Strutturalismo e funzionalismo.
Strutturalismo e funzionalismo sono i due orientamenti epistemologici che hanno dominato
il panorama della ricerca in psicologia nei suoi primi anni. Gli strutturalisti ritenevano che
l'esperienza psicologica potesse essere ricondotta all'unione di elementi semplici e distinti,
quindi compito dello strutturalismo è ricercare i meccanismi e gli elementi che sono alla
base dei sistemi mentali. Dunque focalizzandoci sulla personalità, ci chiederemmo: quali
sono gli elementi stabili e universali della personalità? Wundt è lo studioso più noto
appartenente allo strutturalismo. Egli infatti, ricercando gli elementi alla base delle emozioni,
distinse tra tre sentimenti: > piacere-dispiacere; > tensione -sollievo; > eccitazione-calma. Al
contrario il funzionalismo, che ha dominato il panorama americano, si incentra sullo studio
della "mente in uso", ossia come l'individuo cerca di adattarsi alle richieste dell'ambiente.
Ciò porta a porsi domande sulla personalità del tipo: " a che serve la personalità? Cosa fa la
personalità?". L'esponente principale di fu William James, il quale non basa la sua ricerca
sulla ricostruzione di una tassonomia di elementi che possono essere alla base delle
emozioni ( cosa invece valida per lo strutturalismo) ma si occupa di comprendere le
dinamiche che si instaurano tra l'attivazione fisiologica e l'esperienza fenomenica. Oggi la
psicologia della personalità sostiene che sia le strutture sia i processi sono fenomeni
interdipendenti, non possono essere concepiti e studiati come due entità separate poiché
tutti i processi operano appoggiandosi a strutture psicologiche e tutte le strutture esistono
in quanto risultato dei processi. Per questo oggi si utilizza un analisi diacronica per studiare
la causazione reciproca tra struttura e processo.
Differenza tra prospettiva meccanicistica e prospettiva organicistica.
Nella ricerca psicologica sono state individuate due "visioni del mondo": la prospettiva
meccanicistica e la prospettiva organicistica. La prima spiega il comportamento umano
come una serie di processi che si svolgono sulla base di una relazione causa-effetto. L'essere
umano infatti è considerato come un insieme componenti, ognuna delle quali segue delle
leggi chimiche e fisiche ben precise. In questo modo diverse entità non differiscono a livello
qualitativo ma al livello quantitativo. Es. un'automobile è considerata come un grande
motore montato su due ruote e dunque il suo funzionamento viene descritto con gli stessi
principi fisici e chimici che possiedono altre macchine meno complesse. Infatti il
meccanicismo si basa sul riduzionismo o elementarismo, si cerca di semplificare, di ridurre
ai minimi termini la complessità di un'entità. Dunque anche al livello psicologico, molti
processi anche complessi, possono essere ridotti alle loro componenti biologiche. Di
conseguenza la personalità è vista come un accumulo graduale di qualità psicologiche,
ovvero secondo la prospettiva meccanicistica in parallelo allo sviluppo dell'individuo egli
acquisisce maggiori componenti psicologiche che diventano via via sempre più
interconnesse e dunque più complesse. Il sistema psicologico quindi si sviluppa a partire da
elementi già acquisiti che diventano sempre più complessi. Il comportamentismo è stato il
filone di studi che più di tutti ha adottato una prospettiva di tipo meccanicistico. Per questo
l'individuo è percepito come un soggetto passivo che viene perennemente influenzato da
forze esterne e per questo il sistema psicologico non possiede le proprietà di agenticità
personale, ovvero della capacità di avere un ruolo attivo e di intervenire per modificare
l'ambiente. La prospettiva organismica sostiene che non si può spiegare il funzionamento
dei sistemi viventi basandoci solo sulle loro componenti fisiche e chimiche. Questo perché gli
organismi presentano elevati livelli di complessità che non possono essere spiegati
riducendo tutto a semplici formule scientifiche. Dunque rifiuta il riduzionismo meccanicistico
e riconosce che le persone possono cambiare qualitativamente nel corso dello sviluppo e
questo è stato dimostrato dal fatto che in stadi differenti dello sviluppo compaiono abilità
che sono diverse dalle precedenti, non vi è solo una semplice evoluzione di costrutti
elementari che diventano sempre più complessi ma i soggetti diventano qualitativamente
differenti. La prospettiva organismica adotta un punto di vista epigenetico secondo cui il
comportamento che i soggetti manifestano in un determinato momento dello sviluppo non
può essere riconducibile ad eventi o tendenze di momenti precedenti. Es. la timidezza che
esplicita un 12enne non viene manifestata per gli stessi motivi e meccanismi di un bambino
di 1 anno, ossia la timidezza scaturita dai numerosi conflitti adolescenziale non è una
semplice ripetizione dei conflitti dell'infanzia, ma sono fenomeni qualitativamente diversi. In
questo modo gli individui sono attivi, costruttori del proprio mondo in quanto sono in grado
di attribuire significati agli eventi, selezionare le attività e le competenze necessarie per
realizzare i propri obbiettivi. Oggi il modello organismico è quello più adottato dagli studiosi
dello sviluppo, in quanto viene riconosciuto che i sottosistemi biologici e psicologici
interagiscono gli uni con gli altri e sono influenzati dai contesti nei quali i soggetti agiscono.
Dal momento che le persone influenzano il proprio ambiente, i fattori di personalità
contribuiscono a determinare i contesti i quali a loro volta influenzano la personalità. Inoltre
dato che ogni ambiente è spesso condiviso con altre persone, anche la personalità di queste
ultime influenza l'ambiente di cui si ha esperienza. Bronfenbrenner ha riportato un
contributo importante, ovvero la teoria sistemico-ecologica. Egli rappresenta una
tassonomia di contesti evolutivi in cui sono identificati dei sistemi ordinati gerarchicamente:
microsistema= casa, scuola ecc.. Contesti abituali in cui si intrattengono interazioni con
persone; mesositema= scuola-famiglia, le relazioni tra i diversi contesti del microsistema.
Es. come i livelli di stress a lavoro influenzano le relazioni a casa; ecosistema= es.
lavoro-relazione di coppia, tutti quei sistemi che il bambino non sperimenta direttamente
ma che influiscono sul suo sviluppo; macrosistema= es. orientamenti politici e religiosi,
ovvero l'insieme dei valori culturali in cui il bambino cresce.
Differenze culturali della psicologia della personalità:
La cultura in cui viviamo e cresciamo è molto importante in quanto fornisce il "filtro"
attraverso cui sperimentiamo il mondo. La cultura è l'insieme dei valori, degli usi e dei
costumi entro i quali attuiamo i nostri comportamenti, indica dunque ai soggetti come
comportarsi. A diverse latitudini di uno stesso continente le persone mangiano cibi diversi,
hanno riti religiosi particolari, concezioni della mente ecc.. Questo ha portato gli studiosi a
riconoscere che nonostante molti risultati ottenuti in psicologia siano validi e universali,
bisogna comunque tenere presente il ruolo della cultura in quanto fornisce delle situazioni e
dei sistemi di significato entro i quali le persone costruiscono il senso di sé. Dunque ad oggi
la generalizzabilità di alcuni costrutti è stata messa in discussione e determinati risultati
sono associabili solo a particolari tipi di culture: es. l'errore di attribuzione fondamentale
(ovvero la tendenza ad attribuire le cause dell'azione altrui alle proprie disposizioni personali
e non situazionali) è più debole in Giappone, India e Cina. Il bisogno di considerazione
positiva di sé sembra meno presente in Oriente. Le culture infatti non sono entità statiche di
simboli ma sono dinamiche ed in continua evoluzione. Infatti è stato visto come l'evoluzione
culturale sia andata di pari passo con l'evoluzione biologica dell'uomo. Durham ci
documenta questa interrelazione di sistemi, sottolineando come nel corso dei millenni la
lotta per la sopravvivenza abbia favorito lo sviluppo di sistemi economici diversi i quali
hanno a loro volta portato ad un sistema di abitudini e abilità specifiche che hanno di
conseguenza influenzato la biologia, trasmettendo caratteristiche appropriate alle varie
contingenze sociali. Quindi diversità genetiche e culturali si sono coevolute. Grazie alle
ricerche sull'individualismo e sul collettivismo, oggi possiamo dire che la nostra psicologia si
è sviluppata in un panorama individualista, che privilegia l'individuo rispetto al gruppo. Ma
ad oggi la maggior parte della popolazione mondiale vive in culture di tipo collettivista che al
contrario privilegia il gruppo (famiglia) rispetto al singolo. Essere immersi in una cultura
collettivista o individualista ha delle implicazioni al livello di personalità. Essa infatti ha
concezioni differenti in diversi contesti. In occidente, dove prevale l'individualismo, il singolo
è un "oggetto" dotato di diritti, doveri, dignità propri. Al contrario in Oriente, dove prevale il
collettivismo, l'individuo è parte di un tutto, l'anello di una lunga catena. Questo comporta
che in occidente la realizzazione del potenziale personale avviene al livello autonomo, al
contrario in oriente, l'individuo viene inserito all'interno di unità collettive che strutturano
l'ordine sociale. Infatti in occidente sono più importanti i tratti, le capacità ecc.. In oriente
invece assumono maggiore importanza i ruoli e gli obblighi sociali. Le concezioni culturali
influenzano non solo le persone ma anche gli psicologi che la studiano divulgando diversi
modo di concepire la personalità e i fenomeni psicologici. Infatti nelle culture orientali le
persone sono considerate entità fluide e la personalità si esprime attraverso l'armonia di
forze opposte (Yin e Yang). Oggi grazie ai media e allo sviluppo di nuove tecnologie non
possiamo più associare una cultura ad una specifica area geografica. Non solo perché ormai
in uno stato troviamo centinaia di culture diverse, ma anche perché la tv, i social network e
la rete internet ci permettono di entrare in contatto con realtà che si trovano in ogni parte
del mondo senza doverla raggiungere fisicamente. Inoltre il fenomeno della globalizzazione,
ha permesso alle culture di rafforzare la propria unicità es. McDonald's si trova in ogni parte
del mondo ma a seconda del luogo e alle tradizioni sul cibo presenta menù diversi. Ad
esempio nei paesi musulmani non saranno presenti cibi contenenti carne di maiale.
Approccio disposizionale: le diverse teorie dei tratti.
La personalità è un un’organizzazione di modi di essere, di conoscere e di agire, che assicura
unità, coerenza, continuità, stabilità e progettualità alle relazioni dell’individuo con il mondo.
Lo studio delle differenze individuali comprende un notevole numero di costrutti latenti
(cioè non direttamente osservabili) come l’intelligenza, i tratti e il temperamento che
rappresentano le maggiori sorgenti di variabilità nel comportamento. Le diverse teorie
hanno l’obiettivo comune di spiegare le differenze nel modo in cui gli individui sentono,
pensano e agiscono. Alcune teorie della personalità concettualizzano le differenze
comportamentali in termini di caratteristiche psicologiche o tratti i quali sono in parte
ereditati e, specialmente negli adulti, stabili. Diverse sono state le correnti teoriche,
l’elemento comune è che tutte partono dal presupposto che gli individui sono predisposti
fin dalla nascita a reagire e a comportarsi secondo tipologie della condotta che possono
essere sistematizzati come tratti e tipi della personalità. Con il termine tratti intendiamo
quelle disposizioni della personalità, per lo più ritenute di origine genetica, e quindi
difficilmente modificabili, che influenzano il comportamento umano in modo stabile. I tratti
si oppongono agli stati che sono definiti come disposizioni transitorie della personalità e
quindi facilmente modificabili. Anche il modo in cui i tratti diventano comportamenti abituali
cambia a seconda dei contesti, delle pressioni circostanti e delle opportunità. Fra i principali
contributi teorici dei tratti possiamo distinguere tre principali impostazioni:
• La psicologia dei tratti di Allport e Murray concepisce la personalità come caratteristica
che si costruisce nella dinamica di sviluppo tra individuo e ambiente, per questo motivo ogni
individuo è una combinazione unica di tratti di personalità (non è possibile identificare due
personalità identiche) Allport in un primo momento distinse i tratti in: universali o comuni
e individuali; i primi sono identificativi di un gruppo di persone o una categoria (es. i miei
amici sono socievoli), i secondi invece sono propri della singola persona e non possono
essere espressi in un'unica parola. Successivamente distinse i tratti in tre tipologie differenti:
cardinali, che influenzano quasi tutte le azioni della persona, infatti sono i più forti e
pervasivi. centrali, che contraddistinguono la persona e influenzano anche il suo
comportamento; secondari, tratti altamente specifici e meno distintivi dell'individuo. Per
Allport i tratti sono strutture neuropsichiche innate, anche se non rigide.
• Secondo la teoria dei tratti analitico-fattoriale di Cattell (16PF), la personalità è ciò che
consente la previsione del comportamento di una persona in una specifica situazione. I tratti
sono le strutture mentali inferite dall'osservazione del comportamento; attraverso l’analisi
fattoriale si studia la popolazione per individuare i tratti comuni e i tratti distintivi che
distinguono un individuo dall’altro, pensiamo alla teoria dei Big five.
Nel definire una teoria dei tratti si può scegliere di seguire strategie di tipo idiografico o
nomotetico. La strategia idiografica riconosce che il singolo può possedere un insieme unico
di tratti organizzati in modo del tutto singolare; la strategia nomotetica invece ricerca una
tassonomia di tratti che sia applicabile a tutte le persone ed è quella dominante nell’ambito
della teoria dei tratti. Per tipi intendiamo costellazioni di tratti, un tipo indica un gruppo di
tratti correlati.
• La teoria dei tratti/tipi di Eysenck mira alla formulazione di leggi generali che regolano
sviluppo e comportamento per la previsione delle condotte. È basata su un concetto di
determinismo biologico; propone tre tratti principali della personalità (nevroticismo,
estroversione, psicoticismo) e il test che usa per misurarli è il MMPI (Minnesota Multiphasic
Personality Inventory).
• Per Guilford la personalità è un insieme unico di tratti, ciò che nel funzionamento è
durevole e distinguibile tra una persona ed un'altra.
Lo studio dei tratti di personalità: confronto tra modelli gerarchici e
circomplessi.
Tratti di personalità sono considerati le dimensioni di base della personalità; con il termine
tratto si intende una modalità costante di percepire, rappresentare e pensare se stessi e il
mondo, che si manifesta in un’ampia varietà di situazioni sociali e personali. I tratti sono
utilizzati nelle teorie della personalità per rispondere a due domande fondamentali: 1) quali
sono i determinanti del comportamento; 2) qual è la struttura della personalità, ossia come i
tratti sono correlati fra loro. Sono state sviluppate nel corso degli anni diverse teorie fra le
quali il modello gerarchico e il modello circomplesso. Alcuni autori ritengono che la
personalità sia costituita da tendenze comportamentali organizzate gerarchicamente: i
tratti di base sovraordinati generano ed organizzano le tendenze che si collocano ad un
livello più basso, le quali, a loro volta, controllano le abitudini comportamentali, situate a un
livello ancora inferiore. Uno dei modelli gerarchici più noti è quello di Eysenck, basato
primariamente sugli aspetti della personalità fondati sulla fisiologia e sulla genetica, ovvero
sul concetto di “temperamento”. Egli concettualizzò la personalità come costituita da tre
dimensioni temperamentali indipendenti e biologicamente determinate, misurabili con lo
strumento chiamato Eysenck Personality Questionnaire (EPQ): Estroversione/Introversione,
Nevroticismo/ Stabilità, Psicoticismo. I primi due di questi fattori o assi (la estroversione e il
nevroticismo) sono le più importanti dimensioni della personalità, e sono presenti in quasi
tutti i modelli dimensionali. Definiscono 4 quadranti che ricreano, secondo Eysenck, i
quattro "umori" individuati da Galeno nel II secolo dopo Cristo: sanguigno, collerico,
flemmatico, melanconico. Le persone con un alto grado di estroversione sono socievoli,
dinamiche, vivaci e alla ricerca di stimolazioni interpersonali (gli introversi, al contrario,
mostrano il comportamento opposto). Il nevroticismo indica la tendenza alla instabilità e al
turbamento emozionale (un punteggio basso di nevroticismo, al contrario, corrisponderebbe
all'umore "sanguigno" della classificazione galenica). Il terzo fattore individuato da Eysenck,
lo psicoticismo, indica un basso grado di coinvolgimento nei rapporti interpersonali; questo
fattore non viene ripreso da altre classificazioni. Nel sistema di Eysenck l’estroversione è
considerato un tratto importante, da esso derivano l’Eccitabilità, l’Attività, la Vivacità, la
Socievolezza; da ciascuno di questi tratti di livello secondario derivano altre tendenze più o
meno abituali. Altri autori, tra i quali Wiggins, hanno tentato di dimostrare che la migliore
rappresentazione della struttura dei tratti della personalità è data da un modello definito
circomplesso o “modello quadrante”. È un modello che mira a identificare lo stile
relazionale, il comportamento interpersonale dell’individuo; più che una dimensione
gerarchica, prende in considerazione dimensioni molto più ampie, indipendenti le une dalle
altre. Ogni dimensione viene rappresentata come una diagonale di un cerchio lungo la quale
i caratteri contigui sono molto simili tra loro, mentre quelli contrapposti corrispondono a
delle bipolarità. I comportamenti situati agli estremi opposti non sono solo
geometricamente divergenti, ma lo sono anche dal punto di vista concettuale; per esempio,
il comportamento sottomesso è situato dalla parte opposta al comportamento dominante. Il
modello circomplesso considera i vari tratti interpersonali come risultanti dall’incrocio di due
dimensioni fondamentali: Potere ed Amore.
Tratti e tipi di personalità: spiegare la differenza e fornire un esempio
Il tratto è una predisposizione relativamente costante e abituale, a produrre un certo
comportamento piuttosto che un altro. I tratti sono le nostre qualità distintive (possedute in
modo differente da individuo a individuo), si manifestano direttamente attraverso il
comportamento e tendono a rimanere stabili nel tempo. Secondo alcune teorie hanno una
base biologica. Nelle teorie dei tratti (Allport, Cattel, Eysenk..), l’attenzione è posta sulla
persona e non sull’ambiente. Secondo le teorie dei tratti la personalità è organizzata in
maniera gerarchica con tratti ampi e sovraordinati che organizzano le tendenze abituali che
a loro volta organizzano le abitudini comportamentali e i comportamenti specifici che si
collocano a livello più basso. Queste teorie permettono di individuare un certo numero di
dimensioni della personalità che possono essere misurate o quantificate, e di confrontare e
distinguere gruppi di individui sulla base di tali dimensioni. Lo scopo è identificare le
dimensioni fondamentali lungo le quali si differenziano le personalità dei soggetti. Le
critiche a questa teoria sono state che l’unità strutturale andrebbe ricercata nell’interazione
tratto-ambiente, i tratti da soli non sono buoni predittori del comportamento e una persona
non può essere descritta da tratti costanti in tutte le situazioni.
I tipi di personalità derivano da come i tratti si organizzano e si combinano tra loro in modo
ricorrente in una popolazione e descrivono una personalità nel suo complesso. Ad esempio
una persona può essere estroversa ma non amicale e quindi diremo che è un “tipo” non
amichevole. Oppure può essere estroversa e amicale e quindi diremo che è un “tipo”
amichevole: quindi avremo due diversi tipi di persona a partire dallo stesso tratto. Un autore
che propone una teoria dei tipi ad esempio è Jung che fa una distinzione tra il tipo di
personalità introverso (si concentra sul mondo interno) ed estroverso (si concentra sul
mondo esterno): secondo Jung tutte le persone appartengono ad uno di questi due tipi.
Approccio lessicale e fattoriale nello studio dei tratti.
Gli psicologi nel tentativo di costruire una tassonomia della personalità, hanno preso come
punto di partenza due opzioni: la prima riguarda il poter attingere dalla saggezza del
linguaggio naturale, in quanto le persone hanno sviluppato un ricco e dettagliato linguaggio
per descrivere gli altri. La seconda opzione invece consiste nel fare affidamento
all'esperienza dello psicologo in quanto possessore di misure delle differenze individuali. In
entrambi i casi è comunque necessario cercare di contenere i termini di questa tassonomia e
qui i ricercatori sostengono che la tecnica statistica dell'analisi fattoriale sia la più efficace
per svolgere questo compito. Entrando nel dettaglio dell'approccio lessicale, il primo a
ipotizzare che i termini del linguaggio potessero costituire un lessico per lo psicologo, fu
Galton. Egli individuò circa un migliaio di termini. Successivamente psicologi americani quali
Allport e Odbert tentarono, tramite l'analisi del linguaggio, di individuare le basi della
struttura della personalità. Essi considerarono i termini linguistici come simboli elaborati
socialmente, ovvero è interesse della società elaborare un sistema condiviso di simboli
linguistici che viene usato per descrivere e valutare le caratteristiche umane. Essi ricavarono
la lista di termini relativi alla persona più lunga, anche fino ad oggi, composta da 17.953
parole che vennero divise in quattro categorie: 1) tratti stabili della personalità, 2) umori
temporanei e stati mentali, 3)valutazioni sociali del carattere 4) caratteristiche fisiche e
abilità. In seguito Cattel approfondendo l'approccio lessicale, parlò di sedimentazione,
ovvero la maggior parte delle differenze individuali sono codificate come singole parole nel
linguaggio naturale. Egli infatti ridusse la lista di parole di Allport e Odbert, individuando in
conclusione 35 gruppi bipolari di tratti. Applicando l'analisi fattoriale, Cattel ha infine
individuato 12 fattori che ha posto alla base della sua teoria della personalità e al suo
sistema di misurazione (16 personality factors inventory). Successivamente, Norman
rivedendo la lista di Allport e Odbert e applicando l'analisi fattoriale, ottenne una struttura a
5 fattori: 1) sorgenza, 2) gradevolezza, 3) coscienziosità, 4) stabilità emotiva, 5) cultura.
Esse risultarono le principali dimensioni delle differenze individuali. Infine Goldberg e
Peabody replicando la struttura a 5 fattori di Norman, hanno elaborato una vasta
tassonomia di termini relativi ai tratti, identificando gli aggettivi che costituivano i migliori
indicatori (marker) di ognuno dei Big Five, ovvero quelli che presentavano una maggiore
saturazione su un singolo fattore. Abbiamo visto che l'analisi fattoriale è una tecnica
altamente utilizzata per ridurre al massimo gli innumerevoli termini che i diversi autori
hanno rilevato per le loro tassonomie. (Da aggiungere l’approccio dei questionari)
L'analisi fattoriale
L'analisi fattoriale è una tecnica di statistica multivariata (ideata da Spearman per lo
studio dell'intelligenza ) che riduce le relazioni reciproche tra numerose variabili manifeste
a un numero ridotto di costrutti ipotetici latenti (non direttamente osservabili). Dunque il
punto di partenza è costituito da una matrice di correlazione che sintetizza le relazioni tra
le variabili manifeste. Il punto finale è costituito da una matrice che riporta sia tutte le
relazioni osservate tra le variabili, sia le componenti latenti che ne sono risultate.
Il fattore permette di esprimere il tratto psicologico, che è una caratteristica qualitativa, in
termini quantitativi. In tal modo è possibile giungere alla formulazione di vere e proprie
teorie della personalità, in cui i dati forniti dall’esperienza vengono ordinati rispetto ad un
insieme di ipotesi sul funzionamento complessivo della personalità. Il metodo
principalmente utilizzato è rappresentato da questionari di auto-valutazione (self-report); il
presupposto è che, analizzando le risposte alle varie domande sia possibile individuare dei
gruppi di affermazioni (e comportamenti da esse descritti) tra loro correlate e che riflettono
un fattore latente che spiega o determina tali correlazioni.
