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traumatologia1

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1. LA RIABILITAZIONE: CONCETTI GENERALI
Definizione Di Riabilitazione
RIABILITARE = RI-ABILITARE
Rendere nuovamente abili, riportare una persona abile come prima; è un concetto legato ad
un recupero non solo fisico ma anche psichico e sociale.
La riabilitazione ha un suo fulcro nell’ambito di strutture sanitarie con sempre nuove
proposte riabilitative, con l’obiettivo finale di reinserire la persona nella società.
SUL PIANO FISICO
RIABILITAZIONE
→
RECUPERO
SUL PIANO PSICHICO
SUL PIANO SOCIALE
Definizione OMS : l’uso di tutti i mezzi volti alla riduzione dell’impatto della disabilità e della
restrizione nella partecipazione e volti a permettere a persone con disabilità di ottenere una
integrazione sociale ottimale.
Definizione OESMFR* : è una disciplina medica indipendente, volta a promuovere la funzione
fisica e cognitiva, l’attività (incluso il comportamento), la partecipazione (inclusa la qualità di
vita) e modificare fattori personali e ambientali.
*(Organizzazione Europea Specialisti della Medicina Fisica Riabilitativa)
Alcuni Dati Sulla Riabilitazione
- Prevalenza di disabilità in Europa è del 10% circa, anche dovuta ad un alta attesa di vita.
- Le popolazioni invecchiano con aumento della disabilità , del carico assistenziale e dei costi
relativi.
- Data la sopravvivenza a gravi malattie e traumi, aumentano le persone con problemi
funzionali spesso complessi.
- Aumentata richiesta di mantenere un buono stato di salute.
- La disabilità causa nel mondo 500 milioni di anni di vita persi.
- La diagnosi clinica da sola non ci da nessuna informazione sui bisogni di cura, sulle politiche
sociali, sui servizi necessari.
- È necessario valutare l’efficacia degli interventi e verificare il reale livello di integrazione
sociale dell’individuo.
- È efficace nel ridurre il peso della disabilità e migliorare le possibilità per le persone disabili.
- Il suo costo non supera la normale assistenza sanitaria.
- Prevenire le complicanze porta a molti benefici sia per l’individuo che per la società.
Alcuni Aspetti Etici Della Riabilitazione
L’accesso alla riabilitazione è un diritto fondamentale dell’uomo (eventi mondiali per le
Persone Disabili: Internazionale 1981 ed Europeo 2003
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Obiettivi Della Riabilitazione
L’obiettivo deve essere l’Inserimento nella Società, tramite famiglia, lavoro e sport; possiamo
utilizzare come strumento le attività sportive non agonistiche:
Dobbiamo quindi permettere alle persone con disabilità di condurre la vita che vorrebbero, a
prescindere da qualsiasi limitazione di attività derivante da una malattia, o lesione o dal loro
contesto personale; è necessario ottimizzare sia l’attività che la partecipazione della persona
presa in carico.
Il processo riabilitativo è un processo di soluzione dei problemi, il cui obiettivo è la minor
limitazione/restrizione possibile delle scelte operative del paziente (compatibilmente con la
quantità di risorse disponibili, cercando di continuare a fare le cose abituali anche se in
maniera differente a quelle precedenti il danno).
Il processo riabilitativo vuole la Persona al Centro:
Miglior
Approccio Globale al Paziente
Ambito di Intervento
Qualità di Vita
Inteso Come
Fisico, Funzionale,
Possibile
Unità Bio-Psico-Sociale
Emozionale e Sociale
Identificazione
Team
Paziente e
di Obiettivi Raggiungibili
Interprofessionale
Familiari
La Persona al Centro in riabilitazione significa che non solo è oggetto del sistema di
prestazioni e risposte, ma anche soggetto che collabora, partecipa, sceglie il processo di
inclusione sociale, anche laddove la gravità della compromissione del quadro clinico o
comportamentale fosse di notevole entità; si parla quindi di un superamento della visione
parcellare dell’organo leso, ma anche e soprattutto visione dell’insieme persona.
Curare
Prendersi Cura
Si cura una malattia
Si prende in carico la persona come unità bio-psico-sociale
Si eroga una prestazione
Si realizza un progetto riabilitativo individuale volto al
raggiungimento della minor limitazione/restrizione possibile
delle scelte operative di quella persona.
La riabilitazione deve puntare ad avere la massima
partecipazione possibile e può essere di 2 tipi:
Medica
Sociale
- Interventi sulle menomazioni e sulle
- Interventi sulle Barriere Architettoniche e
disabilità residue tramite Fisiatri,
Psicologiche
Fisioterapisti, Terapisti Occupazionali,
- Adattamento del proprio ambiente di vita alle
Logopedisti, Infermieri, Psicologi e
limitazioni
Assistenti Sociali
- Potenziamento delle capacità di endurance
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Approccio Alla Persona Con Limitazioni Funzionali: Il Team Riabilitativo
Il paziente deve integrarsi funzionalmente con tutte le altre componenti del Team Riabilitativo
e, dove possibile, deve essere coinvolto sia lui che la sua famiglia.
Cosa vuol dire lavoro in team?
Team Inefficiente
Team Efficiente
- Centrato sugli aspetti medici che determinano
- Centrato sugli aspetti globali della persona (le
le limitazioni
sue attività e la sua partecipazione nella società)
- Ambiti di intervento e obiettivi indipendenti
- Orientato sulla persona e al risultato finale
- Ciascuna professionalità persegue i propri
complessivo
obiettivi
- Forte integrazione e interazione dei
- Confini professionali definiti
componenti del team
- Risultato finale come somma dei risultati dei
- Confini professionali più flessibili
singoli interventi
- Risultato finale inteso come prodotto delle
sinergie di intervento
Il Team Riabilitativo è l’insieme di professionisti provenienti da diverse discipline e con
diverse competenze che condividono ideali comuni e lavorano per raggiungere obiettivi
comuni. Solitamente sono i Fisiatri i leader di questi team e sono responsabili dell’assistenza
dei loro pazienti nelle strutture specializzate in Medicina Fisica e Riabilitazione- MFR;
lavorano anche a stretto contatto con altre discipline mediche e, quando la riabilitazione
diventa il principale obiettivo dell’attività clinica, guidano questa cooperazione
multidisciplinare.
I metodi di comunicazione più efficaci sono le Riunioni di Team, generalmente settimanali,
nelle quali si fa il bilancio e l’aggiornamento del progetto riabilitativo, dei relativi programmi e
la verifica del percorso della presa in carico; il Briefing è invece un confronto breve sul
raggiungimento o meno dei vari obiettivi e può essere anche giornaliero.
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Momenti Fondamentali Dell’Intervento Riabilitativo
Precocità
L’intervento riabilitativo deve iniziare immediatamente in ogni sua fase:
- al letto del paziente, nei Reparti di Emergenza, in Chirurgia e Medicina;
- trasferito tempestivamente in un’area specialistica di Riabilitazione, laddove necessario;
- preso in carico immediatamente dopo la dimissione dal team riabilitativo territoriale
Continuità
Deve esistere un contatto forte tra tutte le varie fasi, senza momenti di interruzione
dell’intervento e della strategia attuata per quello specifico intervento.
È di fondamentale importanza la comunicazione tra i vari settori.
Globalità
In ogni fase devono essere affrontati tutti gli aspetti di interesse riabilitativo sia medico che
sociale, sempre in un concetto di team integrato ed efficiente.
La famiglia gioca sempre un ruolo importante e la persona coinvolta deve sempre essere al
centro di tutti gli interventi coordinati.
Le Fasi Riabilitative
Fase Acuta
Il Team prende in carico immediatamente all’ingresso in ospedale la persona con patologia
che determina una limitazione funzionale.
Fase Riabilitativa Ospedaliera
Deve essere garantito tempestivamente il trasferimento in questo ambito appena le
condizioni del paziente si stabilizzano.
Fase Riabilitativa Extra-Ospedaliera
Deve essere garantita la presa in carico globale con tutte le professionalità necessarie
immediatamente alla dimissione dall’ospedale (acuta e/o riabilitazione)
Principale Aree Di Interesse Riabilitativo
SISTEMA NERVOSO
SISTEMA OSTEOARTICOLARE
Neurologia
Ortopedia - Traumatologia
Neurochirurgia
Reumatologia
SISTEMA CARDIORESPIRATORIO
SISTEMA OTORINOLARIGOIATRA
Cardiologia
Foniatria
Pneumologia
Le diverse problematiche si possono suddividere in fascia infantile, fascia adulta e
problematiche dell'anziano.
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2. INTERNATIONAL CLASSIFICATION OF FUNCTIONING (ICF)
Vediamo quale modello segue il Processo Riabilitativo.
Ci viene in aiuto la Classificazione delle Malattie a livello internazionale (fonte OMS):
ICIDH
ICF
ICD -11
International Classification of
International Classification of
International Statistical
Impairments, Disabilities and
Functioning, Disability and
Classification of Diseases &
Handicaps
Health
Related Health Problems
1980
2001
2022
ICIDH International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps
L’ICIDH – 1980 ci diceva che è la Patologia (rottura o lesione) che determina una
Menomazione (paralisi o deficit), quindi una Disabilità e infine un Handicap (persona
in carrozzina che non può salire le scale).
- Menomazione: qualsiasi perdita o anomalia a carico di una struttura o funzione di
tipo psicologico, fisiologico o della struttura anatomica.
- Disabilità: qualsiasi restrizione o mancanza (risultante da una menomazione)
nella capacità di compiere un’attività nel modo e nell’ampiezza considerati normali
per un essere umano.
- Handicap: svantaggio per l’individuo, conseguente a una menomazione o a una
disabilità , che limita o impedisce il mantenimento di un ruolo sociale considerato
normale e alla portata del soggetto in questione, in relazione all’età , sesso, e ai
fattori socio-culturali.
Lesione → Menomazione → Disabilità → Handicap → Qualità Della Vita
ICDH – 2 ha portato ad una revisione della precedente classificazione, dove si è
tentato di correggere l’impostazione lineare fra i concetti di menomazione,
disabilità e handicap, proponendo una dinamica più complessa e introducendo il
concetto importante di visione positiva. Si rivolge l’attenzione, così, agli aspetti
psicosociali cioè di partecipazione attiva alla propria vita abituale.
ICF International Classification of Functioning, Disability and Health
La classificazione ICF dà un quadro concettuale di riferimento per descrivere i vari
aspetti del funzionamento umano che possono essere modificati dalle condizioni di
salute.
ICF non è uno strumento di misura ma un sistema di classificazione nel quale si
include la possibilità di assegnare un punteggio alle varie situazioni di funzione,
attività e partecipazione:
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si classifica
si crea un Profilo Della Persona
l’Ambito Di Funzionamento
che delinea quale è la sua situazione
di un organo/tessuto interessato
al momento dell’esame di
attività funzionale, di capacità e di
partecipazione nel proprio ambiente
Gli obiettivi dell’ICF sono quelli di offrire una base scientifica alle conseguenze delle
condizioni di salute, stabilire un linguaggio comune per migliorare le comunicazioni e
permettere un confronto dei dati tra Stati, Discipline Sanitarie, Servizi e che questi dati siano
longitudinali nel tempo. Offrire quindi uno schema sistematico decodificativo per i sistemi
informativi sanitari.
Il messaggio fondamentale dell’ICF è quello di riconosce che ogni essere umano può avere un
problema di salute e chiarisce il ruolo fondamentale dell’ambiente nel determinare la
disabilità ; questo non è qualche cosa che capita solo a una minoranza, ma può capitare a
chiunque: qualunque persona in qualunque momento della vita può avere una condizione di
salute che in un ambiente sfavorevole diventa disabilità.
Il ruolo dell’ambiente nel determinare la disabilità può essere presente anche in ognuno di noi
che si venga a trovare in un ambito in cui non ha le capacità di essere attivo, quindi abile.
Con l’ICF si vanno quindi a modificare alcune terminologie (linguaggio politically correct):
Menomazione → Funzione e Strutture del Corpo
Limitazione dell’Attività → Attività (disabilità ‘80)
Handicap → Partecipazione
in modo da determinare un corretto intervento,
giuste opportunità, adeguate capacità e
partecipazione (aspetti positivi e non negativi).
La Condizione di Salute
È il termine che sta ad indicare una situazione di benessere, quindi di non malattia (acuta o
cronica), disturbo, lesione o trauma; è un termine ambiguo in quanto include circostanze
come la gravidanza, l’invecchiamento e lo stress che possono porre l’individuo in difficoltà di
fronte a particolari fattori ambientali e sociali.
È anche il termine che sta ad indicare anche una situazione di benessere in una persona che
ha avuto un pregresso evento, che ha determinato una riduzione delle sue funzioni e
conseguenti attività (es: una persona che ha avuto un ictus, ha risolto bene le problematiche in
fase acuta ed ha recuperato bene con un buon inserimento nel suo abituale ambiente sociale).
Essere perciò in una situazione di Stabilità Clinica non significa che non vi è necessità di
attività fisica adeguata, ma anzi è importante per mantenere la condizione di salute.
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Abbiamo parlato spesso di Fattori Contestuali che possono agire in maniera negativa sul
nostro processo, che dall’alterazione delle funzioni porta alle capacità e alla partecipazione
più o meno ampia di quella persona:
Fattori Personali
Fattori Ambientali
Genere
Ambiente
Età
Istituzioni
Altre Condizioni Di Salute
Norme Sociali
Background Sociale
Ambiente Culturale
Educazione
Fattori Politici
Professione
Ambiente Naturale
Capacità Di Adattamento
Aspetti Economici
Esperienze Passate
Stile Del Carattere
ICF ha un’applicabilità culturale trasversale a tutte le culture
Equivalenza concettuale e funzionale ICF
Traducibilità
Utilizzabilità
Comparabilità Internazionale
Aspetti Positivi e Criticità dell’ICF
Aspetti Positivi
Criticità
1. Struttura con aspetti simili x ambiti diversi
1. Difficoltà di approccio al modello
2. Corresponsabilità tra medici, psicologi, assistenti
2. Cambiamento di mentalità
sociali, personale scolastico, oratori, gruppi sportivi,
3. Necessità di una approfondita
famiglia e alunni (concetto di TEAM)
formazione
3. Arricchisce le professionalità coinvolte
4. Complessità del lavoro di rete
4. Offre al Team modalità globali di identificazione
5. Costi elevati
dei bisogni correlati alla salute, allo sviluppo e
all’istruzione della persona.
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La Capacità di un Soggetto è quello che la persona riesce a fare dopo il processo riabilitativo in
un contesto facilitato: la palestra della Struttura di Riabilitazione (es.: riprendere a camminare
dopo un qualche evento che ne ha impedito in fase post-acuta l’esecuzione.
La Performance di un Soggetto è quello che la persona riesce a fare dopo il processo
riabilitativo una volta rientrato nel proprio ambiente di vita. La performance può essere
inferiore, uguale o superiore alla capacità di performance: peggiora le sue capacità non
potendo più fare ciò che faceva nella struttura sanitaria (es: trova barriere architettoniche
all’interno e/o all’esterno del proprio appartamento; problematiche psicologiche sia proprie
della persona che del Caregiver relative alla paura di una situazione differente da quella
abituale); una performance inferiore alle capacità mostrate durante la presa in carico
comporta un peggioramento globale psico-fisico.
Quindi un momento particolarmente critico è il passaggio tra la presa in carico globale da
parte del Team Riabilitativo Sanitario (ospedale, struttura ambulatoriale o day hospital) e il
rientro a casa; il passaggio a casa necessita corretta presa in carico in continuità assistenziale
da parte del Team Riabilitativo del Territorio (ottimizzazione delle capacità residue nel
proprio contesto con un adattamento ambientale ed un corretto addestramento al movimento
sia per il paziente che per il Caregiver).
Nel graduale rientro alle attività normali a casa, va fatta particolare attenzione ai fattori
muscolari e cardio-respiratori o Endurance (tipica area di intervento del Laureato in
Scienze Motorie); un buon recupero delle componenti neurologiche ed articolari deve andare
di pari passo con un adeguato stato dell’apparato muscolare: non può esserci mancanza di
Endurance altrimenti si può creare elevata fatica anche dopo spostamenti banali (secondo
uno studio americano di oltre 15 anni fa, riuscire a fare autonomamente o con minimo aiuto
anche grazie ad un appoggio meccanico, un percorso di 300 m. circa, garantisce la possibilità
di essere completamente autonomo per le necessità basilari per una persona).
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3. INTRODUZIONE AL CORSO
Nella Traumatologia dello Sport dobbiamo soffermarci su 2 grandi capitoli:
Lesioni Traumatiche Acute
Lesioni Da Sovraccarico Funzionale*
lesioni muscolari
tendinopatie
contusioni
distorsioni
lussazioni
fratture da stress
fratture
condropatie
*(microtraumatiche o da overuse)
Lesioni Traumatiche Acute
Iniziamo a parlare delle Lesioni Muscolari che possono suddividersi in:
- lesioni acute dirette: trauma che agisce direttamente su una porzione di muscolo,
- lesioni acute indirette: trauma dovuta ad uno stiramento.
Come abbiamo visto, tra le lesioni acute abbiamo diverse di tipologie di trauma:
Contusione
Distorsione
effetto di un trauma diretto contro un distretto corporeo,
trauma che sollecita
che produce una sofferenza cutanea e dei tessuti
un’articolazione
sottostanti, con rottura dei capillari ed infiltrato
al di là dei gradi fisiologici
emorragico seguito da edema e reazione infiammatoria.
del suo movimento
(superficiale → cute e sottocute)
(profonda → muscolo, periostio, osso)
Lussazione
Frattura
perdita totale e permanente
perdita della continuità
dei rapporti tra due capi articolari
di un osso
Come sappiamo la fibra muscolare è l'unità
essenziale del muscolo e contiene filamenti di
actina e miosina che sono le unità contrattili; le
fibre muscolari sono raccolte in fascicoli
muscolari, i quali formano nel loro insieme il
muscolo vero e proprio (può avere forme
diverse in base in base al distretto).
Il Trauma Muscolare può essere:
- diretto: quindi si parla contusione muscolare,
- indiretto: sono di diverso tipo e si distinguono in base alla modalità e all’anatomia patologica
Contrattura
Distrazione Muscolare
(I – II – III grado)
Crampo
Stiramento
DOMS
(dolore muscolare a insorgenza ritardata)
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Le lesioni muscolari possono avere origine da 2 Condizioni Predisponenti
Generali
Individuali
difetti di allenamento e flessibilità
fattori psicologici
fatica
condizioni patologiche post-infettive
condizioni atmosferiche
fattori articolari
fattore tattico
squilibri muscolari
velocità di movimento
età
Iniziamo a vedere singolarmente le Lesioni Traumatiche Acute.
Contusione Muscolare
È causata da un trauma diretto, che spesso avviene quando il
muscolo è in contrazione, con rottura di fibre muscolari, capillari
o vasi, e può esservi un’ecchimosi o un ematoma locale; dolore e
impotenza funzionale sono i sintomi più frequenti ed il
trattamento è in genere conservativo.
Possiamo avere 3 gradi di contusione muscolare:
- grado lieve: metà dello spettro di movimento;
- grado moderato: meno della metà , ma più di 1/3 dello spettro di movimento;
- grado severo: meno di 1/3 dello spettro di movimento.
Contrattura
Una contrattura è la forma più lieve di lesione indiretta dove il
muscolo oltrepassa i suoi limiti di elasticità e alcune fibre vengono
interrotte, il che crea dolore diffuso e lieve impotenza funzionale.
Il dolore compare dopo la partita o il giorno seguente ma non vi è
una vera e propria lesione muscolare, ma semplicemente una
alterazione del tono di tutto il muscolo o di una parte di esso come reazione ad uno stimolo
troppo intenso e prolungato.
Il trattamento anche qui è conservativo e la terapia è rappresentata da calore, massaggi e
stretching (prognosi per il rientro in gara: 4-7 giorni).
Stiramento
Lo stiramento è l’eccessivo allungamento delle fibre muscolari,
che provoca un vivo dolore immediato, senza in genere impedire
il proseguimento dell’attività, anche se in caso di aumento di
progressivo aumento del dolore è opportuno interrompere
l’allenamento; a differenza della contrattura il dolore non è diffuso, ma ben definito e spesso si
palpa un cordone fibroso localmente. La terapia è riposo per 2-3 settimane in base alla sede,
ghiaccio e compressione elastica (terapia fisica con tecar e laser possono accelerare i tempi).
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Distrazione o Strappo
È la rottura vera e propria di fibre muscolari e in base alla
quantità si distingue in distrazione di
- I Grado: < 5% delle fibre;
- II Grado: < 75% delle fibre;
- III Grado: rottura subtotale o strappo propriamente detto
Si accompagna spesso ad un ematoma tanto maggiore
quanto maggiore è il numero delle fibre coinvolte, i muscoli più
interessati sono il retto femorale e i flessori (biarticolari) e nelle lesioni di
III grado si avverte uno scalino corrispondente alla diastasi delle fibre.
Il tessuto muscolare non guarisce con nuovo muscolo, ma con tessuto
fibroso, meno elastico e resistente, per cui si avrà sempre una zona di
minor resistenza, un anello debole del ventre muscolare predisposto più
facilmente a nuovi traumi (NDR: 3 fasi → distruzione, riparazione e rimodellamento del
tessuto che avrà comunque meno elasticità rispetto a prima).
Le complicanze dello strappo possono essere:
- fibrosi dolorose: creazione di tessuto fibroso che può inglobare fibre nervose superficiali che
possono dare dolore specialmente sotto sforzo;
- cisti sieroematiche: ematoma che non si riassorbe con conseguente formazione di cisti con
contenuto liquido che possono essere dolorose e dare tumefazioni locali (dovute a mancato
riassorbimento dell’ematoma per mancata compressione)
- calcificazioni: frequenti se erroneamente come terapia iniziale facciamo massoterapia e
calore, in quanto così facendo nell'arto interessato si facilita la deposizione di sali di calcio nel
tessuto fibroso, come forma di riparazione (creano dolore specialmente alla ripresa
dell'attività).
Crampo
Il crampo è una contrazione involontaria e dolorosa del muscolo;
in genere è legata a:
- squilibri elettrolitici,
- ischemia transitoria del muscolo,
- sovraccarico funzionale,
- fatica,
- fattori psicologici,
- farmaci (neurolettici, diuretici, statine e glucocorticoidi).
Un’eccessiva stimolazione del motoneurone non interrotta dall’interruzione dello stimolo,
sembra legata all’insorgenza dello strappo e genera ovviamente una contrazione dolorosa.
Questo meccanismo si può inibire con lo stretching.
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DOMS – Delayed Onset Muscle Soreness
Erroneamente considerato spesso come dolore da acido lattico*, è legato
alla lesione di miofibrille e della membrana cellulare delle cellule
muscolari dovuta a eccessivo sforzo in quanto a carichi o a ripresa
dell’attività dopo eccessivo riposo.
Si manifesta come dolore che insorge circa 12/24 ore dopo l’attività,
diffuso a livello dei muscoli interessati dallo sforzo, e si risolve dopo 4872 ore; gli enzimi muscolari GOT e CPK che si riversano in circolo dalle
cellule e possono creare un sovraccarico renale, per cui è consigliabile
idratarsi molto per smaltire velocemente i cataboliti.
*(l’acido lattico si forma pochi minuti dopo lo sforzo e in poche ore viene eliminato)
Lesioni Da Sovraccarico
Si definiscono come patologie legate alla continua ripetizione di gesti sportivi con
microtraumi nei tessuti che reagiscono con flogosi (infiammazione) e conseguente processo
riparativo.
I Fattori Predisponenti sono:
Fattori Intrinseci
Fattori Estrinseci
difetti assiali
allenamenti scorretti
alterazioni della postura
terreni inappropriati
squilibri muscolari
calzature
dismetrie
Le strutture più colpite sono:
Tendini
Cartilagini
Struttura
(inserzione)
Articolari
Ossea
Tendini
Le lesioni da sovraccarico sui tendini possono essere di diverso tipo:
Tendiniti
Tendinosi
Sarebbe più corretto il termine peritendiniti
alterazione degenerativa cronica
in quanto la flogosi è a livello del peritenonio
del tendine con aspetto ialinoide
ovvero la guaina che avvolge il tendine
con eventuali calcificazioni
Tenosinovite
Tendinopatia Inserzionale
flogosi della guaina sinoviale tendinea
microlacerazioni
con intrappolamento del tendine
ripetute a livello
e difficoltà al movimento (crepitio)
dell’inserzione ossea
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Cartilagine Articolare
La Condropatia è la sofferenza della cartilagine articolare sottoposta a
sovraccarichi e microtraumi ripetuti.
Va da I fino al IV grado in base alla sua gravità :
- I grado: solo rammollimento della cartilagine;
- II grado: fibrillazione cartilaginea (assenza dello stato superficiale liscio);
- III grado: iniziale erosione della cartilagine;
- IV grado: completa erosione con esposizione dell’osso subcondriale.
In alcuni casi viene utilizzato il termine condrite ma in realtà è inesatto in quanto si tratta
invece di una patologia degenerativa.
Struttura Ossea
Per quanto riguarda le ossa, parleremo di Fratture Da Stress
quando sussistono lesioni parziali o complete (meno frequenti)
delle ossa sottoposte a traumi ripetuti troppo intensi, per cui si ha
l’interruzione progressiva delle trabecole che porta a dolore e
impotenza funzionale (frequente è il caso del V metatarso).
