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Ioannis Zizioulas. Eucaristia e regno di Dio

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Ioannis Zizioulas
EUCARISTIA
E REGNO DI DIO
Edizioni Qiqajon
Comunità di Bose
Nella stessa collana SPIRITUALITÀ ORIENTALE
Matta el Meskin, Comunione nell’amore
AA.VV., Abba, dimmi una parola! La spiritualità del deserto
I. Balan, Volti e parole dei padri del deserto romeno
P. Evdokimov, Serafim di Sarov, uomo dello Spirito
P. A. Florenskij, Il sale della terra. Vita dello starec Isidoro
Silvano dell’Athos, Non disperare! Scritti inediti e vita
G. Bunge, La paternità spirituale
G. Bunge, Vasi di argilla. La prassi della preghiera personale
AA.VV., Amore del bello. Studi sulla Filocalia
AA.VV., Nil Sorskij e l’esicasmo
AA.VV., San Sergio e il suo tempo
V. Lossky, Conoscere Dio
I. Zizioulas, Il creato come eucaristia
K. Ware, Riconoscete Cristo in voi?
G. Khodr’, Nella nudità di Cristo
Invieremo gratuitamente
il nostro Catalogo generale
e i successivi aggiornamenti
a quanti ce ne faranno richiesta.
AUTORE:
TITOLO:
COLLANA:
FORMATO:
PAGINE:
TITOLOORIGINALE:
TRADUZIONE:
INCOPERTINA:
Ioannis Zizioulas
Eucaristia e regno di Dio
Spiritualità orientale
20 cm
96
“Eucharistía kaì Basileía toû Theoû”, in Synaxi 49, 51 e 52
(1994), pp. 7-18, 83-101 e 81-97
dal greco a cura di Antonio Ranzolin, Lino Breda e Riccar­
do Larini
Sieger Köder, Emmaus
© 1996 EDIZIONI QIQAJON
COMUNITÀ DI BOSE
13050 MAGNANO (BI)
ISBN 88-85227-89-9
IOANNIS ZIZIOULAS
METROPOLITA DI PERGAMO
EUCARISTIA
E REGNO DI DIO
EDIZIONI QIQAJON
COMUNITÀ DI BOSE
PREFA ZIO N E
Due anni or sono decidemmo di proporre per la prima
volta in lingua italiana un saggio di Ioannis Zizioulas,
Metropolita ortodosso di Pergamo, a noi molto caro. G li
echi avuti a II creato come eucaristia, riflessione sulla
dimensione antropologica e cosmologica dell’eucaristia,
ci hanno confermato nella nostra convinzione che la teo­
logia dell’occidente ha molto da attingere al pensiero di
colui che Yves Congar ha definito “uno dei teologi più
originali e più profondi della nostra epoca
Grande conoscitore dei padri della chiesa, formatosi
alla scuola di uno dei massimi studiosi ortodossi di que­
sto secolo, Georgij Florovskij, per molti anni teologo
laico impegnato nei dialoghi ecumenici per conto della
sua chiesa, docente di teologia presso l ’Università di Tes­
saIonica e il King’s College di Londra, nel 1986 fu elet­
to Metropolita di Pergamo, a coronamento di un mini­
stero di profonda fedeltà alla Parola e alla tradizione
portato avanti per tutta una vita.
Forse non vi e espressione più efficace per riassumere
l ’orientamento della teologia di Zizioulas di quella che
egli stesso ha scelto per aprire questo studio, attingen­
dola dagli Scholia sulla Gerarchia ecclesiastica dell’Areopagita di Massimo il Confessore: “Ombra infatti so­
no le cose dell'Antico e immagine quelle del Nuovo Te­
5
stamento. Verità è la condizione delle cose future’’. Il
Metropolita di Pergamo infatti non percepisce l'escatolo­
gia cristiana come un settore specialistico della teologia
sistematica, come un ramo qualsiasi della riflessione teo­
logica: per lui gli éschata sono ciò che dà tensione e, so­
prattutto, forma a ll’intera speculazione teologica.
Solo prendendo atto che la pienezza della verità ci sta
davanti e non ci è mai data una volta per tutte è possi­
bile sfuggire sia alla pretesa di un possesso della verità
- che spesso si mostra essere unicamente strumentale alla
piena affermazione del desiderio di onnipotenza dell’uo­
mo - sia al tentativo di imporre agli altri una visione
delle cose che pretende di essere “vera per tutti” ma che
viene radicalmente contraddetta proprio da questa nega­
zione dell’alterità.