La personalità diventa così concettualizzabile come un modello gerarchico, in cui
dimensioni più generali vengono scomposte in dimensioni di minore ampiezza che ne
costituiscono le sfaccettature. Le teorie dei tratti di Cattel, Allport e Eysenck rappresentano
il tentativo di dimostrare che il comportamento può essere misurato, spiegato e predetto in
base allo studio e all'analisi statistica dei fattori o tratti che sono alla base del
comportamento stesso. Negli ultimi decenni si sono affermati prepotentemente alcuni
modelli accomunati dall’esigenza di integrare e di mediare tra l’approccio lessicale e la
complessità e articolazione dell’approccio fattoriale. Tra i principali modelli integrati il più
influente e attualmente utilizzato è quello noto come teoria dei Big Five misurato dal
questionario NEO-PI-R e dal BFQ. L’analisi fattoriale può essere di primo ordine: i fattori che
estraiamo derivano direttamente dalle informazioni raccolte oppure di secondo ordine:
richiedono un passaggio ulteriore: i fattori estratti da una prima analisi vengono
ulteriormente fattorializzati per individuare fattori sottostanti.
Essa può essere esplorativa o confermativa: esplorativa in quanto gli studiosi possono
utilizzarla senza avere a monte una teoria precisa sul modo in cui ci si attende che le variabili
si associno, e vedere direttamente cosa confermano i dati. La confermativa invece consiste
nel testare e confermare una teoria che ipotizza le interrelazioni tra le variabili. Dunque si
deve specificare il numero di fattori latenti del modello osservabile e le relazioni che
intercorrono tra costrutti latenti e manifesti. Successivamente si indicano gli indici di bontà
di adattamento del modello, cioè gli indici che valutano quanto il modello si adatta ai dati
osservati.
La teoria dei 5 fattori (big five)
Il modello dei Cinque Fattori, elaborato da McCrae e Costa (1966), è il punto di unione di
due teorie psicologiche: la teoria lessicografica, che parte dall’assunto che le differenze
basilari e socialmente rilevanti sono rintracciabili in un linguaggio descrittivo e la teoria
fattorialista che indaga la struttura della personalità come tratto stabile e considera le
differenze individuali come una varietà di possibili modi di espressione della propria
personalità, sebbene riconducibile a un numero ridotto di dimensioni più ampie. I tratti sono
stabili, duraturi ed hanno valore predittivo del comportamento. McCrae e Costa hanno
iniziato con lo studio della personalità attraverso l’analisi delle risposte a questionari, e
gradualmente hanno identificato cinque fattori alla base, questi derivano da auto ed
etero-valutazioni e sono emersi indipendentemente dalle procedure di valutazione, dalle
caratteristiche (sesso/età) delle popolazioni, dai contesti linguistici e culturali. I cinque tratti
della personalità evidenziati dal modello Big Five sono: Estroversione/Energia;
Gradevolezza/Amicalità; Coscienziosità; Nevroticismo/Stabilità emotiva; Apertura mentale;
ciascun fattore presenta delle sottodimensioni. Il loro strumento di valutazione è chiamato
NEO-PI-R (neo personality index revised) che contempla un maggior numero di dimensioni
rispetto al BFQ.
APERTURA MENTALE (apertura alla cultura e all’esperienza): bassi punteggi:
Convenzionale/Conformista; Moderato, Preferisce la Routine, Dogmatico; alti punteggi:
Curioso, Attirato dalle Novità, vari campi di interesse, Esploratore, Indipendente.
COSCIENZIOSITA’ (scrupolosità, perseveranza): bassi =Disorganizzato, Sbadato, Indisciplinato;
alti= Organizzato Ordinato, Disciplinato, Mantiene Obiettivi, perseverante.
ENERGIA (dinamismo, dominanza): bassi= Riservato, ritirato, taciturno; alti:= Ricerca nuove
sensazioni, Assertivo, Caloroso, attivi, energeci, loquaci, dinamici.
AMICALITA’(empatia, cordialità): bassi = critico, non cooperativo, sospettoso, cinico alti=
empatico, franco, modesto, sensibile, altruista, cooperativo.
STABILITA’ EMOTIVA (controllo emozioni ed istinti): bassi =Ansioso, depresso, Frustrato,
Vulnerabile allo stress; alti =Calmo, Stabile, Sicuro, Moderato, riflessivo, conciliante.
La valutazione della personalità attraverso il modello dei Big Five può avvenire mediante la
compilazione da parte del soggetto di un questionario oppure mediante la valutazione della
condotta in un contesto di simulazione. Seguendo un’analisi lessicale degli aggettivi utilizzati
nella lingua italiana per descrivere la personalità, Caprara e altri autori hanno elaborato il
BFQ. Un questionario composto da 132 item che valutano, con scala Likert a cinque punti (da
"assolutamente vero per me" a "assolutamente falso per me"), i cinque fattori sia negli
adulti e sia nei bambini (BFQ-C). La somministrazione può essere individuale o collettiva. Il
BFQ è caratterizzato da: buone relazioni con altre misure di personalità, elevata concordanza
tra autovalutazioni e valutazioni esterne; elevato valore applicativo soprattutto in contesti
organizzativi.
Pregi e limiti del modello dei 5 fattori.
PREGI: A) rappresenta una cornice di riferimento condivisa per la descrizione della
personalità, tramite la quale interpretare e catalogare le differenze individuali relative alla
personalità; B) è caratterizzato da elevate economicità, comprensività (ovvero abbraccia la
personalità nel suo complesso) e accessibilità. Consente di esaminare e valutare la
personalità con i termini che le persone usano abitualmente per comunicare, descrivere e
giudicare se stesse e gli altri. C) consente di esaminare e di fare previsioni rispetto ad
importanti "criteri esterni" connessi all'adattamento psicosociale, come il successo scolastico
e lavorativo e il benessere psicologico. Infatti il test è stato applicato in vari contesti ed è
stato visto che ha riscontrato successo in: - psicologia delle organizzazioni (la coscienziosità
e l'estroversione sono risultate fattori predittivi di successo e riuscita, come anche la stabilità
emotiva soprattutto in quelle professioni in cui è necessaria un'elevata capacità di
autocontrollo). - psicologia clinica e della salute (elevata importanza contrapposizione tra
stabilità e instabilità emotiva, elevata importanza della coscienziosità come strumento di
protezione e predittore di longevità). - psicologia dell'educazione (apertura mentale e
coscienziosità sono elementi predittivi molto forti di successo scolastico), - psicologia
economica (importanza della coscienziosità per alcuni comportamenti come il risparmio) .
- psicologia politica ( le variabili di personalità distinguono bene gli elettori e i politici
indipendentemente da caratteristiche come il genere, l'età o il partito politico di
appartenenza. Infatti i politici si auto valutano e si presentano come più amicali ed energici).
LIMITI: A) i cinque fattori non sono stati riscontrati in tutte le culture, soprattutto negli studi
emici; B) i fattori estratti a livello di popolazione solo in parte trovano riscontro a livello di
individui. Generalmente le persone usano un numero più limitato di fattori per descrivere se
stessi e gli altri, generalmente 3/4 dimensioni. Questo perché alcune dimensioni di
personalità sono più importanti per le persone e quindi esse tendono a sottolineare quel
tipo di caratteristiche. C) i cinque fattori non esauriscono la varietà delle caratteristiche che
descrivono la personalità, né permettono una descrizione accurata delle singole individualità
(es. nei cinque fattori non è contemplata la spiritualità mentre in certe culture orientali è
molto importante. Infatti i 5 fattori colgono un'immagine molto ampia della personalità che
rispecchiano numerose differenze individuali ma non le colgono tutte. Questo ha portato sia
McCrae e Costa sia Caprara a contemplare delle sottodimensioni per ciascun fattore, e
questo ci indirizza verso descrizioni sempre più affinate). D) i cinque fattori servono
sicuramente a descrivere la personalità, ma bisogna accertarsi che possano anche prevedere
e spiegare.
Generalizzazione del modello dei 5 fattori nelle diverse culture – Studi
emici e etici
I sostenitori del modello dei 5 fattori ritengono che esso rappresenti una struttura universale
della personalità, ovvero applicabile a tutti i soggetti. Ma il termine universale può anche
indicare applicabile a tutte le culture. Ma il modello dei 5 fattori è iniziato in contesti
occidentali, prevalentemente di lingua inglese e dunque non si esclude la possibilità che la
struttura a 5 fattori sia solo applicabile ad una ristretta parte della popolazione mondiale.
Per questo si è cercato di verificare la generalizzabilità di tale modello attraverso due modi:
approccio emico iniziano la loro ricerca direttamente dalle culture locali, andando a
consultare interviste, descrizioni spontanee nelle conversazioni ecc.. Che diventano la base
per la conduzione delle analisi.
approccio etico utilizzano questionari per lo studio della personalità o una serie di termini
lessicali che descrivono la personalità, da una lingua all'altra.
Gli studi etici hanno tentato di replicare il modello dei 5 fattori in culture sia occidentali sia
orientali ma la maggior parte degli studiosi ha adottato un approccio di tipo emico per
analizzare i termini descrittivi della personalità presi dal dizionario di diverse lingue. Una
volta selezionati centinaia di termini sulla base della loro chiarezza, appropriatezza,
frequenza d'uso nella descrizione della personalità, viene applicata l'analisi fattoriale così da
ridurre le liste a un numero ristretto di costrutti latenti con i quali vengono individuati i
principali fattori di differenza individuale e gli indicatori (marker) più rilevanti per ogni
fattore. Solitamente negli studi emici viene ritrovata una struttura a 5 fattori che richiama
quella di Norman (sorgenza, gradevolezza, coscienziosità, stabilità emotiva, cultura) ma vi
sono anche importanti eccezioni: prima di tutto anche laddove sono stati ritrovati 5 fattori,
spesso essi sono discordi con quelli stabiliti dal modello a 5 fattori in lingua inglese. In altri
casi, si è visto che vengono rilevati un numero diverso di fattori, ad esempio in lingua
ungherese (non indoeuropea) non è stato riscontrato il quarto fattore, così come in lingua
italiana ve ne sono soltanto tre. Inoltre la struttura a 5 fattori prende in considerazione solo
nomi e aggettivi, trascurando i verbi e vi possono essere diversi ordini di estrazione o
specifici indicatori possono saturare più di un fattore. Ad esempio una ricerca nelle culture
asiatiche ha dimostrato che nonostante siano stati trovati 5 fattori dai descrittori indigeni,
essi non corrispondono a quelli riscontrati adottando una strategia etica.
Un altro limite è che la maggior parte degli studi ha ristretto l'insieme di item analizzati ad
aggettivi che non sono prettamente valutativi (es. meraviglioso e orribile sono due termini
che vengono esclusi), ma studi recenti hanno iniziato ad inserire anche termini valutativi
arrivando però ad ottenere una lista di sette fattori. Ancora, possiamo notare come ogni
cultura ha una diversa sensibilità verso determinate categorie di azioni e di affetti e spesso
impiegano più parole per parlare della loro descrizione. Questo porta a notare come alcune
dimensioni siano più salienti in alcune lingue. Nonostante i numerosi studi, la comprensione
della descrizione della personalità nelle lingue non indoeuropee, si sa ancora molto poco.
Strumenti valutazione Big Five
Gli strumenti di valutazione sono:
1) Neo-PI-R (neo-personality index revised) ideato da McCrae e Costa per la misura dei
cinque fattori + sottodimensioni
2) BFQ (big five questionaire) di Caprara et al., consiste in 132 items su scala Likert a 5
punteggi (da assolutamente falso ad assolutamente vero) + sottodimensioni
3) BFO (big five observer) di Caprara et al., lista di aggettivi bipolari opposti
4) TinSit (tratti in situazioni) di Van Heck, riprende la struttura dei big five ma osserva come
essi si esplicano in diversi contesti (es. Nelle relazioni interpersonali, nel negoziare ecc..)
5) FFPI (five factors personality inventory) di Hendricks, è disponibile in lingua inglese, in
tedesco ed olandese. Partendo da una lista di 131 termini descrittivi della personalita,
applicando l’analisi fattoriale, si arriva a 100 item dai quali vengono trovate le 5 dimensioni,
ma la quinta invece di essere l’apertura mentale è l’autonomia, ossia la capacità di non farsi
influenzare dal giudizio altrui.
6) Hogan personality inventory di Hogan, individua 6 dimensioni invece di 5 poichè
l’estroversione viene divisa in due dimensioni indipendenti.
7) MPQ (multidimensional personality questionaire) di Tellegen, individua 4 dimensioni
generali e sovraordinate
8) ZKPQ (Zuckerman-Khulman personality questionaire) di Zuckerman e Khulman,
individuano 5 dimensioni che a differenza del Neo-pi-r vengono più facilmente messe in
relazione con le caratteristiche biologiche. (v. libro per approfondimento)
Differenze di genere: paradigmi e teorie – Differenze di genere nello
sviluppo
Le differenze fra donne e uomini possono essere ricondotte a due dimensioni: sesso e
genere; diversamente da ciò che spesso si pensa, non sono l’uno il sinonimo dell’altro. Il
sesso indica le caratteristiche biologiche degli individui, quindi maschio o femmina, mentre
il genere fa riferimento ai tratti sociali e culturali, definendo modi di fare, di agire e vissuti
in termini di mascolinità o femminilità. Al momento della nascita, il maschio e la femmina si
distinguono per il fatto di possedere determinati attributi sessuali differenziati; in seguito,
mediante il processo di socializzazione, maschi e femmine acquisiscono modi di sentire, di
interagire e di comunicare, regole di comportamento e ruoli che ne determinano, dal punto
di vista sociale e culturale, l’appartenenza di genere. È quindi la natura a definire se siamo
maschi o femmine, ma in seguito è la cultura (insieme di valori e principi condivisi da un
gruppo, le norme, i precetti, le disposizioni che sono tenuti a osservare e rispettare e la loro
trasmissione e assimilazione) che attribuisce significato a questa distinzione; chi diventiamo
come uomini e donne è in larga misura determinato dalle aspettative sociali e culturali.
L’identità sessuale di ogni individuo viene considerata un costrutto multidimensionale
formato essenzialmente da quattro diverse dimensioni: il sesso biologico, l’identità di
genere, il ruolo di genere e l’orientamento sessuale. Il sesso biologico di ciascun individuo
viene definito dalla combinazione dei cromosomi XX e XY. L’identità di genere fa riferimento
a come l’individuo si sente e si percepisce rispetto al proprio sesso biologico. Il ruolo di
genere determina le aspettative della società rispetto ai comportamenti appropriati di un
uomo e una donna nelle diverse culture, si riferisce all’insieme dei comportamenti che
vanno a strutturare le relazioni e le percezioni suscitate negli altri soggetti; il ruolo di genere
viene appreso già nella fascia d’età 3-7 anni; l’orientamento sessuale si riferisce
all’attrazione fisica da parte di un individuo verso altri individui che possono essere del suo
stesso sesso, del sesso opposto o di entrambi. Tra le varie teorie che si sono occupate di
indagare le differenze di genere troviamo: • Freud secondo il quale l’apprendimento delle
differenze di genere da parte dei bambini è incentrato sulla presenza o l’assenza del pene e
dall’attrazione per il genitore dell’altro sesso. La formazione delle identità di genere ha inizio
nella fase edipica, attorno ai 4 o 5 anni. Fase edipica maschile, il bambino vede il padre come
rivale nella lotta per le attenzioni della madre, fino a quando ne accetta la superiorità,
reprime l’attrazione per la madre e si identifica con lui, assumendone gli atteggiamenti
aggressivi. Fase edipica femminile, le bambine soffrono l’invidia del pene e si identificano
con la madre assumendone gli atteggiamenti remissivi. • Secondo Nancy Chodorow (teoria
delle relazioni oggettuali) la formazione dell’identità di genere è un’esperienza molto
precoce, che deriva dall’attaccamento del bambino alla madre; l’attaccamento deve poi
essere spezzato per poter acquisire un senso di sé separato. Secondo questa teoria
inizialmente sia i bambini che le bambine si identificano con la madre assumendo un’identità
femminile. La bambina rimane più vicino alla madre e sviluppa un senso di sé meno separato
dagli altri, una maggiore dipendenza al contrario del bambino che effettua una separazione
più netta acquisendo una maggiore indipendenza. In epoche più contemporanee si sono
affermati nuovi approcci fra i quali: • la teoria dei ruoli sessuali secondo cui la divisione del
lavoro, la distribuzione del potere e delle responsabilità, e le differenti pratiche di
socializzazione assegnano ruoli differenti a uomini e donne per assecondare le aspettative
sociali. Uomini e donne sono diversi a causa delle aspettative sociali. • le teorie
social-cognitive secondo cui la rete sociale svolge una funzione importantissima. La scuola,
la famiglia, gli amici, il contesto lavorativo, i media, oltre ad offrire modelli di
comportamento fungono anche da rinforzo della propria appartenenza di genere,
esercitando un’influenza significativa sul perpetuarsi degli stereotipi. Secondo la teoria
social-cognitiva le differenze sono dovute all’interazione della persona con l’ambiente
sociale, i genitori influenzano con la scelta dell’abbigliamento, dei giocattoli e con la
disciplina, gli individui negoziano e plasmano le loro identità sui modelli sociali. • Ricerca
sull’androginia. Anni 70, femminismo. Bem propone il concetto di schemi di genere
(socialmente appresi, nati da aspettative e preconcetti degli individui). Secondo Spence
uomini e donne hanno una mascolinità e una femminilità fondamentali per la propria
identità. Bem e Spence hanno trattato la femminilità e mascolinità come dimensioni
indipendenti più che come aspetti di un’unica dimensione. L’androginia viene considerato un
insieme ideale di attributi desiderabili della mascolinità e della femminilità adatti ad
entrambi i sessi e diviene parola chiave per una società egualitaria. • Secondo
l’evoluzionismo le differenze esistono perché uomini e donne hanno dovuto affrontare
problemi diversi. Il funzionamento umano è regolato da meccanismi psicologici che si sono
evoluti come risultato del loro successo nel risolvere problemi adattivi ricorrenti nel corso
della storia della specie, perciò uomini e donne sono diversi perché hanno dovuto affrontare
problemi diversi per il diverso ruolo e per assicurarsi la riproduzione.
Le componenti e le espressioni dell'intelligenza
L’intelligenza è l’applicazione di abilità cognitive e conoscenze volte ad apprendere, risolvere
problemi e raggiungere scopi.
Grazie all'analisi fattoriale è stato individuato un elemento chiamato "fattore g" che è stato
interpretato come un'abilità mentale, generale ereditaria. La credenza che le differenze
individuali nell'intelligenza derivino da un fattore comune generale continua ad essere una
delle strade più seguite in numerosi ambiti di studio.
Cattel ha distinto due aspetti dell’intelligenza generale: l’intelligenza fluida, ossia la
capacità di pensare logicamente e affrontare esperienze nuove indipendentemente dalle
conoscenze acquisite, e l’intelligenza cristallizzata che invece si riferisce a quel bagaglio di
conoscenze generali che una persona ha appreso nel tempo, dunque è il prodotto della
trasmissione di norme, linguaggi e valori della cultura.
Altre spiegazioni a sostegno delle differenze individuali in termini di QI globale, provengono
dalle ricerche psicofisiologiche e genetico- comportamentali.
Ricerche psicofisiologiche: hanno impiegato tecniche elettroencefalografiche riscontrando
associazioni tra l'attività elettrica del cervello con i punteggi ottenuti nei test d'intelligenza. I
risultati lasciano ipotizzare che le differenze individuali nelle abilità intellettive possano
riflettere variazioni nella velocità di elaborazione mentale. Inoltre recentemente sono state
sviluppate nuove tecniche quali la PET (tomografia ad emissione di positroni) e la fRMI
( risonanza magnetica funzionale)
Ricerche genetico-comportamentali: sostengono che le variazioni nei punteggi dei testi sul
QI sono soprattutto di natura ereditaria e dunque i fattori genetici rendono conto della
maggior parte della varianza del fattore g nella popolazione. Infatti è stato visto che gemelli
identici ottengono punteggi di QI simili anche se sono stati separati alla nascita. Vi sono però
alcune prove che contraddicono la natura ereditaria dell'intelligenza, ad esempio l'effetto
Flynn, che dimostra come i punteggi del QI di diverse popolazioni siano aumentati nel corso
degli anni, dunque non possiamo parlare di un QI ancorato geneticamente.
Questi approcci appena citati si basano sulla misura delle differenze individuali tramite test
standardizzati che però presentano dei limiti: in primo luogo, il QI non permette di cogliere
le proprietà proattive della mente che nel corso dello sviluppo rendono le persone capaci di
contribuire al proprio livello di capacità; in secondo luogo, l'intelligenze è un sistema
talmente complesso che non può essere ricondotto ad una singola dimensione (fattore g).
Per questo un altro filone di studi sull'intelligenza si è basato sulla comprensione dei processi
cognitivi che sono alla base delle prestazioni intellettuali. Alcuni contributi principali:
• Secondo Hunt gli individui si differenziano sulla base di come rappresentano mentalmente
i problemi, manipolano le rappresentazioni mentali e eseguono i vari passaggi di
elaborazione dell’informazione.
Gardner promuove la teoria delle intelligenze multiple individuando sette componenti della
capacità mentale (linguistica, logico-matematica, spaziale, musicale, corporeo-cinestetica,
interpersonale, intrapersonale) sostenendo che le intelligenze sono specializzate e non
generali, infatti i bambini prodigio mostrano talento in un ambito specifico e possiedono
capacità ordinarie in tutti gli altri ambiti. Oppure spesso chi subisce danni al cervello perde
funzioni specifiche mentre le altre rimangono intatte. Ma questo non vuol dire che le singole
componenti intellettive siano separate le une dalle altre ma spesso diversi aspetti
dell'intelligenza possono essere usati per scopi comuni (esempio: capacita musicale e
logico-matematica nei brani di Bach)
• Secondo Sternberg esistono 3 componenti indipendenti del comportamento intelligente
(teoria triarchica): critico-analitica: ovvero la capacità di saper analizzare le situazioni, di
esprimere giudizi ecc.. ; creativo-sintetica: legata alla capacità di inventare, scoprire,
immaginare ed affrontare situazioni nuove per le quali le abilità possedute sono insufficenti;
pratico-contestuale: ovvero la capacità di utilizzare strumenti, applicare procedure ecc..).
Infatti secondo Sternberg, l'intelligenza non è una qualità statica che risiede nel nostro
cervello ma piuttosto una capacità di risolvere problemi grazie alla sua natura adattiva
(capacità di scegliere e forgiare gli ambienti rilevanti per la propria vita e abilità)
Intelligenza sociale ed emotiva. Le principali teorie.
Non esiste una definizione univoca di intelligenza ma quella che trova più accordo tra gli
studiosi è la capacità di produrre un comportamento adattivo e funzionale al
raggiungimento di uno scopo, un comportamento che affronti con successo le sfide
dell’ambiente. Nella letteratura scientifica si rintracciano, principalmente, due approcci allo
studio dell’intelligenza:
> unitario: considera l'intelligenza come un'entità unica, collocata nel cervello e
sintetizzabile in un numero. Abbiamo: teorie strutturaliste di tipo psicometrico (test QI);
la teoria piagetiana di stampo cognitivista; le teorie fattoriali (Spearman);
> multiplo: considera l'intelligenza come un insieme di competenze e abilità che le persone
possiedono in diversa misura. È proprio la diversa combinazione di queste componenti a
determinare la differenza tra gli individui. Abbiamo: la teoria delle intelligenze multiple
di Gardner e la teoria triarchica dell’intelligenza di Sternberg. Proprio il contributo di questi
ultimi genera l’idea che nel concetto di intelligenza siano presenti fattori ti tipo personale e
sociale. L’intelligenza trova la sua manifestazione nell’interazione che persone hanno tra loro
nella vita quotidiana. Questo pensiero è alla base dell’intelligenza emotiva e sociale.