Patologie Specifiche Articolari
SPALLA
Lesioni Acute
GINOCCHIO
Sovraccarico
Lesioni Acute
Sovraccarico
- Lussazione
- Tendinopatie della cuffia
- Lesioni meniscali
- Tendinopatie rotulea e
gleno-omerale
- Sindrome da conflitto
- Lesioni legamentose
quadricipitale
- Lussazione acromion-
(impingement)
- Lesioni cartilaginee
- Rotture sottocutanee
claveare
- Rotture sottocutanee
- Fratture del femore
tendinee (retto femorale)
- Lesioni cuffia dei rotatori tendinee (bicipite)
distale
- Condropatie
- Fratture estremità
- Fratture del piatto tibiale - Sindrome della
prossimale omero
- Lussazioni di rotula
GOMITO
Lesioni Acute
bandelletta ileotibiale
CAVIGLIA
Sovraccarico
Lesioni Acute
Sovraccarico
- Lussazione di gomito
- Tendinopatie
- Lesioni capsulo-
- Tendinopatia achillea
- Fratture capitello radiale
(epicondilite ed
legamentose
- Rottura sottocutanea
- Fratture olecrano e
epitrocleite)
- Fratture malleolari
T.d.A.
coronoide
- Instabilità cronica
- Morbo di Haglund
Fratture paletta omerale
- Condropatie tibio
astragaliche
PIEDE
Lesioni Acute
RACHIDE
Sovraccarico
- Fratture della base del V
- Fascite plantare
metatarso
- Fratture da stress
Lesioni Acute
- Fratture vertebrali
Sovraccarico
- Lombosciatalgie
- Cervicobrachialgie
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4. GENERALITÀ SULLE FRATTURE
Una Frattura è definita come l’interruzione della continuità di un osso.
In base all’Eziologia o Causa si distingue in:
Traumatica
quando un trauma ad alta
Patologica
Chirurgica
quando un trauma a bassa
quando la frattura è
energia supera la resistenza energia agisce su un osso con
intrinseca dell’osso
provocata chirurgicamente a
una ridotta resistenza di base scopo terapeutico
frattura del piatto tibiale
tumori primitivi
osteotomie*
frattura diafisi tibiale
tumori metastatici
frattura dei metacarpi
cisti ossee
*intervento chirurgico dove l’osso viene
accorciato o allungato x modificarne
l'allineamento (es: correzione alluce valgo
osteoporosi
raddrizzamento osso riformatosi non
correttamente dopo una frattura).
In base alla Patogenesi delle fratture possiamo avere:
Fratture per Trauma Diretto
Fratture per Trauma Indiretto
in cui l’interruzione è a livello del punto di
la frattura si manifesta a distanza
applicazione della forza
dal punto di applicazione della forza,
che produce il trauma
la quale si propaga lungo la catena cinetica
fino a raggiungere la sede della frattura
In base al Meccanismo Lesivo si distinguono in fratture per:
Flessione
Torsione
Compressione
Strappamento
fratture a morfologia
fratture
ingranate
avulsioni di
trasversa, obliqua o
spiroidi
o
inserzioni ossee da
con affossamento
parte di tendini o
comminuta*
*in più punti con frammenti
legamenti
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Dal punto di vista dell’Anatomia Patologica in base all’integrità della cute si distinguono:
Fratture Chiusa
Fratture Esposta
cute resta integra
cute lacerata - esposizione esterna dell'osso
(elevato rischio
di infezione)
In base al Numero di Interruzioni Scheletriche e di frammenti ossei prodotti si distinguono:
Fratture Semplici
Fratture Pluriframmentarie
la frattura origina
origina numerosi frammenti ossei
due frammenti ossei ben distinti
(comminuta se presenta più rime di frattura)
(monofocale: 2 frammenti / bifocale: 3 frammenti / trifocale: 4 frammenti)
In base al Livello Scheletrico (punto dell’osso che viene interessato)si distinguono fratture:
Diafisarie
Metafisarie
Epifisarie
parte centrale
tra diafisi ed epifisi
estremità
delle ossa lunghe
cartilagine e tessuto osseo spugnoso
articolari delle ossa
(racchiuso in uno strato di tessuto
osseo compatto)
In base all’Irradiazione Della Rima* si distinguono fratture:*rima → fessura tra i frammenti ossei / diffusione → irradiazione
Extrarticolari
Articolari
fratture in cui la rottura
frattura dell’osso che si estende
dell'estremità distale
all’interno della cavità sinoviale,
dell’osso non altera la
coinvolgendo quindi la superfice
normale anatomia
articolare (interessamento
dell'articolazione
dell’articolazione)
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In base al Decorso e alla Forma della Rima si distinguono fratture:
Fratture Complete
Trasverse
Oblique
Spiroidi
Complesse
rima di frattura rima di frattura rima di frattura rima di frattura
Comminute
dipende dal n° di
disposta ad
con angolo <90°
con decorso a
che determina
frammenti ossei:
angolo retto
rispetto all'asse
spirale lungo
lo staccarsi di
→ 2 frammenti
rispetto all'asse
longitudinale
l’osso,
un terzo
ben distinti
longitudinale
dell'osso
avvolgendosi ad
frammento
F. Semplice
dell’osso
(becco di flauto)
esso
(es: frattura ad
→ ∞ frammenti
ala di farfalla)
F. Pluriframmentaria
→ +rime di frattura
F. Comminuta
Fratture Incomplete
A Legno Verde
Infrazioni
Infossamenti
Specifiche dell’ età del
Rime di frattura che non
Si verificano dove è presente
bambino, dove abbiamo un
riescono a raggiungere il
il tessuto spugnoso (trabecole
osso con periostio molto più
versante opposto perché la
intersecate tra loro che
spesso (vero e proprio
forza traumatica si esaurisce
delimitano spazi pieni di
manicotto intorno all’osso);
prima, perdendo di forza).
sangue).
(NO nell’adulto: periostio si
Praticamente è una “frattura
Un trauma comporta
assottiglia fino quasi a
a metà”, ovvero la frattura
compattazione delle lamelle
scomparire quindi in seguito
inizia ma non riesce a
ossee che si schiacciano fra
a trauma salta subito e si
completarsi.
loro, determinando un
l’osso si rompe ma il periostio
rimane integro
interrompe come l’osso).
infossamento.*
*Es: supponiamo che un soggetto cada dall’alto, il condilo femorale vada a schiacciare il piatto tibiale (nell’epifisi prossimale della tibia ci sta
del tessuto spugnoso), le lamelle si compattano tra loro e vengono a determinare uno schiacciamento o appunto infossamento.
Un’altra sede abbastanza frequente di infossamento è il calcagno, rappresentato il tessuto spugnoso che può quindi compattarsi.
16
In base allo Spostamento dei Frammenti si distinguono fratture:
Non Scomposte
Scomposte
i frammenti di frattura non subiscono alcun
i frammenti di frattura subiscono uno
scostamento per cui la morfologia dell’osso
spostamento nello spazio per cui la
risulta assolutamente conservata.
morfologia dell’osso risulta variata
(es: evento traumatico violento che sposta frammenti in modo
diretto, oppure spostamento legato a cause secondarie come la
frattura scomposta dell’olecrano, legata all’azione del tricipite sul
frammento prossimale che si tira verso l’alto il frammento stesso e
quindi scompone secondariamente la frattura).
In base al Tipo di Scomposizione possiamo distinguere fratture scomposte:
Ad Latus
Ad Longitudinem
Ad Axim
Ad Peripheriam
Trasversale
Accorciamento
Angolare
Rotazionale
frammenti subiscono
monconi vengono a
frammenti vengono a
rotazione di tutto il
uno spostamento
sovrapporsi lungo
formare angolature
segmento, con
laterale dell’uno
l’asse longitudinale
(in varo o in valgo)
frammento ruotato
rispetto all’altro
rispetto all’altro
Le prime tre scomposizioni si possono apprezzare sul piano frontale, mentre l’ultima deve
essere apprezzata almeno in due posizioni una antero-posteriore e l’altra laterale.
Per Esposizione di una Frattura si intende la comunicazione del
focolaio della frattura stessa, con l’esterno tramite una perdita
di sostanza cutanea. Può dipendere dall’agente traumatico che
dall’esterno raggiunge l’osso o al contrario da uno dei
frammenti di frattura che perfora dall’interno la cute.
La classificazione utilizzata per le fratture delle ossa lunghe è quella Svizzera della AO –
Associazione Osteosintesi, per le esposte è quella di Gustilo (considera dimensioni ferita e
danno ai tessuti molli) e per quelle chiuse è quella di Tscherne (interessamento tessuti molli).
Gustilo
Tscherne
17
La Diagnosi di una Frattura può essere sia clinica che radiografica:
Diagnosi Clinica
Segni Certi di Frattura
Segni di Sospetta Frattura
- crepitio: ovvero lievi rumori a seguito del
- tumefazione: gonfiore patologico;
tentativo di muovere l'osso fratturato;
- ematoma: infiltrazione di sangue nel
- motilità preternaturale: la mobilità che
tessuto sotto cutaneo;
differisce dal movimento fisiologico naturale; - impotenza funzionale;
- deformità;
- dolore
- eventuale fuoriuscita dell’osso.
Diagnosi Radiografica
RX in 2 proiezioni
Esame TC
La Terapia che in passato era quasi esclusivamente incruenta, con riduzione e
immobilizzazione in apparecchio gessato, si è negli anni evoluta e ad oggi è sempre più
comune l’indicazione chirurgica per evitare prolungata immobilizzazione, rigidità, ipotrofie
muscolari eccessive con una riduzione anatomica.
Ogni tipo di terapia mira ad aiutare il processo biologico di guarigione che si attua tramite la
Formazione del Callo Osseo: l'ossificazione è il processo tramite cui il tessuto mesenchimale è
trasformato in tessuto osseo; questo processo prevede la sostituzione del tessuto
mesenchimale con tessuto osseo, tramite una velocità di deposizione dello stesso superiore
alla sua velocità di riassorbimento.
- ematoma e infiammazione
- angiogenesi e condrogenesi
Sequenza
di Formazione
del Callo Osseo
- calcificazione della cartilagine
- rimozione della cartilagine
- osteogenesi
(Rimodellamento negli anni successivi
per permettere di adattarsi alla funzione dell’osso)
La Riduzione della Frattura è lo scopo di ogni trattamento e consiste
nell’allineamento corretto dei frammenti e nell’immobilizzazione
incruenta o cruenta / chirurgica.
18
La Terapia Incruenta consiste nell’immobilizzazione dell’articolazione a monte e a valle della
frattura, nel modellamento in corrispondenza delle salienze (sporgenza) ossee e nel
mantenimento di un’adeguata rigidità; in caso di notevole edema o frattura di minore entità
doccia gessata (NDR: primo caso in via provvisoria, secondo caso in via definitiva).
Brachio
Antibrachio
Femoro
Metacarpale
Metacarpale
Podalico
Ginocchiera
Gambaletto
La Terapia Chirurgica si utilizza per evitare le rigidità e le notevoli ipotrofie muscolari legate
al trattamento incruento; ad oggi gran parte delle fratture hanno indicazione chirurgica, che
permette una precoce mobilizzazione e un più veloce recupero funzionale.
Esistono 3 tipologie di terapie chirurgiche:
- Sintesi Endomidollare: è indicata nelle fratture delle ossa lunghe a livello
diafisario o in certi tipi di fratture metafisarie (pertrocanteriche del femore,
del collo chirurgico dell’omero).
- Sintesi Transossea: anche detta ORIF – Open Reduction and Internal
Fixation, è indicata nelle fratture metafisarie o epifisarie delle ossa lunghe
dove un chiodo non garantisce stabilità e nelle fratture delle ossa brevi come
il calcagno o la clavicola.
- Sintesi con Fissatore Esterno: è indicata in caso di vaste lesioni cutanee,
fratture comminute / pluriframmentarie, fratture esposte come sintesi
provvisoria.
Le Complicanze delle Fratture in base al momento di insorgenza si dividono:
Immediate
Precoci
Tardive
Esposizione
Embolia grassosa
Ritardo di consolidamento
Fratture-lussazioni
Infezione
Pseudoartrosi
Lesioni vascolari
Tromboembolia
Viziosa consolidazione
Lesioni nervose
Artrosi post traumatica
19
5. LESIONI MENISCALI
Per Lesioni Capsulo-Legamentose del Ginocchio si
intendono le lesioni traumatiche prodotte da una
sollecitazione che tende a modificare i reciproci
rapporti dei capi articolari che avvengono a livello
della capsula articolare e legamenti annessi e le
strutture articolari.
Le Lesioni Meniscali possono essere di duplice origine; si definiscono:
- lesioni traumatiche, quando sono provocate da distorsioni o traumi diretti al ginocchio e
prediligono quasi sempre il giovane sportivo;
- lesioni degenerative, sono legate all'usura articolare e coinvolgono i pazienti over 40.
Anatomia del Ginocchio
Il ginocchio è un’articolazione complessa che può considerarsi l’insieme di 3 articolazioni:
Femoro-Tibiale
Femoro-Rotulea
Tibio-Peroneale Prossimale
ginglimo angolare
troclea
sindesmosi
Veduta Laterale
Bendelletta ileo-tibiale
Leg. Collaterale esterno
Tendine popliteo
Leg. Popliteo-fibulare
Tendine del bicipite femorale
Leg. Antero-laterale
Leg. Patellofemorale laterale
Capsula laterale
Veduta Mediale
Tendini della zampa d’oca (sartorio/gracile/semitendinoso)
Leg. Collaterale mediale (sup./prof.)
Leg. Patellofemorale mediale
Capsula mediale
Veduta Anteriore
Leg. Crociato anteriore
Leg. Crociato posteriore
Leg. Trasverso intermeniscale
Tuberosità tibiale anteriore
Menisco esterno
Menisco interno
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Veduta Posteriore
Muscolo popliteo
Leg. Crociato posteriore
Legamenti menisco-femorali
(anteriore-Humphrey/posteriore-Wrisberg)
Leg. Posteriore obliquo
Leg. Arcuato
Tendine del semimembranoso
Gemelli e Soleo
Patologia Meniscale
I menischi sono due fibrocartilagini a forma di mezzaluna, più chiuso
l’esterno e più aperto l’interno.
Hanno ancoraggio tramite le loro Radici Anteriori e Posteriori al piatto tibiale
e sono connessi a livello periferico al femore e alla tibia dal legamento coronario.
Il menisco esterno è interrotto a livello dello
Hiatus Popliteo per il passaggio del tendine
omonimo. Sono uniti anteriormente dal Legamento
Trasverso Intermeniscale.
Dal punto di vista dei distretti menischi abbiamo:
- corno anteriore,
- corpo,
- corno posteriore.
Il Menisco non è tutto vascolarizzato, ma solo per il
suo terzo capsulare, questo è importante da sapere
per quanto riguarda le suture meniscali.
21
Fisiologia Meniscale
Andiamo a vedere quali sono le funzioni dei menischi:
Ammortizzano
Aumentano
le pressioni
l’area di contatto
tra femore e tibia
femoro-tibiale
Rinforzano
Stabilizzano
l’articolazione
Limitano
Propriocezione
la capsula
iperflessione / iperestensione
I menischi non sono immobili, si muovono a seconda dei movimenti
del ginocchio, in estensione si muovono anteriormente e
posteriormente viceversa: quindi durante la flesso-estensione del
ginocchio i menischi slittano in direzione posteriore e anteriore
rispettivamente.
Patogenesi delle Lesioni Meniscali
Esistono diverse tipologie di Lesioni Meniscali:
LESIONI TRAUMATICHE
Valgo-Flesso-Extrarotazione
Varo-Flesso-Intrarotazione
Es: quando il piede
è bloccato a terra
ma la gamba ruota
Iperflessione
Iperestensione
Es: con pinzamento del
con traumi
corno posteriore
a livello
dei corni
anteriori
LESIONI DEGENERATIVE
LESIONI CONGENITE
Dovute ad età e usura
Meniscosi
Menisco Discoide
Condrocalcinosi
mancato riassorbimento della fibra cartilaginea
Cisti
> probabilità di rottura per menischi con forma non a C
22
Esistono poi particolari lesioni che non coinvolgono il corpo del menisco ma la sua periferia o
le sue inserzioni:
- Lesioni delle radici meniscali: che possono essere sia anteriori che posteriori;
- Lesioni menisco-capsulari: anche denominate ramp lesions.
Sintomatologia delle Lesioni Meniscali
La sintomatologia è strettamente legata al trauma e può essere di tipo acuto o cronicoACUTA
CRONICA
- Dolore
- Dolore emirima mediale o laterale
- Limitazione Funzionale
- Tumefazione dopo sforzo
- Tumefazione Tardiva (24h)
- Sensazione di impaccio, scatto
- Eventuale Blocco
Diagnosi delle Lesioni Meniscali
La diagnosi viene effettuata tramite:
Anamnesi
Clinica
Risonanza Magnetica
Nella Diagnosi Clinica possiamo trovare:
- tumefazione sovrarotulea in caso di versamento;
- riduzione dell’arco di movimento in caso di blocco (antalgico o meccanico);
- dolore emirima mediale o laterale.
Esistono dei Test Meniscali Specifici per aiutarci a comprendere la situazione nella quale versa
il ginocchio leso ed in particolare i menischi:
- Test di Mc Murray dolore alla pressione a livello dell’emirima
interna/esterna a ginocchio flesso che si
accentua all’extrarotazione per lesioni del
menisco interno, con l’intrarotazione per
lesioni del menisco esterno.
- Test di Grinding (Apley in Compressione) Dolore mediale o laterale alla compressione
→menisco est. : da prono in intrarotazione
→menisco int. : da prono o in extrarotazione
- Test Squatting (Childress) Dolore mediale o laterale al tentativo di
camminare accovacciato
23
La Risonanza Magnetica ci mostra la morfologia della lesione; in
questa foto ad esempio possiamo vedere una lesione del corno
posteriore del menisco mediale
La Terapia in caso di lesione meniscale può essere:
- Medica: fisioterapia e terapia farmacologica (antinfiammatori e
antidolorifici);
- Chirurgica: interviene in caso di rottura completa, in quanto non è sufficiente la terapia
medica, e può essere intrapresa tramite la Meniscectomia Selettiva Artroscopica o con la
Sutura Meniscale (si attua solo nelle zone vascolarizzate).
Spesso la Meniscectomia Selettiva Artroscopica risulta essere l’unica soluzione di intervento.
Un ginocchio privo di parte di una delle fibrocartilagini subisce stress meccanici in
compressione che anticipano fenomeni degenerativi della cartilagine articolare, per cui
quando il tipo di lesione lo consente è indicato tentare il salvataggio del menisco tramite una
Sutura Meniscale. (la tenuta di una sutura meniscale nel tempo è valutata con fallimenti
intorno al 18-20%, maggiori se la sutura non è eseguita in concomitanza con ricostruzione
legamentosa; in caso di fallimento, è necessario eseguire meniscectomia selettiva).
Riabilitazione a seguito di Intervento su Lesione Meniscale
In caso di Meniscectomia Selettiva Artroscopica, la riabilitazione può essere impostata con:
Carico Immediato
a Tolleranza
Isometria
Quadricipite
Recupero
Articolarità
Progressiva Intensificazione dei Carichi
con Esercizi Isotonici
Ripresa dell’Attività Sportiva
dopo Circa 1 Mese
Maggior Cautela
per Il Menisco Esterno
(Condrolisi ed Eventuale Necessità di Plastica Capsulare)
Maggior Cautela
per Lesioni Degenerative
nel Paziente più Anziano
(Scarico)
24
In caso di Sutura Meniscale, la riabilitazione può essere impostata con:
Carico Immediato o Differito
in Base al Tipo di Lesione e di Sutura
(suture del corpo → 5 settimane di astensione e di scarico con stampelle;
suture delle corna → anche carico immediato)
Isometria
Quadricipite
Recupero
Articolarità
Progressiva Intensificazione dei Carichi
con Esercizi Isotonici
alla Ripresa del Carico
Ripresa dell’Attività Sportiva
dai 4 Ai 6 Mesi
(6 Con LCA)
Maggior Cautela
per il Menisco Esterno*
(Condrolisi ed Eventuale Necessità di Plastica Capsulare)
Maggior Cautela
per Lesioni Degenerative nel Paziente più Anziano
(Scarico)
*Mentre per il menisco interno vale questo, il menisco esterno è più implicato nella stabilità del
ginocchio, quindi se viene tolto un pezzetto del menisco esterno si può andar incontro a
condrolisi, per cui è necessario un trattamento riabilitativo più prudente (usura della
cartilagine del piatto tibiale del pezzettino tolto; spesso si effettua una seconda operazione
cartilaginea, plastica capsulare, per quel pezzetto del piatto tibiale).
25
6. LESIONI LEGAMENTOSE DEL GINOCCHIO: I LEGAMENTI CROCIATI
Generalità e Anatomia del Ginocchio
I legamenti del ginocchio sono le bande di tessuto connettivo-fibroso, che uniscono l'estremità
distale del femore all'estremità prossimale della tibia.
I legamenti del ginocchio sono in tutto 4:
LCA Legamento Crociato Anteriore
LCM Legamento Collaterale Mediale
LCP Legamento Crociato Posteriore
LCL Legamento Collaterale Laterale
I due legamenti crociati risiedono al centro dell'articolazione del ginocchio; i due legamenti
collaterali, invece, prendono posto uno sul lato interno (mediale) e
uno sul lato esterno (laterale) del ginocchio.
L’LCA presenta 2 fasci (antero-mediale e postero-laterale)
diversamente tesi nella flesso-estensione del ginocchio.
Si inserisce sulla spina tibiale anteriore (eminenza intercondiloidea,
posteriormente al corno anteriore del Menisco Esterno) e sulla
faccia mediale del condilo laterale del femore, superiormente, con
un andamento a ventaglio.
Anche l’LCP presenta 2 fasci (antero-laterale e postero-mediale).
Si inserisce sul margine posteriore del piatto tibiale lateralmente
alla radice posteriore del menisco mediale e sulla faccia laterale del
condilo mediale del femore, superiormente, con un andamento
anch’esso a ventaglio, più esteso rispetto all’LCA.
Presenta 2 legamenti accessori, non sempre presenti: i legamenti
menisco-femorali (anteriore di Humphrey e posteriore di Wrisberg,
che collegano il condilo femorale mediale al menisco esterno.
Il compito dei legamenti del ginocchio è stabilizzare l'articolazione di cui fanno parte e
impedire che le componenti ossee di tale articolazione perdano il loro corretto allineamento;
quindi hanno la funzione di stabilizzare l’articolazione dall’interno impedendo e limitando:
- Traslazione anteriore (LCA),
- Traslazione posteriore (LCP)
della tibia rispetto al femore
- Intrarotazione (LCA)
- Extrarotazione (LCP)
delle altre strutture capsulo-legamentose
26
Patologia dei Legamenti Crociati
I legamenti del ginocchio possono essere oggetto di stiramenti e lacerazioni che, se
particolarmente gravi, possono compromettere la salute di altre componenti articolari.
I tipi di traumi che possono causare lesioni capsulo-legamentose sono gli stessi che causano
lesioni meniscali.
Valgo-Flesso-
Varo-Flesso-
Extrarotazione
Intrarotazione
Iperflessione
Iperestensione
rottura LCP
rottura LCA
Esistono lesioni degenerative anche dei legamenti crociati, ma di scarsa importanza a livello
di traumatologia sportiva: Degenerazione Vacuolare e Cisti Gangliare.
Per quanto riguarda la sede della lesione, principalmente la rottura dell’LCA avviene
all’inserzione femorale, più raramente a livello di quella tibiale o al terzo medio; il moncone
rimane beante (aperto) in articolazione oppure può appoggiarsi all’LCP con cui forma
aderenze e da cui può ricevere apporto ematico (LCP a balia-nutrice dell’LCA).
Le lesioni dell’LCP sono più frequentemente al terzo medio.
Sintomatologia nella Lesione LCA
I sintomi in caso di rottura dell’LCA possono essere di natura acuta o cronica:
ACUTA
CRONICA
- Dolore
- Nessun Dolore in Caso di Lesione Isolata
- Limitazione Funzionale
- Sensazione di Instabilità
- Tumefazione Precoce (versamento ematico) - Cedimenti Ripetuti Durante Attività
- Eventuale Blocco Antalgico
- Tumefazione dopo Sforzo (Gonfiore)
- Insorgenza di Dolore Meniscale/Cartilagineo
per Possibilità di Lesioni Secondarie
Diagnosi della Lesione LCA
La diagnosi viene effettuata tramite:
Anamnesi
Clinica
Strumentale
Risonanza Magnetica
Tramite la Diagnosi Clinica possiamo valutare:
- tumefazione sovrarotulea in caso di versamento (artrocentesi ematica ovvero il prelievo con
ago e siringa di un campione di liquido sinoviale dalla capsula articolare, è una pratica
importante ma non sempre presente → lesioni intra-sinoviali);
- riduzione dell’arco di movimento in caso di blocco antalgico.
27
Esistono dei Test Specifici che ci aiutano ad effettuare la diagnosi del trauma:
- Cassetto Anteriore: eccessiva traslazione anteriore della tibia in
flessione a 90° quando l’esaminatore porta la gamba anteriormente dal
terzo superiore del polpaccio, paragonata all’arto controlaterale.
Può essere eseguito in rotazione neutra, Intrarotazione o
extrarotazione per valutare lesioni associate capsulo-legamentose.
- Lachman Test: assenza di “STOP” alla manovra di traslazione
anteriore passiva della tibia a 30°, o stop tardivo paragonato all’arto
controlaterale (test che si fa in acuto perché senza grande flessione
della gamba).
- Jerk Test di Hugston: sublussazione anteriore dell’emipiatto tibiale
esterno alla valgizzazione del ginocchio in intrarotazione e progressiva
flessione della gamba a circa 30°. Sembra legato anche all’integrità del
legamento capsulare antero-laterale (manualmente si esegue la
manovra per una distrazione).
