verranno affrontate le seguenti tematiche: cardiologia fetale, genetica, problematiche pediatriche con coinvolgimento cardiologico, biomarkers, imaging non invasivo, emodinamica interventistica, cardiochirurgia, terapie ibride, cardiopatie congenite dell’adulto, news. Nel sottocapitolo “problematiche pediatriche con coinvolgimento cardiologico” verranno riportati i lavori che riguardano il coinvolgimento cardiologico di patologie sistemiche quali Kawasaki e malattia reumatica, e quello secondario a trattamenti anti-tumorali. 162 Infine nel sottocapitolo “news” cercheremo di riportare i lavori più innovativi che a nostro avviso aprono nuove possibili evoluzioni nell’ambito della nostra specialità. Metodologia della ricerca bibliografica La ricerca bibliografica è stata effettuata tramite il sito internet Pubmed (http://www.ncbi.nim.nih.gov/entrez) indicando parole chiave riguardanti la cardiologia pediatrica: prenatal diagnosis of CHD, fetal cardiac intervention, genetics of CHD, acquired heart disease in children, acquired coronary disease in children, biomarkers, echocardiography, cardiovascular imaging, cardiac surgery of CHD, catheterization, hybrid procedures, pediatric ventricular assist device. Novità in cardiologia e cardiochirurgia pediatrica Il periodo preso in considerazione è stato quello che va dall’1/1/2009 al 15/03/2014. La scelta degli articoli, pur essendo soggettiva, è stata guidata dall’importanza delle casistiche presentate. Cardiologia Fetale L’identificazione delle cardiopatie congenite nella vita fetale offre molti vantaggi, tra cui un adeguato counseling familiare e la pianificazione del luogo della nascita in centri di terzo livello dove il neonato può essere adeguatamente stabilizzato. I dati sui potenziali benefici di una diagnosi prenatale in termini di mortalità e morbilità a distanza sono ancora controversi. Lo studio di Oster del 2014 dimostra che sebbene non sia ancora possibile evidenziare chiaramente una riduzione della mortalità postnatale, i neonati con diagnosi prenatale ottengono una migliore stabilizzazione preoperatoria e una riduzione di morbilità in termini di ipossiemia, acidosi metabolica e necessità di supporto ventilatorio invasivo. Un campo di interesse negli ultimi anni è rappresentato dai progressi tecnologici che hanno permesso di sviluppare nuove metodiche ecocardiografiche come l’imaging 3D e 4D. I vantaggi sono principalmente rappresentati dalla possibilità di visualizzare l’immagine su più piani ortogonali, di ottenere piani non tradizionali su scelta specifica dell’operatore e di trasmettere le immagini tramite telemedicina da centri periferici a centri ad alta specializzazione. Il valore aggiunto di questa metodica in termini di accuratezza diagnostica per alcuni difetti cardiaci mal visualizzabili all’esame 2D sembra tuttavia ancora basso e quantificato intorno al 6%. Ulteriori miglioramenti tecnologici permetteranno in futuro di aumentarne la sensibilità diagnostica (Rogers et al., 2013). Un’altra novità è rappresentata dalla possibilità di uno screening cardiologico precoce, a partire dalla 12°-14° settimana di età gestazionale per via trans addominale. Tale metodologia d’esame è attualmente applicata nelle donne ad alto rischio e in quelle con storia di precedenti figli affetti da cardiopatie congenite. È stato dimostrato che un’ecografia precoce identifica la maggior parte delle cardiopatie congenite complesse con un’alta specificità (96-98%) e una buona sensibilità (70%). Esiste tuttavia la possibilità che alcune cardiopatie sfuggano alla diagnosi precoce sia per la loro evolutività sia per le loro caratteristiche (difetti interventricolari anche ampi, anomalie dell’arco aortico e coartazione aortica, tetralogia di Fallot, stenosi della polmonare, canali atrioventricolari parziali e ritorno venoso anomalo totale). Per tale motivo l’esame deve essere comunque ripetuto tra la 18° e la 22° settimana (ecografia convenzionale). In futuro l’aumentata richiesta di effettuare uno screening precoce, potenzialmente estendibile a tutta la popolazione, renderà necessario il miglioramento della capacità diagnostica dei singoli operatori nonché lo sviluppo e la diffusione di apparecchi ecografici con tecnologia adeguata. Lo studio più accurato dell’evoluzione delle cardiopatie congenite ha dato da tempo l’avvio a nuove procedure terapeutiche in utero. Alcuni recenti articoli descrivono lo stato dell’arte sull’utilizzo di tecniche di interventistica fetale. Esse vengono eseguite sotto guida ecografica per via percutanea nel secondo trimestre di gravidanza, con puntura dell’addome e dell’utero materno e accesso diretto al ventricolo sinistro o destro del feto per via transtoracica. Come ben illustrato dagli articoli del gruppo di Boston (McElhinney et al 2010) e del gruppo di Parigi (VanAerschot et al., 2011) l’intento è mirato a prevenire cambiamenti irreversibili strutturali secondari al ridotto flusso nelle cardiopatie a prognosi molto severa. Le tre indicazioni attualmente accettate includono la valvuloplastica aortica con palloncino per la prevenzione dello sviluppo del cuore sinistro ipoplasico, la valvuloplastica dell’arteria polmonare per la prevenzione del cuore destro ipoplasico e l’atriosettostomia con palloncino per migliorare l’outcome nei pazienti con cuore sinistro ipoplasico e setto interatriale intatto o altamente restrittivo. Il rischio di morte fetale legato alla procedura, stimato tra il 5,5 e il 6,5%, sebbene non sia trascurabile è eticamente accettato poichè comunque inferiore al rischio di morte naturale pre- e post-natale. Altre complicanze sono una combinazione di bradicardia e disfunzione ventricolare di severità variabile, l’emopericardio e il parto prematuro. A questo proposito un promettente approccio interventistico sembra essere il cateterismo cardiaco anterogrado per via transepatica che permette di accedere alla porzione sottodiaframmatica dei vasi fetali evitando la puntura ventricolare. Attualmente applicato nei feti di pecora, ha mostrato un ridotto rischio di complicanze (Boudjemline et al., 2010). La procedura prenatale infine non può essere considerata risolutiva, poiché tutti i neonati dopo la nascita necessiteranno di altre procedure e/o interventi di correzione. McElhinney nel 2010 sottolinea l’importanza di definire precisi criteri ecocardiografici in grado di identificare i feti che più probabilmente otterranno un beneficio postnatale da queste metodiche. Un esempio è rappresentato dalla valvuloplastica aortica poichè, nonostante il successo della procedura, è talora difficile prevedere se dopo la nascita il neonato andrà incontro a una correzione di tipo bi ventricolare o univentricolare. Ad ogni modo, gli sviluppi futuri della terapia interventistica fetale potranno portare ad una riduzione della mortalità e morbilità di neonati considerati fino a poco tempo fa incurabili. Genetica delle cardiopatie congenite Le cardiopatie congenite rappresentano l’anomalia congenita più comune nei neonati. Nonostante siano state studiate attraverso modelli sperimentali animali e studi di embriologia sulla differenziazione e la morfogenesi cardiaca, restano ancora poco conosciuti i meccanismi genetici, epigenetici o su base ambientale responsabili di tali malformazioni. Per lo studio dei geni candidati, nei decenni precedenti le ricerche si sono concentrate sulle rare famiglie in cui era evidente una trasmissione mendeliana. Mutazioni familiari possono essere trasmesse in forma autosomica dominante, recessiva o X-linked ma esprimersi con un’ elevata variabilità sia clinica che di penetranza. Questo documenta l’elevata eterogeneità genetica delle cardiopatie congenite. Due sono i concetti principali: mutazioni in geni diversi possono causare un’identica malformazione, poiché esiste una grande interdipendenza delle molecole coinvolte nello sviluppo cardiaco; un’identica mutazione genetica può per contro generare malformazioni cardiache diverse, poiché influenze dell’ambiente materno-fetale, della biomeccanica cardiaca o di altri fattori possono modificarne l’espressione. Questa interessante review di Fahed et al., 2013 descrive nel dettaglio lo stato dell’arte e sottolinea come l’avvento di nuove tecnologie di genomica quali ‘SNP arrays’, ‘next-generation sequencing’ e ‘CNV platforms’ sia in grado di ampliare le nostre conoscenze sulla complessa architettura genetica delle cardiopatie anche quando si manifestano in forma sporadica. La tetralogia di Fallot (TOF) è la più comune malformazione congenita severa del cuore. Nel 70% dei casi si presenta sporadicamente, non associata ad altre anomalie e senza una causa apparente. Nel 15% e nel 7% dei casi invece si associa rispettivamente a microdelezione del cromosoma 22q11.2 (sindrome di DiGeorge) e a trisomia 21 (sindrome di Down). In tali casi la cardiopatia è frequentemente associata ad altre multiple anomalie non cardiache. Una percentuale di TOF può presentarsi inoltre nel contesto di infezioni prenatali, 163 S. Chiapedi, S. Mannarino, G. Butera esposizione a teratogeni, malattie materne quali il diabete. Possono essere responsabili di tale cardiopatia anche mutazioni, trasmesse con modalità dominante, che alterano il dosaggio di un gene: l’aploinsufficienza di geni che codificano per fattori di trascrizione cardiaci (NKX2.5, TBX1, TBX5, GATA4 ZFMP2/FOG2 FOXH1) o di geni coinvolti nei segnali di trasduzione (NOTCH1, JAG1) CFC1, TDGF1, GDF1 e NODAL1 possono causare TOF. Tuttavia, più comunemente, mutazioni in questi geni producono anche altre malformazioni cardiache. Un interessante studio di Greenway et al. pubblicato nel 2009, partendo dall’ipotesi che mutazioni de novo in grado di alterare il dosaggio di geni coinvolti nello sviluppo cardiaco, possano spiegare forme isolate non sindromi che di TOF, ha analizzato attraverso un “genome-wide survey” 114 soggetti con TOF non sindromica e i loro genitori sani. Tale metodica ha permesso di scoprire 11 “de novo copy number variants (CNVs)” assenti o estremamente rare (< 0,1%) in 2.265 controlli. Questa metodica evidenzia microdelezioni e microduplicazioni non rilevabili con le metodiche standard. Nell’1% (p = 0,0002, OR = 22,3) dei casi sporadici non sindromici di TOF sono stati identificati CNVs a livello del cromosoma 1q21.1. Altri cromosomi in cui ricorrevano CNVs erano: 3p25.1, 7p21.3 e 22q11.2. In un singolo caso di TOF CNVs erano presenti contemporaneamente in sei loci, due dei quali codificavano geni noti per tale malattia (NOTCH1, JAG1). In sintesi il lavoro ha rivelato microalterazioni genetiche in circa il 10% dei casi di TOF sporadica non sindromica e ha definito sette nuovi loci che aumentano notevolmente il rischio per TOF sporadica, non sindromica (odds ratio ≥ 8,9). Alcuni di tali loci sono grandi (> 100 kb) e tre loci hanno penetranza incompleta. Infine questo studio ha aperto la strada alla scoperta di mutazioni in alcuni geni responsabili di casi sporadici di TOF. De Luca et al. nel 2011 ha individuato una nuova mutazione nel gene ZFPM2/FOG2 sia in casi di TOF che di doppia uscita da ventricolo destro e una mutazione missenso (Arg25Cys) nel gene NKX2.5. Valentina Guida et al. nel 2011 ha dimostrato il coinvolgimento del gene JAG1 e nel 2013 ha identificato un altro gene candidato: il gene GJA5 che codifica una proteina cardiaca a livello delle gap junction (connessina 40) localizzato sul cromosoma 1q21.1 Tutti questi studi confermano ancora una volta la grande eterogeneità genetica di questa grave malformazione cardiaca. Un altro interessante studio di Versacci et al., 2011 riguarda la trasposizione dei grossi vasi (TGA), cardiopatia caratterizzata da discordanza ventricolo arteriosa (l’aorta origina dal ventricolo destro e la polmonare dal ventricolo sinistro). In tale cardiopatia i due vasi di efflusso decorrono paralleli senza segni di spiralizzazione. Normalmente la TGA veniva classificata come un difetto troncoconale ma studi recenti suggeriscono di includerla nelle anomalie della lateralizzazione. Nel cuore la morfologia normale è frutto di complessi fenomeni di rotazioni e spiralizzazioni dei segmenti cardiaci e dei relativi campi cardiaci. Questi fenomeni sono regolati da numerosi geni, solo in parte noti. La simmetria sinistro-destra degli organi interni è una caratteristica fondamentale non solo dell’uomo, ma anche di molti animali inclusi i vertebrati. Nell’uomo alterazioni di queste simmetrie determinano cardiopatie congenite molto severe e associate ad altri difetti extracardiaci, come le eterotassie con asplenia (isomerismo destro) o con polisplenia (isomerismo sinistro). Partendo dall’osservazione dei casi di eterotassia, gli Autori hanno notato similitudini fenotipiche tra il pattern spirale normale del cuore umano, destro-ruotato (D-loop embriologico) e quello della maggior parte delle conchiglie che presentano un guscio al pari destro-ruotato. Pazienti con situs inversus mostrano un pattern sinistro-ruotato dei grossi vasi come in una minoranza di queste conchiglie. Le analogie 164 tra il cuore umano e il guscio delle conchiglie hanno suggerito un meccanismo genetico comune ad entrambi, che coinvolge “Nodal”, gene architetto che sovrintende la spiralizzazione. Tale gene è un “transcription growth factor” della famiglia del TGF-ß. Negli uomini sono state identificate mutazioni del gene Nodal non solo in bambini con eterotassia, ma anche in quelli con forme sporadiche e familiari di TGA. Questi autori hanno mostrato che l’inibizione farmacologica del pathway Nodal produce nelle conchiglie gusci non spiralizzati che ricordano il fenotipo non spirale delle grosse arterie nella TGA. Questo supporterebbe l’ipotesi di inserire questa cardiopatia nei difetti di lateralizzazione. Problematiche pediatriche con coinvolgimento cardiologico La patologia cardiaca acquisita nella popolazione pediatrica si esplica con vecchi problemi e nuove emergenze. Alla “vecchia” malattia reumatica, non ancora sconfitta ma sempre in auge per la variabilità di presentazione, si affiancano le patologie da lesioni coronariche acquisite o da cardiotossicità nel paziente pediatrico oncologico sopravvissuto. La malattia reumatica resta una delle principali patologie prevenibili nel mondo e a tutt’oggi una delle maggiori cause di morte nei paesi in via di sviluppo e sporadicamente nei paesi industrializzati. La cardite reumatica è target di programmi di screening storicamente affidati al riscontro di soffio cardiaco. Nell’ultimo decennio si è reso evidente che l’utilizzo della sola auscultazione sottostima la prevalenza di malattia ed è nato il concetto di cardite reumatica subclinica, caratterizzata dalla presenza di anomalie ecocardiografiche strutturali o funzionali in assenza di soffio cardiaco patologico. Grazie allo sviluppo e alla diffusione negli ultimi 5 anni di ecocardiografi portatili, gli sforzi attuali sono volti a identificare tramite protocolli “fast” le forme subcliniche delineando nuovi criteri standardizzati diagnostici e di screening. (Roberts et al., 2012; Remenjii et al., 2013; Marijon et al., 2012). La World Heart Federation ha pubblicato nel 2012 precisi criteri diagnostici ecocardiografici da valutare in associazione ai dati clinico-anamnestici del singolo paziente ed ai dati epidemiologici. Il ruolo prognostico delle lesioni valvolari silenti resta tuttavia un problema aperto poiché sono necessari studi che dimostrino che tali lesioni evolveranno in patologia conclamata in assenza di profilassi secondaria. (Reményi B et al., 2012) La patologia coronarica acquisita, tipica dell’età adulta, ha un impatto sempre crescente anche all’interno della popolazione pediatrica. La malattia di Kawasaki rappresenta la prima causa di lesione acquisita coronarica con un’incidenza nei pazienti affetti attualmente intorno al 2-4%: questa popolazione è ad alto rischio di patologia ischemica e richiede follow-up per tutta la vita. (Eleftheriou D et al., 2013). Nuove tecniche ecocardiografiche (strain, speckle tracking), da affiancare alla più tradizionale ecocardiografia del tratto prossimale delle coronarie, hanno migliorato l’approccio allo studio della funzione miocardica. La necessità di follow-up è evidente nei pazienti con aneurismi giganti ad alto rischio di stenosi e occlusione, mentre meno chiaro è il protocollo per seguire l’outcome di tutti gli altri pazienti (aneurismi di piccole/medie dimensioni, aneurismi che vanno incontro a regressione e pazienti senza coinvolgimento coronarico in acuto) poiché infiammazione subclinica, ispessimento dell’intima e altri fattori quali l’alterazione del profilo lipidico possono aumentare il rischio di patologia cardiovascolare ed aterosclerosi in età adulta. (Manhliot et al., 2013) Interessante il dato riportato da Daniels nel 2012: tra i giovani adulti sotto i 40 anni sottoposti Novità in cardiologia e cardiochirurgia pediatrica a coronarografia per sospetto infarto miocardico: una percentuale del 5% presentava aneurismi correlati a malattia di Kawasaki. Nell’ambito delle cardiopatie congenite lo studio delle coronarie è particolarmente utile in pazienti sottoposti ad intervento di correzione di trasposizione dei grossi vasi con switch arterioso che prevede il reimpianto delle arterie coronarie. Sebbene le complicanze coronariche siano più frequenti entro il primo anno dalla procedura, nel 3-10% dei casi possono comparire lesioni tardive, causa anche di morte improvvisa. Un potenziale rischio di compressione coronarica è inoltre presente in pazienti che necessitano procedure interventistiche sul tratto di efflusso del ventricolo destro (come ad es. la sostituzione percutanea della valvola polmonare). La vasculopatia coronarica post-trapianto, caratterizzata da una proliferazione concentrica dell’intima che ostruisce diffusamente il lume del vaso, è la causa più comune di rigetto nei bambini sottoposti a trapianto cardiaco. La diagnosi di questa complicanza è molto difficile poiché la denervazione simpatica impedisce l’espressione dei classici sintomi anginosi. Il suo precoce riconoscimento è fondamentale per un adeguato regime immunospressivo. Tradizionalmente lo studio della patologia coronarica si avvaleva della sola angiografia. Di estrema attualità la ricerca e il potenziamento di metodiche di imaging non invasive: un interessante lavoro (Ou et al., 2013), discute il ruolo complementare di Topografia Computerizzata (TC) e Risonanza Magnetica Nucleare (RMN). Tali metodiche permettono di studiare con maggior accuratezza il decorso dei vasi in relazione alle strutture adiacenti e grazie alle ricostruzioni tridimensionali forniscono dati aggiuntivi sul potenziale meccanismo di compromissione coronarica. La TC ha inoltre elevato valore predittivo negativo e fornisce un’ottima valutazione del lume coronarico. La RMN ha il vantaggio di non esporre il bambino a radiazioni e fornisce dati funzionali complementari a quelli anatomici che possono indirizzare le decisioni terapeutiche. La scarsa compliance in bambini di età < 5-7 anni, che a volte necessitano di terapia betabloccante per ridurre l’elevata frequenza cardiaca, costituisce ancora oggi un limite alla piena applicazione di tale imaging. Tra i problemi emergenti nell’ambito della patologia cardiaca acquisita ha sempre maggior rilievo quella oncologica pediatrica, poiché il miglioramento delle cure ha aumentato la sopravvivenza ma ha svelato gli effetti a lungo termine delle terapie cardiotossiche. L’incidenza di patologia cardiaca acquisita in questa popolazione è significativamente maggiore rispetto alla popolazione generale. Nei 30 anni successivi alla diagnosi più del 7% di loro svilupperà uno scompenso cardiocircolatorio. (Harake D et al., 2012). I meccanismi patogenetici legati allo sviluppo di cardiomiopatia dilatativa da tossicità da antracicline non sono ancora oggi completamente chiariti. Oltre al dimostrato effetto cumulativo dose dipendente sono emersi altri fattori predittivi negativi: minore età all’inizio del trattamento, durata dello stesso, sesso femminile, comparsa di scompenso o rialzo dei valori di Troponina T o proNTBNP in corso di terapia. Al contrario il pretrattamento con dexrazoxano, agente chelante il ferro, il cui impiego è approvato nella popolazione adulta, sembra avere un effetto protettivo. L’utilizzo di biomarkers e di markers ecocardiografici può aiutare nel monitoraggio clinico e nella diagnosi precoce di disfunzione cardiaca e permettere un trattamento farmacologico in fase preclinica. I farmaci attualmente in uso sono i betabloccanti e gli ACE-inibitori. Il carvedilolo, antagonista beta-adrenergico con effetto vasodilatatore è un potente antiossidante, Captopril ed Enalapril sono utilizzati come coadiuvanti per ridurre lo stress ossidativo da chemioterapia e la produzione di radicali liberi e per bloccare l’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone. (Lipshultz e Adams, 2014). Negli ultimi anni si è chiarito il ruolo di altri agenti cardiotossici: lo studio di Tukenova ha dimostrato che anche dosi radianti inferiori a 35-40 Gy a livello mediastinico (es. linfoma di Hodgking) sono associate ad un aumento della mortalità. La terapia radiante induce più frequentemente una cardiomiopatia di tipo restrittivo, tipicamente associata a disfunzione diastolica piuttosto che sistolica del ventricolo sinistro. È segnalata anche una maggiore incidenza di interessamento coronarico. Farmaci antitumorali come gli inibitori delle tirosin chinasi, sempre più in uso in età pediatrica, esercitano un effetto cardiotossico potenzialmente reversibile con meccanismo differente rispetto alle antracicline. Reversibile è anche la cardiotossicità indotta dalla carenza di vitamina D o deficit di ormoni tiroidei, sessuali e della crescita. Esiste una risposta individuale verosimilmente genetica/ epigenetica allo sviluppo di cardiotossicità. Nelle forme progressive il trapianto cardiaco, unica opzione terapeutica, mostra un outcome simile a quello dei pazienti senza storia di patologia tumorale ma a tutt’oggi non esistono ancora linee guida per la selezione dei pazienti. In questa popolazione pediatrica in crescita, esiste infine un rischio aggiuntivo cardiovascolare legato all’inattività fisica e allo sviluppo di sindrome metabolica con accelerazione dei fenomeni di aterosclerosi, dislipidemia (es. ipertrigliceridemia durante terapia con Asparaginasi), disfunzione endoteliale (iperomocistinemia associata a terapia con metotrexate), insulino-resistenza, ipertensione. Biomarkers Nell’adulto il dosaggio di biomarkers quali BNP e proNT-BNP (frammento N-terminale del pro-ormone) è affiancato routinariamente alla valutazione clinica per la diagnosi, la prognosi e la terapia delle malattie cardiologiche. Più esigui sono i dati relativi a popolazioni pediatriche. Un recente lavoro di Cantinotti pubblicato nel 2014 descrive il ruolo di questi biomarkers nel bambino con cardiopatia congenita o acquisita. In età pediatrica i valori normali variano con l’età: sono infatti molto alti nei primi 4 giorni di vita, diminuiscono progressivamente nel primo mese e restano stabili fino a 12 anni; dopo i 14 anni esistono differenze legate al sesso probabilmente per effetto degli ormoni steroidei. Anche condizioni non esclusivamente cardiologiche possono determinare dosaggi più elevati: in epoca neonatale gemellarità, diabete gestazionale, IUGR e prematurità; nelle età successive disordini endocrino-metabolici, patologie renali, epatiche ed infezioni. Tuttavia è dimostrato che in ambito cardiologico pediatrico, il loro dosaggio è utile come fattore predittivo di severità in diverse condizioni patologiche e per il monitoraggio della risposta terapeutica. Nelle cardiopatie con sovraccarico di volume i valori correlano positivamente con l’entità dello shunt sinistro-destro, (utili ad esempio nell’indicazione alla chiusura del Dotto di Botallo specie nei prematuri) e con il volume tele-diastolico del ventricolo sinistro. I biomarkers sono inoltre influenzati dall’aumento della pressione in arteria polmonare e/o delle resistenze vascolari polmonari. BNP e proBNP sono più elevati in caso di cardiopatie congenite complesse rispetto ai difetti semplici, in quelle con impegno ventricolare sinistro (sovraccarico di volume o pressione) rispetto all’impegno ventricolare destro e nei pazienti operati di Fontan classica rispetto a quelli con connessione cavo-polmonare totale. Più incerto il significato nel cuore univentricolare se morfologicamente destro o sinistro. Nei pazienti operati di tetralogia di Fallot fornisce un’informazione aggiuntiva per la correzione dell’ insufficienza della valvola polmonare in presenza di dilatazione del ventricolo destro. Anche nei pazienti cardiopatici congeniti adulti i livelli di BNP e proBNP a seconda del tipo di difetto, correlano con i parametri ecocardiografici e la capacità all’esercizio fisico. (Jannet et al., 2012) Il dosaggio dei biomarkers è molto utile nelle cardiomiopatie; esiste infatti una forte 165 S. Chiapedi, S. Mannarino, G. Butera correlazione con la riduzione della frazione di eiezione, la dilatazione del ventricolo sinistro e l’alterata funzione diastolica. Raggiungono valori molto elevati nelle forme dilatative e risultano un indice predittivo di severità nelle forme ipertrofiche indipendentemente dai parametri ecocardiografici. Ormai è riconosciuto il loro ruolo nel monitoraggio della tossicità da doxorubicina nel paziente oncologico e in quello talassemico con patologia da sovraccarico marziale. Studi recenti suggeriscono infine un ruolo prognostico del BNP nel paziente sottoposto a intervento cardochirurgico: esso correla con la durata della ventilazione meccanica, la degenza in terapia intensiva, la necessità di supporto con inotropi (Aĝirbaşli e Undar, 2012). Imaging non-invasivo Lo studio del ventricolo destro è spesso difficoltoso data la particolare anatomia tridimensionale di tale camera cardiaca. Durante gli ultimi anni, la struttura e la funzione ventricolare destra si sono dimostrate essere un’ importante determinante degli outcomes in diverse malattie cardiovascolari e polmonari. Inoltre la fisiologia restrittiva del ventricolo destro rappresenta un dato frequente nei soggetti con tetralogia di Fallot. Le caratteristiche del riempimemto ventricolare destro possono influenzare il riempimento ventricolare sinistro. Ahmad e coll (Ahmad et al., 2012) hanno dimostrato questo dato mediante analisi ecocardiografica di 112 pazienti con tetralogia di Fallot. In un ampio lavoro di review Valsangiacomo e Mertens (2012) riportano come attualmente l’integrazione dei dati ottenute con varie techniche ecocardiografiche, con la tomografia computerizzata multistrato e la risonanza magnetica cardiaca permettono di ottenere molte utili informazioni per la valutazione del ventricolo destro. La disfunzione ventricolare sinistra rappresenta un fattore di rischio importante associato con evoluzione clinica sfavorevole nei pazienti con tetralogia di Fallot. La torsione e lo strain del ventricolo sinistro rappresentano due metodiche ecocardiografiche per studiare in modo più approfondito la funzione ventricolare sinistra. Un gruppo di 29 pazienti con tetralogia di Fallot (Takayasu et al., 2011) presentava significative anomalie della torsion e dello strain, segni di una precoce anomalia della funzione ventricolare sinistra anche in pazienti senza segni di insufficienza cardiaca. Kirkpatrick (Kirkpatrick 2014) ha invece riportato una interessantissima review sull’utilità dell’ecocardiografia nell’ipertensione arteriosa in età pediatrica. In particolare l’autore discute le diverse tecniche disponibili, i vantaggi ed i limiti della metodica. Infine, Taylor et al. (2014) hanno confrontato l’accuratezza della risonanza magnetica post-mortem con l’autopsia convenzionale in 400 feti e bambini morti. La sensibilità e specificità per le patologie cardiovascolare erano rispettivamente 72,7% (95% CI 58,2-83,7) e 96,2% (95% CI 93,5-97,8). Allo scopo di individuare anomalie cardiologiche tale metodica rappresenta una valida alternativa all’autopsia convenzionale in feti e bambini. Altri studi riguardanti in particolare la RMN ed il follow-up di varie cardiopatie congenite sono riportati in altri capitoli. Cardiologia interventistica Negli ultimi anni l’emodinamica interventistica ha guadagnato uno spazio sempre maggiore nel trattamento di particolari difetti congeniti, quali l’impianto transcatetere della valvola polmonare, la coartazione aortica e i difetti interatriali. Numerose sono le pubblicazioni sui risultati a medio e lungo termine di tali procedure. Compaiono inoltre nuove indicazioni all’utilizzo di stent nei bambini più piccoli con cardiopatie congenite complesse. 166 Impianto trans catetere di valvola polmonare: l’insufficienza polmonare residua è una complicanza relativamente frequente nelle correzioni di cardiopatie con ostacolo/atresia del tratto di efflusso del ventricolo destro (es. tetralogia di Fallot, atresia polmonare con DIV, truncus arteriosus) e comporta negli anni lo sviluppo di una disfunzione ventricolare destra. È pertanto possibile che si renda necessario in età postpuberale un secondo intervento di correzione. L’impianto trans catetere di valvola polmonare rappresenta una tecnica di recente introduzione nella pratica clinica. I risultati del primo studio multicentrico prospettico che ha coinvolto 5 centri americani vengono presentati nel lavoro di Mc Elhinney et al. Dal gennaio 2007 all’agosto 2009, 124 pazienti di età media 19 anni sono stati sottoposti a cateterismo per impianto di valvola polmonare Melody. A un follow up medio di circa un anno i risultati mostravano che più del 90% dei pazienti aveva una valvola ben funzionante senza necessità di reintervento; il rigurgito polmonare era assente o al massimo residuava di grado lieve. Fattori di rischio per re-intervento erano rappresentati da un più alto gradiente residuo post-procedurale, da mancanza di pre-stenting e da una minore età del paziente al momento della procedura. Dati simili sono stati inoltre riportati anche in una recente casistica italiana (Butera et al., 2013). Le problematiche principali ancora aperte sono rappresentate dal rischio di compressione coronarica dovuta allo stent, dalla frattura dello stent nel follow-up e dall’endocardite batterica. Le prime due complicanze sono quasi sempre prevenibili con una corretta tecnica di valutazione pre-impianto e con la preparazione dell’area in cui deve essere impiantata la valvola polmonare mediante pre-stenting. Il rischio di sviluppo di endocardite batterica dopo impianto di Melody è stato valutato da uno studio prospettico multicentrico che ha coinvolto 311 pazienti in 3 maggiori trials americani (McElhinney et al., 2013). L’endocardite batterica era diagnosticata come forma ad esordio subacuto da 50 giorni a 4,7 anni dall’impianto (mediana 1.3 anni). La frequenza di un primo episodio di endocardite si attestava al 2,4% per anno per paziente ed era più probabilmente correlato all’impianto solo nello 0,88% dei casi. Di tutti i pazienti trattati con antibioticoterapia per via endovenosa 4 avevano necessitato dell’espianto valvolare, 2 erano stati sottoposti a un secondo reimpianto, 2 avevano sviluppato endocarditi ricorrenti e 2 pazienti erano deceduti. La coartazione aortica costituisce circa il 7% di tutte le cardiopatie congenite conosciute e lo 0,04 % di tutti i nati vivi: presenta un’ampia variabilità clinica ed anatomica (lesione discreta fino a severa ipoplasia dell’arco). Nelle forme complesse e nei primi anni di vita la correzione è chirurgica mentre nelle forme native dall’età preadolescenziale e nelle ricoartazioni si utilizza l’angioplastica con palloncino, associata eventualmente a posizionamento di stent o covered-stent. Il rischio di ricoartazione postchirugica (5-20% dei casi) ha portato nell’ultimo ventennio all’utilizzo dell’angioplastica con palloncino come terapia di prima scelta nelle ricoartazioni e nelle coartazioni native nella preadolescenza. Nonostante i buoni risultati a breve termine di questa metodica, recentemente si sono utilizzati stent che supportano la parete del vaso dopo la dilatazione e riducono il rischio di restenosi e lacerazione dell’intima. Quando possibile (adeguato diametro dei segmenti prestenotici) si utilizzano covered stent che evitano la formazione di aneurismi a distanza. Un recente lavoro di Ringel et al. (2013) riporta i risultati a breve termine (dalla dimissione a un mese dalla procedura) dello studio multicentrico COAST sull’utilizzo degli stent Cheatam-Platinum. Nei 105 pazienti (con peso non inferiore a 35 Kg) sottoposti a posizionamento di stent, non si sono verificati eventi fatali o complicanze serie. Solo nel 6% dei casi si è sviluppata ipertensione paradossa. In passato l’applicazione di covered-stent era limitata ai casi di aneu- Novità in cardiologia e cardiochirurgia pediatrica rismi aortici, di lunghi segmenti stenotici, di malattie infiammatorie e in caso di rottura di stent non ricoperti. Una recente review di Butera et al. (2012) estende il loro utilizzo anche ai pazienti a partire dai 20 Kg. Nell’ esperienza di questo Centro complicanze quali occlusioni dell’ostio della succlavia sinistra (vaso molto vicino all’area di coartazione) si sono verificate raramente (solo 2 casi su 200), senza conseguenze cliniche. Non ci sono stati casi di migrazione dello stent. Infine in letteratura è stato segnalato un solo caso di neoproliferazione intimale dello stent ricoperto. Analoghi dati sono stati riportati da Qureshi et al. (Sadiq et al., 2013). In questo lavoro i dati di follow up (medio 45,9 ± 3,9 mesi) hanno mostrato nei 57 pazienti trattati in età adolescenziale un significativo miglioramento della tolleranza all’esercizio, l’assenza di formazione di aneurismi e/o fratture dello stent e/o dissecazioni dell’aorta e una stabile riduzione della pressione arteriosa. Solo in 6 pazienti si è verificata una lieve ricoartazione senza indicazione al reintervento. Tutti questi dati supportano l’utilizzo dei covered stent spesso come prima scelta nel trattamento interventistico della coartazione aortica. Il difetto interatriale