L'intelligenza sociale è la capacità di saper gestire le proprie interazioni sociali. Cantor e
Khilstrom, hanno approfondito le tematiche dell'intelligenza sociale: per loro l'intelligenza
sociale è la capacità delle persone di affrontare i problemi della vita. Le persone infatti
possono avere diversi repertori di conoscenze in relazione al contesto in cui sono immerse.
Es. alcune persone sono più abili nella gestione delle relazioni interpersonali, altre invece
nella gestione dei figli ecc.. Quindi l'intelligenza sociale non può essere colta da un
punteggio generale di QI sociale. Essi dunque indagano gli schemi relativi al sé, la
conoscenza sociale e le strategie di soluzione dei problemi che le persone impiegano per
affrontare gli scopi personali. Ifatti gli autori ci parlano di "compiti di vita" (life task) che
sono situazioni in cui le persone integrano le proprie conoscenze e abilità per perseguire
determinati scopi. Questi permettono all'individuo di connettersi con i suoi contesti di vita
quotidiana. Dunque in sintesi, l'intelligenza sociale è l'insieme di tutte le abilità possedute
dalle persone per perseguire i propri obbiettivi, adattando il proprio comportamento a
diversi contesti così da trarne risultati più vantaggiosi.
L'intelligenza emotiva è la capacità di saper gestire affetti e relazioni interpersonali, ovvero
l'abilità di saper comprendere le proprie emozioni e quelle altrui, utilizzando queste
informazioni per guidare il proprio pensiero e le proprie azioni.
• Goleman Ha individuato 7 aspetti del comportamento emotivamente intelligente:
autocoscienza, automotivazione, persistenza di fronte alle avversità, controllo degli impulsi,
regolazione dell’umore, empatia e ottimismo.
L’autore mette in luce il ruolo dinamico e funzionale delle emozioni nei processi di
autoregolazione poiché i sentimenti delle persone sono determinanti nel comportamento.
Infatti esse agiscono per raggiungere sentimenti di soddisfazione verso se stessi e per evitare
sensazioni di colpa o vergogna. Anche la relazione tra affetto e altruismo è importante
perché aiutare gli altri produce un umore positivo. Una volta che si possiede l'intelligenza
emotiva per capire come l'altruismo influisce sull'affetto, siamo in grado di modellare le
nostre azioni adottando strategie che promuovono un umore positivo. Quindi gli studi
sull'intelligenza affettiva più che descrivere le tendenze affettive si occupa di porre la nostra
attenzione sulle capacità cognitive e di autoregolazione che contribuiscono all'esperienza
emotiva e che possono essere sviluppate per migliorare la vita affettiva dell'individuo.
• Salovey e Mayer: Svilupparono il primo modello teorico dell’intelligenza emotiva nel
quale suddivisero l'intelligenza emotiva in 3 domini primari: 1) riconoscimento delle
emozioni in se stessi e negli altri 2) la regolazione delle emozioni proprie e altrui 3) l'uso
strategico delle emozioni per scopi connessi alla motivazione e alla soluzione dei problemi.
Differenza tra intelligenza e saggezza. Teorie sulla saggezza. (uscita)
Un aspetto dell’intelligenza che ha attirato l’attenzione scientifica negli ultimi dieci anni
riguarda la saggezza. In questo ambito una linea teorica e di ricerca particolarmente prolifica
è stata sviluppata da Baltes e colleghi secondo i quali, la saggezza coincide con una
competenza cognitiva relativa a questioni riguardanti il significato e la pratica della vita
quotidiana. Essa riguarda le conoscenze possedute sulle caratteristiche essenziali della
natura umana e del suo sviluppo, la relazione dell’’individuo con il mondo sociale e spirituale
e il raggiungimento di obiettivi e stili di vita ricchi di significato. Baltes e colleghi presentano
un modello di saggezza basato sulla competenza che deriva dall’esperienza (expertise) e
sull’uso che ne viene fatto nella vita quotidiana. Per essere saggio un individuo deve
possedere sia le conoscenze relative alla natura umana sia le strategie per mettere in pratica
tali conoscenze (per esempio strategie per risolvere conflitti o dare consigli a qualcuno),
inoltre Baltes ritiene che le interazioni con persone sagge e le esperienze di successo in
circostanze di vita difficili contribuiscono allo sviluppo della saggezza. Questa conoscenza si
acquisisce gradualmente tramite l’esperienza e a differenza di molte altre capacità
intellettive la saggezza sembra aumentare con l’avanzare dell’età. Per spiegare in che
modo la saggezza possa crescere mentre gli altri aspetti dell’intelligenza declinano, Baltes
ha attinto dalle prime concettualizzazioni sull’intelligenza fluida (nuovi modi di pensare
nella soluzione di problemi) e cristallizzata (uso di abilità, conoscenze già acquisite) e dalla
distinzione di Hebb tra potere intellettivo e prodotti dell’intelletto. Questi studiosi
distinguono tra intelligenza come elaborazione dell’informazione di base (la meccanica
della cognizione) e intelligenza come conoscenza culturale (la pragmatica della cognizione).
La saggezza, propriamente, corrisponde alla competenza che deriva dall’esperienza in ambiti
pragmatici culturalmente specifici. L’accresciuta saggezza della vecchiaia può rendere le
persone anziane capaci di affrontare con successo sfide e avversità degli ultimi anni della
loro vita tramite la selezione di attività e di relazioni supportive, l’ottimizzazione
dell’impegno e la compensazione delle capacità che sono diminuite. Tali esperienze possono
essere comprese solo tenendo conto delle caratteristiche dei vari contesti culturali, dal
momento che la saggezza è un prodotto culturale e collettivo al quale partecipano gli
individui.
Teorie del temperamento
Nonostante ancora ci siano delle divergenze sulla definizione di temperamento, la psicologia
in generale lo definisce come l'insieme delle disposizioni comportamentali presenti sin dalla
nascita, le cui caratteristiche definiscono le differenze individuali nella risposta all'ambiente.
Dunque il temperamento riflette una variabilità biologica. Sono stati elaborati 4 modelli
principali sullo studio del temperamento.
1• Secondo Thomas e Chess il temperamento è lo stile del comportamento, cioè il "come"
del comportamento. Questi due studiosi, analizzando le osservazioni cliniche, hanno
individuato tre tipi di temperamento: 1) facile = i bambini mostrano ritmi biologici regolari,
sono positivi a stimoli nuovi, si adattano ai cambiamenti ed esprimono umore positivo,
moderatamente intenso. 2)difficile: ritmi biologici irregolari, resistono al cambiamento, non
vedono di buon occhio le novità e manifestano reazioni emotive intense e negative. 3) lento:
discreta regolarità ritmi biologici, si adattano lentamente, possono avere reazioni normali
qualora vengano supportati adeguatamente dall'ambiente. È stato visto però che su un
continuum facile-difficile, le caratteristiche temperamentali dei bambini dipendono anche
dall'ambiente che può supportarle od ostacolarle. Essi infatti introducono il concetto di
"buon adattamento", che attesta una buona consonanza tra le caratteristiche
temperamentali del bambino e le aspettative dell’ambiente. E’ necessario tener conto della
bontà di adattamento (goodness of fit) o della povertà di adattamento (poorness of fit),
cioè della consonanza o dissonanza tra le caratteristiche temperamentali del bambino e le
aspettative, le richieste e le opportunità provenienti dall’ambiente (soprattutto dai genitori).
Dunque per comprendere il legame tra caratteristiche temperamentali del bambino e i
successivi esiti della personalità, è necessario prestare attenzione non solo alle
caratteristiche temperamentali ma anche alle interazioni tra i bambini e il loro ambiente
sociale.
2• Strelau (teoria regolativa del temperamento RTT): sostiene che il temperamento
corrisponde a un insieme di caratteristiche stabili determinate da meccanismi neurologici ed
endocrini (SNC e SNA). Essi sono presenti sin dalla nascita e soggetti a lenti cambiamenti nel
corso dello sviluppo, dovuti anche alle influenze ambientali. Nei primi studi egli distingue tra
aspetti energetici (livelli di reattività e attività) e aspetti temporali (velocità e persistenza di
risposta). Gli studi di Strelau si concentrano per lo più sull'esame della reattività emotiva e
dell'attività: la prima corrisponde all'intensità di reazione agli stimoli, la seconda riguarda la
quantità e la varietà di attività che l'individuo svolge. Esse sono legate in quanto per attivarsi
l'individuo ha bisogno di un alto livello di reattività.
3• Buss e Plomin hanno indagato le basi ereditarie del temperamento, sostenendo che i
fattori ereditari esplicano 3 dimensioni temperamentali precoci: emozionalità (tendenza ad
entrare in agitazione e sperimentare emozioni stressanti), attività (livelli ottimali di
stimolazione per l'individuo, che si manifestano nella forza e velocità dei movimenti) e
socievolezza (tendenze affiliative come interagire con gli altri e ricercare gratificazioni
sociali).
4• Rothbart: individua 2 dimensioni del temperamento: reattività (facilità con cui i sistemi
motori, affettivi, endocrini e autonomici si attivano) e autoregolazione (processi attentivi e
comportamentali attuati dalla persona per adattarsi e controllare le attivazioni negative).
5• Secondo Kagan gli studiosi cercano erroneamente di ridurre il numero delle
caratteristiche temperamentali e questo porta ad equiparare bambini dissimili e ad
immaginare che le differenze siano causate dalla diversa quantità di una caratteristica
quando, in realtà, potrebbero essere semplicemente soggetti con temperamento
completamente diverso. Egli dunque sottolinea 3 svantaggi nell'individuare un sistema
semplice e sovraordinato di dimensioni: 1) la ricerca di un piccolo numero di costrutti può
portare ad equiparare erroneamente bambini che in realtà sono differenti tra loro; 2) la
ricerca di qualità temperamentali generali trascura la possibilità che essi possano essere
influenzati anche dal contesto, dato che molti meccanismi biologici si attivano solo se
stimolati dall'esterno. 3) il temperamento deve essere considerato come un insieme di
categorie particolari e non dimensioni generali, in questo modo la loro misura non
potrebbe essere svolta da tecniche statistiche o fattoriali dal momento che esse misurano
solo relazioni di tipo lineare. Partendo da questi presupposti e grazie ai risultati ottenuti
dagli studi sui bambini, Kagan ha scoperto che il temperamento può essere soggetto a
cambiamento, poiché il patrimonio genetico iniziale di ogni individuo cambia sulla base
dell'esperienza.
Relazione tra temperamento personalità
Lo studio delle differenze individuali è parte di una consolidata tradizione in psicologia che
risale a più di un secolo fa. Esso comprende un notevole numero di costrutti come
l’intelligenza, i tratti e il temperamento che rappresentano le maggiori sorgenti di variabilità
nel comportamento.
La nozione di temperamento è molto antica; l’idea che le persone, sin dalla nascita,
posseggano fattori biologici che sono responsabili delle loro caratteristiche psicologiche si
ritrova già nelle teorie mediche della scuola ippocratica del 5’ secolo a.C.; nelle diverse
epoche essa ha continuato a influenzare la letteratura popolare e il linguaggio quotidiano.
Particolarmente importanti sono i contributi di:
Heymans e Wiersma, i quali hanno organizzato i tratti secondo tre dimensioni
temperamentali di base e hanno indagato le differenze comportamentali fenotipiche,
avendo mancato di identificare e studiare direttamente gli specifici meccanismi fisiologici
sottostanti alla variazione comportamentale osservabile. I progressi in questa direzione
provengono dai contributi di Pavlov e colleghi, i quali hanno osservato il funzionamento del
sistema nervoso e il comportamento. I fondatori della moderna psicologia della personalità
hanno generalmente concepito il temperamento come uno degli attributi dell’individualità.
Allport ha definito il temperamento come ‘’la natura emozionale’’ caratteristica
dell’individuo, che include la sua velocità di risposta e lo stato tipico dell’umore; egli
considera il temperamento un attributo biologico e largamente ereditario. In maniera del
tutto simile Eysenck ha guardato al temperamento come ‘’al sistema di comportamento più
o meno stabile e duraturo’’ e spesso ha usato i termini personalità e temperamento
indifferentemente. Sebbene alcuni autori sostengano che è inutile distinguere i due termini
in quanto equivalenti, altri mettono in guardia dal confonderli. Il temperamento riguarda le
caratteristiche formali e stilistiche del comportamento, come la sensibilità dell’individuo e la
sua responsività alle richieste dell’ambiente. Si possono concettualizzare le caratteristiche
del temperamento a diversi livelli di analisi: comportamento osservato, configurazioni di
eventi neurofisiologici, configurazioni di geni e di interazioni geni-ambiente. Le
caratteristiche del temperamento sono studiate servendosi di un’ampia serie di fonti di dati
fisiologiche e psicologiche, tra cui il comportamento manifesto, le valutazioni esterne e le
analisi genetiche. Quando parliamo di personalità ci riferiamo all’organizzazione di tratti che
caratterizzano gli individui. Il tratto è un costrutto ipotetico basato sull’osservazione di
consistenti e durature caratteristiche nel comportamento per una limitata gamma di
situazioni. (+ Thomas e Chess + Strelau, vedi domande 18 e 20).
Kelly concezione della scienza e della psicologia della personalità.
Kelly è uno psicologo statunitense pone la sua concezione di scienza alla base dei successivi
studi di personalità. Egli sostiene che quanto ci troviamo davanti ad una teoria scientifica il
problema da porci non è capire se essa è vera o falsa ma è necessario valutarla sulla base
della sua utilità nel fare previsioni. Infatti teorie differenti possono fare previsioni diversi e
dunque ogni teoria può avere la sua utilità. Quindi non è importante scegliere una teoria
piuttosto che un'altra ma imparare a vedere le cose prendendo in considerazione diverse
teorie, diversi punti di vista. Kelly ha definito questo aspetto "alternativismo costruttivo",
ovvero un insieme di costrutti scientifici ognuno dei quali fornisce una sua idea del mondo.
Quindi secondo l'autore la scienza non ha il compito di ricercare la verità ma si occupa di
elaborare una serie di costrutti scientifici utili per prevedere gli eventi. Di conseguenza ogni
singola teoria della personalità può contribuire a fare previsioni utili circa le persone. Per
questo egli parla di "disponibilità mentale" che è un elemento grazie a cui ci sentiamo liberi
di esplorare il mondo e di aprirci a diverse interpretazioni. Secondo Kelly una teoria è un
espressione sperimentale tra ciò che si osserva e ciò che ci si aspetta. Una teoria ha un
ambito di pertinenza (indica i confini dei fenomeni entro i quali la teoria può agire) e un
fuoco di pertinenza ( i punti, all'interno dei confini, in cui la teoria funziona meglio). Le teoria
ovviamente tendono ad essere modificate e abbandonate quando non conduce più a nuove
previsioni oppure si arriva a previsioni non corrette. Kelly però mette in discussione anche
altri assunti tradizionali:
Enfasi posta dagli psicologi sulla valutazione
Studio della personalità basato sulla misurazione delle differenze individuali
Utilità del metodo clinico piuttosto che quello sperimentale
La psicologia della personalità deve concentrarsi sullo studio di cose importanti
Questa sua concezione della scienza si riflette direttamente su quella della persona. Infatti
secondo Kelly l'uomo utilizza le sue conoscenze per fare previsioni e da qui nasce la
metafora di "uomo come scienziato" per cui le persone nella vita di tutti i giorni cerchiamo di
elaborare idee che ci consentono di predire eventi significativi (es. desideriamo di riuscire a
prevedere se passeremo il prossimo esame) e desideriamo di prevedere quali tipi di
esperienza possono aiutarci al raggiungimento di questi obbiettivi. Dunque nel fare ciò noi
agiamo come degli scienziati: elaboriamo una teoria, verifichiamo delle ipotesi e infine ne
valutiamo l'evidenza. Concepire l'uomo come scienziato mette in luce due aspetti importanti:
in primo luogo che le persone sono orientate verso il futuro, guardano al presente per
progettare il futuro non per guardare indietro al passato. In secondo luogo le persone
possono adottare diverse teorie per fare previsioni distinte. L'alternativismo costruttivo
dunque si ritrova anche a livello personale perché l'individuo può provare diversi costrutti e
così facendo ideare nuove strategie per affrontare i conflitti e le sfide della vita.
Costrutti personali Kelly e implicazioni interpersonali.
Un costrutto è un elemento di conoscenza che viene utilizzato per interpretare e costruire il
mondo. Le persone li utilizzano soprattutto per categorizzare gli eventi, infatti quando
sperimentiamo un evento cerchiamo di dargli un significato e lo facciamo utilizzando gli
elementi di conoscenza di cui disponiamo. Quindi secondo Kelly utilizziamo un "costrutto
personale". L'idea fondamentale è che le persone anticipano gli eventi osservando i pattern
e la regolarità: ad esempio osserviamo che alcune persone sono alte di statura e altre basse,
che alcune persone sono donne e altre uomini. Quindi tramite un processo di costruzione
delle somiglianze e delle differenze che si arriva alla formazione di un costrutto. Secondo
Kelly sono necessari tre elementi per formare un costrutto:
Due elementi devono essere percepiti come simili tra di loro
Il terzo invece deve essere percepito diverso dai primi due
Il modo in cui sono costruiti gli elementi simili prende il nome di "polo di somiglianza"
mentre il modo in cui essi sono contrapposti al terzo elemento forma il "polo di contrasto".
Per esempio osservare due persone felici e una triste può portare alla formazione di un
costrutto felicità-tristezza dove la felicità è il polo di somiglianza e la tristezza il polo di
contrasto. Un costrutto non è unidimensionale ma tra i due poli si collocano molti altri
costrutti più particolari che conferiscono i vari dettagli e sfumature nella costruzione degli
eventi. Dunque anche i costrutti, coerentemente con la visione del pensiero umano di Kelly,
vengono utilizzati per fare previsioni e progettare il nostro futuro. Ovviamente ogni
individuo utilizza costrutti diversi anche negli stessi contesti (es. davanti a una messa in
chiesa c'è chi definisce quell'evento morale e chi immorale) e dunque questo sottolinea
come l'utilizzo di alcuni costrutti piuttosto che altri rivelano alcuni aspetti della nostra
personalità. Queste differenze nell'uso dei costrutti porta a delle conseguenze a livello
interpersonale. Possiamo trovarci infatti davanti a qualcuno che comunica attraverso
costrutti diversi e per questo portare a contrasti tra gruppi diversi che però nonostante le
divergenze hanno anche molti costrutti in comune ed è solo rendendosi conto dei costrutti
comuni che si può ripristinare una buona comunicazione.
Kelly distingue diversi tipi di costrutti:
Verbali: che possono esse espressi a parole
Preverbale: quando non vi è la possibilità di esprimerlo a parole ( solitamente sono appresi
prima che compaia la nostra capacità di linguaggio).
Talvolta uno dei due poli del costrutto viene definito "sommerso" poiché non è accessibile
alla verbalizzazione. Ad esempio una persona che afferma più volte e insiste sul fatto che
tutti gli immigrati sono criminali, allora l'altro polo viene sommerso perché la sua esistenza
non è contemplata. In questo modo la persona è incapace di riferire verbalmente tutte le
componenti del costrutto.
Kelly ci parla anche di sistema dei costrutti personali (ovvero del loro insieme) in cui i
costrutti si differenziano sulla base della circostanza alla quale si riferiscono. Ogni costrutto
ha un ambito di pertinenza, ovvero tutti quegli eventi dove ritiene utile applicare un
costrutto, e un fuoco di pertinenza che indica una serie di eventi particolari in cui il costrutto
sarebbe maggiormente utile. Questo sistema porta inevitabilmente a comprendere costrutti
più importanti (costrutti nucleari) e altri meno importanti (costrutti periferici). Il sistema di
costrutti di una persona è ordinato gerarchicamente, infatti troviamo una serie di costrutti
superordinati (più generici) ognuno dei quali contiene un numero di costrutti subordinati
(più specifici)
Cosa si intende per attivazione conoscitiva illustrando le differenze tra
fonti di accessibilità temporanee e durature.
Ogni specifica situazione può essere conosciuta e interpretata utilizzando una gamma di
costrutti o concetti diversi. Lo specifico costrutto che viene richiamato alla mente in tali
circostanze è determinato sia da fattori legati alla situazione, sia da caratteristiche
personali durature del percipiente. La “rivoluzione cognitivista” riporta al centro
dell’indagine scientifica la mente e le sue operazioni. Tra queste operazioni l’organizzazione
della conoscenza riveste un interesse particolare: uno dei meccanismi comuni attraverso cui
fattori personali e socio-ambientali influenzano il significato che le persone danno agli eventi
riguarda l’attivazione di costrutti, cioè delle conoscenze depositate in memoria. Definiamo
questi meccanismi “attivazione conoscitiva” e possiamo distinguere tra:
fonti di accessibilità temporanee: gli stimoli sociali producono la preattivazione (priming)
del costrutto che con maggiore probabilità sarà utilizzato per interpretare l’evento (p.e.
soggetti preattivati con aggettivi ostili interpretano una situazione socialmente ambigua in
termini di ostilità). Un costrutto appena utilizzato per interpretare le azioni di una persona
ha più probabilità di essere utilizzato per interpretare le azioni di un’altra persona;
Fonti di accessibilità durature (o croniche): il priming è influenzato anche dalle differenze
permanenti nei sistemi individuali dei costrutti, le influenze personali contribuiscono
significativamente a determinare quali caratteristiche di una situazione sono prese in
considerazione e come esse sono interpretate: la conoscenza pregressa dell’individuo guida
la decodifica degli eventi. I costrutti presenti nel sistema di una persona possono non essere
presenti nel sistema di un’altra e persone che hanno memorizzato lo stesso costrutto
possono utilizzarlo con maggiore o minore facilità e frequenza. Gli effetti dell’accessibilità
temporanea e duratura sono additivi: la loro combinazione può attivare un costrutto così
fortemente da essere impiegato anche per interpretare stimoli che hanno una modesta
relazione con esso. I priming sono processi automatici, non consapevoli.
Definizione e studio della personalità secondo l'approccio
social-cognitivo e interazionista (uscita)
Le teorie interazioniste studiano il modo in cui i fattori relativi alla persona e i fattori
relativi all’ambiente interagiscono tra loro nella determinazione del comportamento. Si
divide in interazionismo statico( esame separato della persona e della situazione) e
interazionismo dinamico ( persona come agente attivo nel processo di interazione con
l'ambiente)
Gli autori più importanti sono:
• Magnusson secondo cui lo sviluppo della persona va inteso all’interno di un processo di
continua interazione reciproca tra fattori biologici, sociali e psicologici; se si vuole studiare la
personalità, le persone e l’ambiente vanno considerati in maniera olistica con studi
longitudinali e multidimensionali su un campione molto ampio;
• Endler che ha elaborato strumenti per valutare l'interazione tra caratteristiche personali e
fattori situazionali, che consistono in delle scale di ansia pluridimensionali, in cui viene
misurata l'ansia dichiarata in quattro differenti situazioni (valutazione sociale, pericolo fisico,
situazioni ambigue e attività quotidiane). Invece di fornire valutazioni globali su quanto una
persona possa essere mediamente in uno stato di ansia, questi strumenti consentono
previsioni specifiche in quanto l'ansia misurata è ancorata a situazioni specifiche.
