Formazione: le 3 microaree: fare, saper fare, saper essere. Obiettivo della formazione è uscire cambiati; avendo acquisito competenze. Metodo migliore: alternare lezioni frontali a esercitazioni in sottogruppi. Rispetto alle richieste del committente, i passi da seguire sono (fasi progettazione formativa): 1- analisi della domanda; 2- analisi dei bisogni formativi (trasformano una domanda in un’azione che si pensa sia efficace); 3- stesura delle azioni (avere chiari degli obiettivi) azioni in dettaglio (microprogettazione) 4- valutazione (deve essere fatta prima, durante e dopo monitoraggio). Il consulente viene di solito chiamato in caso di: formazione; conflitto; cambiamento. Ci sono vari approcci alla consulenza organizzativa: il consulente di processo (E. Shane): analisi di come le organizzazioni, quando chiedono una consulenza, fanno una richiesta d’aiuto. Modello il più esperto del problema è il cliente, il consulente ritaglia una soluzione insieme al cliente. Si attiva un processo di apprendimento che include il cambiamento. Il consulente, come il terapeuta, è in una relazione di aiuto. Le teorie organizzative – vari filoni 1) Taylorismo; Max Weber = filone razionale 2) Maslow: motivazioni dettate da bisogni bisogno di appartenenza; bisogno di autorealizzazione = filone relazionale Taylor lav. Industriale. Weber 3 forme di potere: carismatico, legale (garantito da norme e leggi burocrazia), tradizionale. Altro filone nelle teorie sulle organizzazioni: 3) Sense making l’uomo lavora per costruire e dare senso alle proprie opere. Approccio narrativo: bisogno che le organizzazioni hanno di narrare la propria esperienza (così come i singoli). Il lavoratore che racconta la propria esperienza è anche molto sfruttato in ambito pubblicitario. Noi amiamo e abbiamo bisogno del racconto. Ci aumenta la motivazione. Modello giapponese: azienda come famiglia alta responsabilità individuale innovare parola chiave investire profitto in ricerca alta qualità total quality non avere troppe scorte che possono diventare obsolete controllo globale del processo produttivo produrre solo ciò che serve. Gruppo di lavoro Caratteristiche della dimensione gruppale: - dis/omogeneità - deve essere chiaro l’obiettivo finale - clima sociale/emotivo: il leader orienta ma non può avere il potere che ha il gruppo intero -il clima garantisce un buon livello di performance Conflitto: gestire le dimensioni conflittuali Processi decisionali: costantemente decidere e mettere in pratica decisioni. Ognuno con le proprie strategie Manutenzione del gruppo: la formazione continua, la supervisione, apprendimenti dall’esperienza, riunioni condotti sapientemente Il conflitto C’è conflitto quando ci sono due parti contrapposte con visioni opposte. Entrambe cercano di dimostrare che la propria visione è quella giusta. Il conflitto è una dimensione esistenziale dell’essere umano. Il conflitto può seguire due sentieri: -la lotta – la cooperazione. Spesso il conflitto è la molla dell’evoluzione e del cambiamento. Attraverso di esso c’è la possibilità di arricchimento. Di solito la rabbia copre altre emozioni. Occorre imparare a nominare e gestire le proprie emozioni. Per gestire le situazioni lavorative bisogna considerare la parte emotiva, oltre quella razionale. Il conflitto si impara a gestire. Spesso il conflitto non si risolve ma si può gestire. Si può risolvere solo quando entrambe le parti sono motivate ad un accordo. Il c. ha un tempo, quindi è un processo. Il conflitto implica una visione limitata, senza alternative e senza pensiero laterale. Il conflitto fa un’ evoluzione: nella dimensione violenza non resta che dividere le persone. Anche il verbale, se distruttivo, è violenza. Il terzo può essere funzionale oppure no. Il terzo che fa da intermediatore, cioè che divide, alla lunga cronicizza i conflitti. Il terzo mediatore invece è utile perché aiuta le parti a trovare un compromesso. Conflitto costruttivo: aperto, chiaro, esplicito, flessibile, limitato nel tempo e nei temi. Il conflitto costruttivo rimane su aspetti di contenuto e non di relazione. Nella simmetria non ci deve mai essere la disconferma del sé. L’identità dell’altro va sempre riconosciuta. 3 modi per affrontare un conflitto: 1) porre regole partendo da un principio 2) esaminare le ragioni specifiche del conflitto 3) far emergere le ragioni profonde del c. Spesso nel conflitto troviamo il pensiero lineare: causa effetto. Più utile analizzare usando il pensiero circolare: togliere il rapporto causa-effetto e considerare il sistema. Uscire dal rapporto “io faccio se tu fai”. Le organizzazioni funzionano se diventano un gruppo con un obiettivo comune, con suddivisioni di compiti e tempistiche definite. cooperazione. Slide Definizione organizzazione: Aggregato funzionale di sistemi che interagiscono tra loro e, attraverso obiettivi/sottobiettivi, operano con una vision (che cosa fa una organizzazione) comune per una mission comune (perché una organizzazione fa qualcosa). Altre definizioni: -Organizzazione è il set di strumenti che influenza ed indirizza i comportamenti affinché le persone raggiungano gli obiettivi prefissati. -Le organizzazioni sono unità sociali o raggruppamenti sociali deliberatamente costruiti per il raggiungimento di fini specifici. Cosa è un sistema: Insieme di oggetti e di relazioni (tengono insieme il sistema) tra oggetti (parti del sistema) e tra i loro attributi (proprietà degli oggetti). Proprietà dei sistemi: Totalità: ogni parte è in rapporto con le altre parti Non sommatività: il totale è differente dalla somma delle singole parti Equifinalità: condizioni iniziali uguali possono avere condizioni finali differenti. Attenzione al processo (rete di cambiamenti, attività o azioni collegate tra loro – complesso di trasformazioni o di trasferimenti di materia, di energia o di informazioni realizzato in un corpo fisico) Caratteristiche dell’organizzazione Complessità: è la proprietà di un sistema suscettibile di mostrare comportamenti che non siano tutti predeterminati, quindi necessari, anche se potenzialmente anticipabili. Conflittualità: le organizzazioni sono terreni di scontro al cui interno persone con interessi diversi negoziano il loro status. Dimensioni della complessità: Molteplicità/ frammentazione Varietà e dinamismo delle forme Modelli mentali diversi che coesistono Continua produzione e coesistenza di fenomeni contradditori Interdipendenza degli elementi Processi di senso del singolo Dimensioni della conflittualità: 1) Visione unitaria: tipica delle organizzazioni paternalistiche dove l’interesse del capo è lo stesso di quello dei singoli. I due interessi coincidono. Il conflitto è disfunzionale, viene coperto, negato. Presenza del capro espiatorio. 