- KT1000: permette di dare un valore numerico ai mm di traslazione
anteriore della tibia rispetto all’arto controlaterale
Terapia in Caso di Lesione LCA
La Terapia in caso di lesione dell’LCA può essere:
CONSERVATIVA
CHIRURGICA
FKT in fase acuta e cronica + FANS in fase acuta
Ricostruzione Artroscopica
→ In Fase Acuta:
Rimozione dei residui del legamento, nel
- esercizi di recupero dell’articolarità attiva e
trattamento di lesioni associate (menischi,
passiva, isometria del quadricipite;
cartilagine) e nella preparazione di un tunnel
- idrochinesiterapia;
osseo tibiale e femorale per l’inserimento del
- rieducazione alla deambulazione con carico
trapianto opportunamente calibrato, che
progressivo a tolleranza;
sostituisce funzionalmente il legamento
- eventuale terapia fisica antidolorifica-
crociato; una volta inserito, il trapianto deve
antinfiammatoria
superare una fase di integrazione e
→ In Fase Cronica:
maturazione (legamentizzazione dai 6 mesi
- esercizi di potenziamento isometrico ed
ad un anno). I trapianti sono di diverso tipo:
isotonico del quadricipite a carichi crescenti
- t. rotuleo (BPTB - terzo centrale)
- t. gracile e semit. (zampa d’oca + sartorio)
- t. quadricipitale
- Allograft (trapianto da cadavere meno resistente)
- trapianti sintetici (goretex e materiali particolari,
abbandonati per infiammazioni e rotture frequenti).
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Riabilitazione dopo Ricostruzione LCA
La riabilitazione relativa ad intervento artroscopico di ricostruzione dell’LCA prevede 5 fasi
1^ FASE: 0-15 GIORNI
- Carico immediato a tolleranza
- Tutore in estensione bloccato a 0°
- Isometria quadricipite
- Recupero articolarità con kinetec (CPM)
- Ghiaccio
- Elettrostimolazione quadricipite
- Biofeedback
2^ FASE: 15-30 GIORNI
- Carico completo
- Tutore in estensione bloccato a 0°
- Isometria quadricipite
- Completamento dell’articolarità attiva e passiva assistita
- Inizio esercizi isotonici a catena chiusa
- Elettrostimolazione quadricipite
- Biofeedback
3^ FASE: 30-60 GIORNI
- Autonomia nell’uso dell’automobile
- Intensificare i carichi isometrici a catena chiusa
- Elettrostimolazione quadricipite
4^ FASE: 60-120 GIORNI
- Esercizi in palestra autogestiti
- Catena chiusa e catena aperta
- Esercizi assistiti in campo senza salti/cambi di
direzione/contrasti
5^ FASE: DOPO IL 6° MESE
- Progressivo reintegro nell’attività sportiva preferita (nei
mesi successivi all’intervento, si eseguono comunemente
dei test di valutazione funzionale per descrivere il
recupero articolare e la ripresa del tonotrofismo
quadricipitale, in modo da poter valutare il momento
migliore per la ripresa dell’attività sportiva; un valore di
deficit di -20% dà l’ok per la ripresa sportiva).
29
Sintomatologia nella Lesione LCP
I sintomi in caso di rottura dell’LCP possono essere di natura acuta o cronica:
ACUTA
CRONICA
- Dolore
- Dolore Anteriore da Sovraccarico
- Limitazione Funzionale
dell’Apparato Estensore
- Tumefazione Precoce (versamento ematico) - Sensazione di Instabilità Posteriore in
- Possibile Tumefazione (ematica)
Discesa e Scendendo le Scale
- Fastidio nel Mantenere a Lungo la Posizione
in Piedi
- Dolori Prevalenti nella Vita Quotidiana
- Attività Sportiva spesso Possibile.
Diagnosi della Lesione LCP
La diagnosi viene effettuata tramite:
Anamnesi
Clinica
Strumentale
Risonanza Magnetica
Spesso le lesioni dell’LCP sono conseguenti a traumi stradali da cruscotto o da incidenti in
motocicletta; in ambito sportivo il meccanismo più frequente è l’iperflessione o il contrasto in
senso antero-posteriore sulla tibia (frequente nel rugby).
Clinicamente già col paziente a riposo e le ginocchia flesse a 90° si osserva una posizione della
tibia, valutata dalla tuberosità tibiale anteriore, più posteriore rispetto al ginocchio
controlaterale (step-off).
Esistono dei Test Specifici che ci aiutano ad effettuare la diagnosi del trauma:
- Cassetto Posteriore: eccessiva traslazione posteriore
della tibia in flessione a 90° quando l’esaminatore
porta la gamba posteriormente dal terzo superiore del
polpaccio, paragonata all’arto controlaterale. Può
essere eseguito in rotazione neutra, intrarotazione o
extrarotazione per valutare lesioni associate capsulolegamentose (spesso si associa a lesioni del comparto
postero-laterale).
- Whipple Test: a paziente prono, ginocchio flesso a
30°e rilassato, eccessiva traslazione posteriore della
tibia eseguendo una pressione in senso posteriore
sulla tuberosità tibiale anteriore. Se la manovra
provoca extrarotazione della gamba è presente anche
una lesione posterolaterale associata
30
Terapia in Caso di Lesione LCP
La Terapia in caso di lesione dell’LCP può essere:
CONSERVATIVA
CHIRURGICA
FKT in fase acuta e cronica + FANS in fase acuta
Ricostruzione Artroscopica
- Potenziamento del quadricipite isometrico
Per la ricostruzione dell’LCP si utilizza un
ed isotonico
trapianto che può essere di tendine rotuleo,
- Stretching flessori
quadricipitale, semitendinoso/gracile o
- Evitare il potenziamento dei flessori,
Allograft, inserito artroscopicamente con il
antagonisti dell’LCP
decorso dell’LCP nativo.
- Elettrostimolazione quadricipite
La sua ricostruzione è limitata ai casi in cui c’è
un’importante limitazione funzionale su base
algica e obiettiva instabilità
(10mm di spostamento posteriore della tibia rispetto
all’arto controlaterale → operazione).
Riabilitazione dopo Ricostruzione LCP
La riabilitazione post-operatoria relativa alla ricostruzione dell’LCP è la seguente:
- posizionamento di un tutore in estensione, che si rimuove dopo 30 giorni;
- mobilizzazione passiva con kinetec (CPM) nei giorni seguenti l’intervento (evita rigidità);
- potenziamento isometrico del quadricipite
- potenziamento isotonico del quadricipite.
Una ricostruzione isolata permette il ritorno all’attività dopo circa 6 mesi, ma è di
fondamentale importanza il recupero del tono e del trofismo quadricipitale.
31
7. LESIONI LEGAMENTOSE DEL GINOCCHIO: I LEGAMENTI COLLATERALI
Anatomia del Legamento Collaterale Mediale
Il LCM è una banda di tessuto connettivo fibroso che stabilizza il
ginocchio nello stress in valgo, e origina dall’epicondilo mediale del
femore per inserirsi sulla metafisi tibiale
prossimale, medialmente alla zampa d’oca.
Può essere distinto uno strato superficiale e
uno strato profondo, anche se in realtà
recentemente si tende a considerare lo strato profondo come un
ispessimento della capsula articolare mediale in prossimità del muro
meniscale mediale.
Patogenesi della Lesione al Legamento Collaterale Mediale
Una lesione dell’LCM avviene in genere per traumi in valgo, in cui la
resistenza del legamento è vinta dalla forza del trauma. Anche traumi
distorsivi che interessano i legamenti crociati, prevalentemente
l’anteriore, specialmente la flesso-valgo-extrarotazione, possono
coinvolgere l’LCM, con una lesione associata LCA+LCM.
Dal punto di vista anatomo patologico, come in tutte le lesioni legamentose, si distinguono
vari gradi di distorsione in base alla quantità di fibre interessate:
Lesioni di I Grado
solo elongazione delle fibre
(stiramento)
Lesioni di II Grado
lesione parziale delle fibre
(circa il 50%);
Lesioni di III Grado
lesione totale con diastasi
(allontanamento permanente)
32
Sintomatologia nella Lesione LCM
I sintomi in caso di rottura dell’LCM possono essere di natura acuta o cronica:
ACUTA
CRONICA
- Dolore
- Limitazione Funzionale
- Sensazione di Instabilità in Valgo
- Possibile Tumefazione (ematica)
- Fastidio Mediale nel Mantenere a Lungo la
- Possibile Ematoma Mediale
Posizione in Piedi
Diagnosi della Lesione LCM
Il test clinico fondamentale per una diagnosi di lesione del
collaterale mediale è il Valgo Stress, in cui il ginocchio viene
stressato dall’esaminatore in valgo a 0° e 30° per valutare lo
stato di tensione del legamento e la stabilità ; a 30° è più
significativo in quanto la capsula articolare e più detesa e
non contribuisce alla stabilità , mentre a 0° la capsula
mediale compensa in parte l’insufficienza del collaterale
mediale (minore sensazione di instabilità mediale).
Dopo un sospetto clinico, con dolore mediale,
tumefazione e valgo stress positivo, l’esame
dirimente è la Risonanza Magnetica, che mostra
iperintensità del legamento ed eventuale
retrazione in caso di lesione di III grado.
Terapia in Caso di Lesione LCM
Contrariamente all’LCA, l’LCM essendo extrarticolare e ben vascolarizzato
dalle arterie genicolate supero-mediale e infero-mediale, ha una buona
capacità di cicatrizzazione, e l’intervento di riparazione si riserva solo alle
lesioni di III grado (spesso associate a ricostruzione dell’LCA).
In Acuto la riparazione è la sutura termino-terminale dei monconi o, in caso
di distacco osseo (avulsione) la reinserzione avviene con ancoretta o vite.
In Cronico invece, data la fibrosi e l’impossibilità di repertare i monconi
ormai rimodellati e parzialmente riassorbiti, è necessario un trapianto con
semitendinoso, con Allograft o con materiali sintetici.
La Terapia Conservativa nelle lesioni di I e II grado consiste nel
posizionamento di un tutore con snodi laterali che permette i movimenti di
flesso-estensione, ma non quelli in varo-valgo, proteggendo il legamento da
fenomeni di elongazione che ne impedirebbero la corretta guarigione; il
tutore si mantiene per 15-20 giorni dopo i quali si inizia un protocollo
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fisioterapico di potenziamento quadricipitale, recupero dell’articolarità e propriocezione.
Il processo di guarigione dura circa 2 mesi, successivamente ai quali si può iniziare l’attività
specifica con il recupero del gesto atletico specifico dello sport eseguito dal paziente.
Un aiuto per velocizzare la guarigione è
rappresentato dall’uso del PRP – Platelet Rich Plasma,
che consiste in un plasma ricco di piastrine: questi
fattori di crescita piastrinici rilasciati localmente
facilitano la cicatrizzazione e hanno effetto antalgico
(sostanza emoderivata del tutto naturale, ottenuta
tramite centrifugazione, dopo il prelievo di un
limitato quantitativo di sangue dal paziente stesso;
ha origine autologa ovvero donatore e ricevente sono
la stessa persona). Il trattamento con PRP (pappa
piastrinica o gel piastrinico) prevede una o più infiltrazioni nella sede interessata.
Anatomia dell’LCL – Legamento Collaterale Laterale
Contrariamente all’LCM, che ha una morfologia appiattita e nastriforme,
l’LCL ha un aspetto più tubulare, origina dall’epicondilo laterale e si
inserisce insieme al tendine del bicipite femorale e al legamento
popliteo-fibulare sulla testa del perone.
Mentre l’LCM è in stretta continuità con la capsula e il menisco interno,
l’LCL è indipendente dalla capsula e dall’omologo menisco, quindi più
mobile e meno soggetto a rotture.
Una lesione dell’LCL avviene in genere per traumi in varo, ed è spesso
associato a lesione del comparto posterolaterale e dell’LCP.
Anatomia Patologica del LCL
Si distinguono anche in questo caso lesioni di I, II e III grado, in base alla
quantità di fibre interessate:
- Lesioni di I Grado: solo elongazione delle fibre (stiramento)
- Lesioni di II Grado: lesione parziale delle fibre (circa il 50%)
- Lesioni di III Grado: lesione totale con diastasi (allontanamento permanente)
Sintomatologia nella Lesione LCL
ACUTA
CRONICA
- Dolore
- Limitazione Funzionale
- Sensazione di Instabilità in Varo
- Possibile Tumefazione (ematica)
- Deambulazione con Scatto Laterale (Varus
- Possibile Ematoma Laterale
Thrust) se lesioni associate.
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Diagnosi della Lesione LCL
Anche in questo caso il test fondamentale è lo stress che
contrasta la funzione del legamento: il Varo Stress,
anch’esso eseguito a 0° e 30° sempre per i motivi
descritti in precedenza.
Anche in questo caso è fondamentale una
Risonanza Magnetica che mostra perfettamente il
grado e la sede della lesione.
Terapia in Caso della Lesione LCL
Diversamente dall’LCM che ha buone proprietà
riparative, l’LCL in quanto più mobile e più
separato dalla capsula, a meno che non si tratti di
una lesione isolata di I grado, difficilmente
guarisce da solo.
È quindi indicata la terapia chirurgica, che
consiste nella reinserzione ossea in caso di
distacco inserzionale o nella plastica con
semitendinoso (specialmente in caso di lesione
associata del legamento popliteo-fibulare: Plastica di Larson o
Laprade).
Nel post-operatorio, si posiziona in genere un tutore in
estensione se in concomitanza si effettua ricostruzione del
legamento crociato posteriore, che si rimuove dopo 30 giorni.
La mobilizzazione passiva con Kinetec - CPM si inizia nei giorni
successivi all’intervento per evitare rigidità e allo stesso tempo
parte il potenziamento del quadricipite in isometrico prima e
isotonico poi (fondamentale il recupero del tono e del trofismo
quadricipitale)
Una ricostruzione isolata permette il ritorno all’attività dopo circa 3 mesi, mentre se associata
a ricostruzione dell’LCP i tempi si raddoppiano.
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8. LA SPALLA: SINDROME DA CONFLITTO
Anatomia della Spalla
Moltissime delle azioni che portiamo a termine
quotidianamente richiedono di alzare uno o
entrambi gli arti superiori.
Qualsiasi azione che richieda l’uso delle braccia, quindi, sollecita le nostre spalle.
La spalla è la regione pari del tronco, situata in posizione latero-superiore, su cui s'incontrano
3 importanti ossa:
clavicola
scapola
omero
Le spalle sono sede di fondamentali articolazioni e muscoli; l'Articolazione Gleno-Omerale, che
collega la scapola all'omero è quella considerata più importante.
Le articolazioni e i muscoli della spalla permettono all'essere umano di eseguire un'ampia
varietà di gesti: dal lanciare un oggetto a sollevare un peso, dallo scrivere al disegnare un
cerchio ideale con il braccio. La spalla può subire diversi tipi di infortuni:
Fratture Ossee
Lussazioni dell'Articolazione Gleno-Omerale
Lesioni a Carico dei Tendini Muscolari
Andiamo a vedere nel dettaglio le Articolazioni della Spalla.
- Articolazione Gleno-Omerale
È una enartrosi relativamente instabile, per cui necessita di rinforzi
capsulari e muscolari, rappresentati dal cercine glenoideo, dai
legamenti gleno-omerali (superiore, medio e inferiore), dalla cuffia dei
rotatori, dal legamento coraco-acromiale.
I movimenti permessi sono molto ampi:
- flessione + estensione
- intrarotazione + extrarotazione
- abduzione + adduzione
La cavità glenoidea o fossa glenoidea della scapola è una parte della spalla; è una superficie
articolare poco profonda e piriforme presente sull'angolo laterale della scapola.
Questa cavità articolandosi con l'omero costituisce l'articolazione gleno-omerale.
- Articolazione Scapolo-Toracica
Non è una vera e propria articolazione, ma il corpo della scapola si
appoggia sulla gabbia toracica e vi scivola sopra. Non ha legamenti ma
è mantenuta in sede da muscoli: trapezio, dentato anteriore, elevatore
della scapola, romboidi. La sua funzione è quella di contribuire alla
stabilità della gleno-omerale nei movimenti al di sopra della testa.
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- Articolazione Acromion-Claveare
Presenta al suo interno un menisco fibrocartilagineo.
Mantiene la continuità del cingolo scapolare ed è stabilizzata dai
legamenti coraco-acromiale e coraco-clavicolari (conoide e
trapezoide).
- Articolazione Sterno-Claveare
Permette la rotazione della clavicola ed è fondamentale per
l’elevazione della spalla.
E’ rinforzata dai legamenti sterno-clavicolari e costo-clavicolari.
Andiamo a vedere nel dettaglio i Muscoli della Spalla.
- Protettori Gleno-Omerali
Sono i muscoli che formano la Cuffia dei Rotatori; la loro funzione, oltre che quella intrinseca
di rotatori, è quella di proteggere l’articolazione stabilizzandola e abbassando la testa
omerale.
Sovraspinoso
extrarotazione abduzione fino a 90
Sottospinoso
extrarotazione, estensione
Piccolo Rotondo
coadiuva il sottospinoso
Sottoscapolare
intrarotazione
- Rotatori della Scapola
Sono i muscoli che stabilizzano la scapola nei movimenti sopra i 90° e sostengono l’arto
superiore.
Trapezio
Elevatore della Scapola
Romboidi
Grande Rotondo
Dentato Anteriore
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- Mobilizzatore dell’Omero
È il principale attivatore dell’omero attivo soprattutto oltre i 90°.
Deltoide
Si inserisce posteriormente
sulla spina scapolare e
sull’acromion, e
anteriormente sulla
clavicola e la parte anteriore
dell’acromion, inserendosi
sul terzo prossimale
dell’Omero.
- Humeral Propellers
Sono i principali estensori del braccio.
Grande Pettorale
Margine inferiore della clavicola, corpo e
manubrio dello sterno e 2a, 3a ,4a costa,
per inserirsi nella regione metafisaria
prossimale dell’omero
Piccolo Pettorale
inserisce sulla coracoide
e origina 3a, 4a, 5a costa
La Sindrome da Conflitto Subacromiale
Un tempo definita Periartrite Scapolo-Omerale la Sindrome da
Conflitto o Impingement è una patologia dolorosa della spalla
determinata da una flogosi* dei tessuti circostanti l’articolazione
gleno-omerale ( terminologia modificatasi nel tempo, per spiegare
meglio la patogenesi delle lesioni caratteristiche della patologia).
La cuffia dei rotatori avvolge la testa omerale, fondendosi con la
capsula articolare e proteggendo l’articolazione; uno o più dei suoi tendini possono lesionarsi
e determinare la tipica sintomatologia dolorosa e il deficit di forza che caratterizza la
patologia. La patogenesi è meccanica ed è causata da insufficiente spazio dei tendini della
cuffia dei rotatori nell’acromion.
*(flogosi: infiammazione acuta/cronica dell’organismo che reagisce a stimoli dannosi di tipo: irritativo, allergico e infettivo)
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Eziologia e Patogenesi
Le lesioni della cuffia dei rotatori possono insorgere per Cause Traumatiche Acute, in genere
su una base degenerativa predisponente, oppure per l’Invecchiamento e la progressiva
Sostituzione del Tessuto Tendineo con Tessuto Adiposo, stimolata specialmente in caso di
impingement, cioè di attrito tendine/osso. La degenerazione è favorita dalla scarsa
vascolarizzazione dei tendini della cuffia.
Ipoossigenazione
Attrito
Sostituzione Adiposa
Rottura
Perdita di Sostanza
Disinserzione Tendinea
Anatomia Patologica
Il tendine più frequentemente interessato è quello del Sovraspinoso, a causa della sua
posizione più craniale subito al di sotto dell’acromion; seguono il Sottoscapolare, il
Sottospinoso e il Piccolo Rotondo. Il Capo Lungo del Bicipite, considerato quinto
tendine della cuffia, può essere sede di flogosi o vere e proprie rotture.
La forma dell’acromion, più o meno uncinata, può condizionare l’insorgenza
della sindrome da conflitto, anche se questa teoria è ormai meno accreditata
che in passato, a favore di una patogenesi più legata a fattori funzionali (ad
esempio lo squilibrio muscolare dei muscoli stessi).
Una forma particolare di lesione della cuffia è la Pasta Lesion, (acronimo che
indica PArtial Sovraspinatus Tendon Avulsion): una lesione parziale o completa
del tendine può derivare sia da un trauma, come ad esempio un colpo o una
caduta durante l'attività sportiva, che dall'infiammazione dovuta a
sollecitazioni troppo frequenti, a movimenti errati o alla naturale
degenerazione dei tessuti causata dall’età.
Diagnosi della Sindrome da Conflitto
La diagnosi viene effettuata tramite:
Anamnesi
Clinica
Risonanza Magnetica
Per quanto riguarda la Diagnosi Clinica i due principali sintomi di una sindrome da conflitto
sono:
Dolore
Debolezza
Se c’è solo infiammazione o una rottura parziale del tendine interessato sarà presente solo il
dolore, mentre se la rottura è totale o funzionalmente significativa saranno presenti entrambi.
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Test Specifici per Valutare la Sindrome da Conflitto
Test di Neer
dolore all’abduzione passiva della spalla oltre i 90°, legato
all’attrito tra il tendine e la superficie ossea dell’acromion
è indicativo di una lesione del sovraspinoso
(dolore scompare all’infiltrazione con lidocaina).
Test di Hawkins
dolore alla rotazione interna passiva
dell’arto col gomito flesso a 90°.
È causato dall’attrito della testa omerale
col legamento coraco-acromiale.
Test di Jobe
deficit di forza all’elevazione contro resistenza
dell’arto abdotto a 90° e flesso a 20°
è indice di una lesione del sovraspinoso
Test di Yocum
dolore all’elevazione del gomito contro resistenza
con la mano sulla spalla controlaterale
è indice di conflitto a livello dell’arco coraco-acromiale
Tramite Risonanza Magnetica si possono verificare eventuali lesioni del sovraspinoso; invece
con una Radiografia in 2 proiezioni, più eventuali oblique, si possono rivelare calcificazioni
che dovute a tendinopatie croniche.
Terapia in Caso di Sindrome da Conflitto
La Terapia in caso di Sindrome da Conflitto può essere:
CONSERVATIVA
CHIRURGICA
FKT in fase acuta e cronica
Riparazione Artroscopica
+ FANS in fase acuta
Riparazione a Cielo Aperto
+ Terapia infiltrativa
- Terapia chirurgica: Suture
- Esercizi di potenziamento muscolare con elastici sotto i 90°
- Esercizi di articolarità e stretching in caso di rigidità
- Idrochinesiterapia
- Terapia fisica antidolorifica e/o antinfiammatoria (Tecar,
Laser, Ipertermia)
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Riabilitazione dopo Terapia Chirurgica
La riabilitazione relativa ad intervento chirurgico prevede 4 fasi
1^ FASE: 0-30 GIORNI
- Tutore reggibraccio in lieve abduzione
- Esercizi di recupero articolarità passiva (pendolari ecc.)
- Idrochinesiterapia (dopo la rimozione dei punti)
- Esercizi di mobilizzazione attiva del gomito
- Tecarterapia e laserterapia
- Massoterapia (in genere vi sono contratture al trapezio)
2^ FASE: 30-60 GIORNI
- Rimozione del tutore reggibraccio
- Esercizi di recupero articolarità attiva e passiva
- Idrochinesiterapia
- Esercizi di mobilizzazione attiva con pesi ed elastici sotto i 90°
3^ FASE: 60-90 GIORNI
- Potenziamento
- Propriocezione (non utilizzare il trapezio, ma i muscoli
dell’articolazione gleno-omerale)
4^ FASE: 90-120 GIORNI
- Ripresa graduale dell’attività anche sportiva
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9. LA SPALLA: INSTABILITÀ
La stabilità della spalla è garantita da un complesso
sistema capsulo-legamentoso che a livello gleno-omerale è
rappresentato dal Cercine Glenoideo, con annesso il capo
lungo del bicipite, rinforzato dai legamenti gleno-omerali
superiore, medio e inferiore, e dalla Cuffia dei Rotatori che
avvolge il tutto come un guscio. Il sistema del cingolo
scapolare inoltre, tramite le altre 3 articolazioni della
spalla contribuisce a distanza al corretto assetto articolare.
Lussazioni Scapolo Omerali
La lussazione è la perdita dei normali rapporti tra i capi articolari di un’articolazione, cioè uno
spostamento permanente delle superfici articolari l'una rispetto all'altra; è detta Completa se
la perdita dei rapporti fra le due superfici è totale, quando invece resta un contatto parziale, si
parla di Lussazione Incompleta o di Sublussazione.
È molto importante definire il periodo o Timing intercorso dal trauma, in quanto più i capi
articolari restano lussati, più i tessuti molli (soprattutto i tessuti muscolari) si retraggono ed è
difficile la riduzione incruenta e l’esito senza eccessivi danni permanenti.
Recenti
Inveterata
entro 24-36 h
considerata tale sia in funzione del tempo trascorso dal
dall’evento traumatico
trauma, sia della rapidità di cicatrizzazione spontanea dei
tessuti capsulari
Recidivanti
Abituali
Volontarie
riprodotte per un nuovo
riprodotte con facilità senza
riprodotte intenzionalmente
evento traumatico
episodi traumatici
dal paziente (no dolore)
(strutture lasse)
La Lussazione Scapolo-Omerale è la più frequente delle lussazioni ad eziologia traumatica, e a
causa della vasta gamma di mobilità della spalla, può avvenire in tutte le direzioni in base alla
direzione della forza (in genere un trauma indiretto con mano atteggiata a difesa).
Dal punto di vista dell’Anatomia Patologica, in base alla direzione della lussazione, cioè dove
va a situarsi la testa dell’omero rispetto alla glena, si distinguono:
Lussazioni Anteriori
- Sottocoracoidea: testa omero si posiziona sotto al processo coracoideo scapolare;
- Sottoglenoidea: testa omero si posiziona sotto al margine glenoideo inferiore;
- Infracoracoidea: testa omero si pone medialmente alla coracoide;
- Sottoclavicolare: testa omero si posiziona sotto la clavicola (rara e grave, presenza arteria succlavia);
- Sovracoracoidea: testa omero si situa anteriormente alla coracoide.