• Hettema secondo cui per comprendere la personalità è necessario conoscere i processi
biologici, cognitivi e sociali, ed elabora il modello di adattamento tra sistemi aperti in cui
ndividua 3 livelli di funzionamento della personalità: cognitivo-simbolico (permette di
rappresentare mentalmente obiettivi, situazioni e strategie), sensorio-motorio-operazionale
(comportamento manifesto), di controllo (altera il funzionamento degli altri due). Nel suo
approccio dunque le interazioni persona-situazione sono il principale elemento di indagine.
Piuttosto che iniziare da un'idea generale sui differenti tipi di personalità, egli analizza
direttamente le interazioni particolari, inoltre egli ritiene impossibile che vi sia una diretta
corrispondenza tra il comportamento manifesto e i meccanismi sottostanti che lo
determinano, poiché diversi meccanismi e processi possono dare origine a comportamenti
apparentemente identici.
Shweder e Sullivan criticano l’interazionismo affermando che persone e situazioni non
possono essere considerati fattori separati e per studiare la personalità si deve tener conto
del modo in cui le strategie cognitive si sono sviluppate nell’interazione con la propria
cultura e con gli altri.
Secondo la teoria social-cognitiva, i cui autori più importanti sono Bandura e Mischel,
bisogna: comprendere come i meccanismi social-cognitivi contribuiscono alle azioni
individuali, come il sistema social-cognitivo si sviluppa nel corso della vita e quali
esperienze e condizioni sociali hanno il potere di alterare questo sistema (funzione
esplicativa). Secondo la teoria social-cognitiva la personalità si compone di 4 strutture, ogni
struttura può modificarsi nel tempo e variare a seconda delle situazioni:
• Abilità e competenze: le competenze riguardano modi di pensare e abilità, comprendono
conoscenze dichiarative (che possiamo enunciare) e competenze procedurali. Bisogna tener
presente che strutture psicologiche importanti in determinati ambiti possono essere
irrilevanti in altri. Si è osservato che le competenze vengono acquisite attraverso
l’interazione sociale e l’osservazione del mondo sociale;
• Convinzioni e aspettative: definiamo convinzioni le credenze su come è il mondo e
aspettative le credenze su come probabilmente sarà in futuro. Le aspettative sono
fondamentali per le nostre azioni ed emozioni ma variano a seconda della situazione. La
persona ha convinzioni e aspettative anche verso se stessa (autoefficacia percepita).
• Obiettivi: sono rappresentazioni mentali dell’intento delle azioni, la capacità delle persone
di prevedere il futuro consente loro di stabilire obiettivi specifici di azione e quindi di
motivare e guidare il proprio comportamento. Gli obiettivi sono sistemati gerarchicamente e
i livelli superiori organizzano quelli inferiori, questi sistemi non sono rigidi. Gli obiettivi
prossimi hanno, sul comportamento, un’influenza maggiore rispetto agli obiettivi a lungo
termine. Aspettative e obiettivi si influenzano reciprocamente;
• Standard di valutazione: uno standard mentale è un criterio per valutare la bontà o il
valore di una persona, un oggetto o un evento. Sono molto importanti per la motivazione e
Bandura analizza le emozioni che scaturiscono dai processi di analisi dei nostri
comportamenti in base agli standard chiamandole reazioni di autovalutazione.
Sono stati proposti due principi che si dovrebbero adottare per studiare le dinamiche della
personalità:
• Determinismo reciproco triadico proposto da Bandura nel 1986. Affronta il tema della
causa-effetto. Si devono considerare sistema del sé, comportamento e ambiente come tre
fattori che sono causa l’uno dell’altro, si influenzano reciprocamente, sono determinanti
reciproci. La capacità di scegliere il tipo di situazione che si dovrà affrontare è considerata un
elemento cruciale della capacità dell’individuo di essere agente attivo (agenticità umana human agency) in grado di influenzare il corso del proprio sviluppo;
• La personalità come sistema di elaborazione cognitivo emotivo (CAPS) elaborato da
Mischel e Shoda nel 1995. Una teoria social-cognitiva che considera la personalità come un
sistema complesso,le conoscenze e le emozioni interagiscono tra loro in maniera organizzata.
Questo modello presenta tre caratteristiche essenziali: le variabili cognitive ed emotive sono
collegate in maniera complessa, i diversi aspetti delle situazioni attivano diversi sottosistemi
del sistema di personalità, il comportamento varia in base alla situazione.
Unità di analisi, teorie e metodi nella teoria social-cognitiva
Nella teoria social-cognitiva si parla di agenticità (human agency) definita come la proprietà
di ciascuno di noi di esercitare un controllo sulla propria vita. In questa prospettiva la
personalità si presenta come un sistema che elabora informazioni, attribuisce significati e
persegue scopi in conformità ai criteri personali di valore. La conoscenza e le
rappresentazioni di sé sono allo stesso tempo indicatori e mediatori della relazione della
persona con l’ambiente, si è visto come queste rappresentazioni cambino enormemente tra
le culture individualiste e quelle collettiviste. Secondo la teoria social-cognitiva le persone
sono in grado di ragionare sul mondo utilizzando il linguaggio, sono in grado di ragionare su
passato, presente e futuro e le loro riflessioni riguardano anche il sé. In questa teoria si torna
a dare importanza agli stili cognitivi. Il comportamento può essere influenzato da: strategie
di codificazione e categorizzazione, aspettative, valori soggettivi, sistemi e piani di
autoregolazione. La componente affettiva influenza l’esercizio delle funzioni cognitive e la
cognizione ha un ruolo centrale nell’esperienza emotiva quindi, in realtà, la distinzione tra
processi cognitivi e processi emotivi è una distinzione teorica. Le emozioni vengono molto
analizzate in questa teoria e si è osservato che ve ne sono alcune universali e altre che
rispecchiano il funzionamento del sé. La capacità di esprimere le emozioni è tanto
importante come la capacità di riconoscerle e si è osservato che anche persone appartenenti
a culture estremamente distanti sono in grado di riconoscere le emozioni dell’altro. La
competenza emotiva è la capacità di regolare le proprie emozioni in base alle diverse
situazioni ed è anche la capacità di sintonizzarsi con le emozioni altrui. Nella teoria
social-cognitiva vengono analizzati anche i processi motivazionali soprattutto quelli
volizionali, infatti la motivazione non si esaurisce nella presa di decisione ma perdura per
tutta la durata del comportamento. Questa teoria spiega che le persone possono imparare
semplicemente mediante l’osservazione, la persona che viene osservata viene definita
modello, il processo modellamento. Nell’imitazione avviene una riproduzione esatta, nel
modellamento le persone invece apprendono regole generali che possono poi essere
applicate a diverse situazioni. Un comportamento può essere appreso indipendentemente
da punizioni o ricompense ma queste influenzeranno la probabilità che quel comportamento
venga poi messo in atto. L’apprendimento delle risposte emotive mediante osservazione è
chiamato condizionamento vicario. La teoria social-cognitiva vede la persona come un
sistema aperto al futuro in grado di concorrere attivamente alla costruzione della propria
personalità.
Le teorie social-cognitive sono tutte chiaramente definite dalle unità d'analisi utilizzate per
concettualizzare i processi generali, alla base del dispiegamento delle differenze individuali e
delle influenze ambientali. Entro questo approccio la personalità è compresa unitamente ai
processi cognitivi ed emotivi di base che si sviluppano nei contesti sociali, e sono attivati da
elementi provenienti dall'ambiente sociale. In tal senso questi processi vengono definiti
sociali cognitivi. I meccanismi psicologici oggetto d'analisi sono definiti come sistemi coerenti
che operano congiuntamente. Questi processi non costituiscono delle forze indipendenti,
ma vengono delineati come un sistema unitario e globale, composto da processi
funzionalmente distinti che interagiscono e si influenzano reciprocamente nel corso
dell'esperienza. La coerenza del funzionamento della personalità si configura, allora, come
una proprietà emergente dalle interazioni tra i molteplici meccanismi psicologici sottostanti.
In questo senso Mischel ritiene che le interazioni tra questi sistemi siano così forti da indurre
la necessità di postulare la personalità come un sistema cognitivo-affettivo. Attraverso tale
visione globale dei processi sottostanti al costrutto della personalità, l'individuo si
caratterizza per la stabile organizzazione degli elementi cognitivi ed affettivi. Le differenze
individuali nascono dalle differenti forme di interazione tra elementi cognitivi ed affettivi, a
loro volta legate ai differenti contesti socio-ambientali che promuovono o inibiscono alcune
interdipendenze a favore di altre. La prospettiva social-cognitiva, per meglio spiegare e
gestire l'interazione tra i processi individuali, e l'ambiente circostante, opera attraverso unità
d'analisi incentrata sulla persona nel contesto. Ne risulta che le variabili di personalità siano
specifiche e localmente contestualizzate. Le competenze, gli obiettivi, le convinzioni di
autoefficacia, gli standard valutativi sono elaborati specificatamente in relazione alle
circostanze ed ai compiti che costituiscono la realtà contestuale degli individui. Tali unità
d'analisi delineate, infatti, operano attraverso modalità di funzionamento
“dominio-specifiche”, e non prescindono dai vincoli e dalle risorse del contesto entro cui
l'azione si sviluppa
Il ruolo delle convinzioni di efficacia e delle aspettative di esito nello
studio della personalità secondo la teoria social cognitiva – Relazione
tra convinzione di efficacia e comportamento.
Secondo Bandura le convinzioni di autoefficacia determinano il comportamento. Le
convinzioni di autoefficacia riguardano uno specifico dominio e non sono generalizzate (e
questo le differenzia dall’autostima). Fonti dell’autoefficacia possono essere l’esperienza, il
modeling (apprendimento tramite osservazione di un modello) e la persuasione (qualcuno ci
può convincere che sappiamo fare una cosa anche se non l’abbiamo mai fatta). Dalle
convinzioni di autoefficacia dipendono le intenzioni (presa di decisione su cosa fare, quali
sfide affrontare) e la volizione (ricerca di strumenti per raggiungere l’obiettivo). Le
convinzioni di efficacia possono essere alterate fornendo dei falsi feedback che non hanno
relazione con la prestazione effettiva. In un esperimento tanto maggiore era la convinzione
illusoria di forza fisica, tanto più i soggetti hanno dimostrato resistenza fisica. In questo
esperimento le convinzioni di efficacia sono state alterate indipendentemente dalla
prestazione e quindi non possono essere considerate dipendenti da questa. È stato
dimostrato che cambiamenti nelle convinzioni di efficacia modificano la motivazione e
l’azione. Il livello di convinzione di autoefficacia può essere diverso nelle diverse situazioni.
Se non pensiamo di poter modificare un evento non agiamo (locus of control esterno) e
tendiamo a perseverare in azioni in cui siamo bravi. L’aspettativa è fondamentale, maggiore
è la ricompensa attesa e maggiore sarà la motivazione. La capacità immaginativa che
permette all’individuo di anticipare le situazioni, le proprie reazioni comportamentali ed
emotive, nonché le conseguenze delle proprie azioni influenza la percezione di autoefficacia.
Definizione e valutazione del concetto di convinzione di auto efficacia:
fornire un esempio pratico.
La convinzione autoefficacia è l’insieme di credenze relative alla propria capacità di
aumentare i livelli di motivazione, di attivare risorse cognitive e di eseguire le azioni
necessarie per esercitare controllo sulle richieste di un compito. Le convinzioni di
autoefficacia regolano il funzionamento del se’ attraverso 4 processi principali:
• Processi cognitivi: poiché le persone si pongono degli obiettivi, la loro scelta è preceduta
dalla valutazione soggettiva delle proprie competenze: quanto maggiore è l’autoefficacia,
tanto più elevati sono gli obiettivi che le persone si pongono.
• Processi motivazionali: la perseveranza e la quantità di impegno nel portare a termine con
successo gli obiettivi scelti nonché la capacità di recupero di fronte agli insuccessi dipendono
dalla propria efficacia. Le persone che mancano di fiducia nelle proprie capacità, davanti a
ostacoli o insuccessi riducono l’ impegno.
• Processi affettivi: l’autoefficacia riveste un ruolo nel controllo degli stressori ambientali e
nell’insorgenza dell’ansia. Le persone con poca autoefficacia percepiscono un maggior
numero di situazioni come stressanti e amplificano la gravità dei possibili pericoli.
• Processi decisionali: l’autoefficacia determina la gamma delle alternative alle quali si
presta attenzione. Le persone non prendono in considerazione le alternative verso le quali
nutrono uno scarso senso di autoefficacia.
La valutazione del senso di autoefficacia è operativamente definita dalla misura delle
credenze ad esso associate. La scala Likert rappresenta uno strumento chiave nella sua
misurazione. La metodologia standard di misurazione delle convinzioni di efficacia, prevede
che gli item descrivano compiti di diverso livello e complessità, e che le persone valutino la
forza della loro convinzione di saper compiere le attività richieste. Bandura suggerisce di
registrare la forza delle convinzioni di autoefficacia su una scala a 100 punti che, con
intervalli a 10 passi, parte da 0 ("non lo so fare") e arriva alla sicurezza totale 100 ("sono
certo di saperlo fare"). Non includono numeri negativi poiché non è possibile ipotizzare una
gradazione più bassa dell'incapacità totale. Secondo l'autore la valutazione varia a seconda
di ciò che si vuole predire e in base a quanto si conoscono anticipatamente le richieste della
situazione. Se lo scopo è predire un particolare livello di prestazione in una situazione data e
conosciuta, la misura ottimale sarà molto specifica, poiché ottimizzerà la varianza spiegata.
Al contrario, quando la situazione in cui è richiesta la performance è meno stabile e
strutturata, è richiesto un livello di maggiore generalità. Un esempio di misurazione può
essere la scala di autoefficacia empatica percepita, con la quale misuriamo la convinzione di
essere capaci di riconoscere gli stati d’animo, le emozioni e i bisogni degli altri. Formuliamo
degli item e assegniamo una valutazione su scala da 1 (per nulla capace) a 5 (del tutto
capace). Altro modo di valutare l’autoefficacia sono i test degli incidenti critici, in cui si
chiede alle persone di ricostruire una situazione negativa che hanno vissuto (“incidenti”) e
poi dire come l’hanno risolta per sottolineare le capacità (a volte ignorate) del soggetto.
Bandura distingue tra convinzioni di controllo e di efficacia: le convinzioni di controllo sono i
giudizi che una persona formula riguardo agli esiti delle azioni svolte, le convinzioni di
efficacia sono giudizi che la persona dà circa la sua capacità di eseguire un’azione (sapere di
saper fare). Distinguiamo un controllo primario per modificare l’ambiente e un controllo
secondario per modificare gli stati psicologici interni. Secondo Bandura le convinzioni di
efficacia influenzano il comportamento agendo sulla decisione, sullo sforzo, sulle risposte e
sulla qualità delle prestazioni cognitive. Può accadere che convinzioni di autoefficacia
passino da un ambito all’altro. Per aumentare le convinzioni di efficacia il modo migliore è
far sperimentare al soggetto esperienze di successo. Secondo Bandura le convinzioni di
autoefficacia influenzano i risultati che ci aspettiamo di ottenere a seguito dei nostri sforzi;
quindi, conoscendo le aspettative di autoefficacia si possono prevedere i risultati verso i
quali ci muoveremo. Le persone con una percezione di autoefficacia elevata hanno maggiori
possibilità di decidere di affrontare compiti difficili, di perseverare nei loro tentativi, di
restare calmi e di organizzare i propri pensieri in maniera analitica.
Il ruolo degli obiettivi nell'autoregolazione e nello sviluppo
dell'autoefficacia
La definizione degli obiettivi costituisce una determinante dell’automotivazione di successo.
Gli obiettivi differiscono: quantitativamente (nella difficoltà o nel tipo di sfida che
comportano) e qualitativamente nel significato che rivestono per l’individuo
(raggiungimento di premi, evitamento di perdite, coltivazione di abilità, dimostrazione delle
abilità che si sono sviluppate). La dimensione più importante del goalsetting è il livello
dell’obiettivo, cioè il livello di sfida che le persone assumono nell’esecuzione di un certo
compito. Una seconda dimensione del goal-setting è la specificità dell’obiettivo. Gli obiettivi
differiscono nel grado in cui specificano lo standard che deve essere raggiunto. Gli obiettivi
differiscono anche nel loro livello di prossimità. Gli obiettivi prossimali, o la combinazione di
obiettivi prossimali e distali, generalmente aumentano la motivazione, più dei soli obiettivi
distali. Le percezioni di autoefficacia sono centrali nella teoria social-cognitiva. Le percezioni
di controllo sono così importanti che le reazioni comportamentali e fisiologiche possono
essere influenzate da fattori che alterano il controllo percepito, che pur non hanno nessun
effetto sulla reale controllabilità degli eventi. Le convinzioni di controllo sono pensieri
relativi a ciò che è probabile che accada in futuro. Esse sono valutazioni delle relazioni che
intercorrono tra il sé, le azioni potenziali e gli esiti anticipati. I giudizi di controllo, come ogni
altro tipo di giudizio, possono essere influenzati da tendenze motivazionali che fanno sì che
le persone sovrastimino o sottostimino il loro livello di controllo. L’autoefficacia percepita si
riferisce ai giudizi che le persone danno rispetto alla propria capacità di eseguire
determinati corsi di azione in ambiti specifici. Due elementi di questa definizione sono degni
di nota. Il primo è che l’autoefficacia percepita è definita rispetto alle particolari prove o
sfide con cui l’individuo si sta confrontando. Una seconda caratteristica è che il costrutto si
riferisce ai giudizi sui comportamenti che si possono eseguire indipendentemente dal valore
che viene loro attribuito. Dalla combinazione di questi due punti deriva la distinzione tra
autoefficacia percepita e autostima. Intenzione e volizione vengono così a configurarsi
come due componenti intrecciate ma distinte della dinamica motivazionale. Mentre
l’intenzione concerne soprattutto i fattori che inducono ad assegnare la precedenza a una
tendenza ad agire rispetto ad altre, la volontà o volizione concerne i fattori che avviano e
sostengono l’azione sino al raggiungimento dei propositi. Tale distinzione ha evidenti
implicazioni sul piano pratico, sia per quanto concerne la spiegazione e la previsione del
comportamento, sia per quanto concerne la possibilità di promuoverne e dirigerne il
cambiamento. La situazione che si prospetta quando un esito desiderabile non viene, o può
non essere, raggiunto per difetto di intenzione è infatti diversa dalla situazione nella quale
sono l’impegno, la concentrazione e la tenacia che vengono meno. I problemi che
caratterizzano la fase pre-decisionale (intenzione) concernono le informazioni dalle quali
derivano le stime di accessibilità e di valore delle mete, gli stili attribuzionali e, come
vedremo di seguito, il focus regolatorio dominante. I problemi che caratterizzano la fase
post-decisionale (volizione) concernono l’avvio delle azioni necessarie al conseguimento
della meta e al raggiungimento degli scopi che permettono di avvicinarsi a essa, la
persistenza dell’impegno a fronte delle difficoltà e di ostacoli imprevisti, il superamento
dello scoraggiamento e il rinnovamento e rafforzamento dell’impegno dopo eventuali
fallimenti. Una volta presa la decisione di perseguire una determinata meta e perciò di
investire in essa le proprie risorse, il primo passo da compiere per avvicinarsi alla sua
realizzazione è quello di predisporsi all’azione con lo stato mentale appropriato. Con
l’anticipazione di quanto dovrebbe e potrebbe accadere e quindi la programmazione di
cosa fare, dove, come e quando per conseguire la meta.
Obiettivi precisi e ambiziosi aiutano a focalizzare l’attenzione. La motivazione a
raggiungere obiettivi complessi a lungo termine può essere sostenuta da obiettivi intermedi.
L’applicazione del goal setting avviene in situazioni in cui si vuole raggiungere un traguardo
sempre più prestigioso e in ambiti in cui l’obiettivo è l’abbandono di abitudini disfunzionali.
L’assegnazione di obiettivi intermedi è tra le tecniche più efficaci per promuovere
l’autoefficacia e generare nuove capacità. Il feedback è complementare al goal setting nel
creare condizioni perché la persona acquisisca una maggior padronanza della propria
condotta. Vanno massimizzate le occasioni di riuscita e apprezzamento e minimizzate le
occasioni di fallimento. Prospettare obiettivi troppo semplici può suscitare sentimenti di
svalutazione che giustificano il disimpegno. Obiettivi, prestazioni, risultati e senso di
competenza operano sinergicamente accrescendosi ad ogni riuscita.
Human agency, teoria social-cognitiva, Bandura (uscita)
Il concetto di agenticità umana (human agency), punto cardine dell'intera teoria
sociale-cognitiva, è la facoltà di far accadere le cose, intervenendo sulla realtà, esercitando
un potere causale. Tale funzione umana, che riguarda sia i singoli individui sia i gruppi, si
traduce operativamente nella facoltà di generare azioni mirate a determinati scopi. “Le
persone, attraverso i meccanismi di agenticità personale, contribuiscono a determinare il
loro funzionamento psicosociale. E nessun meccanismo di agenticità è più importante o
pervasivo delle convinzioni di autoefficacia”. Le persone sono stimolate ad agire perché
sono convinte di ottenere, grazie alle loro azioni i risultati che si prefiggono. Il senso di
“autoefficacia” è il vero “motore” dell’azione e le convinzioni che le persone nutrono sulle
proprie capacità hanno un effetto profondo su queste ultime. Nella valutazione del ruolo
dell'intenzionalità, Bandura riconosce che la maggior parte del comportamento umano sia
determinato da molti fattori interagenti tra loro ed identifica tre classi di cause che
influenzano la condotta:
i fattori personali interni, costituiti da elementi cognitivi, affettivi e biologici;
il comportamento messo in atto in un dato contesto
eventi ambientali che circoscrivono l'individuo e la condotta.
Secondo Bandura l'elemento chiave per l'analisi dell'agenticità umana è il senso di
autoefficacia. Le credenze delle persone riguardanti la loro efficacia nel gestire gli eventi,
influenzano le scelte, le aspirazioni, i livelli di sforzo, di perseveranza, la resilienza, la
vulnerabilità allo stress ed in generale la qualità della prestazione. Le persone con un elevato
grado di agenticità sanno trarre vantaggio dalle opportunità offerte dalle varie situazioni;
al contrario le persone inefficaci sono meno capaci di sfruttare le risorse offerte dal sistema,
e più soggette a scoraggiamenti in caso di problemi imposti da esso. Oltre ad orientare
l’azione, le convinzioni di autoefficacia hanno anche valore predittivo di una possibile
condotta dell'individuo in quello specifico dominio comportamentale. Le convinzioni di
efficacia esercitano la propria funzione agentica in modo diverso a seconda della tipologia
d'azione analizzata: relativamente alla realizzazione di prestazioni elevate, le convinzioni
associate alla propria efficacia autoregolatoria consente agli individui di ottenere prestazioni
elevate utilizzando proattivamente le singole abilità, anche all'interno di un ambiente che
non facilita il raggiungimento del proprio scopo. Per quanto riguarda le convinzioni di
efficacia sulla gestione delle emozioni e delle relazioni interpersonali, si evidenzia una
relazione causale tra efficacia emotiva (relativa alla regolazione dell'affettività negativa e
all'espressione dell'affettività positiva) ed efficacia interpersonale (convinzioni relative alla
gestione delle relazioni con profitto e soddisfazione).
Il senso di autoefficacia agisce anche sulla determinazione e sulla scelta degli obiettivi
personali. In questo senso l'importanza primaria di convinzioni di autoefficacia, incentrate
sulla controllabilità dell'ambiente entro cui la scelta è operata, risulta fondamentale nella
scelta dei propri obiettivi. Con una scarsa controllabilità percepita, si riducono le aspirazioni
e gli obiettivi che esse ispirano.