ostium secundum rappresenta la più frequente cardiopatia congenita, rappresentandone circa il 10%. La chiusura transcatetere dei difetti interatriali ostium secundum è una tecnica ormai entrata nella pratica clinica quotidiana, poiché circa il 90% di questi difetti può essere chiuso per via percutanea. Il device più utilizzato e per il quale esiste la maggiore esperienza è rappresentato dall’occlusore di Amplatzer. Di recente è stato segnalato un rischio di erosione delle pareti cardiache causata da questo device, (1 caso su circa 1-2000 impianti) con comparsa di versamento pericardico fino al possibile tamponamento cardiaco. Tale evenienza sembrerebbe legata all’utilizzo di device di misura superiore rispetto a quella stimata con lo stop-flow e a difetti caratterizzati dall’assenza del bordo aortico (Amin Z, 2014). La chiusura chirurgica dei difetti interatriali, alternativa all’impianto dei device, non è comunque scevra da rischi. Una recente meta-analisi e review sistematica (Butera et al., 2011) ha analizzato gli studi di confronto tra le due tecniche. Tredici studi sono stati inclusi per un totale di 3082 pazienti. Nel gruppo chirurgico è stato riportato un caso di decesso (0,08%; 95% C.I. 0-0,23%) e una maggiore incidenza di complicanze maggiori (adjusted OR: 5,4 (95% CI 2,96-9,84; p < 0,0001) e totali (adjusted OR: 3,81 (95% CI 2,7-5,36; p = 0,006). Altre applicazioni di cardiologia interventistica: le tecniche di emodinamica interventistica rappresentano sempre più una valida opzione terapeutica per la cura delle cardiopatie congenite anche nei bambini più piccoli. L’utilizzo dello stent del tratto di efflusso del ventricolo destro riguarda le cardiopatie congenite caratterizzate da normale emergenza dei vasi arteriosi, difetto interventricolare e severo restringimento del tratto di efflusso tale da determinare o una significativa desaturazione o una dotto-dipendenza del circolo polmonare. Inizialmente applicato a neonati di peso molto basso (shunt chirurgico ad alto rischio) o a pazienti cardiopatici con severe comorbidità, il suo utilizzo si è ampliato. Il gruppo di Birmingham (Stumper et al., 2013) ha pubblicato recentemente i dati di 52 pazienti raccolti dal 2005 al 2012 sottoposti a stenting del tratto di efflusso del ventricolo destro. I pazienti hanno mostrato un incremento medio della saturazione di ossigeno dal 71 al 92% al termine della procedura, non sono stati segnalati casi di aritmie ventricolari, blocco atrio-ventricolare, rigurgito aortico, ischemia miocardica da interessamento coronarico. La mortalità precoce è stata dell’1,9% (perforazione dell’arteria polmonare) e nel 5,7% dei casi è stato necessario ricorrere a chirurgia palliativa precoce (shunt di Blalock-Taussig). In 29/52 pazienti si è potuto ritardare la chirurgia riparativa,che in 26 casi è stata una completa riparazione. Questa metodica è stata utilizzata anche in neonati di peso infe- riore a 3 Kg e i risultati incoraggianti sono uno stimolo per lo sviluppo di nuovi kit interventistici disegnati su misura per neonati e prematuri Cardiochirurgia Riportiamo in questa sezione i più recenti articoli di metanalisi e follow up sulle principali cardiopatie congenite. Cuore sinistro ipoplasico: le cardiopatie caratterizzate da un ventricolo unico e ostruzione all’efflusso sinistro come il cuore sinistro ipoplasico sono ancora gravate da un’elevata mortalità. Un importante studio multicentrico americano pubblicato nel 2010 da Ohye et al. confronta in più di 500 neonati, i due interventi chirurgici utilizzati per garantire il flusso polmonare nel primo stadio di palliazione. La tecnica di shunt sistemico-polmonare di Blalock-Taussig (MBT) rispetto a quella che utilizza un condotto ventricolo destro-arteria polmonare (RVPA): quest’ultima ha il vantaggio di migliorare il flusso coronarico ma comporta una ventricolotomia. L’outcome primario era rappresentato dalla morte o dal trapianto a 12 mesi dalla randomizzazione. Sebbene la sopravvivenza libera da trapianto fosse maggiore nei pazienti sottoposti a RVPA (74% vs 64%), questa differenza non era più statisticamente significativa dopo 12 mesi; inoltre questo gruppo presentava un maggior numero di complicanze, anche chirurgiche, nel periodo di osservazione. L’analisi di questo trial ha fornito ulteriori dati relativi alla mortalità a breve termine e ai correlati fattori di rischio (Tabbutt et al., 2012). La mortalità complessiva durante l’ospedalizzazione e a 30 giorni dall’intervento era rispettivamente del 16% e del 11.5%. Fattori di rischio indipendenti erano il basso peso alla nascita, la presenza di anomalie genetiche, una più lunga durata dell’arresto di circolo in ipotermia profonda, l’utilizzo dell’ECMO (extracorporeal-membrane oxygenation) e il numero di giorni a sterno aperto dopo la procedura. Sebbene alcuni di questi fattori di rischio siano innati, altri sono potenzialmente modificabili e potrebbero migliorare in futuro l’outcome di questi pazienti. La coartazione aortica è una cardiopatia congenita frequente. La terapia chirurgica è sostanzialmente semplice e considerata risolutiva nelle forme standard; in realtà nonostante una correzione adeguata durante il follow-up può comparire ipertensione arteriosa. Il lavoro del gruppo di Rochester (Brown et al., 2013) ha valutato l’outcome a lungo termine (17,4 ± 13,9 anni fino a un massimo di 59,3 anni) di 819 pazienti con età media 17,2 ± 13,6 anni, operati di coartazione nativa dal 1946 al 2005. La frequenza attuariale di sopravvivenza era 93,3%, 86,4% e 73,5% rispettivamente a 10, 20 e 30 anni e la frequenza libera da reintervento era rispettivamente 96,7%, 92,2% e 89,4%. La sopravvivenza a lungo termine era negativamente influenzata da una maggiore età all’intervento (> 20 anni) e dalla presenza di ipertensione preoperatoria. Era comunque ridotta in tutti i pazienti operati se paragonati per sesso ed età al resto della popolazione. Lo sviluppo a 5-10 anni di distanza di ipertensione arteriosa era significativamente inferiore se i pazienti venivano operati a un’ età inferiore a 9 anni. La minore età all’intervento e la tecnica di anastomosi termino-terminale era indipendentemente associata a una più bassa frequenza di reintervento. Tetralogia di Fallot: i pazienti operati di tetralogia di Fallot che sviluppano un’insufficienza polmonare significativa possono essere sottoposti al reimpianto chirurgico della valvola polmonare. Una recente metanalisi pubblicata da Cavalcanti et al. nel 2013 analizza i possibili benefici legati a questo intervento chirurgico in 48 studi coinvolgenti 3118 pazienti. I risultati dimostrano un miglioramento dei sintomi soggettivi, della funzione e dei volumi del ventricolo destro, ma anche del ventricolo sinistro e una diminuzione della durata del QRS. È emerso che la geometria preoperatoria del ventricolo destro modula 167 S. Chiapedi, S. Mannarino, G. Butera l’efficacia della sostituzione valvolare. Migliori risultati postoperatori si osservano quanto più ampio è il volume telediastolico preoperatorio del ventricolo destro, anche se esso non correla con il miglioramento dei sintomi soggettivi. La mortalità a breve termine (30 giorni) e a 5 anni è molto bassa, ma sono troppo scarsi i dati di mortalità a 10 anni per consigliare un atteggiamento più aggressivo (sostituzione precoce) in questa patologia. Poiché comunque nei soggetti con tetralogia di Fallot esiste un rischio più elevato di mortalità e morbidità postoperatoria, un recente studio di Valente et al. (2014) ha cercato di individuare i fattori di rischio per morte e tachicardia ventricolare in un’ampia coorte di pazienti. Sono stati valutati a circa 24 anni di vita, 873 pazienti trattati chirurgicamente in età pediatrica. I fattori di rischio individuati erano l’ipertrofia del ventricolo destro, la disfunzione ventricolare e le aritmie sopraventricolari. Lo studio conclude che i soggetti con tali caratteristiche devono essere sottoposti a rivalutazione clinica ed emodinamica ed eventualmente a procedure interventistiche e/o chirurgiche. La trasposizione delle grandi arterie prevede un intervento correttivo alla nascita (switch arterioso) che, oltre a riposizionare i vasi di efflusso sui rispettivi ventricoli, comporta il reimpianto delle coronarie con rischio di distorsione o stenosi delle stesse e conseguenti complicanze, tra cui la morte improvvisa, a distanza di anni. Un interessante studio di follow up (medio di 10 anni fino a un massimo di 26 anni) del gruppo di Melbourne (Fricke TA et al., 2012) ha analizzato l’outcome di 618 pazienti operati di switch arterioso in un unico centro che utilizza una tecnica di reimpianto coronarico con flap rettangolare chiamata “Melbourne trapdoor technique”. La mortalità complessiva era del 2,8%; i fattori di rischio per mortalità precoce erano rappresentati dalla presenza di un basso peso alla nascita (< 2,5 Kg), dalla necessità di ricostruire l’arco aortico o di eseguire una resezione del tratto di efflusso di sinistra e l’utilizzo di supporto ECMO nella fase postoperatoria. La mortalità tardiva era dello 0,9%; a 15 anni di follow up la frequenza di reintervento era più alta nei pazienti con difetto interventricolare (25,2%) ed ostruzione dell’arco (23,4%) rispetto a quelli senza questi difetti associati (5,9%). Il 98,7% dei pazienti a 20 anni non presentava un’ insufficienza significativa della neoaorta, che era presente in forma lieve nel 25,6% dei pazienti. Nessun paziente a questo lungo follow up ha presentato aritmie o scompenso cardiaco. I risultati di questo studio dimostrano l’ottimo outcome a distanza dei pazienti con trasposizione dei grossi vasi operati di switch arterioso. La neoaorta risulta funzionalmente normale nella maggior parte dei pazienti e la necessità di sostituire questa valvola è estremamente rara. In questo studio non si sono verificati neanche seri eventi aritmici. Tuttavia in uno studio italiano di Angeli et al. del 2010 il rischio di ostruzione coronarica indipendentemente dal tipo di reimpianto (bottone coronarico on punch vs trap-door technique) resta comunque alto ed aumentato soprattutto nei pazienti con anatomia nativa coronarica complessa (62% vs 22%) per cui attualmente è sempre raccomandata l’esecuzione di una coronarografia in epoca prescolare (Angeli E et al., 2012). Trapianto cardiaco: il trapianto cardiaco è tuttora considerato l’unica terapia nei bambini e nei giovani adulti con scompenso cardiaco end-stage. Un esempio è rappresentato dai pazienti sottoposti a intervento di Fontan che diventa malfunzionante. Questi pazienti possono essere divisi in due categorie: quelli con disfunzione ventricolare e quelli con funzione ventricolare conservata, ma presenza di enteropatia proteino-disperdente e/o bronchiti plastiche. Nello studio di Griffiths et al. 2009, dall’analisi di 39 pazienti, il secondo gruppo rappresenta quello a più alto rischio di morte e deve essere indirizzato al trapianto più precocemente. Seppure il trapianto rappresenti l’unica opzione terapeutica per de- 168 terminate patologie, resta ancora molto alta la mortalità nel periodo compreso tra inserimento in lista e trapianto stesso. I sistemi di assistenza ventricolare (VAD) in uso nell’adulto sono utilizzati come bridge al trapianto e, data la scarsità di dispositivi pediatrici, vengono a volte utilizzati come supporto anche nei bambini e negli adolescenti. Tuttavia l’elevato rischio tromboembolico rende questi dispositivi ancora poco utilizzabili nei neonati, lattanti e piccoli bambini. In questa popolazione si opta per l’ECMO (extracorporeal membrane oxygenation) che tuttavia, quando utilizzato oltre le due settimane, comporta ancora un alto rischio di morbilità e mortalità. Nei piccoli bambini è stato sviluppato in Germania dal Berlin Heart un dispositivo VAD specifico pediatrico (EXCOR) che può supportare uno o entrambi i ventricoli ed è disponibile in varie dimensioni utilizzabili già a partire dai 3 kg di peso. È stato pubblicato recentemente il primo studio multicentrico (17 Centri del Nord America per un totale di 73 pazienti) che utilizza l’EXCOR come bridge al trapianto in ogni fascia d’età pediatrica. I dati di questo studio hanno mostrato che il dispositivo è stato efficace nel 77% dei casi contro un 39-64% di successo riportato in letteratura con l’uso dell’ECMO. Nel 7% dei casi inoltre l’EXCOR aveva permesso un recupero completo della funzione ventricolare. Sebbene la mortalità complessiva (23%) si sia verificata in un tempo medio dall’impianto di 1,8 mesi, il 67% dei pazienti aveva ricevuto un trapianto nei 6 mesi successivi e il 4% continuava il supporto oltre questo periodo. Questo è un tempo considerevole tenuto conto che il 50 % di questi bambini era in shock cardiogeno (aspettativa di vita < 24 h) e il 48% era in una condizione di declino progressivo della funzione cardiaca nonostante l’uso di terapia inotropa e ventilazione assistita. L’analisi multivariata ha evidenziato che l’età più giovane e l’uso di supporto biventricolare (BiVAD) costituivano i fattori di rischio più significativi di mortalità. In considerazione della limitata disponibilità di donatori in età pediatrica lo sviluppo e la diffusione di questi supporti diventa obbligatoria. Procedure ibride Negli ultimi anni la collaborazione tra cardiologi interventisti e cardiochirurghi ha portato allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche, denominate “procedure ibride”. In presenza di cardiopatie congenite complesse è possibile durante l’intervento combinare una tecnica chirurgica con una interventistica. Esempi sono la correzione al primo stadio del cuore sinistro ipoplasico, in casi selezionati considerati ad alto rischio per la correzione esclusivamente chirurgica, in cui si associa lo stent del Dotto al bendaggio dei rami delle arterie polmonari. Un’altra indicazione è il trattamento di cardiopatie congenite con anatomia atipica associata a una difficoltosa soluzione chirurgica, come ad esempio la chiusura di difetti interventricolari multipli e la dilatazione intraoperatoria delle stenosi dei rami periferici polmonari. È stato pubblicato da Holzer et al. nel 2010 uno studio che mostra i dati di un registro multicentrico che ha coinvolto sette centri americani. Da febbraio 2007 a dicembre 2008 sono state eseguite 128 procedure ibride su 7019 cateterismi. Il peso medio dei pazienti era di 3,7 Kg, il 47% aveva un’età inferiore a un mese e nel 60% dei casi la procedura era eseguita in cardiopatie con circolazione univentricolare. Nel 12 % dei casi si sono osservati eventi avversi. Le aritmie erano la complicanza più frequente, seguite da eventi ipossici, ipotensione e/o complicanze procedurali (perforazione a carico dei vasi o del cuore). In presenza di malposizione dello stent inoltre si osservavano all’elettrocardiogramma anomalie del tratto ST-T, una maggior incidenza di sanguinamenti locali per il riposizionamento dello stent e comparsa di convulsioni. In soli 2 casi si Novità in cardiologia e cardiochirurgia pediatrica sono osservati eventi maggiori (neurologico e aritmico) che hanno condotto a morte. La chiusura ibrida dei difetti interventricolari si è dimostrata la procedura meno rischiosa. L’incidenza di complicanze potenzialmente prevenibili era del 44%: questo dato suggerisce la necessità di apportare modifiche procedurali per migliorare i risultati. In caso di stent del Dotto l’esposizione chirurgica diretta sembra offrire meno rischi rispetto al posizionamento per via percutanea. Altri interessanti lavori hanno confrontato l’outcome a distanza dei pazienti con cuore sinistro ipoplasico sottoposti a palliazione classica rispetto a quelli sottoposti a stent del Dotto. Quest’ultima procedura permette di evitare il by-pass cardiopolmonare in epoca neonatale e posticipa all’età di 4-6 mesi l’intervento più complesso di ricostruzione dell’arco. Allo stadio attuale non ci sono evidenze significative a favore di un approccio rispetto all’altro. Nel lavoro di Baba et al., del 2012 la sopravvivenza dopo il secondo stadio di palliazione era equivalente nei due gruppi, ma il gruppo sottoposto a procedura ibrida mostrava una frequenza maggiore di reintervento sull’arteria polmonare e una minore dimensione del diametro della stessa. Entrambe le strategie tuttavia conducevano a un’adeguata fisiologia per l’intervento di Fontan. La procedura ibrida è risultata invece una buona opzione nei pazienti con ventricolo sinistro borderline come bridge all’intervento definitivo (Davis et al., 2011). La possibilità di posticipare a una maggiore età del paziente la correzione offre in questi casi maggiori elementi per decidere se optare verso una correzione univentricolare o biventricolare. Cardiopatie congenite dell’adulto La problematica delle cardiopatie congenite dell’adulto è aumentata in modo esponenziale negli ultimi anni. Parte degli studi su questa problematica sono riportati nel capitolo sulla cardiochirurgia. Riportiamo qui alcuni altri studi rilevanti. Budts et al., come rappresentanti del Working group ESC of Grown Up Congenital Heart Disease and the Section of Sports Cardiology of EAPCR, hanno pubblicato un position article sull’attività fisica negli adolescenti ed adulti con cardiopatie congenite. In particolare, gli autori hanno sottolineato il ruolo positivo dell’attività fisica e la necessità di individualizzare la prescrizione dell’esercizio. In particolare, la novità dell’approccio consiste nel formulare raccomandazioni pratiche basate su parametri emodinamici ed elettrofisiologici piuttosto che dare indicazioni basate sui difetti specifici. La dilatazione dell’aorta ascendente è comune negli adulti con patologie tronco-conali, ma non esistono dati sui rischi associati alla dilatazione progressiva dell’aorta ascendente. Stulak et al. (2010) hanno studiato 81 soggetti adulti con patologie tronco-conali sottoposti a chirurgia della radice aortica, dell’aorta ascendente o della valvola. In questo gruppo di soggetti, in nessun caso l’indicazione al trattamento è stato dovuto a dissezione aortica, nonostante diametri dell’aorta ascendente fino ad 80 mm. Le aritmie rappresentano un fenomeno molto frequente nel followup dei soggetti adulti con cardiopatie congenite. Yap et al. (2011) hanno studiato i fattori di rischio associati a mortalità nei pazienti adulti con cardiopatie congenite ed aritmie atriali. In particolare fattori di rischio indipendenti associati a mortalità erano una fisiologia univentricolare, l’ipertensione polmonare, la patologia valvolare ed una capacità funzionale compromessa. Gli autori hanno inoltre costruito uno score allo scopo di predire il rischio di mortalità in questo gruppo di pazienti. L’intervento di Mustard è una procedura chirurgica oramai molto rara nella pratica clinica attuale. Fino agli anni 80 ha rappresentato, insieme all’intervento di Senning, l’opzione chirurgica per la trasposizione delle grandi arterie. Per questo motivo, sono ancora molti i soggetti con questa patologia seguiti quotidianamente negli ambulatori. Cuypers et al. hanno riportato il follow-up a lungo termine (fino a 40 anni) di una coorte di 91 pazienti trattati con intervento di Mustard. La sopravvivenza cumulativa e la libertà da eventi a 39 anni erano pari al 68% e al 19%, rispettivamente. Aritmie sopraventricolari e ventricolari si verificavano nel 28 e nel 6% dei casi. Impianto di pace-maker o ICD nel 39% dei pazienti. Aritmie nel periodo post-operatorio precoce erano predittrici di aritmie nel follow-up e di scompenso cardiaco. News e possibili nuove strade Riportiamo da ultimo gli spunti più significativi forniti dalla letteratura che aprono nuovi orizzonti terapeutici in cardiologia pediatrica. Applicazione chirurgica della Melody valve: la sostituzione chirurgica della valvola mitrale in età pediatrica, come opzione terapeutica nelle forme irreparabili, presenta numerose limitazioni legate al diametro fisso delle valvole meccaniche, che non si adeguano alla crescita e alla necessità di un trattamento anticoagulante. Una nuova applicazione è rappresentata dagli stent valvolati. Questi stent, utilizzati in emodinamica interventistica, hanno il vantaggio di non richiedere la terapia anticoagulante e offrono la possibilità di incrementare il diametro mediante dilatazione con palloncino. Il gruppo di Boston (Quinonez et al., 2013) ha utilizzato in 11 pazienti di età compresa tra 2 e 28 mesi la Melody valve in posizione mitralica per correggere le forme irreparabili. In tre pazienti è stato possibile espandere le valvole in modo da adeguare il diametro alla crescita. L’utilizzo delle modellizzazioni matematiche della fluidodinamica computazionale rappresenta un nuovo approccio per la valutazione dei risultati delle procedure interventistiche rispetto a quelle chirurgiche nel trattamento di alcune cardiopatie congenite. Tale metodica è stata utilizzata da Coogan et al. (2011) per valutare l’impatto sulla rigidità della parete aortica determinato dall’impianto di stent nella coartazione. Lo studio della fluidodinamica computazionale sulle immagini di risonanza magnetica in una paziente di 15 anni ha dimostrato che lo stenting incrementa il carico di lavoro cardiaco dello 0,4% e non modifica la pressione arteriosa media. Tale studio pilota suggerisce che l’impianto di stent non influenza in modo significativo l’emodinamica e la risposta pressoria nei pazienti con coartazione. Nuovi ambiti di approccio interventistico: la cardiologia interventistica cerca di riprodurre per via trans catetere ciò che i chirurghi effettuano per via sternotomica. Sabi et al. (2010) hanno sviluppato un modello animale che dimostra la possibilità di creare uno shunt aorto-polmonare per via trans catetere: le procedure sono state efficaci in tutti i maiali trattati. Questa sperimentazione apre una futura nuova applicazione nell’emodinamica interventistica. (Sabi et al., 2010). Staminali: la cardiomiopatia dilatativa è una patologia rara nella popolazione pediatrica ma associata ad importante morbilità e mortalità e costituisce una delle principali indicazione al trapianto cardiaco nel bambino. L’utilizzo di cellule staminali è diventata un’opzione terapeutica promettente nell’ infarto miocardico e scompenso cardiaco dell’adulto, ma sono pochissimi i dati relativi all’età pediatrica. Nel 2009 è stato descritto il primo caso di trapianto intramiocardico di cellule staminali in una piccola paziente di 4 mesi: a un follow up di 4 mesi veniva segnalato un incremento della frazione di eiezione dal 20% al 41%. (Lacis et al., 2011) La capacità rigenerativa nel bambino potrebbe essere anche maggiore all’adulto, ma studi multicentrici sono necessari per verificare la sicurezza e l’efficacia di questa potenziale nuova terapia. 169 S. Chiapedi, S. Mannarino, G. Butera Box riassuntivo Cardiologia fetale I progressi tecnologici hanno permesso di sviluppare nuove metodiche ecocardiografiche come l’ imaging 3D e 4D che offrono il vantaggio di visualizzare le immagini su più piani ortogonali e trasmettere le immagini tramite telemedicina. Lo screening cardiologico precoce tra la 12° e la 14° settimana è attualmente applicato nelle donne ad alto rischio o con storia familiare di cardiopatie congenite con buona sensibilità e specificità. Si stanno sviluppando tecniche di interventistica fetale per via percutanea nel II trimestre di gravidanza sotto guida ecografica, con l’intento di prevenire in alcune cardiopatie congenite cambiamenti irreversibili strutturali secondari al ridotto flusso. Genetica delle cardiopatie congenite I meccanismi responsabili dello sviluppo delle cardiopatie congenite sono complessi ed eterogenei. Lo sviluppo di nuove metodiche applicate alla genetica apre nuove strade alla scoperta di geni candidati nelle forme sporadiche Problematiche pediatriche con coinvolgimento cardiologico La patologia cardiaca acquisita nella popolazione pediatrica è un problema emergente. È stato definito il concetto di “cardite silente” e sono in studio strategie per individuare ecograficamente tale condizione. Una patologia emergente è rappresentata dalle lesioni coronariche acquisite secondarie a malattia di Kawasaki o a interventi di reimpianto delle coronarie. Nuovi ambiti di studio sono rappresentati dall’individuazione precoce della cardiotossicità nel paziente pediatrico oncologico sopravvissuto. Biomarkers Anche in ambito cardiologico pediatrico, il dosaggio dei biomarkers è utile come fattore predittivo di severità in diverse condizioni patologiche e per il monitoraggio della risposta terapeutica. Cardiologia Interventistica Numerose sono le pubblicazioni sui risultati a medio e lungo termine dell’utilizzo dell’emodinamica interventistica in particolari difetti congeniti quali impianto transcatetere della valvola polmonare, la coartazione aortica e i difetti interatriali. Compaiono inoltre nuove indicazioni all’utilizzo di stent nei bambini più piccoli con cardiopatie congenite complesse. Cardiochirurgia Il cuore sinistro ipoplasico è ancora gravato da un’elevata mortalità, tuttavia sono stati individuati alcuni importanti fattori di rischio indipendenti che in alcuni casi potrebbero essere potenzialmente modificabili. I dati di follow up nella coartazione aortica mostrano elevata percentuale di sopravvivenza a medio e lungo termine. Essa è negativamente influenzata da una maggiore età all’intervento (>20 anni) e dalla presenza di ipertensione preoperatoria. La minore età all’intervento e la tecnica di anastomosi termino-terminale è indipendentemente associata a una più bassa frequenza di re-intervento. I pazienti operati di tetralogia di Fallot che sviluppano un’insufficienza polmonare significativa possono essere sottoposti al reimpianto chirurgico della valvola polmonare il cui successo dipende da numerosi fattori. L’outcome a distanza dei pazienti con trasposizione dei grossi vasi sottoposti ad intervento di switch arterioso mostra una bassa mortalità complessiva. Sono stati individuati alcuni fattori di rischio per la mortalità precoce e tardiva e il rischio di ostruzione coronarica resta comunque alto soprattutto nei pazienti con anatomia coronarica complessa. Nei piccoli bambini è stato sviluppato in Germania dal Berlin Heart un dispositivo VAD specifico pediatrico (EXCOR) che può supportare uno o entrambi i ventricoli ed è disponibile in varie dimensioni utilizzabili già a partire dai 3 kg di peso. Adulti con cardiopatie congenite La problematica delle cardiopatie congenite dell’adulto è aumentata in modo esponenziale negli ultimi anni. Procedure ibride Negli ultimi anni la collaborazione tra cardiologi interventisti e cardiochirurghi ha portato allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche denominate “procedure ibride”. Bibliografia Aĝirbaşli M, Ündar A. Monitoring biomarkers after pediatric heart surgery: a new paradigm on the horizon. Artif Organs 2013;37:10-5. Ahmad N, Kantor PF, Grosse-Wortmann L, et al. Influence of RV Restrictive Physiology on LV Diastolic Function in Children after Tetralogy of Fallot Repair. J Am Soc Echocardiogr 2012;25:866-873. Amin Z. Echocardiographic predictors of cardiac erosion after Amplatzer septal occluder placement. Catheterization Cardiovascular Interventions 2014;83:8492. Angeli E, Formigari R, Pace Napoleone C, et al. Long-term coronary artery outcome after arterial switch operation for transposition of the great arteries. Eur J Cardiothorac Surg 2010;38:714-20. Arzt W, Wertaschnigg D, Veit I, et al. Intrauterine aortic valvuloplasty in fetuses with critical aortic stenosis: experience and results of 24 procedures. Ultrasound Obstet Gynecol 2011;37:689-95. Baba K, Kotani Y, Chetan D, et al. Hybrid versus Norwood strategies for singleventricle palliation. Circulation 2012;126(Suppl. 1):S123-31. 170 Boudjemline Y, Rosenblatt J, de La Villeon G, et al. Development of a new lead for in utero foetal pacing. Prenat Diagn 2010;30:122-6. Brescia AA, Jureidini S, Danon S, et al. Hybrid versus Norwood procedure for hypoplastic left heart syndrome: Contemporary series from a single center. J Thorac Cardiovasc Surg 2014;14:273-6. Brown ML, Burkhart HM, Connolly HM, et al. Coarctation of the aorta: lifelong surveillance is mandatory following surgical repair. J Am Coll Cardiol 2013;62:1020-5. Budts W, Borjesson M, Chessa M, et al. Physical activity in adolescents and adults with congenital heart defects: individualized exercise prescription. Eur Heart J 2013;34:36669-74. Butera G, Biondi-Zoccai G, Sangiorgi G, et al. Percutaneous versus surgical closure of secundum atrial septal defect. A systematic review and meta-analysis of currently available clinical evidence. Eurointervention 2011;7:377-85. Butera G, Manica JL, Chessa M, et al. Covered-stent implantation to treat aortic coarctation. Expert Rev Med Devices 2012;9:123-30. Butera G, Milanesi O, Spadoni S, et al. Melody transcatheter pulmonary valve Novità in cardiologia e cardiochirurgia pediatrica implantation. Results from the registry of the italian society of pediatric cardiology (SICP). Cathet Cardiovasc Interv 2013;81:310-6. Cantinotti M, Law Y, Vittorini S, et al. The potential and limitations of plasma BNP measurement in the diagnosis, prognosis, and management of children with heart failure due to congenital cardiac disease: an update. Heart Fail Rev 2014. [Epub ahead of print]. ** La review analizza il valore diagnostico e prognostico di BNP e proBNP nei pazienti di età pediatrica con scompenso cardiaco secondario a cause acquisite o a cardiopatie congenite. Coogan JS, Chan FP, Taylor CA, et al. Computational Fluid Dynamic Simulations of Aortic Coarctation Comparing the Effects of Surgical- and Stent-Based Treatments on Aortic Compliance and Ventricular Workload. Cath Cardiovascular Interv 2011;77:680-91. Cuypers JAAE, Eindhoven JA, Slager MA, et al. The natural and unnatural history of the Mustard procedure: long-term outcome up to 40 years. European Heart Journal 2014;35:1666-74. Daniels LB, Gordon JB, Burns JC. Kawasaki disease: late cardiovascular sequelae. Curr Opin Cardiol 2012;27:572-7. Davis CK, Pastuszko P, Lamberti J, et al. The hybrid procedure for the borderline left ventricle. Cardiol Young 2011;21:26-30. De Luca A, Sarkozy A, Ferese R. New mutations in ZFPM2/FOG2 gene in tetralogy of Fallot and double outlet right ventricle. Clin Genet 2011:80:184-90. Eleftheriou D, Levin M, Shingadia D, et al. Management of Kawasaki disease. Arch Dis Child 2014;99:74-83. Fahed A, Gelb B, Seidman JG. Genetics of Congenital Heart Disease: The Glass Half Empty. Circ Res 2013;112:1-29. ** Interessante review che affronta dettagliatamente tutte le nuove tecniche applicate alla genetica per lo studio delle cardiopatie congenite. Ferraz Cavalcanti PE, Sá MP, Santos CA, et al. Pulmonary valve replacement after operative repair of tetralogy of Fallot: meta-analysis and meta-regression of 3,118 patients from 48 studies. J Am Coll Cardiol 2013;62(:2227-43. Fricke TA, D’Udekem Y, Richardson M, et al. Outcomes of the arterial switch operation for transposition of the great arteries: 25 years of experience. Ann Thorac Surg 2012;94:139-45. Griffiths ER, Kaza AK, Wyler von Ballmoos MC, et al. Valuating failing Fontans for heart transplantation: predictors of death. Ann Thorac Surg 2009;88:558-63. Greenway SC, Pereira AC, Lin J, et al. De Novo Copy Number Variants Identify New Genes and Loci in Isolated, Sporadic Tetralogy of Fallot. Nat Genet 2009;41:931-5. Guida V, Ferese R, Rocchetti M. A variant in the carboxyl-terminus of connexion 40 alters GAP junctions and increases risk for tetralogy of Fallot. European Journal of Human Genetics 2013;21:69-75. Haponiuk I, Chojnicki M, Jaworski R, et al. Hybrid cardiovascular procedures in the treatment of selected congenital heart disease in children: a single-centre experience. Kardiol Pol 2014;72:324-30. Harake D, Franco VI, Henkel JM, et al. Cardiotoxicity in childhood cancer survivors: strategies for prevention and management. Future Cardiol 2012;8:647-70. Holzer R, Marshall A, Kreutzer J, et al. Hybrid procedures: adverse events and procedural characteristics--results of a multi-institutional registry. Congenit Heart Dis 2010;5:233-42. Eindhoven JA, Van den Bosch AE,, Jansen PR, et al. The Usefulness of Brain Natriuretic Peptide in Complex Congenital Heart Disease A Systematic Review. J Am Coll Cardiol 2012;60:2140-9. Kirkpatrick CE. Echocardiography in pediatric pulmonary hypertension. Ped Respiratory Reviews 2014. [Epub ahead of print]. ** Review sull’eso dell’ecocardiografia nella valutazione dell’ipertensione polmonare in età pediatrica. Lacis A, Erglis A. Intramyocardial administration of autologous bone marrow mononuclear cells in a critically ill child with dilated cardiomyopathy. Cardiol Young 2011;21:110-2. Lipshultz SE, Karnik R, Sambatakos P, et al. Anthracycline-related cardiotoxicity in childhood cancer survivors. Curr Opin Cardiol 2014;29:103-12. ** La riduzione di mortalità nel bambino oncologico si è associata ad un aumento di effetti collaterali a distanza, la maggior parte dei quali coinvolgenti il sistema cardiovascolare. L’articolo elenca i principali fattori di rischio legati non solo ai farmaci già noti per la cardiotossicità come le antracicline e descrive le principali modalità di monitoraggio di questi pazienti. Lipshultz SE, Adams MJ. Cardiotoxicity after childhood cancer: beginning with the end in mind. J Clin Oncol 2010;28:1276-81. Manlhiot C, Niedra E, McCrindle BW. Long-term management of Kawasaki disease: implications for the adult patient. Pediatr Neonatol 2013;54:12-21. Marijon E, Mirabel M, Celermajer DS, et al. Rheumatic heart disease. Lancet 2012;379:953-64. McAuliffe FM, Trines J, Nield LE, et al. Early fetal echocardiography--a reliable prenatal diagnosis tool. Am J Obstet Gynecol 2005;193:1253-9. McElhinney DB, Benson LN, Eicken A, et al. Infective endocarditis after transcatheter pulmonary valve replacement using the Melody valve: combined results of 3 prospective North American and European studies. Circ Cardiovasc Interv 2013;6:292-300. McElhinney DB, Hellenbrand WE, Zahn EM, et al. Short- and medium-term outcomes after transcatheter pulmonary valve placement in the expanded multicenter US melody valve trial. Circulation 2010;122:507-16. McElhinney DB, Tworetzky W, Lock JE. Current status of fetal cardiac intervention. Circulation 2010;121:1256-63. ** Interessante review che tocca tutti gli aspetti dell’interventistica fetale mostrandone i futuri sviluppi. Mladosievicova B, Urbanova D, Radvanska E, et al. Role of NT-proBNP in detection of myocardial damage in childhood leukemia survivors treated with and without anthracyclines. Journal of Experimental & Clinical Cancer Research 2012;31:86. Morales DL, Almond CS, Jaquiss RD, et al. Bridging children of all sizes to cardiac transplantation: the initial multicenter North American experience with the Berlin Heart EXCOR ventricular assist device. J Heart Lung Transplant 2011;30:1-8. ** Applicato inizialmente nel 2000, il Berlin Heart è diventato dal 2004 il primo VAD applicato nel Nord America in bambini di ogni fascia d’età. Questo articolo mostra dati preliminari di un’ampia coorte di pazienti mostrando un’efficacia nel 77% dei casi e un recupero completo della funzione ventricolare nel 7% dei casi. In conclusione il Berlin Heart EXCOR può essere un valido ausilio come bridge al trapianto. Ohye RG, Sleeper LA, Mahony L, et al. Comparison of shunt types in the Norwood procedure for single-ventricle lesions. Pediatric Heart Network Investigators. N Engl J Med 2010;362:1980-92. Oster ME, Kim CH, Kusano AS, et al. A population-based study of the association of prenatal diagnosis with survival rate for infants with congenital heart defects. Am J Cardiol 2014;113:1036-40. Ou P, Kutty S, Khraiche D, et al. Acquired coronary disease in children: the role of multimodality imaging. Pediatr Radiol 2013;43:444-53. ** L’articolo riassume le principali cause di malattia coronarica acquisita in età pediatrica e discute il ruolo delle varie tecniche di imaging necessarie per la diagnosi e il management di tali patologie. Quinonez LG, Breitbart R, Tworetsky W, et al. Stented bovine jugular vein graft (Melody valve) for surgical mitral valve replacement in infants and children. J Thorac Cardiovasc Surg 2013;S0022-5223(13)01289-0. Remenyi B, Carapetis J, Wyber R, et al. Position statement of the World Heart Federation on the prevention and control of rheumatic heart disease.; World Heart Federation. Nat Rev Cardiol 2013;10:284-92. Reményi B, Wilson N, Steer A, et al. World Heart Federation criteria for echocardiographic diagnosis of rheumatic heart disease--an evidence-based guideline. Nat Rev Cardiol 2012;9:297-309. ** Per chi si occupa di ecocardiografia suggeriamo la lettura di questo articolo dove vengono riportati dettagliatamente i criteri ecocardiografici che consentono la diagnosi di valvulopatia di tipo reumatico. Ringel RE, Vincent J, Jenkins KJ, et al. Acute outcome of stent therapy for coarctation of the aorta: results of the coarctation of the aorta stent trial. Catheter Cardiovasc Interv 2013;82:503-10. Roberts K, Colquhoun S, Steer A, et al. Screening for rheumatic heart disease: current approaches and controversies. Nat Rev Cardiol 2013;10:49-58. Rogers L, Li J, Liu L, et al. Advances in fetal echocardiography: early imaging, three/four dimensional imaging, and role of fetal echocardiography in guiding early postnatal management of congenital heart disease. Echocardiography 2013;30:428-38. Sabi TM, Schmitt B, Sigler M, et al. Transcatheter Creation of an Aortopulmonary Shunt in an Animal Model. Cath Cardiovasc Interv 2010;75:563-9. Sadiq M, Ur Rehman A, Qureshi AU, et al. Covered stents in the management of native coarctation of the aorta--intermediate and long-term follow-up. Catheter Cardiovasc Interv 2013;82:511-8. Stulak JM, Dearani JA, Burkhart HM, et al. Does the dilated ascending aorta in an adult with congenital heart disease require intervention? J Thorac Cardiovasc Surg 2010;140:S52-7. 