2) Visione radicale: tipica di dove ci sono due parti sempre conflittuali. Si possono fare solo compromessi e non mediazioni o negoziazioni 3) Visione pluralista: Il conflitto è visto come opportunità di crescita, senza cercare soluzioni definitive. Importante negoziare gli interessi. Vision: La vision di un’impresa potrebbe essere descritta come "un sogno realistico ad occhi aperti": è come avere davanti agli occhi una meta futura, ma senza sapere ancora di preciso come raggiungerla. La vision è la fonte d’ispirazione dell’attività d’impresa, in grado non soltanto di rendere chiaro ai dipendenti dell’azienda in che direzione si sta andando, ma di coinvolgere in questa destinazione anche clienti e fornitori. Perché la vision sia operativa e concreta, la sua ottica temporale dovrà essere compresa in un arco da tre a cinque anni. Le ricerche confermano l’impostazione positiva che la presenza di una Vision conferisce ad un’impresa. Tutti i collaboratori trovano in questo obiettivo una ragione di forza e di impegno, provando maggiore soddisfazione se lavorano in un’organizzazione con una vision chiara. Sembra anche esistere una diretta correlazione tra vision e risultati finanziari dell’azienda. La vision deve essere utilizzabile ai fini della predisposizione di una strategia e deve agevolare la comunicazione con tutti gli attori coinvolti nell’attività d’impresa. Sebbene venga di solito usato con riferimento ad imprese, il termine può essere utilizzato anche con riferimento ad associazioni o ad organizzazioni in genere, nonché in relazione ai singoli individui. Senza una vision chiara e definita sarebbe difficile stabilire lo scopo dell’organizzazione, la rotta che essa intende seguire e i benefici che ne potranno derivare. Dopo avere definito la vision, la direzione dovrà porsi come obiettivo continuo da conseguire la sua comunicazione e la sua condivisione con il personale dell’azienda. Per ciò è strategico che la vision diventi il "manifesto" dell’azienda in modo tale che riesca a spronare i membri dell’organizzazione e renderli orgogliosi di farne parte. Esempi di vision: Nokia – “Mettendo in contatto le persone noi aiutiamo il soddisfacimento di un fondamentale bisogno umano di contatti e relazioni sociali. La Nokia costruisce ponti tra le persone – sia quando sono lontane che faccia-a-faccia – e colma il divario tra le persone e le informazioni di cui hanno bisogno.” - Walt Disney – “Rendere felici le persone” Mission: Se la Vision è l’obiettivo futuro che l’impresa intende raggiungere, la Mission ci dice di più sul modo che vogliamo seguire per raggiungerlo. La missione definisce la filosofia di fondo di un’azienda e risponde alla domanda "Perché facciamo quello che facciamo?". Una missione che sia formulata in modo chiaro riesce a motivare, focalizzare e alleare le persone che lavorano in un’organizzazione. Una buona formulazione della Mission deve essere sintetica ed essere collegata al raggiungimento degli obiettivi prefissati, che vengono delineati nella Vision. Infine si può esplicitare anche a quali specifiche parti (clienti, collaboratori o altri attori) l’azienda intende indirizzarsi. Nella definizione della mission aziendale andranno evitate espressioni vaghe, come "massimo valore per gli azionisti" o "essere i migliori nel proprio settore", in quanto tali formulazioni sono difficilmente misurabili e, alla fine, tutte le aziende vorrebbero le stesse cose. E’ dunque necessario che la formulazione della mission sia espressa concretamente, in modo specifico e convincente. Una buona mission indica la ragione per la quale un’impresa svolge le sue attività. Non basta che la mission indichi "cosa" l’azienda fa, ma soprattutto che motivi il "perché lo fa". Esempi di mission aziendale: Microsoft – “Aiutare le persone e le aziende nel mondo a realizzare pienamente il proprio potenziale”. PHILIPS: “La nostra missione è quella di migliorare la qualità della vita delle persone mediante la tempestiva introduzione di innovazioni significative”. La cultura aziendale: La mission e la vision creano così la cultura aziendale, che può definirsi come il complesso di specifici valori, significati, modi di pensare condivisi dai membri dell’organizzazione, che determina il modo di comportarsi dei membri stessi, sia all’interno che al di fuori dell’organizzazione. Alcune definizioni di cultura organizzativa: 1) “La cultura è un sistema di significati accettati pubblicamente e collettivamente che operano per un certo gruppo in un certo momento. Questo sistema di termini, forme, categorie e immagini aiuta le persone a interpretare le situazioni in cui si trovano ad essere”. 2) “… la cultura organizzativa può essere vista come il collante che tiene insieme l’organizzazione attraverso la condivisione di schemi di significato. La cultura consiste nei valori, nelle credenze e nelle aspettative che i membri si trovano a condividere.” 