Definire il concetto di determinismo reciproco triadico e le sue
applicazioni: fare un esempio
Il concetto di determinismo reciproco triadico è alla base della teoria social-cognitiva di
Bandura, il quale sostiene che il funzionamento della persona derivi dalle complesse
interazioni che hanno luogo fra tre fattori strettamente correlati: il sistema del sé, il
comportamento, l’ambiente. Ognuno di questi fattori determina un’influenza di tipo causale
sugli altri due, quindi, i tre elementi si determinano reciprocamente e tali influenze
reciproche possono assumere forme differenti nei diversi contesti.
Il determinismo è inteso da Bandura non come concetto di causa-effetto ma come
produzione di effetti da parte degli eventi, inclusi gli accadimenti casuali e imprevedibili
(probabilismo) che si incontrano nel corso dello sviluppo individuale. La capacità decisionale
dell’individuo e il suo potere di modificare la condotta in situazioni di vita diverse e anche
imprevedibili rappresenta quella che lo stesso Bandura chiama agenticità. Chi riesce a
cogliere il vantaggio dalle varie opportunità che la vita gli offre è capace di interagire con
l’ambiente alimentando le sue potenzialità e acquisendo un sempre maggiore livello di
gratificazione personale. Tra le variabili soggettive che determinano il comportamento
Bandura ha elaborato il concetto di autoefficacia percepita: la fiducia dell’individuo nella
propria capacità di portare a termine con successo l’azione richiesta, d’essere all’altezza di
una determinata situazione; possiamo sintetizzare il concetto di autoefficacia percepita
come il ‘sapere di saper fare’. Si tratta di un costrutto che sorge come conseguenza delle
esperienze passate del soggetto e degli esiti che hanno avuto: esso orienta le scelte, gli
obiettivi e le predisposizioni della persona. Per rendere possibile l'agenticità umana è
necessario avere delle capacità, in particolare parliamo di:
capacità di simbolizzazione, che corrisponde alla capacità delle persone di rappresentare
simbolicamente la conoscenza e ciò rende possibile la comunicazione con gli altri, infatti il
linguaggio rappresenta l'esempio più evidente della capacità cognitiva di ragionare usando
simboli astratti;
la capacità vicaria, ovvero la capacità di acquisire conoscenze, abilità o competenze
mediante l'osservazione o il modellamento di altre persone;
la capacità di previsione intesa come la capacità di anticipare gli eventi futuri, ad esempio
obiettivi e programmi da realizzare;
la capacità di autoregolazione che consente di stabilire obiettivi e di motivarsi al
raggiungimento degli stessi in accordo con i propri standard personali;
la capacità di autoriflessione, che corrisponde alla capacità di riflettere in modo
consapevole su se stessi. Queste capacità, pur essendo funzionalmente distinte, operano
abitualmente in sinergia. Stabilire obiettivi, monitorare il comportamento in funzione di
standard personali, prevedere gli esiti delle azioni in relazione al contesto entro il quale si
agisce, valutare e riflettere sulle capacità di affrontare le sfide future, e far tesoro
dell'esperienza propria e altrui, consentono alle persone di esercitare una condotta attiva.
Esempio pratico: supponiamo che ad un automobilista sia tagliata la strada da un altro
automobilista. Il primo potrebbe arrabbiarsi. Questo sentimento aumenta la probabilità di
un comportamento aggressivo. Il comportamento aggressivo, a sua volta, influenza
l'ambiente sociale e le azioni dell'altro automobilista, influenzate dal comportamento del
primo, possono farlo arrabbiare di più il che porta a un comportamento ancora più
aggressivo. Questo ciclo vizioso di escalation comportamento aggressivo e arrabbiatura può
portare ad un incidente stradale.
La teoria del modellamento: differenza tra
acquisizione/apprendimento e prestazione (uscita)
Concetto formulato da Bandura, detto anche apprendimento mediante osservazione (vs.
comportamentismo Skinner prova/errore e punizione/ricompensa): è il processo che
consente di apprendere forme anche complesse di comportamento osservando
semplicemente il comportamento di altri, chiamati modelli. Utilizzato anche in psicoterapia
(es. per la fobia dei serpenti). E’ diverso dall’imitazione che consiste semplicemente nel
riprodurre pedissequamente un pattern di risposta, mentre nel modellamento le persone
apprendono regole generali di comportamento osservando il modello per poi
successivamente utilizzare tali regole in maniera personale. Si può dire che il modellamento
è più dell’imitazione e meno dell’identificazione. Il modellamento avviene anche attraverso i
media perché il modello non necessariamente deve essere fisicamente presente.
Osservando le risposte emotive altrui si apprendono anche le risposte emotive
(condizionamento vicario). L’ACQUSIZIONE è l’apprendimento di nuovi comportamenti e,
per Bandura, è indipendente dalla ricompensa, contrapposto alla PRESTAZIONE, cioè la
produzione di comportamenti appresi, che invece dipende dalle ricompense e punizioni (es.
Bobo dolls: con incentivi o senza). Anche nell’osservazione dei modelli la persona ha spesso
la possibilità di scegliere.
Paradigma della dilazione della gratificazione di Mischel
Mischel ha cercato di indagare le determinanti personali dell'autocontrollo e piuttosto che
individuare delle dimensioni ampie di differenze individuali, egli ha individuato alcuni
meccanismi cognitivi che facilitano il controllo degli impulsi, così da poter spiegare le
differenze individuali sulla base dei meccanismi psicologici che sottostanno all'autocontrollo.
Mischel sostiene che l'autocontrollo sia strettamente collegato con la dilazione della
soddisfazione cioè la capacità di rimandare le soddisfazioni immediatamente disponibili al
fine di ottenere esiti migliori in futuro. Attraverso il " marshmellow test" Mischel e colleghi
hanno cercato di dimostrare ciò. Nella procedura sperimentale impiegata viene offerta a dei
bambini la possibilità di avere uno o due premi: uno può essere ottenuto immediatamente
ed è solitamente un dolcetto, l’altro più desiderabile ossia più dolcetti, può essere ottenuto
solo se il bambino è capace di aspettare per un certo periodo di tempo. I bambini vengono
informati che possono ottenere il premio immediato suonando il campanello e la variabile
dipendente corrisponde a quanto tempo il bambino aspetta prima di suonarlo. Attraverso la
manipolazione sperimentale di vari fattori, ad esempio rendere visibile il premio, si sono
registrate variazioni nei meccanismi cognitivi ritenuti capaci di regolare la capacità dei
bambini di dilazionare la gratificazione. Quando i bambini potevano vedere entrambi i premi
essi mostravano una minor capacità di dilazione, erano insofferenti dell’attesa. Quando i
premi non li vedevano invece i bambini avevano prestazioni migliori. Tuttavia aver reso
visibile il premio non si rivelò l’elemento determinante; mettere in atto strategie cognitive di
distrazione rispetto all’oggetto della gratificazione fece registrare una maggiore capacità di
autocontrollo; osservazioni successive fecero emergere che la capacità di autoregolazione
precoce ha influenze anche in momenti di vita diversi: i bambini che erano risultati più
capaci di dilazionare la gratificazione continuavano a essere valutati più abili nel controllare i
loro impulsi, nel pianificare le loro azioni e nell’affrontare lo stress durante l’adolescenza.
Rispetto alla capacità di autocontrollo, Mischel sostiene che è regolata da due sistemi
psicologici: un sistema caldo e uno freddo. Mentre gli impulsi costituiscono reazioni calde
che spingono ad agire immediatamente, le strategie cognitive fanno parte di un sistema
freddo che può mitigare gli impulsi dirigendo l’attenzione lontano dalle proprietà calde
dell’ambiente. Gli standard per l’autocontrollo vengono appresi mediante l’osservazione dei
modelli e mediante il rinforzo. La capacità di differire la gratificazione comprende lo sviluppo
di competenze cognitive diverse, queste differenze rimangono stabili nel corso dello
sviluppo.
Autoefficacia personale e collettiva
Gli altri esercitano un’influenza notevole nel riconoscimento e nello sviluppo della
autoefficacia. La percezione dell’efficacia degli altri è determinante nel sostenere l’impegno
e la soddisfazione soprattutto quando le attività sono interdipendenti. La bravura di un buon
leader è anche quella di trasformare l’efficacia individuale in efficacia collettiva, le persone
che si ritengono all’altezza delle situazioni devono anche ritenere che il gruppo sia capace di
dominare la situazione stessa. Per promuovere l’autoefficacia si agisce utilizzando:
persuasione, imitazione, esecuzione e monitorizzazione delle reazioni corporee che si
accompagnano all’esecuzione di un’attività. Gli esempi di altre persone alle prese con le
medesime difficoltà aumentano la motivazione, i modelli più efficaci sono quelli più simili a
noi. Il senso di autoefficacia in un’attività si estende a quelle contigue. È raccomandabile che
le difficoltà siano sempre commisurate alle possibilità di riuscita. Quando i compiti sono
particolarmente complessi e vi è un’eccessiva disparità di competenza tra i membri del
gruppo può accadere che chi ha un’alta autoefficacia consideri il gruppo del tutto
inadeguato e perciò finisca col cedere al risentimento e all’insofferenza e quindi
rappresentare un ostacolo più che una risorsa, chi invece ha una bassa autoefficacia e non si
sente all’altezza finisce col cedere all’autocommiserazione sino all’autoesclusione. L’efficacia
collettiva è la risultante della sinergia di capacità individuali e valore motivazionale che
deriva dalla convinzione condivisa che insieme si può fare meglio. La convinzione di far parte
di un gruppo sostiene l’impegno e induce a sperimentare attività che agendo da soli non
sarebbero accessibili. La convinzione che il nostro gruppo sia all’altezza è un incentivo a dare
il meglio di sé. L’efficacia collettiva è tanto maggiore quanto più i membri dell’organizzazione
sono convinti dell’utilità: di unire le forze, di condividere le esperienze, di riconoscere le
competenze degli altri e di poter contare sugli altri. È importante celebrare i successi
riconoscendo ad ognuno i propri meriti. Affinché l’efficacia personale si trasformi in efficacia
collettiva i soggetti devono ritenere che anche gli altri siano bravi nel loro lavoro e che anche
gli altri si impegnino. L’efficacia collettiva ha un ruolo cruciale nel contrastare crimine e
violenza.
L'autoregolazione nell'approccio social cognitivo e fasi del processo
(uscita)
Nell’ambito della teoria social cognitiva la personalità si configura come un sistema capace di
autoregolazione e in costante auto-trasformazione. Ciò che una persona pensa e vuole
influenza una condotta che incide sull’ambiente, ma ciò che una persona pensa e vuole
dipende anche da ciò che le è consentito e da quelle che sono le conseguenze della sua
condotta. La situazione nella quale la persona si trova influenza ciò che essa pensa, desidera
e fa; la situazione d’altro canto non può rimanere indifferente ai propositi e alle condotte
che le persone esprimono in essa. Si tratta del determinismo reciproco triadico tra sistema
del sé, ambiente e condotta.
La teoria sociale-cognitiva di A. Bandura riesce a fornirci un quadro completo e significativo
dell’individuo e della società in cui la persona, nella sua unicità costituita da fattori cognitivi,
affettivi e biologici, interagisce con la struttura sociale di appartenenza, da cui la propria
condotta è orientata ma non condizionata. La persona è agente causale quando agisce
sull’ambiente ma che è anche oggetto quando riflette e agisce su di sé. Il principio
esplicativo alla base è il determinismo reciproco triadico, che stabilisce che il funzionamento
della persona deriva dalle complesse interazioni che hanno luogo fra tre fattori strettamente
correlati: l’ambiente fisico e sociale, i sistemi cognitivi e affettivi che costituiscono la persona
e il comportamento individuale. Ognuno di questi fattori esercita un’influenza di tipo causale
sugli altri due, quindi, i tre elementi si determinano reciprocamente e tali influenze
reciproche possono assumere forme differenti nei diversi contesti. L’azione si configura sia
come stimolo e sia come risposta al sistema della personalità. Il senso di efficacia
rappresenta l'elemento chiave per l'analisi dell'agenticità umana; le credenze delle persone
riguardanti la loro efficacia nel gestire gli eventi, influenzano le scelte, le aspirazioni, i livelli
di sforzo, di perseveranza, la resilienza, la vulnerabilità allo stress ed in generale la qualità
della prestazione. Per rendere possibile l'agenticità umana è necessario avere delle capacità,
in particolare parliamo della capacità di simbolizzazione, che corrisponde alla capacità delle
persone di rappresentare simbolicamente la conoscenza e ciò rende possibile la
comunicazione con gli altri, difatti il linguaggio rappresenta l'esempio più evidente della
capacità cognitiva di ragionare usando simboli astratti; la capacità vicaria, ovvero la capacità
di acquisire conoscenze, abilità o competenze mediante l'osservazione o il modellamento di
altre persone; la capacità di previsione intesa come la capacità di anticipare gli eventi futuri,
ad esempio obiettivi e programmi da realizzare e la capacità di autoregolazione. Le fasi del
processo di autoregolazione per passare dal pensiero all’azione sono: l’automonitoraggio del
comportamento prima e durante, la valutazione di coerenza e compatibilità delle proprie
azioni rispetto agli standard personali e alle circostanze ambientali e, infine, l’anticipazione
di possibili reazioni affettive che gli effetti del proprio comportamento possono produrre a
livello di soddisfazione personale (reazioni autovalutative). L’autoefficacia e
l’autovalutazione del comportamento si combinano tra loro determinare la capacità di
autoregolazione.
Le proprietà proattive della mente nella teoria social cognitiva
La mente umana non solo reagisce alle sollecitazioni del mondo interno ed esterno; agisce
anche proattivamente in maniera trasformativa su entrambi i mondi, tramite capacità di
simbolizzazione, anticipazione, apprendimento per imitazione, autoriflessione e
autoregolazione.
Simbolizzazione: trasforma le esperienze in simboli (verbali o immaginativi), poi in modelli
interni che guidano giudizio e azione, dando significato/continuità al rapporto fra individuo e
realtà; consente di comunicare con gli altri, produrre idee, fare anticipazioni, porsi obiettivi e
programmare la propria condotta.
Capacità di anticipazione: consente di trascendere i vincoli del passato e del presente e di
proiettarsi nel futuro.
Capacità di apprendere per imitazione: allargare la propria esperienza ed estendere il
proprio controllo sulla realtà, traendo vantaggio dall’osservazione e dal comportamento
degli altri, senza che sia necessario mettersi direttamente alla prova. Il Modello, oltre a
suggerire un comportamento da imitare, innesca una sequenza di rappresentazioni,
sensazioni, sentimenti, congetture mentali che comportano un vero e proprio arricchimento
esperienziale.
Capacità di autoriflessione: consente di riconoscersi, di pensare a se stessi, analizzare le
proprie esperienze, generare nuove capacità di pensiero e azione agendo intenzionalmente
su di essi.
Capacità di autoregolazione: orientare e motivare se stessi, in accordo con obiettivi e
standard personali.
Il ruolo della genetica nella psicologia della Personalità: definire teoria
"forte" e "debole" (uscita)
È importare al giorno d'oggi considerare il fatto che l'esperienza psicologica non può essere
compresa senza la conoscenza delle caratteristiche biologiche sottostanti. Infatti la
psicologia della personalità ha riconosciuto l'importanza dei fattori genetici nello sviluppo e
nel funzionamento della personalità. È stato visto come geni e fattori ambientali si
influenzano a vicenda poiché essi non fanno parte di un sistema chiuso e determinato ma
sono elementi di un sistema biologico in continuo mutamento
Nello studio della personalità molte ricerche indagano il contributo della genetica allo
sviluppo delle differenze interindividuali. Se è indubbio che nella maggior parte dei casi, le
variazioni genetiche sono alla base della grande diversità fenotipica che ben conosciamo –
colore degli occhi, dei capelli…- è altrettanto acclarato che i geni concorrono a determinare
anche il nostro carattere, la nostra personalità, la nostra vulnerabilità ad agenti ambientali.
Diversi studi sui gemelli, sulle adozioni, sulle relazioni genitori/figli hanno suggerito che sono
i fattori genetici, più che quelli ambientali, a influenzare il comportamento, i tratti di
personalità, gli atteggiamenti; gli studi di genetica comportamentale, il cui obiettivo è
verificare il contributo del corredo genetico alla formazione della personalità, hanno portato
alla luce il ruolo determinante della biologia nella costruzione, formazione modellamento
della personalità. Turkheimer spiega questo fenomeno distinguendo tra spiegazioni
biologiche forti e spiegazioni biologiche deboli del comportamento. La forte è quella in cui
un'azione manifesta in superficie può essere spiegata tramite i meccanismi biologici
localizzati, ad esempio: se un individuo muto presenta un danneggiamento nell'area di Broca
(deputata al linguaggio) causato da un trauma, allora possiamo associare il tratto fenotipico
ad un particolare meccanismo cerebrale. Nel caso della spiegazione debole invece si
stabilisce semplicemente l'implicazione di un sistema biologico in una caratteristica
manifesta, ad esempio: la spiegazione ad una caratteristica manifesta può essere rimandata
da qualche parte nel cervello e nel corpo. Dunque è sufficiente asserire che i fattori
genetici-biologici contribuiscono in qualche modo alle caratteristiche manifeste. Infatti molti
fenomeni psicologici e socioculturali come la criminalità, la propensione al divorzio, la felicità
ecc.. Non possono essere compresi tramite una spiegazione forte, perché non vi sono
specifici meccanismi biologici che determinano tali tendenze, ma possiamo asserire una
spiegazione debole in quanto alla nascita le persone sono diverse in relazione alla probabilità
di sperimentare determinati esiti di vita.
Calcolo motivazionale e azione orientata alla riuscita
Il termine motivazione viene dal latino movere e riguarda tutti quei processi tesi ad iniziare,
dirigere, sostenere e mantenere un’attività; nella sua accezione psicologica fa riferimento
allo stato mentale interiore di una persona, in relazione all’origine, alla persistenza,
all’intensità e al fine di un comportamento. La motivazione è un costrutto multifattoriale
poiché entrano in gioco diversi aspetti, interrelati ed interagenti tra loro: aspetti emotivi,
cognitivi, biologici, psicologici, contestuali, relazionali. Il comportamento umano è guidato
da scopi: ci si comporta in una certa maniera perché si vuole raggiungere un qualche
risultato. Le ragioni o gli scopi, che appaiono dirigere il comportamento, sono quindi i motivi,
mentre i risultati che il comportamento sembra diretto a raggiungere sono gli obiettivi. In
particolare, le motivazioni sono influenzate da:
LOCUS OF CONTROL: Luogo dove si ritiene si trovino le cause del successo e/o
dell’insuccesso. La convinzione che la riuscita, il successo siano frutto di eventi e volontà
esterne (locus of control esterno– caso, fortuna, provvidenza) può indurre, ad esempio, una
scarsa motivazione ad impegnarsi. Al contrario, credere che dipenda dalle proprie capacità,
dal proprio agire (locus of control interno), significa assumere su di sé la responsabilità e,
dunque, è possibile decidere il proprio comportamento in funzione degli obiettivi che si
vogliono raggiungere.
STILE DI ATTRIBUZIONE: atteggiamenti e convinzioni che il soggetto possiede riguardo alle
strategie, alla loro utilità e al ruolo giocato dallo sforzo attivo di apprenderle ed utilizzarle. E’
evidente la connessione che esiste tra lo stile di attribuzione ed il locus of control. Infatti,
l’assegnazione esterna del controllo riduce fortemente la percezione che usare strategie
adeguate possa produrre risultati utili. Dall’altra parte lo stile di attribuzione è interrelato
all’autostima ed al senso di autoefficacia.
SENSO DI AUTOEFFICACIA: percezione delle proprie capacità di raggiungere il successo
nell’esecuzione del compito. Può anche essere inteso come il “grado di fiducia” che una
persona nutre rispetto al proprio successo. E’ fondato sui risultati raggiunti nelle esperienze
precedenti, ed il raggiungimento di ogni obiettivo contribuisce a consolidarlo. E’ influenzato
da altre caratteristiche di personalità quali la capacità di gestire gli insuccessi, di ricevere
feedback differiti nel tempo rispetto alla prestazione.
AUTOSTIMA: complesso di percezioni, opinioni e sentimenti che proviamo nei confronti dei
molti aspetti della nostra persona.
Tra gli anni ‘50 e ‘60 si sviluppano i primi studi relativi alla motivazione ed i diversi ricercatori
(Maslow, McClelland, Adams, Atkinson) cercano di concepire modelli interpretativi.
Atkinson, in particolare, rintraccia come scopo della motivazione alla riuscita il voler
misurare le proprie abilità attraverso il raggiungimento del successo in attività valutate come
importanti; individua due aspetti: 1) Bisogno di avere successo, che porta a voler affrontare i
compiti e quindi alla motivazione; 2) Bisogno di evitare il fallimento, che porta a un
atteggiamento di ritiro nei confronti delle situazioni, al disinteresse e alla demotivazione. I
due bisogni sono correlati tra loro, poiché una forte spinta al successo tende ad inibire la
paura del fallimento e la paura del fallimento può bloccare azioni dirette al conseguimento
del successo. La tendenza al successo porta a scegliere compiti di media difficoltà, in genere
leggermente più difficili rispetto a quelli affrontati in precedenza e in cui le possibilità di
successo sono realisticamente piuttosto alte. Emozioni tipiche sono la fiducia nella riuscita, il
desiderio di affrontare il compito, la soddisfazione e l’orgoglio, anche anticipati, per il
successo. L’atteggiamento verso il compito è positivo e si caratterizza per la focalizzazione
dell’attenzione, la ricerca di adeguate strategie di soluzione, l’impressione di farcela, la
persistenza di fronte alle difficoltà. La tendenza a evitare il fallimento porta invece ad
affrontare compiti molto facili oppure compiti estremamente difficili, la cui riuscita è molto
improbabile, ma che permettono comunque di attribuire il fallimento a cause diverse dalla
mancanza di abilità o di impegno, quali la difficoltà del compito, la sfortuna, l’assenza di
aiuto (locus of control esterno). L’emozione tipica che accompagna la tendenza a evitare
l’insuccesso è la vergogna anticipata, dovuta al fatto di sentirsi inadeguati rispetto agli altri o
rispetto a come ci si aspettava di essere e alla sensazione di non avere la capacità per farcela.
Nelle circostanze concrete le persone stimano le probabilità di successo e quindi la difficoltà
o facilità del compito nonché la previsione di uno scenario di riuscita o fallimento in cui
vengono anticipate le emozioni di orgoglio o di vergogna. Nel fare ciò gli individui fanno
riferimento alle esperienze passate, alla conoscenza del compito, delle situazioni, alla storia
personale di successi e fallimenti. Per meglio spiegare le modalità di scelta di una persona
che deve decidere se affrontare o abbandonare un compito e che è spinta da due opposte
tendenze al successo o all’evitamento, Atkinson ha proposto un modello definito delle scelte
a rischio. Secondo tale modello l’individuo considera, in base alla stima della difficoltà del
compito, le probabilità di successo e l’incentivo: se la probabilità di successo è alta perché il
compito viene valutato come facile, l’orgoglio anticipato (cioè l’incentivo) per la riuscita sarà
basso. Le emozioni provate per la risoluzione di compiti semplici non sono molto forti; al
contrario se la probabilità di successo è stimata come molto bassa e il compito come molto
difficile, l’incentivo (cioè l’emozione anticipata di orgoglio) sarà alta. La soddisfazione
provata per la risoluzione di un compito difficoltoso è infatti grande.