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Lussazioni Posteriori
- Sottoacromiale: testa omero si pone sotto l’acromion;
- Sottospinosa: testa omero si pone sotto al processo spinoso (più medialmente).
La lussazione più frequente è quella anteriore sottocoracoidea
Lesioni Capsulo Articolari in Caso di Lussazione
Considerando le strutture anatomiche interessate in caso di lussazione si possono avere le
seguenti Lesioni Capsulo Articolari:
- Bankart: quando la testa omerale va a lussarsi anteriormente, i
tessuti di contenzione anteriori si stirano e viene ad essere urtato il
margine anteriore della scapola; quindi si può avere il distacco del
legamento gleno-omerale inferiore, che può essere associato ad una
lesione ossea della glena anteriore (a seguito di traumi potrebbe
capitare che il labbro glenoideo, che protegge il margine della cavità, si
distacchi da essa, andando a formare una specie di tasca nella quale la
testa dell’omero va ad inserirsi).
La lesione di Bankart del cercine è una lesione antero-inferiore (in direzione della testa
omerale che viene lussata anteriormente); si possono avere poi la Bankart Ossea, nella quale
c’è una lesione anche del margine antero-inferiore della glena e la Bankart Inversa, nelle
lussazioni posteriori (cercine posteriore).
La problematica di Bankart è che fino a quando la lesione non viene trattata, la lussazione
tenderà a recidivare in modo
molto frequente, creando ulteriori
danni all’articolazione; è il danno
più frequente dopo una lussazione
anteriore di spalla e può
interessare anche la lesione del
cercine del periostio.
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- Perthes: è come la lesione di Bankart, ma con il periostio integro, ovvero il cercine
rimane ancorato al periostio, che non si stacca dalla superficie della scapola.
- Alpsa – Anterior Labral Periosteal Sleeve Avulsion: è una Perthes in cui il periostio
rimane integro, ma non solo rimane attaccato alla corticale anteriore della scapola,
ma non c’è neanche un distacco parziale dello stesso.
- Glad – Gleno Labral Articular Disruption: c’è anche un interessamento della
superficie cartilaginea della glena.
- Slap – Superior Labrum Anterior and Posterior: è una delle più frequenti, nella
quale è interessato anche il capo lungo del bicipite: è una lesione del cercine nella
parte superiore (anteriormente e posteriormente), con eventuale avulsione
(distacco più o meno evidente) del capo lungo del bicipite.
- Hill Sachs Lesion: il margine anteriore della glena (nel momento in
cui la testa omerale viene ad essere lussata) provoca un’incisura a
livello della testa omerale dove, sotto la corticale, c’è la spongiosa che
può venire interrotta dal margine anteriore della glena (che invece
rimane integro). Pertanto questa lesione
avviene sulla testa omerale provocata
dall’incisura della glena anteriore.
Immaginando la glena come un orologio,
la Slap si manifesta tra le ore 10 e le ore
2 (superiormente), mentre la Bankart
tra le ore 3 e le ore 6 (antero
inferiormente).
Diagnosi di Trauma alla Spalla
La diagnosi viene effettuata tramite:
Anamnesi
Clinica
RX o Risonanza Magnetica
Nell’Anamnesi il paziente ci racconta che di un trauma sportivo o di una caduta che ha
provocato una concussione sulla spalla. Nella Diagnosi Clinica i principali segni e sintomi di
una lussazione acuta gleno omerale sono:
- forte dolore;
- arto atteggiato in posizione antalgica (il soggetto regge il braccio per non sentire dolore;
posizione variabile in base al tipo di lussazione);
- segno della spallina (c’è il segno dell’acromion);
- tumefazione palpabile della testa omerale (in soggetti
non obesi, o che non hanno eccessiva muscolatura)
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Nell’effettuare esami radiografici, solitamente si effettua una semplice Radiografia ai RX in
corrispondenza di fatti acuti, mentre si utilizzerà una Risonanza Magnetica per fatti cronici.
La RX in 2 proiezioni nel fatto acuto è sufficiente per la diagnosi (a cui segue una manovra di
riduzione); la RMN va effettuata in un secondo tempo, dopo uno o più episodi
di lussazione, per valutare i danni ai tessuti molli.
In una spalla normale, in sezione frontale, si nota il labbro glenoideo,
rappresentato da un triangolo nero superiormente e da un triangolo nero
inferiormente.
Invece, in una spalla con una lesione di tipo SLAP, il triangolo nero che
rappresenta il cercine glenoideo, non è in continuità con la glena; infatti, tra i
due c’è un’area bianca, che rappresenta la diastasi (ovvero la lesione da
distacco del margine superiore del cercine glenoideo).
Terapia per la Lussazione della Spalla
La terapia delle lussazioni in acuto, consiste nella riduzione della stessa, riportando l’omero
nella sede anatomica: è importante attuarla il più precocemente possibile, per evitare la
retrazione dei tessuti molli e di conseguenza la difficoltà di farlo in un secondo tempo.
Il concetto base della manovra riduttiva (varia in base al tipo di lussazione, ad es: anteriore o
posteriore) è quello secondo il quale, il movimento di riduzione deve essere uguale e
contrario a quello che ha generato la lussazione (NDR: farsi raccontare l’episodio traumatico,
osservare tramite palpazione dove è situata la testa omerale o osservarla dalla radiografia).
Importante è anche la sensibilità cutanea a livello del deltoide (eleva e abduce la spalla), in
quanto tale muscolo è innervato dal nervo circonflesso (posizionato inferiormente e
distalmente alla testa omerale, circa 4-5 cm al di sotto del collo dell’omero). In caso di
lussazione traumatica il nervo circonflesso può venire stirato, provocando deficit di forza del
deltoide che non si può osservare in acuto a causa dell’elevato dolore; si può però valutare la
sensibilità nell’area cutanea innervata dal nervo circonflesso (al di sopra del deltoide): se c’è
un deficit di sensibilità in tale zona c’è stata una lesione da stiramento del nervo circonflesso.
Quindi prima della manovra è fondamentale verificare perché si potrebbero provocare danni.
Nel passato sono stati inventati numerosi metodi per ridurre le lussazioni.
- Manovra di Kocher: attualmente è la manovra più utilizzata:
- abduzione + extrarotazione
allontanamento del gomito dalla cassa toracica
- trazione
quindi riduzione della testa omerale
- adduzione + trazione caudale
distalmente per rimettere la testa dell’omero a livello della glena
- intrarotazione + adduzione
immobilizzazione con tutore o fasciatura desault
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- Manovra di Ippocrate e Galeno: meno utilizzata perché più
traumatica, consiste nella trazione dell’arto in cui, il piede
dell’esaminatore viene messo all’interno dell’ascella del paziente
disteso a terra.
- Manovra di Stimpson: il paziente è prono sul lettino con un peso legato al
polso, in modo che il polso possa essere distratto e la spalla possa,
passivamente, avanzare; di solito si attua per le lussazioni posteriori.
-Manovra di Matsen: ci si aiuta con collaboratore che tiene un asciugamano al
di sotto dell’ascella, per trazionare la cassa toracica in senso opposto a quello
della spalla, mentre il medico traziona la spalla in senso distale.
- Manovra di Snowbird: il paziente viene messo seduto e si usa il margine
superiore della sedia per bloccare la glena, mentre la spalla viene trazionata
distalmente.
- Manovra di Spaso: il paziente è supino (rilassato) e, tramite manovre di
intrarotazione ed extrarotazione, (aiutandosi, in genere, con una mano che
sente la testa dell’omero inferiormente alla glena e la riporta in posizione) la
spalla viene ad essere ridotta ed immobilizzata.
L’immobilizzazione a seguito della riduzione è necessaria e dura 3 settimane, per permettere
ai tessuti molli di guarire; l’immobilizzazione avviene con un tutore di tipo desault, o con una
fasciatura di tipo desault (bendaggio in fasce di cotone di germania di
tensoplast che mantiene il gomito contro il fianco con interposizione di
un cuscinetto nel cavo ascellare, per bloccare l’articolazione; non
essendo rimovibile, per 3 settimane non è consigliabile, ma è preferibile
usare un tutore, che immobilizza il braccio in intrarotazione ed
adduzione e che può essere rimosso parzialmente per permettere al
paziente di lavarsi).
Riabilitazione in Seguito a Trauma di Lussazione della Spalla
La riabilitazione della spalla prevede 3 fasi:
1^ FASE: 0-15 GIORNI DALLA RIMOZIONE DEL TUTORE
- esercizi di articolarità attiva e passiva (piccoli esercizi di mobilizzazione di mano, polso e
gomito, per ridurne la rigidità da immobilizzazione);
- esercizi pendolari (spalla viene mossa come un pendolo);
- massoterapia (massaggi per evitare contratture muscolari, specialmente a livello del deltoide);
- idrochinesiterapia.
Tutte queste attività vanno svolte ovviamente a tutore rimosso; durante il periodo di tutore,
invece, si può fare solo mobilizzazione del polso e del gomito, per evitare di allontanare la spalla
dalla posizione corretta.
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2^ FASE: 15 - 30 GIORNI DALLA RIMOZIONE DEL TUTORE
- esercizi di rinforzo isotonico con pesi ed elastici;
- ginnastica in acqua.
3^ FASE: 30-60 GIORNI DALLA RIMOZIONE DEL TUTORE
- esercizi aumentano di intensità;
- aumento dei carichi, sia per gli elastici che per i pesi.
Dopo i 60 giorni ci può essere una graduale ripresa dell’attività specifica; tuttavia, l’attività
sportiva si consiglia non prima di 3 mesi dall’episodio di lussazione, per possibili recidive legate
al fatto che i tessuti molli per guarire (NDR: esistono lesioni croniche) hanno bisogno di almeno
90 giorni di tempo per cicatrizzare e formare un tessuto di riparazione, che permetta una
normale ripresa dell’attività.
È fondamentale dopo un episodio di lussazione scapolo omerale, mantenere un buon trofismo del
deltoide e dei muscoli della cuffia, perché bisogna compensare le microinstabilità che derivano
dalle lesioni anatomiche delle strutture di contenzione che si hanno dopo la lussazione.
In caso di recidiva (secondo o terzo episodio di lussazione) è indicato l’intervento chirurgico di
stabilizzazione della spalla (prima a cielo aperto intervento di Latargè; ora in endoscopia, si
suturano i tessuti lesionati, cercine glenoideo o capsula, facendo in modo che la testa omerale
venga ad essere localizzata nella glena e non ci siano instabilità residue).
Instabilità Scapolo-Omerale Cronica
È conseguente all’episodio di lussazione acuta ed è l’incapacità del labbro glenoideo a
mantenere nella sua posizione la testa omerale, pertanto si tratta di un’incontinenza
dell’articolazione, che predispone ad episodi di sublussazione e lussazione, con dolore
anteriore e tipiche lesioni anatomiche.
Può essere acuta (conseguente ad un unico episodio di lussazione) o cronica (conseguente a
ripetuti episodi di sublussazione, dovuti ad una lesione del cercine insorta dopo un primo
episodio di lussazione acuta); in base al tipo ed alla sede della lesione, può essere anteriore,
posteriore o multidirezionale (la più complessa).
Diagnosi di Instabilità Scapolo-Omerale Cronica
La diagnosi viene effettuata tramite:
Anamnesi
Clinica
RX o Risonanza Magnetica
Nella Diagnosi Clinica i test specifici per definire l’instabilità sono di diverso tipo:
- Test del Cassetto Anteriore e Posteriore: l’esaminatore prende con una
mano la testa dell’omero e la muove anteriormente e posteriormente
(spalla controlaterale come confronto); in caso si notasse una maggiore
lassità, ovvero l’escursione articolare della testa omerale è maggiore del
normale range, ciò indica una lesione delle strutture anteriori o posteriori.
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- Test del Sulcus Sign: consiste nella presenza di una distanza maggiore tra la
testa omerale e l’acromion della spalla interessata, rispetto alla controlaterale
(perché le strutture di contenzione sono più lasse).
- Test dell’Apprensione: si fa a paziente supino, mentre l’esaminatore
esegue un’extrarotazione forzata della spalla; nel momento in cui la
spalla raggiunge una posizione tale, nella quale si ha un’eccessiva
stimolazione del cercine e delle strutture di contenzione, il paziente dà
uno stop verbale (per paura, in quanto sa che quel movimento può
provocargli una lussazione, avendolo già provato).
- Test di O’Brien: è un test in cui il paziente viene stimolato ad eseguire
un’elevazione della spalla, ovvero a portare la spalla superiormente con
l’arto intraruotato; il medico, ad un certo punto, contrasta la forza del
paziente e lascia improvvisamente il braccio. Questo fa sì che, se c’è una
lesione di tipo Slap, il paziente accusa dolore, in quanto si ha un
movimento eccessivo del cercine che è staccato e provoca dolore.
Nelle instabilità croniche, una semplice radiografia difficilmente è di
aiuto nella diagnosi, a meno che non ci siano evidenti lesioni ossee di
tipo Bankart.
È quindi fondamentale la risonanza magnetica per valutare l’integrità
del cercine ed altre alterazioni dei tessuti molli.
Si può vedere il cercine distaccato, con un’area bianca intorno che indica il
versamento all’interno dell’articolazione, con diastasi del cercine dal
margine anteriore della glena.
La tomografia computerizzata - TAC può essere utile per valutare nel
dettaglio le lesioni a livello osseo (che possono non essere evidenti a
livello radiografico).
Terapia per Instabilità Scapolo-Omerale
La Terapia può essere:
CONSERVATIVA
CHIRURGICA
consiste nel potenziamento
consiste in una stabilizzazione
dei muscoli della cuffia e del deltoide,
per via artroscopica
per stabilizzare meglio
o per via artrotomica
dal punto di vista muscolare
(incisione - casi complessi)
La terapia chirurgica si usa quando la conservativa non ha più effetto ed il paziente continua
ad accusare instabilità e dolore, con impossibilità ad effettuare attività sportive o quotidiane.
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Esempi di Terapia Chirurgica
Per esito di una lesione Bankart del cercine anteroinferiore, si inseriscono due canule per via
artroscopica e poi si applicano 1,2, 3 o 4 ancorette a livello della glena ossea (il numero
dipende dall’entità lesione); con un filo si sutura il cercine e lo si riattacca alla glena stessa,
riformando la struttura di contenzione. In questo caso agisce come una guarnizione, il cui
effetto non è solo quello di contenere i margini della testa omerale, ma anche quello di
un’azione di suzione (come una ventosa), in modo che ci sia una componente di pressione
negativa, che tiene la testa dell’omero aderente alla glena stessa.
In caso di cercine distaccato, si prepara con appositi strumenti, viene isolato, si cruenta la zona
di inserzione precedente (zona di transizione); attraverso delle canule, si inserisce un filo di
sutura che viene ad essere legato così che il cercine torni ad essere nuovamente annesso alla
superficie della glena.
Riabilitazione per Instabilità Scapolo-Omerale
Dopo una fase di immobilizzazione di circa 25 giorni, la fase riabilitativa consiste nella
rieducazione motoria, con riattivazione delle catene cinetiche muscolari e nervose e recupero
progressivo dell’articolarità attiva e passiva. Si possono eseguire:
esercizi pendolari
esercizi isotonici
esercizi isometrici
esercizi di abduzione (< 90°)
esercizi di stretching
esercizi con pesi o elastici
Lussazione Acromion-Claveare
È un altro tipo di lussazione, che spesso viene confusa con quella gleno-omerale, dalla quale
invece differisce molto. Infatti, mentre la lussazione gleno-omerale avviene tra la testa
dell’omero e la glena, la lussazione acromion-claveare avviene tra l’acromion e l’estremità
acromiale della clavicola.
È una lesione, parziale o totale, dei legamenti che uniscono la clavicola e la scapola; ha
un’origine traumatica ma, generalmente, è causata da traumi diretti sulla spalla.
Si distinguono 3 gradi di lussazione, in base all’entità della lesione:
1°GRADO
2°GRADO
3°GRADO
semplice distrazione
lesione del legamento
lesione del legamento
della capsula articolare
acromion-claveare,
acromion-claveare
acromion-claveare
senza eccessivo
associata alla lesione dei
allontanamento dei capi
legamenti coraco-clavicolari*
articolari
(conoide e trapezoide)
*Questi legamenti servono per tenere abbassata la clavicola; una loro
lesione allontana la clavicola dall’acromion (a differenza delle
lussazioni di 1° e 2° grado, può essere evidente a livello radiografico).
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Diagnosi di Lussazione Acromion-Claveare
La diagnosi viene effettuata tramite:
Anamnesi
Clinica
RX o Risonanza Magnetica
CLINICA
RX o RMN
- Dolore
In caso di lussazione di 3° grado, l’acromion
- Ematoma eventuale
resta al suo posto assieme anche al processo
(in base all’entità del trauma che ha generato la lussazione)
coracoideo, mentre la clavicola (privata dei
- Tumefazione
legamenti trapezoide e conoide) viene ad
- Segno del tasto di pianoforte a livello della
alzarsi.
clavicola, questa viene ad essere sollevata
(l’esaminatore la preme con un dito e si abbassa;
specialmente nel 3° grado)
Terapia per Lussazione Acromion-Claveare
La Terapia può essere:
CONSERVATIVA
CHIRURGICA
Nelle lussazioni di 1° e 2° Grado è
Nelle lussazioni di 3° grado è necessaria la
necessaria immobilizzazione con tutore
chirurgia, altrimenti i tessuti guariscono in
desault per circa 20 gg (permette
elongazione ed i legamenti trapezoide e
cicatrizzazione dei tessuti).
conoide non guariscono (perché sono
In fase acuta: per controllare il dolore si
troppo diastasati).
assumono Fans e si esegue fisioterapia;
- Endobutton: usati per ridurre la distanza tra la clavicola
In fase cronica: si esegue rinforzo
muscolare.
e la scapola; inseriti tramite tunnel ossei sulla coracoide e
sulla clavicola stessa (endobutton è un dispositivo che
svolge la funzione del legamento naturale);
- vite tra la coracoide della scapola e la clavicola;
- placche inserite sotto l’acromion, con delle viti sulla
clavicola.
Successivamente all’intervento, dopo un’immobilizzazione in tutore per circa un mese, si
iniziano gli esercizi riabilitativi di rinforzo e articolarità.
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10. LA CAVIGLIA: LESIONI LEGAMENTOSE
La Caviglia, anche detta Articolazione Tibio-Tarsica o Talocrurale, è una diartrosi di tipo
ginglimo a varietà troclea. I capi articolari che ne fanno parte sono:
estremità inferiore
malleolo tibiale
della tibia
(mediale)
malleolo peroneale
(laterale)
astragalo
(domo / cupola astragalica)
alloggiato tra i due malleoli
malleoli formano il mortaio
tibio-peroneo-astragalico
Sezione frontale: si vede al centro l’astragalo, superiormente ad
esso la tibia, inferiormente ad esso il calcagno.
Sezione sagittale: da destra si vede al centro l’astragalo con il suo
domo (cupola), superiormente ad esso la tibia con la sua
articolazione, postero-inferiormente ad esso il calcagno,
anteriormente ad esso lo scafoide (o navicolare).
La caviglia è più specificatamente una troclea ad asse trasversale (da sotto l’apice del malleolo
mediale, alla parte più spessa del malleolo laterale) che attraversa l’astragalo, formando il
mortaio tibio-fibulare. La superficie articolare dell’astragalo è costituita dal domo astragalico
(la vera e propria troclea) e da due faccette articolari (mediale e laterale), che vengono in
contatto rispettivamente con il malleolo mediale ed il malleolo laterale, nella loro superficie
cartilaginea articolare. Il tutto è avvolto da una spessa capsula articolare a 360°, rinforzata da
una serie di legamenti. I legamenti di rinforzo sono:
- Legamento Tibio-Peroneale Anteriore
- Legamento Tibio-Peroneale Posteriore
A ponte tra la tibia ed il perone c’è una membrana
interossea, che mette in comunicazione il periostio della
tibia con quello del perone, ed è attraversata dall’arteria
interossea e dalla vena interossea (la membrana interossea
è una continuità del periostio di tipo fibroso).
Medialmente a rinforzo della capsula c’è il Legamento Deltoideo che prende il nome dalla sua
forma simile alla lettera greca), il quale presenta componenti:
- Tibio-Scafoidea: dal malleolo tibiale allo scafoide
- Tibio-Astragalica Anteriore
- Tibio-Calcaneare
- Tibio-Astragalica Posteriore
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Lateralmente invece possiamo trovare:
- Legamento Peroneo-Astragalico Anteriore: tra perone ed astragalo
anteriormente;
- Legamento Peroneo-Calcaneare: tra l’apice del perone ed il calcagno;
- Legamento Peroneo-Astragalico Posteriore: tra l’apice del perone ed il
margine posteriore dell’astragalo.
L’arco di movimento permesso dalla caviglia non è particolarmente ampio:
- flessoestensione, avviene esclusivamente a livello della tibio-tarsica (ovvero
a livello del mortaio) per circa 70° gradi, in senso antero-posteriore;
- pronosupinazione, del piede avviene quasi esclusivamente a livello della
sotto-astragalica (tra astragalo e calcagno) per circa 5° (sia in inversione che
in eversione).
Tutti gli sport e le attività ricreative, per via di contrasti, cambi di direzione e
movimenti di torsione che mettono a rischio la resistenza dei legamenti di
rinforzo dell’articolazione, comportano il rischio di lesioni traumatiche (calcio, volley, basket e
rugby sono tra gli sport più a rischio di lesioni legamentose della caviglia).
Generalità sulle Distorsioni alla Caviglia
Per distorsione si intende un trauma che sollecita un’articolazione al di là dei gradi fisiologici
del movimento. Si distinguono tre gradi, in base alla quantità di fibre del legamento che
vengono ad essere interessate:
1° GRADO
Il legamento conserva la propria stabilità ma c’è un
sovvertimento interstiziale delle fibre.
La continuità è mantenuta, c’è solo un’elongazione
(infiammazione)
che può essere associata anche ad un’ecchimosi
(ematoma) per la rottura di alcuni vasi
2° GRADO
Vi è una lacerazione parziale di uno o più legamenti,
con la possibilità di una lesione articolare associata.
Implica una quantità di fibre < al 50% del totale
3° GRADO
È presente una lacerazione completa di almeno un
legamento, con alta probabilità
di una lesione articolare associata
(distacco, tra i due monconi del legamento stesso)
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Distorsioni del Comparto Laterale
Sono le distorsioni laterali di caviglia e rappresentano la lesione più
comune negli sport di salto e corsa. Avvengono generalmente nei cambi
di direzione o nell’atterraggio da un salto, nel quale il piede è in
inversione (pronazione) con elongazione delle strutture laterali.
Il trauma in inversione, con varismo del retropiede, adduzione dell’avampiede ed equinismo
della tibio-tarsica, portano a lesione del compartimento esterno con lesione dei legamenti.
I legamenti hanno diversa resistenza e diversa morfologia, in base alla loro forza ed alla loro
resistenza ci sono legamenti che vengono interessati maggiormente di altri (in base ai Newton
di resistenza alla forza):
Peroneo Astragalico Anteriore
Peroneo Astragalico
Peroneo Calcaneare
(PAA)
Posteriore (PAP)
(PC)
139 N di forza
260 N di forza
345 N di forza
400 N/cm di resistenza
317 N/cm di resistenza
705 N/cm di resistenza
(il meno resistente / il più interessato)
(mediamente resistente)
(è il più resistente)
Diagnosi della Distorsione del Comparto Laterale
La Diagnosi Clinica avviene tramite:
- Anamnesi: il paziente racconta il tipo di trauma (in inversione),
l’attività che lo ha generato, il tempo che è passato ed il tipo di
dolore che ha.
L’infortunio crea tumefazione, dolore e limitazione funzionale:
- Tumefazione: può essere solo un edema ma più frequentemente si tratta di un ematoma,
perché nell’interessamento legamentoso si possono interrompere dei capillari o delle piccole
vene che danno origine ad uno stravaso nel sottocutaneo;
- Dolore e Limitazione Funzionale: di tipo antalgico (non meccanico), in quanto il dolore si
presenta durante il tentativo di movimento attivo o di mobilizzazione passiva.
Nella Diagnosi da Valutazione Radiologica possiamo intervenire con:
- Radiografia – RX: si valuta il trauma nelle proiezioni laterale ed anteroposteriore + la
proiezione per la sindesmosi (proiezione obliqua nella quale si viene a valutare l’integrità
della sindesmosi tra tibia e perone); se non ci sono lesioni ossee, difficilmente vengono ad
essere visibili lassità legamentose a livello di una RX semplice, mentre ciò che è visibile è un
eventuale allontanamento tra tibia e perone, senza frattura, con indicazione sull’interruzione
della sindesmosi.
- Ecografia: qui si vede se è presente un versamento e se c’è integrità legamentosa.
- Risonanza Magnetica – RMN: è ancora più dettagliata, mentre difficilmente si esegue una
Tac – TC perché non essendoci una componente ossea lesionata è inutile (la TC si esegue per
sospetta frattura o microfrattura, che potrebbe sfuggire alla semplice RX).
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Trattamento della Distorsioni del Comparto Laterale
Il trattamento di prima scelta è quello Conservativo ed è fondamentale per la maggior parte
delle lesioni; solo i pazienti con una lesione di 3° grado, con avulsione ossea (distacco), hanno
Indicazione Chirurgica (con avulsione ossea, si tende a reinserire, con una vite o un’ancoretta,
il frammento di osso con annesso il legamento interrotto). Nelle lesioni di 3° grado senza
avulsione ossea, si può fare un tentativo di trattamento conservativo (passando in un secondo
tempo ad indicazione chirurgica, se non si ha avuto successo con il trattamento conservativo).
- 1^ Fase Trattamento Conservativo: consiste nel R.I.C.E.*, immobilizzazione in tutore e carico
a tolleranza, con eventuale fisioterapia – FKT antalgica e drenante tramite Tecar.