3) “La cultura è lo schema di assunti fondamentali che un certo gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato mentre imparava ad affrontare i problemi legati al suo adattamento esterno o alla sua integrazione interna, e che hanno funzionato in modo tale da essere considerati validi e quindi degni di essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a tali problemi.” 4) “Le culture sono fenomeni collettivi che incarnano le risposte della gente alle incertezze e al caos intrinseci all’esperienza umana. Ci sono due tipi principali di risposte. La prima è la sostanza di una cultura quei sistemi di credenze condivise e cariche di emotività che noi chiamiamo ideologie. La seconda risposta sono le forme culturali - quelle entità osservabili attraverso cui i membri di una cultura esprimono, affermano e comunicano l’uno all’altro la sostanza della propria cultura.” Il ruolo della cultura: funzioni: 1) crea senso di identità 2) facilita impegno collettivo 3) promuove stabilità del sistema sociale 4) definisce schemi interpretativi 5) funge da meccanismo di controllo. Disfunzioni: 1) può ostacolare il cambiamento 2) barriera rispetto alla diversità 3) sottoculture possono produrre conflitto nell’organizzazione 4) può generare dilemmi morali 5) barriera rispetto a fusioni e acquisizioni. La cultura può essere vista come un aspetto importante della strategia di un’organizzazione e come fonte di performance superiore. La cultura riflette la storia e il percorso specifico di un’organizzazione. E’ difficile descrivere la cultura di un’organizzazione poiché essa si basa su assunti che vengono in larga parte dati per scontati. Strategia: La parola "strategia" viene dal vocabolo greco "strategos" che significa "generale d’armata", cioè colui che è in grado di delineare le mosse per sconfiggere il nemico, facendo uso dei propri mezzi e delle proprie forze in campo. Grazie alla strategia, l’impresa è in grado di lavorare in modo orientato agli obiettivi e al mercato. 5 passi: 1. Sviluppare la strategia 2. Descrivere la strategia 3. Stabilire la direzione strategica 4. Pianificare a livello operativo 5. Monitorare la strategia. 1) Per sviluppare la propria strategia, l’impresa dovrà avere già chiaramente focalizzato quali sono i suoi Valori e quali sono Visione e Missione aziendali, in quanto sono questi i pilastri fondanti per il percorso futuro dell’azienda. 2) La strategia deve successivamente essere espressa in forma di obiettivi e di regole da seguire. Uno strumento utile a tal fine è quello dell’analisi SWOT. L’analisi SWOT viene usata per valutare i punti di forza (Strengths), debolezza (Weaknesses), le opportunità (Opportunities) e le minacce (Threats) di un progetto. Viene impiegata in ogni situazione in cui un'organizzazione o un individuo devono prendere delle decisioni per raggiungere un determinato obiettivo. I punti di forza e di debolezza sono fattori interni e possono includere attività, abilità o risorse che un'azienda ha a sua disposizione, paragonata a quelle dei suoi concorrenti. Le opportunità e le minacce sono fattori esterni. Un'azienda non può controllarli poiché essi emergono dalle dinamiche competitive del settore o del mercato o da fattori demografici, economici, politici, legali. 3) E’ l’impresa stessa, a questo punto, a stabilire in che direzione evolversi e quali rinnovamenti apportare, effettuando anche uno studio di fattibilità. Chiaramente, la direzione scelta sarà in ogni caso coerente con i succitati Valori, Visione e Missione dell’impresa stessa. 4) In questo quarto passo, la direzione strategica andrà tradotta in piani operativi. Ogni aspetto legato a: marketing, produzione, innovazione, finanziamento, personale dipendente e informazione andrà accuratamente pianificato, avendo cura di indicare le singole finalità da raggiungere in modo meno generico possibile. Smart: A tal fine è bene tenere a mente l’acronimo SMART per la definizione di ogni obiettivo: Specifico, Misurabile, Accettabile, Realistico, Temporalmente definito. -Specifico: E’ piuttosto generico per esempio specificare come obiettivo "essere più efficienti". Meglio scendere in dettaglio, delineando l’ambito al quale ci si riferisce e descrivendo quelle azioni, regole e comportamenti da seguire per raggiungere l’obiettivo di una maggiore efficienza. -Misurabile: La misurabilità degli obiettivi che ci si prefiggono consente anche di valutare, momento per momento, a che punto si è arrivati nel raggiungerli. Un obiettivo misurabile può essere per esempio: aumentare il numero di clienti del 10% in un anno. -Accettabile: La maggior parte delle persone sono felici di lavorare per obiettivi, purché questi si configurino come utili e condivisibili. L’obiettivo dovrà essere in grado di motivare tanto la dirigenza, quanto il personale: ognuno che sia coinvolto dovrà vedere nel conseguimento dell’obiettivo aziendale anche la possibilità di raggiungere in tutto o in parte i propri obiettivi di crescita personale. -Realistico: Gli obiettivi devono poter essere raggiungibili, poiché se fossero troppo ambiziosi, ciò scoraggerebbe sul nascere ogni tentativo da parte delle persone coinvolte. -Temporalmente definito: Le persone devono poter monitorare in ogni momento quanto manca al raggiungimento degli obiettivi prefissati, pertanto questi ultimi, nell’essere formulati e comunicati, non devono perdere di vista la componente temporale. Sarà opportuno in seguito verificare regolarmente, lungo l’arco di tempo prefissato, a che punto si è arrivati nel raggiungimento dell’obiettivo. -Monitorare la strategia: Una volta implementata, la strategia andrà costantemente monitorata e, se necessario, modificata nel corso del tempo per non perdere di efficacia. Leadership Leadership come tratto di personalità: Il concetto di personalità è usato da alcuni teorici per spiegare il perché alcune persone si distinguano per le loro particolari abilità, più spiccate rispetto gli altri, di esercitare la leadership. Leadership come arte di indurre