171 S. Chiapedi, S. Mannarino, G. Butera Stumper O, Ramchandani B, Noonan P, et al. Stenting of the right ventricular outflow tract. Heart 2013;99:1603-8. Tabbutt S, Ghanayem N, Ravishankar C, et al. Risk factors for hospital morbidity and mortality after the Norwood procedure: A report from the Pediatric Heart Network Single Ventricle Reconstruction trial.; Pediatric Heart Network Investigators. J Thorac Cardiovasc Surg 2012;144:882-95. Takayasu H, Takahashi K, Takigiku K, et al. Left Ventricular Torsion and Strain in Patients with repaired Tetralogy of Fallot Assessed by Speckle Tracking Imaging. Echocardiography 2011;28:720-9. Taylor AM, Sebire NJ, Ashworth MT, et al. Post-Mortem Cardiovascular Magnetic Resonance Imaging in Fetuses and Children: A Masked Comparison Study with Conventional Autopsy. Circulation 2014 [Epub ahead of print]. ** Tale metodica rappresenta una valida alternativa all’autopsia convenzionale in feti e bambini. Tukenova M, Guibout C, Oberlin O, et al. Long-term overall and cardiovascular mortality following childhood cancer: The role of cancer treatment. J Clin Oncol 2010;28:1308-15. Valente AM, Gauvreau K, Assenza GE, et al. Contemporary predictors of death and sustained ventricular tachycardia in patients with repaired tetralogy of Fallot enrolled in the INDICATOR cohort. Heart 2014;100:247-53. Valsangiacomo Buechel ER, Mertens LL. Imaging the right heart: the use of integrated multimodality imaging. Eur Heart J 2012;33:949-60. Van Aerschot I, Rosenblatt J, Boudjemline Y. Fetal cardiac interventions: myths and facts. Arch Cardiovasc Dis 2012;105:366-72. Van der Pal HJ, Van Dalen EC, Van Delden E, et al. High risk of symptomatic cardiac events in childhood cancer survivors. J Clin Oncol 2012;30:1429-37. Versacci P, Digilio MC, Oliverio M, et al. The heart and shell. Anatomical and genetic similarities American Heart Journal 2011;161:647-9. ** Partendo dall’osservazione dei casi di eterotassia, gli Autori hanno notato similitudini fenotipiche tra il pattern spirale normale del cuore umano, destroruotato (D-loop embriologico) e quello della maggior parte delle conchiglie che presentano un guscio al pari destro-ruotato. Yagel S, Cohen SM, Rosenak D, et al. Added value of three-/four-dimensional ultrasound in offline analysis and diagnosis of congenital heart disease. Ultrasound Obstet Gynecol 2011;37:432-7. Yap SC, Harris L, Chauhan VS, et al. Identifying high risk in adults with congenital heart disease and atrial arrhythmias. Am J Cardiol 2011;108:723-8. Corrispondenza Gianfranco Butera, Consultant Cardiologia pediatrica e cardiopatie congenite dell’adulto, Policlinico San Donato IRCCS, via Morandi 30, 20097 San Donato Milanese. Tel. +39 02 52774328, Fax +39 02 52774459. E-mail: [email protected] 172 Luglio-Settembre 2014 • Vol. 44 • N. 175 • Pp. 173-186 CARDIOlogia pediatrica Le basi genetiche delle cardiopatie congenite Maria Cristina Digilio, Lucia Martina Silvestri*, Bruno Dallapiccola, Bruno Marino* Genetica Medica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma * Dipartimento di Pediatria, Università La Sapienza, Roma Riassunto I fattori genetici sono sicuramente importanti nell’eziologia delle cardiopatie congenite (CC). La maggior parte delle CC (il 70% circa) si manifesta come malformazione isolata, mentre il 30% dei soggetti affetti ha anomalie extracardiache associate. Le sindromi con CC possono essere legate ad anomalie cromosomiche, a microanomalie cromosomiche (sindromi genomiche) e a mutazioni geniche. L’eziologia delle CC è complessa e eterogenea. Una stessa malformazione cardiaca può essere causata da fattori genetici diversi, così come singole anomalie cromosomiche o geniche possono essere associate a malformazioni cardiache diverse. Esiste però un collegamento tra specifici fenotipi anatomici delle CC e alcune sindromi genetiche o mutazioni di geni. Di conseguenza, la diagnosi di un preciso difetto anatomico del cuore può orientare il clinico verso il sospetto di una particolare sindrome o per una specifica indagine genetica. D’altra parte, la diagnosi di una particolare sindrome in un bambino può guidare il cardiologo alla ricerca di una specifica CC potenzialmente associata. Sono state identificate differenze nella prognosi cardiochirurgica in sindromi differenti e in bambini non-sindromici. La conoscenza di fattori di rischio cardiologici e extracardiologici specifici per sindrome diagnosticata consente di predisporre protocolli di monitoraggio multisciplinari. Il progredire delle tecniche molecolari negli ultimi anni ha portato all’identificazione delle basi molecolari di un gran numero di sindromi con CC, mentre è ancora poco nota l’eziologia delle CC non-sindromiche, in quanto è stato possibile caratterizzare molecolarmente soprattutto casi per i quali la CC segregava in famiglia in più soggetti, mentre per la maggior parte dei casi sporadici la causa e le basi genetiche sono ancora sconosciute. Nel prossimo futuro potranno essere utilizzate le nuove tecniche molecolari di Next Generation Sequencing per migliore comprensione diagnostica e associazioni di patologie. Summary Genetic factors are important in the etiology of congenital heart defects (CHDs). The majority of CHDs (70%) present as an isolated malformation, while 30% have also associated extracardiac malformations. Syndromes with CHD can be due to chromosomal anomalies, microchromosomal rearrangements (genomic disorders) and monogenic mutations. The etiology of CHDs is complex and heterogeneous. The same malformation can be due to different genetic causes, as single chromosomal or monogenic syndromes can be associated with different CHDs. Nevertheless, a link can be identified between specific anatomic types of CHD and some genetic syndromes or genes. For this reason, the diagnosis of a specific anatomic defect of the heart can lead the clinician to suspect a particular syndrome or can suggest a specific genetic testing. On the other hand, the diagnosis of a specific syndrome in a patient can guide the cardiologist to the detection of the CHD which is more often associated. Different surgical prognoses have been found in patients with CHD and some genetic syndromes, as in patients with non-syndromic CHDs. Multidisciplinary protocols and guidelines can be developed accordingly to the knowledge of cardiac and extracardiac risk factors for specific syndromes. The advances in molecular testing in the last years have led to the identification of molecular basis of a great number of syndromes with CHD, while the etiology of the majority of non-syndromic CHDs remain still less known. In fact, up to now it was easier to characterize genes responsible for familial CHDs segregating in several relatives, while the underlying genetic mechanism of the majority of sporadic cases of CHDs is at present unknown: In the near future, the new molecular techniques of Next Generation Sequencing will be useful to elucidate genetic causes of an increasing number of CHDs. Abbreviazioni: CC: cardiopatia congenita CHD: congenital heart defect CNV: copy number variant Metodologia della ricerca bibliografica La ricerca degli articoli rilevanti negli ultimi 10 anni è stata effettuata tramite la banca bibliografica PubMed, utlizzando come parole chiave: “Congenital heart defect AND genetics, Congenital heart defect AND syndrome, Congenital heart defect AND recurrence, Congenital heart defect AND gene, congenital heart defect AND copy number variation”. Sono state considerate anche altre pubblicazioni rilevanti degli anni precedenti conosciute dagli autori. Introduzione Le cardiopatie congenite (CC) costituiscono difetti congeniti frequenti nell’uomo, con una prevalenza stimata tra 5-10/1.000 nati vivi (0,8%), e sono incluse tra le cause più importanti di mortalità infantile. Studi epidemiologici, clinici e molecolari hanno dimostrato che i fattori genetici sono sicuramente importanti nella patogenesi delle CC. L’eziologia delle CC è complessa e eterogenea, in quanto una stessa malformazione cardiaca può essere causata da fattori genetici diversi, così come singole anomalie cromosomiche o geniche possono essere associate a malformazioni cardiache diverse. La maggior parte delle CC (il 70% circa) si manifesta come malformazione isolata, mentre il 30% dei soggetti con CC ha anomalie extracardiache associate (Ferencz et al., 1993). Le sindromi con CC possono essere legate ad anomalie cromosomiche o mutazioni geniche. Il miglioramento delle conoscenze cliniche e l’aumento di disponibilità di tecniche molecolari hanno contribuito al progresso scientifico sulle basi genetiche delle CC. La possibilità di diagnosticare anomalie e microanomalie cromosomiche ha ampliato lo spettro di regioni cromosomiche associate a CC sindromica e quelle nelle quali 173 M.C. Digilio et al. Tabella I. Prevalenza di anomalie extracardiache nei diversi tipi anatomici di cardiopatia congenita. Cardiopatia congenita % Canale atrioventricolare 70-80 Interruzione arco aortico 40-50 Truncus arterioso 40-45 Ventricolo destro a doppia uscita 35-40 Difetto interatriale 30-40 Tetralogia di Fallot 30-35 Coartazione aortica 23-25 Ritorno venoso polmonare anomalo 20-23 Difetto interventricolare 18-25 Anomalia Ebstein 18-23 Stenosi polmonare 15-25 Stenosi aortica 15-20 Cuore sinistro ipoplasico 15-20 Atresia tricuspide 12-18 Trasposizione grandi arterie 10-12 Atresia polmonare a setto integro 8-12 mappano geni candidati per malformazioni cardiache (Erdogan et al., 2008; Breckpot et al., 2010; Lalani e Belmont, 2014). Più difficile e lenta l’evoluzione delle conoscenze delle basi biologiche delle CC non-sindromiche a causa della enorme eterogeneità genetica e della multifattorialità (Wessels e Willems, 2010). La difficoltà è prevalente nei casi di CC non-sindromica sporadica, mentre risulta più alta la possibilità di identificare il gene causante nelle famiglie con segregazione della CC in più soggetti. Alcuni tipi anatomici di CC si associano più frequentemente a anomalie extracardiache, altre sono più spesso isolate (Ferencz et al., 2003; Pradat et al., 2003) (Tab. I). Pazienti con sindromi genetiche specifiche hanno spesso CC correlabili tra loro attraverso le basi patogenetiche. La classificazione morfogenetica proposta in passato da Edward Clark (1986, 1996), che suddivide i difetti cardiaci in 6 gruppi, appare particolarmente utile in questo senso, creando un collegamento tra causa, meccanismo patogenetico e malformazione (Marino e Digilio, 2000) (Tab. II). Sindromi associate a cardiopatie congenite Sindromi cromosomiche Il 10-15% dei pazienti affetti da CC ha una sindrome cromosomica diagnosticabile con tecnica citogenetica tradizionale, cioè ad una risoluzione uguale o superiore alle 10 Mb (Pierpont et al., 2007). Le sindromi diagnosticate più frequentemente sono la sindrome di Down (trisomia 21), la sindrome di Edwards (trisomia 18), la sindrome di Patau (trisomia 13), la sindrome di Turner (monosomia X), la delezione della regione telomerica del braccio corto del cromosoma 8 (del 8p23), la sindrome cat-eye (tetrasomia 22), la delezione del braccio corto del cromosoma 5 (del 5p14-15 o sindrome “cri-duchat”), la delezione del braccio corto del cromosoma 4 (del 4p16.3 o sindrome di Wolf) (Pierpont et al., 2007). I tipi anatomici di CC associati alle diverse sindromi cromosomiche sono riassunti nella 174 Tabella III. Sono note associazioni preferenziali tra malformazioni cardiache e alcune sindromi cromosomiche. Ad esempio il canale atrioventricolare è la CC riscontrata più spesso nella sindrome di Down (De Biase et al., 1986; Marino et al., 1990,1996) e nella delezione telomerica 8p23 (Digilio et al., 1998a), oppure l’associazione tra difetti cardiaci ostruttivi sinistri (coartazione aortica, stenosi aortica, cuore sinistro ipoplasico, aorta bicuspide) e la sindrome di Turner (Mazzanti e Cacciari, 1998). Sindromi da microanomalia cromosomica Le sindromi da microanomalia cromosomica sono quelle identificabili con tecniche citogenetico-molecolari per riarrangiamenti cromosomici di estensione inferiore alle 10 Mb. La caratterizzazione di queste sindromi sta aumentando negli ultimi anni grazie all’evoluzione delle tecniche molecolari, per cui i dati di prevalenza dovranno essere riaggiornati nel tempo. Sono in corso studi che analizzano la prevalenza e i tipi di microanomalie cromosomiche e CC (Thienpont et al., 2007; Erdogan et al., 2008; Richards et al., 2008; Greenway et al., 2009; Rauch et al., 2010; Tomita-Mitchell et al., 2012) e si stima che microriarrangiamenti patogenetici siano riscontrabili in circa il 20% dei pazienti con CC sindromica (Breckpot et al., 2010, 2011). Storicamente, le prime sindromi da microanomalia cromosomica identificate sono state quelle diagnosticate con tecnica FISH (Fluorescent in situ hybridization) nei primi anni ‘90, quali la sindrome da delezione cromosomica 22q11.2 (sindrome DiGeorge/velo-cardiofacciale) e la sindrome di Williams (microdelezione 7q11.23, lucus ELN-elastina). Molto più recentemente le tecniche MLPA (multiplex ligation-dependent probe amplification) e l’array-CGH (ibridazione comparativa genomica basata sugli array) hanno significativamente elevato il livello della risoluzione, consentendo di riconoscere riarrangiamenti anche dell’ordine delle 100 kb o meno. Si stanno caratterizzando quindi una serie di “nuove” sindromi definite “genomiche”. Tra le sindromi genomiche più frequentemente associate a CC si possono ricordare la delezione 22q11.2 distale alla regione DG/VCF (Ben-Shachar et al., 2008), la duplicazione della regione DG/VCF (dup 22q11.2) (Ensenauer et al., 2003), la delezione e la duplicazione 1q21.2 (Soemedi et al., 2012), la delezione 1p36 (Battaglia et al., 2008). Queste sindromi si associano spesso a specifiche CC, in quanto la regione cromosomica “critica” contiene geni la cui delezione/duplicazione è implicata nell’eziologia della CC. È noto, infatti, che mutazioni di questi geni possono causare lo stesso tipo di CC in soggetti non-sindromici. Si possono citare gli esempi del gene TBX1 che mappa in 22q11.2 per le cardiopatie troncoconali (Griffin et al., 2010), del gene elastina (ELN) che mappa in 7q11.23 per stenosi aortica sopravalvolare e stenosi periferiche delle arterie polmonari (Micale et al., 2010), del gene GATA4 che mappa in 8p23 (Garg et al., 2003; Sarkozy et al., 2003) per canale atrioventricolare e stenosi polmonare (Garg et al., 2003), del gene GJA5 che mappa in 1q21.2 (Gu et al., 2003) per difetti settali e tetralogia di Fallot, e del gene MIB1 che mappa in 1p36.33 per la cardiomiopatia da persistenza del miocardio fetale (Luxan et al., 2013). La Tabella III riassume le sindromi cromosomiche e genomiche più frequentmente asociate a CC, con la descrizione dei tipi anatomici di malformazione cardiaca più caratteristici. Studi epidemiologici mirati alle macro e micro anomalie cromosomiche (copy number variants - CNVs di entità superiore a 100 kb) hanno rilevato che i tipi anatomici di CC che si diagnosticano più frequentemente sono: canale atrioventricolare (isolato o associato con tetralogia di Fallot), stenosi aortica valvolare, tetralogia di Fallot e truncus arterioso (Tomita-Mitchell et al., 2012). Le basi genetiche delle cardiopatie congenite Tabella II. Classificazione morfogenetica proposta da Edward Clark (1986, 1996) Gruppo morfogenetico Meccanismo patogenetico Cardiopatie congenite Anomalie della migrazione del tessuto ectomesenchimale Migrazione anomala della componente anteriore del “secondo campo cardiaco”, che fornisce il tessuto per la formazione del segmento troncoconale e del ventricolo destro Difetto interventricolare sottoaortico, tipo I (infundibolare) Ventricolo destro a doppia uscita Tetralogia di Fallot Atresia polmonare con difetto interventricolare Finestra aorto-polmonare Tronco arterioso comune Interruzione dell’arco aortico tipo B Doppio arco aortico Arco aortico destro Anomalie del flusso ematico intracardiaco Modificazione del volume e/o del flusso ematico embrionale e fetale con anomalia del modellamento del cuore durante lo sviluppo come causa di difetti del setto o malformazioni ostruttive del cuore destro o sinistro. Difetto interventricolare perimembranoso Difetti del cuore sinistro (valvola aortica bicuspide, stenosi aortica valvolare, coartazione aortica, interruzione arco aortico tipo A, sindrome del cuore sinistro ipoplasico, atresia aortica, atresia mitralica) Difetti del cuore destro (valvola polmonare bicuspide, difetto interatriale ostium secundum, stenosi polmonare valvolare, atresia polmonare con setto interventricolare intatto) Anomalie della morte cellulare Alterazione del processo di apoptosi che contribuisce a determinare il compattamento e il rimodellamento del setto interventricolare muscolare e l’escavazione delle cavità ventricolari Difetto interventricolare muscolare Anomalia di Ebstein della valvola tricuspide Anomalie della matrice extracellulare Anomalie della matrice extracellulare che si accumula nei cuscinetti atrioventricolari e compartecipa alla fusione settale e alla formazione delle valvole atrioventricolari. Difetto interatriale ostium primum Difetto interventricolare, tipo III (posteriore tipo”canale atrioventricolare”) Canale atrioventricolare Valvola aortica o polmonare displasica Anomalie della crescita “direzionata” Alterazione dell’interazione selettiva chemiotattica che regola il processo di incorporazione del seno venoso polmonare nell’atrio sinistro. Ritorno venoso polmonare anomalo parziale Ritorno venoso polmonare anomalo totale Cor triatriatum Difetto interatriale tipo seno venoso Anomalie del situs e dell’ansa Anomalie del processo della assegnazione della lateralizzazione asimmetrica destra-sinistra e della direzione dell’ansa cardiaca che determina la posizione destra-sinistra dei ventricoli. Eterotassia L-loop Sindromi monogeniche Le sindromi monogeniche sono causate dalla mutazione di un singolo gene e vengono diagnosticate nel 15-20% dei pazienti con CC (Tab. IV). Tra le più frequenti le RASopatie, che comprendono la sindrome di Noonan e le sindromi correlate (LEOPARD, Cardio-FacioCutanea, Costello), che si associano alle CC nel 50% dei casi. Le CC caratteristicamente associate a queste condizioni sono la stenosi polmonare valvolare (con lembi valvolari displasici), la cardiomiopatia ipertrofica (interessante prevalentemente il ventricolo sinistro), il canale atrioventricolare (parziale, associato a volte a lesioni ostruttive sinistre) e il difetto interatriale tipo ostium secundum (Digilio et al., 2009; Tartaglia et al. 2010). La sindrome Kabuki si associa a difetti settali e, prevalentemente nel soggetti di sesso maschile, a coartazione aortica e altre ostruzioni sinistre (Digilio et al.,2001). La sindrome CHARGE è una patologia plurimalformativa con CC troncoconali e/o canale atrioventricolare e pervietà del dotto arterioso (Wyse et al., 1993; Corsten-Janssen et al., 2013). La sindrome di Alagille è una patologia epatica-cardiaca, caratteristicamente associata alle stenosi periferiche delle arterie polmonari o alla tetralogia di Fallot (Emerick et al., 1999). Infine, le sindromi cardio-scheletriche includono quadri clinici che associano sindromi con polidattilia delle mani e dei piedi (sindromi OroFacio-Digitali, Ellis-van Creveld, Bardet-Biedl e Smith-Lemli-Opitz) e le sindromi con difetti in riduzione degli arti superiori (sindrome di Holt-Oram e altre sindromi cuore-mano). Nelle sindromi con polidattilia la cardiopatia è simile a quella dell’eterotassia, in quanto consiste spesso in un canale atrioventricolare parziale con atrio unico, a volte con persistenza della vena cava superiore sinistra (Digilio et al., 1997, 1999, 2003, 2006). È da notare che l’eterotassia e le sindromi con polidattilia hanno basi patogenetiche comuni, in quanto i geni-malattia sono implicati nella funzione ciliare (le cui mutazioni causano le cosiddette “ciliopatie”) (Supp et al., 1997; Ansley et al., 2003; Ferrante et al., 2006; Ruiz Perez et al., 2007, 2009; D’Asdia et al., 2013). 175 M.C. Digilio et al. Tabella III. Sindromi cromosomiche e genomiche con cardiopatia congenita. Sindrome Down Difetto genetico Trisomia 21 Cardiopatie congenite Sottotipo cardiaco Geni candidati per cardiopatia Canale atrioventricolare completo DSCAM Difetto interventricolare posteriore collagen type VI con cleft mitralico DSCR1 Tetralogia di Fallot con canale atrioventricolare Edwards Trisomia 18 Difetto interventricolare - Difetto interatriale Tetralogia di Fallot Anomalie polivalvolari Patau Trisomia 13 Difetto interventricolare - Difetto interatriale Tetralogia di Fallot Ostruzioni sinistre DiGeorge/ Velo-CardioFacciale Delezione 22q11.2 Tetralogia di Fallot classica con arco aortico destro TBX1 con arco aortico cervicale CRKL ipoplasia setto infundibolare assenza valvola polmonare discontinuità arterie polmonari Atresia polmonare con difetto interventricolare collaterali aorto-polmonari Interruzione arco aortico tipo B Truncus arterioso tipo A3 discontinuità arterie polmonari con anomalie arco aortico con displasia valvola truncale Difetto interventricolare sottoaortico con arco aortico destro con arco aortico cervicale con arteria succlavia aberrante Turner Monosomia X Coartazione aortica - Stenosi aortica Aorta bicuspide Cuore sinistro ipoplasico Williams Delezione 7q11.23 Stenosi aortica sopravalvolare ELN (regione gene elastina) Stenosi periferiche arterie polmonari Delezione 8p23 Delezione 8p23 Canale atrioventricolare completo con stenosi polmonare GATA4 Stenosi polmonare Tetralogia Fallot Cat-eye Tetrasomia 22 Tetralogia di Fallot - Ritorno venoso polmonare anomalo Cri du chat Delezione 5p14-15 Difetto interventricolare Dotto arterioso pervio Wolf Delezione 4p16.3 Jacobsen Delezione 11q Difetto interatriale con stenosi polmonare - Difetto interventricolare Ta 176 Cuore sinistro ipoplasico JAM-3 ETS-1 Le basi genetiche delle cardiopatie congenite Tabella III. (continua) Sindromi cromosomiche e genomiche con cardiopatia congenita. Sindrome Microdelezione 1q21.2 Difetto genetico Cardiopatie congenite Sottotipo cardiaco Ostruzioni sinistre Geni candidati per cardiopatia GJA5 Truncus arterioso Difetto interventricolare Difetto interatriale Microduplicazione 1q21.2 Tetralogia di Fallot GJA5 Microduplicazione 22q11.2 Difetto interventricolare Microdelezione 22q11.2 distale Difetto interventricolare MAPK1 Difetto interatriale CRKL Stenosi polmonare TBX1 Tetralogia di Fallot Tetralogia di Fallot Truncus arterioso Persistenza miocardio fetale Associazioni malformative Le associazioni definiscono alcune malformazioni che si presentano insieme con maggiore frequenza rispetto a quello che sarebbe previsto casualmente. In questi casi, però, non è identificable una spiegazione che accomuni la concomitanza delle patologie, come avviene per le sequenze o le sindromi. Tra le associazioni malformative con CC si possono citare l’Associazione VACTERL (Vertebral defects, Anal atresia, Cardiac defect, Tracheo-Esophageal fistula/esophageal atresia, Renal anomalies, Limb malformations) e lo spettro OculoAuricolo-Vertebrale (microtia, microsomia emifacciale con ipoplasia mandibolare, dermoide bulbare, malformazioni cervicali). La probabile eterogeneità genetica di queste associazioni spiega probabilmente il fatto che le CC sono di vario tipo (troncoconali, difetti settali e ritorno venoso polmonare anomalo) (Kumar et al., 1993; Botto et al., 1997; Digilio et al., 2008) (Tabella IV). Tipi anatomici di cardiopatie congenite e sindromi associate Anomalie della migrazione del tessuto ectomesenchimale Le CC troncoconali incluse in questo gruppo, quali tetralogia di Fallot, interruzione dell’arco aortico tipo B, truncus arterioso e difetto interventricolare sottoaortico, si associano a varie patologie cromosomiche e sindromi monogeniche (Tab. V). L’associazione con la sindrome da microdelezione cromosomica 22q11.2 è particolarmente nota e i difetti anatomici cardiaci in questa sindrome manifestano delle peculiarità. Infatti, la tetralogia di Fallot (con e senza atresia polmonare) presenta spesso difetti cardiaci aggiuntivi, quali arco aortico destro o cervicale, arteria succlavia sinistra aberrante, ipoplasia o assenza del setto infundibolare, assenza della valvola polmonare, discontinuità o ipoplasia delle arterie polmonari (Momma et al., 1995; Johnson et al., 1995; Marino et al., 1996 e 2001, Chessa et al., 1998). Le stesse anomalie cardiache aggiuntive sono descritte frequentemente anche in associazione con l’interruzione dell’arco aortico tipo B dei soggetti con delezione 22q11.2 (Lewin et al., 1997; Rauch et al., 1998; Marino et al., 1999a). Per quanto riguarda il truncus arteriosus, i tipi anatomici A1 e A2 di con dilatazione aortica Van Praagh sono prevalenti in questi pazienti, mentre il tipo A3, il più raro tra i tre, con discontinuità delle arterie polmonari e anomalie dell’arco aortico, è il più specifico per la sindrome. Displasia e stenosi della valvola truncale sono segni clinici caratteristici aggiuntivi (Momma et al., 1997; Marino et al., 1998). La tetralogia di Fallot nella sindrome CHARGE si può associare a canale atrioventricolare (Vergara et al., 2006; Corsten-Janssen et al., 2013). Anomalie del flusso ematico intracardiaco Difetto interventricolare (perimembranoso) I difetti interventricolari perimembranosi si associano ad anomalie extracardiache nel 20% dei casi (Ferencz et al., 1993). L’ampiezza del difetto sembra essere direttamente proporzionata alla percentuale di associazione con sindrome, in quanto i difetti di ampiezza moderata o ampia sono più spesso sindromici (Lewis et al., 1996). Sono numerose le sindromi cromosomiche e monogeniche diagnosticabili in pazienti con questa cardiopatia (Tab. VI). Difetti ostruttivi del cuore sinistro (valvola aortica bicuspide, stenosi aortica valvolare, coartazione aortica, interruzione arco aortico tipo A, sindrome del cuore sinistro ipoplasico, atresia aortica, atresia mitralica) La sindrome di Turner (monosomia X) è la patologia cromosomica nota per essere associata alle CC incluse nello spettro dei difetti ostruttivi sinistri (Gotzsche et al., 1994; Mazzanti e Cacciari, 1998). È nota anche l’associazione tra cuore sinistro ipoplasico e delezione cromosomica distale 11q (sindrome di Jacobsen) (Grossfeld et al., 2004; Phillips et al., 2002). JAM3, che mappa in 11q23-25 ed è espresso in corso di cardiogenesi, è stato il primo gene candidato per la CC (Phillips et al., 2002), anche se studi sperimentali successivi hanno posto in dubbio il coinvolgimento di JAM3 ed hanno ipotizzato altri geni nella regione (Ye et al., 2009). Tra le sindromi monogeniche, la sindrome di Noonan puo’ presentarsi con coartazione aortica (Digilio et al., 1998b), mentre vari difetti ostruttivi del cuore sinistro sono descritti nella sindrome Kabuki, specialmente in pazienti di sesso maschile e con quella manifestazione cardiologica 177 M.C. Digilio et al. Tabella IV. Sindromi monogeniche e associazioni malformative con cardiopatia congenita. Sindrome Gene causante Cardiopatia congenita • Sindrome di Noonan PTPN11, RAF1,SOS1, SHOC2, NRAS, CBL Stenosi polmonare valvolare Cardiomiopatia ipertrofica Canale atrioventricolare Difetto interatriale • Sindrome LEOPARD PTPN11, RAF1, BRAF Cardiomiopatia ipertrofica • Sindrome Cardio- Facio-Cutanea BRAF, MEK1, MEK2 Aritmia Stenosi polmonare valvolare Sottotipo cardiaco RASopatie Difetto interatriale Cardiomiopatia ipertrofica • Sindrome di Costello HRAS Sindrome Kabuki MLL2, KDM6A Sindrome CHARGE Sindrome di Alagille CHD7 JAG1, Notch2 Stenosi polmonare valvolare Cardiomiopatia ipertrofica Aritmie Difetto interatriale Difetto interventricolare Coartazione aortica Cuore sinistro ipoplastico Tetralogia Fallot Tetralogia di Fallot Canale atrioventricolare Pervietà dotto arterioso Stenosi periferiche arterie polmonari Tetralogia Fallot con displasia valvolare del ventricolo sinistro anomalie valvola mitralica parziale, con ostruzioni sinistre, stenosi polmonare o cardiomiopatia ipertrofica con stenosi polmonare del ventricolo sinistro anomalie valvola mitralica con displasia valvolare del ventricolo sinistro anomalie valvola mitralica con displasia valvolare del ventricolo sinistro anomalie valvola mitralica con ipoplasia mitralica (Shone) con tetralogia di Fallot con stenosi periferiche arterie polmonari Sindromi con polidattilia • Sindrome di Ellis-van Creveld EVC, EVC2 Canale atrioventricolare • Sindromi Oro-Facio- Digitali OFD1 Altri geni sconosciuti BBS1-14 Canale atrioventricolare Eterotassia Canale atrioventricolare Destrocardia Canale atrioventricolare • Sindrome di Bardet-Biedl • Sindrome di Smith- Lemli-Opitz DHCR7 Sindrome di Holt-Oram TBX5 Associazione VACTERL non noti Sindrome di Goldenhar non noti 178 Difetti settali Difetto interventricolare Difetto interatriale Canale atrioventricolare Tetralogia Fallot Ventricolo destro a doppia uscita Eterotassia Canale atrioventricolare Tetralogia di Fallot Difetto interventricolare Difetto interatriale Ritorno venoso polmonare anomalo parziale con atrio comune con persistenza vena cava superiore sinistra parziale, con atrio comune con atrio comune parziale parziale con ritorno venoso polmonare anomalo muscolare parziale parziale sottoaortico Le basi genetiche delle cardiopatie congenite Tabella V. Sindromi genetiche associate a cardiopatie troncoconali da anomalia della migrazione del tessuto ectomesenchimale (Gruppo I di Clark). Cardiopatia congenita Difetto interventricolare sottoaortico Sindromi associate Trisomia 18 Sindrome di DiGeorge/velo-cardio-facciale Sindrome Kabuki Ventricolo destro a doppia uscita Trisomia 18 Sindrome di DiGeorge/velo-cardio-facciale Associazione VACTERL Tetralogia di Fallot Sindrome di Down Trisomia 18 Trisomia 13 Delezione 8p23 Sindrome di DiGeorge/velo-cardio-facciale Microdelezione 1q21.1 Sindrome CHARGE Sindrome di Alagille Associazione VACTERL Spettro Oculo-Auricolo-Vertebrale (Goldenhar) Atresia polmonare con difetto interventricolare Sindrome di DiGeorge/velo-cardio-facciale Sindrome CHARGE Finestra aorto-polmonare Associazione VACTERL Sindrome CHARGE Truncus arterioso Sindrome di DiGeorge/velo-cardio-facciale Duplicazione 8q interstiziale Delezione 22q11.2 distale Sindrome CHARGE Tabella VI. Sindromi genetiche associate