- 2^ Fase Trattamento Conservativo: prevede un recupero dell’articolarità e potenziamento
muscolare con esercizi di propriocezione che vanno intrapresi all’attenuazione del dolore.
*R.I.C.E. – R EST I CE C OMPRESSION E LEVATION
- REST: riposo immediato dopo aver subito il trauma.
- ICE: il ghiaccio va utilizzato ad intervalli di alcune ore, ma mai più di 10-15 minuti,
altrimenti si rischia un’ustione da freddo della pelle.
- COMPRESSION: si attua una compressione con fasciatura applicata da distale a prossimale,
per evitare stasi venose e linfatiche; viene sempre fasciato anche il piede, altrimenti si strozza
la circolazione ed anziché avere una diminuzione dell’edema se ne avrà un aumento.
- ELEVATION: l’arto infortunato va posizionato in scarico, in elevazione, così si impedisce
che, per la gravità, si abbia un ristagno di fluidi a livello dell’articolazione della caviglia.
Distorsioni del Comparto Mediale
Le distorsioni mediali sono più rare, perché il legamento deltoideo è più resistente dei
legamenti laterali e spesso si associano a traumi a più alta energia (che si possono associare
anche a lesioni ossee). Il trauma in eversione, con valgismo del retropiede ed abduzione
dell’avampiede, porta ad una lesione del compartimento interno con interessamento (in
ordine dal meno resistente al più resistente):
legamento tibio-scafoideo
legamento tibio-calcaneare
legamento tibio-astragalico posteriore
legamento tibio-astragalico anteriore
Il legamento deltoideo è molto robusto e richiede una forza considerevole
per rompersi, ma quando si ha un trauma ad alta energia, può comunque
staccarsi. Esso si oppone all’abduzione del collo del piede ed una sua rottura
può avvenire per un trauma in pronazione-eversione, intrarotazione,
flessione plantare forzata o flessione dorsale forzata.
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Diagnosi delle Distorsioni del Comparto Mediale
Analogamente a quanto accade per le lesioni laterali, si basa sulla Diagnosi Clinica e sulla
Valutazione per Immagini (RX, RMN, TC).
Clinicamente dopo una distorsione, l’ematoma può scendere ed arrivare alla base delle dita del
piede (perché nel tessuto sottocutaneo, con paziente in piedi per effetto della gravità,
l’ematoma scende colorando di scuro anche le regioni distali alla sede dell’interessamento
traumatico).
A Livello Radiografico, nonostante l’integrità ossea, si può avere un eccessivo allontanamento
dell’apice del malleolo tibiale rispetto all’astragalo: ciò rappresenta un indice indiretto di
lesione del legamento deltoideo perché non c’è più la contenzione di tale legamento (indiretto
perché non si vede realmente il legamento nella radiografia, ma si vedono le superfici
articolari, solitamente tensionate da questo legamento, che vengono ad essere distanziate con
evidente interruzione del legamento stesso).
In una Risonanza Magnetica - RMN, frontalmente si possono osservare i due malleoli (tibiale e
peroneale); tra il malleolo tibiale e l’astragalo c’è un’interruzione del legamento peroneoastragalico posteriore. Se la RMN è fatta in acuto, si può osservare un’area più biancastra
sopra il domo astragalico, che rappresenta l’edema osseo (edema da impatto), ovvero la
sofferenza delle trabecole ossee dell’astragalo che si ha come conseguenza ad una contusione
ossea profonda, generata durante una distorsione (accade in tutte le articolazioni).
Trattamento delle Distorsioni del Comparto Mediale
Il trattamento delle lesioni del legamento deltoideo dipende dalle lesioni associate:
- lesioni di 1° e 2° grado: trattamento conservativo, con la tecnica del RICE;
- lesioni di 3° grado: vi è completa rottura del legamento e necessita riparazione chirurgica.
Spesso la lesione del legamento deltoideo si accompagna ad una lesione della sindesmosi
(membrana interossea) tibio-peroneale; nonostante non ci siano fratture, si ha un
allontanamento tra tibia e perone (evidenza di una lesione della sindesmosi), nonché un
allontanamento dell’apice del malleolo tibiale dall’astragalo (che è un segno diretto della
lesione del legamento deltoideo): in questi casi si mette una vite tricorticale (attraversa tre
corticali, due corticali del perone ed una corticale della tibia) e va ad avvicinare nuovamente
le due superfici articolari della sindesmosi, chiudendo il mortaio tibio-peroneo-astragalico.
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Riabilitazione delle Distorsioni del Comparto Mediale
1^ FASE: 0-15 GIORNI
- Bendaggio Funzionale: semirigido o bendaggio elastico;
- Idrochinesiterapia: per permettere una riabilitazione più veloce ed una mobilizzazione precoce
(in caso di intervento solo dopo la rimozione dei punti)
2^ FASE: 15 - 30 GIORNI
- Rimozione Bendaggio;
- Tutore Bivalva: inseribile nella scarpa, ha contenuto aereo (cuscinetto) per stabilizzare
l’articolazione (flesso-estensione si; prono-supinazione no);
- Potenziamento Muscolare, FKT e Cyclette: carico a tolleranza, cioè in base al dolore.
3^ FASE: 30-45 GIORNI
- Propriocezione.
3^ FASE: dai 45 GIORNI in poi
- Carico Gradualmente Completo
(deve essere rimossa la vite tricorticale, in quanto nella deambulazione i piccoli movimenti tra tibia e perone
possono rompere la vite rendendone difficile la rimozione; esistono viti riassorbibili,
che non vanno rimosse perché si riassorbono anche se si rompono).
- Tapis Roulant
4^ FASE: 4-6 MESI
- Preparazione Atletica: per il ritorno allo sport ed il reintegro nello sport specifico.
Fratture del V Metatarso
Sono fratture particolari perché possono essere associate a
lesioni legamentose e spesso possono avvenire durante
attività sportive, in pazienti atletici che attuano ripetute
sollecitazioni meccaniche.
La base del V metatarso è la sede principale delle fratture da stress.
Eziopatogenesi delle Fratture del V Metatarso
Varia in base alla sede e ne esistono 3 tipologie.
- Frattura da Avulsione
È la frattura tipica della base del V metatarso. Qui si inserisce il
tendine del muscolo peroneo breve che, insieme al peroneo
lungo, è uno dei due muscoli laterali della gamba.
Quando si ha un trauma nel quale vi è un’elongazione del
peroneo breve ed il tendine resiste al trauma, se c’è un osso non
troppo calcificato(osteoporosi o eccessiva sollecitazione
sull’inserzione tendinea), si può avere una frattura da avulsione ovvero il tendine resiste e si
stacca la base del 5° metatarso.
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- Frattura di Jones
È una frattura traumatica che avviene in una piccola area del V
metatarso, che riceve meno sangue e quindi guarisce lentamente.
Una frattura di Jones può essere una lesione da stress (tante
microfratture ripetute) oppure una rottura acuta (traumatica); tali
fratture sono causate da episodi microtraumatici ripetuti (soprattutto
nei maratoneti o in chi utilizza scarpe errate).
- Frattura da Stress
Colpisce principalmente gli atleti all’inizio della stagione sportiva.
Si lamenta dolore alla base del V metatarso e possono essere presenti ecchimosi
ed edema nel sito della frattura, legati ad una graduale distruzione delle
trabecole nella sede interessata dai microtraumi dovute all’interruzione dell’osso
(spesso fastidio e dolore nella sede sono presenti già nel mese precedente).
Meno frequentemente interessa le altre ossa metatarsali.
Trattamento delle Fratture del V Metatarso
Dopo una frattura della base del 5° metatarso, è previsto un Trattamento Chirurgico a meno
che non ci sia una frattura composta (comunque gesso, immobilizzazione e ripresa ritardata).
La frattura trattata chirurgicamente non prevede gesso, pertanto permette:
- precoce mobilizzazione,
- minor insufficienza muscolare,
- ripresa precoce.
Dopo diagnosi radiografica il trattamento chirurgico avverrà tramite sintesi ottenuta con vite
a compressione, inserita dalla base alla diafisi (in senso prossimo-distale) per quanto riguarda
le fratture più distali; oppure si può mettere un cerchiaggio (due fili di metallo inseriti
all’interno dell’articolazione, con un cerchiaggio di metallo ad “8” per bloccare i fili sul
moncone distale della frattura e compattarla) o vite a compressione per le fratture prossimali.
Riabilitazione delle Fratture del V Metatarso
1^ FASE: 0-20 GIORNI
- Bendaggio Funzionale Semirigido: per evitare edemi dovuti alla riduzione.
2^ FASE: 20 - 30 GIORNI
- Rimozione Punti;
- Idrochinesiterapia, Potenziamento Muscolare, FKT.
3^ FASE: 30-45 GIORNI
- Propriocezione e Cyclette.
4^ FASE: dopo 3 MESI
- Corsa e Ripresa Graduale dell’Attività Sportiva.
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11. FRATTURE DEL COLLO PIEDE E ROTTURA DEL TENDINE DI ACHILLE
Nell’articolazione tibio-peroneo-astragalica si svolge prevalentemente il
movimento di flesso-estensione del piede, per cui tutte le sollecitazioni
che imprimono all’astragalo un movimento rotatorio secondo l’asse
sagittale (pronazione-valgizzazione o supinazione-varizzazione) o
secondo quello verticale (intrarotazione o extrarotazione) sono destinate
a provocare, se superano una certa intensità, un danno osteoarticolare.
Al danno osseo si associa quasi sempre una lesione dei legamenti, la rottura
dei quali permette un movimento tale da realizzare una lesione ossea.
I movimenti sono quelli in eversione ed inversione con interessamento delle
strutture mediali e laterali.
A seconda dell’interessamento dell’epifisi tibiale articolare, si distinguono 2 gruppi di fratture:
Fratture Malleolari
Fratture Articolari
Fratture Malleolari
Sono le fratture dei malleoli senza interessamento della cartilagine articolare della tibia e
possono essere distinte a loro volta in:
- Monomalleolari: coinvolgono un solo malleolo (tibiale, peroneale) o il terzo malleolo*
(Frattura di Destot)
- Bimalleolari: coinvolgono entrambi i malleoli, tibiale e peroneale; la morfologia articolare
viene ad essere distrutta, in quanto ci sono lesioni legamentose associate che attuano una vera
e propria sublussazione dell’astragalo rispetto al mortaio tibio-peroneale
- Trimalleolari: sono fratture che coinvolgono tutti e 3 i malleoli, tibiale, peroneale e terzo
malleolo (anche dette Fratture di Cotton);
- Malleolo-Sovramalleolari : interessamento di un malleolo e di una struttura a monte di esso;
sono fratture generate da traumi in torsione, nel quale avviene una lesione del malleolo tibiale
o del solo legamento deltoideo, in cui si ha una diastasi della pinza. In questi casi bisogna
valutare un’immagine radiografica prossimale, perché spesso all’immagine distale
corrisponde una frattura alta di perone (questo tipo di frattura si chiama Frattura di
Maisonneuve; invece la frattura del malleolo peroneale, circa 5-7 cm al di sopra dello stesso e
quindi non più frattura malleolare ma frattura diafisaria prossimale, si
chiama Frattura di Dupuytren).
*Il Terzo Malleolo è la porzione posteriore della tibia che si articola con
l’astragalo posteriormente; viene detta terzo malleolo in quanto si
tratta di una sporgenza che si valuta nella proiezione sagittale (a
differenza del peroneale e del tibiale non è visibile esternamente).
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Le fratture malleolari vengono classificate secondo la
Classificazione di Weber, che ne distingue 3 tipi in base
all’altezza:
Tipo A – Al di Sotto della Sindesmosi
- Generalmente è una frattura orizzontale;
- è una frattura trasversa del malleolo peroneale da avulsione (distacco);
- associata a frattura obliqua del malleolo mediale (non sempre);
-il trauma che la genera avviene in intrarotazione-adduzione
- frattura abbastanza stabile (non interessa la sindesmosi; mortaio resta in continuità)
Tipo B – A Livello della Sindesmosi
- Generalmente è una frattura obliqua o spiroide;
- è una frattura obliqua del malleolo peroneale a livello della sindesmosi;
- può essere associata ad una frattura del malleolo mediale;
- il trauma che la genera avviene in extrarotazione;
- maggiore frequenza di instabilità (in base all’interessamento della sindesmosi)
Tipo C – Al di Sopra della Sindesmosi
- Generalmente è una frattura orizzontale;
- è una frattura alta del perone, con rottura della sindesmosi;
- è frequentemente l’avulsione del malleolo mediale;
- il trauma che la genera avviene in extrarotazione ed adduzione o abduzione;
- è una frattura instabile.
Diagnosi delle Fratture Malleolari
La valutazione clinica consiste in Anamnesi e Valutazione Radiologica.
- Anamnesi: il paziente riferisce una sensazione di crack, di
osso rotto durante un trauma distorsivo di caviglia,
raccontando le modalità del trauma; all’esame obiettivo
saranno presenti: tumefazione (legata all’edema circolatorio,
che può anche essere associato ad ematoma), forte dolore,
impotenza funzionale (di tipo antalgico), deformità (se ci sono
monconi ossei che sporgono sotto la cute) ed eventuale
esposizione (se ci sono lesioni di continuo della pelle).
- Valutazione Radiologica: si esegue una RX in due proiezioni + eventuale proiezione della
sindesmosi; trattandosi di lesioni ossee, può essere utile una TC, per vedere nei particolari se
ci sono irradiazioni della rima a livello articolare o rime di fratture che possono essere
sfuggite a livello radiografico.
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Trattamento delle Fratture Malleolari
Ad oggi, salvo che per le fratture monomalleolari composte (che possono essere trattate con
apparecchio gessato a gambaletto), in genere si ricorre al trattamento chirurgico, perché il
gesso impedisce una precoce mobilizzazione, aumenta l’ipotrofia muscolare, ritardando i
tempi di guarigione dei tessuti muscolari circostanti; un intervento, invece, permette una
precoce mobilizzazione, una riduzione anatomica e non utilizza immobilizzazioni in
apparecchio gessato.
- Trattamento Conservativo: l’arto inizialmente è molto edematoso
(gonfio), pertanto se si facesse un gesso nella fase di edema (poche
ore o nel giorno successivo alla frattura) il gesso diventerebbe largo
ed incontinente, con il rischio di provocare una scomposizione
secondaria in gesso (la frattura composta può diventare scomposta, perché una volta che i
tessuti si sgonfiano, il gesso diventa largo e l’arto si muove liberamente al suo interno).
Per risolvere questo problema, solitamente viene inizialmente applicata una doccia gessata
(gesso aperto a gambaletto), ordinando al paziente di tenere l’arto in scarico (elevato) per far
defluire l’edema e far riassorbire l’eventuale ematoma; dopo circa 5-7 giorni, se l’edema si è
riassorbito, si fa un gambaletto gessato circolare (continuo), che risulta più anatomicamente
conformato per accogliere l’arto del paziente (quando si fa il gambaletto gessato chiuso, viene
sempre effettuata una RX di controllo, per valutare eventuali scomposizioni secondarie in
gesso che pongono indicazione chirurgica).
- Trattamento Chirurgico: consiste nella riduzione, cioè il riallineamento dei frammenti di
frattura, e nella loro sintesi, ovvero il bloccaggio dei frammenti di frattura (mezzi di sintesi più
utilizzati nelle fratture malleolari sono: Chiodo di Rush infibula endomidollare che si mette
nelle fratture trasverse di perone per allineare i monconi di frattura; Placca con Viti se le
fratture sono scomposte od oblique; Placca sul Perone, Viti sulla Tibia e Vite in Senso
Anteroposteriore in caso di fratture trimalleolari; Placca a Viti sul Perone e 2 Viti sulla Tibia in
caso di diastasi della pinza / interruzione della sindesmosi, ma una vite è molto più lunga in
quanto serve per riavvicinare il perone alla tibia riducendo la diastasi della sindesmosi e
permettendo una continenza migliore del mortaio tibio-peroneale-astragalico.
Riabilitazione delle Fratture Malleolari
Sia con terapia conservativa, che con terapia chirurgica, in genere si prescrive uno scarico per
30 giorni e deambulazione con due bastoni canadesi.
In caso di intervento, quindi in mancanza di gesso, è possibile una precoce
mobilizzazione:
- esercizi di articolarità della caviglia, prima passiva e poi attiva;
- potenziamento muscolare, per evitare l’ipotrofia.
60
La terapia antitrombotica serve per prevenire la trombosi, una delle complicanze più
frequenti nelle fratture degli arti inferiori (eparine a basso peso molecolare tramite punture
sulla pancia per tutto il periodo dello scarico); infatti un rallentamento del circolo, l’edema che
si forma e la possibile formazione di coaguli all’interno delle vene, possono creare flebiti o
trombosi (degenerano in edema polmonare se qualche frammento di trombo si inserisce nel
circolo venoso).
Nell fratture malleolari possiamo avere 4 tipi di Complicanze:
Immediate
Precoci
- turbe vascolari,
- flittene,
- lesioni vascolari acute,
stasi e distacco dello strato superficiale del derma ed un
interruzione della circolazione linfatica, con
riempimento di flittene da parte del liquido infiammatorio
- lesioni nervose,
- esposizione della frattura.
- flebiti e tromboflebiti,
- infezione,
in caso di esposizione o di intervento,
infezione batterica postoperatoria
Tardive
- pseudoartrosi,
mancata consolidazione, soprattutto
Specifiche
(in caso di trattamento chirurgico)
in caso di interposizione di tessuti molli tra i monconi
- stesse complicanze del T. conservativo,
- ritardo di consolidazione,
- lesioni vascolari e nervose intraoperatorie,
- viziosa consolidazione,
dovute a gesti chirurgici
nel tempo porta ad artrosi
- dolore locale da mezzi di sintesi,
post traumatica
- artrosi post traumatica,
per sovraccarico della
cartilagine articolare e rigidità
specialmente
a livello del perone, dove la pelle è molto sottile, se la placca
è troppo spessa od il paziente è troppo magro
- rottura dei mezzi di sintesi,
- deiscienze cutanee da decubito,
apertura
spontanea per la fuoriuscita di materiale contenuto
Si consiglia sempre di rimuovere i mezzi di sintesi nel momento in cui la frattura è guarita,
comunque non prima di 10-12 mesi dall’intervento chirurgico.
Fratture Articolari
Passiamo a parlare delle Fratture Articolari, ovvero quelle in cui c’è un interessamento della
cartilagine della tibia (non si parla della cartilagine del malleolo tibiale, che è quella verticale
sulla faccetta articolare mediale dell’astragalo, ma di quella che si articola con il domo
astragalico stesso).
- Rottura del Tendine di Achille
Il Tendine di Achille è una resistente corda fibrosa che connette i muscoli del
polpaccio (soleo e gastrocnemio) al calcagno; la sua integrità permette il
movimento di flesso-estensione della caviglia (in particolare flessione
plantare della caviglia, ad esempio andare in appoggio sull’avampiede).
61
È coadiuvato nella sua funzione da un tendine accessorio
(plantar gracile), che non sempre è presente (quando c’è è
sinergico al tricipite surale); gastrocnemio e soleo si uniscono
distalmente in un unico tendine, che si inserisce a livello del
margine posteriore del calcagno; il gastrocnemio diventa
tendine prima (più prossimalmente), mentre il soleo diventa
tendine dopo (più distalmente).
Un tendine sano si rompe molto raramente, l’unico modo è la
sezione da taglio, con annessa ferita cutanea; le più frequenti
sono le rotture sottocutanee del tendine perché non è una
lesione da taglio, ma una lesione per un trauma eccessivo sul
tendine stesso che già presenta delle alterazioni degenerative.
Il tendine si rompe per un trauma distorsivo, perché il tessuto fibroso è meno elastico e
resistente di quello originario e l’eziologia è quella di traumi in iperflessione plantare forzata
(attività sportive, salti, cadute da un’altezza).
I fattori predisponenti che indeboliscono il tendine sono:
Età
Sesso
Tipo di Sport
Tendinopatia
Farmaci*
30 / 40 anni
Maschile
calcio, basket,
Preesistente
infiltrazioni con
tennis, crossfit
tumefazione e
corticosteroidi,
morbo di
antibiotici,
Haglund
fluorochinolonici
*Infiltrazioni cortisoniche effettuate per una tendinite cronica, momentaneamente possono
dare un beneficio sul dolore (cortisone è l’antinfiammatorio per eccellenza: riduce il dolore da
tendinopatia) ma nel tempo può provocare un indebolimento del tendine ed una più
frequente insorgenza di rottura. Gli antibiotici orali possono essere legati a lesioni del tendine
d’Achille (su tutti i fluorochinolonici: ciprofloxacina, levofloxacina usate per infezioni urinarie
o dei tessuti molli; dopo un loro uso prolungato si può avere una lesione spontanea del
tendine d’Achille, anche per traumi ad energia molto bassa.
Anatomia Patologica della Rottura del Tendine di Achille
Generalmente, la sede della lesione è a circa 5-6 cm dall’inserzione calcaneare, dove c’è una
zona meno vascolarizzata e, di conseguenza,
meno resistente; il tendine si assottiglia nella
giunzione miotendinea del soleo (perché quella
del gastrocnemio è più prossimale).
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Più raramente si ha una lesione tendinea distale, un’avulsione dal calcagno (in cui si ha un
distacco del margine osseo posteriore del calcagno e di inserzione) od una lesione parziale.
In caso di avulsione dal calcagno, l’intervento consiste nella reinserzione, con una vite, del
frammento osseo e, secondariamente, il tendine viene ad essere reinserito insieme al
frammento osseo stesso.
Spesso vi sono lesioni degenerative di tipo tendinosico (quindi il tessuto tendineo non è
neanche ottimale per la sutura), più raramente calcificazioni (come nel morbo di Haglund che
può provocare la rottura del tendine al di sotto di questa calcificazione).
La calcificazione provoca dolore, perché è comunque l’esito di una tendinopatia infiammatoria
e spesso l’intervento consiste nell’escissione della calcificazione a prescindere che il tendine
sia rotto o meno.
Diagnosi della Rottura del Tendine di Achille
Clinicamente il sintomo primario è il dolore conseguente ad un movimento di flessione
plantare della caviglia, con sensazione di strappo o di pugnalata nella parte bassa del
polpaccio; successivamente c’è l’impossibilità alla flessione plantare, quindi il paziente non
può mettersi in punta dei piedi ed al solo camminare avverte un dolore trafittivo posteriore.
(può esserci tumefazione locale con eventuale ematoma).
Il segno tipico che della diagnosi della lesione del tendine d’Achille
(prima ancora di fare diagnosi ideologica) è il Segno di Thomson:
spremitura del polpaccio a paziente prono, dove con caviglia
normale e tendine d’Achille integro, vi è una flessione plantare del
calcagno (spremendo il polpaccio → accorciamento delle fibre del
gastrocnemio e del soleo, ottenendo passivamente una flessione
plantare del piede); in caso di lesione del tendine d’Achille, il test di
Thomson risulterà positivo, ovvero non si avrà alcun movimento da
parte del piede, in quanto non c’è più continuità tra il muscolo ed il
calcagno.
Per quanto riguarda la Valutazione Diagnostica per Immagini, un’Ecografia, ancora meglio una
Risonanza Magnetica – RMN, sono esami fondamentali per fare diagnosi di una lesione del
tendine d’Achille.
Terapia della Rottura del Tendine di Achille
In caso di lesioni parziali o con scarsa retrazione si può attuare una
Terapia Conservativa, ovvero si usa un gambaletto gessato o un tutore di
tipo Walker per circa 40 giorni, con carico concesso. Questo modus
operandi spesso si associa a recidive o a riduzione della forza del polpaccio e allunga i tempi
di ripresa; inoltre in caso di nuova rottura, il tessuto già diventato cicatriziale, rende la
riparazione chirurgica più difficoltosa con addirittura possibili trapianti tendinei.
63
In letteratura vari studi riportano una sovrapposizione dei risultati tra trattamento
conservativo e chirurgico ma, per una più rapida ripresa funzionale e per una ridotta
immobilizzazione in pazienti giovani ed attivi (ma anche negli anziani), il trattamento più
indicato è quello chirurgico.
Il Trattamento Chirurgico delle lesioni acute consiste nella Tenorrafia, ovvero nella sutura
termino terminale dei monconi (riunione e sutura dei monconi, sutura del peritenonio ovvero
la guaina che avvolge il tendine, procedura che permette l’apposizione di tessuto fibroso, da
parte dei fibroblasti che si formano in maniera più anatomica all’interno della guaina, lungo il
decorso delle fibre del pregresso legamento).
Un’alternativa alla terapia chirurgica è la Tecnica Mini-Invasiva Percutanea: al posto della
classica incisione, si fanno tante piccole incisioni ed attraverso degli aghi si riportano i due
monconi l’uno vicino all’altro e la sutura viene fatta attraverso questi piccoli fori;
successivamente si infiltra PRP (plasma ricco di piastrine) che permette una più veloce
cicatrizzazione, nonché l’apposizione di fattori di crescita importanti per velocizzare l’azione
dei fibroblasti.
Riabilitazione della Rottura del Tendine di Achille
In passato, dopo le suture del tendine d’Achille, si utilizzava un gesso femoro-podalico in
equinismo, tenuto per un mese e poi sostituito da un gambaletto per un altro mese
(chiaramente il tendine guariva, ma il piede rimaneva in equino perché si creavano delle
rigidità, anche a livello del ginocchio).
Oggi la Riabilitazione viene fatta con tutore di tipo Walker in ortomorfismo (con la caviglia a
90° - lunghezza omogenea del tendine per evitare retrazioni in flessione plantare) oppure uno
splint anteriore (mezzo gesso) che impedisca la flessione dorsale della caviglia per un mese
(altrimenti stiramento eccessivo delle fibre appena suturate, che impedisce una guarigione
nella lunghezza corretta).