sottomissione e arrendevolezza: Munson (1921) definì la leadership come l’arte di maneggiare gli uomini in modo da raggiungere il massimo ottenibile con la minor frizione e la maggiore cooperazione: la leadership è la forza creativa e direttiva della morale. Leadership come esercizio d’influenza: L’uso del termine ‘influenza’ segna il passo nella direzione verso la generalità nella definizione della leadership. Nash (1929) suggerì che il concetto di leadership implichi un cambiamento d’influenza nella direzione delle persone. Leadership come forma di persuasione: Secondo questo filone il leader rappresenta il fattore determinante nella relazione con i seguaci. Per Schenk (1928) la leadership è ‘amministrazione, gestione degli uomini attraverso la persuasione e l’ispirazione piuttosto che con la coercizione’. Tipologie di leadership 1) Nel 1918 Borgadus specificò la presenza di quattro tipi di leader: - 1) autocratico; - 2) democratico (che rappresenta l’interesse del gruppo); - 3) esecutivo; - 4) intellettuale e riflessivo. 2) Una classificazione diversa fu presentata alcuni anni dopo da Barlett (1966) il quale distingueva il leader istituzionale – che diviene permanente in virtù del suo prestigio –, dal tipo dominativo – che guadagna e poi mantiene la posizione acquisita per mezzo dell’uso del potere e dell’influenza –, da quello infine persuasivo che invece esercita l’influenza mediante le proprie capacità d’induzione dei sentimenti dei seguaci all’azione. 3) Nafe nel 1930 presenta la teoria ‘dell’infusione meccanica’ del leader il quale dirige l’attenzione dei seguaci verso aspetti ideali; secondo tale teoria il leader abbisogna del possesso solamente apparente dell’attitudine ammirata e desiderata dai seguaci. 4) Levine (1949) nominò quattro tipologie di leader: 1) il leader carismatico, che tende una mano al gruppo sulla base di un obiettivo comune, pur essendo ‘dogmaticamente rigido’; 2) il leader organizzativo, che enfatizza l’azione efficace, tende a giudicare le persone; 3) il leader intellettuale; 4) quello informale che adatta il proprio stile di performance ai bisogni del gruppo. Nel 1951 Haiman ribadiva che 5 dovevano essere le tipologie di leader che caratterizzavano una democrazia: l’esecutivo, il giudice, l’avvocato, l’esperto, il leader ‘che discute’. L'approccio comportamentale: LA TEORIA CLASSICA DEGLI STILI DI LEADERSHIP - Lewin, Lippitt e White (1939): Mette in rapporto la funzione del leader con il clima sociale nel gruppo: autocratico, democratico, lassista. Stile autocratico: • Dipendenza assoluta del gruppo dal leader • Rete di comunicazione centralizzata • Uso di sanzioni e punizioni esemplari • Rigidità e diffidenza • Presa di decisioni riguardanti il gruppo, senza consultare, limitandosi a comunicarle e farle seguire • Assenza di spiegazioni • Scarsa fiducia negli altri. Stile democratico: • Struttura comunicativa aperta • Preoccupazione della partecipazione attiva di tutto il gruppo • Argomenta le proprie idee • Fiducia nelle persone e nel gruppo Stile lassista: • La presenza o l'assenza del leader non determinano differenze significative • Disordine e assenza di regole • Leader disinteressato, non stimola, non controlla, non collabora, rispetto passivo dell’attività. All'interno della stessa leadership quindi possono essere presenti più stili contemporaneamente anche se uno risulta sempre prevalere sugli altri. A partire da questa considerazione è possibile rintracciare DUE ORIENTAMENTI DI LEADERSHIP: orientata al compito, orientata alla relazione. LEADERSHIP ORIENTATA AL COMPITO: Viene data importanza all’esecuzione del compito, alla prestazione, ai risultati piuttosto che al “clima sociale” interno alla squadra. Interesse per la produzione (risultati, prestazioni, profitti). Il leader tenderà a dare giudizi molto positivi o molto negativi basandosi esclusivamente sulle performance degli atleti. LEADERSHIP ORIENTATA ALLA RELAZIONE: Interesse per le persone (fiducia, rispetto, obbedienza). Mira al riconoscimento e alla soddisfazione dei bisogni dei collaboratori e a una relazione. Il leader orientato al gruppo manifesta un maggiore interesse per i rapporti umani all’interno della squadra, nella quale si sente coinvolto e partecipe. Funzioni della leadership: Alcuni autori hanno classificato i leader sulla base del tipo di funzioni che essi prestano. Mooney e Reley (1931) focalizzarono 3 processi scalari nell’organizzazione; essi sono: a) la leadership; b) la delegazione; c) la definizione funzionale. Coffin nel 1944 suggerì 3 funzioni di leadership: pianificazione, organizzazione (esecuzione), e supervisione (persuasione). Gross (1961) propose molte mansioni di leadership: definizione degli scopi, chiarimento e amministrazione degli stessi, scelta dei mezzi appropriati, motivazione e rappresentanza del gruppo. Bales e Slater (1955) osservarono che il leader realizza 2 funzioni distinte: la prima è associata alla produttività e la seconda riguarda il supporto socio emotivo del gruppo. Stodgill (1959) riteneva che il leader deve mantenere la direzione degli scopi e della struttura, riconciliare i conflitti emergenti all’interno o all’esterno del gruppo. Roby (1961) sviluppò un modello matematico di funzioni di leader fondate sull’informazione: creare una congruenza di scopi fra i membri, bilanciare le risorse del gruppo e le capacità con le richieste avanzate dall’ambiente, fornire una struttura del gruppo che focalizzi le informazioni in funzione delle soluzioni ai problemi, fare in modo che tutte le informazioni siano disponibili al centro di decisione quando ciò è richiesto. Accanto a tutte queste considerazioni si può aggiungere che le classiche teorie del management suggeriscono che le principali funzioni che un leader dovrebbe espletare sono: - pianificazione organizzazione - controllo. Vari teorici aggiungono: - il coordinamento - la supervisione - la motivazione. ► Caratteristiche learning organization: Le caratteristiche principali di una Learning Organization sembrano essere: La connessione tra apprendimento, cambiamento, trasformazione e innovazione; La partecipazione attiva dei membri; Il legame diretto tra pratiche di lavoro e disponibilità al cambiamento; Empowerment, ovvero coinvolgimento nei processi decisionali di ciascun singolo partecipante all’organizzazione; Uno stile di management che promuova i punti sopraelencati. Un altro presupposto fondamentale delle organizzazioni che apprendono è quello di far agire ciascun partecipante come un attore attivo dell’apprendimento dell’organizzazione, rispondendo ai cambiamenti interni ed esterni dell’organizzazione, correggendo gli errori relativi alle teorie organizzative in uso e “fissando” i risultati nella memoria dell’organizzazione. L’azione di ciascun individuo viene facilitata incoraggiando una modalità di espressione del pensiero per metafore che consente una migliore condivisione sociale degli aspetti idiosincratici e con l’uso di mappe mentali da mettere in comune, condivisi e discussi dall’intera organizzazione. Se questo tipo di passaggio, dall’individuale al collettivo, non viene realizzato, ad apprendere saranno solo i singoli individui ma non le organizzazioni. All’interno del modello di Learning Organization è possibile riconoscere una molteplicità di approcci di diversa natura come, per esempio, la teoria della contingenza, l’approccio psicologico, la teoria dell’informazione, la dinamica dei sistemi. Il presupposto fondamentale della learning organization è che le organizzazioni apprendono attraverso l’azione e l’esperienza dei suoi membri. Le organizzazioni che apprendono sono quelle che hanno acquisito la consapevolezza del legame tra miglioramento, cambiamento e apprendimento e le persone che ne fanno parte cercano di incrementare di continuo la loro capacità di conseguire i risultati a cui aspirano. Le 5 discipline: Senge descrive l’apprendimento (che va seguito e sviluppato lungo l’intero arco della vita) sulla base di cinque discipline che permettono alle persone di apprendere quando sono inserite in un contesto organizzativo. Le cinque discipline di Senge sono: 1. Padronanza personale: Imparare ad aumentare la propria capacità di raggiungere i risultati che più desideriamo e costruire ambienti in cui tutti i membri sono incoraggiati a sviluppare sé stessi e gli scopi che si sono prefissati. 2. Modelli mentali: Sono la “mappa” implicita di quanto ci circonda, indagabile attraverso la riflessione continua e il chiarirsi degli obiettivi che si vogliono raggiungere. L’indagine sui propri modelli mentali consente di comprendere come questi influenzano le nostre azioni e le nostre decisioni. 3. Visione condivisa: La creazione di un’immagine desiderabile e condivisa del futuro, inclusi i metodi e i principi sulla base dei quali realizzarlo, permette di potenziare il senso di appartenenza al gruppo. 4. Apprendimento di gruppo: Realizza l’abilità di pensiero collettivo e dialogico in gruppo, che consente lo sviluppo di competenze ed abilità superiori alla somma dei talenti individuali. 5. Pensiero sistemico: Sono modalità di pensiero e di linguaggio in grado di descrivere e comprendere il comportamento dei sistemi in termini di forze e di relazioni. Questa disciplina aiuta a comprendere dei sistemi in termini di forze e relazioni. In questo modo è possibile comprendere come realizzare i cambiamenti in modo più efficace all’interno dei sistemi. Queste Cinque Discipline devono essere impiegate in una ricerca continua per espandere la capacità dell'organizzazione di creare il proprio futuro. Le organizzazioni che apprendono sono quelle organizzazioni che possono andare oltre l'apprendimento di sopravvivenza, per operare un apprendimento generativo, dove la gente espande continuamente la propria capacità di creare i risultati che realmente vuole, dove modi di pensare nuovi ed espansivi sono consolidati, dove l'aspirazione collettiva è libera e dove la gente impara continuamente ad apprendere insieme. Learning Organization: sono aziende in cui l’intero personale è orientato all’apprendimento continuo. In tale contesto imparare è un processo intrinseco della vita professionale, l’azienda è quindi composta da una comunità di persone che si scambiano costantemente le loro capacità e competenze al fine di creare e concepire nuove idee. Secondo Malhotra1 la Learning Organization è “un’organizzazione con un sistema filosofico in grado di anticipare e reagire ai cambiamenti, alla complessità e all’incertezza”. La Learning Organization è una strategia utile per vitalizzare una determinata struttura organizzativa, in quanto facilita l’apprendimento di tutti i suoi membri e continuamente trasforma se stessa.2 Si tratta quindi di un’organizzazione che, nell’ambito di una struttura aziendale: - promuove l’apprendimento tra i suoi componenti, e che apprende essa stessa da tale processo; propone processi culturali adatti a creare il clima e i sistemi necessari per assicurarsi un apprendimento continuo; - è in continuo cambiamento e promuove l’apprendimento focalizzato sull’individuo, sul gruppo e sulla struttura; - è dotata delle capacità necessarie per creare, acquisire e trasferire in maniera efficiente e veloce la conoscenza. La quinta disciplina: Le Learning Organization sviluppano un continuo apprendimento collettivo mettendo tutti i propri membri in condizione di apprendere insieme, affinché le nuove conoscenze, i miglioramenti individuali e gli incrementi di efficienza, pur prodotti da singoli individui od organi, siano condivisi, e si diffondano nell’intera organizzazione. Senge afferma che l’apprendimento (anche nel lavoro) è un aspetto fondamentale delle nuove amministrazioni, ed è anche una cosa naturale per l’essere umano. Le Learning Organization sono