ad anomalie del flusso ematico intracardiaco (Gruppo II di Clark). Cardiopatia congenita Difetto interventricolare perimembranoso Sindromi associate Trisomia 13 Trisomia 18 Difetti del cuore sinistro (valvola aortica bicuspide, stenosi aortica valvolare, coartazione aortica, interruzione arco aortico tipo A, sindrome del cuore sinistro ipoplasico, atresia aortica, atresia mitralica) Sindrome di Turner Delezione 11q (sindrome di Jacobsen) Sindrome Williams Sindrome di Noonan/RASopatie Sindrome Kabuki Difetti del cuore destro Difetto interatriale ostium secundum Sindrome di Down Trisomia 18 Trisomia 13 Delezione 4p (Sindrome di Wolf Hirschhorn) Sindrome di Holt-Oram Sindrome di Noonan/RASopatie Sindrome Kabuki Stenosi polmonare valvolare Delezione 4p (Sindrome di Wolf- Hirschhorn) Sindrome di Noonan/RASopatie Sindrome di Williams 179 M.C. Digilio et al. caratterizzata da ostruzioni sinistre multiple e denominata dai cardiologi “sindrome di Shone” (Digilio et al., 2001 e 2010) (Tab. VI). Difetto interatriale (ostium secundum) Il difetto interatriale presenta anomalie extracardiache associate nel 25% dei casi (Ferencz et al., 1993). Oltre alle numerose patologie cromosomiche sono da sottolineare alcune sindromi monogeniche, quali la sindrome Holt-Oram da mutazione del gene TBX5 (Basson et al., 1997; Bruneau et al., 1999) e la sindrome Noonan da mutazione dei geni PTPN11 e SOS1 (Sarkozy et al., 2003; Tartaglia et al., 2007; Digilio et al., 2009, Lepri et al., 2011) (Tab. VI). Stenosi polmonare valvolare Questa CC si associa a sindromi genetiche nel 9% dei casi (Ferencz et al., 1993). La delezione terminale 4p (sindrome di WolfHirschhorn) (Battaglia et al., 1999) e la delezione terminale 18q (van Trier et al., 2013) sono le patologie cromosomiche diagnosticate più frequentemente. In ambito di sindromi monogeniche, invece, la stenosi polmonare valvolare costituisce la CC caratteristicamente riscontrata nei pazienti con sindrome di Noonan e altre RASopatie (Van der Hauwaert et al., 1978; Burch et al., 1993; Marino et al., 1999b; Sarkozy et al., 2003; Digilio et al., 2009) (Tab. VI). Nelle RASopatie la stenosi polmonare presenta caratteristiche anatomiche peculiari, in quanto la valvola è generalmente displastica con ispessimento fibrotico dell’anulus e dei lembi, spesso con restringimento anche sopravalvolare. A causa della particolarità anatomica della valvola, in questi soggetti il trattamento con valvuloplastica mediante cateterismo interventistico spesso non risulta risolutivo ed è necessario intervenire chirurgicamente. Anomalie della morte cellulare Difetto interventricolare muscolare Questa cardiopatia è diagnosticata in patologie cromosomiche, quali trisomia 18 e trisomia 13 (Ferencz et al., 1993), e nella sindrome di HoltOram, a volte con blocco atrioventricolare (Kumar et al., 1994) (Tab. VII). Anomalia di Ebstein della valvola tricuspide Numerose sindromi cromosomiche e monogeniche sono diagnosticate nel 20% dei casi. Le sindromi riscontrate più caratteristicamente sono la sindrome genomica da microdelezione 1p36 (Battaglia et al., 2008; Digilio et al., 2011) e la delezione terminale 8p23.1 (Digilio et al., 2011; Paez et al., 2008) (Tabella VII). Anomalie della matrice extracellulare Anomalie extracardiache sono presenti nei 2/3 dei pazienti con canale atrioventricolare. Nel 45% dei casi si tratta della sindrome di Down, nel 15% di eterotassia e nel 15% di altre sindromi genetiche (Digilio et al., 1999). L’associazione con la sindrome di Down è quella più conosciuta. Le caratteristiche anatomiche del canale atrioventricolare in questa sindrome sono peculiari, in quanto il canale è prevalentemente di tipo completo ed è raro riscontrare difetti ostruttivi sinistri, a differenza di quanto si evidenzia in pazienti senza la sindrome di Down (De Biase et al., 1986; Marino et al., 1990,1996, 2000). Le altre anomalie cromosomiche diagnosticate più spesso nei pazienti con canale atrioventricolare coinvolgono regioni cromosomiche nelle quali mappano geni che, quando mutati, possono essere patogeneticamente correlati con canale atrioventricolare non-sindromico. Costituiscono un esempio la delezione terminale 8p23 (Digilio et al., 1998a) con canale atrioventricolare completo, a volte associato a stenosi polmonare valvolare, e la delezione 3p25 (Green et al., 2000). I geni candidati sono GATA4 nella regione 8p23.1 (Devriendt et al., 1999; Giglio et al., 2000) and CRELD1 in 3p25 (Rupp et al., 2002; Robinson et al., 2003). Tra le sindromi monogeniche con canale atrioventricolare possiamo citare la sindrome di Noonan e altre RASopatie, prevalentemente in associazione con mutazioni nei geni PTPN11 e RAF1 (Marino et al., 1999b; Digilio et al., 2013), la sindrome CHARGE con mutazioni nel gene CHD7 (Vergara et al., 2006; Corsten-Janssen et al., 2013) e le sindromi con polidattilia (Ellis-van Creveld, Bardet-Biedl, Smith-Lemli Opitz, Oro-Facio-Digitali) con mutazioni in geni correlati a ciliopatie (Digilio et al., 1999, 1997, 2003, 2006; Ruiz-Perez et al., 2003; Ansley et al., 2003; Ferrante et al., 2006) (Tab. VIII). Nelle sindromi con polidattilia il canale atrioventricolare è generalmente parziale con atrio comune, persistenza della vena cava superiore sinistra e “unroofed coronary sinus”. Le caratteristiche anatomiche cardiache di questi pazienti sono simili a quelle della sindrome eterotassica con isomerismo sinistro (Digilio et al., 1999). Anomalie della crescita “direzionata” Ritorno venoso polmonare anomalo Le patologie cromosomiche associate a ritorno venoso polmonare anomalo sono la tetrasomia 22 (cat-eye syndrome), la trisomia 22 e la sindrome di Turner (Ferencz et al., 1993; Van Wassenaer et al., 1988; Belien et al., 2008). Le sindromi monogeniche, invece, sono costituite dalle sindromi di Holt-Oram, Townes-Brocks, lo spettro Oculo-Auricolo-Vertebrale (sindrome di Goldenhar) e l’associazione VACTERL (Ferencz et al., 1993; Digilio et al., 2001) (Tab. IX). Anomalie del situs e della loop cardiaca Le anomalie del situs costituiscono un gruppo complesso di malformazioni cardiache ed extracardiache in ambito di difetti della lateralità, quali la sindrome polisplenica (o isomerismo sinistro) e la sindrome asplenica (o isomerismo destro). Le CC associate consistono in anomalie delle vene sistemiche e polmonari, della setta- Tabella VII. Sindromi genetiche associate ad anomalie della morte cellulare (Gruppo III di Clark). Cardiopatia congenita Difetto interventricolare muscolare Sindromi associate Sindrome di Holt-Oram Trisomia 18 Trisomia 13 Anomalia di Ebstein della valvola tricuspide Microdelezione 1p36 Delezione 8p23 Delezione terminale 18q 180 Le basi genetiche delle cardiopatie congenite Tabella VIII. Sindromi genetiche associate ad anomalie della matrice extracellulare della morte cellulare (Gruppo IV di Clark). Cardiopatia congenita Sindromi associate Difetto interatriale ostium primum Sindrome di Down Difetto interventricolare, tipo III (posteriore tipo”canale atrioventricolare”) Delezione 8p23 Canale atrioventricolare Sindrome di Noonan Valvola aortica o polmonare displasica Sindrome di Ellis-van Creveld Delezione 3p25 Sindromi Oro-Facio-Digitali Sindrome di Smith-Lemli-Opitz Sindrome CHARGE Tabella IX. Sindromi genetiche associate ad anomalie della crescita “direzionata” (Gruppo V di Clark). Cardiopatia congenita Sindromi associate Ritorno venoso polmonare anomalo parziale Tetrasomia 22 (cat-eye syndrome) Ritorno venoso polmonare anomalo totale Trisomia 22 Cor triatriatum Sindrome di Turner Difetto interatriale tipo seno venoso Sindrome di Holt-Oram Sindrome di Townes-Brocks Spettro Oculo-Auricolo-Vertebrale (Goldenhar) Associazione VACTERL zione atriale o ventricolare, canale atrioventricolare e difetti della regione troncoconale. A livello addominale questi pazienti possono presentare un fegato mediano o posizionato a sinistra, polisplenia o asplenia, difetti della lateralità intestinale. Nei modelli animali sono stati identificati un centinaio di geni associati a difetti di lateralità e alcuni di questi possono essere responsabili di anomalie del situs e dell’ansa anche nell’uomo (Levin, 2005). Tra questi ultimi citiamo mutazioni nei geni ZIC3 (Gebbia et al., 1997), ACVR2B (Kosaki et al., 1999a), LEFTYA (Kosaki et al., 1999b), CFC1 (Bamford et al., 2000), GDF1 (Karkera et al., 2007) e NODAL (Mohapatra et al., 2009). È noto che tutti questi geni sono correlati funzionalmente con la via patogenetica di NODAL. Approccio diagnostico alle cardiopatie congenite sindromiche La valutazione diagnostica dei pazienti con CC prevede il tentativo di inquadramento della malformazione all’interno di una sindrome specifica o, in alternativa, la caratterizzazione come difetto isolato. Si inizia con una accurata anamnesi familiare e con la ricostruzione dell’albero genealogico, con la raccolta delle informazioni relative alle malattie nei consanguinei di primo e secondo grado, l’esame della documentazione clinica del paziente, delle indagini strumentali, degli esami di laboratorio, compresi quelli genetici. Successivamente, si effettua un accurato esame obiettivo del paziente, si ricercano eventuali dismorfismi e anomalie fenotipiche, anche minori. In questa fase può essere necessario richiedere specifici accertamenti clinici, strumentali e di laboratorio (genetici e non) integrativi (Hennekam, 2007). Approccio di monitoraggio multidisciplinare alle cardiopatie congenite sindromiche Il miglioramento della conoscenza delle diverse e variabili problematiche cliniche correlate alle sindromi con CC, che necessitano spesso del coinvolgimento di numerosi specialisti in branche mediche diverse, ha portato alla definizione di protocolli clinici di monitoraggio specifici per patologia e per età del paziente. Inizialmente il cardiologo pediatra e il cardiochirurgo forniscono informazioni ai genitori di un bambino affetto da CC riguardo alle caratteristiche cliniche della patologia, al programma diagnostico e terapeutico, agli interventi necessari e all’eventuale follow-up post-operatorio. Un team multidisciplinare di specialisti interviene per affrontare le problematiche cliniche extracardiache caratteristiche delle varie sindromi. Per molte delle sindromi genetiche con CC si può fare riferimento a linee guida e protocolli di follow-up condivisi, quali quelli per la sindrome di Down (American Academy of Pediatrics, 2001a), la microdelezione 22q11.2 (Bassett et al., 2011), la sindrome di Noonan (Sarkozy et al., 2006; Romano et al., 2010; Roberts et al., 2013), la sindrome di Williams (American Academy of Pediatrics, 2001b) e la sindrome Kabuki (Kabuki Syndrome Guideline Development Group, www.dyscerne.org). Prognosi chirurgica Lo studio di fattori di rischio cardiologici specifici per patologia consente di predisporre protocolli diagnostici e perioperatori mirati alla riduzione della mortalità e della morbilità delle malformazioni. Per la sindrome di Down è accertato che i risultati chirurgici per la correzione del canale atrioventricolare completo e parziale non mostrano un rischio aumentato di mortalità chirurgica e postopera- 181 M.C. Digilio et al. toria, se si eccettua il rischio maggiore per ipertensione polmonare (Formigari et al., 2004, 2009). Anche la microdelezione 22q11.2 non costituisce un fattore di rischio aggiuntivo nei pazienti affetti da CC. Infatti la sopravvivenza a lungo termine dei pazienti con cardiopatia troncoconale e delezione 22 è simile a quella dei pazienti non-sindromici con lo stesso tipo di cardiopatia (Michielon et al., 2006, 2009; Formigari et al., 2009). Una mortalità chirurgica più elevata è stata segnalata solo per pazienti con atresia polmonare e difetto interventricolare, probabilmente legata alla complessità anatomica delle arterie polmonari (Michielon et al., 2009). Un decorso postoperatorio più complicato è descritto inoltre per i pazienti con truncus arterioso e interruzione dell’arco aortico (O’Byrne et al., 2014). Altre sindromi malformative complesse possono avere un forte impatto negativo sulla prognosi chirurgica delle CC, e tra queste l’Associazione VACTERL (Michielon et al., 2009). Cardiopatie congenite non-sindromiche Le CC non-sindromiche sono considerate secondarie a meccanismi multifattoriali. Sono causate cioè dalla concomitanza di fattori genetici di suscettibilità, che agiscono con un meccanismo additivo, e di fattori ambientali. Ancora oggi il calcolo del rischio riproduttivo in consulenza genetica si basa su dati empirici, in considerazione del tipo anatomico del difetto e dei relativi dati epidemiologici. Nelle famiglie nelle quali è presente una persona con CC il rischio di ricorrenza del difetto è più elevato e varia in rapporto al numero delle persone affette nella famiglia e al grado di consanguineità tra probando e le altre persone affette. Il rischio empirico di ricorrenza per le CC, calcolato per una coppia di genitori che ha avuto un figlio affetto, è circa 3%, per ogni concepimento, indipendentemente dal sesso del nascituro (Burn et al., 1998; Peyvandi et al., 2014). In una minoranza di nuclei familiari la CC segrega in più soggetti e la trasmissione è compatibile con un meccanismo autosomico dominante o autosomico recessivo. Dagli studi di trasmissione verticale emerge che le madri affette sembrano avere un rischio più elevato di trasmettere alcuni tipi di CC, rispetto ai padri affetti. La consulenza genetica può essere richiesta anche nel corso della vita fetale, per una coppia di genitori ai quali, mediante ecografia o ecocardiografia prenatale, è stata effettuata una diagnosi di CC per la gravidanza in corso. In questi casi è indicato un counseling genetico che coinvolga anche il cardiologo e il cardiochirurgo pediatra per illustrare alla coppia le possibilità offerte dalla cardiochirurgia post-natale e consentire una scelta riproduttiva consapevole. Lo studio di ampie casistiche e in particolare di casi familiari di CC ha permesso di identificare una serie di mutazioni, in singoli geni, in associazione con alcuni tipi di difetto, come la tetralogia di Fallot (Eldadah et al., 2001; Goldmuntz et al., 2001; Pizzuti et al., 2003; McElhinney et al., 2003; Sperling Dunkel et al., 2005; Roessler et al., 2008; Griffin et al., 2010; Rauch et al., 2010; Bauer et al., 2010; De Luca et al., 2011; Guida et al., 2011,2013; Soemedi et al., 2012), il canale atrioventricolare (Wilson et al., 1993; Sheffield et al., 1997; Robinson et al., 2003; Garg et al., 2003; Zatika et al., 2005; Weismann et al., 2005; Al Turki et al. 2014), il difetto interatriale (Schott et al., 1998; Sarkozy et al., 2005; Ching et al., 2005), il cuore sinistro ipoplasico e altre anomalie ostruttive sinistre (Dasgupta et al., 2001; Elliott et al. 2003; Ware et al., 2004; Garg et al., 2005; McElhinney et al., 2005; Stevens et al., 2010; Iascone et al., 2012; Lalani et al., 2013; Freylikhman et al., 2014) (Tab. X). Tabella X. Principali mutazioni patogenetiche nelle cardiopatie congenite non-sindromiche. Cardiopatia congenita Tetralogia di Fallot Canale atrioventricolare Ostruzioni sinistre Trasposizione grandi arterie Difetto interatriale 182 Gene % positività NKX2.5 JAG1 FOG2 CITED2 Nodal FOXA2 GJA5 FOXC1 HAND2 CRELD1 GATA4 PTPN11 NOTCH1 NKX2.5 GJA1 ZIC3 ISL1 MCTP2 ZIC3 CFC1 Prosit 240 NKX2.5 GATA4 MHC6 1-4 % 3% 1-4 % 6% 12 % 4% 1% 1% 1% casi singoli casi singoli caso singolo casi singoli 2% casi singoli casi singoli casi singoli 0.7% singole famiglie 2% 3% casi familiari casi familiari casi familiari Sottotipo cardiaco parziale completo con stenosi polmonare completo con blocco atrioventricolare con stenosi polmonare Le basi genetiche delle cardiopatie congenite È da considerare, però, che ognuno dei geni implicati risulta mutato solo in una piccola percentuale dei casi. In più, in alcune famiglie sono state riscontrate mutazioni in geni-malattia anche in familiari con cuore sano. Questo implica la possibilità di coinvolgimento di un difetto di penetranza o comunque l’effetto additivo di altri fattori di rischio, in accordo con quanto atteso nel modello multifattoriale. Recentemente stanno emergendo dati riguardo alla frequenza di Copy Number Variations nelle CC non-sindromiche. La frequenza è inferiore rispetto alle CC sindromiche (3.6% versus 19%) (Erdogan et al., 2008), ma in alcuni studi la percentuale ha raggiunto addirittura il 10% (Greenway et al., 2009). Conclusioni Studi epidemiologici, clinici e molecolari hanno progressivamente consentito di migliorare le conoscenze sulle basi genetiche delle CC. Studi di correlazione genotipo-fenotipo continuano a evidenziare l’esistenza di un collegamento tra specifici fenotipi anatomici delle CC e alcune sindromi genetiche. Tali dati sono di ausilio diagnostico e per il follow-up dei pazienti. È ancora poco nota l’eziologia delle CC non-sindromiche, in quanto è stato possibile caratterizzare molecolarmente soprattutto casi per i quali la CC segregava in famiglia in più soggetti, mentre per la maggior parte dei casi sporadici la causa e le basi genetiche sono ancora sconosciute. Nel prossimo futuro potranno essere utilizzate le nuove tecniche molecolari di Next Generation Sequencing per migliore comprensione diagnostica e associazioni di patologie. Box di orientamento Che cosa sapevamo prima Da tempo studi epidemiologici e clinici avevano rilevato che fattori genetici sono importanti nell’eziologia delle CC. I meccanismi alla base delle CC sono però complessi e eterogenei. Una stessa malformazione cardiaca può essere causata da fattori genetici diversi, così come singole anomalie cromosomiche o geniche possono essere associate a malformazioni cardiache diverse. Patologie cromosomiche e mutazioni geniche sono alla base di CC sindromiche, mentre meccanismi multifattoriali causano le CC non-sindromiche. Che cosa sappiamo adesso Esiste un collegamento tra specifici fenotipi anatomici delle CC e alcune sindromi genetiche o mutazioni di geni. La diagnosi di un preciso difetto anatomico del cuore può orientare il clinico verso il sospetto di una particolare sindrome o per una specifica indagine genetica. La diagnosi di una particolare sindrome in un bambino può guidare il cardiologo alla ricerca di una specifica CC potenzialmente associata. Sono state identificate differenze nella prognosi cardiochirurgica in sindromi differenti e in bambini non-sindromici. La conoscenza di fattori di rischio cardiologici e extracardiologici specifici per sindrome diagnosticata consente di predisporre protocolli di monitoraggio multisciplinari. Il progredire delle tecniche molecolari negli ultimi anni ha portato all’identificazione delle basi molecolari di un gran numero di sindromi con CC, e sta iniziando a caratterizzare molecolarmente anche il gruppo molto eterogeneo delle CC non-sindromiche. Per la pratica clinica La migliore definizione delle caratteristiche cliniche e molecolari e la possibilità di utilizzare marcatori fenotipici diagnostici e nuove tecniche molecolari consentono una diagnosi precoce delle sindromi genetiche associate a CC con i relativi fattori di rischio. Il monitoraggio delle problematiche cardiologiche ed extracardiache è effettuato attraverso linee guida e protocolli di follow-up condivisi. Attraverso le nuove conoscenze è possibile fornire alla famiglia una consulenza genetica più precisa. Bibliografia Al Turki S, Manickarai AK, Mercer CL, et al. Rare variants in NR2F2 cause congenital heart defects in humans. Am J Hum Genet 2014;94:574-85. American Academy of Pediatrics, Committee on Genetics. Health supervision for children with Down syndrome. Pediatrics 2001a;107:442-9. American Academy of Pediatrics, Committee on Genetics. Health care supervision for children with Williams syndrome. Pediatrics 2001b;107:1192-204. Ansley SJ, Badano JL, Blacque OE, et al. Basal body dysfunction is a likely cause of pleiotropic Bardet-Biedl syndrome. Nature 2003;425:628-33. Bamford RN, Roessler E, Burdine RD, et al. Loss-of-function mutations in the EGFCFC gene CFC1 are associated with human left–right laterality defects. Nat Genet 2000;26:365-9. Bassett AS, McDonald-McGinn DM, Devriendt K, et al. Practical guidelines for managing patients with 22q11.2 deletion syndrome. J Pediatr 2011;159:332-9. Basson CT, Bachinsky DR, Lin RC, et al. Mutations in human TBX5 cause heart and limb malformations in Holt-Oram syndrome. Nat Genet 1997:15:30-35. Battaglia A, Hoyme HE, Dallapiccola B, et al. Further delineation of deletion 1p36 syndrome in 60 patients: A recognizable phenotype and common cause of developmental delay and mental retardation. Pediatrics 2008;121:404-10. Battaglia A, Carey JC, Cederholm P, Vet al. Natural history of Wolf-Hirschhorn syndrome: Experience with 15 cases. Pediatrics 1999;103:830-6. Bauer RC, Laney AO, Smith R, et al. Jagged1 (JAG1) mutations in patients with tetralogy of Fallot or pulmonic stenosis. Hum Mutat 2010;31:594-601. Belien V, Gerard-Blanluet M, Serero S, et al. Partial trisomy of chromosome 22 resulting from a supernumerary marker chromosome 22 in a child with features of cat eye syndrome. Am J Med Genet 2008;146A:1871-4. Ben-Shachar S, Ou Z, Shaw CA, et al. 22q11.2 distal deletion: A recurrent genomic disorder distinct from DiGeorge syndrome and velocardiofacial syndrome. Am J Hum Genet 2008;82:214-21. Botto L, Khoury MJ, Mastroiacovo P, et al. The spectrum of congenital anomalies of the VATER association: An international study. Am J Med Genet 1997;71:8-15. Breckpot J, Thienpont B, Peeters H, et al. Array Comparative Genomic hybridization as a diagnostic tool for syndromic heart defects. J Pediatr 2010;156:810-7. Breckpot J, Thienpont B, Arens Y, et al. Challenges of interpreting copy number variation in syndromic and non-syndromic congenital heart defects. Cytogenet Genome Res 2011;135:251-9. Bruneau BG, Logan M, Davis N, et al. Chamber-specific cardiac expression of Tbx5 and heart defects in Holt-Oram syndrome. Dev Biol 1999;211:100-8. Burch M, Sharland M, Shinebourne E, et al. Cardiologic abnormalities in Noonan syndrome: phenotypic diagnosis and echocardiographic assessment in 118 patients. J Am Coll Cardiol 1993;22:1189-92. Burn J, Brennan P, Little J, et al. Recurrence risks in offspring of adults with major heart defects: results from first cohort of British collaborative study. Lancet 1998;351:311-6. Chessa M, Butera G, Bonhoeffer P, et al. Relation of genotype 22q11 deletion to phenotype of pulmonary vessels in tetralogy of Fallot and pulmonary atresiaventricular septal defect. Heart 1998;79:186-90. Ching YH, Ghosh TK, Cross SJ, et al. Mutation in myosin heavy chain 6 causes atrial septal defect. Nat Genet 2005;37:423-8. 183 M.C. Digilio et al. Clark EB. Mechanisms in the pathogenesis of congenital heart defects. In: Pierpont ME, Moller J, eds. The genetics of cardiovascular disease. Boston: Martinus-Nijoff 1986, pp. 3-11. Clark EB. Pathogenetic mechanism of congenital cardiovascular malformations revisited. Semin Perinatal 1996;29:465-72. Corsten-Janssen N, Kerstjens-Frederikse WS, du Marchie Sarvaas GJ, et al. The cardiac phenotype in patients with a CHD7 mutation. Circ Cardiovasc Genet 2013;6:248-54. * Recente lavoro che riporta correlazioni genotipo-fenotipo per le cardiopatie congenite nella sindrome CHARGE. D’Asdia C, Torrente I, Consoli F, et al. Novel and recurrent EVC and EVC2 mutations in Ellis-van Creveld and Weyers acrofacial dysostosis. Eur J Med Genet 2013;56:80-7. * Review recente sulla syndrome Ellis-van Creveld. Dasgupta C, Martinez AM, Zuppan CW, et al. Identification of connexin43 (alpha1) gap junction gene mutations in patients with hypoplastic left heart syndrome by denaturing gradient gel electrophoresis (DGGE). Mut Res 2001;479:173-86. De Biase L, Di Ciommo V, Ballerini L, et al. Prevalence of left-sided obstructive lesions in patients with atrioventricular canal without Down’s syndrome. J Thorac Cardiovasc Surg 1986;91:467-9. De Luca A, Sarkozy A, Ferese R, et al. New mutations in ZFPM2/FOG2 gene in tetralogy of Fallot and double outlet right ventricle. Clin Genet 2011;80:184-90. Devriendt K, Matthijs G, Van Dael R, et al. Delineation of the critical deletion region for congenital heart defects, on chromosome 8p23.1. Am J Hum Genet 1999;64:1119-26. Digilio MC, Marino B, Giannotti A, et al. The atrioventricular canal defect is the congenital heart disease connecting short-rib polydactyly and oral-facial-digital syndromes. Am J Med Genet 1997;68:110-2. Digilio MC, Marino B, Guccione P, et al. Deletion 8p sindrome. Am J Med Genet 1998a;75:534-6. Digilio MC, Marino B, Picchio F, et al. Noonan syndrome and aortic coarctation. Am J Med Genet 1998b;80:160-2. Digilio MC, Marino B, Ammirati A, et al. Cardiac malformations in patients with oral-facial-skeletal syndromes: clinical similarities with heterotaxia. Am J Med Genet 1999;84:350-6. Digilio MC, Marino B, Toscano A, et al. Atrioventricular canal defect without Down sindrome: a heterogeneous malformation. Am J Med Genet 1999;85:140-6. Digilio MC, Marino B, Toscano A, et al. Congenital heart defects in Kabuki syndrome. Am J Med Genet 2001;100:269-74. Digilio MC, Marino B, Giannotti A, et al. Specific congenital heart defects in RSH/ Smith-Lemli-Opitz sindrome: Postulated involvement of the Sonic Hedgehog pathway in syndromes with postaxial polydactyly or heterotaxia. Birth Defects Research (Part A) 2003;67:149-53. Digilio MC, Dallapiccola B, Marino B. Atrioventricular canal defect in BardetBiedl syndrome: Clinical evidence supporting the link between atrioventricular canal defect and polydactyly syndromes with ciliary dysfunction. Genet Medicine 2006;8:536-8. Digilio MC, Calzolari F, Capolino R, et al. Congenital heart defects in patients with Oculo–Auriculo–Vertebral Spectrum (Goldenhar syndrome). Am J Med Genet 2008;146A:1815-9. Digilio MC, Marino B, Sarkozy A, et al. The heart in Ras-MAPK pathway disorders. In Zenker M (ed): Noonan Syndrome and Related Disorders. Monogr Hum Genet. Karger, Basel 2009;17:109-18. Digilio MC, Baban A, Marino B, et al. Hypoplastic left heart syndrome in patients with Kabuki syndrome. Pediatr Cardiol 2010;31:1111-3. Digilio MC, Bernardini L, Lepri F, et al. Ebstein anomaly: Genetic heterogeneity and association with microdeletions 1p36 and 8p23.1. Am J Med Genet 2011;155A:2196-202. * Revisione recente delle sindromi genetiche associate ad anomalia di Ebstein. Digilio MC, Lepri F, Dentici ML, et al. Atrioventricular canal defect in patients with RASopathies. Eur J Hum Genet 2013;21:200-4. * Conferma molecolare dell’evidenza che il canale atrioventricolare è una delle cardiopatie congenite più frequentemente diagnosticate nelle RASopatie. Eldadah ZA, Hamosh A, Biery NJ, et al. Familial tetralogy of Fallot caused by mutation in the jagged1 gene. Hum Molec Genet 2001;10:163-9. Elliott DA, Kirk EP, Yeoh T, et al. Cardiac homeobox gene NKX2-5 mutations and congenital heart disease. Association with atrial septal defect and hypoplastic left heart syndrome. J Am Coll Cardiol 2003;41:2072-6. 184 Emerick KM, Rand EB, Goldmuntz E, et al. Features of Alagille syndrome in 92 patients: Frequency and relation to prognosis. Hepatology 1999;29:822-9. Ensenauer RE, Adeyinka A, Flynn HC, et al. Microduplication 22q11.2, an emerging syndrome: clinical, cytogenetic, and molecular analysis of thirteen patients. Am J Hum Genet 2003;73:1027-40. Erdogan F, Larsen LA, Zhang L, et al. High frequency of submicroscopic genomic aberrations detected by tiling path array comparative genome hybridisation in patients with isolated congenital heart disease. J Med Genet 2008;45:704-9. Ferencz C, Rubin JD, Loffredo CA, et al., eds. Epidemiology of congenital heart disease. The Baltimore-Washington Infant Study. 1981-1989. Mount Kisco, New York: Futura Publishing Company Inc 1993. Ferrante MI, Zullo A, Barra A, et al. Oral-facial-digital type I protein is required for primary cilia formation and left-right axis specification. Nat Genet 2006;38:11217. Formigari R, Di Donato RM, Gargiulo G, et al. Better surgical prognosis for patients with complete atrioventricular septal defect and Down’s syndrome. Ann Thorac Surg 2004;78:666-72. Formigari R, Michielon G, Digilio MC, et al. Genetic syndromes and congenital heart defects: how is surgical management affected? Eur J Cardiothorac Surg 2009;35:606-14. ** Articolo di revisione sulla prognosi cardiochirugica delle più frequenti sindromi con cardiopatia congenita. Freylikhman O, Tatarinova T, Smolina N, et al. Variants in the NOTCH1 gene in patients with aortic coarctation. Congenital Heart Dis 2014 (online). Garg V, Kathiriya IS, Barnes R, et al. GATA4 mutations cause human congenital heart defects and reveal an interaction with TBX5. Nature 2003;424:443-7. Garg V, Muth AN, Ransom JF, et al. Mutations in Notch1 cause aortic valve disease. Nature 2005;437:270-4. Gebbia M, Ferrero GB, Pilia G, et al. X-linked situs abnormalities result from mutations in ZIC3. Nat Genet 1997;17:305-8. Giglio S, Graw SL, Gimelli G, et al. Deletion of a 5-cM region at chromosome 8p23 is associated with a spectrum of congenital heart defects. Circulation 2000;102:432-7. Goldmuntz E, Geiger E, Benson DW. NKX2.5 mutations in patients with tetralogy of Fallot. Circulation 2001;104:2565-8. Gotzsche CO, Krag-Olsen B, Nielsen J, et al. Prevalence of cardiovascular malformations and association with karyotypes in Turner’s syndrome. Arch Dis Child 1994;71:433-6. Green EK, Priestley MD, Waters J, et al. Detailed mapping of a congenital heart disease gene in chromosome 3p25. J Med Genet 2000;37:581-7. Greenway SC, Pereira AC, Lin JC, et al. De novo copy number variants identify new genes and loci in isolated sporadic tetralogy of Fallot. Nat Genet 2009;41:931-5. ** Studio sulle copy number variants nella tetralogia di Fallot. Griffin HR, Topf A, Glen E, et al. Systematic survey of variants in TBX1 in nonsyndromic tetralogy of Fallot identifies a novel 57 base pair deletion that reduces transcriptional activity but finds no evidence for association with common variants. Heart 2010;96:1651-5. Grossfeld PD, Mattina T, Lai Z, et al. The 11q terminal deletion disorder: a prospective study of 110 cases. Am J Med Genet 2004;129A:51-61. Gu H, Smith FC, Taffet SM, et al. High incidence of cardiac malformations in Connexin-40 deficient mice. Circ Res 2003;93:201-6. Guida V, Chiappe F, Ferese R, et al. Novel and recurrent JAG1 mutations in patients with tetralogy of Fallot. Clin Genet 2011;80:591-4. ** Lavoro con dati originali e revisione sul ruolo delle mutazioni del gene JAG1 nella tetralogia di Fallot. Guida V, Ferese R, Rocchetti M, et al. A variant in the carboxyl-terminus of connexin 40 alters GAP junctions and increases risk for tetralogy of Fallot. Eur J Hum Genet 2013;21:69-75. * Recente articolo sul ruolo del gene connessina 40 nellìeziologia della tetralogia di Fallot. Hamada H, Meno C, Watanabe D, et al. Establishment of vertebrate left–right asymmetry. Nat Rev Genet 2002;3:103-13. Hennekam RCM. What to call a syndrome. Am J Med Genet 2007;143A:1021-4. Iascone M, Ciccone R, Galletti L, et al. Identification of de novo mutations and rare variants in hypoplastic left heart syndrome. Clin Genet 2012;81:542-54. * Lavoro sui geni implicati nell’eziologia del cuore sinistro ipoplasico. Johnson MC, Strauss AW, Dowton SB, et al. Deletion within chromosome 22 is common in patients with absent pulmonary valve. Am J Cardiol 1995;76:66-9. Le basi genetiche delle cardiopatie congenite Karkera JD, Lee JS, Roessler E, et al. Loss-of-function mutations in growth differentiation factor-1 (GDF1) are associated with congenital heart defects in humans. Am J Hum Genet 2007:81:987-94. Kathiresan S, Srivastava D. Genetics of human cardiovascular disease. Cell 2012;148:1242-57. ** Revisione recente sulla genetica delle cardiopatie congenite. Kosaki R, Gebbia M, Kosaki K, et al. Left–right axis malformations associated with mutations in ACVR2B, the gene for human activin receptor type IIB. Am J Med Genet 1999a;82:70-6. Kosaki K, Bassi MT, Kosaki R, et al. Characterization and mutation analysis of human LEFTYAand LEFTY B, homologues of murine genes implicated in left–right axis development. Am J Hum Genet 1999b;64:712-21. Kumar A, Friedman JM, Taylor GP, et al. Pattern of cardiac malformation in oculoauriculovertebral spectrum. Am J Med Genet 1993;46:423.6. Kumar A, Van Mierop LHS, Epstein ML. Pathogenetic implications of muscular ventricular septal defect in Holt-Oram syndrome. Am J Cardiol 1994;73:993-5. Lalani SR, Ware SM, Wang X, et al. MCTP2 is a dosage-sensitive gene required for cardiac outflow tract development. Hum Molec Genet 2013;22:4339-48. Lalani SR, Belmont JW. Genetic basis of congenital cardiovascular malformations. Eur J Med Genet 2014 (online). ** Recente revisione sulla genetica delle cardiopatie congenite. Lepri F, De Luca A, Stella L, et al. SOS1 mutations in Noonan syndrome: molecular spectrum, structural insights on pathogenetic affects, and genotype-phenotype correlations. Hum Mutat 2011;32:760-72. Levin M. Left–right asymmetry in embryonic development: A comprehensive review. Mech Dev 2005;122:3-25. Lewin MB, Lindsay EA, Jurecic V, et al. A genetic etiology for interruption of the aortic arch type B. Am J Cardiol. 1997;80:493-7. Lewis DA, Loffredo CA, Correa-Villasenor A, et al. Descriptive epidemiology of membranous and muscular ventricular septal defects in the Baltimore-Washington infant study. Cardiol Young 1996;6:281-90. Luxán G, Casanova JC, Martínez-Poveda1 B, et al. Mutations in the NOTCH pathway regulator MIB1 cause left ventricular noncompaction cardiomyopathy. Nat Med 2013;19:193-201. Marino B, Vairo U, Corno A, et al. Atrioventricular canal in Down syndrome. Prevalence of associated cardiac malformations compared with patients without Down syndrome. Am J Dis Child 1990:144:1120-2. Marino B. Patterns of congenital heart disease and associated cardiac anomalies in children with Down syndrome. In: Marino B, Pueschel SM, eds. Heart Disease in Persons with Down Syndrome. Brookes 1996a, pp. 33-140. Marino B, Digilio MC, Grazioli S, et al. Associated cardiac anomalies in isolated and syndromic patients with tetralogy of Fallot. Am J Cardiol 1996b:77:505-8. Marino B, Digilio MC, Dallapiccola B. Severe truncal valve dysplasia: Association with DiGeorge syndrome? Ann Thorac Surg 1998;66:980. Marino B, Digilio MC, Persiani M, et al. Deletion 22q11 in patients with interrupted aortic arch. Am J Cardiol. 