Primi Giorni Post-Intervento
- Carico anche completo
- Esercizi di flessione plantare
Rimozione del Tutore
- Esercizi di recupero articolare
- Potenziamento del polpaccio
- Carichi crescenti
Dal 3° Mese
- Esercizi propriocettivi
Dai 4 ai 6 Mesi
- Ripresa dell’attività in base al recupero muscolare
- Rimodellamento del tendine vanno avanti fino a dopo un anno
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Complicanze della Rottura del Tendine di Achille
Infezione
Tromboflebite
Nuova Rottura
Deiscienze
specialmente se si
terapia profilattica
interventi più
cutanee ed escare
usano fili non
con antitrombotici
complessi anche con
(zona cutanea a scarsa
trapianto tendineo
vascolarizzazione)
riassorbibili
Mancato Recupero
Rigidità
Cheloidi
(crescita anormale di tessuto fibrotico, tumore cutaneo benigno
della Forza
puramente fibrocitario, di aspetto cicatriziale, che fa
generalmente seguito ad un trauma o una irritazione che non si
attenua con il trascorrere del tempo)
Prevenzione della Rottura del Tendine di Achille
La rottura del Tendine di Achille può essere prevenuta con degli esercizi mirati e funzionali al
tipo di attività quotidiana e/o sportiva che si pratica:
Stretching del Polpaccio
sempre prima e dopo
l’attività sportiva
Esercizi ad Alta e Bassa
Rinforzo
Intensità Alternati
del Tricipite Surale
lavoro completo di tutte le
fibre del tricipite surale.
Esercizi Eccentrici e
Pliometrici
Superfici di Gioco
per ridurre la frequenza
Calzature Corrette
delle tendinopatie
Aumento
dei Carichi di Lavoro
gradualmente
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12. LOMBOSCIATALGIE CERVICOBRACHIALGIE
Si tratta di un dolore proiettato, ovvero un dolore localizzato a
livello del rachide lombare, che si irradia lungo il decorso di una o
più radici nervose, interessando distalmente le regioni innervate
da tali radici.
In base al livello della radice interessata si parla di:
- Lombosciatalgia: radici del nervo sciatico (a livello L4-L5-S1)
- Lombocruralgia: radici del nervo otturatorio (a livello L2-L3-L4)
- Cervicobrachialgia: radici del plesso cervicale.
Le cause di Lombosciatalgie e Cervicobrachialgie possono essere:
Spinali
Rachidee
Le Cause Spinali sono le più rare e si differenziano in:
- Intramidollari: siringomielia, neoplasie, malformazioni vascolari;
- Extramidollari: neoplasie epidurali.
Le Cause Rachidee si differenziano in congenite e acquisite:
- Congenite: sono più rare e si tratta di sindromi genetiche che alterano i rapporti tra le
vertebre e le strutture di connessione tra le stesse ( sindrome di Klippel-Feil, spondilolisi e
spondilolistesi*, fusione tra L5 ed S1 anche detta sacralizzazione di L5)
* Spondilolisi e Spondilolistesi sono anomalie formative delle vertebre: nella prima si ha una
mancata fusione dell’arco vertebrale a livello cervicale o lombare; nella seconda si ha lo
scivolamento di una vertebra sull’altra (di solito sulle ultime vertebre, L4-L5-S1).
- Acquisite: sono le più frequenti (ernia discale, spondiloartrosi, traumi, neoplasie ossee,
artrite reumatoide ed artriti sieronegative).
Lombosciatalgie
Per comprendere le Lombosciatalgie, dobbiamo conoscere bene
l’Anatomia del Disco Intervertebrale.
Il Disco Intervertebrale è formato da una cartilagine per separare
una vertebra da quella sottostante, realizzando una funzione di
ammortizzazione e di congruenza articolare; il nucleo polposo è
avvolto dall’anello fibroso, ovvero le due componenti cartilaginee
che formano ogni disco interposto tra le vertebre.
Anteriormente e posteriormente, a stabilizzare il disco rispetto
alle strutture ossee ci sono il legamento longitudinale anteriore ed
il legamento longitudinale posteriore, che decorrono dal collo fino
al sacro lungo tutta la colonna vertebrale.
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A livello del rachide lombare, il disco vertebrale cambia sia per quanto riguarda le dimensioni,
sia per quanto riguarda la forma; invece, va a ridursi di dimensioni e spessore salendo verso la
colonna cervicale.
Dal punto di vista dell’innervazione, le strutture responsabili del dolore localizzato a livello
rachideo, sono quelle innervate dal Nervo Senovertebrale di Luschka, che innerva:
- parte periferica dell’anello fibroso,
- legamento longitudinale posteriore,
- periostio che avvolge ogni vertebra,
- capsule articolari (tra le faccette articolari di vertebra superiore e inferiore)
Il dolore localizzato (senza irradiazione: sciatalgia), ovvero la lombalgia, è
generato da un’infiammazione a livello locale. Il nervo di Luschka provoca un
dolore se le strutture che innerva sono interessate da alterazioni.
I Legamenti del Rachide sono i seguenti:
- Legamento Longitudinale Anteriore;
- Legamento Longitudinale Posteriore;
- Legamento Giallo (unisce le faccette articolari di una vertebra
con quella inferiore);
- Legamento Sovraspinoso (unisce i processi spinosi, ovvero i
processi posteriori delle vertebre);
- Legamento Interspinoso (legamento a fascia che abbraccia tutta
la struttura dei legamenti spinosi, collegandoli l’uno all’altro).
Patogenesi delle Lombosciatalgie
Generalmente, l’erniazione del nucleo polposo avviene per un trauma, anche di lieve entità se
ci sono fenomeni degenerativi e quindi una predisponente instabilità delle strutture
cartilaginee.
Questi dischi cartilaginei sono più rigidi, disidratati e di facile permeazione (ovvero, il nucleo
polposo una volta che l’anello fibroso è indebolito, può fuoriuscire più facilmente).
Quindi per Ernia del Disco si intende la fuoriuscita del nucleo polposo da una zona di minor
resistenza a livello dell’anello fibroso.
Nel disco invecchiato si possono notare:
Disidratazione
Dei
Dischi
Alterazioni nella
Alterazioni
Composizione
Ossee
Della
(Spondiloartrosi e
Matrice Cartilaginea
Osteoporosi)
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Anatomia Patologica delle Lombosciatalgie
Le ernie del disco si distinguono in base alla loro posizione, che va ad
interessare differentemente le radici nervose; si può avere
- Ernia Posterolaterale: è mono-radicolare e viene irritata solo una radice
nervosa (FIG: pallino rosso);
- Ernia Posteromediale: è bi-radicolare e vengono irritate due radici nervose,
ma monolateralmente, cioè solo destra o a sinistra (FIG: pallino blu);
- Ernia Mediana: è tipicamente bilaterale in quanto colpisce due radici
nervose controlaterali (destra e sinistra), ma è più rara per la presenza del
resistente legamento longitudinale posteriore, che non lascia passare un’ernia
rispetto alle strutture laterali più deboli (FIG: pallino verde).
In base alla quantità di tessuto erniato (quindi in base alla quantità di nucleo
polposo che viene ad essere spostato) si distinguono:
- Ernia Contenuta: il legamento longitudinale posteriore è intatto e resiste alla
pressione del nucleo polposo (FIG: zona rossa);
- Ernia Protrusa: il legamento longitudinale posteriore viene interrotto e c’è
l’entrata del nucleo polposo nel canale rachideo (FIG: zona gialla);
- Ernia Espulsa: il materiale erniario si distacca dal nucleo polposo, a livello del
disco intervertebrale e penetra a livello del canale; se questa scende verso il
basso, per gravità, ci possono essere interessamenti più distali (FIG: zona verde).
Diagnosi Clinica delle Lombosciatalgie
Clinicamente si può avere:
Sintomatologia Rachidea
Sintomatologia Periferica
Comune a tutti i livelli, è legata
Dipendente dalla radice interessata: ai vari livelli
all’irritazione del nervo di Luschka.
nascono diversi nervi, che si proiettano agli arti
A seconda del livello interessato si avrà:
inferiori (plesso lombare) o agli arti superiori
- Dolore in sede dell’ernia;
(plesso cervicale). Presenta 3 fasi:
- Rigidità del rachide riflessa;
- Irritativa: rappresentata dal dolore;
- Contrattura muscolare
- Compressiva: presenta alterazioni della
- Scoliosi antalgica per difesa legata alla
sensibilità, (parestesie/ipoestesie o iporeflessia);
contrattura stessa
- Da Interruzione: fase più tardiva (situazione
aggravata); qui anche le fibre motorie, più grandi e
resistenti e le ultime ad essere interessate, possono
essere interessate da deficit di motilità (in questa
fase il dolore si attenua per l’anestesia legata
all’interruzione della funzione delle fibre sensitive)
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Mentre la lombosciatalgia interessa la radice L5 (quindi ernia tra L4-L5) o
la radice S1 (quindi ernia tra L5-S1), la Lombocruralgia interessa il nervo
crurale o otturatorio, pertanto interessa una regione più alta (ernia tra L2L3 o tra L3-L4)
Le radici formanti:
- nervo femorale → L2 - L3
- nervo otturatorio → L2 - L3 - L4
- nervo sciatico → L4 - L5 - S1 - S2 - S3
NB: nel sacro c’è una fusione tra le vertebre, quindi le ernie che interessano lo sciatico
(lombosciatalagia) riguardano i dischi interposti tra L4-L5 o L5-S1
Innervazione Sensitiva dello Sciatico
La coscia posteriormente e lateralmente è innervata dalle radici del nervo sciatico e, in base
alla radice coinvolta dall’ernia (L3-L4, L4-L5, L5-S1) si ha una diversa sintomatologia.
Innervazione motoria dell’arto inferiore:
- nell’anca: flessione legata alle radici L2-L3, mentre estensione legata
alle radici L4-L5;
- nel ginocchio: flessione legata alle radici L3-L4, mentre estensione
legata alle radici L5-S1;
- nella caviglia: flessione dorsale legata alle radici L4-L5, mentre
flessione plantare legata alle radici S1-S2;
- nel piede: supinazione legata alla radice L4, mentre pronazione legata
alla radice S1.
Sintomatologie ai Diversi Livelli
- Sindrome L4
Oltre ai sintomi locali si ha un’irradiazione ad inguine,
ginocchio e faccia anteromediale della coscia (quindi più
anteriormente). Si hanno ipoestesie (diminuzione della
sensibilità) e parestesie (sensazione patologica
spontanea, non dolorosa, quale formicolio o solletico),
nonché iporeflessia rotulea (diminuzione del riflesso
rotuleo); inoltre, si ha un’ipotrofia ed un deficit dei
muscoli quadricipite e tibiale anteriore ed una positività
del segno di Wassermann.
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Segno di Wassermann
a paziente prono, si estende la gamba contro resistenza,
creando uno stiramento del nervo otturatorio (che si trova
anteriormente) e questo aumenta il dolore
- Sindrome L5
Oltre ai sintomi locali si ha un’irradiazione alla
faccia posteromediale della coscia, laterale della
gamba e dorsale del piede (nel lato mediale) e si
hanno ipoestesie e parestesie.
I segni positivi sono quelli di Delitala, Lasègue,
Valleix, Dandy; inoltre, si ha un deficit SPE (nervo
sciatico popliteo esterno: che attua la flessione
dorsale del piede), il fenomeno dello “steppage”
(andatura con il piede cadente, per il deficit dello
SPE) e l’impossibilità a camminare sui talloni (per lo
stesso motivo).
Segno di Lasègue.
È quello più utilizzato ed è analogo al test di wassermann, per il
nervo sciatico (situato posteriormente). Il paziente è supino ed
estendendo la coscia e la gamba sul ginocchio, si ha uno
stiramento del nervo che aumenta il dolore (va sempre
paragonato con l’arto controlaterale che risulterà negativo).
Segno di Delitala
Dolore a livello delle faccette intervertebrali, dove c’è l’emergenza del
forame di coniugazione tra le vertebre, per una flogosi a livello locale
Segno di Valleix
Dolore lungo il decorso dei nervi, soprattutto lo sciatico, pertanto nella faccia
posteriore mediana della coscia, fino alla caviglia ed al nervo sciatico
popliteo esterno (SPE)
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- Sindrome S1
Oltre ai sintomi locali si ha un’irradiazione alla faccia
posteriore della coscia, alla gamba ed alla regione
plantare (laterale); si hanno ipoestesie e parestesie,
nonché iporeflessia dei riflessi achilleo e medio-plantare.
Sono presenti ipotrofia e deficit dei glutei e del tricipite
surale, inoltre risultano positivi i segni di Delitala,
Lasègue, Valleix; inoltre si ha l’impossibilità a camminare
sulle punte dei piedi.
Diagnosi di Lombosciatalgie e Lombocruralgie
Nella Diagnosi Clinica l’anamnesi e l’esame obiettivo aiutano molto a discernere il livello della
lesione, in base alla positività o meno dei vari segni ed in base ai sintomi riferiti.
A Livello Radiografico utilizzeremo sempre RX, RMN e TC solo s’è un dubbio di lesioni ossee
(Mielografia: vecchio esame oggi sostituito da tecniche radiografiche avanzate).
RX rachide lombare (visione L3-S1): si notano gli spazi intersomatici di normale spessore tra
L3-L4 e tra L4-L5, mentre tra L5-S1 c’è una riduzione dello
spazio (indice indiretto di una probabile lesione del disco, per
avvicinamento delle vertebre, ma va confermato con una
risonanza).
Nella RMN a proiezioni sagittali si vede bene l’ernia a livello L4-L5,
differentemente dagli altri livelli dove i dischi intervertebrali sono
nella posizione corretta. Nella prima immagine, l’ernia è protrusa
in quanto il legamento longitudinale posteriore è ancora integro.
Nella seconda immagine, l’ernia interessa il legamento
longitudinale posteriore, che viene ad essere lesionato e di
conseguenza viene ad essere espulsa (il materiale procede posteriormente ed è quasi migrato
distalmente).
Un altro esame che si svolge è l’Elettromiografia con Esame Funzionale.
Trattamento di Lombosciatalgie e Lombocruralgie
A meno che non si abbiano sintomi neurologici avanzati, un primo approccio è Conservativo:
- fisioterapia: terapia fisica antinfiammatoria con laser terapia, tecar terapia, massoterapia;
- ginnastica posturale: in una seconda fase per stabilizzare la colonna ed evitare recidive;
- terapia medica: inizialmente FANS, miorilassanti e corticosteroidi per via intramuscolare se
i primi due associati non hanno effetto.
71
Il Trattamento Chirurgico è riservato alla persistenza della sintomatologia, nonostante la
terapia conservativa e presenta diverse possibilità, dalla meno alla più invasiva in base a sede,
morfologia, livello dell’ernia, tipologia del paziente (il paziente magro ha più facilità ad essere
operato con tecniche meno invasive, a differenza del paziente sovrappeso):
- Nucleotomia Percutanea: attraverso un mini accesso cutaneo (sotto controllo radiografico)
si giunge all’ernia e, con delle radiofrequenze (ultrasuoni) si elimina il tessuto erniario;
- Microdiscectomia Endoscopia: con un’ottica simile a quella utilizzata nell’artroscopia di
ginocchio od anca, viene visualizzata l’ernia e si aspira mediante un micro accesso (con
strumenti che entrano da una canula specifica);
- Microchirurgia dell’Ernia del Disco: sempre da un piccolo accesso mini invasivo viene
aspirata l’ernia, sotto visualizzazione diretta (anche utilizzando un microscopio specifico);
- Chirurgia Tradizionale: anche detta emilaminectomia, consiste nell’eliminazione di una
delle due lamine della vertebra, decomprimendo la radice nervosa e rimuovendo l’ernia stessa
(chirurgia che implica un’incisione a cielo aperto e quindi più invasiva delle altre);
- Spaziatori Interspinosi: impianti che permettono di detendere le pressioni tra le vertebre
(introdotti da un piccolo accesso posteriore, sono vere e proprie molle che, messe tra i
processi spinosi, distanziano le due vertebre, riducendo il carico meccanico responsabile della
formazione dell’ernia);
- Protesi del Nucleo: sostituiscono il disco intervertebrale, quando questo è particolarmente
rovinato.
Cervicobrachialgie
Analogamente a quanto accade per le lombosciatalgie, se la radici irritata si trova a livello
cervicale, si parla di Cervicobrachialgia; la sua genesi difficilmente è legata all’ernia del disco
(anche se questa può essere una delle cause), mentre più frequentemente è legata a fenomeni
di spondiloartrosi ovvero la degenerazione delle strutture osteocartilaginee del rachide
cervicale (osteofiti sono alterazioni morfologiche dell’osso, legate a fatti artrosici, che si
deforma cercando di sopportare il carico, formando dei ponti/allargamenti che teoricamente
sopportano meglio il carico, ma in realtà alterano la forma anatomica dell’osso stesso,
causando una compressione ossea delle radici nervose o addirittura del midollo spinale a
livello cervicale).
Anatomia del Plesso Cervicale
Nel plesso cervicale sono presenti diversi nervi:
Nervo Muscolocutaneo (Mc)
Radici C5-C7
Nervo Ascellare (A)
Radici C5-C6
Nervo Radiale (R)
Radici C5-T1
Nervo Mediano (M)
Radici C6-T1
Nervo Ulnare (U)
Radici C8-T1
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I muscoli innervati dalle varie radici sono:
C5 → DELTOIDE E BICIPITE
Il riflesso relativo è il Riflesso Bicipitale
flessione del braccio,
legata all’azione sul tendine distale del bicipite
che, inserendosi sulla tuberosità bicipitale del radio,
attua la flessione dell’avambraccio sul braccio
C6 → BICIPITE ED ESTENSORI DEL CARPO
Il riflesso relativo è il Riflesso Radiale
estensione radiale del carpo,
agendo con un martelletto
sul tendine dell’estensore radiale del carpo
C7 → TRICIPITE E FLESSORI DEL CARPO
Il riflesso relativo è il Riflesso Tricipitale
estensione dell’avambraccio sul braccio
quando si stimola il tendine del tricipite
alla sua inserzione sull’olecrano dell’ulna;
flessione dorsale del carpo stesso
C8 → ESTENSORE DELLE DITA E MUSCOLI INTERDIGITALI
permettono avvicinamento
ed allontanamento tra le dita
Trattamento per le Cervicobrachialgie
A meno che non si abbiano sintomi neurologici avanzati, il primo approccio è un Trattamento
Conservativo e quindi si ricorrerà a:
- fisioterapia - FKT: terapia fisica antinfiammatoria (laser e tecar terapia + massoterapia);
- ginnastica posturale: in una seconda fase per stabilizzare la colonna ed evitare recidive;
- terapia medica: inizialmente con FANS e miorilassanti e se i primi due associati non hanno
effetto, si utilizzano corticosteroidi per via intramuscolare.
Il Trattamento Chirurgico è riservato alla patogenesi erniaria e consiste di microdiscectomia
od emilaminectomia; per la patogenesi artrosica non ci sono soluzioni, in quanto l’artrosi è una
patologia degenerativa, evolutiva e la forma delle vertebre non può tornare indietro.
A livello cervicale l’intervento è più delicato, in quanto i vasi cervicali sono molto più adiacenti
al rachide, rispetto a ciò che accade per le strutture vascolo-nervose lombari.
73
13. COLLO FEMORE
Le Fratture del Collo del Femore sono quelle che interessano
l’epifisi prossimale del femore che è rappresentata da:
- Testa Femorale, attua un’articolazione di tipo enartrosi con
l’acetabolo dell’anca;
- Collo del Femore;
- Regione Trocanterica, ovvero grande trocantere e piccolo
trocantere (importanti regioni di inserzioni muscolari)
- Regione Sottotrocanterica, che dà inizio alla diafisi femorale,
per poi andare distalmente.
Le fratture del collo del femore sono tipiche dell’anziano, a causa dei processi di osteoporosi;
infatti un femore normale difficilmente si rompe a questo livello, mentre nell’anziano con
osteoporosi c’è un aumento della debolezza delle trabecole a livello della testa e del collo del
femore che, per traumi anche a bassa energia (cadute da poltrona o sedia), può generare una
frattura importante (che può portare a morte, dopo una serie di conseguenze). Si tratta quindi
di fratture patologiche che insorgono in un osso con resistenza diminuita.
Dopo i 65 anni le fratture del collo del femore hanno un’incidenza seconda solo alle fratture
vertebrali da schiacciamento (rapporto donna/uomo è di 3:1: osteoporosi ha maggiore
incidenza nelle donne per le variazioni ormonali post-menopausa); rappresentano infatti
circa il 35% dei ricoveri in reparti ortopedici in Italia (grande implicazione economica e
sociale). Le cadute in ambiente domestico causano oltre l’80% delle fratture in persone con
oltre 75 anni d’età; in questi casi è fondamentale determinare lo stato generale del paziente,
perché spesso le cadute non sono incidenti legati al fatto che il paziente inciampa o ha un
trauma primitivo, bensì dipendono da fattori neurologici (es: soggetto con problema cardiaco
o vascolare che sviluppa un attacco ischemico transitorio - TIA od una sincope che gli fa
perdere coscienza prima di cadere al suolo determinando, dopo la caduta, la frattura).
Eziologia delle Fratture del Collo del Femore
I fattori di rischio si dividono in 3 tipologie:
Traumi di Modesta Entità
in Pazienti con Osteoporosi
Fattori di Rischio
Legati all’Osso
Fattori di Rischio
Legati al Paziente
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- Traumi di Modesta Entità in Pazienti con Osteoporosi
È chiaro che un paziente con ossa osteoporotiche, sia soggetto a fratture anche in caso di
cadute di modesta entità, in quanto la fragilità ossea è molto elevata.
- Fattori di Rischio Legati all’Osso
_Massa ossea definita dal T-score, questo valore fornito dalla MOC valuta la densità dell’osso
su 3 livelli, collo del femore, rachide lombare, polso, (RX utile per valutare funzionalmente la
quantità di osso presente nel distretto o tramite ultrasuoni).
La MOC utilizza la radiografia e fornisce un valore rappresentato da un grafico (X: età
paziente, Y: densità minerale dell’osso) e in base all’età ci sono dei parametri che rientrano
nella norma; il parametro T-score, se compreso tra -1.5 e 0, fornisce indicazione di osteopenia
(iniziale osteoporosi: riduzione della massa ossea senza elevato rischio di frattura), mentre se
è inferiore a -1.5, fornisce indicazioni di osteoporosi (rischio di frattura più alto: probabile
intervento preventivo).
_Geometria del collo del femore, un collo del femore varo o valgo, può creare problematiche
biomeccaniche alla struttura ossea; un collo del femore varo (si avvicina di più ai 90°), ha una
frequenza di rottura maggiore del collo del femore valgo (che va più verso la verticale) per le
forze assiali che si trasmettono sulle trabecole nelle varie angolazioni del collo del femore.
_Turnover osseo, patologie legate alla demolizione e nuova formazione dell’osso (attività di
osteoclasti ed osteoblasti).
- Fattori di Rischio Legati al Paziente
_Età avanzata, rischio fratture aumenta con l’età a causa di osteoporosi, deambulazione,
capacità neurologica e indipendenza del paziente.
_Genetica, familiarità della frequenza delle fratture.
_Peso e altezza.
_Attività motoria e funzione muscolare.
_Uso di farmaci, possono avere effetti a livello osseo (cortisonici per lungo tempo
indeboliscono l’osso), a livello neurologico (sonnolenza, apatia, difficoltà motorie) e possono
essere causa indiretta di caduta.
_Endocrinopatie, patologie di tiroide, paratiroidi, surreni ed ipofisi.
_Menopausa precoce, carenze ormonali che determinano l’osteoporosi post-menopausa.
_Acuità visiva, un abbassamento della vista facilita cadute e relative fratture.
_Funzionalità neuromuscolare, patologie neurologiche e muscolari possono ridurre la
capacità del paziente di deambulare, aumentando la frequenza di cadute e fratture.
Patogenesi delle Fratture del Collo del Femore
L’osteoporosi, a livello del collo e della testa del femore, colpisce le trabecole (struttura
portante dell’epifisi prossimale del femore); dal punto di vista anatomico si distinguono (in
base alla direzione della forza di carico che le generano) diversi fasci di trabecole.
75
Le trabecole montanti (di resistenza della spongiosa ossea) si dispongono secondo le linee di
forza attuate sull’osso in questione; a livello del collo del femore, il peso del corpo e la forma
del femore, attuano una serie di linee di forza che generano la dimensione e la direzione delle
trabecole stesse. I gruppi di trabecole sono:
* Gruppo Compressivo Principale, dalla testa del femore al piccolo trocantere;
* Gruppo Compressivo Secondario, dal grande trocantere al piccolo trocantere;
* Gruppo del Gran Trocantere, si oppone a forze di trazione, per tutti i muscoli
che si inseriscono sul gran trocantere (muscoli glutei e degli extrarotatori);
* Gruppo di Trazione Principale, dalla testa del femore alla corticale laterale
del femore;
* Gruppo di Trazione Secondario, dalla testa del femore mediale alla corticale
laterale del femore.
Tra queste trabecole, si ha una zona di minor resistenza (dove le trabecole sono meno
rappresentate), definita Triangolo di Ward, situata a livello del collo del femore, nella sua
parte mediale; in questo triangolo, per la riduzione della resistenza dell’osso, vengono ad
effettuarsi la maggior parte delle fratture del collo del femore.
Anatomia Patologica delle Fratture del Collo del Femore
Le classificazioni anatomo-patologiche delle fratture del collo del femore sono finalizzate a
distinguerne l’evoluzione naturale e di conseguenza il tipo di trattamento da effettuare.
La capsula articolare dell’anca si inserisce anteriormente lungo la linea che va
dal grande al piccolo trocantere.