possibili perché attraverso l’apprendimento, l’impiegato, il manager, il primario, l’assistente, l’infermiere, l’amministrativo ri-crea se stesso e impara a fare qualcosa che non era mai stato in grado di fare prima. Attraverso l’apprendimento ri-percepiamo il mondo e il nostro rapporto con esso. Attraverso l’apprendimento estendiamo la nostra capacità di creare, di essere parte del processo generativo della vita. In ciascuno di noi è presente una fame profonda di questo tipo di apprendimento. Con la “Quinta Disciplina”, si spiega come le Learning Organization possono essere costruite. In particolare la quinta disciplina è un modello fondato sull’abilità di riuscire a vedere il mondo nella sua complessità per capire ciò che veramente sta alla base del cambiamento e comprendere le relazioni esistenti fra le persone e i risultati aziendali. Uno sguardo alternativo alla realtà che sa creare nuovi modi di pensare per risolvere i problemi creati dai vecchi modi di pensare. Apprendimento organizzativo significa imparare più velocemente da se stessi e dagli altri, cogliere tutte le occasioni, avere la capacità di valutare, sentirsi liberi di sperimentare e far errori, provare, discutere con altri le soluzioni possibili in un ambiente stimolante, scambiarsi informazioni a tutti i livelli, cogliere velocemente segnali dall’ambiente esterno, per arrivare al mercato prima degli altri con prodotti e servizi nuovi. Sono queste le basi su cui costruire un’azienda che possa vivere e prosperare. Le sette incapacità di apprendere: Secondo Peter M. Senge, il veleno più grande delle organizzazioni aziendali a scopo di lucro è riassumibile nella prima incapacità: “Io sono la mia posizione”. Quando una persona si pone all’interno di un gruppo con questo pensiero genera eventi negativi in una azienda che si ripercuotono sia sul climax interno sia sulla produzione e sull’efficacia. Nello specifico le 7 incapacità di apprendere impediscono all’organizzazione di funzionare efficacemente e di adattarsi velocemente ai cambiamenti del mercato. 1. Io sono la mia posizione: Questa incapacità si riconosce quando si confonde il proprio ruolo (incarico), con il proprio essere (identità). In ambito sanitario spesso è possibile assistere a dirigenti che dicono: “Io sono il primario”, “io sono un ortopedico”, “io sono un medico specializzando”, “io sono il più importante cardiochirurgo italiano” ecc. L’idea di “essere” un ruolo porta la persona a limitare il proprio orizzonte di possibilità di scelta. Quando nelle organizzazioni le persone si concentrano soltanto sulla loro posizione, si sentono poco responsabili dei risultati ottenuti dall’interazione di tutte le posizioni. Inoltre, quando i risultati sono deludenti, può essere molto difficile saperne il perché. Tutto quello che si può fare è di supporre che “qualcuno ha buttato tutto all’aria”. Da qui ci si collega a “Il nemico è là fuori”. 2. il nemico è la fuori: Peter Senge afferma che questa incapacità avviene “quando le conseguenze delle azioni tornano indietro a colpirci” e “percepiamo erroneamente questi problemi come fossero causati dall’esterno”. Chiunque tenti di farci cambiare posizione, diventa il nostro nemico. 3. l’illusione di farsi carico: “L’illusione del farsi carico di qualcosa” vuol dire illudersi di agire per risolvere un problema, ovvero, essere reattivi spacciandosi per “proattivi”. Una volta trovato il nemico infatti le aziende “partono alla carica” contro di lui per risolvere il problema, spesso in maniera aggressiva. Senge afferma che se ci limitiamo a diventare più aggressivi nel combattere il “nemico là fuori”, stiamo semplicemente reagendo, indipendentemente da come lo definiamo. L’essere veramente proattivi deriva dal vedere come contribuiamo a risolvere i nostri problemi. 4. l’eccesso di concentrazione sugli eventi: L’eccesso di concentrazione sugli eventi è la spiegazione di una serie di eventi che possono essere veri, ma ci distraggono dal vedere le strutture del cambiamento a più lungo termine che sono al di là degli eventi, nonché del comprenderne le cause. Più si è aggressivi verso il nemico che è là fuori, più ci si sta concentrando solo sugli eventi a breve termine. Facendo l’errore di non valutare le conseguenze di quegli eventi (cioè pensare al lungo tempo) e spingere così verso la quinta incapacità, cioè star dietro solo agli effetti perdendo di vista la causa e ritrovarsi così senza via di scampo. 5. la parabola della rana bollita: C’è una rana che nuota pigramente in un grosso contenitore d’acqua, sotto cui viene accesa una fiamma. L’acqua si scalda sempre più. Finche la rana s’intorpidisce, poi muore. Bollita. L’apparato interno della rana, che percepisce le minacce alla sopravvivenza, è orientato a reagire ai cambiamenti improvvisi nel suo ambiente e non a quelli lenti e graduali. Questa semplice storia spinge a considerare anche i processi lenti e graduali, rallentando i ritmi veloci, perché a volte sono proprio i processi graduali le minacce peggiori. E soprattutto spinge a pensare al futuro, oltre quello che di solito si considera. 6.l’illusione di apprendere dagli eventi (o dall’esperienza): concatenando tutti i passi precedenti si forma la convinzione di aver appreso dall’esperienza, ma questa è una illusione perché non si sperimentano le conseguenze. Es. io faccio una cosa ma non riesco a vedere temporalmente le conseguenze di ciò che ho fatto. 