1999a;84:360-1. Marino B, Digilio MC, Toscano A, et al. Congenital heart diseases in children with Noonan syndrome: an expanded cardiac spectrum with high prevalence of atrioventricular canal. J Pediatr 1999b;135:703-6. Marino B, Digilio MC. Congenital heart disease and genetic syndromes: specific correlation between cardiac phenotype and genotype. Cardiovasc Pathol 2000;9:303-15. Marino B, Digilio MC, Toscano A, et al. Anatomic patterns of conotruncal defects associated with deletion 22q11. Genet Med 2001;3:45-8. * Revisione dei tipi e sottotipi di cardiopatia congenita associati a delezione 22q11.2. Mazzanti L, Cacciari E. Congenital heart disease in Turner’s syndrome. J Pediatr 1998;133:688-92. McElhinney DB, Geiger E, Blinder J, et al. Nkx2.5 mutations in patients with congenital heart disease. J Am Coll Cardiol 2003;42:1650-5. Micale L, Turturo MG, Fusco C, et al. Identification and characterization of seven novel mutations of elastin gene in a cohort of patients affected by supravalvular aortic stenosis. Eur J Hum Genet 2010;18:317-23. Michielon G, Marino B, Formigari R, et al. Genetic syndromes and outcome after surgical correction of tetralogy of Fallot. Ann Thor Surg 2006;81:968-75. Michielon G, Marino B, Orecchio G, et al. Impact of DEL22q11, trisomy 21, and other genetic syndromes on surgical outcome of conotruncal heart defects. J Thorac Cardiovasc Surg 2009;138:565-70. Mohapatra B, Casey B, Li H, et al. Identification and functional characterization of NODAL rare variants in heterotaxy and isolated cardiovascular malformations. Hum Mol Genet 2009;18:861-71. Momma K, Kondo C, Ando M, et al. Tetralogy of Fallot associated with chromosome 22q11 deletion. Am J Cardiol. 1995;76:618-21. Momma K, Ando M, Matsuoka R. Truncus arteriosus communis associated with chromosome 22q11 deletion. J Am Coll Cardiol 1997;30:1067-71. O’Byrne ML, Yang W, Mercer-Rosa L, et al. 22q11.2 deletion syndrome is associated with increased perioperative events and infants undergoing infant operative correction o truncus arteriosus communis or interrupted aortic arch. J Thorac Cardiovasc Surg 2014; online. Paez MT, Yamamoto T, Hayashi K, et al. Two patients with atypical interstitial deletions of 8p23.1: Mapping of phenotypical traits. Am J Med Genet 2008;146A:1158-65. Peyvandi S, Ingall E, Woyciechowski S, et al. Risk of congenital heart disease in relatives of probands with conotruncal cardiac defects: An evaluation of 1,620 families. Am J Med Genet 2014 (online). Phillips HM, Renforth GL, Spallato C, et al. Narrowing the critical region within 11q24-qter for hypoplastic left heart and identification of a candidate gene, JAM3, expressed during cardiogenesis. Genomics 2002;79:475-8. Pierpont ME, Basson CT, Benson DW Jr, et al. Genetic basis for congenital heart defects: current knowledge: a scientific statement from the Americam Heart Association Congenital Cardiac Defects Committee, Council on Cardiovascular Disease in the Young: endorsed by the American Academy of Pediatrics. Circulation 2007;115:3015-38. Pizzuti A, Sarkozy A, Newton AL, et al. Mutations of ZFPM2/FOG2 gene in sporadic cases of tetralogy of Fallot. Hum Mut 2003;22:372-7. Pradat P, Francannet C, Harris JA, et al. The epidemiology of cardiovascular defects, Part I: A study based on data from three large registries of congenital malformations. Pediatr Cardiol 2003;24:195-221. Rauch A, Hofbeck M, Leipold G, et al. Incidence and significance of 22q11.2 hemizygosity in patients with interrupted aortic arch. Am J Med Genet 1998;78:322-31. Rauch R, Hofbeck M, Zweier C, et al. Comprehensive genotype-phenotype analysis in 230 patients with tetralogy of Fallot. J Med Genet 2010;47:321-31. Richards AA, Santos LJ, Nichols HA, et al. Cryptic chromosomal abnormalities identified in children with congenital heart disease. Pediatr Res 2008;64:358-63. Roberts AE, Allanson JE, Tartaglia M, et al. Noonan syndrome. Lancet 2013;381:333-42. ** Revisione degli aspetti clinici e molecolari della sindrome Noonan. Robinson SW, Morris CD, Goldmuntz E, et al. Missense mutations in CRELD1 are associated with cardiac atrioventricular septal defects. Am J Hum Genet 2003;72:1047-52. Roessler E, Ouspenskaia MV, Karkera JD, et al. Reduced NODAL signaling strength via mutation of several pathway members including FOXH1 is linked to human heart defects and holoprosencephaly. Am J Hum Genet 2008;83:18-29. Romano AA, Allanson JE, Dahlgren J, et al. Noonan syndrome : clinical features, diagnosis, and management guidelines. Pediatrics 2010;126:746-59. Ruiz-Perez VL, Tompson SWJ, Blair HJ, et al. Mutations in two nonhomologous genes in a head-to-head configuration cause Ellis-van Creveld syndrome. Am J Hum Genet 2003;72:728-32. Ruiz-Perez VL, Blair HJ, Rodriguez-Andres ME, et al. Evc is a positive mediator of Ihh-regulated bone growth that localises at the base of chondrocyte cilia. Development 2007;134:2903-12. Ruiz-Perez VL, Goodship JA. Ellis-van Creveld syndrome and Weyers acrodental dysostosis are caused by cilia-mediated diminished response to Hedgehog ligands. Am J Med Genet 2009;151C:341-51. * Revisione delle basi molecolari della sindrome Ellis-van Creveld e correlazione patogenetica con i difetti ciliari. Rupp PA, Fouad GT, Egelston CA, et al. Identification, genomic organization and m-RNA expression of CRELD1, the founding member of a unique family of matricellular proteins. Gene 2002;293:47-57. Sarkozy A, Conti E, Seripa D, et al. Correlation between PTPN11 gene mutations and congenital heart defects in Noonan and LEOPARD syndromes. J Med Genet 2003;40:704-8. Sarkozy A, Conti E, Neri C, et. Spectrum of atrial septal defects associated with mutations of NKX2.5 and GATA4 transcription factors. J Med Genet 2005;42:e16. ** Lavoro sulle correlazioni genotipo-fenotipo del difetto interatriale non-sindromico. Sarkozy A, Digilio MC, Marino B, et al. Noonan’s syndrome and related disorders: 185 M.C. Digilio et al. clinical-molecular update and guidelines. Ital J Pediatr 2006;32:145-55. Schott J-J, Benson DW, Basson CT, et al. Congenital heart disease caused by mutations in the transcription factor NKX2.5. Science 1998;281:108-11. Sheffield VC, Pierpont ME, Nishimura D, et al. Identification of a complex congenital heart defect susceptibility locus by using DNA pooling and shared segment analysis. Hum Mol Genet 1997;6:117-21. Soemedi R, Topf A, Wilson IJ, et al. Phenotype-specific effect of chromosome 1q21.1 rearrangements and GJA5 duplications in 2436 congenital heart disease patients and 6760 controls. Hum Molec Genet 2012;21:1513-20. * Lavoro sul ruolo dei microriarrangiamenti della regione cromosomica 1q21.1 e il gene GJA5 per le cardiopatie congenite sindromiche e non-sindromiche. Sperling Dunkel I, Mebus S, Sperling HP, et al. Identification and functional analysis of CITED2 mutations in patients with congenital heart defects. Hum Mutat 2005;26:575-82. Stevens KN, Hakonarson H, Kim CE, et al. Common variation in ISL1 confers genetic susceptibility for human congenital heart disease. PloS 2010;e10855. Supp DM, Wite DP, Potter SS, et al. Mutation in an axonemal dynein affects leftright asymmetry in inversus viscerum mice. Nature 1997;389:963-6. Tartaglia M, Pennacchio LA, Zhao C, et al. Gain-of-function SOS1 mutations cause a distinctive form of Noonan syndrome. Nat Genet 2007;39:75-9. Tartaglia M, Zampino G, Gelb BD. Noonan syndrome: Clinical aspects and molecular pathogenesis. Molec Syndromol 2010;1:2-26. Thienpont B, Mertens L, de Ravel T, et al. Submicroscopic chromosomal imbalances detected by array-CGH are a frequent cause of congenital heart defects in selected patients. Eur Heart J 2007;8:2778-84. Tomita-Mitchell A, Mahnke DK, Struble CA, et al. Human gene copy number spectra analysis in congenital heart malformations. Physiol Genomics 2012;44:518-41. Van der Hauwaert LG, Fryns JP, Dumoulin M, et al. Cardiovascular malformations in Turner’s and Noonan’s syndrome. Br Heart J 1978;40:500-9. Van Trier DC, Feenstra I, Bot P, et al. Cardiac anomalies in individuals with the 18q deletion syndrome; report of a child with Ebstein anomaly and review of the literature. Eur J Med Genet 2013;56:426-31. Van Wassenaer AG, Lubbers LJ, Losekoot G. Partial abnormal pulmonary venous return in Turner syndrome. Eur J Pediatr 1988;148:101-3. Vergara P, Digilio MC, De Zorzi A, et al. Genetic heterogeneity and phenotypic anomalies in children with atrioventricular canal defect and tetralogy of Fallot. Clin Dysmorphol 2006;15:65-70. Ware SM, Peng J, Zhu L, et al. Identification and functional analysis of ZIC3 mutations in heterotaxy and related congenital heart defects. Am J Hum Genet 2004;74:93-105. Weismann CG, Hager A, Kaemmerer H, et al. PTPN11 mutations play a minor role in isolated congenital heart disease. Am J Med Genet 2005;135:146-51. Wessels MW, Willems PJ. Genetic factors in non-syndromic congenital heart malformations. Clin Genet 2010;78:103-23. Wilson L, Curtis A, Korenberg JR, et al. A large, dominant pedigree of atrioventricular septal defect (AVSD): Exclusion from the Down syndrome critical region on chromosome 21. Am J Hum Genet 1993;53:1262-8. Wyse RKH, Al-Mahdawi S, Burn J, et al. Congenital heart disease in CHARGE association. Pediatr Cardiol 1993;14:75-81. Ye M, Hamzeh R, Geddis A, et al. Deletion of JAM-C, a candidate gene for heart defects in Jacobsen syndrome, results in a normal cardiac phenotype in mice. Am J Med Genet 2009;149A:1438-43. Zatika M, Priestley M, Ladusans EJ, et al. Analysis of CRELD1 as a candidate 3p25 atrioventricular septal defect locus (AVSD2). Clin Genet 2005;67:526-8. Corrispondenza Maria Cristina Digilio, Genetica Medica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù IRCCS, Roma, Italy. E-mail: [email protected] 186 Luglio-Settembre 2014 • Vol. 44 • N. 175 • Pp. 187-194 CARDIOlogia pediatrica Idoneità fisica-sportiva in adolescenti con cardiopatie congenite Berardo Sarubbi Unità Operativa Dipartimentale Cardiopatie Congenite dell’Adulto (GUCH Unit), A.O.R.N dei Colli, Ospedale Monaldi, Napoli Riassunto Nonostante i cardiopatici congeniti, nella maggior parte dei casi, presentino una normale capacità fisica e intellettiva, essi soffrono, a tutt’oggi, di eccessive restrizioni nella regolare pratica di un’attività fisica, condizione particolarmente limitante nell’età evolutiva ed adolescenziale, quando lo sport assume anche un ruolo formativo ed educativo. Andando ad indagare tra le cause ritenute limitanti l’attività fisica, solo in circa un terzo dei casi sono responsabili i sintomi cardiaci, mentre prevalgono limitazioni dovute a mancanza di motivazione, e parere negativo dei genitori, insegnanti e soprattutto medici curanti. Complessivamente, è stato dimostrato che solo il 20% dei medici consiglia un’attività fisica quotidiana ad adolescenti affetti da cardiopatie congenite. L’inesattezza di tale approccio è ampiamente dimostrato. L’attività sportiva è considerata nei cardiopatici congeniti uno stimolo importante per la crescita e la completa maturazione psico-fisica del bambino e dell’adolescente, e viene consigliata per prevenire la sedentarietà, condizione che predispone allo sviluppo di obesità, diabete, dislipidemie ed ipertensione arteriosa. In questo contesto, perciò, appaiono giustificate le istanze rivolte a consentire l’attività sportiva anche a bambini ed adolescenti con cardiopatie, in cui tra l’altro un regolare allenamento fisico ha dimostrato un netto miglioramento funzionale cardiaco; richieste divenute sempre più pressanti da quando i progressi diagnostici e terapeutici, soprattutto cardiochirurgici e di emodinamica interventistica, hanno consentito il recupero alla vita attiva di un numero non trascurabile di piccoli pazienti, precedentemente destinati all’inattività fisica. Summary Even if congenital heart disease patients, in a large percentage of cases, show a normal physical and intellectual capacity, they suffer for excessive restrictions in regular physical practice in the evolutive and adolescential age, when sport has an educational role. Among the causes related to physical inactivity, cardiac symptoms are responsible for it only in a third of cases, while limitations related to lack of motivation or negative advices from relatives, teachers and doctors are prevalent. It has been shown that only 20% of doctors suggest a daily physical activity to adolescents with congenital heart disease. This is completely wrong. Sport activity is considered in congenital heart disease really important for growth and complete psycho-physical maturity in children and adolescents and has been suggested to prevent sedentary behaviour, obesity, diabetes, dyslipidaemia, and arterial hypertension. For these reasons, it is important to permit sport activity even to children and adolescents with congenital heart disease, in whom a regular physical activity has showed a significant improvement in heart function. Introduzione Negli ultimi anni si è posta un’attenzione sempre maggiore, oltre che ai problemi medici dei cardiopatici congeniti, ai loro bisogni esistenziali, che riguardano la possibilità di studiare, avere un lavoro, sposarsi e generare dei figli, svolgere un’attività ricreativa e/o sportiva, condizioni essenziale per sentirsi del tutto simili ai loro coetanei (Wren e O’Sullivan, 2001; Perloff e Child, 1998; Viner, 1999; Warnes, 1998; Siu et al., 1997). Nonostante i cardiopatici congeniti adulti, nella maggior parte dei casi, presentino una normale capacità fisica e intellettiva, essi soffrono, a tutt’oggi, di eccessive restrizioni nella regolare pratica di un’attività sportiva. Studi recenti, provenienti dalla maggioranza dei paesi europei hanno, infatti, evidenziato, negli ultimi venti anni, un progressivo incremento del peso corporeo in tali pazienti, legato ad uno stile di vita eccessivamente sedentario ed ad un regime alimentare non adeguato (Fredriksen et al., 2000; Thaulow e Fredriksen, 2004). In un sondaggio condotto nel Regno Unito nell’anno 2000 tra cardiopatici congeniti adulti con un’età media di 25,6 anni, solamente il 44% considerava possibile e salutare la pratica di un’attività sportiva regolare. Andando ad indagare tra le cause ritenute limitanti l’attività fisica, solo nel 30% dei casi erano responsabili i sintomi cardiaci, mentre nel 24% era evidente una mancanza di motivazione, nel 16% la paura di complicanze cardiache, e nel 10% era determinante il parere sfavorevole del medico curante. Complessivamente, solo il 20% dei medici consigliavano un’attività fisica quotidiana ai loro pazienti affetti da cardiopatie congenite (Swan e Hillis, 2000). Questi dati sono in netta controtendenza con quelli disponibili sulla popolazione giovanile generale. I dati ISTAT 2005 e CONI 2004 testimoniano come circa il 40% dei giovani italiani pratichi un’attività sportiva saltuaria o continuativa, confermando quanto sia cambiato negli ultimi 40 anni l’atteggiamento del medico sportivo, riguardo alla propensione dell’atleta sano ad intraprendere un’attività sportiva in età pre-pubere. Negli anni ’60, infatti, un’attività sportiva intensa era ritenuta dannosa per un bambino, perché si riteneva che in età pediatrica non si sarebbero verificati gli adattamenti morfo-funzionali sufficienti a tollerare i carichi di lavoro richiesti. Oggi l’inesattezza di tali teorie è stata ampiamente dimostrata. L’attività sportiva è considerata uno stimolo importante per la crescita e la completa maturazione psico-fisica del bambino e dell’adolescente, e viene consigliata per prevenire la sedentarietà, condizione che 187 B. Sarubbi predispone allo sviluppo di obesità, diabete, dislipidemie ed ipertensione arteriosa. La pratica sportiva comporta, inoltre, benefici fisiologici in ogni età della vita: aumenta la capacità fisica e la forza muscolare, aiuta a mantenere sotto controllo il peso corporeo, rende gli apparati osteoarticolare e muscolare più flessibili ed efficienti. Una componente non trascurabile di questi benefici è data dal miglioramento delle condizioni psicologiche, ossia della “qualità” di vita stessa. Nel paziente giovane, l’impatto sociale dello sport, spesso, si riflette sulla propria capacità di autostima, e, pertanto, imporre una vita eccessivamente sedentaria ad un ragazzo, anche quando non sia strettamente necessario per le sue condizioni, può influenzarne negativamente l’integrazione sociale ad ogni livello. Alcuni studi hanno evidenziato che gli adolescenti operati di cardiopatie congenite presentano, a oltre 10 anni dall’intervento, maggiori problemi emozionali e di comportamento rispetto ai loro coetanei sani (Horner et al., 2000; Kamphuis et al., 2002; Scarso et al., 2003; Chantepie 2004; Daliento et al., 2005). Essi tendono, infatti, a presentare un sentimento di fragilità derivante dalla preoccupazione per la propria salute, che li porta ad avere una scarsa fiducia in se stessi e nelle proprie possibilità. Questa situazione psicologica è fonte di insicurezza e di ansia. Questi aspetti rivestono un’importanza maggiore nell’età evolutiva, quando lo sport assume anche un ruolo formativo ed educativo. In questo contesto, perciò, appaiono giustificate le istanze rivolte a consentire l’attività sportiva anche a bambini ed adolescenti con cardiopatie, richieste divenute sempre più pressanti da quando i progressi diagnostici e terapeutici, soprattutto cardiochirurgici e di emodinamica interventistica, hanno consentito il recupero alla vita attiva di un numero non trascurabile di piccoli pazienti (in Italia in numero superiore alle centomila unità) precedentemente destinati all’inattività fisica (Sandberg et al., 2014; Kroonstrom et al., 2014). Valutazione della capacità di esercizio in adolescenti ed adulti con cardiopatie congenite Prima di stabilire l’idoneità fisica all’attività sportiva nei cardiopatici congeniti, è assolutamente fondamentale valutarne la capacità di esercizio. Pazienti con una cardiopatia congenita possono essere meno attenti alla progressione della limitazione della capacità funzionale, perché si sviluppa in un tempo più lungo, in confronto ai pazienti con cardiopatia acquisita, in cui la comparsa dei sintomi è più improvvisa. Il paradosso di una ridotta capacità funzionale, in assenza di sintomi conclamati, porta alla necessità di una valutazione oggettiva, mediante misurazione del consumo di ossigeno nel corso dell’esercizio fisico. Il test cardiopolmonare è uno strumento efficace per la valutazione obiettiva del sistema cardiovascolare, respiratorio e muscolare, ed è divenuto parte della valutazione clinica routinaria dei cardiopatici congeniti adulti (Wasserman et al., 1999). Sono utilizzati protocolli incrementali, per ottenere, durante attività fisica, indici funzionali e prognostici quali (Cooper e Storer, 2001): • il consumo massimo di ossigeno (VO2 di picco), • il rapporto tra ventilazione e produzione massima di CO2 (rapporto VE/VCO2), • la soglia anaerobica, • la risposta cronotropa e pressoria. Il consumo massimo di ossigeno (VO2 di picco) esprime approssimativamente il massimo potere aerobio di ogni individuo. Solitamente 188 è espresso in ml/kg/min e costituisce una stima della condizione funzionale del sistema polmonare, cardiovascolare e muscolare. È il miglior parametro di esercizio segnalato, perché è semplice da interpretare, ed ha un elevato significato prognostico sia nello scompenso cardiaco acquisito che nei pazienti con cardiopatie congenite (Wasserman et al., 1999; Cooper e Storer, 2001). In tali pazienti, infatti, il VO2 di picco è un predittore indipendente di morte o di ospedalizzazione: ad un follow-up medio annuale i pazienti con un VO2 di picco < 15,5 ml/kg/min presentano un rischio tre volte maggiore (Diller et al., 2005). Il VO2 di picco è correlato alla frequenza ed alla durata dell’ospedalizzazione, indipendentemente dalla classe NYHA, dall’età, dall’epoca dell’intervento cardiochirurgico e dal sesso. Un limite nell’utilizzo del consumo di ossigeno di picco è che il suo valore risulta attendibile solo dopo una prova da sforzo massimale, condizione non sempre raggiunta dai cardiopatici congeniti. Il suo utilizzo è, pertanto, limitato dalla capacità e dalla determinazione dei pazienti ad effettuare un esercizio massimale (Task Force Italian WG on Cardiac Rehabilitation Prevention 2006). Di routine, alla VO2 di picco viene associato il calcolo del rapporto VE/VCO2. Il rapporto VE/VCO2 è un parametro di esercizio indipendente dallo sforzo massimale. È una semplificazione del rapporto complesso fra ventilazione e VCO2 ed è calcolato utilizzando i dati prodotti durante l’intera (o gran parte) del periodo di esercizio. È facile da calcolare, altamente riproducibile, ed è un indicatore di intolleranza all’esercizio strettamente correlato al VO2 di picco. (Dimopoulos et al., 2006). Non è completamente noto il meccanismo che sottintende l’anomala risposta ventilatoria agli incrementi della produzione della CO2 osservata in cardiopatie congenite o acquisite. Alcuni dei potenziali meccanismi ipotizzati sono (Francis et al., 2000): • l’ipoperfusione o la vasocostrizione polmonare, • l’aumento dello spazio morto fisiologico, • il mismatch ventilazione/perfusione, • la stimolazione dei centri respiratori tramite meccanismi di trigger diversi dall’anidride carbonica, • l’aumento della sensibilità ventilatoria riflessa. Un altro tipo di test usato per valutare la capacità di esercizio in pazienti adulti con cardiopatie congenite è il test dei sei minuti. È una prova cronometrata submassimale di distanza che è facile da effettuare e riflette le attività quotidiane ordinarie. La variabile principale di risposta, in questo tipo di prova, è la distanza che gli individui possono coprire con il proprio passo in 6 minuti. Un soggetto sano di 40 anni di età copre circa 600 m; il percorso effettuato diminuisce di circa 50 m con l’aumentare dell’età di una decade (Cooper e Storer 2001). Può anche essere registrata la saturazione di ossigeno con un saturimetro portatile e possono essere segnalati i sintomi soggettivi percepiti. È una prova submassimale, in individui in buona salute, ed in pazienti lievemente compromessi dal punto di vista funzionale, ma può essere una prova massimale in pazienti molto compromessi. Infatti, la distanza percorsa nei sei minuti si correla bene con il VO2 di picco in pazienti altamente sintomatici (Niedeggen et al., 2005). Adattamenti cardiovascolari all’esercizio fisico nei cardiopatici congeniti L’attività fisica in un cardiopatico congenito adolescente o adulto può essere limitata da una serie di fattori: Idoneità fisica-sportiva in adolescenti con cardiopatie congenite • sequele emodinamiche (anomalie residue – shunts – insufficienza ventricolare), • sequele aritmiche (aritmie ipercinetiche sopraventricolari / ventricolari e/o aritmie ipocinetiche), • problemi polmonari (sequele post-operatorie – infezioni polmonari recidivanti - ipertensione polmonare), • problemi locomotori (paresi – scoliosi), • mancanza di allenamento (paura – scarsa motivazione). A ciò vanno aggiunte le particolari condizioni ambientali in cui vengono effettuate le attività fisico-sportive, sia in termini climatici che in termini di altitudine. È necessaria, pertanto, da parte del medico che segue questi soggetti, una profonda conoscenza dei quadri anatomo-funzionali, non solo della patologia nativa, ma anche di quelli prodotti dalla correzione chirurgica od interventistica, per poter attribuire un giusto significato prognostico ai dati clinici e strumentali rilevati durante il follow-up (James et al., 1982; Connelly et al., 1996; Calzolari et al., 2001; McNamara et al., 1985; Giada et al., 2007; Cava et al., 2004; Colonna et al., 2006). Esiste, infatti, una discrepanza tra quello che la maggior parte dei pazienti riferisce riguardo alla capacità di esercizio e quello che, poi, si registra obiettivamente. Molti pazienti, infatti, non lamentano riduzione della capacità fisica. Tuttavia, questa auto-valutazione, spesso, non trova riscontro oggettivo, così come succede in altre forme di scompenso cardiaco cronico. In tale ottica diviene fondamentale, per una valutazione oggettiva efficace della limitazione funzionale, l’esame del consumo di ossigeno. Una riduzione nel picco del consumo di ossigeno in tutte le cardiopatie congenite è unanimemente dimostrata, anche se i valori riscontrati sono diversi nelle varie cardiopatie: i più alti valori di VO2 max si ritrovano nei pazienti operati di coartazione aortica e quelli più bassi nella trasposizione corretta dei grandi vasi, nelle forme con anatomia complessa e nella reazione di Eisenmenger. Per certi versi, i cardiopatici congeniti sono assimilabili ai pazienti con scompenso cronico della corrispondente classe NYHA, e con questi condividono, praticamente in maniera assoluta, i valori di VO2 di picco. La particolare preoccupazione dei medici dello sport e dei cardiologi al rilascio dell’idoneità fisica allo sport in cardiopatici congeniti dipende dal fatto che si esaminano le patologie congenite che più frequentemente si accompagnano ad eventi infausti prematuri, quali la stenosi aortica severa, la sindrome di Eisenmenger, l’origine anomala di una coronaria, le cardiopatie congenite operate, sottoposte ad ampia ventricolotomia (correzione della tetralogia di Fallot, ventricolo destro a doppia uscita) o a diffuse cicatrici delle superfici atriali (correzione della trasposizione dei grossi vasi secondo Mustard o Senning, correzione monoventricolare secondo Fontan), la miocardiopatia ipertrofica, le patologia della parete dell’aorta, esse, pur presentando meccanismi differenti, riconducibili ad un’azione meccanica, elettrica o meccano-elettrica, sono spesso correlate con lo sforzo fisico, favorite da un alterato stato emotivo e precipitate da condizioni ambientali sfavorevoli come il freddo o l’associazione di un traumatismo o di un soccorso non immediato, che tendono a chiudere in un circolo vizioso instabilità elettrica, emodinamica ed emato-chimica. I cardiopatici congeniti con un quadro fisiopatologico di iperafflusso e normali pressioni e resistenze vascolari polmonari, possono presentare una ridotta tolleranza allo sforzo e se adulti, soprattutto in presenza di una shunt pre-tricuspidale, possono andare incontro a crisi di tachicardia sopraventricolare o fibrillazione atriale durante lo sforzo (Fredriksen et al., 2000). Tuttavia, se il difetto è stato corretto nell’infanzia e non residuano alterazioni elettrocardiografiche o emodinamiche, i pazienti, se adeguatamente allenati, possono svolgere attività sportive, anche a livello agonistico. Le dimensioni delle cavità ventricolari possono rimanere al di sopra della norma soprattutto nei soggetti operati più tardivamente o con residua ipertensione polmonare: questi soggetti possono lamentare una ridotta tolleranza allo sforzo ed avere una più difficile fase di acclimatizzazione, se l’attività fisica-sportiva è svolta ad alta quota (sci alpino e di fondo, trekking), in quanto l’ipossia provoca vasocostrizione delle arteriole preacinose polmonari, determinando severe crisi ipertensive polmonari (Thaulow e Fredriksen 2004). Indubbiamente, la situazione è molto più limitante nei soggetti la cui cardiopatia congenita è di per sé stessa causa di desaturazione arteriosa periferica e che, oltre ad una riduzione significativa del VO2 max, si accompagna ad eritrocitosi (Dimopoulos et al., 2006). Esiste, infatti, una relazione lineare tra concentrazione di emoglobina, desaturazione arteriosa e massima capacità di utilizzo dell’emoglobina nei tessuti. In presenza di cianosi ingravescente, il livello di emoglobina aumenta in maniera compensatoria per un’attività indotta dall’eritropoietina. Tuttavia, questo vantaggio viene perso per valori di emoglobina superiori a 18-19 g/dl, quando all’eritrocitosi si accompagnano i sintomi da iperviscosità ematica. Questi pazienti, anche in assenza di ipertensione polmonare, ma in presenza di uno shunt destro-sinistro secondario ad una severa stenosi dell’efflusso polmonare (come si può avere in alcune forme di trasposizione dei grossi vasi con difetto interventricolare e stenosi polmonare, o cuore univentricolare con stenosi polmonare o nella stessa malattia di Ebstein con difetto del setto interatriale), effettuando attività fisico-sportive ad alte e medie quote, possono aggravare il loro stato clinico, trasformando un’eritrocitosi compensata in una eritrocitosi scompensata, in particolar modo se le loro riserve di ferro sono decisamente ridotte, per esempio per uno sconsiderato uso di salassi (Dimopoulos et al., 2006). Se lo shunt destro-sinistro si accompagna ad una reazione di Eisenmenger, la capacità funzionale è ulteriormente ridotta, ed una modesta attività può determinare un ulteriore incremento delle resistenze vascolari polmonari, che si tradurranno in severe crisi ipossiche, piuttosto che in edema polmonare, considerate le intense alterazioni produttive presenti a livello dei vasi preacinosi polmonari (Dimopoulos et al., 2006). I pazienti con stenosi aortica congenita possono rimanere asintomatici anche con forme severe e mantenere a lungo una buona capacità funzionale, tuttavia sono a rischio di sincopi durante o subito dopo uno sforzo (Cava et al., 2004). In questo caso, la sincope è neuromediata e sembra conseguire alla vasodilatazione ed ad un’inadeguata capacità di ripristino della portata cardiaca, in conseguenza della presenza di un ostacolo fisso all’efflusso sinistro. I pazienti operati di correzione radicale di tetralogia di Fallot o di ventricolo destro a doppia uscita presentano un’instabilità elettrica ventricolare, secondaria alla presenza di un’estesa ventricolotomia, substrato ideale per l’attivazione di un circuito di rientro, o alla dilatazione del ventricolo secondaria all’insufficienza residua della valvola polmonare, ed a modifiche qualitative e quantitative dell’innervazione neurovegetativa del cuore, con una prevalenza del simpatico a livello del nodo del seno ed una più ricca e disomogenea distribuzione delle fibre adrenergiche del miocardio parietale. Questi fattori vengono potenziati dallo sforzo, attraverso l’attivazione di una relazione meccano-elettrica, favorendo l’innesco ed il perpetuarsi di aritmie ipercinetiche ventricolari (Frieriksen et al., 2002). Nell’anastomosi atrio-polmonare o cavo-polmonare totale (inter- 189 B. Sarubbi vento secondo Fontan e simili) il cuore ha una ridotta capacità di aumentare la portata cardiaca con l’attività fisica, inoltre, mancando una cavità ventricolare pompante, piccole variazioni delle resistenze vascolari polmonari si ripercuotono sul flusso polmonare con stasi a livello delle strutture venose. Una distensione acuta dell’atrio destro può causare aritmie ipercinetiche sopraventricolari, particolarmente fibrillo-flutter, che comportano severe ripercussioni emodinamiche (Cava et al., 2004). Questo particolare modello circolatorio è, pertanto, poco favorevole ad attività fisica-sportiva in generale, ed in particolare a situazioni ambientali in cui la riduzione della pressione parziale di ossigeno si traduce in un certo grado di vasocostrizione arteriolare polmonare, ed in cui piccole variazioni del gradiente di pressione tra vene cave ed arteria polmonare comportano significative modificazioni qualitative e quantitative del flusso venoso sistemico (Colonna et al., 2006). In studi in cui i pazienti operati di Fontan, per differenti patologie a fisiologia univentricolare, erano sottoposti a test da sforzo in una camera ipobarica, in un ambiente cioè che simula un soggiorno ad alta quota, è stato dimostrato che, mentre la saturazione di ossigeno a livello del mare era normale in condizioni di riposo e variava di poco al massimo dello sforzo, in condizioni che simulavano i 3000 metri di quota, già in condizioni di riposo, la saturazione era sotto il 90% per scendere al di sotto dell’80% al massimo sforzo. Inoltre, in quota, questi pazienti, al contrario di quanto avviene a livello del mare, sono incapaci di aumentare la portata cardiaca, che invece si riduce per un significativo decremento dello stroke volume (Colonna et al., 2006). La conoscenza delle condizioni ambientali, della fisiopatologia delle cardiopatie congenite e la loro interazione permette una corretta definizione delle possibilità e dei limiti di questi pazienti, evitando inutili limitazioni, o peggio superficiali permissivismi (Fredriksen et al., 2000). Concessione dell’Idoneità Sportiva Negli ultimi anni, la Bethesda Conference (con le sue “Recommendations” sull’idoneità all’attività sportiva in pazienti con cardiopatie), la Società Italiana di Cardiologia Pediatrica con la Società Italiana di Cardiologia, l’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri, l’Associazione Nazionale Cardiologi Extraospedalieri, la Federazione Medici Sportivi Italiani e la Società Italiana di Cardiologia dello Sport (con i Protocolli Cardiologici per il Giudizio di Idoneità allo Sport Agonistico – “COCIS” - e le linee guida per la “Prescrizione dell’esercizio fisico in ambito cardiologico”), la Società Europea di Cardiologia hanno rivolto una crescente attenzione agli effetti dell’attività fisicasportiva, conferendo un decisivo impulso ad una regolare attività fisica di tipo agonistico e non agonistico, in pazienti con cardiopatia congenita (James et al., 1982; Connelly et al., 1996; Calzolari et al., 2001; McNamara et al., 1985; Giada et al., 2007; Consensus Document by SIC sport, ANCE, ANMCO, FMSI 2005, 36th Bethesda Conference, 2005). Poiché il numero di studi disponibili in letteratura sull’argomento è, a tutt’oggi, piuttosto limitato, le raccomandazioni degli organismi sopra citati sono basate essenzialmente sul giudizio e l’esperienza di gruppi di cardiologi specialisti in tale settore. Alcuni protocolli di sperimentazione, condotti su un numero limitato di pazienti in centri di alta qualifica professionale, hanno dimostrato come un programma di allenamento fisico graduale e regolare in pazienti con cardiopatie congenite sia realizzabile con sicurezza, e come i pazienti stessi siano entusiasti di parteciparvi (Kaplan e Perloff, 1991; Sarubbi et al., 2000, Deant JM 2003, Deanfield J et al., 2003; Fredrik MA 2004). 