La situazione ottimale è quindi quella che si realizza quando c’è un giusto equilibrio fra le
dimensioni incentivo al successo e probabilità di successo; ciò avviene in corrispondenza di
compiti di difficoltà media o leggermente superiore alla media. Gli individui sono
tendenzialmente poco motivati ad affrontare compiti facili che spesso appaiono anche
noiosi e ripetitivi, molto motivati verso compiti di media-alta difficoltà, di nuovo poco
motivati per compiti che appaiono troppo impegnativi. Gli individui sono spinti a scegliere
compiti di un livello di difficoltà che consenta loro di ottenere un successo; questo implica
che il giudizio per cui una data prestazione costituisce un successo o un insuccesso è
soggettivo in quanto legato alla fiducia in sé, alla stima delle proprie capacità e alle
aspettative del singolo. La decisione di confrontarsi con un determinato compito viene
comunque presa non solo in base alle spinte motivazionali, ma anche in relazione al grado di
attrazione dell’obiettivo, che può più o meno collimare con gli scopi e i valori dell’individuo,
alle riflessioni fatte di fronte ai precedenti successi e insuccessi, alle attribuzioni formulate in
situazioni analoghe. Volendo sintetizzare il pensiero di Atkinson possiamo definire i processi
sottesi alla motivazione come un’equazione: il modello aspettativa per valore: Ta (tendenza
all’azione) = Ir Inclinazione alla riuscita (Ar aspettativa riuscita x Vr valore attribuito alla
riuscita) - Ief Inclinazione ad evitare il fallimento (Af aspettativa di fallimento x Vf valore
attribuito al fallimento).
Motivazione secondo Atkinson e McClelland
La motivazione è uno stato mentale interno in relazione all'origine, alla persistenza e al fine
di un determinato comportamento. Tantissime delle teorie psicologiche hanno alla base
degli studi sulla motivazione ma gli autori più importanti per le loro linee teoriche sono
McClelland e Atkinson.
McClelland indagò inizialmente sulla motivazione alla riuscita (al successo) ed ha elaborato
una teoria della personalità e della motivazione basata su tre bisogni di base:
successo, appartenenza e potere. Ognuno di questi bisogni comprende desideri e paure
opposti in una doppia spinta positiva e negativa. Il bisogno di successo (o della riuscita)
rispecchia il desiderio di successo e la paura per il fallimento. Il bisogno di appartenenza
combina i desideri di protezione e appartenenza e la paura per il rifiuto da parte degli altri. Il
bisogno di potere riflette i desideri di dominio e il timore della
dipendenza. A livello empirico egli svolge una serie di studi sulla motivazione al successo
utilizzando il TAT (Thematic apperception test) e tra i risultati più interessanti vi è il
riconoscimento delle differenze individuali e delle variazioni culturali nel bisogno di
successo.
Atkinson, riprendendo la teoria di McClelland, aggiunge due elementi cruciali all’analisi della
motivazione, adottando lo schema concettuale aspettativa x valore, secondo il quale le
persone agiscono quando ritengono di poter raggiungere fini che esse valutano importanti.
Egli introduce il concetto di "utilità soggettiva", cogliendo la natura diretta allo scopo e
orientata al futuro della motivazione umana. Egli riconosce che l’azione riflette spesso un
equilibrio tra incentivi e aspettative, positivi e negativi e la scelta di correre dei rischi
comporta prospettive sia di successo sia di fallimento. La motivazione al successo, infatti,
riflette una combinazione di un motivo a riuscire associato a una probabilità soggettiva di
riuscire e di un motivo a evitare il fallimento associato a una probabilità soggettiva di
fallimento. Egli fa un'importante distinzione tra motivo e motivazione: il primo corrisponde a
una disposizione a desiderare incentivi positivi ed evitare quelli negativi. La motivazione
invece lo stato che risulta dall'influenza congiunta di incentivi associati al successo e incentivi
associati al fallimento, moltiplicati per l'aspettativa di entrambi.
Differenza tra intenzione e volizione nella dinamica motivazionale.
Nelle diverse teorie psicologiche vengono proposte svariate definizioni del termine
“motivazione”. Ad esempio la motivazione può essere definita come quell’aspetto
dell’individuo che inizia, dirige, sostiene, l’azione umana verso una prestazione o una forte
associazione affettiva, caratterizzata da una reazione delle forze, dei fattori, dei fenomeni
interni ed esterni ad un individuo, anche basati su esperienze passate, legati al piacere o al
dolore. Tutte le definizioni concordano, però, nell’affermare che sotto il termine
“motivazione” sono inclusi una quantità di aspetti interni personali, che determinano la
nostra attività e la orientano verso determinati scopi. Alla base dell’azione umana troviamo
due fasi fondamentali differenziate e scandite del momento decisionale: una fase
pre-decisionale di tipo intenzionale e una fase post decisionale di tipo volitivo. Nella fase
intenzionale si prepara il momento decisionale, nella fase volizionale si realizza l’intenzione
attraverso le azioni. I processi intenzionali sono inerenti alla scelta e alla preparazione
dell’azione, mentre i processi volizionali seguono l’intenzionalità e comprendono processi di
selezione delle attività e delle strategie pertinenti con l’obiettivo. I processi intenzionali sono
connessi con la possibilità di considerare opportuna una determinata azione, i processi
volizionali implicano l’impegno in quella determinata azione e l’attuazione di un
comportamento intenzionale e richiedono un’attività mentale protratta nel tempo. I
processi volizionali possono essere considerati come una parte del più ampio sistema dei
meccanismi di autoregolazione, che riguardano la capacità, una volta presa la decisione, di
compiere il primo passo verso un’azione diretta al raggiungimento e al mantenimento nel
tempo dell’obiettivo superando distrazioni interne ed esterne. Possiamo, dunque, affermare
che alla base dei processi intenzionali ci sono gli obiettivi, alla base dei processi volizionali c’è
la selezione di quelle attività pertinenti con lo scopo prefissato. Fanno parte dei processi di
autocontrollo, la capacità immaginativa cioè l’attività di prefigurarsi l’azione attraverso
immagini mentali, che ne consentono anche un controllo revisionale; la capacità di
anticipazione che ci consente di prevedere sia possibili ostacoli e relative soluzioni ma anche
di pregustarsi il successo; la focalizzazione attentiva, deputata a migliorare la concentrazione
e ad escludere distrazioni interne o esterne. Tutto ciò produce il cosiddetto orientamento
all’azione (Kuhl); è necessario saper gestire anche l’orientamento allo stato ovvero quella
tendenza ad esitare, rimuginare, a mettere in discussione la bontà del progetto che rischia di
invalidare ogni azione messa in campo. L’intensità del piacere dovuto al soddisfacimento di
una meta non corrisponde all’intensità del dispiacere associato al non raggiungimento della
meta stessa. Le persone più inclini a darsi obiettivi di evitamento sono più introverse,
ansiose e vulnerabili alle emozioni negative, le persone più inclini a darsi obiettivi di
avvicinamento sono più energetiche, estroverse, orientate all’azione e ottimiste. Higgins
introduce il concetto di focus regolatorio col quale fa riferimento ai bisogni e alle
preoccupazioni e distingue un focus dettato dai bisogni di sicurezza e quindi contraddistinto
dalla preoccupazione di prevenire (dettato da doveri, obblighi e responsabilità – rende più
sensibile agli esiti negativi) e uno dettato dai bisogni di crescita e contraddistinto dall’istanza
di promuovere (dettato da ideali, aspirazioni e opportunità di realizzazione – rende più
sensibili agli esiti positivi).
Definire i termini della motivazione: istinti, pulsioni, bisogni, scopi e
motivi
Gli obiettivi degli studi sulla motivazione sono: individuare possibili cause/ragioni di
un’azione o un’attività; spiegare una condotta; prevedere azioni e attività future; attivare e
promuovere nuove azioni, attività, condotte.
Nella motivazione, oltre ai processi cognitivi, sono coinvolti processi affettivi, bisogni e
fattori ambientali. Le persone investono energie fin quando il loro comportamento non
soddisfa i loro standard. Gli standard costituiscono rappresentazioni mentali di criteri che
definiscono esiti desiderabili e producono effetti di natura affettiva. Se raggiungono lo
standard le persone provano sentimenti positivi verso loro stesse. Le convinzioni di
autoefficacia concorrono alla presa di decisione, alle azioni, influenzano le aspettative e
moderano l’impatto di altre variabili. La presenza di scopi indirizza l’azione. L’uomo può
motivare gli altri come può motivare se stesso, l’agenticità personale poggia sulla capacità di
riflettere su noi stessi oltre che sul mondo esterno.
Istinto: tendenza innata all’azione, non controllabile, apparentemente essenziale alla
sopravvivenza dell’individuo e della specie (es. istinto di sopravvivenza, materno, aggressivo,
esplorativo).
Pulsione: concetto limite tra lo psichico e il corporeo che deriva da un’eccitazione somatica
volta all’eliminazione di uno stato di tensione. E’ caratterizzata da una fonte (somatica), una
meta (scarica) e un oggetto. Non è controllabile. Visione dinamica di stampo freudiano.
Bisogno: “forza” nella regione cerebrale che organizza la percezione, l’intelligenza, il
pensiero e l’azione in modo da modificare una situazione non soddisfacente.
Istinti, pulsioni e bisogni hanno in comune la componente fisica.
• Teoria dei bisogni – Murray: il bisogno è una forza psicologica che dà origine ad un’attività
organizzata che tende ad essere stabile. Secondo tale concezione ciò che muove una
condotta è la necessità di sopperire a delle mancanze al fine di ripristinare un equilibrio
compromesso. Così si considerano i bisogni come rappresentazioni mentali svincolandoli dal
modello originario di bisogni biologici. Distingue tra bisogni primari e secondari. Il limite sta
nell’identificare il rapporto tra un singolo bisogno e l’azione;
Maslow: tassonomia dei bisogni: una gerarchia di bisogni da quelli di carenza a quelli di
crescita. Teoria molto criticata negli anni 70.
McClelland: Motivo: “preoccupazione ricorrente che energizza, orienta e seleziona il
comportamento verso il raggiungimento di una certa meta”. Connessioni apprese tra
l’esperienza di uno stato iniziale di mancanza e l’anticipazione di uno stato finale di
soddisfazione. Deriva da bisogni non soddisfatti durante lo sviluppo e porta a tre bisogni ai
quali corrispondono paure: Bisogno di successo/paura del fallimento; bisogno di
appartenenza/paura dell’isolamento; bisogno di potere/paura della dipendenza. Questi
motivi/bisogni possono essere controllati dal soggetto.
Scopi: non sono legati a pressioni interne ma a ideali legati al futuro. La nozione di scopo
attesta le proprietà proattive della mente (capacità della persona di proiettarsi nel futuro e
di regolare l’azione in accordo con processi di elaborazione simbolica che organizzano e in
parte trascendono le pressioni delle determinanti interne e/o esterne). Gli scopi implicano
capacità coordinate di astrazione, anticipazione, pianificazione, generalizzazione, confronto,
esecuzione e verifica. Sono proprietà agentiche della mente. Anche quando gli scopi sono in
conflitto fra loro, in situazioni di dilemma entrano in gioco i valori (personali e sociali) che
sono le credenze motivazionali che guidano e determinano l’azione, gli atteggiamenti verso
gli oggetti e le situazioni, le idee, le valutazioni, i giudizi, la presentazione di sé agli altri e il
confronto con essi.
Es. Atkinson: modello aspettativa per valore (spiegare).
Rogers mette in primo piano l’autorealizzazione come motivazione centrale dell’agire
umano. L’autorealizzazione implica un’apertura continua all’esperienza e la capacità di
integrare le esperienze in un senso di sé più ampio e differenziato.
Bisogni e relativi autori e teorie concentrandosi soprattutto su
McClelland
La motivazione è un concetto che rinvia al processo attraverso il quale l’individuo è
stimolato a compiere delle azioni specifiche verso un obiettivo e alle emozioni e sentimenti
correlati. Nasce dalla manifestazione di un bisogno e, dunque, di un problema che genera un
impulso alla sua risoluzione. Le teorie dei bisogni (Murray, Maslow, McClelland) postulano
l’esistenza di specifici elementi (fisici o psicologici), che devono essere soddisfatti per
conseguire la sopravvivenza ed il benessere. Queste teorie chiariscono quindi cosa spinge
una persona ad agire, ma non riescono a spiegare quale tipo di azione sarà realmente
attuata per soddisfare quei bisogni. Tali teorie non rendono conto inoltre delle differenze
individuali.
• Per Murray i bisogni sono una forza psicologica e li distingue in primari o viscerogeni
(esigenze fisiche, bisogni fisiologici) e secondari o psicogeni (esigenze espresse dall’individuo
in risposta all’ambiente, esigenze specifiche della psiche). Mentre l’individuo è portatore di
bisogni, l’ambiente è sede di pressioni che possono essere effettive o percepite. Sviluppa il
TAT (test di appercezione tematica) per accedere agli intrecci di bisogni e pressioni che
rendono conto della direzione e della dinamica delle diverse personalità. Per Murray la
motivazione è strettamente legata e dipendente dall'ambiente visto sia come fonte e sede di
pressioni sia come sede per soddisfare le necessità. I bisogni sono quindi intesi come spinte
o forze interne che direzionano l'individuo e lo spingono ad agire sull'ambiente circostante
con lo scopo di modificare situazioni.
• Maslow evidenzia che l’origine della motivazione è nei bisogni, con base genetica, che
influenzano il comportamento a livello inconscio e possono essere ordinati secondo una
scala di priorità. I livelli non sono entità a sé stanti ma presentano interconnessioni e la
mancata soddisfazione dei bisogni di una categoria ha sempre come conseguenza un deficit,
mentre quando sono stati soddisfatti non costituiscono più un fattore motivante. Un
bisogno non è motivante se non è soddisfatto il bisogno di livello inferiore. Nella piramide
dei bisogni viene rappresentato il graduale emanciparsi della persona, ogni passaggio di
livello nella sfera dei bisogni rappresenta un salto di qualità nell’organizzazione affettiva e
cognitiva della personalità. La fissazione ai livelli più bassi è l’evento dal quale origina il
disagio individuale e sociale. I gradini della piramide sono: Bisogni da carenza, cioè Bisogni
fisiologici (respirare, bere, mangiare, riposare, muoversi…); sono ciclici, legati ad aspetti
genetici; la mancata soddisfazione di tali bisogni inibisce la percezione di bisogni differenti;
Bisogni di sicurezza, fisica ed emotiva, relativi alla sopravvivenza a lungo termine; Bisogni di
affiliazione, di amore e di appartenenza. E Bisogni di crescita, cioè Bisogni di stima e
autostima; Bisogni di autorealizzazione, la cui soddisfazione si manifesta nell’accettazione di
sé, nella spontaneità e nella capacità di creare relazioni umane profonde. Studiò la
personalità come la risultante dalle spinte provenienti da fattori biologici e sociali.
McClelland studia la relazione esistente tra bisogni e comportamento; considera le
differenze individuali e postula la presenza di tre bisogni fondamentali: successo
(achievement, legato a paura del fallimento), potere (power, legato a paura della
dipendenza) e affiliazione (affiliation, legato a paura dell’esclusione) che operano
contestualmente in ogni persona, anche se uno dei tre è particolarmente rilevante rispetto
agli altri. Il bisogno di successo, condiziona le performance individuali; è caratterizzato da
una forte spinta verso la riuscita, l’assunzione di responsabilità personali, l’accettazione di
moderati livelli di rischio, valutazione delle prestazioni. Il bisogno di affiliazione sollecita
comportamenti di accettazione e amicizia e di cooperazione, contribuisce a sviluppare il
senso di appartenenza. Il bisogno di potere si manifesta con esigenze di controllo ed
influenza, stimola la competizione, costituisce spesso uno strumento di evoluzione. La
rilevanza di uno dei bisogni spinge la persona ad attuare comportamenti adeguati al
soddisfacimento del suo bisogno e, parallelamente, tenderà ad attribuire valore a situazioni
che contribuiscono al suo soddisfacimento. McClelland evidenzia il valore delle esperienze
passate nella determinazione del comportamento di avvicinamento/allontanamento da uno
stimolo specifico. L’intensità di una tendenza all’avvicinamento dipende anche dalla
percezione della raggiungibilità dell’incentivo connesso, inteso come caratteristica stabile
dell’ambiente in grado di attivare emozioni negative o positive.
Teoria dell’ottimismo di Seligman (uscita)
L'ottimismo è un atteggiamento mentale determinato da come una persona spiega e
interpreta gli eventi che accadono.
Le ricerche sull’ottimismo realistico ci hanno fornito modelli esplicativi diversi, quelli ad oggi
più utilizzati riguardano l’ottimismo attribuzionale e l’ottimismo disposizionale. Il primo si
riferisce al modo in cui si spiegano le cause e le influenze dei precedenti eventi positivi e
negativi in modo da creare aspettative circa il futuro. I pessimisti spiegano gli eventi
negativi pensando a cause interne, stabili e globali: l'evento è stato causato da se stessi
(interna), da qualcosa di cronico (stabile) e da qualcosa di pervasivo che interesserà altre
situazioni (globale). Sempre secondo questa teoria, gli ottimisti spiegano gli eventi negativi
pensando a cause esterne, instabili o locali: l'evento è stato causato da qualcosa/qualcuno
diverso da sè (esterno), da qualcosa che probabilmente non persisterà (instabile) o da
qualcosa che probabilmente è limitato a questa circostanza specifica (locale). Lo stile
attribuzionale vede l'ottimismo come una competenza appresa e non un tratto di
personalità stabile; l’ottimismo disposizionale riguarda la disposizione mentale ad
attendersi esiti favorevoli in futuro. I due elementi principali dell’ ottimismo disposizionale
sono i concetti di aspettativa e fiducia. Gli ottimisti tendono ad assumere un atteggiamento
di fiducia poiché hanno l’aspettativa fondata di raggiungere il loro scopo; valutano le
avversità come sfide da accettare e vincere; vanno alla ricerca di opportunità che l’ambiente
può offrire per risolvere i problemi e superare le difficoltà; gli ottimisti, raggiungendo lo
scopo desiderato, aumentano il senso di efficacia personale. I pessimisti invece appaiono
dubbiosi ed esitanti; non hanno fiducia di raggiungere il risultato desiderato; spesso
desistono, tendendo tra l’altro a valutare le avversità come minacce.
Le ricerche di Seligman partono proprio dal versante opposto all’ottimismo, quindi dallo
studio sulla depressione; a tale riguardo esperienze fondamentali risultano essere quelle
sull'impotenza appresa, per cui quando ci sentiamo di non avere il controllo delle situazioni
e di non poter modificare gli eventi, si sviluppa un senso di impotenza, che è appresa quindi
da precedenti esperienze e che si estende poi ad altri contesti della nostra vita, per questo ci
sentiamo passivi e tendiamo a rinunciare data la credenza personale di non poter fare nulla
di importante per cambiare le cose. Seligman riscontrò come individui, posti continuamente
in condizioni sulle quali ritenevano di non potere in alcun modo intervenire per controllarle
e modificarle, sviluppassero un senso di impotenza che si estendeva anche oltre l’evento
specifico sperimentato.
La conclusione dell’autore è che come si riesce ad “apprendere l'impotenza” così deve
essere possibile “imparare l'ottimismo”. Gli stili esplicativi che ognuno di noi applica
nell’interpretare gli eventi quotidiani della nostra vita sono fondamentali per orientare il
nostro stato d’animo verso l’ottimismo o il pessimismo. La percezione delle tre principali
dimensioni di una situazione:
Temporaneità/Permanenza= quanto la causa degli eventi positivi e negativi è
ritenuta transitoria o permanente. L’ottimista davanti a un fallimento pensa che
“passerà in fretta”, il pessimista pensa che “le cose andranno ancora male”, davanti ad un
successo invece l’ottimista pensa che “continuerà ad andare bene” e il pessimista crede che
sia stata solo “fortuna”;
Pervasività/Localizzazione = quanto le persone giudicano universali o specifiche le cause
dei propri successi e/o fallimenti. Davanti ad un fallimento, la persona ottimista pensa
“questa volta mi è andata male”, il pessimista pensa “sono sempre un incapace”; invece
davanti ad un successo la persona ottimista da il merito alle proprie capacità e il pessimista
pensa che sia un caso che sia andata bene;
Personalizzazione/Esternalizzazione = cioè l’attribuzione di eventi e dei propri successi
e/o fallimenti a fattori esterni(ambientali) oppure interni (personali).
L’ottimista pensa che un fallimento non è dovuto ad una sua colpa e il successo è invece
merito delle proprie abilità, per il pessimista è esattamente il contrario.
Seligman sottolinea che anche il pessimismo ha una sua ragion d’essere, in quanto il
pessimista moderato ha una visione più realistica che in certe situazioni è più funzionale, per
questo motivo non sempre l’ottimismo è consigliabile. E’ opportuno di volta in volta fare una
scelta consapevole sul grado di ottimismo utile per affrontare una certa situazione; non è
funzionale essere sempre totalmente ottimisti e non lo è neppure essere sempre totalmente
pessimisti; se ben applicato, l’ottimismo appreso sfocia in un equilibrato e consapevole
ottimismo flessibile.
Gli schemi del sé e il contributo della Markus
Le persone possono descriversi mediante una moltitudine di attributi di personalità, ma
spesso molti di essi non vengono in mente se non esplicitamente sollecitati o richiesti.
Questo perché alcuni sono ritenuti centrali per il proprio senso di sé, altri più periferici e non
vengono utilizzati spesso se non quando richiesti. Sulla base di ciò le persone creano degli
insiemi di conoscenze sulle proprie caratteristiche di personalità chiamati "schemi del sé" di
cui gli individui si servono per conoscersi e costruire categorie mentali riguardanti il Sé,
attraverso l’interazione con gli altri ed il mondo.
Tra i più importanti teorici troviamo la Markus. La rappresentazione di sé comprende diverse
concezioni interconnesse e relative ai contesti sociali in cui la persona è inserita. Secondo
Markus gli schemi di sé sono strutture affettivo-cognitive capaci di organizzare
l’elaborazione di informazioni riguardanti il sé e corrispondono alle dimensioni su cui una
persona si descrive; possono essere sia di tipo positivo (sono onesta) che negativo (sono
pigro) e non sono facilmente modificabili. Gli schemi del Sé sono organizzati in una gerarchia,
che va dal più lontano a quello che sentiamo più vicino a noi e quindi al nostro Sé. All’interno
di questa organizzazione Markus introduce il costrutto di Sé operativo, ovvero quell’insieme
di elementi identitari che diventano importanti in un determinato contesto o periodo della
vita di un soggetto. Questo costrutto ci aiuta a comprendere perché possiamo apparire così
diversi nelle varie situazioni e in relazione ai vari compiti che ci si presentano; spiega come i
vari elementi identitari si organizzino intorno ad un nucleo principale e fondamentale,
accanto al quale si attivano di volta in volta a seconda della situazione un sottogruppo di
elementi che diventano salienti in quel contesto. Markus infine introduce un’ulteriore
distinzione negli schemi identitari, sostenendo che le persone non hanno solo uno schema di
Sé nel presente ma anche schemi di Sé nel futuro, che l’autrice chiama Sé possibili e che
rispecchiano ciò che vorremmo realizzare di noi stessi (il Sé desiderato), ciò che ci
aspettiamo effettivamente di diventare (il Sé atteso) e ciò che invece temiamo possa
accaderci (il Sé temuto). Gli schemi di sé influenzano la percezione di sé, degli altri e le
relazioni interpersonali. Possono essere generali, ma di solito si riferiscono ad aspetti
particolari della vita. I due punti di “osservazione” del sé: punto di vista nostro e punto di
vista di persone per noi significative. Molti schemi in relazione tra loro formano una famiglia
del sé, simili ma differenti, all’interno del quale esiste il “Sé prototipico”: questo sono io. Le
persone “schematiche” in un dato attributo identificano l’attributo come importante e
danno autovalutazioni estreme (alte/basse) (p.e. donne fortemente centrate sull’attributo
“indipendenza femminile”), forniscono molti esempi collegati all’attributo, rifiutano
informazioni incongruenti con la loro immagine di sé, rispondono più velocemente a parole
associate all’attributo. Le persone “a-schematiche” in un dato attributo non ritengono
importante l’attributo e si auto-percepiscono nella media.