7. il mito del manager: Spesso, la figura del Manager, passa per i sottoposti come la figura di un “Mito”, colui che sa tutte le risposte, è sempre sicuro di sé, gira con belle donne, con bellissime automobili e con vestiti molto costosi. Ma in realtà, molti di essi tendono a passare il loro tempo a battersi per il primato, evitando qualsiasi cosa che possa far fare loro una brutta figura davanti ai capi. La complessità organizzativa: alcuni contributi teorici L’interazionismo simbolico: l’interazionismo simbolico fa riferimento alle teorie di Blumer centrate sull’importanza nell’agire umano: del significato; dell’origine del significato; dell’interpretazione del significato. Secondo Blumer il funzionalismo è un gioco irreale di categorie astratte; le indagini sul campo e i metodi quantitativi di ricerca in generale perdono di vita l’essenza della vita sociale. Le risposte ai questionari riguardanti gli atteggiamenti dell’individuo sono del tutto irreali, perché sono astratte rispetto alle situazioni effettive in cui egli agisce. Con Blumer, l’interazionismo simbolico dà vita ad una propria tradizione di ricerca nel campo dell’osservazione partecipante; ad esempio si è sviluppata una teoria delle occupazioni e delle professioni nella quale queste figurano come processi, come forme di interazione negoziate dagli stessi soggetti che vi partecipano. Blumer, coniando il concetto di “interazionismo simbolico”, ha approfondito l’evidenza secondo la quale gli individui non trovano i ruoli già confezionati, ma li creano e li ricreano di volta in volta nel susseguirsi delle situazioni. Le cosiddette istituzioni sociali (lo stato, la famiglia), esistono solo in quanto gli individui entrano in contatto tra loro nelle diverse situazioni. Gli individui agiscono insieme perché insieme costruiscono delle azioni. L’altro caposaldo dell’interazionismo simbolico è rappresentato dal campo della devianza. Ricercatori come Lindesmith, Becker, Schur hanno messo in chiaro in che modo i devianti vivono le loro “carriere” e come giungono ad un’interpretazione di sé stessi che li porta a seguire un itinerario opposto a quello dell’agire “retto” e “onesto”. Schur descrive come nascono quelli che considera “crimini senza vittime”, quali l’uso di stupefacenti, il gioco d’azzardo o l’aborto.; Becker ha proposto il concetto d’imprenditori morali per analizzare le manovre delle persone che, trovandosi in una posizione ufficiale, cercano di creare le categorie della devianza da imporre ad altri. Il cognitivismo: è un movimento di pensiero che pone al centro dell’indagine il soggetto attivo in termini psicopedagogici sperimentali, cioè superando le teorie comportamentiste che pongono l’accento sulla funzione stimolo-risposta per spiegare la formazione delle conoscenze, si punta l’attenzione sull’analisi dei processi conoscitivi e sullo studio delle possibili forme di rappresentazione delle conoscenze che la nostra mente è capace di operare. Questo approccio considera la mente umana luogo di regole e competenze, avvalendosi anche della cibernetica, l’informatica, la linguistica, la neuroscienza. Indaga sui processi cognitivi attraverso cui il soggetto conosce il mondo: la percezione, il linguaggio, il pensiero, la memoria. Il cognitivismo, come sapere trasversale, ha visto la sua evoluzione accelerata dallo studio dell’intelligenza artificiale e prima ancora, dalle ricerche di Turing sulla macchina computazionale, dallo sviluppo della cibernetica e dell’informatica. Importanti contributi sono maturati sia in sede linguistica, Noam Chomsky, padre della linguistica generativa a base sintattica, sia nelle neuroscienze che hanno approfondito conoscenze sulle reti neuronali, basi materiali della trasmissione degli input sensoriali al cervello. Dagli studi neurobiologici è emersa una teoria conoscitiva, il connessionismo, che teorizza un processamento parallelo di dati sensoriali da parte di reti neuronali che si auto-organizzano sulla base dell’interazione dell’individuo con l’ambiente. Fenomenologia, etnometodologia, costruttivismo: la fenomenologia è definita come un metodo filosofico che si determina dall’osservazione dell’individuo e della sua esperienza cosciente e che cerca di evitare assunti aprioristici, pregiudizi, dogmi. La fenomenologia esamina gli accadimenti nella maniera in cui gli attori li percepiscono nella loro immediatezza. Goffman usa la fenomenologia per comprendere come gli esseri umani percepiscono le interazioni che essi osservano ed alle quali partecipano. Per Goffman non esiste alcuna “verità vera”, ma solo interpretazioni che sono vere per ciascun individuo; la società non è una creatura omogenea e gli individui recitano in modo diverso a seconda dei diversi teatri in cui si esprimono. Etnometodologia: esamina i metodi che i membri adottano per dare senso al loro mondo sociale. Il suo fondatore, Garfinkel, sostiene che nel momento in cui l’individuo attribuisce un senso alla situazione riconoscendovi implicite norme sociali sta costruendo la realtà sociale. Questi approcci, partendo dai referenti principali quali Weber e la scuola di Chicago, studiano la preminenza data all’azione dall’individuo e al significato dell’azione, considerano l’interazione tra l’individuo e società in termini di processi simbolici di valutazione, d’astrazione, e giungono alla nozione del “self” che si forma nel rapporto fra l’individuo e il mondo: il sé è la cerniera fra lo psichico e il sociale. Elementi d’evoluzione dei principali modelli organizzativi e di struttura organizzativa: principali passaggi evolutivi del pensiero organizzativo: 1) la questione industriale: caratterizzata dai riferimenti alla tecnologia ed al consenso che riguarda essenzialmente Taylor ed il taylorismo, il dibattito sul superamento del taylorismo e la molteplicità delle forme industriali, fino ai problemi posti oggi dalla flessibilità e dalla scoperta occidentale del modello giapponese. La questione industriale, quindi, chiamata ad affrontare i problemi connessi agli effetti della tecnologia sul lavoro umano e alle condizioni che possono favorire il consenso dei lavoratori subalterni all’erogazione di sforzo fisico e psichico: in sostanza, come sfuggire alle rinnovate e diverse forme di taylorismo e neo-taylorismo. 