Sulla base della posizione della rima di frattura, mediale o laterale
all’inserzione della capsula articolare sul collo del femore, andremo a
distinguere:
- Frattura mediale, intracapsulare se medialmente a questa linea;
- Frattura laterale, extracapsulare se lateralmente a questa linea.
Posteriormente la capsula articolare non si inserisce lungo la linea tra i due
trocanteri, bensì più prossimalmente (con un andamento ad imbuto).
Fondamentalmente, la suddivisione non è casuale, ma è legata ad una diversa
evoluzione della frattura, infatti le fratture mediali e laterali hanno un
trattamento diverso, dovuto al fatto che la vascolarizzazione del collo del
femore è legata alla posizione della capsula articolare; le due arterie
circonflesse, anteriore e posteriore, vascolarizzano l’epifisi prossimale del
femore (regione della testa e del collo), pertanto un’interruzione della
vascolarizzazione a livello di queste arterie provoca la necrosi della testa del
femore, quando le fratture sono intracapsulari (mediali).
76
Invece, se le fratture sono extracapsulari (laterali), a causa della presenza di circoli collaterali
che uniscono i vari rami di tali arterie, non si ha necrosi del frammento in quanto la
vascolarizzazione è comunque garantita.
La differenza sta quindi nella vascolarizzazione: le arterie circonflesse mediali e laterali (che
sono rami dell’arteria femorale profonda) abbracciano il collo del femore dalla regione del
piccolo trocantere a quella del grande trocantere.
Le classificazioni anatomo-patologiche delle fratture del collo del femore, sono finalizzate a
distinguerne l’evoluzione naturale e, di conseguenza, il tipo di trattamento da effettuare; sulla
base della posizione della rima di frattura, mediale o laterale all’inserzione della capsula
articolare dell’anca sul collo del femore, si distinguono:
- Fratture Mediali (Intracapsulari), che a loro volta si distinguono in:
Sottocapitate
Transcervicali
al di sotto della testa del
(o mediocervicali)
femore
a livello del terzo medio del
collo del femore
(dove, posteriormente
si inserisce la capsula articolare)
La classificazione delle fratture mediali più utilizzata è quella di Garden: 4 tipi di fratture, in
base al posizionamento ed alla scomposizione del frammento prossimale; inoltre, fornisce
un’indicazione prognostica sulla probabilità di necrosi della testa e sul tipo di trattamento.
Fratture Garden 1: fratture incomplete
Fratture Garden 2: fratture complete, ma
(fratture ingranate, senza allontanamento tra
non scomposte; sono ingranate, con una testa
i frammenti di frattura), nelle quali la testa
lievemente varizzata (frattura stabili).
rimane agganciata/ingranata al collo del
Garden 1 e garden 2 hanno prognosi benigna,
femore e le trabecole subiscono una
soprattutto nel paziente giovane (testa del
deformazione in valgo (fratture stabili).
femore può essere salvata).
Fratture Garden 3: fratture complete e
Fratture Garden 4: sono fratture scomposte,
parzialmente scomposte, con testa del
nelle quali può verificarsi una migrazione
femore a luna piena (si varizza, aspetto più
craniale del collo della regione trocanterica,
verso i 90° rispetto al collo del femore).
legata all’azione dei muscoli glutei.
Sono fratture prevalentemente instabili,
Sono instabili, è quindi necessario sostituire
infatti in questo caso la testa va sempre tolta.
la testa del femore con una protesi.
77
Fratture
Garden 1
Fratture
Garden 2
Fratture
Garden 3
Fratture
Garden 4
- Fratture Laterali (Extracapsulari), necessitano della rimozione della testa del femore,
perché si ha un’alta percentuale di necrosi. Mediante una classificazione topografica, è
possibile distinguere tali fratture in:
Basi Cervicali
Intertrocanteriche
a livello della base del collo del femore; un
tra i due trocanteri,
tempo erano considerate tra le mediali,
in cui il piccolo trocantere
ma trovandosi lateralmente
rimane distalmente
all’arteria circonflessa anteriore,
rientra nelle fratture laterali
(possibile recupero della testa del femore)
Pertrocanteriche
Sottotrocanteriche
dal grande al piccolo trocantere
quasi fratture diafisarie;
interrompendoli (sono le più frequenti).
coinvolgono
A volte si può avere un distacco del piccolo
la parte prossimale della diafisi,
trocantere, sul quale si inserisce il tendine
lasciando integri i trocanteri
dell’ileopsoas (che facendo trazione lo
sposta dalla rima di frattura)
78
Diagnosi delle Fratture del Collo del Femore
La Diagnosi Clinica ci permette di capire se un paziente ha avuto una
frattura del collo del femore:
- il paziente ha un’impotenza funzionale;
- l’arto si presenta accorciato, addotto ed extraruotato, triade sempre
presente nelle fratture laterali, per scomposizione legata all’azione
muscolare (nelle fratture intracapsulari Garden 1 o 2, difficilmente hanno un accorciamento in
quanto si tratta di fratture ingranate, ma può essere presente una lieve extrarotazione per la
rotazione del frammento e per l’azione dei muscoli glutei; inoltre spesso nelle fratture laterali
c’è un ematoma nella regione trocanterica, perché la capsula viene ad essere interessata e non
c’è un ematoma intracapsulare, bensì un ematoma visibile a livello cutaneo).
Il motivo della presentazione clinica nelle fratture non ingranate, va ricercato nell’azione
muscolare che tende a scomporre la frattura. Una frattura si scompone in base al tipo di
inserzione muscolare nei monconi di frattura ed alla trazione dei muscoli stessi; i muscoli che
entrano in gioco nelle fratture del collo del femore sono gli adduttori ed i glutei.
In caso di frattura pertrocanterica, gli adduttori
provocano un’adduzione dell’arto, mentre i glutei
causano la risalita del moncone distale (accorciamento)
unitamente all’extrarotazione (infatti queste sono le
tipiche manifestazioni cliniche di tale frattura).
In caso di Diagnosi Radiografica si effettua una RX del bacino in anteroposteriore + l’assiale
del femore (fornisce un’idea sul tipo di scomposizione della frattura anche se non sempre
possibile, per troppo dolore alla mobilizzazione del paziente; l’assiale si esegue con l’arto
extraruotato, pertanto la RX segue l’asse della diafisi femorale).
In una RX relativa ad un’anca normale, si evidenziano il collo, la testa, il grande ed il piccolo
trocantere, l’articolazione dell’anca, con lo spazio articolare e la coppa acetabolare; mentre
invece avremo le seguenti situazioni suddivise per tipologia di frattura del collo del femore:
Frattura Basicervicale
Frattura Pertrocanterica
Frattura Sottotrocanterica
interessa la base del collo
distacco
trocanteri integri; rima si
con distacco
del piccolo trocantere
estrinseca distalmente lungo
del piccolo trocantere.
legato all’azione dell’ileopsoas
la diafisi femorale
79
Terapia delle Fratture del Collo del Femore
Storicamente ci sono stati diversi avvicendamenti di ideologie di trattamenti per le fratture.
Nel 1965, Crawford propose il trattamento incruento per le fratture nelle quali:
- non fosse presente accorciamento od extrarotazione;
- c’è poco dolore alla mobilizzazione attiva e passiva;
- c’è la possibilità di intraruotare attivamente;
- c’è l’ingranamento dei monconi all’esame RX;
- c’è compliance del paziente.
Ad oggi, la soluzione di Crawford risulta inaccettabile, in quanto le tecniche chirurgiche
permettono di trattare questo tipo di fratture in tempi brevi, con interventi spesso poco
invasivi. In questo modo il paziente ha modo di tornare in piedi il prima possibile e questo è
fondamentale per evitare tutte le complicanze legate all’allettamento, che spesso portano alla
morte del paziente.
La terapia d’elezione per tutte le fratture del collo del femore è l’Intervento Chirurgico.
La salvaguardia della vascolarizzazione nelle fratture laterali, permette la conservazione della
testa femorale che, nelle mediali, va sacrificata; inoltre nelle fratture laterali si può mantenere
il tessuto osseo e si può sintetizzare la frattura avvicinando i frammenti e favorendo così la
guarigione biologica.
- Terapia nelle Fratture Mediali
Nel Paziente Giovane con una Garden 1 o 2 (NDR: frattura ingranata, non scomposta e senza
risalita della testa) ed un buon tessuto osseo, l’indicazione può essere quella di salvare la testa
del femore (fratture nelle quali la vascolarizzazione non viene eccessivamente compromessa);
l’intervento consiste nell’Inserimento di Viti Percutanee, da 3 piccoli accessi cutanei, che
bloccano la testa del femore sul collo, stabilizzando la frattura. Successivamente a questo
intervento, il paziente ha il divieto di carico per almeno 60 giorni (deambulare con le
stampelle), in quanto la stabilità di questo tipo di sintesi è inferiore rispetto alla protesi,
pertanto il carico darebbe una mobilizzazione della testa femore, una mobilizzazione delle viti
e sarebbe stato inutile intervenire. Nonostante il divieto di carico, il paziente può effettuare
degli esercizi precoci di mobilizzazione attiva e passiva di ginocchio, caviglia ed anca, nonché
esercizi di rinforzo muscolare per evitare un’ipotrofia di glutei e quadricipite (che
conseguirebbe ad un’eccessiva immobilizzazione).
Nel Paziente Anziano con una Garden 3 o 4* (osso di peggior qualità) e scarsa compliance,
l’indicazione è quella dell’intervento di Endoprotesi ovvero Sostituzione della Testa del Femore
con Protesi, mediante un: rimozione della testa del femore, preparando un canale midollare
del femore, all’interno del quale si inserisce uno stelo protesico collegato ad una testa, che a
sua volta si articola nell’acetabolo come la testa del femore.
80
(*stessa procedura nel paziente anziano anche con Garden 1 e 2, a meno che non vi siano
condizioni favorevoli per l’attecchimento dell’osso).
Successivamente all’intervento Carico Immediato (in quanto l’osso, così come la frattura, viene
rimosso), con Mobilizzazione Precoce Attiva e Passiva di ginocchio, caviglia ed anca.
L’endoprotesi viene anche detta mezza protesi (hemiprosthesis), in quanto si tratta di una
protesi solo della componente femorale (la coppa acetabolare rimane l’osso del paziente) e
prevede quindi un contatto diretto tra il metallo della testa femorale e la coppa acetabolare
(intervento di minore entità, riservato principalmente all’anziano per via delle ridotte
richieste funzionali).
Mentre prima venivano impiantate endoprotesi che consistevano di un’unica componente
(senza testa mobile), oggi si impiantano endoprotesi bi-articolari: all’interno della testa
protesica, infatti, c’è un’altra testina piccola che permette la rotazione della testa sulla testina.
Questo movimento crea una seconda vera e propria articolazione (una tra la testa e la testina
della protesi, l’altra tra la protesi e l’acetabolo del paziente), che riduce l’attrito tra metallo ed
osso, nonché l’usura dell’osso stesso.
Un intervento alternativo all’endoprotesi, può essere l’Artroprotesi (nei pazienti più giovani),
che prevede, oltre alla componente femorale, l’inserimento di una coppa acetabolare metallica
(nell’acetabolo), per evitare che l’attrito della testa del femore avvenga sull’osso (cosa che nel
paziente giovane provocherebbe un’usura dell’osso od una perforazione della cavità
acetabolare), così che i rapporti saranno tra metallo e metallo, con l’aggiunta di una coppa di
polietilene o ceramica tra i due metalli (artroprotesi utilizza la stessa tipologia di protesi
utilizzata per l’artrosi d’anca, ovvero pazienti senza frattura ma con patologia degenerativa
che prevede una sostituzione dell’articolazione).
- Terapia nelle Fratture Laterali
Dal momento che nelle fratture laterali si salvaguarda la componente ossea, il
trattamento è diverso rispetto alle fratture mediali.
Il trattamento più utilizzato è l’Inchiodamento Endomidollare, mediante il chiodo
gamma (somiglianza alla lettera greca): inserimento di una vite, a livello della
testa del femore, e di uno stelo nel canale midollare, che viene poi bloccato con
una vite distale, per dare stabilità al sistema).
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Successivamente a questo impianto è possibile dare carico immediato ed iniziare una
mobilizzazione precoce attiva e passiva di ginocchio, caviglia ed anca.
In alternativa, è possibile utilizzare un Impianto Transosseo, ovvero un
osteosintesi con la vite placca: si esegue mediante l’utilizzo di una placca, che
viene bloccata con delle viti sulla corticale laterale del femore; si ha uno
scorrimento della vite sulla placca, che permette dei piccoli movimenti assiali
di compattazione della frattura ed una più veloce guarigione.
Successivamente a questo impianto si può dare un carico progressivo a tolleranza, in quanto
questo impianto ha proprietà biomeccaniche che rendono meno favorevole il carico (impianto
riservato a fratture più complesse nelle quali una stabilità con il chiodo non sarebbe garantita:
es: fratture sottotrocanteriche e pertrocanteriche nelle quali c’è instabilità dei frammenti).
Complicanze nelle Fratture del Collo del Femore
Le complicanze relative alla frattura del collo del femore, sono il motivo per cui è
fondamentale agire in tempi brevi per operare il paziente. Le direttive regionali attuali,
consigliano un intervento (al momento della frattura) attuabile entro 48 h dal momento in cui
il paziente giunge al pronto soccorso, al fine di evitare complicanze:
Complicanze
Complicanze
Legate a Paziente e Allettamento
Legate all’Intervento
piaghe da decubito
rottura dei mezzi di sintesi
infezioni urinarie
lesioni dell’acetabolo
infezioni polmonari
lesioni vascolari
tromboflebiti
lesioni nervose
embolia polmonare
mancata stabilità
ulcere cutanee
viziose consolidazioni
malnutrizione
(mobilizzazione dei frammenti)
alterazioni del sensorio
necrosi della testa
(uso di viti per sintesi fratture mediali)
infezioni
82
14. LE TENDINOPATIE
Per tendinopatia si intende una patologia dei tendini.
Anatomia ed Istologia del Tendine
I tendini sono le strutture anatomiche, interposte tra muscolo ed osso, che trasmettono a
quest’ultimo la forza generata dal primo, rendendo possibile il movimento articolare.
Istologicamente, sono formati da tessuto connettivo fibroso, con fibre collagene, elastiche
(circa il 2%), cellule e matrice extracellulare ricca in proteoglicani.
Un tendine sano appare bianco, perlaceo ed omogeneo.
Le fibre collagene sono per il 95% di tipo 1, per il 5% di tipo 3 (in prevalenza nell’endotenonio
ed epitenonio) e di tipo 5 (tra le fibre 1 per regolare la crescita delle fibrille); altri tipi di
collagene sono scarsi e, prevalentemente alla giunzione osteotendinea (dove il tendine si
fonde con l’osso).
Le fibre 1 sono strettamente addossate, parallele, con scarsa matrice e poca vascolarizzazione;
sono rari i tenociti e nessun fibroblasto o miofibroblasto (tenociti producono sia la matrice,
sia le fibre collagene, da protocollagene a collagene maturo).
Le catene di collagene, a partire dalla fibrilla, si
organizzano in fasci sempre più complessi, che poi si
addensa in fibra primaria, secondaria e terziaria, per
formare il tendine stesso.
Il tendine è ricoperto dall’epitenonio (un connettivo
lasso che contiene vasi e nervi), superficialmente al
quale si trova il paratenonio (formato da collagene di
tipo I e di tipo III, da fibre elastiche e da cellule
sinoviali).
L’epitenonio ed il paratenonio insieme formano il peritenonio, che avvolge il tendine nel suo
insieme; per endotenonio, invece, si intendono la parte centrale del tendine di matrice e le
fibre. Alcuni tendini sono dotati di guaina sinoviale peritendinea, che ne facilita lo scorrimento
(rispetto alle strutture circostanti).
A livello della giunzione osteotendinea (tra tendine ed osso), ci sono 4 aree di transizione:
tendine
→
fibrocartilagine
→
fibrocartilagine calcificata
→
osso
Invece, a livello della giunzione miotendinea (tra tendine e muscolo) non esistono cellule
cartilaginee, ma le digitazioni della fibra muscolare si fondono con le fibre tendinee che ne
vengono strettamente in contatto, permettendo il movimento trasmesso dal muscolo all’osso.
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Le guaine tendinee sono come dei canali di scorrimento, all’interno dei quali scorrono i
tendini; sono rappresentate da un doppio strato:
- strato sinoviale
presenta un foglietto parietale
ed un foglietto viscerale
(intorno alla guaina sinoviale, può esserci una guaina fibrosa che
rappresenta il tunnel all’interno del quale scorre il tendine.)
- vasi e nervi
giungono a livello del tendine
dal mesotenonio
(che è come il mesentere a livello intestinale)
Il termine “tendinite” solitamente si usa per indicare l’infiammazione di un tendine, ma non è
sempre corretto in quanto non si tratta dell’infiammazione delle fibre tendinee, bensì di
fenomeni infiammatori del complesso tendine-peritenonio-fibre inserzionali-guaina, unito ad
alterazioni degenerative (che si hanno con microlesioni ripetute nel tempo e successivamente
danno origine alla sintomatologia), pertanto è preferibile parlare di Tendinopatia per indicare
la complessità dell’interessamento delle strutture funzionali dell’unità muscolo-tendinea.
Il paziente, quando ha una sintomatologia, spesso ha già alterazioni degenerative, mentre
quelle infiammatorie sono quelle iniziali che cronicamente sono andate a variare
morfologicamente l’anatomia e l’istologia del tendine.
La Classificazione Anatomica considera la patologia in base alla sede della tendinopatia stessa:
Tendinopatie Inserzionali
Tendinopatie
a livello della giunzione osteotendinea
del Corpo Tendineo
Tendinopatie
Rotture Tendinee
della Giunzione Miotendinea
interruzione completa di natura traumatica
Nella Classificazione Clinica si basa invece sulla sintomatologia:
Stadio 1
Stadio 2
dolore dopo allenamento
dolore all’inizio
che scompare con l’attività
Stadio 3
Stadio 4
dolore durante e dopo attività
rottura del tendine
(dolore costante)
(degenerazione ampia
basta un piccolo trauma per
rompere le fibre tendinee)
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La Classificazione Istologica distingue le tendinopatie in:
Tendinite
Acuta
Tendinosi
Peritendinite
Peritendinite
+ Tendinosi
Tenosinovite
- Tendinite Acuta
È la risposta infiammatoria della sostanza del tendine, conseguente
a microtraumi acuti con lesioni di alcune fibre in cui si ha afflusso
di cellule infiammatorie e flogosi locale transitoria; la vera
“tendinite”, se esiste, ha una durata breve (1-2 settimane) e
compare solo nel periodo successivo a microtraumi significativi
mentre, quando il dolore è cronico, si ha sempre una Tendinosi, con
alterazioni degenerative già presenti nel tendine. Nella tendinite le fibre sono integre, la
vascolarizzazione è aumentata e ci possono essere delle piccole rotture di fibrille tendinee.
- Tendinosi
È la degenerazione del corpo tendineo senza segni clinici o istologici
di flogosi; istologicamente vi è degenerazione delle fibre collagene,
che non appaiono più parallele le une alle altre, ma aumenta la
componente della matrice mucoide, con probabile neoformazione di
vasi in assenza di cellule infiammatorie.
Le fibre non sono più pettinate (parallele) ma sono disordinate e si
possono ispessire per l’aumento della matrice collagene; di conseguenza ci sarà un
ispessimento con possibile formazione di nodi nei tendini (tendinosi è la principale
alterazione dei tendini, in quanto la peritendinite isolata è rara e la tendinite ancora di più).
I vari tipi di degenerazione che si possono avere (anche insieme) sono:
Degenerazione Ialina
Degenerazione Mucoide
Degenerazione Fibrinoide
Degenerazione Lipoidea
Calcificazione
Metaplasia Ossea
Si può creare un circolo vizioso, nel momento in cui si ha un
aumento delle richieste funzionali del tendine mantenute nel tempo,
cui può seguire una riparazione adeguata (restitutio ad integrum del
tendine) od una riparazione inadeguata, specialmente se il soggetto
non rispetta un dovuto periodo di riposo. Alla riparazione
inadeguata segue una ridotta produzione di collagene e matrice, con
la morte cellulare e dei tenociti (a livello tendineo), ulteriore
riduzione di collagene e matrice (che viene formata dai tenociti), c’è
un’aumentata vulnerabilità al sovraccarico e si possono avere delle
lesioni intratendinee o delle rotture complete.
85
- Peritendinite
In genere si ha quando un tendine è privo di guaina e fa attrito con
una protuberanza ossea.
Si crea edema acuto (tumefazione locale) ed iperemia del
peritenonio con infiltrato infiammatorio (quindi cellule
infiammatorie che giungono in sede, con eventuale secrezione di
essudato fibrinoso (spesso causa crepitio clinicamente evidente:
peritendiniti crepitanti).
Accade spesso che ad avvenuta guarigione, a livello del peritenonio si formano una serie di
aderenze con i tessuti circostanti e, di conseguenza, ci possono essere degli ispessimenti
sottocutanei nella sede della pregressa peritendinite (in genere si ha presenza di
neovascolarizzazione e di cellule miofibroblastiche).
- Tenosinovite
È un’infiammazione della guaina sinoviale e dei tendini che presenti nella guaina stessa.
Vi è un’aumentata produzione di liquido di tipo infiammatorio all’interno della guaina e il
tendine può essere normale o patologico (se cronica→tendine patologico, sottoposto a
fenomeni degenerativi); all’interno delle guaine, il tendine si trova in una ristrettezza (perché
la guaina aumenta il liquido) quindi scorre male ed il dolore è di tipo meccanico.
Le più frequenti tenosinoviti sono:
Tenosinovite di De Quervain
Tipica tenosinovite dell’estensore breve e dell’abduttore lungo
del pollice (nel polso).
Le guaine tendinee sono infiammate, con aumento del liquido,
ed il tendine viene strozzato; questo provoca dolore alla
regione prossimale del polso, soprattutto ai movimenti delle
dita o all’estensione radiale del polso.
Tenosinovite Stenosante dei Flessori
Detta volgarmente Dito a Scatto, riguarda i flessori delle dita, a
livello del palmo della mano, i quali subiscono un arresto in
una delle guaine tendinee delle pulegge fibrose, all’interno
delle quali passa il tendine (ristrettezza guaina per fibrosi
cronica - aumento di attrito del tendine - difficoltà estensione scatto del dito per compressione del tendine che vince la
resistenza e si estende improvvisamente).
Si da indicazione chirurgica: apertura della guaina tendinea
per far scorrere meglio il tendine e risolve la sintomatologia
86
- Rottura Tendinea
La rottura sottocutanea insorge sempre su un tendine degenerato, ovvero in un tendine che è
stato sottoposto cronicamente a degenerazioni di vario tipo ed in cui le fibre non sono più
orientate (con aumento di matrice e proteoglicani).
La rottura può avvenire per traumi banali (trauma sportivo, movimento brusco, discesa dalle
scale) e può essere inserzionale (con eventuale avulsione) o del corpo tendineo.
Le rotture con avulsione interessano il tendine sano (il tendine vince la resistenza dell’osso e
l’osso si stacca), mentre le tendinosi danno rotture a livello del corpo del tendine (senza
avulsione ossea).
I tendini più interessati dalla rottura tendinea sono:
Tendini
Capo Lungo
Cuffia dei Rotatori
Bicipite Brachiale
Tendine
Tendine
Inserzione Distale
Quadricipitale
Rotuleo
Bicipite Brachiale (raro)
Tendine Achille
In caso di rottura tendinea la terapia è chirurgica in tutti i casi, salvo che nel distacco del capo
lungo del bicipite (che può non avere conseguenze cliniche rilevanti) o nelle lesioni della
cuffia con scarsa sintomatologia (specialmente nel paziente anziano), e comunque in base alla
tipologia di paziente (es: capo distale del bicipite brachiale viene reinserito sulla tuberosità
bicipitale del radio mediante un’ancoretta e delle suture; tendine quadricipitale, sopra la
rotula, ed il tendine rotuleo, sotto la rotula, si reinseriscono con dei punti transossei: rotula
permette una stabilità del costrutto, nonché una precoce mobilizzazione e riabilitazione).
Eziologia delle Tendinopatie
Le tendinopatie possono essere causate da:
Sovraccarico Funzionale
aumento frequenza e intensità
allenamenti
Errata
Calzature
Terreni
Non Adeguate
Non Adeguati
Squilibrio tra Forza Muscolare
e Resistenza Tendinea
Esecuzione
uso di steroidi anabolizzanti:
Esercizio
aumento massa muscolare, tendine resta
costante e sottoposto a forze eccessive
Iniezioni Locali di
Corticosteroidi
degenerazione del tendine
di tipo farmacologico
Ripresa Precoce
Mancanza
Allenamenti Post Infortunio
di Riscaldamento
dopo una tendinopatia riposo 7-10 gg
fondamentale lo stretching
altrimenti non si dà tempo ai fenomeni
Pre e Post allenamento
riparativi di riparare il tendine (ripresa
Vizi
Posturali
precoce peggiora la sintomatologia)
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Diagnosi delle Tendinopatie
La Diagnosi Clinica viene effettuata in base a sede, tipo di attività e dolore:
dolore localizzato
deficit di forza
tumefazione
crepitio (peritendiniti)
La Diagnosi Radiologica consiste invece in Ecografia e RMN; solitamente basta un’ecografia
per vedere una struttura tendinea alterata, o per vedere del liquido localizzato nelle guaine
tendinee.
Localizzazioni Principali delle Tendinopatie
Tendinopatie Inserzionali
Peritendiniti/ P. con Tendinosi
Cuffia dei rotatori
Bendelletta ileotibiale
Capo lungo del bicipite
Tendine rotuleo
Epicondiloidei/epitrocleari
Tendini della zampa d’oca
Glutei
Tendine di Achille
Ileopsoas
Bicipite femorale
Adduttori
Quadricipitale
- Spalla
Le attività più a rischio sono quelle che prevedono l’elevazione dell’arto superiore oltre i 90°
in maniera costante e continua (Volley, Baseball, Lavori con elevazione di spalla sopra al collo.