190 Nel nostro Paese, la legislazione prevede l’obbligo della visita preventiva per la certificazione dell’idoneità sportiva agonistica e non agonistica (Picchio et al., 2001). Essa comporta responsabilità specifiche da parte del medico che la attua e si traduce nella necessità, specie in presenza di reliquati o sequele, di espletare tutte le indagini cliniche e strumentali indispensabili per stabilire la gravità della malattia, la capacità funzionale del soggetto e, in ultima analisi, la compatibilità della cardiopatia con quella determinata attività sportiva. Il problema, tuttavia, non è semplice: la popolazione dei cardiopatici congeniti è variegata, non solo per quanto riguarda la natura della malformazione ma perché, in una stessa cardiopatia, è possibile incontrare sia soggetti in “storia naturale” che operati e, tra quest’ultimi, soggetti trattati con tecniche diverse con risultati clinici differenti. Tali premesse giustificano, quindi, la necessità di una stretta collaborazione tra il medico dello sport e lo specialista che si occupa di cardiopatie congenite, soprattutto nella gestione dei problemi più difficili e delicati. Al fine di incoraggiare tali pazienti all’attività fisica, dovrebbero essere pianificati lunghi periodi di allenamento a basso carico lavorativo, in modo da migliorare gradualmente la capacità di esercizio ed il senso di fatica. È stato, infatti, dimostrato che una migliore capacità di esercizio, in pazienti opportunamente selezionati, è in grado di ridurre l’incidenza a lungo termine di complicanze cardiache, oltre che migliorare la propria autostima (Norner et al., 2000; Kamphuis et al., 2002; Dent et al., 2003; Deanfield et al., 2003; Fredriksen et al., 2002; Therien et al., 2003). Basandosi su questa stratificazione sarà possibile consigliare le attività sportive più adatte ad una particolare cardiopatia congenita in storia naturale o post-operatoria, tenendo presente che, in generale, gli sport che prevedono sforzi isotonici aerobici sono sempre preferibili agli sport con sforzi isometrici anaerobici, e che, in alcune cardiopatie che coinvolgono l’aorta, come la coartazione o la bicuspidia aortica con dilatazione dell’aorta ascendente, ed, in generale, in presenza di materiale protesico intracardiaco o vascolare, sono da evitare gli sport che implicano un brusco contatto fisico. È opportuno, inoltre, distinguere tra attività ludico-addestrativa ed attività sportiva agonistica. In tale ottica è assolutamente centrale il ruolo del pediatra nella conoscenza del quadro clinico del paziente e nell’interazione con il cardiologo ed il medico sportivo. Idoneità all’attività ludico-addestrativa Per idoneità alla pratica sportiva ludico-addestrativa si intende la possibilità di partecipare ad attività fisico-sportive che non hanno carattere agonistico ufficiale, e richiedono, pertanto, un certificato di idoneità generica, abitualmente rilasciato dal pediatra o dal medico di medicina generale. La Società Italiana di Cardiologia Pediatrica ha proposto nel 2001 delle Linee Guida su tale argomento (Picchio et al., 2001), raggruppando le attività fisico-sportive di tipo ludico-addestrativo in due categorie, a seconda dell’impegno cardiovascolare ad esse connesso. Nel gruppo A sono incluse quelle attività la cui intensità di esercizio non è regolabile da parte del soggetto, ma dipende dall’andamento del gioco e dalle molteplici variabili ad esso connesse. Tali attività, di cui è possibile controllare solo la durata e la frequenza settimanale, vanno riservate ai soggetti con condizione cardiovascolare definita come “ottimale” o “buona” e che non richiedono sorveglianza durante l’esercizio (es. calcio, calcio a 5, tennis, pallacanestro, pallavolo, etc). Nel gruppo B sono incluse, invece, quelle attività in cui è possibile il controllo dell’intensità dell’esercizio, oltre che della durata e della frequenza, ed in cui si raccomanda la supervisione. Tali attività (at- Idoneità fisica-sportiva in adolescenti con cardiopatie congenite tività in palestra con piccoli attrezzi, ippoterapia, attività fisica scolastica, nuoto in ambiente confortevole, etc) possono essere svolte anche da pazienti con una condizione cardiovascolare relativamente più compromessa. Per la valutazione dello stato clinico nelle varie cardiopatie, accanto alla classe funzionale NYHA, viene utilizzato anche un indice di abilità (ability index), utile a stimare, nel cardiopatico congenito, operato o meno, la capacità o abilità a compiere una determinata attività e svolgere le funzioni personali e sociali della vita quotidiana. La Società Italiana di Cardiologia Pediatrica ha inoltre identificato quattro diverse condizioni clinico-funzionali, utilizzando criteri che tengono conto del tipo di cardiopatia e/o del tipo di intervento seguito (condizioni ottimali, buone, mediocri, scadenti Tab. I-IV). Per quanto riguarda le cardiopatie congenite complesse operate e non, come i pazienti con fisiopatologia univentricolare sottoposti ad interventi tipo Fontan, o quelli con Malattia di Ebstein cianogena, una condizione “ottimale” nel senso proprio della parola non è oggettivamente realizzabile, considerate le peculiarità anatomiche e chirurgiche del difetto. Più realisticamente, tali pazienti possono presentare, al più, condizioni buone-discrete. Tabella I. Linee Guida SICP 2001. Condizione ottimale. • Classe NYHA I- Ability Index 1 • Funzione Ventricolare Normale • Assenza Sequele emodinamiche e/o aritmiche • Tolleranza allo sforzo e/o capacità funzionale >80% standard riferimento • Test cardio-polmonare (VO2 max >30 ml/kg/min) Le indicazioni relative al giudizio di idoneità o non idoneità nelle diverse patologie cardiache rappresentano necessariamente indicazioni di massima. Nella pratica clinica tali indicazioni dovranno essere calate nello specifico di ogni singola patologia, in ogni singolo paziente. Idoneità all’attività sportiva agonistica Per idoneità all’attività sportiva agonistica si intende la possibilità di partecipare ad attività agonistiche ufficiali organizzate da Enti ed Istituzioni sportive, che richiedono al partecipante l’obbligo del certificato di idoneità all’attività agonistica specifica, rilasciato dallo specialista in Medicina dello Sport. Le indicazioni alla pratica sportiva rappresentano la ricerca di un giusto equilibrio tra i benefici immediati della pratica sportiva stessa, ed il rischio a lungo termine di un accelerato deterioramento del quadro clinico o di morte prematura. Nella riedizione dei Protocolli Cardiologici per il Giudizio di Idoneità allo Sport Agonistico (“Protocolli COCIS”) è stata mantenuta le classificazione delle attività sportive in relazione all’impegno cardiocircolatorio, basata sull’analisi del comportamento di alcuni parametri di facile rilievo, quali frequenza e gettata cardiaca, pressione arteriosa, resistenze periferiche e grado di stimolazione adrenergica, legata ad influenze emozionali. Le attività sono state quindi classificate in (Tab. V-IX): Tabella V. Gruppo A attività sportive con impegno cardiocircolatorio di tipo “neurogeno”, caratterizzate da incrementi principalmente della frequenza cardiaca da minimi a moderati (e non della gettata) dovuti, soprattutto in competizione, alla componente emotiva. Tabella II. Linee Guida SICP 2001. Condizione buona. Bocce (raffa e petanque), Bowling, Curling, Birilli • Classe NYHA (I-II) • Ability Index >1 • Funzione Ventricolare Normale • Assenza Sequele emodinamiche e/o aritmiche • Test cardio-polmonare (VO2 max 25-30 ml/kg/min) • Tolleranza allo sforzo e/o capacità funzionale 70-80% standard riferimento Pesca sportiva (attività marittime ed acque interne) Tabella III. Linee Guida SICP 2001. Condizione mediocre. • Classe NYHA >2 • Ability Index >2 • Riduzione Funzione Ventricolare • Presenza Aritmie e/o sequele emodinamiche • Test cardio-polmonare (VO2 max 20-25 ml/kg/min) • Tolleranza allo sforzo e/o capacità funzionale 60-70% standard riferimento Golf Sport di tiro (tiro a segno, a volo, con l’arco, ecc.) Caccia sportiva Biliardo sportivo Bridge, Dama, Scacchi Tabella VI. Gruppo B: attività sportive con impegno cardiocircolatorio di tipo “neurogeno”, caratterizzate da incrementi principalmente della frequenza cardiaca da medi ad elevati (e lievi della gittata cardiaca e delle resistenze periferiche). Automobilismo (velocità, rally, autocross, regolarità, slalom nazionale, karting) Aviazione sportiva Equitazione Tabella IV. Linee Guida SICP 2001. Condizione scadente. Motociclismo (velocità) • Classe NYHA >3 • Ability Index >3 • Riduzione Marcata Funzione Ventricolare • Presenza Aritmie Severe • Test cardio-polmonare (VO2 max <20 ml/kg/min) • Tolleranza allo sforzo e/o capacità funzionale <60 standard riferimento Paracadutismo Motonautica Pesca sportiva, Immersioni Apnea-ARA, Pesca subacquea, Foto sub, Video sub, Tiro subacqueo Tuffi Vela 191 B. Sarubbi Tabella VII. Gruppo C: attività sportive con impegno cardiocircolatorio di potenza, caratterizzate da frequenza cardiaca da elevata a massimale, resistenze periferiche da medie ad elevate, gittata cardiaca non massimale. Tabella IX. Gruppo D2: attività sportive con impegno cardiocircolatorio “medioelevato” caratterizzate da regolari incrementi submassimali o massimali della frequenza e della gittata cardiaca e da ridotte resistenza periferiche. Alpinismo Arrampicata sportiva Atletica leggera (mezzofondo, fondo, marcia, maratona, ultramaratona, corsa in montagna, corsa campestre) Atletica leggera (velocità, lanci, salti, eptathlon, decathlon) Biathlon Bob, Slittino, Skeleton Canottaggio, Canoa olimpica, Canoa fluviale, Cultura fisica Ciclismo (velocità, keirin, mountain bike downhill, BMX) Ciclismo (inseguimento individuale e a squadre, corsa a punti, americana, linea, cronometro individuale, mountain bike cross country, ciclocross) Ginnastica artistica Combinata nordica Motociclismo (motocross, enduro, trial) Danza sportiva Nuoto sincronizzato Nuoto Pesistica Nuoto pinnato Sci nautico Orientamento Sci slalom, Sci gigante, Super G, Discesa libera, Sci alpinismo, Sci di velocità, Sci carving, Sci d’erba, Snowboard, Salto Pattinaggio sul ghiaccio, Pattinaggio a rotelle, Pattinaggio artistico ed altre specialità di figure Surfing Pentathlon Moderno Tiro alla fune Sci di fondo Triathlon Tabella VIII. Gruppo D1: attività sportive con impegno cardiocircolatorio “medioelevato” caratterizzate da variabilità dell’andamento della FC, delle resistenze periferiche e della gittata cardiaca. Wind surf Polo Pugilato, Kick boxing Rugby, Rugby subacqueo Badminton Scherma Baseball Softball Bocce (volo) Tennis Calcio, Calcio a cinque Tennis tavolo Canoa polo Football americano Ginnastica ritmica, Twirling Hockey su ghiaccio, su pista, su prato, subacqueo Lotta, Judo, Karate, Taekwondo, Kendo, Wushu kung fu Pallacanestro Pallamano Pallanuoto Pallapugno Pallavolo, Beach volley Polo Pugilato, Kick boxing Rugby, Rugby subacqueo Scherma Softball Tennis Tennis tavolo • tipo A: non competitive con impegno cardio-circolatorio minimomoderato (attività di pompa a ritmo costante, frequenze cardiache sottomassimali e caduta delle resistenze periferiche) (es: canoa, nuoto, sci di fondo, ciclismo in pianura, etc); 192 • tipo B: attività sportive con impegno cardiocircolatorio “neurogeno” (incrementi medi/elevati - B1) o minimo/moderati (B2) della frequenza cardiaca e non della gettata, dovuti, soprattutto in competizione, ad importante impatto emotivo) (es. automobilismo, equitazione, attività subaquea, bocce, bowling, etc); • tipo C: attività sportive con impegno cardiocircolatorio di “pressione” (gettata cardiaca non massimale, frequenza cardiaca da elevata a massimale, resistenze periferiche da medie ad elevate) (es: body building, sollevamento pesi, nuoto 50 m, sci, etc); • tipo D: attività sportive con impegno cardiocircolatorio “medioelevato” (numerosi e rapidi incrementi, anche massimali, della frequenza e della gettata cardiaca) (es. calcio, pallacanestro, karate, pallanuoto, etc); Sebbene non possano essere stilate linee di comportamento generali valide in tutti i casi, vi sono patologie che, secondo i protocolli COCIS, per gravità e/o complessità, controindicano di per sé la pratica sportiva agonistica. A questo gruppo appartengono: • Anomalia di Ebstein • Atresia della tricuspide • Atresia della polmonare, a setto integro o con difetto interventricolare (quando non è stato possibile il recupero completo del ventricolo destro) • Reazione di Eisenmenger • Ipertensione polmonare primitiva Idoneità fisica-sportiva in adolescenti con cardiopatie congenite • Trasposizione congenitamente corretta delle grandi arterie con disfunzione ventricolare • Trasposizione delle grandi arterie corretta secondo Mustard o Senning (switch atriale) o switch arterioso in sospetta presenza di danno ischemico miocardico. • Difetti associati dell’efflusso ventricolare sinistro • Origine anomala delle arterie coronarie • Cuore univentricolare • Sindrome di Marfan • Sindrome di Ehlers-Danlos In tale lista debbono essere, inoltre, comprese la maggior parte delle cardiopatie la cui correzione chirurgica ha comportato l’utilizzo di condotti protesici e/o protesi valvolari. Attualmente è in corso una revisione dei protocolli COCIS che, alla luce delle più recenti acquisizioni, tenga conto della possibilità, in par- ticolari condizioni, di concedere l’idoneità fisica-sportiva, seppur per impegni a basso carico lavorativo, anche per patologie considerate “complesse”, in cui alla luce di recenti acquisizioni l’attività fisica ha dimostrato migliorare la capacità funzionale (Duppen et al., 2013; Cordina et al., 2013; Becker-Grunig et al., 2013; Westhoff-Bleck et al., 2013) e valuti la capacità funzione del soggetto anche in rapporto al consumo massimo di ossigeno in corso di test cardio-polmonare. Una volta concessa l’idoneità allo sport agonistico utilizzando i criteri COCIS, è importante comunque programmare controlli periodici con visita, ECG, ecocardiogramma, prova da sforzo, ECG dinamico, integrati, eventualmente, anche con esami più complessi, come risonanza magnetica nucleare (RMN), scintigrafia miocardica o polmonare, eco transesofageo, studio elettrofisiologico, per valutare la stabilità della condizione cardiovascolare nel tempo ed escludere situazioni di rischio aumentato. Box di orientamento Che cosa si sapeva prima L’attività fisica sportiva era fortemente sconsigliata nel passato nei pazienti con cardiopatie congenite, in storia naturale o dopo correzione chirurgica in quanto considerata responsabile di instabilizzazione funzionale ed elettrica e potenzialmente responsabile di morte improvvisa oltre che di precoce deterioramento della capacità funzionale. Cosa sappiamo adesso L’attività sportiva nei cardiopatici congeniti adulti è di fondamentale importanza in quanto rappresenta un’importante stimolo per la crescita e la completa maturazione psico-fisica del bambino e dell’adolescente ed è utile per prevenire la sedentarietà condizione che predispone allo sviluppo di obesità, diabete, dislipidemie e ipertensione arteriosa. Ricaduta clinica Un regolare allenamento fisico, avendo effettuato opportuni controlli clinici e strumentali e avendo selezionato i tipi di attività in misura controllata, determina nel tempo nei cardiopatici congeniti adulti un miglioramento della capacità funzionale cardiaca. Bibliografia 36 Bethesda Conference: Eligibility recommendations for competitive athletes with cardiovascular abnormalities. J Am Coll Cardiol 2005;845-99. th * Linea guida sull’idoneità fisica-sportiva nei pazienti affetti da cardiopatie. Documento del 2005 redatto dall’American College of Cardiology. Becker-Grünig T, Klose H, Ehlken N. et al. Efficacy of exercise training in pulmonary arterial hypertension associated with congenital heart disease. Int J Cardiol 2013;168:375-81. Calzolari A, Giordano U, Di Giacinto B, et al. Exercise and sports participation after surgery for congenital heart disease: the European perspective. Ital Heart J 2001;2:736-9. Cava JR, Danduran MJ, Fedderly RT. Exercise recommendations and risk factors for sudden cardiac death. Pediatr Clin North Am 2004;51:1401-20. Chantepie A. Which kind of congenital heart disease may allow a normal life in children? Arch Pediatr 2004;11:645-7. Colonna D, Morelli C, D’Andrea A, et al. Adattamenti cardiovascolari all’esercizio fisico ad alta quota. Poseidonia Medicina 2006;26:30-7. Connelly MS, Webb GD, Somerville J, et al. Canadian Consensus Conference on Adult Congenital Heart Disease 1996. Can J Cardiol 1998;14:395-452. Linea guida sul trattamento dei cardiopatici congeniti adulti. Documento del 1996 redatto dalla Canadian Society of Cardiology. * Consensus Document by SIC Sport, ANCE, ANMCO, FMSI: Cardiological guidelines for competitive sports eligibility. Italian Heart Journal 2005;6:661-702. * Linea guida sull’idoneità fisica-sportiva nei pazienti affetti da cardiopatie. Documento del 2005 redatto dalla SIC Sport, ANCE; ANMCO; FMSI. Cooper CB, Storer TW. Purpose. In: Exercise testing and interpretation. Cambridge: Cambridge University Press 2001, pp. 1-14. Cooper CB, Storer TW. Response variables. In: Exercise testing and interpretation. Cambridge: Cambridge University Press 2001, pp. 93-148. Cooper CB, Storer TW. Testing methods. In: Exercise testing and interpretation. Cambridge: Cambridge University Press 2001, pp. 51-92. Cordina RL, O’Meagher S, Karmali A, et al. Resistance training improves cardiac output, exercise capacity and tolerance to positive airway pressure in Fontan physiology. Int J Cardiol 2013;168:780-8. Daliento L, Mapelli D, Russo G, et al. Health related quality of life in adults with repaired tetralogy of Fallot: psychosocial and cognitive outcomes. Heart 2005;91:213-18. D’Andrea A, Caso P, Sarubbi B, et al. Right ventricular myocardial dysfunction in adult patients late after repair of tetralogy of Fallot. Int J Cardiol 2004;94:213-20. Deanfield J, Thaulow E, Warnes C, et al.; Task Force on the Management of Grown Up Congenital Heart Disease, European Society of Cardiology; ESC Committee for Practice Guidelines. Management of grown up congenital heart disease. Eur Heart J 2003;24:1035-84. * Linea guida sul trattamento dei cardiopatici congeniti adulti. Documento del 2003 redatto dalla European Society of Cardiology. Dent JM. Congenital heart disease and exercise. Clin Sports Med 2003;22:8199. Diller GP, Dimopoulos K, Okonko D, et al. Exercise intolerance in adult congenital heart disease: comparative severity, correlates, and prognostic implication. Circulation 2005;112:828-35. Dimopoulos K, Okonko DO, Diller GP, et al. Abnormal Ventilatory Response to Exercise in Adults with Congenital Heart Disease Relates to Cyanosis and Predicts Survival. Circulation 2006;20;113:2796-802. Duppen N, Takken T, Hopman MT, et al. Systematic review of the effects of physical exercise training programmes in children and young adults with congenital heart disease. Int J Cardiol. 2013;168:1779-87. 193 B. Sarubbi Francis DP, Shamim W, Davies LC, et al. Cardiopulmonary exercise testing for prognosis in chronic heart failure: continuous and independent prognostic value from VE/VCO2slope and peak VO2. Eur Heart J 2000;21:154161. Fredriksen PM, Kahrs N, Blaasvaer S, et al. The effect of physical training in children and adolescents with congenital heart disease. Cardiol Young 2000;10:107-14. Fredriksen PM, Therrien J, Veldtman G, et al. Lung-function and aerobic capacity in adult patients following modified Fontan Procedure. Heart 2000;85:295-9. Fredriksen PM, Veldtman G, Hechter S, et al. Aerobic capacity in adults with various congenital heart diseases. Am J Cardiol 2001;87:310-14. Fredriksen PM, Therrien J, Veldtman G, et al. Aerobic capacity in adults with tetralogy of Fallot. Cardiol Young 2002;12:554-9. Gatzoulis MA. Adult congenital heart disease: a cardiovascular area of growth in urgent need of additional resource allocation. Int J Cardiol 2004;97:1-2. Giada F, Carlon R, Vona M, et al.; Federazione Medico Sportiva Italiana; Società Italiana di Cardiologia dello Sport; Associazione Nazionale Cardiologi ExtraOspedalieri; Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri; Gruppo Italiano di Cardiologia Riabilitativa; Società Italiana di Cardiologia. Consensus Statement of Multisocietary Task Force Prescription of physical exercise in the cardiological environment--executive summary (fourth part). Monaldi Arch Chest Dis 2007;68:199-212. * Linea guida sulla prescrizione dell’esercizio fisico nei cardiopatici. Documento Italiano del 2007. Horner T, Liberthson R, Jellinek MS. Psychosocial profile of adults with complex congenital heart disease. Mayo Clin Proc 2000;75:31-6. James FW, Blomqvist CG, Freed MD, et al. Standards for exercise testing in the pediatric age group. American Heart Association Council on Cardiovascular Disease in the Young. Ad hoc committee on exercise testing. Circulation 1982;66:1377A-97A. Kamphuis M, Verloove-Vanhorick SP, Vogels T, et al. Disease-related difficulties and satisfaction with level of knowledge in adults with mild or complex congenital heart disease. Cardiol Young 2002;12:266-71. Kaplan S, Perloff JK. Exercise and athletics before and after surgery or interventional catheterization. In: Perloff JK, Child JS, eds. Congenital heart disease in adults. Philadelphia: WB Saunders 1991, pp. 166-77. Kröönström LA, Johansson L, Zetterström AK, et al. Muscle function in adults with congenital heart disease. Int J Cardiol 2014;1;170:358-63. McNamara DG, Bricker JT, Galioto FM Jr, et al. Cardiovascular abnormalities in the athlete: recommendations regarding eligibility for competition. Task force I: Congenital heart disease. J Am Coll Cardiol 1985;6:1200-8. Niedeggen A, Skobel E, Haager P, et al. Comparison of the 6-minute walk test with established parameters for assessment of cardiopulmonary capacity in adults with complex congenital cardiac disease. Cardiol Young 2005;15:385-90. Perloff JK, Child JS. Noncardiac surgery. In: Perloff JK, ed. Congenital Heart Disease in Adults. 2nd Ed. Philadelphia: Sauders 1998; pp: 291-9. Picchio FM, Colonna PL, Daliento L, er al.; Società Italiana di Cardiologia Pediatrica. Criteri di valutazione della capacità lavorativa, idoneità al lavoro specifico, attitudine ad attività fisica e sportiva ed assicurabilità nel cardiopatico congenito. Ital Heart J 2001;2(Suppl: 1):46-77. Sandberg C, Thilén U, Wadell K, et al. Adults with complex congenital heart disease have impaired skeletal muscle function and reduced confidence in performing exercise training. Eur J Prev Cardiol 2014:2047-48. Sarubbi B, Pacileo G, Pisacane C, et al. Exercise capacity in young patients after total repair of Tetralogy of Fallot. Pediatr Cardiol 2000;21:211-15. Scarso P, Volpe B, Melendugno A. Psychological problems and cognitive impairments in the GUCH Community. Ital Heart J Suppl 2003;4:705-11. Siu SC, Sermer M, Harrison DA, et al. Risk and predictors for pregnancy-related complications in women with heart disease. Circulation 1997;96:2789-94. Swan L, Hillis WS. Exercise prescription in adults with congenital heart disease: a long way to go. Heart 2000;83:685-7. Task Force of the Italian Working Group on Cardiac Rehabilitation Prevention. Statement on cardiopulmonary exercise testing in chronic heart failure due to left ventricular dysfunction: recommendations for performance and interpretation Part I: Definition of cardiopulmonary exercise testing parameters for appropriate use in chronic heart failure. Eur J Cardiovasc Prev Rehabil. 2006;13(2):150-164. Thaulow E, Fredriksen PM. Exercise and training in adults with congenital heart disease. Int J Cardiol 2004;97:35-8. Therien J, Fredriksen PM, Walker M, et al. A pilot study of exercise training in adult patients with repaired tetralogy of Fallot. Can J Cardiol 2003;19:685-9. Viner R. Transition from paediatric to adult care. Bridging the gaps or passing the buck? Arch Dis Child 1999;81:271-5. Warnes CA. Congenital heart disease and pregnancy. In: Elkayam, Gleicher, eds. Cardiac Problems in Pregnancy. New York: John Wiley and Associates 1998. Wasserman K, Hansen J, Sue D, et al. Exercise testing and Interpretation: an overview. In: Principles of exercise testing and interpretation. Baltimore: Lippincott Williams and Wilkins 1999, pp. 1-9. Wasserman K, Hansen J, Sue D, et al. Measurements during integrative cardiopulmonary exercise testing. In: Principles of exercise testing and interpretation. Baltimore: Lippincott Williams and Wilkins 1999, pp. 62-94. Westhoff-Bleck M, Schieffer B, Tegtbur U, et al. Aerobic training in adults after atrial switch procedure for transposition of the great arteries improves exercise capacity without impairing systemic right ventricular function. Int J Cardiol 2013;170:24-29. Wren C, O’Sullivan JJ. Survival with congenital heart disease and need for follow up in adult life. Heart 2001;85:438-43. Corrispondenza Berardo Sarubbi, UOSD Cardiopatie Congenite dell’Adulto, Ospedale Monaldi, via Leonardo Bianchi, 80131 Napoli. Tel. +39 081 7065288. Fax: + 39 081 7062815. E-mail: [email protected]; www.berardosarubbi.it 194 Luglio-Settembre 2014 • Vol. 44 • N. 175 • Pp. 195-196 Frontiere Editoriale La genetica del gusto: uno scenario straordinario ancora da esplorare nel bambino Luigi Greco Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Università Federico II, Napoli Robino, Pirastu e Gasparini (2014), dopo aver attraversato la via della seta alla scoperta dei geni del gusto, propongono una eccellente e sintetica revisione dello scenario aperto molto recentemente dai progressi nella conoscenza del genoma umano. Ora sappiamo che i gusti, così diversi tra noi, non sono una attitudine (quasi ‘uno sfizio’) ma sono condizionati dal profilo genetico del complesso sistema recettoriale che identifica ciascuna molecola che ingeriamo. Considerando solo il gusto per l’amaro, siamo distinti in super-percettori, medio percettori e scarsi percettori: con tutte le conseguenze che ciò comporta. Ma il gusto per l’amaro, regolato dall’aplotipo del gene Taster R.38, è stato sviluppato certamente per difenderci dai veleni (spesso amari), ma anche per apprezzare i ‘farmaci’, molecole protettive, presenti negli alimenti vegetali. Il propiltiouracile (PROP), con il quale si valuta il fenotipo della sensibilità all’amaro, è uno dei glucosidi principali delle brassicacee: a esso è dunque legata la scelta di mangiare i broccoli, e specie i broccoli ‘amari’. Nel napoletano si apprezzano moltissimo i friarelli, broccoletti coltivati con tecniche antiche molto efficaci: si piantano diversi filari ad agosto con semi che germinano dopo 40, 60, 90 e 120 giorni, in modo da avere l’intero inverno fornito di questo prezioso vegetale, che accompagna le carni e i salumi ed è la tradizionale merenda mattutina dei manovali. Questi broccoletti, spesso rifiutati dai bambini, sono certamente molto salutari, abbassano la densità calorica del cibo, richiedono calorie ‘negative’ per la loro digestione, forniscono una serie di ‘farmaci’ alimentari antiossidanti e flavonoidi. Nella scarsità alimentare della tradizione abbiamo selezionato (senza ancora la genetica), alimenti ‘poveri’ con buone capacità salutari. Ma la relazione genotipo-fenotipo per la percezione gustativa è, come atteso, abbastanza complessa, in quanto il profilo genomico spiega non più dei 2/3 della varianza del genotipo (ed è già moltissimo!). Dopo aver studiato varie centinaia di coppie madre-figlio, abbiamo dovuto fare i conti con gli altri fattori che condizionano il gusto: sul profilo genomico di ciascun individuo intervengono le abitudini familiari, la tradizione, la cultura sociale. Un bimbo svedese mangia l’aringa affumicata con il latte: nessuno lo proporrebbe a un piccolo italiano! E abbiamo gli stessi geni! Ma c’è anche una complessa interazione tra molteplici ‘sensori’ molecolari, come precisano gli autori, ci sono ‘famiglie’ di geni percettori dell’amaro, per esempio. Recentemente è stato scoperto da un gruppo italiano (Di Salle et al., 2013) che la percezione del dolce (dello zucchero) mediata dal T1R2-3, è limitata dalla presenza di carbonato (bollicine), per cui il bambino ingurgita grandi volumi di bevande gassate molto zuccherate, ma non le beve se la CO2 è evaporata. Non c’è dubbio che la funzione gustativa mostra grandi modifiche con il crescere dell’età del bambino: solo in adolescenza le differenze all’interno della coppia madre-figlio tendono a ridursi, pur ri- mando elevate. Ma la facilità di proporre nuovi alimenti al bambino, e di svezzarlo, è anche legata alla condivisione del profilo genetico di madre e figlio. Se entrambi sono ‘scarsi percettori’ potranno condividere alcune scelte alimentari con semplicità, ma se la madre è super-percettrice (TASR38 PAV-PAV) e il figlio non lo è (es. TASR38 PAV-AVI) più facilmente sorgeranno contrasti, e la madre definirà il figlio piccioso (espressione napoletana per “capriccioso”) e difficile da alimentare. Inoltre nel terzo semestre di vita, dopo l’apprendimento alimentare dello svezzamento nel secondo semestre di vita, il bimbo può sviluppare la neofobia (anch’essa con una componente genetica), che tende a fargli rifiutare gli alimenti che la madre non gli ha proposto durante la fase dello svezzamento. Il bimbetto che usciva dalla caverna a 14-16 mesi di vita e incontrava una attraente, ma mortale, pallina colorata di lupino o digitale è stato protetto dal rifiuto di alimenti che la madre non gli aveva proposto dentro la caverna. La relazione tra percezione gustativa, scelte alimentari ed effetti sulla salute è complessa da analizzare nel singolo individuo, ma ha certamente una influenza determinante sullo stato di salute di una popolazione. Basta prendere un esempio dalla tradizione: mangiamo con piacere una insalata di pomodori, ma, specie al sud, nessuno si sognerebbe di mangiare una insalata di pomodori senza basilico, origano e spesso aglio. E che valore hanno questi non-nutrienti? Migliorano il gusto! Nel contempo ci forniscono potere antiaggregante (un ciuffo di basilico equivale all’aspirinetta), antiossidanti, flavonoidi. Mangiamo insalata di pomodori e aggiungiamo farmaci preziosi: la tradizione ha anticipato molte scoperte della biologia molecolare! Il complesso problema dell’obesità, e di quella infantile in specie, è anche condizionato dalle scelte alimentari correlate al profilo genomico dell’individuo. Ma la vicenda è ovviamente più complessa di una relazione genotipo-fenotipo. Abbiamo osservato, in 110 bimbi obesi, che questi ‘vogliono tutto’ e, nel nostro milieu culturale, apprezzano anche i friarielli più dei loro compagni non obesi, indipendentemente dal loro profilo genomico. Mangiano più di tutto, anche se preferiscono cibi ad elevata densità calorica. L’età e la familiarità sono le variabili più correlate alle scelte alimentari degli obesi. Ma i recettori del gusto non stanno solo sulla lingua: gli autori ci ricordano che in ogni villo intestinale vi sono le cellule enteroendocrine, sulla cui superficie sono espressi i recettori del gusto che, mandano un secondo segnale con la Gustina: si tratta dello Sweet Tooth of the Stomach: percepiamo con l’intero intestino. La capsaicina ci pizzica la lingua quando la ingeriamo, ma, se ne mangiamo tanta, dopo 2-3 giorni brucia anche al termine dell’intestino! I recettori informano il pancreas della presenza di glucidi, controllano la motilità, attivano capacità digestive: sono grandi ‘informatori’ del contenuto del lume intestinale. Molte delle sensibilità individuali a singoli alimenti, che non hanno nulla a che fare con le allergie, sono mediate dai Transient 195 L. Greco Receptor Potential Vanilloid receptors (TRPV) che identificano singole molecole e danno un segnale di tipo neuro-transmitter, calcio mediato, capace di causare, con la stimolazione del vago, un’antiperistalsi (“mi rivolta lo stomaco”). Tutte le funzioni gastrointestinali dovranno essere ristudiate alla luce di questi nuovi elementi. Ma la scoperta più eclatante è stato trovare il Taste Receptor nel tratto respiratorio: assaporiamo i lattoni dei batteri gram negativi, con lo stesso sistema di percezione del dolce! Super-percettori si difendono meglio dallo Pseudomonas Aeruginosa producendo NO (ossido nitrico), muco e motilità ciliare: stupefacente! Ma anche per questo la storia è più complessa ed i nostri tentativi di replicazione si sono rivelati più difficili. In conclusione un mondo nuovo, sospettato da tempo, dominio della prescrizione apodittica di consigli alimentari, e ora spesso della erboristeria filosofica e salutistica, comincia finalmente a ricevere la luce della biologia molecolare e della genetica, che certamente apporterà conoscenze capaci di indurre profonde modifiche alla nostra concezione del rapporto uomo-nutrienti. Bibliografia Di Salle F, Cantone E, Savarese MF, et al. Effect of carbonation on brain processing of sweet stimuli in humans. Gastroenterology 2013;145:537-9. Mennella JA, Pepino MY, Duke F, et al. Age modifies the genotype-phenotype relationship for the bitter receptor TAS2R38. BMC Genet 2010;11:60. Negri R, Di Feola M, Di Domenico S, et al. Taste perception and food choices. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2012;54:624-9. Negri R, Smarrazzo A, Galatola M, et al. Age variation in bitter tasting according to taste receptor genotype. Submitted. Int JNutrition Robino A, Pirastu N, Gasparini P. La genetica del gusto. Prospettive in Pediatria 2014;44:197-202. Corrispondenza Luigi Greco, Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Università degli Studi di Napoli Federico II, via S. Pansini 5, 80131 Napoli. E-mail: [email protected] 196 Luglio-Settembre 2014 • Vol. 44 • N. 175 • Pp. 197-202 Frontiere La Genetica del Gusto Antonietta Robino1, Nicola Pirastu1-2, Paolo Gasparini1-2 1 2 IRCCS Materno Infantile Burlo Garofolo, Trieste Università degli Studi di Trieste, Trieste Riassunto Il gusto è il senso che permette l’identificazione di sostanze nutritive o tossiche e guida le scelte alimentari. È oggi noto che variazioni genetiche nei geni che codificano per i recettori del gusto sono responsabili di differenze individuali nella percezione del gusto dolce, umami e amaro, mentre meno conosciuta è la genetica del gusto acido e salato. Differenze nella percezione gustativa, incidendo sulla scelta del cibo e sul comportamento alimentare, hanno anche mostrato importanti implicazioni a lungo termine per la salute, specialmente per malattie relate alla dieta come l’obesità e il diabete. Finora, molti studi si sono focalizzati sulla funzione dei recettori del gusto, ma ulteriori indagini sono necessarie per comprendere meglio i fattori genetici e ambientali che possono influenzare la percezione gustativa e di conseguenza le preferenze alimentari e il possibile legame con lo stato di salute. Summary The sense of taste allows the identification of nutrients and toxins and guides food choices. It is well known that genetic variation in taste receptor genes are responsible for individual differences in perception of sweet, umami and bitter tastes, whereas less is known about the genetics of sour and salty taste. Differences in taste perception, influencing food selection and dietary behavior, have also shown important long-term health implications, especially for food-related diseases such as obesity and diabetes. To date, a lot of studies are focused on taste receptor function, but further investigations are needed to better understand genetic and environmental factors that can influence taste perception and thus food preferences and the possible link with health status. Metologia della ricerca bibliografica effettuata La ricerca degli articoli rilevanti sulla genetica del gusto è stata effettuata tramite la banca bibliografica PubMed, utlizzando come parole chiave: “genetic variation in taste”, “taste perception”, “food choices”, “eating behaviour”, “taste genes and diseases”. Sono stati inclusi solo gli articoli in lingua inglese. Introduzione Perchè alcune cucine sono particolarmente “dolci” come in Africa occidentale e altre meno, oppure sono marcatamente speziate come in India? È solo tradizione (cultura, metodi di conservazione, etc.) o c’è una componente biologica in grado di spiegare almeno in parte la diversa capacità di percepire i vari sapori? E che dire delle coltivazioni che millenni di storia agricola hanno selezionato? Abbiamo scelto ciò che meglio cresceva nelle nostre terre e ci siamo di conseguenza adeguati a mangiarlo o abbiamo selezionato ciò che eravamo predisposti ad apprezzare? La capacità di rilevare sostanze chimiche nell’ambiente esterno ha da sempre avuto un’importanza fondamentale per garantire la sopravvivenza e l’adattamento degli individui e delle specie. Tra i vari sensi, il gusto è quello che permette di riconoscere e selezionare il cibo e di evitare l’ingestione di sostanze tossiche. Inoltre, il gusto influenza in modo determinante l’appetibilità dei cibi, condizionando le abitudini nutrizionali di ciascun individuo. Sebbene si possa percepire un vasto numero di sostanze chimiche, sono al momento distinguibili 5 diverse qualità gustative: amaro, dolce, acido, salato ed umami. L’amaro protegge dall’ingestione di potenziali sostanze tossiche. L’acido permette di evitare l’ingestione di alimenti avariati. Il dolce consente l’identificazione dei nutrienti energetici. Il salato guida l’assunzione di sodio e altri ioni necessari per il mantenimento dell’equilibrio idrosalino. Infine, l’umami permette di riconoscere gli aminoacidi e indica il sapore del glutammato monosodico, un aminoacido particolarmente presente negli alimenti ricchi di proteine come carni e formaggi stagionati (Chaudhari & Roper, 2010). Di recente è emerso che all’interno dei bottoni gustativi sono presenti anche recettori specifici capaci di percepire le molecole di grasso (Stewart et al., 2010). Dal punto di vista evolutivo, la capacità di percepire il gusto dolce si è sviluppata per riconoscere gli zuccheri, principale fonte d’energia del corpo. Invece, la sensibilità al gusto amaro ha permesso di discriminare ciò che era potenzialmente dannoso, come per esempio l’ingestione di molti composti tossici principalmente d’origine vegetale. Oggi il gusto ha in gran parte perso questa funzione e non risulta più legato ad esigenze di sopravvivenza. Ciononostante rimane uno dei più importanti fattori nel determinare la selezione e il grado di accettazione del cibo. La percezione dei diversi gusti avviene grazie a recettori presenti sulla superficie di cellule epiteliali specializzate (dette TRCs o taste receptor cells) che si trovano all’interno dei bottoni gustativi, localizzati principalmente sulla lingua. Ciascuna qualità gustativa viene rilevata attraverso un meccanismo molecolare di trasduzione differente. In particolare, il salato e l’acido agiscono direttamente sui canali ionici di membrana, mente il dolce, l’umami e l’amaro utilizzano meccanismi di trasduzione mediati da recettori gustativi associati a proteine G (Purves et al., 2001) (Zhang et al., 2003). La Tabella I riassume i recettori a oggi conosciuti per ogni qualità gustativa e il meccanismo di trasduzione del segnale corrispondente. Numerosi sono i geni che codificano per i recettori del gusto amaro. In particolare nell’uomo sono stati identificati una famiglia di 25 geni, detti T2Rs o TAS2Rs, localizzati sui cromosomi 12, 7 e 5 (Adler et al., 2000). 197 A. Robino, N. Pirastu, P. Gasparini Tabella I. Recettori gustativi e meccanismo di trasduzione del segnale. Gusto Recettore Trasduzione del segnale Amaro T2Rs Recettore accoppiato a proteine G Dolce T1R2/T1R3 Recettore accoppiato a proteine G Umami T1R1/T1R3 Recettore accoppiato a proteine G Salato ENaC-TRPV1 Canali ionici Acido PKD2L1- PKD1L3 Canali ionici Grasso CD36 Trasportatore di acidi grassi I gusti dolce e umami sono guidati da recettori appartenenti alla famiglia T1R o TAS1R. In particolare il recettore per il gusto dolce è costituito dal dimero formato da T1R2 e T1R3 (Li et al., 2002) (Nelson et al., 2001), mentre il T1R3 combinato con il T1R2 forma il dimero responsabile della percezione del gusto umami (Nelson et al., 2002; Zhao et al., 2003). Il recettore principale per il gusto salato è un canale epiteliale per il Na+ sensibile all’amiloride, denominato EnaC (Schiffman et al., 1983). Inoltre, esiste un altro possibile recettore per il salato, il canale TRPV1 appartenente alla famiglia dei canali ionici TRP (transient receptor potential) (Lyall et al., 2004). Per quanto riguarda l’acido, due membri della famiglia dei canali ionici TRP, ovvero PKD1L3 e PKD2L1, sono stati indicati come possibili recettori per la percezione di questa qualità gustativa (Huang et al., 2006) (Ishimaru et al., 2006). Infine, il gene CD36 è stato identificato come responsabile della sensibilità ai cibi grassi (Fukuwatari et al., 1997; Laugerette et al., 2005). Variazioni genetiche nei recettori del gusto La percezione gustativa può variare tra gli individui in funzione di variazioni genetiche nei geni che codificano per i recettori del gusto. Variazioni genetiche associate a differenze individuali nella percezione gustativa sono ben note per quanto riguarda i gusti amaro, dolce e umami, mentre meno conosciuta è la variabilità genetica associata alla percezione del gusto salato e acido (Kim & Drayna, 2005; Mainland & Matsunami, 2009; Shigemura et al., 2009). Le variazioni genetiche associate a differenze individuali nella percezione del gusto amaro sono state le più studiate. In particolare, tra questi le più conosciute sono le variazioni a carico del gene TAS2R38, associate a differenze nella capacità di percepire composti che contengono il gruppo tiocianato (N-C = S) responsabile del loro gusto amaro, come feniltiocarbamide (o PTC) e 6-n-propiltiouracile (o PROP). Questo gruppo chimico è anche presente nei glucosinati e nelle goitrine, sostanze comunemente trovate nelle crucifere ed in altre piante appartenenti alla famiglia delle Brassicacee, come broccoli, cavoli e cavolfiori (Bufe et al., 2005). In base alla capacità di percepire questi composti nella popolazione si possono distinguere: coloro che non percepiscono il PTC e sostanze analoghe o “non-taster”, coloro che sono capaci di percepire il PTC o “medium-taster” e coloro che sono estremamente sensibili a questi composti o “super-taster” (Guo & Reed, 2001). Circa il 75% della popolazione Caucasica è sensibile e capace di percepire il PTC e il PROP, mentre circa il 25% sono non-tasters (Bartoshuk et al., 1994). 198 Oggi sappiamo che esistono due diverse forme del TAS2R38, la forma PAV e la forma AVI, che differiscono per tre polimorfismi a singolo nucleotide (SNPs). Queste due forme conferiscono una diversa sensibilità al PTC e il PROP. In particolare, mentre la forma AVI specifica il fenotipo non-taster, la forma PAV sembra essere specifica per il fenotipo taster. Le variazioni genetiche nel TAS2R38, comunque, spiegano circa il 55-80% della variabilità nella sensibilità al PTC/PROP, suggerendo che altri fattori sia genetici che ambientali possono contribuire a determinare il fenotipo (Kim et al., 2003). Per quanto riguarda altre qualità gustative, variazioni genetiche nei geni della famiglia TAS1R sono state associate a differenze nella percezione dei gusti dolce e umami. Per esempio varianti nelle regioni del promotore del gene TAS1R3 sono state associate con una riduzione della capacità di percepire il gusto dolce (Fushan et al., 2009). Analogamente, è stato riportato che differenze genetiche a livello del gene TAS1R3 sono legate a una ridotta sensibilità all’umami, mentre differenze nel gene TAS1R1 a un aumento della sensibilità (Shigemura et al., 2009). Studi molto recenti hanno suggerito che nell’uomo variazioni nei geni che codificano per il canale TRPV1 e la beta sub-unità del canale ENaC potrebbero modificare la percezione del gusto salato (Dias et al., 2013). Infine, varianti a livello del gene CD36 sono ritenute responsabili di differenze nella capacità di percepire e riconoscere le molecole di grasso contenuti nei cibi (Keller et al., 2012). Figura 1. Variazioni genetiche nei recettori del gusto determinano differenze nella percezione gustativa e possono influenzare la scelta e il consumo di cibo, con ricadute sul metabolismo e sullo stato di salute. La Genetica del Gusto Variazioni nella percezione gustativa possono influenzare le scelte alimentari e lo stato di salute Variazioni genetiche a livello dei recettori gustativi, determinando differenze nella percezione gustativa, possono portare anche a differenze nelle preferenze alimentari e nel consumo di cibo. Ciò può a sua volta influenzare lo stato di salute, in particolare per quanto riguarda il rischio di sviluppare alcune patologie legate alla dieta quali il diabete o l’obesità (Garcia-Bailo et al., 2009) (Fig. 1). Il maggior numero di studi si è focalizzato sulla relazione tra la capacità di percepire il gusto amaro del PTC o del PROP, mediata dal gene TAS2R38, e le abitudini e preferenze alimentari (Dinehart, et al., 2006; Robino et al., 2014). In particolare, la percezione del gusto amaro del PROP/PTC è stata associata a differenze nella preferenza per diversi tipi di cibi, quali verdure, caffè, birra, pompelmo, peperoncino, grassi, consumo di alcool (Keller et al., 2002; Ullrich et al., 2004; Dinehart et al., 2006; Tepper, 2008; Tsuji et al., 2012; Drewnowski et al., 1997; Duffy, 2004; Hayes & Duffy, 2008). Variazioni nel gene TAS2R38 sono state associate anche al consumo di fibre e all’assunzione di tiamina, vitamina B6 e folati, ovvero a fattori indicativi di una sana alimentazione (Feeney et al., 2011). Polimorfismi in altri geni responsabili della percezione del gusto amaro sono in grado di influenzare le preferenze e le scelte alimentari. Per esempio uno studio recente ha mostrato associazione tra varianti nel gene TAS2R43 e la percezione della caffeina e la preferenza per il caffè (Pirastu et al., 2014). La percezione del gusto amaro è stata anche ampiamente relata allo stato di salute. Ad esempio è stato dimostrato che la capacità di percepire il PROP, attraverso differenze nel consumo di cibi ad elevato contenuto calorico e di grassi, può influenzare l’indice di massa corporea e il rischio di sviluppare obesità (Tepper & Ullrich, 2002; Tepper et al., 2008; Shafaie et al., 2013). Il rischio di tumore del colon, mediato in parte dalla dieta, è stato anche legato a variazioni genetiche nel gene TAS2R38 (Basson et al., 2005). Inoltre, il rischio di sviluppare carie dentali, presumibilmente come conseguenza della maggiore preferenza per gli alimenti contenenti zucchero, è stato associato a variazioni nella percezione del gusto amaro (Lin, 2003; Wendell et al., 2010). È stato infine ipotizzato che esiste una relazione tra la percezione del gusto amaro e il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, attraverso un comportamento alimentare che aumenta questo rischio perchè caratterizzato da una maggiore assunzione di alcool, una maggiore preferenza per i cibi dolci ed ad alto contenuto di grassi, più alta pressione arteriosa e profilo lipidico meno favorevole (Duffy, 2004). Studi sulla relazione tra percezione del gusto, scelte alimentari e implicazioni per la salute sono stati riportati anche per altre qualità gustative. Variazioni genetiche del gene TAS1R2, responsabile della percezione del gusto dolce, sono state associate a differenze nel consumo di zuccheri in soggetti sovrappeso ed obesi (Eny et al., 2010). Differenze nella percezione del gusto dolce sono state anche associate all’alcolismo (Mennella et al., 2010), all’indice di massa corporea (Donaldson et al., 2009) e allo sviluppo di carie (Kulkarni et al., 2013). Polimorfismi del gene CD36 sono stati associati associate ad una diversa sensibilità agli alimenti grassi, con conseguente impatto sull’indice di massa corporea e il rischio di sviluppare obesità (Bokor et al., 2010; Heni et al., 2011; Yun et al., 2007; Keller et al., 2012). In altri studi, variazioni genetiche nel gene CD36 sono stati anche legati a livelli di trigliceridi e di acidi grassi liberi (Ma et al., 2004; Madden et al., 2008) e alla sindrome metabolica (Farook et al., 2012). Lo sviluppo del gusto nel bambino Il neonato come l’adulto è capace di percepire e discriminare le diverse qualità gustative. Le papille gustative, all’interno delle quali si trovano le cellule recettoriali gustative, si formano già nel periodo embrionale (all’inizio del terzo trimestre). Il feto è quindi in grado di percepire il sapore del liquido amniotico che contiene molti nutrienti come il glucosio. Si è visto che il feto regola la deglutizione del liquido amniotico aumentandola o diminuendola in base al sapore dolce o amaro dello stesso (Beauchamp & Mennella, 2011; Ventura & Worobey, 2013). Tutto il sistema gustativo è funzionalmente maturo alla fine della gestazione. Analogamente a quanto avviene già a livello fetale, i neonati poco dopo la nascita mostrano caratteristiche preferenze gustative. In particolare, i neonati manifestano una preferenza per il gusto dolce e umami rispetto ai gusti amaro, acido e salato. Infatti reagiscono con una espressione facciale di tranquillità e soddisfazione ad una soluzione di zucchero, mentre con una espressione facciale accigliata e di repulsione al gusto amaro (Tab. II) (Steiner et al., 2001). Queste differenze possono avere un rilevante significato evolutivo. La preferenza per il gusto dolce può essere infatti legata al fatto che è indice di fonte di energia, di cui il neonato ha estremo bisogno. Per quanto riguarda invece lo svezzamento, questo è il momento in cui il lattante entra in contatto e impara a conoscere i diversi gusti dei cibi. Inoltre con lo svezzamento il lattante passa da un’alimentazione chiaramente dolce (il latte) ad una più varia e meno dolce, in alcun casi caratterizzata anche da cibi amari. È noto che le esperienze gustative del neonato durante lo svezzamento sono in grado di influenzare e determinare le sue scelte alimentari da adulto (Nicklaus et al., 2005). Inoltre è anche possibile che le variazioni genetiche responsabili delle differenze nella capacità di percepire i vari gusti siano in grado di condizionare il comportamento alimentare del lattante durante lo svezzamento. Basti pensare per esempio che ci sono lattanti che si svezzano con estrema facilità ed altri per i quali è richiesto un tempo molto più lungo. Studi su questi aspetti sono ora in corso. I recettori del gusto nel sistema gastrointestinale e respiratorio Numerose evidenze hanno dimostrato che i recettori del gusto sono espressi oltre che sulla lingua, anche nel tratto gastrointestinale e respiratorio (Höfer et al.,1996; Wu et al., 2002; Kaske et al., 2007) (Fig. 2). Ovviamente i recettori del gusto nell’intestino non inducono sensazioni gustative, ma piuttosto sembrano contribuire a guidare la digestione o il rifiuto di sostanze alimentari che attraversano l’intestino. Allo stesso modo, i recettori del gusto presenti nelle vie aeree sembrano coinvolti in risposte di difesa da sostanze estranee inalate e potenzialmente tossiche (Finger & Kinnamon, 2011). In particolare, l’esistenza di recettori per il gusto dolce TAS1R nell’intestino sembra responsabile della regolazione delle funzioni digestive. Questi recettori rilevano sostanze dolci e rispondono secernendo GLP-1 (glucagon-like-peptide-1), che a sua volta stimola il rilascio di insulina promuovendo l’assorbimento di glucosio. Inoltre, l’attivazione dei recettori per il gusto dolce nell’intestino guida l’inserimento dei trasportatori del glucosio SGLT-1 e GLUT2 nelle membrane delle cellule intestinali facilitando l’assorbimento di glucosio (Mace et al., 2007; Margolskee et al., 2007). Meno chiara è la funzione dei recettori per il gusto amaro TAS2R nel tratto gastrointestinale. L’attivazione di questi recettori provoca il 199 A. Robino, N. Pirastu, P. Gasparini Tabella II. Sviluppo del gusto e risposte innate alle diverse qualità gustative. Gusto Sviluppo del gusto Risposta innata Amaro Prenatale Negativa/Rifiuto Dolce Prenatale Positiva Umami Prenatale Positiva Salato 4-6 mesi Incerta Acido Prenatale Negativa/Rifiuto rilascio di CCK (colecistochinina) che può ridurre la motilità intestinale. Quindi, l’assunzione di un potenziale tossina che attiva i recettori per l’amaro potrebbe diminuire la velocità con cui il cibo passa attraverso lo stomaco e quindi l’assunzione di cibo (Glendinning, Yiin, Ackroff et al., 2008). Nel colon l’attivazione dei recettori TAS2R sembra invece favorire l’eliminazione di possibili tossine (Kaji et al., 2009). Per quanto riguarda invece il ruolo dei recettori del gusto nelle vie aeree, un recente lavoro ha dimostrato che il recettore TAS2R38, responsabile della percezione del PROP/PTC, è espresso anche nell’epitelio respiratorio superiore e viene attivato da molecole secrete da batteri gram-negativi. La sua attivazione va a regolare la produzione di ossido di azoto con conseguenti effetti antibatterici diretti. Inoltre nello stesso studio è emerso che le stesse variazioni del gene TAS2R38 associate a differenze nella capacità di percepire il gusto amaro, risultano associate anche a differenze nella capacità di rispondere alle infezioni delle vie respiratorie (Lee et al., 2012). È interessante anche la possibile funzione dei recettori del gusto nei polmoni. Sembra che in questa sede i composti amari siano in grado di attivare i recettori TAS2Rs provocando il rilassamento delle cellule muscolari e una riduzione dell’ostruzione delle vie aeree. Questo sistema potrebbe essere per esempio sfruttato per realizzare nuovi broncodilatatori efficaci per il trattamento delle malattie polmonari ostruttive (Deshpande et al., 2010). Conclusioni La definizione della percezione del gusto e delle preferenze alimentari inizia nel grembo materno e continua poi per tutto il resto della vita. La percezione del gusto e le preferenze alimentari sono sicuramente fortemente influenzate dalle esperienze personali, dalla cultura, dallo stile di vita. Nonostante ciò è sempre più evidente che in parte percezione del gusto e preferenze alimentari sono anche “biologicamente determinate”, ovvero che esiste una componente genetica in grado di determinare differenze individuali, sia nella capacità di percepire i 5 gusti principali, sia nel grado di accettazione dei cibi. Molti aspetti che riguardano la genetica del gusto restano ancora da delucidare. In particolare, maggiori studi sono necessari per identificare ulteriori geni associati alla percezione gustativa e comprendere meglio il loro possibile legame con lo stato di salute. Bibliografia Figura 2. Presenza dei recettori gustativi in vari distretti del corpo. 200 Adler E, Hoon MA, Mueller KL, et al. A novel family of mammalian taste receptors. Cell 2000;100:693-702. Bartoshuk LM, Duffy VB, Miller IJ. PTC/PROP tasting: anatomy, psychophysics, and sex effects. Physiology & Behavior 1994;56:1165-71. Basson MD, Bartoshuk LM, Dichello SZ, et al. Association between 6-n-propylthiouracil (PROP) bitterness and colonic neoplasms. Digestive Diseases and Sciences 2005;50:483-9. Beauchamp GK, Mennella JA. Flavor perception in human infants: development and functional significance. Digestion 2011;83(Suppl. 1):1-6. Bokor S, Legry V, Meirhaeghe A, et al. Single-nucleotide polymorphism of CD36 locus and obesity in European adolescents. Obesity (Silver Spring, Md.) 2010;18:1398-403. Bufe B, Breslin PAS, Kuhn C, et al. The molecular basis of individual differences in phenylthiocarbamide and propylthiouracil bitterness perception. Cur Biol 2005;15:322-7. Chaudhari N, Roper SD. The cell biology of taste. The Journal of Cell Biology 2010;190:285-96. ** Review sulle diverse qualità gustative, i recettori deputati alla loro percezione e i diversi meccanismi di traduzione del segnale. Deshpande DA, Wang WCH, McIlmoyle EL, et al. Bitter taste receptors on airway smooth muscle bronchodilate by localized calcium signaling and reverse obstruction. Nature Medicine 2010;16:1299-304. Dias AG, Rousseau D, Duizer L, et al. Genetic variation in putative salt taste re- ceptors and salt taste perception in humans. Chemical Senses 2013;38:137-45. Dinehart ME, Hayes JE, Bartoshuk LM, et al. Bitter taste markers explain variability in vegetable sweetness, bitterness, and intake. Physiology & Behavior 2006;87:304-13. Donaldson LF, Bennett L, Baic S, et al. Taste and weight: is there a link? The American Journal of Clinical Nutrition 2009;90:800S-803S. Drewnowski A, Henderson SA, Shore AB, et al. Nontasters, tasters, and supertasters of 6-n-propylthiouracil (PROP) and hedonic response to sweet. Physiology & Behavior 1997;62:649-55. Duffy VB. Associations between oral sensation, dietary behaviors and risk of cardiovascular disease (CVD). Appetite 2004;43:5-9. Eny KM, Wolever TM, Corey PN, et al. Genetic variation in TAS1R2 (Ile191Val) is associated with consumption of sugars in overweight and obese individuals in 2 distinct populations. The American Journal of Clinical Nutrition 2010;92:150110. Farook VS, Puppala S, Schneider J, et al. Metabolic syndrome is linked to chromosome 7q21 and associated with genetic variants in CD36 and GNAT3 in Mexican Americans. Obesity (Silver Spring, Md.) 2012;20:2083-92. Feeney E, O’Brien S, Scannell A, et al. Genetic variation in taste perception: does it have a role in healthy eating? The Proceedings of the Nutrition Society 2011;70:135-43. ** Lavoro che riporta le principali variazioni genetiche associate alla percezione gustativa e la loro influenza sulle scelte alimentari. Finger TE, Kinnamon SC. Taste isn’t just for taste buds anymore. F1000 Biology Reports 2011;3:20. ** Lavoro che fornisce una panoramica sul ruolo dei recettori del gusto nel sistema respiratorio e gastrointestinale. Fukuwatari T, Kawada T, Tsuruta M, et al. Expression of the putative membrane fatty acid transporter (FAT) in taste buds of the circumvallate papillae in rats. FEBS Letters 1997;414:461-4. Fushan AA, Simons CT, Slack JP, et al. Allelic polymorphism within the TAS1R3 promoter is associated with human taste sensitivity to sucrose. Curr Biol 2009;19:1288-93. Garcia-Bailo B, Toguri C, Eny KM, et al. Genetic variation in taste and its influence on food selection. Omics : A Journal of Integrative Biology 2009;13:69-80. ** Review che descrive le attuali conoscenze sulle variazioni genetiche associate ai recettori del gusto e il loro possibile impatto sul comportamento alimentare Glendinning JI, Yiin Y-M, Ackroff K, et al. Intragastric infusion of denatonium conditions flavor aversions and delays gastric emptying in rodents. Physiology & Behavior 2008;93:757-65. Guo SW, Reed DR. The genetics of phenylthiocarbamide perception. Annals of Human Biology 2001;28:111-42 Hayes JE, Duffy VB. Oral sensory phenotype identifies level of sugar and fat required for maximal liking. Physiology & Behavior 2008;95:77-87. Heni M, Müssig K, Machicao F, et al. Variants in the CD36 gene locus determine whole-body adiposity, but have no independent effect on insulin sensitivity. Obesity (Silver Spring, Md.) 2011;19:1004-9. Höfer D, Püschel B, Drenckhahn D. Taste receptor-like cells in the rat gut identified by expression of alpha-gustducin. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America 1996;93:6631-4. Huang AL, Chen X, Hoon MA, et al. The cells and logic for mammalian sour taste detection. Nature 2006;442:934-8. Ishimaru Y, Inada H, Kubota M, et al. Transient receptor potential family members PKD1L3 and PKD2L1 form a candidate sour taste receptor. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America 2006;103:1256974. Kaji I, Karaki S, Fukami Y, et al. Secretory effects of a luminal bitter tastant and expressions of bitter taste receptors, T2Rs, in the human and rat large intestine. American Journal of Physiology. Gastrointestinal and Liver Physiology 2009;296:G971-81. Kaske S, Krasteva G, König P, et al. TRPM5, a taste-signaling transient receptor potential ion-channel, is a ubiquitous signaling component in chemosensory cells. BMC Neuroscience 2007;8:49. Keller KL, Liang LCH, Sakimura J, et al. Common variants in the CD36 gene are associated with oral fat perception, fat preferences, and obesity in African Americans. Obesity (Silver Spring, Md.) 2012;20:1066-73. Keller KL, Steinmann L, Nurse RJ, et al. Genetic taste sensitivity to 6-n-propylthiouracil influences food preference and reported intake in preschool children. Appetite 2002;38:3-12. Kim U, Jorgenson E, Coon H, et al. Positional cloning of the human quantitative trait locus underlying taste sensitivity to phenylthiocarbamide. Science (New York, N.Y.) 2003;299:1221-5. Kim UK, Drayna D. Genetics of individual differences in bitter taste perception: lessons from the PTC gene. Clinical Genetics 2005;67:275-80. Kulkarni GV, Chng T, Eny KM, et al. Association of GLUT2 and TAS1R2 genotypes with risk for dental caries. Caries Research 2013;47:219-25. Laugerette F, Passilly-Degrace P, Patris B, et al. CD36 involvement in orosensory detection of dietary lipids, spontaneous fat preference, and digestive secretions. The Journal of Clinical Investigation 2005;115:3177-84. Lee RJ, Xiong G, Kofonow JM, et al. T2R38 taste receptor polymorphisms underlie susceptibility to upper respiratory infection. The Journal of Clinical Investigation 2012;122: 4145-59. Li X, Staszewski L, Xu H, et al. Human receptors for sweet and umami taste. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America 2002;99:4692-6. Lin BPJ. Caries experience in children with various genetic sensitivity levels to the bitter taste of 6-n-propylthiouracil (PROP): a pilot study. Pediatric Dentistry 2003;25:37-42. Lyall V, Heck GL, Vinnikova AK, et al. The mammalian amiloride-insensitive nonspecific salt taste receptor is a vanilloid receptor-1 variant. The Journal of Physiology 2004;558:147-59. Ma X, Bacci S, Mlynarski W, et al. A common haplotype at the CD36 locus is associated with high free fatty acid levels and increased cardiovascular risk in Caucasians. Human Molecular Genetics 2004;13:2197-205. Mace OJ, Affleck J, Patel N, et al. Sweet taste receptors in rat small intestine stimulate glucose absorption through apical GLUT2. The Journal of Physiology 2007;582:379-92. Madden J, Carrero JJ, Brunner A, et al. Polymorphisms in the CD36 gene modulate the ability of fish oil supplements to lower fasting plasma triacyl glycerol and raise HDL cholesterol concentrations in healthy middle-aged men. Prostaglandins, Leukotrienes, and Essential Fatty Acids 2008;78:327-35. Mainland JD, Matsunami H. Taste perception: how sweet it is (to be transcribed by you). Current Biol 2009;19:R655-6. Margolskee RF, Dyer J, Kokrashvili Z, et al. T1R3 and gustducin in gut sense sugars to regulate expression of Na+-glucose cotransporter 1. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America 2007;104:15075-80. Mennella JA, Pepino MY, Lehmann-Castor SM, et al. Sweet preferences and analgesia during childhood: effects of family history of alcoholism and depression. Addiction (Abingdon, England) 2010;105:666-75. Nelson G, Chandrashekar J, Hoon MA, et al. An amino-acid taste receptor. Nature 2002;416:199-202. Nelson G, Hoon MA, Chandrashekar J, et al. Mammalian sweet taste receptors. Cell 2011;106:381-90. Nicklaus S, Boggio V, Chabanet C, et al. A prospective study of food variety seeking in childhood, adolescence and early adult life. Appetite 2005;44:289-97. Pirastu N, Kooyman M, Traglia M, et al. Association Analysis of Bitter Receptor Genes in Five Isolated Populations Identifies a Significant Correlation between TAS2R43 Variants and Coffee Liking. PloS One 2014;9:e92065. Purves D, Augustine G, Fitzpatrick D. (2001). The Organization of the Taste System. Sinauer Associates. Retrieved from http://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/ NBK11018/ Robino A, Mezzavilla M, Pirastu N, et al. A Population-Based Approach to Study the Impact of PROP Perception on Food Liking in Populations along the Silk Road. PloS One 2014;9:e91716. Schiffman SS, Lockhead E, Maes FW. Amiloride reduces the taste intensity of Na+ and Li+ salts and sweeteners. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America 1983;80:6136-40. Shafaie Y, Koelliker Y, Hoffman DJ, et al. Energy intake and diet selection during buffet consumption in women classified by the 6-n-propylthiouracil bitter taste phenotype. The American Journal of Clinical Nutrition 2013;98:1583-91. Shigemura N, Shirosaki S, Sanematsu K, et al. Genetic and molecular basis of individual differences in human umami taste perception. PloS One 2009;4:e6717. Steiner JE, Glaser D, Hawilo ME, et al. Comparative expression of hedonic impact: affective reactions to taste by human infants and other primates. Neuroscience and Biobehavioral Reviews 2001;25:53-74. Stewart JE, Feinle-Bisset C, Golding M, et al. Oral sensitivity to fatty acids, food consumption and BMI in human subjects. The British Journal of Nutrition 2010;104:145-52. 201 A. Robino, N. Pirastu, P. Gasparini Tepper BJ. Nutritional implications of genetic taste variation: the role of PROP sensitivity and other taste phenotypes. Annual Review of Nutrition 2008;28:36788. ** Review sulle differenze individuali nella percezione gustativa (con particolare attenzione per il gusto amaro) e il legame con la scelta del cibo e il peso corporeo. Tepper BJ, Koelliker Y, Zhao L, et al. Variation in the bitter-taste receptor gene TAS2R38, and adiposity in a genetically isolated population in Southern Italy. Obesity (Silver Spring, Md.) 2008;16:2289-95. Tepper BJ, Ullrich NV. Influence of genetic taste sensitivity to 6-n-propylthiouracil (PROP), dietary restraint and disinhibition on body mass index in middle-aged women. Physiology & Behavior 2002;75:305-12. Tsuji M, Nakamura K, Tamai Y, et al. Relationship of intake of plant-based foods with 6-n-propylthiouracil sensitivity and food neophobia in Japanese preschool children. European Journal of Clinical Nutrition 2012;66:47-52. Ullrich NV, Touger-Decker R, O’sullivan-Maillet J, et al. PROP taster status and self-perceived food adventurousness influence food preferences. Journal of the American Dietetic Association 2004;104:543-9. Ventura AK, Worobey J. Early influences on the development of food preferences. Current Biology 2013;23:R401-8. ** Revisione della letteratura sullo sviluppo del sistema gustativo e delle preferenze alimentari. Wendell S, Wang X, Brown M, et al. Taste genes associated with dental caries. Journal of Dental Research 2010;89:1198-202. Wu SV, Rozengurt N, Yang M, et al. Expression of bitter taste receptors of the T2R family in the gastrointestinal tract and enteroendocrine STC-1 cells. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America 2002;99:2392-7. Yun YM, Song EY, Song SH, et al. CD36 polymorphism and its relationship with body mass index and coronary artery disease in a Korean population. Clinical Chemistry and Laboratory Medicine : CCLM / FESCC 2007;45:1277-82. Zhang Y, Hoon MA, Chandrashekar J, et al. Coding of sweet, bitter, and umami tastes: different receptor cells sharing similar signaling pathways. Cell 2003;112:293-301. Zhao GQ, Zhang Y, Hoon MA, et al. The receptors for mammalian sweet and umami taste. Cell 2003;115:255-66. Corrispondenza Robino Antonietta, IRCCS Materno Infantile Burlo Garofolo, via dell’Istria 65, 34137 Trieste. Tel. + 39 040 3785539. Fax: + 39 040 3785540. E-mail: [email protected] 202 Luglio-Settembre 2014 • Vol. 44 • N. 175 • Pp. 203-207 Focus La Farmacovigilanza in età pediatrica Carmen D’Amore, Francesca Menniti-Ippolito, Giuseppe Traversa Reparto di Farmacoepidemiologia, Centro Nazionale di Epidemiologia, Istituto Superiore di Sanità Riassunto Negli anni è aumentata la consapevolezza della necessità di condurre studi clinici in ambito pediatrico per disporre di informazioni più accurate sul profilo beneficio-rischio dei farmaci da utilizzare nei bambini. Come nella popolazione adulta, tuttavia, le sperimentazioni cliniche preregistrative forniscono informazioni aggiuntive soprattutto sull’efficacia dei farmaci. Il profilo di sicurezza, per quanto riguarda le reazioni avverse più rare o che si verificano in sottogruppi di pazienti selezionati, deve continuare ad essere studiato anche dopo la commercializzazione dei farmaci. I sistemi di sorveglianza basati sulle segnalazioni spontanee, insieme agli studi osservazionali, sono gli strumenti principali per acquisire nuove informazioni sui rischi associati all’uso dei farmaci nei bambini. In Italia, fra il 2001 e il 2010 è più che triplicato il numero di segnalazioni di sospette reazioni avverse nella popolazione pediatrica, nella maggior parte dei casi relative a vaccini, che sono pervenute alla rete nazionale di farmacovigilanza. Sono anche aumentati gli studi osservazionali realizzati per dare risposta ai segnali messi in evidenza dai sistemi di segnalazione spontanea. Ciononostante, solo poco più di 400 pediatri di libera scelta effettua almeno una segnalazione nel corso dell’anno. Rimane quindi la necessità di stimolare l’attenzione sul tema della farmacovigilanza per contribuire a produrre le informazioni inevitabilmente mancanti nella fase di registrazione dei farmaci e contribuire a ridurre i rischi associati alla prescrizione nella popolazione pediatrica. Parole chiave: reazioni avverse ai farmaci, segnalazione spontanea, farmacoepidemiologia, studi osservazionali Summary The need to conduct clinical trials in the pediatric field in order to have more accurate information on the benefit-risk profile of pediatric medicines is increasing over the years. However, as in the adult population, preregistrative clinical trials mostly provide additional information on the efficacy of medicines. The safety profile needs to be studied even after marketing of drugs especially with regard to rare adverse reactions (ADR) and reactions that occur in subgroups of selected patients. Surveillance systems based on spontaneous reports, together with observational studies, are the main tools to gain new information on the risks associated with the use of pediatric medicines. In Italy, the number of reports of suspected ADR (in most cases related to vaccines) occurring in the pediatric population, increased three times between 2001 and 2010. The number of observational studies designed to give response to the signals highlighted by spontaneous reporting systems also increased. Nevertheless, less than 400 pediatricians reported at least one ADR each year. There is a need to stimulate the attention to the issue of pharmacovigilance in order to produce the information which is inevitably lacking in the marketing approval of new drugs. These additional data will help to reduce the risks associated with prescriptions in the pediatric population. Keywords: adverse drug reaction, spontanuoeus report, pharmacoepidemiology, observational studies. Introduzione Nello sviluppo di un farmaco, le conoscenze di base rappresentate dalle informazioni farmacologiche e tossicologiche ottenute dagli studi preclinici vengono successivamente integrate con dati di efficacia e sicurezza derivanti dalle sperimentazioni cliniche effettuate su gruppi selezionati di pazienti. La disponibilità di informazioni sui farmaci, soprattutto inerenti il profilo di sicurezza, cresce una volta che il prodotto medicinale è commercializzato e utilizzato in grandi popolazioni. È un fatto, inoltre, che gli studi clinici intrapresi a sostegno della registrazione di un farmaco, così come quelli post autorizzativi, siano condotti soprattutto nella popolazione adulta. La riluttanza ad includere i bambini negli studi clinici è da ricondursi a un atteggiamento condiviso di tutela dei soggetti più fragili. A ciò si aggiunge il limitato interesse commerciale delle aziende farmaceutiche ad investire nella ricerca clinica pediatrica per problemi logistici, finanziari, etici e metodologici. Fra questi ultimi, basti pensare alle difficoltà che insorgono se si considera la popolazione pediatrica non come un unico gruppo, ma distinta in più fasce d’età ben differenziate, e se si intende produrre risultati che si applichino specificamente a ciascuna età. I cambiamenti di ordine biologico e psicologico che accompagnano il passaggio dalla nascita all’adolescenza impongono un adattamento nel disegno degli studi relativamente sia alla cosiddetta validità interna che alla trasferibilità dei risultati. Come conseguenza di queste difficoltà, una quota rilevante di farmaci viene utilizzata nel bambino nonostante sia stata studiata e abbia una indicazione approvata solo negli adulti, esponendo i bambini a trattamenti potenzialmente poco efficaci o imprevedibilmente pericolosi (Smyth e Weindling, 1999). Differenze di farmacocinetica e farmacodinamica possono essere responsabili di una diversa risposta all’assunzione di un farmaco; in più, problemi di palatabilità e mancanza di formulazioni o di device adeguati all’età del bambino influenzano negativamente la somministrazione e la compliance al trattamento. La necessità di un graduale allargamento delle sperimentazioni alla popolazione pediatrica è stata riconosciuta sia dall’Agenzia regolatoria americana (Food and Drug Administration, FDA) che da quella europea (European Medicines Agency, EMA) e ha portato all’adozione di provvedimenti finalizzati a promuovere lo sviluppo della ricerca pediatrica (FDA 2002; EMA 2006). In Europa, questi consistono essenzialmente nell’obbligo di presentare un piano di studi pediatrici (PIP) al momento della richiesta di autorizzazione all’immissione in commercio (fornendo una motivazione nel caso in cui non sia ritenuto possibile condurre le studio) e su sistemi incentivanti che prevedono un allungamento della copertura brevettuale. 203 C. D’Amore et al. Nel 2012, a 6 anni dall’entrata in vigore del Regolamento Europeo sui farmaci pediatrici, è aumentata, sebbene solo in maniera limitata la proporzione di studi clinici che includono anche la popolazione pediatrica: nel 2012 il 10% circa degli studi includeva anche i bambini (EMA/250577/2013). Una spiegazione va ricercata nel fatto che le sperimentazioni cliniche pediatriche previste dalla regolamentazione dell’EMA vengono generalmente differite ed effettuate dopo la conclusione degli studi e la dimostrazione di risultati favorevoli negli adulti. Nonostante ciò, alla fine del 2012, circa 600 PIP erano stati concordati fra Comitato pediatrico dell’EMA e aziende farmaceutiche. Sarà necessario attendere ancora alcuni anni per conoscere i risultati di questi studi e valutare in particolare le ricadute in termini di maggiori informazioni di sicurezza nell’uso dei farmaci in ambito pediatrico. Rimane il fatto che i maggiori dati provenienti dalle sperimentazioni cliniche saranno in grado di chiarire meglio, in primo luogo, il profilo di beneficio dei farmaci. Come nella popolazione adulta, bisogna tenere conto che le informazioni sul profilo di rischio non possono che completarsi nel corso della vita del farmaco. Gli strumenti utilizzati per acquisire queste informazioni si basano innanzitutto sui sistemi di segnalazione spontanea di reazioni avverse e sugli studi di farmacoepidemiologia di tipo osservazionale (ENCePP 2014). Nella parte che segue verranno presentati questi strumenti e discussi i possibili contributi alla conoscenza del profilo di rischio dei farmaci in età pediatrica. La segnalazione spontanea La segnalazione spontanea di reazioni avverse ai farmaci (ADR) ha un ruolo di primo piano nei sistemi di sorveglianza post-marketing (Tab. II). Rispetto agli studi epidemiologici le segnalazioni spontanee sono in grado di fornire informazioni più immediate e costituiscono Tabella I. Nuova definizione di reazione avversa introdotta con la direttiva 2010/84/EU*. Per reazione avversa ai farmaci (ADR) si intende un effetto sfavorevole o pericoloso che si verifica in risposta ad un trattamento. La nuova definizione allarga il concetto di reazione avversa a differenti situazioni che includono: - overdose: si intende la somministrazione di una quantità di medicinale, assunta singolarmente o cumulativamente, superiore alla massima dose raccomandata secondo le informazioni autorizzate del prodotto; - uso off-label: si riferisce ad ADR dovute ad impieghi del medicinale usato intenzionalmente per finalità mediche non in accordo con le condizioni di autorizzazione non solo nelle indicazioni terapeutiche, ma anche nella via di somministrazione e nella posologia; - misuso: si riferisce a situazioni in cui il medicinale è usato intenzionalmente e in modo inappropriato non in accordo con le condizioni di autorizzazione; - abuso: si riferisce a un intenzionale uso eccessivo del medicinale, sporadico o persistente, accompagnato da effetti dannosi fisici o psicologici; - esposizione occupazionale: si riferisce all’esposizione a un medicinale come risultato di un impiego professionale o non professionale. * La scheda per la segnalazione delle reazioni avverse, come pure il testo della nuova regolamentazione di Farmacovigilanza, sono disponibili on-line al sito: http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/modalit%C3%A0-di-segnalazionedelle-sospette-reazioni-avverse-ai-medicinali 204 uno strumento importante per monitorare in modo continuo e sistematico il profilo di sicurezza dei farmaci e dei vaccini dopo la loro registrazione. I dati delle segnalazioni spontanee, presi singolarmente o in forma aggregata, non permettono di quantificare il rischio associato all’uso di un farmaco. Tuttavia, forniscono una indicazione sull’esistenza o meno di un segnale, e cioè di un potenziale aumento rispetto all’atteso di eventi insorti a seguito dell’assunzione di un farmaco. La segnalazione spontanea è particolarmente utile in campo pediatrico, dove i case report pubblicati in letteratura rappresentano spesso l’unica fonte di informazione di sicurezza per i medici. Gli operatori sanitari sono chiamati a segnalare tutte le ADR, indipendentemente dalla gravità e/o dalla notorietà, allo scopo sia di individuare le reazioni gravi e rare non note in precedenza, che di monitorare la frequenza delle ADR note e non gravi (Tab. III). In Italia l’attività di segnalazione spontanea da parte dei pediatri di libera scelta (PLS) è complessivamente molto limitata: i dati aggiornati al 2012 evidenziavano che i report pediatrici costituivano l’1,4% del totale (circa 400 schede inserite dai PLS su un totale di 29036 schede nella rete nazionale di farmacovigilanza) (AIFA, 2013). La sottosegnalazione delle ADR è uno dei principali limiti del sistema di segnalazione spontanea. Va tenuto presente che il fenomeno della sottosegnalazione non si limita alle ADR note e non gravi (che non costituiscono un rischio immediato per la salute del paziente), ma si estende anche alle ADR gravi e non note. Diversi studi spiegano il fenomeno della sottosegnalazione con la mancanza di tempo, la Tabella II. Modalità di segnalazione delle sospette reazioni avverse ai medicinali Le segnalazioni spontanee di sospette reazioni avverse costituiscono un’importante fonte di informazioni per le attività di farmacovigilanza, in quanto consentono di rilevare potenziali segnali di allarme relativi all’uso di tutti i farmaci disponibili sul territorio nazionale. La Farmacovigilanza coinvolge a diversi livelli tutta la comunità: pazienti, prescrittori, operatori sanitari, aziende farmaceutiche, istituzioni ed accademia e la segnalazione può essere effettuata non solo dall’operatore sanitario ma anche dai cittadini. In attesa del Recepimento della direttiva 2010/84/CE e dei conseguenti atti normativi relativi, sarà possibile effettuare una segnalazione spontanea di sospetta reazione avversa secondo due diverse modalità. Nello specifico gli operatori sanitari e/o i cittadini potranno A) o compilare la “scheda cartacea” di segnalazione di sospetta reazione avversa (istituita con il DM 12/12/2003), che può essere scaricata e stampata cliccando su questo link a seconda di chi fa la segnalazione: Operatore sanitario o Cittadino. Questa scheda una volta compilata va inviata al Responsabile di farmacovigilanza della propria struttura di appartenenza; B) o compilare on-line la “scheda elettronica” di segnalazione di sospetta reazione avversa” che può essere trovata cliccando su questo link a seconda di chi fa la segnalazione: Operatore sanitario o Cittadino. Dopo la compilazione on line, la scheda può essere salvata sul proprio PC ed inviata per e-mail al Responsabile di Farmacovigilanza della propria struttura di appartenenza. In alternativa il modulo on line può essere stampato, compilato e trasmesso al Responsabile di Farmacovigilanza della propria struttura di appartenenza (secondo la modalità descritta al punto A). I riferimenti e i contatti e-mail di tutti i Responsabili di Farmacovigilanza sono disponibili sul sito http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/modalit%C3%A0-di-segnalazione-delle-sospette-reazioni-avverse-ai-medicinali Sarà cura del Responsabile di Farmacovigilanza provvedere all’inserimento delle segnalazioni di sospette reazioni avverse nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza. In questo modo sarà realizzato un costante e continuo monitoraggio delle reazioni avverse e della sicurezza d’uso dei medicinali. La Farmacovigilanza in età pediatrica Tabella III. Classificazione delle ADR in base alla gravità e alla frequenza. Una reazione avversa è considerata “grave” se: - provoca la morte di un individuo; - ne mette in pericolo la vita; - causa o prolunga l’ospedalizzazione; - provoca disabilità/incapacità persistente o significativa; - comporta una anomalia congenita o un difetto alla nascita. In merito alla frequenza si distinguono ADR: - molto frequenti: >1/10; - frequenti: >1/100 e <1/10; - infrequenti: >1/1000 e <1/100; - rare: >1/10000 e <1/1000. scelta di diverse priorità nell’assistenza, difficoltà di accesso/compilazione dei moduli per le segnalazioni, la mancanza di conoscenza dello scopo e dell’utilità clinica della farmacovigilanza e soprattutto l’incertezza sul nesso di causalità tra farmaco e ADR (Pellegrino et al., 2013). A questo proposito, va tenuto presente che il ruolo delle segnalazioni spontanee è quello di far sorgere il sospetto di una possibile associazione causale tra farmaco e ADR. Ai fini della segnalazione non è necessario essere “certi” della correlazione farmaco-ADR, ma è sufficiente il sospetto che i due eventi siano associati. Successivamente, il segnale emerso può essere indagato e verificato in modo formale attraverso studi epidemiologici. Una spiegazione ulteriore del fenomeno della sottosegnalazione in pediatria riguarda la difficoltà aggiuntiva di riconoscimento delle ADR. I più piccoli, infatti, hanno mezzi più limitati per comunicare il proprio disagio e dipendono totalmente da coloro che se ne prendono cura e dalla capacità degli specialisti di mettere in relazione l’uso di un farmaco con i cambiamenti di natura fisica o psicologica (Star e Edwards, 2014). Per rispondere al problema della sottostima (under-reporting) e migliorare la qualità dei dati raccolti, sono utili gli studi basati sulla sorveglianza attiva delle reazioni avverse ai farmaci. Uno studio condotto con un gruppo di 29 pediatri del Veneto ha permesso di analizzare in un anno 244 segnalazioni, relative a 388 eventi, e di stimare l’incidenza di reazioni avverse nei bambini (15,1 per 1.000 bambini) (Menniti-Ippolito et al., 2000). La partecipazione dei pediatri allo studio è stata soddisfacente, a dimostrazione che la sollecitazione derivante da incontri frequenti con gli operatori sanitari stimola gli stessi a porre attenzione alla possibilità di insorgenza di ADR, a riconoscerle e segnalarle precocemente. Il risultato finale, nello studio citato, è stato quello di raggiungere un livello di segnalazione decine di volte superiore a quello che si riscontra nelle segnalazioni spontanee. Va tenuto presente che la sottosegnalazione non è l’unico bias presente nelle segnalazioni spontanee. Una distorsione potenzialmente più grave è rappresentata dal reporting selettivo. Quello che può avvenire, cioè, è che sotto l’influenza di fattori esterni (ad es., provvedimenti adottati dalle Agenzie Regolatorie) vi sia un’attenzione selettiva. Sono ben noti i fenomeni di incremento nella frequenza di segnalazioni spontanee dopo che sia stata diffusa una “dear doctor letter” e data pubblicità a un segnale di rischio di un farmaco. Nella popolazione pediatrica la maggior parte delle segnalazioni spontanee riportano reazioni avverse da vaccino sia perché vige l’obbligo di segnalare qualsiasi reazione, anche se attesa e non grave, sia per una maggiore attenzione e sensibilità da parte degli operatori sanitari coinvolti. L’analisi presentata in Figura 1 si riferisce alle segnalazioni presenti nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza insorte nel periodo 2001-2010 e che riguardano la popolazione fino a 17 anni (poco meno di 3.000 segnalazioni nel 2009 e 2010). Nel 2010 il numero di segnalazioni di reazioni avverse da vaccino nella popolazione pediatrica era di 1755, pari a circa il 60% del totale (Fig. 1), percentuale lievemente in calo rispetto al 2009 quando, in occasione della pandemia influenzale, si è osservata una crescita di segnalazioni da vaccino. Gli studi epidemiologici A partire da una valutazione qualitativa legata alla presenza di segnalazioni spontanee che evidenziano un possibile rischio da farmaci, gli approfondimenti successivi sono di due tipi: verificare se ci sia un incremento della frequenza rispetto all’atteso (al fine di escludere il ruolo del caso), e valutare se l’incremento osservato non possa essere spiegato da cause alternative (e cioè attribuibile a fattori confondenti). Il primo tipo di verifica si basa sul confronto fra la frequenza di eventi avversi osservati fra gli assuntori di un farmaco e il numero di eventi attesi in assenza dell’esposizione al farmaco (o in presenza di un’esposizione a un farmaco alternativo). In mancanza dell’informazione del numero di soggetti utilizzatori, o della frequenza attesa, è possibile comunque stimare l’eventuale incremento del rischio tramite misure cosiddette di disproporzionalità, quali il proportional reporting ratio o il reporting odds ratio. In queste misure si confrontano la proporzione (o l’odds) di eventi di interesse sul totale delle segnalazioni del farmaco in studio, con il corrispondente valore per uno o più altri farmaci (o anche il complesso dei farmaci). Ad esempio, per un vaccino antirotavirus e per un vaccino esavalente si è osservato, dopo la commercializzazione, un incremento di circa 20 volte della frequenza osservata rispetto all’atteso (CDC, 1998; von Kries et al., 2005). In entrambi i casi le differenze erano statisticamente significative, cioè non attribuibili al ruolo del caso. Per la natura delle segnalazioni, tuttavia, non è possibile stabilire se non ci siano cause alternative che possano spiegare il dato osservato. Figura 1. Segnalazioni pediatriche a farmaci e vaccini nel periodo 2001-2010 (tratto da Santuccio et al., Medico e Bambino, 2013, per gentile concessione). 205 C. D’Amore et al. La forza degli studi epidemiologici rispetto alle segnalazioni spontanee risiede nella possibilità di poter concludere che un farmaco è causa di un evento (voluto o indesiderato) se l’incidenza di eventi fra gli utilizzatori è maggiore di quella fra i non utilizzatori, a parità di tutte le altre condizioni. In assenza di bias, la “parità delle condizioni” si raggiunge attraverso il controllo dei determinanti estranei (cioè dei cosiddetti fattori di confondimento). Gli studi che non riescono a controllare adeguatamente tali fattori confondenti possono sottovalutare o sopravvalutare i rischi di eventi avversi attribuibili all’uso del farmaco. Nel caso del segnale relativo all’associazione fra intussuscezione e vaccino antirotavirus, il vaccino è stato sospeso ed è stato condotto uno studio caso-controllo. I casi erano rappresentati dai bambini con intussuscezione e i controlli da bambini nati nello stesso ospedale dei casi e appaiati per età. Lo studio ha evidenziato un Odds ratio aggiustato (cioè indipendente dai fattori di confondimento) di 21,7 (intervallo di confidenza 95%: 9,6-48,9), confermando così quanto emerso dalle segnalazioni spontanee (Murphy et al., 2001). Se si tiene conto che i bambini vaccinati tendono ad avere in media uno stato di salute migliore di coloro che non si vaccinano – il cosiddetto “healthy vaccinee effect” (Fine e Chen, 1992) – si comprende come l’incremento di rischio osservato con quel particolare vaccino antirotavirus fosse reale. Il caso del segnale connesso al vaccino esavalente è più complesso. Durante i primi mesi di vita, i bambini ricevono numerose vaccinazioni; di conseguenza è probabile che eventi che pure avvengono negli stessi mesi, come le SIDS, possano verificarsi successivamente alla somministrazione del vaccino, determinando quindi un aumento delle segnalazioni, per il solo effetto del caso. L’associazione temporale può indurre a pensare che esista un nesso di causalità tra la somministrazione del vaccino e la reazione avversa segnalata, richiedendo quindi ulteriori approfondimenti. Inoltre, quando quasi tutta la popolazione di riferimento è vaccinata, può essere difficile individuare un adeguato gruppo di controllo e quindi di poter controllare l’effetto dei potenziali confondenti. Un modello di studio particolarmente adatto a verificare la plausibilità di segnali di rischio legati all’uso dei vaccini è rappresentato dal caseseries. Questo disegno è in grado di controllare il confondimento individuale in quanto nello studio sono inclusi solo i “casi”, cioè i soggetti che hanno sviluppato l’evento di interesse. Negli studi case-series il periodo di osservazione dopo la vaccinazione è suddiviso in periodi di rischio (i giorni immediatamente successivi a ciascuna dose) e periodo di controllo (i giorni rimanenti prima dell’esito). Il confronto avviene fra la frequenza di eventi a ridosso della vaccinazione (periodi di rischio) rispetto alla corrispondente frequenza nei periodi più distanti (periodi di controllo). Se i soggetti in studio presentano fattori prognostici che non si modificano nel tempo, queste caratteristiche sono automaticamente controllate. In uno studio case-series condotto su tutti i bambini che hanno sviluppato una Sids in Italia nel periodo 1999-2004 non è stato confermato un incremento di rischio associato alla vaccinazione esavalente (Traversa et al., 2011). Va infine tenuta presente la differenza fra rischi relativi e numero di eventi aggiuntivi attesi in una popolazione. Un aumento di 2-3 volte nel rischio di un evento raro tra gli utilizzatori di un farmaco può essere rilevante da un punto di vista conoscitivo ma non così importante nella pratica clinica. Ad esempio, il rischio di insorgenza della Sindrome di Stevens-Johnson aumenta di circa 3 volte fra gli assuntori di Fans o di paracetamolo (Raucci et al., 2013). Tuttavia, l’incidenza di questa sindrome nella popolazione infantile è di circa 1 caso per milione di bambini per anno e di conseguenza la probabilità individuale di insorgenza rimane sostanzialmente irrisoria nel breve periodo nel quale si utilizzano i farmaci. 206 Conclusioni Sono numerose le indicazioni a sostegno di un’accresciuta attenzione al tema della sicurezza d’uso dei farmaci in pediatria. Un primo contributo di rilievo è da attribuire alle norme approvate a livello internazionale per la conduzione degli studi pediatrici a sostegno della registrazione dei farmaci. C’è anche una maggiore attenzione a livello nazionale, come testimoniato dall’incremento del numero di segnalazioni spontanee pervenute alla rete di farmacovigilanza, relativamente sia ai farmaci che ai vaccini. Sempre più spesso, poi, sono presenti in letteratura articoli relativi a studi epidemiologici di coorte, caso-controllo, o basati solo sui casi (case-series e case-crossover), condotti per valutare la consistenza dei segnali di possibili rischi. Questi strumenti – sperimentazioni cliniche, segnalazioni spontanee e studi osservazionali – vanno utilizzati congiuntamente per contribuire al chiarimento del profilo di rischio dei farmaci. I limiti di ciascuno di questi strumenti sono spesso compensati dai punti di forza dell’altro. Ad esempio, le sperimentazioni cliniche presentano una maggiore validità interna, cioè la capacità di accertare l’efficacia nei pazienti inclusi negli studi. Tuttavia, i limiti di numerosità sono tali da rendere difficoltoso mettere in evidenza reazioni avverse relativamente rare o che si verificano in sottogruppi poco rappresentati negli RCT. Si tratta di limiti in qualche misura inevitabili. Al momento dell’immissione in commercio di un farmaco dobbiamo accettare un compromesso fra livello complessivo delle conoscenze disponibili, tempi necessari per produrne di aggiuntive e attese dei pazienti che necessitano di un trattamento. I limiti di numerosità sono superati dai sistemi di segnalazione spontanea, dato che la popolazione di riferimento è rappresentata dal complesso dei soggetti esposti a un farmaco. Il punto di forza di questi strumenti consiste nella capacità di evidenziare rapidamente il sospetto di una nuova reazione avversa: possono infatti essere sufficienti pochissimi eventi per fare scattare un segnale di attenzione. Certo, le segnalazioni spontanee possono essere poco specifiche: spesso mancano informazioni sul “denominatore” (il totale degli esposti) oltre ai fattori di rischio concomitanti che potrebbero spiegare, in parte o completamente, gli eventi osservati. Proprio per come sono costruite, è sufficiente un sospetto di potenziale relazione di causalità a fare scattare la segnalazione. Starà agli studi epidemiologici di tipo osservazionale verificare la consistenza o meno del segnale e stimare, quando il segnale viene confermato, l’entità dell’incremento di rischio fra gli utilizzatori. I diversi strumenti devono quindi essere integrati fra di loro. In questa specie di puzzle, ciascuna nuova prova contribuisce a corroborare o a ridurre il livello di evidenza disponibile in precedenza. Non bisogna neppure vedere ciascun nuovo pezzo di informazione come definitivo quanto piuttosto come contributo in un accrescimento continuo delle conoscenze disponibili. In un quadro nel quale il profilo beneficio-rischio rimane sostanzialmente positivo, l’acquisizione di nuove conoscenze su una reazione avversa può portare semplicemente alla modifica della scheda tecnica del farmaco. Ci sono invece situazioni nelle quali i dati aggiuntivi modificano il profilo beneficio-rischio e sono utilizzati a sostegno di provvedimenti che vanno dalle limitazioni nell’uso fino al ritiro del farmaco dal mercato. Condividere l’obiettivo di miglioramento delle conoscenze sulla sicurezza dei farmaci è indispensabile per ottenere il coinvolgimento di tutti i professionisti, a iniziare dai pediatri, nelle attività di farmacovigilanza. Le ricadute di questa attività, ad esempio a seguito di interventi EMA o FDA, sono presenti a livello internazionale, ma si deve sapere che alla base c’è il lavoro e la capacità di riconoscimento delle reazioni avverse ai farmaci di singoli professionisti motivati. La Farmacovigilanza in età pediatrica Box di orientamento Che cosa si sapeva prima Negli anni è cresciuta la consapevolezza della necessità di condurre studi clinici in ambito pediatrico. Questa necessità è stata accolta dall’European Medicines Agency (EMA) che ha adottato provvedimenti, quali il Regolamento Europeo sui farmaci pediatrici e la Nuova Normativa sulla Farmacovigilanza, rivolti a promuovere lo sviluppo della ricerca pediatrica e a migliorare il monitoraggio del profilo beneficio-rischio dei farmaci da utilizzare nei bambini. Che cosa sappiamo adesso Sono numerose le indicazioni che mostrano una maggiore attenzione al tema della sicurezza d’uso dei farmaci in pediatria. In primo luogo, è in aumento la proporzione di studi clinici che includono la popolazione pediatrica. Risultano inoltre aumentati il numero di segnalazioni di sospette reazioni avverse nella popolazione pediatrica e gli studi osservazionali realizzati in campo pediatrico per dare risposta ai segnali emersi dai sistemi di segnalazione spontanea. Quali ricadute sulla pratica clinica L’insieme delle informazioni provenienti dalle sperimentazioni cliniche, dalle segnalazioni spontanee e dagli studi osservazionali, utilizzate congiuntamente, migliorano le conoscenze sull’efficacia e sulla sicurezza dei farmaci, riducendo i rischi associati alla prescrizione nella popolazione pediatrica. Bibliografia Agenzia Italiana del Farmaco. L’uso dei farmaci in Italia-Rapporto Osmed 2012. Disponibile on-line al sito http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/luso-deifarmaci-italia-rapporto-osmed-2012. Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Laboratory-based surveillance for rotavirus--United States, July 1997-June 1998. MMWR Morb Mortal Wkly Rep. 1998;47(45):978-80. The European Network of Centres for Pharmacoepidemiology and Pharmacovigilance (ENCePP). Guide on Methodological Standards in Pharmacoepidemiology (Revision 3). EMA/95098/2010. Available at http://www.encepp.eu/standards_ and_guidances European Medicines Agency and Paediatric Committee. Regulation (ec) no 1901/2006 of the european parliament and of the council of 12 December 2006 on medicinal products for paediatric use and amending Regulation (EEC) No 1768/92, Directive 2001/20/EC, Directive 2001/83/EC and Regulation (EC) No 726/2004. http://ec.europa.eu/health/files/eudralex/vol-1/reg_2006_1901/reg_2006_1901_en.pdf European Medicines Agency and Paediatric Committee. 5-year Report to the European Commission General report on the experience acquired as a result of the application of the Paediatric Regulation. http://ec.europa.eu/health/files/ paediatrics/2012-09_pediatric_report-annex1-2_en.pdf Fine PE, Chen RT. Confounding in studies of adverse reactions to vaccines. Am J Epidemiol 1992;136(2):121-35. ** Una interessante review sul controllo dei confondenti negli studi sui vaccini. Food and Drug Administration. Best Pharmaceuticals for Children Act (2002). www.fda.gov/RegulatoryInformation/Legislation/FederalFoodDrugandCosmeticActFDCAct/SignificantAmendmentstotheFDCAct/ucm148011.htm. Kaufman DW. Interpretation of associations in pharmacoepidemiology. Semin Hematol 2008;45:181-8. * “Guida” all’interpretazione dei risultati degli studi epidemiologici. Menniti-Ippolito F, Raschetti R, Da Cas R, et al. Active monitoring of adverse drug reactions in children. Italian Paediatric Pharmacosurveillance Multicenter Group. Lancet 2000;355:1613-4. Murphy TV, Gargiullo PM, Massoudi MS, et al. Intussusception among infants given an oral rotavirus vaccine. N Engl J Med 2001;344:564-72. ** Importante studio che ha confermato l’associazione tra il vaccino per il rotavirus e l’intussuscezione nella popolazione pediatrica. Pellegrino P, Carnovale C, Cattaneo D, et al. Pharmacovigilance knowledge in family paediatricians. A survey study in Italy. Health Policy 2013;133:188-98. Raucci U, Rossi R, Da Cas R, et al. Stevens-Johnson Syndrome Associated with Drugs and Vaccines in Children: A Case-Control Study. PLoS ONE 2013;8:e68231. Sagliocca L, Rocchi F, Traversa G. La ricerca clinica in pediatria: le carenze e i vincoli etici. Supplemento di Janus 2012;7:17-21. ** Articolo che affronta le tematiche inerenti le carenze nella ricerca clinica pediatrica, le normative emanate dalle Agenzie Regolatorie in questo contesto, i risultati da esse indotti e le prospettive future. Santuccio C, Tartaglia L, Trotta F, et al. Analisi delle sospette reazioni avverse alle vaccinazioni nella popolazione pediatrica. Medico e Bambini 2013;Anno XVI Numero 1:57-9. Smyth RL, Weindling AM. Research in children: ethical and scientific aspects. Lancet 1999;354(Suppl. 2):SII 21-4. Star K, Edwards IR. Pharmacovigilance for children’s sake. Drug Saf 2014;37:91-8. ** Una interessante review che fornisce un quadro approfondito della farmacovigilanza in pediatria. Traversa G, Spila-Alegiani S, Bianchi C, et al. Sudden Unexpected Deaths and Vaccinations during theFirst Two Years of Life in Italy: A Case Series Study. PLoS One 2011;6:e16363. von Kries R, Toschke AM, Strassburger K, et al. Sudden and unexpected deaths after the administration of hexavalent vaccines (diphtheria, tetanus, pertussis, poliomyelitis, hepatitis B, Haemophilius influenza type b): is there a signal? Eur J Pediatr 2005;164:61-9. Corrispondenza Giuseppe Traversa, Reparto di Farmacoepidemiologia, Centro Nazionale di Epidemiologia, Istituto Superiore di Sanità, viale Regina Elena 299, 00161 Roma. E-mail: [email protected] 207 Luglio-Settembre 2014 • Vol. 44 • N. 175 • Pp. 208 Focus Tavola Rotonda di “Prospettive in Pediatria” Centro Congressi Università Federico II Via Partenope, 36 – Napoli 23 gennaio 2015 11.00-14.00 Programmi di screening neonatale per malattie metaboliche ereditarie Moderatori: Generoso Andria (Napoli), Fabio Sereni (Milano) I programmi in atto in Europa e in Italia DomenicaTaruscio (Roma) Le evidenze scientifiche per le scelte politiche Carlo Dionisi Vici (Roma) I provvedimenti legislativi italiani Serena Battilomo (Roma) Il punto di vista della sanità pubblica e delle regioni Paola Facchin (Padova) Il follow-up e la presa in carico dei pazienti Maria Alice Donati (Firenze) Il punto di vista delle Associazioni e dell’opinione pubblica Manuela Vaccarotto (Padova) Aspetti etici Sara Casati (Roma) La Tavola Rotonda di Prospettive in Pediatria apre il Corso di formazione per pediatri: L’assistenza pediatrica per le malattie rare: il modello delle sindromi genetiche e delle malattie metaboliche ereditarie organizzato dal Centro di Coordinamento Malattie Rare - Regione Campania. Per informazioni sul Corso di formazione (Napoli, 23-24 gennaio 2015) rivolgersi a: Center Comunicazione e Congressi srl Via Gaetano Quagliariello, 27 80131 Napoli Tel: 08119578490 - Fax: 0819578071 [email protected] - www.centercongressi.it 208