2) la questione burocratica: caratterizzata dai riferimenti riguardanti le funzioni delle norme e le strategie dei soggetti: interessa il tipo ideale proposto da Weber, il dibattito postweberiano, fino ai più recenti orientamenti sulle possibilità ed i limiti di un’organizzazione postburocratica del lavoro nelle aziende, la competenza di autorità definite e disciplinate da leggi e regolamenti ecc. 3) la specifica questione organizzativa: caratterizzata dai riferimenti riguardanti le decisioni e le risorse, muove dalla rilevanza del modello sulla razionalità limitata e sugli sviluppi seguenti fino al simbolismo organizzativo. L’intento è di ottenere un modello di riferimento generale valido per qualsiasi organizzazione. La razionalità assoluta. La scuola classica: la razionalità assoluta punta ad un controllo totale della realtà. I fondamenti della razionalità assoluta, dello “scientific management”, della Scuola classica di teoria organizzativa, derivano da uno dei primi studiosi dell’organizzazione, Taylor. Egli, studiando la situazione industriale degli USA a cavallo tra ‘800 e ‘900, individua strategie di divisione del lavoro nelle varie fasi del ciclo produttivo basate sull’attribuzione di compiti prefissati e ben definiti che contemplano lo sviluppo di conoscenze su basi scientifiche, l’addestramento e la qualificazione dei lavoratori, la selezione scientifica della manodopera, la costruzione di una solida fascia di quadri intermedi e la previsione di forme di collaborazione tra le parti. Secondo questa teoria, il risultato migliore si ottiene attraverso la parcellizzazione, la specializzazione e la massimizzazione; la produttività corrisponde alla quantità di produzione nell’unità di tempo e deve essere il più possibile elevata per abbassare i costi. Max Weber offre un grande contributo alla Scuola classica delle teorie organizzative occupandosi dei concetti operazionali di norma, di potere, di autorità, di burocrazia. Per Weber lo studio delle organizzazioni deve comprendere e spiegare l’agire, dotato di senso, degli individui e dei gruppi; le organizzazioni vanno studiate a partire dall’agire sociale dei propri membri considerando che le persone perseguono almeno 4 modi di “agire”. In particolare: agire relazionale rispetto allo scopo; agire razionale rispetto ai valori; agire affettivamente; agire tradizionalmente. Nella burocrazia, Weber, vede la forma fondamentale d’organizzazione dello Stato e delle imprese moderne che operano in base a norme universalistiche e con finalità razionalizzatrici; delinea il suo apporto teorico partendo dalle tre forme di legittimazione del potere attraverso autorità e burocrazia, in particolare: 1) alla base dell’organizzazione c’è una burocrazia amministrativa ed una tecnica; entrambe sono definite sul concetto di competenza; 2) l’apparato burocratico è strutturato in base ad una precisa organizzazione gerarchica, legittimazione del “potere gerarchico”; 3) la burocrazia è un complesso di apparati spersonalizzati e la spersonalizzazione è la garanzia dell’imparzialità dell’amministrazione, “legittimazione del potere impersonale”. Tra le forme di potere si possono evidenziare: il potere carismatico: quello attribuito a persone con qualità eccezionali, quello che dà luogo ad un’obbedienza basata su di una forma di fede emotiva; il potere tradizionale: quello fondato su antichi ordinamenti, sulla discendenza, come nel caso delle grandi famiglie industriali o regali; il potere legale: quello che trae la sua legittimazione dall’esistenza di norme che anche chi esercita il potere deve rispettare e si fonda su un apparato amministrativo detto appunto burocrazia. il modello ideale weberiano di burocrazia è espresso in dieci punti: fedeltà di ufficio, competenza disciplinata, gerarchia degli uffici, preparazione specializzata, concorsi pubblici, sviluppo di una carriera, attività a tempo pieno, segreto d’ufficio, stipendio monetario fisso, non possesso degli strumenti del proprio lavoro. Teoria dei sistemi: a Von Bertalanffy si devono gli studi sulle organizzazioni che hanno dato origine alla teoria dei sistemi. Secondo questo approccio tutte le organizzazioni sono da considerarsi come sistemi aperti che vivono dell’interscambio con l’ambiente in cui operano. La teoria dei sistemi si sviluppa dal 1951 ed ha l’obiettivo di superare lo schema logico tradizionale analisi-sintesi e di integrare i metodi delle scienze naturali e sociali. Un sistema può essere definito come un insieme d’elementi posti in reciproca relazione ed interagenti con l’ambiente circostante. Il termine insieme implica che le unità che lo compongono hanno proprietà comuni, il che è essenziale ai fini dell’interazione e relazione tra esse. Lo stato di ciascuna unità è vincolato, coordinato dallo stato delle altre unità e la totalità non coincide con la somma delle parti. Il rapporto tra le parti e la totalità prevede una nuova determinazione dei rapporti causali: così come ogni elemento può agire sull’insieme e modificarlo, esistono relazioni inverse per cui la totalità influenza le parti del sistema. Il concetto di sistema non si limita allo studio di enti materiali, ma è applicabile a ogni intero che consista di parti connesse. Il motivazionalismo: con il contributo di Maslow, si individuano i bisogni come i principali fattori motivazionali. Maslow descrive una gerarchia dei bisogni umani; man mano che l’uomo soddisfa ciascuno di questi bisogni, emerge un bisogno d’ordine superiore e con esso i relativi problemi per il suo soddisfacimento. Il raggiungimento della soddisfazione è il raggiungimento dell’obiettivo, ed è ciò che motiva l’uomo per cui la motivazione è il primo stimolo di ogni azione. Secondo Maslow, una persona, ma anche un’organizzazione, può evolvere se i suoi bisogni primari sono stati soddisfatti; se non lo sono, la persona non potrà essere sana né fisicamente, né mentalmente e sarà centrata esclusivamente verso il soddisfacimento di questi bisogni.