I tendini coinvolti sono:
Tendine Sovraspinoso
Tendine Sottoscapolare
Tendine Sottospinoso
Tendine del Piccolo Rotondo
(Cuffia dei Rotatori)
Tendine del Capo Lungo del Bicipite
- Capo Lungo del Bicipite
Spesso nella patologia degenerativa o post-traumatica della
cuffia dei rotatori e del cercine, si hanno lesioni associate del
capo lungo del bicipite, per la stretta continuità di rapporti tra le
strutture. Questo tendine origina dalla porzione superiore del
cercine glenoideo, a livello del tubercolo sovraglenoideo della
scapola e, nel suo tratto iniziale, è intra-articolare (attraversa il
solco bicipitale a livello della testa dell’omero, tra la piccola e la
grande tuberosità).
88
Esce poi dall’articolazione, inferiormente alla cuffia dei
rotatori nel solco bicipitale, tra trochite e trochine
omerali, avvolto da una guaina e si fonde con il capo
breve, che origina dalla coracoide della scapola; il ventre
muscolare del bicipite si inserisce tramite un robusto
tendine nella tuberosità bicipitale del radio.
La sua funzione è quella di stabilizzare la testa omerale e di
coadiuvare la funzione bicipitale nella flessione
dell’avambraccio sul braccio, insieme al capo breve; la sua
funzione è coadiuvata dagli stabilizzatori intrarticolari
(legamento gleno omerale superiore, legamento coraco
omerale e fibre profonde del sotto scapolare) ed
extrarticolari (solco bicipitale e legamento trasverso
omerale, ispessimento delle fibre del sottoscapolare, del
sottospinoso e del legamento coraco omerale).
La vascolarizzazione è garantita da rami delle arterie toraco-acromiale e brachiale e presenta
un’area critica (nella quale la vascolarizzazione è minore) a livello di circa 2-3 cm dalla sua
origine sulla glena, che rende questa sede una regione particolarmente fragile
Si distinguono 4 gradi di tendinopatia:
Grado 1
Grado 0
lesione di una quantità di fibre
tendine normale
inferiore al 50%
Grado 2
Grado 3
lesione di una quantità di fibre
superiore al 50%
continuità del tendine mantenuta
rottura completa del tendine
con retrazione distale del muscolo
Il sintomo primario in caso di tendinopatia è il dolore mentre, dopo la rottura,
il dolore si riduce e subentra il deficit di forza legato all’insufficienza del
muscolo stesso.
Nella Rottura Sottocutanea si può avere:
Distacco osseo
Distacco del tendine all’origine
Distacco a livello
all’origine
senza distacco osseo
della zona critica
del tendine
con moncone beante in articolazione
con due monconi del tendine
(prossimale + distale)
Clinicamente, in caso di lesione totale, c’è il tipico segno di Popeye (braccio di ferro), ovvero la
retrazione distale del bicipite (sorretto solamente dal capo breve) con aspetto globoso.
89
La sintomatologia è rappresentata da:
Dolore anteriore
Dolore notturno
Ridotta articolarità attiva
Crepitio al movimento
Riduzione della forza
(soprattutto in elevazione del braccio)
Calore e sensazione di
tumefazione interna
In una tendinopatia senza rottura la Terapia Conservativa prevede: ghiaccio, riposo, terapia
fisica (tecar, laser, ipertermia), FANS in fase acuta e terapia infiltrativa.
In caso di rottura del capo lungo del bicipite la Terapia Chirurgica non è sempre indicata.
In un paziente anziano con una lesione della cuffia la terapia è conservativa, mentre in un
paziente giovane con aumentate richieste funzionali può essere necessario ricorrere a
Tenodesi (in caso di rottura, reinserzione del tendine prossimalmente e fissazione sulla doccia
bicipitale) o Tenotomia (in caso di degenerazione specialmente della cuffia, si tratta della
resezione in artroscopia del tendine causa del dolore, a circa 2 cm dall’origine, così da
migliorare la sintomatologia).
- Gomito
Le attività più a rischio sono tennis, golf, sci nautico, pesistica e utilizzo del mouse.
Le patologie più frequenti sono l’epicondilite (o gomito del tennista) e l’epitrocleite (o gomito
del golfista); si parla della prima se i muscoli si inseriscono sull’epicondilo laterale, della
seconda se i muscoli si inseriscono sull’epicondilo mediale (o epitroclea)
I tendini coinvolti sono:
- Estensore radiale breve del carpo (a livello dell’epicondilo laterale)
- Estensore radiale lungo del carpo (più rara)
- Estensore delle dita
- Estensore ulnare del carpo
- Flessori del carpo e delle dita (a livello dell’epicondilo mediale)
- Tricipite brachiale (tendinopatia tricipitale più rara)
- Polso
Le attività più a rischio sono mouse, sollevamento pesi e lavori casalinghi.
I tendini coinvolti sono:
- Estensore breve del primo dito*
- Abduttore lungo del primo dito*
(*tenosinovite di De Quervain)
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- Coscia
Le attività più a rischio sono calcio, ciclismo, rugby, ginnastica, sollevamento pesi.
I tendini coinvolti sono:
- Bicipite femorale
- Semitendinoso
- Semimembranoso
- Adduttori
- Ginocchio
Le attività più a rischio sono volley, salto, calcio, basket, crossfit, corsa.
I tendini coinvolti sono:
- Tendine quadricipitale
- Tendine rotuleo
- Bendelletta ileo tibiale
La tendinopatia rotulea ha come sede l’apice rotuleo (inserzione del
tendine rotuleo sull’apice della rotula); tipicamente dà un dolore che
si presenta quando si sta molto seduti, con il ginocchio flesso a 90°,
dopo circa 30-60 minuti; per tale motivo prende il nome di “segno
del cinema”, in quanto è tipico di chi sta al cinema per 2 ore
(solitamente il dolore scompare se il paziente estende il ginocchio).
Quando si pratica attività sportiva, il dolore si ha sia durante che
dopo lo sforzo: può dare alterazioni degenerative nel tempo, con
ispessimento fusiforme del tendine che può anche portare a rottura.
La sindrome della bendelletta ileotibiale è poco conosciuta ma si tratta
di una patologia a livello della bendelletta, quando questa incrocia il
condilo femorale laterale ed insorge prevalentemente in pazienti che
corrono molto (tipicamente 10-15 minuti dopo l’inizio della corsa). È
legata all’attrito costante (specialmente nei pazienti magri) della
bendelletta ileotibiale (ovvero il tendine del tensore della fascia lata,
che si inserisce lateralmente sul tubercolo del Gerdy della tibia) nel
momento in cui questa attraversa il condilo femorale, nei movimenti
ripetuti tra 20° e 30° (come avviene nella corsa).
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- Caviglia-Piede
Le attività più a rischio sono corsa, calcio, marcia.
I tendini coinvolti sono
- Tendine di Achille
- Tendini peronieri
- Fascia plantare
(fascite plantare:
infiammazione con dolore
del mesopiede o inserzione
calcaneare della fascia al carico)
Terapia nelle Tendinopatie
Riposo Funzionale
almeno 2-3 settimane per dare il tempo alla patologia acuta di riassorbirsi
(limitare uso e sovraccarico le fibre del tendine già alterate).
Il danno tendineo è spesso avanzato all’insorgere dei sintomi
Potenziamento Muscolare
eccentrico e pliometrico, favorisce la rigenerazione tendinea in senso corretto
Terapie Fisiche
es. laserterapia velocizza la rigenerazione del collagene
FANS
specialmente nelle fasi acute di dolore (effetto analgesico più che antinfiammatorio)
Ultrasuoni
favoriscono la fibrosi e la riparazione del tendine
Crioterapia
utilizzo di ghiaccio per 10-15’per 2/3 volte al giorno per evitare stress sulla pelle ed ustioni
da freddo (riduce vascolarizzazione e infiammazione peritendinea)
Infiltrazioni Corticosteroidi
uso controverso; si usa in spalla e cuffia dei rotatori, meno utilizzato in altre sedi per la
necrosi dei tenociti e sottocutanea, nonché per le lesioni intratendinee che si possono creare.
Terapia Chirurgica
utilizzata nei casi cronici refrattari, quando ci sono già alterazioni degenerative con
ispessimento del tendine e fenomeni meccanici (rimozione del tessuto tendineo degenerato,
sanguinamento del tendine stesso per favorire l’afflusso di cellule riparatorie e la sua
guarigione; in aiuto si utilizza PRP – fattori di crescita piastrinici)
92
15. FRATTURE DELLA SPALLA E DEL GINOCCHIO
Fratture della Spalla
Le fratture dell’estremità prossimale dell’omero sono particolarmente frequenti negli anziani a
causa dell’osteoporosi e rappresentano la terza frattura più frequente, dopo le fratture del
collo del femore e del polso. Si classificano in base al numero di frammenti (Neer).
I frammenti considerati sono:
Testa
dell’Omero
Grande Tuberosità
Omerale
(o trochite omerale)
Piccola Tuberosità
Omerale
(o trochine omerale)
Diafisi
Omerale
La frattura è tanto più grave, quanto maggiore è il numero dei frammenti coinvolti; più
numerosi sono i frammenti, più scomposta è la frattura, più tempo intercorre tra trauma e
trattamento, maggiore è la possibilità di necrosi della testa omerale (anche questa può essere
interessata da un riassorbimento, per l’alterazione dei fenomeni di vascolarizzazione
successivi alla frattura).
Eziologia delle Fratture della Spalla
La causa è in genere un trauma diretto sulla spalla od indiretto sul
braccio o sulla mano (se associata a lussazione, si parla di “fratturalussazione”).
Diagnosi delle Fratture della Spalla
La diagnosi può essere: anamnestica, clinica o radiologica
Nella Diagnosi Clinica i sintomi sono:
- impotenza funzionale;
- braccio addotto a difesa;
- ematoma di Hennequin, legato all’interruzione della vascolarizzazione (visibile sulla spalla
distalmente lungo l’emitorace corrispondente in quanto, per gravità, il sangue nel sottocute si
va a situare distalmente alla frattura stessa)
Nella Diagnosi Radiologica si effettuano:
- RX in 2 proiezioni;
- TC in caso di dubbio o per valutare l’esatta estensione articolare (specialmente in caso di
scomposizione importante o di numerosi frammenti).
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Terapia delle Fratture della Spalla
La Terapia Incruenta si riserva a fratture piuttosto composte ed in pazienti
anziani, nei quali c’è un elevato rischio operatorio e scarse richieste
funzionali; consiste in un’immobilizzazione con tutore di tipo Desault, per
circa 30 giorni, con successiva mobilizzazione alla rimozione del tutore.
In tutti gli altri casi si preferisce la Terapia Chirurgica, che consiste nella riduzione della
frattura (riposizionamento dei frammenti di frattura) e la loro immobilizzazione, che può
essere effettuata:
- con placca e viti;
- con chiodo endomidollare: nelle fratture più
basse, non troppo frammentate, nelle quali
basta rimettere in sede la testa con la diafisi
(tramite un chiodo e delle viti che ne bloccano
i frammenti).
In caso di frattura gravemente scomposta a 4 frammenti, od in caso di fallimento di una
sintesi, si rende indicata la Protesi di Spalla, che può essere:
- Normale: si ha una testa omerale ed uno stelo che viene
introdotto all’interno della diafisi; ci sono poi dei fori che
servono per la reinserzione muscolare dei muscoli della cuffia (in
caso di disinserzione dal trochite);
- Inversa: a livello funzionale dà un miglioramento
dell’articolarità ed una riduzione della fibrosi e del dolore; si
posiziona una semisfera a livello della glena ed una componente
di uno stelo cavo a livello del canale midollare.
Complicanze delle Fratture della Spalla
Le complicanze delle fratture a livello dell’omero prossimale sono:
- Lesione Nervo Circonflesso, che va a situarsi a livello del collo chirurgico dell’omero, 2-3 cm
al di sotto della testa, e decorre trasversalmente) al momento della chirurgia (se non si isola
correttamente) o da parte dei frammenti di frattura (che vanno ad intrappolarlo);
- Lesione Nervo Radiale, che decorre più distalmente, nella faccia posteriore della diafisi
omerale in fratture più distali o nel posizionamento delle viti;
- Pseudoartrosi, non guarigione della frattura;
- Scomposizione Secondaria, instabilità dei frammenti che porta ad un aumento della
scomposizione ai controlli
- Necrosi della Testa;
- Rigidità, riduzione dell’arco di movimento articolare (importante la mobilizzazione precoce
specie in caso di intervento con una sintesi stabile → immediata mobilizzazione);
94
- Artrosi Post Traumatica, come in tutte le fratture articolari;
- Mobilizzazione dei Mezzi di Sintesi, che vanno rimossi se danno fastidio a livello articolare
e/o sottocutaneo).
Riabilitazione delle Fratture della Spalla
- Tutore di Desault, per 15-20 giorni, si rimuove per fare fisioterapia
- Mobilizzazione Precoce
- Esercizi di Articolarità Attiva e Passiva
- Esercizi Pendolari, esercizi gravitari in cui si applica una mobilizzazione dell’articolazione
gleno omerale.
- Massoterapia, massaggi per decontratturare la muscolatura
- Idrochinesiterapia, importante alla rimozione dei punti, in quanto con l’aiuto dell’acqua si
permette una più precoce riabilitazione senza dolore
Fratture del Ginocchio
A seconda della sede, le fratture del ginocchio includono:
Fratture del Femore Distale
Tibia Prossimale
(fratture sovracondiloidee del femore)
(fratture del piatto tibiale)
Frattura della Rotula
- Fratture del Femore Distale
Il femore distale è rappresentato dai due condili femorali
(mediale e laterale), dalla troclea femorale e dalla gola
intercondiloidea (visibile posteriormente); il condilo
mediale è sempre più grande del condilo laterale.
Eziologia delle Fratture del Femore Distale
Le fratture a questo livello, in genere, sono il risultato di traumi ad alta energia come incidenti
stradali o cadute da altezze (perché il femore è un osso molto resistente).
Esistono diverse classificazioni, ma la più utilizzata è la Classificazione di Muller (AO – Ass.ne
Osteosintesi) che distingue fratture di tipo A, B, C in base al decorso
della rima:
- Tipo A: fratture non articolari (tutte al di sopra dell’articolazione);
- Tipo B: fratture di uno dei due condili;
- Tipo C: fratture articolari pluriframmentarie o complesse.
Diagnosi e Terapia delle Fratture del Femore Distale
In base alla Diagnosi Clinica possiamo trovare deformità, ematomi (per la vascolarizzazione
locale), tumefazioni e limitazione funzionale assoluta.
In base alla Diagnosi Radiografica si dovrà svolgere una RX tradizionale ed una TC per
valutare l’estensione articolare e l’esatta posizione della rima (in previsione di un intervento e
95
di un planning pre operatorio); la radiografia si effettua sempre in 2 proiezioni e la TC aiuta in
una ricostruzione tridimensionale.
La Scomposizione della Frattura è legata all’azione muscolare, in questo
caso dei gemelli e del quadricipite; pertanto, si ha una retrazione del
frammento distale in senso prossimale, cosa molto pericolosa a livello
vascolare in quanto, posteriormente al ginocchio, decorrono arteria e vene
poplitee che possono venire interessate dalla frattura (e possono subire
una lesione). Per questo è sempre fondamentale un Eco-color-doppler per
valutare l’integrità delle strutture vascolari
Il Trattamento Chirurgico è l’unica soluzione; abbiamo la sintesi endomidollare o transossea:
- sintesi endomidollare: riservata ai casi in cui c’è meno interessamento articolare e la frattura
è più prossimale (es: in una frattura sovracondiloidea con articolazione intatta si utilizza il
chiodo retrogrado, introdotto a livello del ginocchio da un’incisione sovrarotulea, che
stabilizza la frattura ridando l’asse e bloccandola con delle viti, per permettere la corretta
guarigione);
- sintesi transossea: si effettua con una placca che aderisce alla corticale laterale del femore,
con l’aggiunta di viti che immobilizzano i frammenti di frattura e permettono di mobilizzare
precocemente l’articolazione.
Complicanze delle Fratture del Femore Distale
Lesioni
Rigidità
Vascolo-Nervose
Post Traumatica
Artrosi
Infezione
Trombosi Venosa Profonda
in caso di fratture esposte
diagnosi o trattamento tardivo
o infezione post operatoria
o errata profilassi antitrombotica
Viziosa
Scomposizione
Mobilizzazione
Consolidazione
Secondaria
Mezzi di Sintesi
Post Traumatica
Pseudoartrosi
Riabilitazione delle Fratture del Femore Distale
- Tutore in Estensione, per 30 giorni, da rimuovere per gli esercizi di articolarità
- Mobilizzazione Precoce, con CPM/Kinetec (macchinario permette un movimento passivo
del ginocchio con scelta dei gradi di flessione e velocità di flessione dell’articolazione
- Esercizi di Articolarità Attiva e Passiva, dal punto di vista muscolare, appena possibile
- Isometria del Quadricipite
- Idrochinesiterapia, dalla rimozione dei punti
- Elettrostimolazione
- Carico sull’Arto, dipende dalla stabilità e dal mezzo di sintesi; in genere è tardivo, per la
necessità di formazione di un callo osseo sufficiente prima del carico completo (45-60 gg)
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- Fratture del Piatto Tibiale
Il piatto tibiale è l’estremità prossimale della tibia ed è
composto dall’emipiatto mediale, dall’emipiatto laterale e
dall’eminenza intercondiloidea (dà inserzione a LCA
anteriormente e LCP posteriormente, anche se
quest’ultimo si inserisce più nel margine posteriore della
tibia e non tanto nelle spine tibiali anteriori.
Eziologia delle Fratture del Piatto Tibiale
La causa di tali fratture è legata a traumi ad alta energia,
come incidenti stradali o cadute.
La classificazione utilizzata è la Classificazione di Schatzker,
che divide queste fratture in 6 tipi: dalle meno gravi di tipo
1, alle più gravi ovvero le pluriframmentarie di tipo 6.
Diagnosi delle Fratture del Piatto Tibiale
Nella Diagnosi Clinica troviamo deformità, ematomi, tumefazioni, limitazione funzionale.
Nella Diagnosi Radiografica si effettua una RX classica in 2 proiezioni e, trattandosi di frattura
articolare, una TC per valutare l’esatta morfologia in 3D.
Il Trattamento Chirurgico è la migliore soluzione (tranne nelle fratture composte senza
affossamento in cui non c’è una compattazione della spongiosa ed una perdita di sostanza
ossea) e consiste nella sintesi con placche e viti o con viti libere; si possono utilizzare delle viti
a rondella, che vengono inserite orizzontalmente per dare sostegno alla spongiosa ossea ed
evitano un ulteriore affossamento della frattura, stabilizzandola (dal punto di vista
transosseo). Una placca con viti viene utilizzata nelle fratture più scomposte, più complesse e
ci può essere necessità di eseguire una correzione della rima articolare, se c’è un affossamento
della stessa.
Essendoci molta spongiosa sottostante al piatto tibiale, spesso ci può essere un affossamento
(la superficie articolare non è più omogenea) e c’è bisogno, attraverso un’incisione sulla
corticale anteriore della tibia, di rialzare il piano articolare (altrimenti, anche se la frattura
guarisce, ci possono essere artrosi post traumatica e fenomeni di deviazione assiali legati ad
un’alterata superficie articolare stessa).
Complicanze delle Fratture del Piatto Tibiale
Lesioni
Rigidità
Vascolo-Nervose
Post Traumatica
Artrosi
Pseudoartrosi
Infezione
Trombosi Venosa Profonda
Viziosa
Scomposizione
Mobilizzazione
Consolidazione
Secondaria
Mezzi di Sintesi
Post Traumatica
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Riabilitazione delle Fratture del Piatto Tibiale
- Tutore in Estensione, per 30 giorni, da rimuovere per gli esercizi di articolarità
- Mobilizzazione Precoce, con CPM/Kinetec
- Esercizi di Articolarità Attiva e Passiva, dal punto di vista muscolare, appena possibile
- Isometria del Quadricipite
- Idrochinesiterapia, dalla rimozione dei punti
- Elettrostimolazione
- Carico sull’Arto, dipende dalla stabilità e dal mezzo di sintesi;
- Fratture della Rotula
Anatomicamente, la rotula è un osso sesamoide interposto tra le
strutture tendinee (superiormente ad essa il tendine quadricipitale,
inferiormente ad essa il tendine rotuleo).
Il tendine rotuleo in realtà è un legamento (il tendine è annesso ad un
muscolo, mentre il legamento unisce due superfici ossee), in quanto
unisce il tendine con la tibia; tuttavia, funzionalmente, si parla di tendine
perché è un’estensione del tendine quadricipitale, fondamentale per la
funzione del quadricipite.
Anteriormente e posteriormente, le superfici articolari della rotula sono
due: mediale e laterale; poi c’è la faccetta odd (odd facet) che non si
articola direttamente con il femore, ma è ricoperta da cartilagine ed è
adiacente alle superfici articolari mediale e laterale.
Eziologia delle Fratture della Rotula
Le cause sono è legate a traumi sportivi o cadute dirette sul ginocchio (cadute in ginocchio o
incidenti stradali con traumi da cruscotto), con contusione prerotulea.
La classificazione delle fratture rotulee basata sul decorso della rima le classifica in:
verticale (rara)
orizzontale (più frequente)
pluriframmentaria
Inoltre possono anche essere classificate in fratture:
- Non scomposta (orizzontale)
- Trasversa (orizzontale scomposta)
- Frattura del polo inferiore
- Frattura composta comminuta (senza diastasi dei frammenti)
- Frattura scomposta comminuta (con diastasi dei frammenti)
- Frattura verticale (rima verticale)
- Frammento osteocondrale (considerato come frattura da trazione)
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Le più frequenti sono le fratture trasverse (che richiedono trattamento chirurgico), mentre le
fratture verticali, non essendo sottoposte a fenomeni di diastasi da parte dei tendini
richiedono un trattamento conservativo (tutore in estensione per 30 giorni)
Diagnosi delle Fratture della Rotula
Nella Diagnosi Clinica troviamo ematoma, tumefazione e limitazione funzionale; inoltre alla
palpazione ci può essere un “segno di minus”, se c’è una diastasi (allontanamento) tra due
frammenti di frattura.
Nella Diagnosi Radiografica si esegue una RX classica in 2 proiezioni.
La scomposizione nelle fratture orizzontali è legata
all’azione muscolare del quadricipite. Un ginocchio
flesso, con una frattura di rotula, fa si che ci sia una
trazione prossimale da parte delle fibre muscolari
quadricipitali e, di conseguenza, un allontanamento dei
frammenti di frattura. Quando si sospetta una frattura di
rotula, è fondamentale non far flettere il ginocchio al
paziente (perché nella flessione si allontanerebbero i
frammenti di frattura); infatti, tenendo il ginocchio
completamente esteso si riduce al massimo la diastasi
dei frammenti.
Terapia delle Fratture della Rotula
Il Trattamento Conservativo si attua sempre nelle fratture a
decorso verticale o nelle infrazioni, mentre si applica il
Trattamento Chirurgico in tutti gli altri i casi, in quanto anche
nelle fratture orizzontali composte, un’immobilizzazione con
un mese di tutore porterebbe una rigidità, mentre l’intervento
permette una precoce mobilizzazione (possibilità di flettere il
ginocchio prima passivamente con il kinetec, poi attivamente) con
recupero quasi completo dell’articolarità.
Generalmente l’intervento consiste in un cerchiaggio metallico
singolo o doppio: si tratta dell’inserimento di fili di metallo (che
immobilizzano i frammenti di frattura), disposti ad “O”, ad “8” o
insieme (preferibile).
Al cerchiaggio è possibile, eventualmente, associare viti o fili di
Kirschner (consigliate le viti canulate nelle fratture verticali o
comminute, per sintetizzare al meglio i frammenti);il cerchiaggio
dinamico invece, presenta due fili di metallo in senso verticale (fili di
Kirschner) associati ad un cerchiaggio che li blocca, impedendo la diastasi della frattura.
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Complicanze delle Fratture della Rotula
Rigidità Post Traumatica
Artrosi
fondamentale una sintesi stabile che permetta una
Post Traumatica
precoce mobilizzazione
tra rotula e femore
Pseudoartrosi
Infezione
Scomposizione
specialmente se ci sono frammenti di periostio
Secondaria
interposti tra i frammenti di frattura
Deiscenza
Rottura
Mezzi di Sintesi
Mezzi di Sintesi
cerchiaggio può sporgere a livello sottocutaneo in
frattura per movimento durante la riabilitazione
quanto la cute è molto sottile (c’è poco sottocute a
tardiva (dopo diversi mesi dall’intervento) può
livello del ginocchio in sede pre rotulea), pertanto si
possono avere infiammazioni o perforazioni della
pelle. In questo caso vanno rimossi i mezzi di sintesi
essere un segno di guarigione della frattura
Se una flessione del ginocchio in riabilitazione o
potenziamento muscolare, a mesi dalla frattura, fa
rompere il cerchiaggio, va rimosso ma è segno
positivo perché la muscolatura risulta efficiente
Riabilitazione Complicanze delle Fratture della Rotula
- Tutore in Estensione, per 30 giorni, da rimuovere per gli esercizi di articolarità
- Mobilizzazione Precoce, con CPM/Kinetec
- Esercizi di Articolarità Attiva e Passiva, dal punto di vista muscolare, appena possibile
- Isometria del Quadricipite, fin dall’inizio
- Idrochinesiterapia, da rimozione dei punti ferita guarita e no problema di infezione (15 gg)
- Carico Completo Immediato, in quanto la rotula non è un osso sottoposto a carico;
ovviamente il carico dipende dalla stabilità e dal mezzo di sintesi
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