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Una storia di incredulità prefazione Donati

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Fabio Pisano
Una Storia
di Impossibilità
[ovvero “De/Frammentazione di Dramma Assoluto
con Incursioni a Latere di Io Epico”]
collana Scena muta
Edizioni Progetto Cultura
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Presentazione della collana Scena muta
"se il teatro sacro crea un mondo
in cui una preghiera è più reale di un rutto,
il teatro ruvido fa l'opposto: ruttare è reale e pregare è comico"
Peter Brook
Usciamo in scena.
Da qualche parte.
In qualche tempo.
Le parole per dirlo
ma anche quelle per non dirlo.
Cercare.
Il teatro è cercare. Ma lo scopo non è trovare.
Apriamo una cava.
Dove cercare.
Ecco cosa.
Un luogo dove provare a cercare.
Trovare, o perché no, perdere.
Una cava dove scavare le parole.
Il teatro non dà soluzioni concretizza problemi.
Scena muta. Il cavo orale.
Vuoto. Il cavo orale. Si riempie di afasia.
Si riempie di parole.
Si colma di gesti.
La cavea. Muta.
Si riempie di suono.
Teatro è perdere. Cercare e buttare via. Trovare assenze.
Teatro è perdita.
La necessità della perdita.
Ma non ha valore. Non ha prezzo. Il cercare.
Cercare non è solo immagini e suoni. Cercare le parole. Ecco.
Dovevamo saperlo che non sarebbe andata a finire.
Avremmo continuato.
Apriamo un luogo dove sognare
le parole indispensabili e inutili.
Per gridare o tacere magari sussurrare.
Le parole per continuare a cercare.
Chiunque voglia cercare.
adriano marenco
Prefazione
di Lorenzo Donati
Una storia di incredulità
Un testo teatrale è ancora oggi quella forma artistica che con un certo
grado di ardimento ambisce a “rifare l’umano”. Nella concezione classica
al centro sta il dialogo fra due o più persone, ma di rivoluzioni stilistiche
ne sono avvenute parecchie e in un testo troviamo voci liriche, lacerti narrativi non identificabili e da interpretare, monologhi interiori, inserti extradiegetici che si rivolgono direttamente a chi legge e molto altro ancora.
Fabio Pisano questo lo sa bene, fine conoscitore di quel frammentarsi
“epico” che già Péter Szondi segnalava come origine della crisi del
dramma, ma anche dell’erosione dei contorni finzionali ascrivibili agli
orizzonti del cosiddetto “postdrammatico”1. Il suo _Una Storia di Impossibilità_ [ovvero “De/Frammentazione di Dramma Assoluto in Incursioni a
Latere di Io Epico”], omaggiando esplicitamente gli studi di Szondi, è un
testo che funziona come esperimento teatrologico perché differenti funzioni drammaturgiche vi operano anche in senso auto riflessivo. Ci sono
tre personaggi dentro a un triangolo amoroso e riproduttivo generato in
vitro per sopperire alle mancanze della natura, lo sviluppo dei fatti è presentato “a ritroso” come in uno smontaggio temporale di un Thornton
Wilder, ma è venato dal pulsare di passioni torbide di uno Strindberg, che
conducono alle origini del dramma borghese; i personaggi sono però “di
cartone”, bidimensionali perché scavando nelle loro psicologie non si disseppelliscono delle vere spiegazioni, sono descritti come «assoluti» già
nel titolo, inconsapevoli del mondo fuori, manovrati da un «didascalista»
che come loro opera nel tessuto dialogico ma può pure spostarsi nei meandri della vicenda, come un narratore onnisciente. A prendere la parola
è il didascalista, è lui a creare un contesto raccontando taluni episodi del
passato dei personaggi, spostando le vicende per farci capire e commentando, deridendo, ammiccando, disilluso sulle possibilità dei meccanismi
finzionali classici. È l’istanza epicizzante Szondiana ai tempi dell’autofiction, fenomeno che nel suo essere sia letterario che sociale2 trasmette
l’immediata sensazione di un flusso tipico del nostro presente, ma che
chiede al contempo di farsi materico e incarnato: che aspetto avrà, il didascalista? Come è vestito? Quali gesti accompagnano la sua sagacia?
Ciondola, sta seduto, si muove nervoso, forse un po’ impasticcato? Sta a
latere della scena, annoiato? Certamente commenta e addirittura chiosa
criticamente il “suo” stesso testo, ma lo straniamento postdrammatico
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non raffredda la nostra partecipazione, al contrario invita a costruirci un
personalissimo teatro mentale. La vicenda presentata all’inizio si ricostruisce à rebours, il concepimento ha diversi prezzi da pagare con conseguenze
in ogni caso nefaste. Grazie alle manovre del didascalista torniamo indietro,
ma non troviamo i motivi che hanno originato le relazioni malate, a rimanere è l’ineluttabilità del desiderare che ci rende umani e che a conti fatti
probabilmente s’impone sulla frammentazione epica e “post-”, sulla razionalità del dramma ma anche sull’intelligenza dell’epica.
Nel precedente testo Hospes, -ĭtis Pisano ritraeva la vita quotidiana in
una clinica di malati terminali, dando forma a personaggi venati di cinismo e disperata ilarità fra Beckett e Houellebecq; anche questa Storia di
impossibilità è pervasa da un certo gusto del racconto, un innamoramento
delle storie e degli intrecci extra-ordinari, come la Celeste di un’altra sua
pièce, ebrea che collaborò volontariamente con i nazisti. Questa De/Frammentazione guarda il mondo con il chiaro intento di scioglierne gli avviluppi, presentando gli esiti di fronte a chi legge, una postura che si fa
anche persuasione nelle (residue?) possibilità dell’arte. Non tutti i conti
possono tornare, eppure la scelta non è replicare le afasie e i vicoli ciechi
di senso del mondo (opzione praticata e tutt’ora fertilmente in campo soprattutto grazie alla precedente ondata di drammaturghi, la “Generazione
Tondelli”3), ma si coltiva l’ambizione di “rifarlo”, il mondo, generandone
una copia con regole che vigono solo sulla carta, e nel teatro (e non a caso,
insieme a non molti altri teatranti italiani, Pisano scrive per la scena ma
anche “per la pagina”, avendo a cuore l’esito letterario al pari di quello
scenico). Dove un’opaca ambizione a realizzarsi sembra essere l’unica
spiegazione ai comportamenti maligni, dove cinismo e incanto convivono
nella stessa quantità di sagacia, dove azioni eterodirette scavano fino a
svelare amori inconfessati, qui, in questo flusso che arriva a sospendere
la nostra flebile incredulità di lettori, qui e ora, al cospetto di personaggi
dichiaratamente finti incalzati da didascalisti arrogantemente veri noi
torniamo a credere nelle possibilità del teatro, e delle sue scritture.
1 - Cfr. Péter Szondi, Teoria del dramma moderno 1880-1950, Torino, Einaudi, 2000; Hans-Thies Lehmann, Il teatro postdrammatico, Imola, Cue
Press, 2017.
2 - Carlo Mazza Galanti, Autofinzioni, in “Minima et Moralia”, 8 luglio
2010, http://www.minimaetmoralia.it/wp/autofinzioni/
3 - Dario Tomasello, La drammaturgia italiana contemporanea. Da Pirandello al futuro, Carocci, Roma, 2016
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Una Storia
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