Higgins e il dominio del sé.
Gli studi di Higgins si basano sul presupposto che l'impatto emotivo degli eventi non è
scatenato dall'evento in sé ma dall'interpretazione che ne diamo e dal significato che
attribuiamo. Queste diverse reazioni emotive provengono dai diversi tipi di conoscenza che
vengono alla mente quando valutiamo un evento. A tal proposito, Higgins ha ideato una
tassonomia di standard psicologici e fattori che determinano quali standard personali
utilizziamo in una certa situazione. Egli distingue tra: > standard fattuali, attributi effettivi
delle persone; > standard di possibilità, ovvero gli attributi che si potrebbero avere in futuro.
Higgins inoltre ci parla di "guide" cioè i criteri che sono generalmente visti come standard
apprezzati o desiderabili per un individuo. Egli individua due dimensioni che differenziano le
rappresentazioni del sé e le guide:
Domini del sé: distinguendo tra:
Sé effettivo: le caratteristiche che si posseggono effettivamente, come le persone si
percepiscono (actual self)
Sé ideale: le caratteristiche che si spera o si desidera avere, come le persone aspirano ad
essere (ideal self)
Sé imperativo: le caratteristiche che si dovrebbero avere, le aspettative che gli altri nutrono
nei nostri confronti (ought self)
Punti di osservazione del sé: ovvero le prospettive da cui una persona può essere valutata,
ossia quella dell'individuo stesso e quella degli altri.
Higgins sostiene che in situazioni di normalità, ossia quando un soggetto è soddisfatto di se
stesso, egli non percepisce alcuna discrepanza tra essi. Le discrepanze tra i diversi sé hanno
delle conseguenze affettive per l’individuo. Questo tenta quindi di ridurre la discrepanza tra i
diversi sé ma se l’incoerenza rimane, a seconda del confronto, ne derivano vissuti emozionali
diversi.
Discrepanza tra sé effettivo e sé ideale: genera sensazioni di disappunto, insoddisfazione e
tristezza. (es. sono stonato ma vorrei essere intonato) fino alla depressione.
Discrepanza tra sé effettivo e sé imperativo: genera emozioni di agitazione, ansia e
inquietudine. (es. non ho voglia di imparare uno strumento musicale mentre i miei genitori
ritengono che io debba imparare a suonarlo).
Quindi le discrepanze del sé creano specifiche vulnerabilità a differenti tipi di stress emotivo
in presenza di ostacoli.
I processi di appraisal secondo Lazarus e Smith.
Le emozioni sono processi, complessi e multifattoriali, composti da quattro componenti: 1)
meccanismi fisiologici, 2) espressioni comportamentali, 3) i sentimenti soggettivi (questi
primi tre sono sistemi che si attivano nel corso di un'esperienza affettiva), 4) meccanismi di
valutazione cognitiva (appraisal)
le teorie dell’appraisal di Lazarus: secondo gli autori le emozioni sono scatenate non da
eventi esterni ma dal significato soggettivo che le persone assegnano ad essi. Dunque
significati differenti provocano emozioni differenti. Inoltre le valutazioni non sono isolate ma
sono date dalle relazioni percepite tra ambiente e il benessere personale. Essi per
comprendere la variabilità nelle valutazioni delle persone sugli eventi hanno individuato sei
componenti di valutazione cognitiva: > due principali (che determinano la valenza degli stati
emotivi): 1) rilevanza dell'evento per il proprio benessere, 2) se l'evento è congruente con i
propri scopi. > quattro secondarie ( capacità e opzioni dell'individuo nel far fronte agli
eventi): 3) potenziale di coping focalizzato sul problema, 4) potenziale di coping focalizzato
sull'emozione, 5) responsabilità, 6) aspettative per il futuro. È stato visto come quest'ultime
siano strettamente connesse alle aspettative e alle credenze di agenticità che sono centrali
nell'autoregolazione comportamentale. Dall'analisi di questi studi emergono due
caratteristiche fondamentali dei modelli di appraisal:
I legami tra particolari valutazioni e particolari emozioni sono ritenuti universali: ovvero
chiunque si trovi davanti ad un'incongruenza di un evento personalmente rilevante si sente
triste.
I legami tra particolari stimoli e particolari valutazioni sono altamente specifici: è stata
riscontrata una variabilità individuale e culturale nel modo in cui particolari stimoli vengono
percepiti e valutati. Infatti degli studi dimostrano come nonostante gli schemi di valutazione
generali fossero simili per ogni emozione nelle diverse nazioni, gli individui provenienti da
diverse parti del mondo mostravano livelli medi diversi rispetto ad alcune dimensioni: ad
esempio paragonati con gli europei, i nordamericani e gli asiatici, gli africani erano più inclini
a giudicare gli eventi come immorali, scorretti o causati da altri, mentre in america latina
giudicavano meno spesso gli eventi come immorali.
Esse non sono necessariamente processi lenti e deliberati, anzi le persone valutano
continuamente l'ambiente e molte di queste valutazioni sono spesso veloci ed automatiche.
Infatti le reazioni emotive si innescano rapidamente ancora prima che si riflettano sugli
eventi.
Le teorie dell'appraisal di Smith: si basa sul presupposto che le emozioni sono influenzate
dalle credenze delle persone sul mondo e su se stesse e dunque dagli standard personali
tramite cui gli eventi vengono valutati. Quindi è importante distinguere la conoscenza
dall'appraisal: questi ultimi sono valutazioni di eventi specifici, in particolare della rilevanza
che i nuovi eventi hanno per il proprio benessere personale. La conoscenza al contrario si
riferisce a credenze generali su se stessi e sul mondo. Essa però non è una condizione
sufficiente per creare una risposta emotiva e per questo la conoscenza è definita come
"fredda"; al contrario gli appraisals sono cognizioni "calde" perché antecedono la risposta
affettiva e sono influenzate dalle conoscenze generali con cui le persone affrontano le
situazioni.
Personalità e temperamento nel corso dello sviluppo – Temperamento
e differenze individuali – Temperamento e individualità
Alcuni autori ritengono che non ci siano differenze sostanziali tra temperamento e
personalità, altri ritengono che la distinzione sia controversa ma che debba essere tenuta in
considerazione.
• Pavlov ha avviato un’indagine sulla relazione tra sistema nervoso e comportamento ed ha
individuato 3 caratteristiche del SN: forza (capacità di lavoro delle cellule corticali), equilibrio
(relazione tra forza dei processi eccitatori e inibitori) e mobilità (capacità di alternare
processi eccitatori e inibitori).
• Teplov e Nebylitsyn hanno individuato 4 caratteristiche del SN specifiche per il
temperamento: forza (tolleranza a continue e frequenti stimolazioni), dinamismo (facilità nel
generare processi nervosi), mobilità (velocità di trasformazione) e labilità (velocità di inizio e
cessazione del SN).
• Strelau (teoria regolativa del temperamento RTT) studia il temperamento tramite i
questionari ed osserva che corrisponde ad un insieme di caratteristiche stabili e che le
differenze individuali sono identificabili nel livello di energia del comportamento e nelle
caratteristiche temporali delle reazioni. Ogni persona tende a mantenere con l’ambiente un
livello ottimale di stimolazione e le diverse strategie che le persone impiegano rispecchiano
il grado di attività e reattività che contraddistingue il temperamento. Afferma che il
temperamento è un insieme di caratteristiche legate al funzionamento di meccanismi
neurologici ed endocrini, tali caratteristiche mutano in base al maturare della persona e a
causa delle influenze ambientali.
• Buss e Plomin hanno indagato le basi ereditarie del temperamento e, secondo loro, le
caratteristiche temperamentali sono: emozionalità (tendenza ad entrare in agitazione e
sperimentare emozioni stressanti), attività (forza e velocità dei movimenti) e socievolezza
(tendenze affiliative).
• Rothbart: individua 2 dimensioni del temperamento reattività (facilità con cui i sistemi si
attivano) e autoregolazione (processi attuati dalla persona per adattarsi e controllare il
proprio comportamento).
• Secondo Kagan gli studiosi cercano erroneamente di ridurre il numero delle caratteristiche
temperamentali e questo porta ad equiparare bambini dissimili e ad immaginare che le
differenze siano causa della diversa quantità di una caratteristica quando, in realtà,
potrebbero essere semplicemente soggetti con temperamento completamente diverso.
Kagan ritiene inoltre che gli stimoli ambientali influenzino il temperamento. Le persone
reagiscono differentemente alle stesse situazioni perché evocano memorie, sentimenti e
passioni diverse.
• Secondo Thomas e Chess il temperamento concerne lo stile del comportamento e svolge
un’attività di mediazione nel rapporto dell’individuo con l’ambiente. Questi due studiosi
hanno analizzato il comportamento di bambini normali e di bambini con disagio. Il buon
adattamento è quello che attesta una buona consonanza tra le caratteristiche
temperamentali del bambino e le aspettative dell’ambiente. Le caratteristiche
temperamentali interagiscono inevitabilmente con gli ambienti, che possono sia supportarle
che ostacolarle. E’ necessario tener conto della bontà di adattamento (goodness of fit) o
della povertà di adattamento (poorness of fit), cioè della consonanza o dissonanza tra le
caratteristiche temperamentali del bambino e le aspettative, le richieste e le opportunità
provenienti dall’ambiente (soprattutto dai genitori). Le differenze temperamentali vengono
studiate in connessione allo sviluppo dei processi di regolazione emotiva e cognitiva. Alcuni
autori parlano di tipi e cioè di configurazioni di reazioni ma la domanda a cui si cerca di
rispondere è “che relazione c’è tra la capacità di rispondere allo stress in età precoce e le
successive reazioni alle frustrazioni in età successive?”
Secondo Caprara temperamento e personalità non sono sinonimi, la personalità descrive i
comportamenti con significato sociale mentre il temperamento non ha a che fare con il
sociale ma con l’individuo stesso. Il temperamento è il risultato dell’evoluzione biologica,
mentre la personalità è un prodotto delle condizioni socio-storiche, che si costruisce sulla
base delle relazioni significative che il bambino stabilisce con l’ambiente circostante e il suo
sviluppo è influenzato soprattutto dai processi di apprendimento e socializzazione. Lo studio
delle differenze individuali è parte di una consolidata tradizione in psicologia che risale a più
di un secolo fa. Esso comprende un notevole numero di costrutti latenti (cioè non
direttamente osservabili) come l’intelligenza, i tratti e il temperamento che rappresentano le
maggiori sorgenti di variabilità nel comportamento.
I fondatori della moderna psicologia della personalità hanno generalmente concepito il
temperamento come uno degli attributi dell’individualità.
• Allport ha definito il temperamento come la natura emozionale caratteristica dell’individuo,
che include la sua velocità di risposta e lo stato tipico dell’umore; egli considera il
temperamento un attributo biologico e largamente ereditario.
• Eysenck ha guardato al temperamento come al sistema di comportamento più o meno
stabile e duraturo e spesso ha usato i termini personalità e temperamento
indifferentemente.
Sebbene alcuni autori sostengano che è inutile distinguere i due termini in quanto
equivalenti, altri mettono in guardia dal confonderli. Il temperamento riguarda le
caratteristiche formali e stilistiche del comportamento, come la sensibilità e la responsività
alle richieste dell’ambiente. Si possono osservare le caratteristiche del temperamento a
diversi livelli di analisi: comportamento osservato, configurazioni di eventi neurofisiologici,
configurazioni di geni e di interazioni geni-ambiente. Le caratteristiche del temperamento
sono studiate servendosi di un’ampia serie di fonti di dati fisiologici e psicologici, tra cui il
comportamento manifesto, le valutazioni esterne e le analisi genetiche. Quando parliamo di
personalità ci riferiamo all’organizzazione di tratti che caratterizzano gli individui. Un sano
sviluppo della personalità dipende sia dall'adeguato sviluppo della sfera cognitiva, affettiva e
sociale, sia dalle interazioni che la persona stabilisce con l'ambiente esterno nel corso della
sua evoluzione, che dura tutta la vita. Studiare lo sviluppo affettivo significa analizzare il tipo
di rapporti che il soggetto instaura con l'ambiente e le caratteristiche individuali,
evidenziando i fattori che influenzano l'evoluzione. Aspetti di ordine ambientale che
condizionano la qualità delle relazioni affettive possono essere: - il comportamento dei
genitori, in modo specifico quello della madre nei primi anni di vita; l'atteggiamento di
accettazione o di rifiuto dell'ambiente; la possibilità di sperimentare esperienze sociali
positive. Particolarmente importante è la relazione madre-figlio, infatti la madre offre la
prima relazione oggettuale al bambino, sull'esperienza della quale egli costruirà le successive
relazioni interpersonali. La psicoanalisi ha dedicato ampio spazio ad indagare questo tema.
Le teorie social-cognitive hanno dato grande importanza alle relazioni interpersonali nei
processi di apprendimento sociale e nei processi di socializzazione, vari autori hanno visto
nelle relazioni interpersonali il presupposto per lo sviluppo di competenze cognitive per lo
sviluppo di una propria rappresentazione di se stessi: noi siamo ciò che gli altri ci dicono che
siamo. Noi scopriamo noi stessi, riconosciamo noi stessi nella relazione con gli altri, sulla
base di ciò che gli altri dicono di noi. Ciascuno di noi cresce, si sviluppa, opera all’interno di
un contesto sociale, insieme ad altre persone, con ciascuna di queste persone ha un
rapporto, stabilisce un legame o scambi che comportano aspettative e attese reciproche. La
relazione con l’altra persona implica la percezione dell’altra persona e una serie di
aspettative nei confronti di essa, una decisione su come agire con essa e infine un’azione con
l’altra persona che implica tutta una serie di risposte che l’altra fornisce, che rispecchiano il
suo modo di percepire, il suo modo di organizzare la relazione con noi. Ciascuno nel contesto
sociale ha più relazioni con altre persone e ognuna di esse in misura diversa concorre
significativamente alla realizzazione degli obiettivi personali e al mantenimento di uno stato
di maggiore o minore benessere. Nello studio delle relazioni interpersonali una teoria che ha
grande importanza è la Teoria dell’attaccamento di Bolwby, il quale aveva intuito che
l’attaccamento riveste un ruolo centrale nelle relazioni tra gli esseri umani, dalla nascita alla
morte. Insieme a Mary Ainsworth, anch’ella psicanalista e sua collaboratrice, lavorando
all’applicazione di tale teoria ha contribuito a dimostrare come lo sviluppo armonioso della
personalità di un individuo dipenda principalmente da un adeguato attaccamento alla figura
materna o ad un suo sostituto caregiver.
Baltes definisce lo sviluppo positivo
come una selezione vantaggiosa tra sviluppo e perdite che può essere influenzato da
caratteristiche individuali, fattori culturali, ruolo familiare e posizione sociale;
un’ottimizzazione che si realizza attraverso l’acquisizione, il miglioramento ed il
mantenimento di mezzi e risorse efficaci nell’ottenere risultati desiderabili e nell’evitare
quelli indesiderabili; una compensazione che è invece la risposta funzionale alla perdita di
mezzi rilevanti per ottenere risultati. Ci sono due tipi di compensazione, nella prima si
utilizzano nuove strategie per raggiungere lo stesso scopo, nella seconda si utilizzano i mezzi
più idonei per modificare gli obiettivi dello sviluppo in risposta alla perdita delle risorse. I
processi di selezione, ottimizzazione e compensazione possono essere attivi o passivi, consci
o inconsci, interni o esterni.
Illustrare i concetti di stabilità, continuità e cambiamento della
personalità nel corso dello sviluppo - Lo sviluppo della personalità:
descrivere in modo approfondito i 4 tipi di stabilità
Nello studio dello sviluppo della personalità ci si chiede spesso quali elementi di essa sono
stabili, quali invece sono soggetti a modifiche. Da un lato gli strutturalisti si orientano verso
l'identificazione degli elementi base e stabili della personalità (individuano cause prevedibili),
dall'altro i funzionalisti si orientano verso i processi di cambiamento e adattamento
(individuano cause imprevedibili. Dunque ad oggi possiamo parlare di stabilità, continuità e
cambiamento della struttura della nostra personalità, come una serie di stadi di complessità
crescente, in ognuno dei quali si riscontrano strutture sviluppatesi negli stadi precedenti.
La stabilità: non vi è ancora una chiara definizione di personalità, anche se in linee generali
possiamo ritenerla come la persistenza di strutture e comportamenti. Dagli studi
psicometrici sulle differenze individuali, sono risultati diversi aspetti della stabilità:
Stabilità assoluta: mantenimento di una certa quantità di un attributo nel corso del tempo
(valutata attraverso un punteggio, una frequenza, un tasso ecc..)
Stabilità relativa: mantenimento da parte dell'individuo della stessa posizione in relazione a
quella di altri.
Stabilità strutturale: persistenza delle stesse correlazioni tra variabili riscontrate in una
popolazione
Stabilità ipsativa: persistenza delle stesse correlazioni tra variabili riscontrate
La continuità: è la corrispondenza tra tendenze psicologiche osservate in diversi periodi
della vita. A differenza della stabilità che di per sé non ammette un cambiamento, la
continuità invece rispecchia la natura dinamica dello sviluppo personale e che quindi sia
possibile un cambiamento nei diversi periodi di vita. Un approccio importante in questo
ambito fu quello di Elder chiamata "teoria del corso di vita". Essa esamina il modo in cui la
vita umana si organizza nel corso dello sviluppo sulla base delle relazioni che gli individui
instaurano con una società che può cambiare sostanzialmente nel corso del tempo. Questo
perché gli individui contribuiscono a tracciare i propri corsi di vita tramite scelte e azioni, che
vanno comprese entro i limiti posti dalle condizioni sociali.
Una prima distinzione è quella tra stabilità assoluta e stabilità relativa. La prima si riferisce
al mantenimento di una certa quantità di un attributo nel corso del tempo (ad es. essere
estroversi a 3 anni, a 15, nei singoli individuia 30), la seconda si riferisce invece al
mantenimento da parte di un individuo della medesima posizione in relazione a quella degli
altri (ad es. il primo della classe a 7 anni lo è anche a 17 e a 35) e, quindi, concerne la
stabilità delle differenze individuali. Un’altra distinzione è quella tra stabilità strutturale e
stabilità ipsativa: entrambe si riferiscono alla persistenza di medesime configurazioni di
correlazioni tra variabili, ma mentre quella strutturale si riferisce alle correlazioni riscontrate
in una popolazione, l’ipsativa si riferisce alle correlazioni riscontrare nei singoli individui.
Solitamente si parla di stabilità relativa perché è difficile trovarsi davanti a situazioni di
stabilità assoluta. L’idea di continuità riconosce che le persone possono svilupparsi
dinamicamente, cioè cambiare nei diversi periodi di tempo. Quindi la continuità fa
riferimento al legame tra variabili di temperamento riscontrabili in una fase precoce dello
sviluppo ed altre variabili di personalità che fanno riferimento all’adattamento psicosociale
dello stesso individuo in età successiva. L’importanza di questo tema è nella possibilità di
individuare dei predittori di caratteristiche psicologiche (ad esempio se un bambino timido
può diventare un adulto depresso o se un bambino impulsivo può diventare un delinquente)
e mettere in atto strategie di intervento tese a ridurre i rischi di patologia. Alcuni autori
parlano di continuità cumulativa (ad es. l’istruzione) e continuità interazionale (ad es.
l’instabilità lavorativa). La teoria del corso di vita di Elder esamina il modo in cui la vita
umana si organizza nel corso dello sviluppo in base alle relazioni che gli individui instaurano
con una società che può cambiare sostanzialmente nel corso del tempo; egli afferma che le
forze storiche danno forma alle traiettorie evolutive della famiglia, della scuola e del lavoro e
che queste, a loro volta, influenzano il comportamento dei singoli. Gli individui
contribuiscono a tracciare i propri corsi di vita tramite scelte e azioni, che vanno comprese
entro i limiti posti dalle condizioni sociali. È importante prestare attenzione al contesto
storico e sociale per poter comprendere il modo in cui alcuni aspetti della personalità del
bambino siano legati a esiti nella vita successiva. Elder ha studiato l’influenza del contesto
sociale sui fattori di personalità nel determinare esiti nel lungo periodo. Uno strumento per
studiare la stabilità è L’analisi delle traiettorie dello sviluppo individuale e gli approcci sono
alla variabile o alla persona come totalità integrata.
Intersoggettività, relazioni genitoriali e relazioni tra pari nello sviluppo
della personalità .
Le relazioni interpersonali hanno un grande impatto nello sviluppo della personalità,
soprattutto quelle che si instaurano nel gruppo genitoriale e nel gruppo dei pari. Le relazioni
genitoriali sono state analizzate a partire dal concetto di attaccamento elaborato da Bowlby
e dalla Ainsworth. Sappiamo che i piccoli della specie umana sono gli unici ad essere
fortemente dipendenti dai genitori per un lungo periodo di tempo perché il bambino per
sviluppare le sue funzioni biologiche (linguaggio, camminare ecc..) ha bisogno del sostegno e
dell'insegnamento del genitore. Per questo ancora prima della nascita ha inizio un processo
chiamato "attaccamento" in cui si instaura un forte legame di empatia tra il bambino e il
genitore (generalmente la mamma) che prende il nome di caregiver (ovvero colui che offre
cure). Questo perché il legame di attaccamento si instaura nel momento in cui il caregiver
risponde in modo positivo alle richieste "d'aiuto del bambino" che si trova in una situazione
di apparente pericolo o vuole soddisfare un qualche bisogno (es. il bambino piange perché
ha fame e la mamma gli da da mangiare placando così il suo desiderio). Questo legame tra
madre e bambino è fondamentale perché getta le basi per le rappresentazioni mentali
durature delle relazioni interpersonali poiché in questo caso i genitori diventano dei veri e
propri modelli. La Ainsworth ha individuato 3 stili di attaccamento: > sicuro: relazione
armoniosa con la madre > resistente: bambini frustrati dalla relazione con la mamma >
evitante: non utilizzano la mamma come base sicura. Tramite l'esperimento della strange
situation, la Ainsworth ha scoperto come la qualità dell'attaccamento sia la variabile
principale che determina gli stili di attaccamento futuri del bambino. Ma l'identità personale
è influenzata anche dalle relazioni con i pari che acquisiscono maggiore rilevanza man mano
che il bambino cresce. Egli deve sviluppare della abilità quali la comprensione reciproca,
scambi sociali soddisfacenti così da poter produrre dei benefici personali a fare in modo che
le relazioni con i pari possano dare sostegno emotivo e accesso alle risorse sociali. Ma le
relazioni tra pari possono anche essere delle sfide perché, soprattutto durante l'adolescenza,
i ragazzi sentono la pressione di doversi conformare al proprio gruppo di appartenenza e
sperimentano la paura del rifiuto. Dunque devono riuscire ad evitare o per lo meno risolvere
i conflitti cercando di instaurare alleanze che è un aspetto presente anche nella vita di tutto i
giorni (pensiamo ai contesti lavorativi). I legami di amicizia iniziano molto presto (all'età di
3-4 anni) e i bambini tramite l'imitazione del comportamento dei loro compagni
apprendono quali sono regole di comportamento sociali che insegnano la condivisione, la
comprensione reciproca ecc.. E dunque questo porta i bambini ad essere capaci di instaurare
delle relazioni sempre più durature. È stato visto da alcuni studi longitudinali che avere
amicizie aumenta l'autostima, infatti chi da bambino ha avuto molte amicizie risulta avere
più autostima durante la giovinezza, questo poiché i comportamenti prosociali e amichevoli
favoriscono l'accettazione sociale e quindi di conseguenza permettono all'individuo di
sviluppare stima nei suoi confronti (anche perchè riconosciuta dagli altri). Durante
l'adolescenza il gruppo dei pari assume un ruolo fondamentale poiché servono per il
confronto e il sostegno sociale. Gli amici diventano dei confidenti ai quali poter esporre i
propri vissuti emotivi e ciò favorisce lo sviluppo di dialoghi interiori e una maggiore
comprensione di se stessi. La dimensione del gruppo in particolare è fondamentale perché si
impara a ricoprire ruoli ben definiti e a sostenere particolari valori e si cerca di dare una
buona impressione così da essere accettati nella loro nicchia sociale. Non tutte le amicizie
però risultano positive, in alcuni casi può dipendere dal bambino stesso che può avere scarse
capacità di autocontrollo e comportamenti aggressivi, e questo lo porta ad essere escluso
dal gruppo dei pari. La qualità delle amicizie dunque è importante perché determina
l'adattamento poiché bambini aggressivi tenderanno a ricercare un gruppo dei pari
altrettanto aggressivi e questo può portare all'adozione di una serie di comportamenti
antisociali (come l'abbandono precoce della scuola) che influiscono gravemente sulla
formazione della personalità. Infatti con l'aumentare dell'età il gruppo genitoriale diventa
sempre più marginale e spesso fonte di contrasto con l'adolescente, mentre il gruppo dei
pari assume un ruolo importante poiché è quel luogo in cui i ragazzi possono agire in totale
indipendenza. Per questo è fondamentale che si scelgano le amicizie giuste così da evitare di
abbracciare comportamenti a rischio che influenzano negativamente la loro personalità.
Sviluppo della personalità: metodi e approcci di ricerca;
Lo sviluppo corrisponde ai processi di trasformazione cognitiva e affettiva che si dispiegano
lungo tutto il corso della vita, si accompagnano a processi di crescita e maturazione biologica,
vanno oltre l’età adulta e sono processi generalmente adattivi e non disadattivi.
L’ approccio per lo studio dello sviluppo della personalità può essere disposizionale, se
considerano l’andamento evolutivo dei tratti e dei tipi, oppure social-cognitivo, se si prende
in considerazione la costruzione dei sistemi cognitivi-affettivi e i processi che guidano i
comportamenti, le convinzioni, gli scopi, le credenze, i valori, la regolazione emotiva.
Le determinanti dello sviluppo possono essere biologiche (interne: sesso, temperamento)
oppure socio relazionali (esterne: attaccamento, famiglia, scuola, gruppo dei pari).
• Erikson ha distinto 8 stadi psicosociali contraddistinti da un problema la cui soluzione
influenza tutto il corso successivo della vita: fiducia/sfiducia (il primo problema del bambino
è capire di chi può fidarsi), autonomia/vergogna (il bambino conquista una sua autonomia o
la mancanza di essa, che procura vergogna), iniziativa/colpa (responsabilità di prendere
decisioni e pagare le conseguenze delle proprie azioni), industriosità/inferiorità (capacità di
creare, di costruire o il senso di inferiorità nel non riuscirci), identità/diffusione dell’identità
(compito dell’adolescente, la conquista della propria identità personale),
intimità/isolamento (mettersi in gioco in una relazione emotivamente coinvolgente, intima
oppure isolarsi), generatività/stagnazione (dare la vita ad altre persone e sostenerla),
integrità psicologica/disperazione (una vita che si conclude può riassumere una serie di
successi o portare alla disperazione dell’invecchiamento).
• Piaget ha parlato dello sviluppo intellettivo, Kulberg di quello morale,
• Loevinger parla di stadi di sviluppo della personalità e ne ha individuati diversi: impulsività,
autoprotezione, conformismo, autoconsapevolezza, coscienziosità, individualismo,
autonomia e integrazione. Individua 4 flussi sui quali avviene lo sviluppo individuale: fisico,
psicosessuale, dell’Io e intellettuale, le persone differiscono per il numero di stadi che
riescono a passare. Teoria scarsamente avvalorata sul piano empirico e molto criticata da
vari autori perché non tiene conto delle variabili individuali e contestuali.
Per alcuni studiosi, infatti, non si può parlare di stadi universali e quindi parlano di stagioni
della vita,
• Levinson ne individua 4: infanzia, adolescenza, prima età adulta, media età adulta e tarda
età adulta.
Lo sviluppo è un processo continuo che registra cambiamenti sostanziali quando le persone
affrontano particolari transizioni di vita. Le transizioni possono essere causate sia da fattori
biologici (es. adolescenza, menopausa) che da fattori sociali (es. nuovo lavoro, famiglia,
pensione) e possono essere dovute a cambiamenti occasionali. Lo sviluppo è un’occasione di
guadagni o perdite che continua anche nell’età adulta grazie a selezione, ottimizzazione e
compensazione; l’anziano che invecchia bene è in grado di selezionare le situazioni che
premiano la sua esperienza, ottimizzare esercitandosi in modo da riuscire al meglio ed è in
grado di compensare con intelligenza cristallizzata, saggezza, equilibrio e esperienza quello
che è venuto a mancare col passare degli anni (per es. la forza, la velocità, la robustezza,
l’intelligenza fluida) (Baltes).
• secondo la prospettiva meccanicistica il comportamento umano è spiegabile attraverso
una serie di concatenazioni di cause ed effetti, per capire l’organismo è sufficiente conoscere
le leggi che regolano il funzionamento delle parti elementari, lo sviluppo è un processo di
natura quantitativa e consiste in cambiamenti che si accumulano, l’organismo è modellato
dall’ambiente;
• secondo la prospettiva organismica l’organismo è un insieme complesso diverso dalla
somma delle parti quindi si rifiuta l’elementarismo, lo sviluppo è un processo qualitativo e
consiste nella trasformazione di capacità presenti con l’aggiunta di nuove, gli stessi
comportamenti possono avere significati diversi in situazioni diverse, l’essere umano non
subisce passivamente le influenze dell’ambiente e la personalità implica interazioni tra
componenti biologiche, componenti psicologiche e ambiente;
Ad oggi il modello maggiormente adottato è quello organismico. Per Bronfenbrenner lo
sviluppo è strettamente legato all’interazione persona-ambiente e distingue 4 diversi
contesti evolutivi: microsistema (contesti abituali), mesosistema (legame tra microsistemi),
esosistema (ambiti rilevanti ma con i quali non entriamo in contatto) e macrosistema (i 3
sistemi precedenti all’interno di una cultura). In sintesi lo sviluppo implica continue
interazioni tra individuo, contesti interpersonali e contesti socio-culturali, dura per tutta la
vita e può essere diviso in stadi in base ai diversi problemi che devono essere affrontati nei
diversi periodi dell’esistenza.
Secondo Bandura (teoria social-cognitiva) lo sviluppo non è solo un fenomeno che avviene
automaticamente durante il corso della vita, ma è anche un fenomeno di cui ciascuno di noi
è responsabile. Nonostante gli eventi fortuiti siano incontrollabili, l’agenticità personale ha
un ruolo decisivo per lo sviluppo dal momento che dipende soprattutto dalle persone saper
attingere alle risorse personali per capitalizzare sulle opportunità del caso oppure
minimizzarne i danni.
Carl Rogers – teoria del sé o teoria fenomenologica – movimento
psicologico umanistico
Per Rogers la pratica clinica è la sede primaria per lo studio della personalità, e il concetto
che sta al cuore della riflessione di Rogers sulla personalità è la tendenza attualizzante. In
ogni organismo, in ogni persona vi è la tendenza a realizzare pienamente sé stessi, tendenza
che evidentemente va assecondata. La natura del sé e la tensione tra essere se stessi e il
desiderio piacere agli altri sono elementi chiave nella teoria della personalità sviluppata da
Rogers.
La tendenza attualizzante imprime una direzione costruttiva allo sviluppo e alla piena
realizzazione degli aspetti sani e creativi. Il piccolo dell’uomo, più che in ogni altra specie
cresce nella dipendenza, è necessario che qualcuno si prenda cura di lui. Accettazione
incondizionata come base dello sviluppo e anche come condizione del cambiamento
terapeutico. Se l’accettazione è incondizionata si favorisce la tendenza attualizzante, si
creano le condizioni ottimali affinché la tendenza che è in ciascuno si possa realizzare. Se
invece l’accettazione di chi si prende cura del bambino è condizionata affinché il bambino sia
ciò che si desidera che egli sia, allora la tendenza attualizzante in certi casi si deve piegare a
interessi di altri. In questo caso si generano delle difformità, delle incongruenze tra quella
che è la spinta naturale verso una certa direzione e quelle che sono invece le pressioni, le
obbligazioni, i condizionamenti che vengono posti dall’ambiente. La sofferenza è
generalmente, secondo Rogers, legata ad un’accettazione condizionata, cioè è l’espressione
dei compromessi che hanno scandito un certo sviluppo. Il bambino è cresciuto, la persona è
cresciuta, ha ricevuto protezione ma a certe condizioni che però hanno penalizzato la sua
spontaneità, la sua creatività, le sue spontanee possibilità di autorealizzazione. Il buon
educatore o il buon clinico è colui che ripristina delle condizioni di accettazione
incondizionata consentendo alla persona di esprimere pienamente se stessa.. La teoria
centrata sulla persona di Roger è esemplificativa dell’approccio fenomenologico che cerca di
comprendere come le persone sperimentano se stesse e il mondo intorno a sé. Rogers ha
sottolineato le caratteristiche positive, di autorealizzazione della persona. Nella sua ricerca
ha messo in atto uno sforzo disciplinato per comprendere l’esperienza soggettiva (il campo
fenomenico) della persona. Il concetto strutturale fondamentale è il sé, ossia
l’organizzazione delle percezioni e delle esperienze associate al sé, al me, all’io. Rilevante è il
concetto di sé ideale, ossia il concetto di sé a cui la persona ambisce. Rogers mette in primo
piano l’autorealizzazione come motivazione centrale dell’agire umano. L’autorealizzazione
implica un’apertura continua all’esperienza e la capacità di integrare le esperienze in un
senso di sé più ampio e differenziato. Secondo Rogers, inoltre, le persone operano secondo
la coerenza del sé e per mantenere la congruenza tra percezione del sé ed esperienza.
Tuttavia, il ricorso a processi difensivi come la distorsione e la negazione possono impedire
alle esperienze percepite come minacciose per il concetto di sé di giungere alla coscienza.
Vari studi sostengono l’idea che le persone si comportano in modo da mantenere e
confermare la percezione che hanno di se stesse. Le persone hanno bisogno di
considerazione positiva. Quando la considerazione positiva è accettazione incondizionata, i
bambini e gli adulti hanno la possibilità di crescere in un ambiente che favorisce la
congruenza e l’autorealizzazione. Al contrario, dove la considerazione positiva è
condizionata, il potenziale di autorealizzazione viene limitato. Nei giudizi che i bambini
danno di se stessi sono influenzati dal processo di approvazione riflessa. I genitori di bambini
con un’elevata autostima sono amorevoli e accoglienti, ma sono anche chiari e coerenti
nelle loro richieste. Il lavoro di Rogers è parte del movimento psicologico umanistico la cui
caratteristica di base consiste nell’enfatizzare il potenziale di crescita insito nelle persone.
Differenze individuali nell'esperienza affettiva.
La ricerca sulle differenze individuali nell'affetto ha portato allo studio di ampie dimensioni
dell'esperienza affettiva, ovvero gli aspetti dell'umore. Infatti è riconosciuto che l'umore
varia in connessione agli stati d'animo caratterizzati come buoni o cattivi e dunque per
descrivere le variazioni nell'affetto è essenziale una dimensione bipolare positività-negatività.
Un'altra dimensione importante riguarda le variazioni di attivazione che accompagnano stati
affettivi differenti, contrapposta alla mancanza di attivazione. Essi infatti distinguono sia gli
affetti negativi (es. noia piuttosto che rabbia) sia quelli positivi (piacere piuttosto che estasi).
È stato visto però che positività e negatività sembrano essere dimensioni indipendenti e non
poli opposti della stessa dimensione, questo perché persone che sperimentano un grado
notevole di affetto positivo possono sperimentare anche un grado notevole di affetto
negativo. I primi a sostenere questa ipotesi sono stati Zevon e Tellegen i quali hanno
osservato dai risultati delle loro ricerche che nonostante positività e negatività possano
essere inversamente correlate, nel lungo periodo i livelli medi di esperienza affettiva
risultano relativamente indipendenti. Questa indipendenza può dipendere dalle differenze
individuali nell'intensità dell'affetto, ovvero l'intensità con cui le persone vivono gli stati
emozionali. Green successivamente critica l'indipendenza di affetto positivo e negativo e
correggendo gli errori di misurazione, ha potuto confermare che l'esperienza affettiva è
bipolare, avendo osservato come in un qualsiasi test, due dimensioni separate sono in grado
di spiegare meglio la variabilità nell'esperienza affettiva piuttosto che un singolo fattore.
Barrett e Russell hanno dimostrato che le scale di affettività positiva e affettività negativa
di Watson sono indipendenti e non bipolari per il fatto che l'affettività negativa e positiva
non sono la stessa cosa dell'affetto negativo e dell'affetto positivo, ma colgono solo un
sottoinsieme dell'esperienza affettiva ovvero quello che implica alti gradi di attivazione.
Dunque sono necessarie due dimensioni per descrivere le differenze individuali nell'affetto,
mentre una singola dimensione non coglie una parte importante della variabilità.
Teoria del modellamento differenza tra acquisizione e prestazione.
(parla in generale di Bandura con una piccola intro) L'autore evidenziò come
l'apprendimento non implicasse esclusivamente il contatto diretto con gli oggetti (come
sosteneva l'approccio comportamentista tramite condizionamento operante) , ma avvenisse
anche attraverso esperienze indirette, sviluppate attraverso l'osservazione di altre persone.
Bandura ha adoperato il termine modellamento (modelling) per identificare un processo di
apprendimento che si attiva quando il comportamento di un individuo che osserva si
modifica in funzione del comportamento di un altro individuo che ha la funzione di modello.
Infatti bisogna distinguere l'acquisizione dalla prestazione: la prima si riferisce al fatto che
indipendentemente dai premi e dalle punizioni che conseguono un comportamento, nel
momento in cui i bambini sono esposti alla visione di un'azione, essi apprendono quel
determinato comportamento ,a prescindere dalla sua messa in atto. Al contrario la
prestazione è basata su un sistema di punizioni o premi, e al riguardo è esemplificativo
l'esperimento della bobo doll. Infatti quando i bambini erano esposti alla visione di un
comportamento aggressivo che veniva successivamente premiato, essi tendevano in una
situazione successiva a imitare il comportamento appreso dal modello; al contrario i bambini
che osservavano una punizione conseguente al comportamento, desistevano dall'imitarlo e
dunque di mettere in atto una prestazione.
Bandura sintetizza una serie di proprietà agenti in una situazione di modellamento, che
influiscono nell'impatto delle informazioni apprese sulla prestazione: la somiglianza delle
prestazioni, la somiglianza delle caratteristiche personali tra osservatore e modello, la
molteplicità e varietà dei modelli, ed infine la competenza del modello. Viene individuata
come caratteristica fondamentale dell'apprendimento osservativo (o apprendimento vicario)
l'identificazione che si instaura tra modello e modellato. Più essa sarà elevata, più
l'apprendimento avrà effetto sulla condotta del modellato.
Coscienza di sè: flow
La ricerca sull'esperienza cosciente si è occupata principalmente di studiare le
differenze individuali nelle tendenze cognitive abituali, ma non solo, un altro obbiettivo
che si pone è quello di esaminare le variazioni dell'esperienza nel tempo e nei diversi
contesti. Per questo sono state impiegate varie tecniche: in un primo momento si è
cercato di esaminare le esperienze coscienti tramite la descrizione dei contenuti di
esperienza coscienti così come sono occorse ( tecnica del pensare ad alta voce) ma
questa tecnica non è possibile da applicare in contesti sociali naturali. In alternativa, è
stato sviluppato il metodo del campionamento dell'esperienza che esamina le
esperienze coscienti mentre le persone sono impegnate in attività quotidiane. I
soggetti in questione indossano un cerca persone per tutta la durata dello studio, e
vengono contattati ad intervalli di tempo casuali, nei quali i partecipanti devono
fornire tramite questionario, un resoconto sui loro pensieri e le loro emozioni in quel
momento, questo perché la prossimità temporale tra gli eventi ed il resoconto non
permette ai soggetti una distorsione delle loro esperienze soggettive. Proprio
utilizzando questa tecnica, Csikzentmihalyi e colleghi hanno testato la loro teoria del
flusso (Flow). Il flow è uno stato di attenzione continua durante un'attività finalizzata,
infatti secondo tale teoria gli stati di flow sono favoriti da compiti che impegnano ma
che non superano la soglia di capacità delle persone, e sono caratterizzati da obbiettivi
e feedback chiari. Infatti da una delle loro ricerche è risultato che le persone si
sentivano molto più attivate positivamente quando svolgevano compiti impegnativi per
i quali ritenevano di possedere le abilità necessarie a svolgerli, soprattutto nei contesti
di lavoro (ma anche nelle attività durante il tempo libero). Dalle ricerche sono emersi
due aspetti importanti sul flow: 1) le condizioni necessarie per cui il flow viene attivato,
ovvero feedback chiari e percezione di saper affrontare il compito, coincidono con le
condizioni di massima motivazione e prestazione identificate nel concetto di
goal-setting e autoregolazione. Infatti se le persone si percepiscono come efficaci,
compiti difficili non risulteranno degli ostacoli insormontabili ma delle sfide gratificanti e
stimolanti. 2) fornisce nuovi elementi sulla coerenza transituazionale delle tendenze
personali, ovvero che l'esperienza soggettiva non può essere predetta solo sulla base
del contesto in cui una persona è impegnata (es. a lavoro) ma conoscendo il livello di
impegno che sperimentano, indipendentemente dal luogo.
Modelli eysenck e gray
Questi due autori hanno cercato di riunire i due principali filoni di ricerca (pavloviana e
psicologia della personalità occidentale) indagando come possiamo parlare di differenze
individuali anche indagando i sistemi cerebrali.
Eysenck: indagò:
il ruolo del sistema reticolare ascendente (ARAS) rispetto all'introversione-estroversione,
il ruolo del sistema limbico rispetto al nevroticismo.
Egli basandosi sulle scoperte di Moruzzi e Magoun sull'ARAS, i quali avevano osservato
l'implicazione di questo sistema in una varietà di funzioni psicologiche come le emozioni, la
cognizione ed il condizionamento, ipotizzò che gli introversi fossero caratterizzati da un alto
livello di attivazione del circolo cortico-reticolare e dunque più eccitati a livello corticale degli
estroversi. Per questo possiamo spiegarci come gli introversi non hanno bisogno di elevate
stimolazioni dall'esterno poiché si raggiungerebbero livelli di eccitazione troppo alti
(considerando quelli interni). Al contrario gli estroversi hanno bisogno di un supplemento
ambientale per raggiungere un livello di stimolazione equilibrata. Per quanto riguarda il
nevroticismo invece egli ipotizzò che riflettesse i livelli di eccitazione del sistema limbico, in
particolare che le persone con elevati livelli di nevroticismo possedessero un sistema limbico
più sensibile allo stress. Egli dunque pone come elemento di base delle differenze individuali
l'eccitazione, facendo una distinzione tra eccitazione generale (prodotta dall'ARAS) ed
eccitazione autonomica, prodotta dal sistema limbico, chiamandola attivazione.
Gray: ha proposto una teoria della personalità basata su due dimensioni: ansia e impulsività.
A livello psicometrico tali dimensioni sono state concepite come una rotazione delle
dimensioni di estroversione e nevroticismo di Eysenck, ovvero l'ansia va dal polo
dell'estroversione stabile a quello dell'introversione nevrotica, al contrario l'impulsività va
dall'estroversone nevrotica all'introversione stabile.. Però le rispettive basi biologiche sono
differenti. Egli sostiene che sistemi fisiologici diversi elaborano da un lato segnali di
punizione e di assenza di premio, dall'altro i segnali di premio e di assenza di punizione. I
primi sono elaborati da un sistema di inibizione che attiva la paura e l'ansia impedendo il
comportamento. Il secondo è elaborato da un sistema di avvicinamento che attiva il
comportamento di approccio. Infine vi è il sistema di lotta-fuga che risponde a stimoli
negativi incondizionati e attiva comportamenti aggressivi e di fuga. Gray in particolare
dedica i suoi studi a chiarire la natura del sistema di inibizione, e delle emozioni di paura e
ansia. Egli colloca il sistema di inibizione nel sistema settoippocampale e suggerisce di
studiare questo luogo per comprendere le differenze tra persone con livelli elevati o bassi di
suscettibilità all'ansia. Infatti secondo Gray, le differenze individuali nell'ansia sono dovute
alle differenze nella reattività del sistema di inibizione, e che le differenze individuali
nell'impulsività sono dovute a differenze di reattività del sistema di avvicinamento. Invece lo
psicoticismo può riflettere differenze individuali nella reattività del sistema lotta-fuga.
Processi di autovalutazione nella teroria social cognitiva.
Ogni individuo è tendenzialmente propenso a valutare l'importanza e il valore delle proprie
azioni, questo perché non possiamo fare a meno di essere emotivamente coinvolti con
sentimenti ad esempio di soddisfazione oppure di vergogna. Questa capacità, chiamata di
autovalutazione, si sviluppa precocemente a partire dal secondo anno di vita quando
sviluppiamo il senso morale, ovvero siamo in grado di comprendere quali azioni sono giuste
e quali sono sbagliate comportando l'approvazione o meno da parte dei genitori. Kagan
osserva che questi processi di autovalutazione sono molto complessi e richiedono
l'integrazione di alcune abilità, come avere consapevolezza di sé stessi (oltre che degli altri),
oppure riflettere sulle azioni passate ecc.. Queste e molte altre abilità sono peculiari della
specie umana. Nel corso dello sviluppo entriamo a contatto con il mondo sociale che cerca di
trasmettere i propri standard sociali, i quali vengono interiorizzati ed utilizzati come criteri di
valutazione personale. Questi modelli sociali influenzano fortemente i nostri standard, se
infatti osserviamo modelli che adottano standard sociali severi per la valutazione della
propria prestazione, essi entreranno a far parte degli standard di base per le loro
autovalutazioni. Quindi questi standard sono un meccanismo di base della motivazione,
poichè spingono le persone ad aumentare i loro sforzi fino a quando non giudicano il proprio
comportamento conforme agli standard personali di prestazione. Gli standard sono di natura
cognitiva dato che costituiscono delle rappresentazioni mentali di ciò che può essere
considerato desiderabile o indesiderabile, però essi influenzano anche i processi affettivi.
Infatti spesso ci possiamo sentire "male" o "bene" quando il nostro comportamento non è
oppure è conforme ai nostri standard. Quando siamo in grado di raggiungere elevati livelli di
prestazione sperimentiamo sentimenti positivi verso noi stessi. In questo caso attiviamo
delle reazioni autovalutative emotive che sono un altro elemento di base della motivazione,
infatti le persone conoscono in anticipo e affrontano le sfide che le renderanno soddisfatte
di sé. Questo avviene nel momento in cui vi è una consonanza concettuale tra un'idea
(standard) e l'azione scelta, e per questo quando si realizza questa consonanza la persona
sperimenta un sentimento di piacere perché il suo comportamento è in accordo con uno
standard che egli ritiene buono.