Una verità dunque che sta innanzi, che getta conti­
nuamente una luce nuova e vivificante sui rapporti fra
gli uomini e fra le chiese, lasciando sempre aperta la
porta del perdono e della riconciliazione, perché perdo­
no e riconciliazione sono offerti a ll’uomo in Gesù Cri­
sto, che di questa verità che ci attende è la realizzazione
offerta già ora e la speranza certa estesa a tutti gli uomini.
Fin dagli inizi la tradizione orientale ha percepito nel­
la celebrazione eucaristica questa tensione dinamica fra
la rivelazione dell’economia divina in Gesù Cristo e il
suo giungere a compimento nell'éschaton; a partire dal­
la tradizione, dunque, Zizioulas ci accompagna alla sco­
perta dell’eucaristia come rappresentazione iconica del
regno, come necessario fare memoria di tutta l ’econo­
mia di salvezza, dalla creazione fino alla seconda venuta
di Cristo, alla fine dei tempi.
Così, attraverso una rilettura sapiente della liturgia e
delle sue interpretazioni patristiche, siamo portati a rive6
dere e ad ampliare le nostre concezioni, spesso fortemen­
te riduttive, dell’eucaristia. Poco alla volta, siamo con­
dotti a scoprire perché nell’oriente cristiano la liturgia è
percepita come il luogo eminente in cui la fede si ali­
menta, vive, viene professata, approfondita e tramandata.
Speriamo allora che questo testo aiuti tutti noi a ri­
scoprire in profondità, a partire dalla nostra tradizione,
come davvero l ’eucaristia sia il cuore della nostra vi­
ta spirituale e il modello della preghiera cristiana. E spe­
riamo anche che per le chiese cristiane e per ogni fedele
la celebrazione dell’eucaristia diventi sempre più un ren­
dere visibile quella riconciliazione annunciata profetica­
mente nella Scrittura, compiuta in Cristo e alla quale
tende tutta la creazione.
7
Ombra infatti sono le cose dell’Antico
e immagine quelle del Nuovo Testamento.
Verità e la condizione delle cose future.
Massimo il Confessore
EU C A R IST IA E R E G N O DI DIO
La divina eucaristia è icona del regno di Dio, icona
degli éschata. Nulla vi è di più evidente di questo nel­
la liturgia ortodossa. La nostra liturgia inizia con l’in­
vocazione del regno, continua con il rappresentarcelo
e termina con la nostra partecipazione al suo ban­
chetto: con la nostra unione e comunione alla vita del
Dio trinitario.
Paradossalmente, però, la nostra teologia in tempi
recenti non sembra aver attribuito l’importanza do­
vuta alla dimensione escatologica dell’eucaristia. Suo
principale interesse sembra essere il rapporto dell’eu­
caristia non tanto con gli éschata quanto con il passa­
to, con l’ultima cena e con il Golgota. Forse si tratta
di una ancor grave influenza della “ cattività babilone­
se” che la teologia ortodossa ha patito, come si espri­
merebbe l’indimenticabile padre Georgij Florovskij1.
La teologia occidentale, cattolica e protestante, ha in
effetti focalizzato il proprio interesse sulla relazione
eucaristia-Golgota, poiché in occidente, il cui vertice
1
A. Schmemann nel suo libro L ’Eucharistie: Sacrement du Royaume,
Paris 1985, critica aspramente la teologia accademica e delle facoltà uni­
versitarie in relazione ad altri aspetti della teologia eucaristica da loro
elaborata; si tratta di una critica che merita un’attenzione particolare.
è da individuare nella teologia di Anseimo, la quin­
tessenza dell’economia divina si trova nel sacrificio di
Cristo sulla croce2. Da lì sgorga tutto e ad esso tutto
conduce. Il regno è qualcosa che concerne esclusivamente il termine della storia, non il suo presente. La
risurrezione di Cristo non è, per la teologia occidentale nel suo complesso, che una conferma dell’opera
salvifica della croce; l’essenziale si è già consumato in
quel sacrificio. Del resto, il momento fondamentale e
costitutivo dell’eucaristia risiede, per gli occidentali,
nella ripetizione delle parole istitutive del sacramen­
to: “ Prendete e mangiate, questo è il mio corpo
e non nell’epiclesi dello Spirito santo, la cui presen­
za è imprescindibilmente legata al sopraggiungere de­
gli “ ultimi giorni” (At 2,17).
In tal modo l’interrogativo che ha impegnato per
secoli la controversia tra cattolici e protestanti in occi­
dente è se l’eucaristia sia o non sia la ripetizione del
sacrificio del Golgota, e non se essa sia icona delle
realtà escatologiche. In questa problematica si è invi­
schiata anche la teologia ortodossa, a partire princi­
palmente dal XVII secolo (cf. le Confessioni ortodosse
di Pietro Moghila, Cirillo Lukaris, Dositeo di Gerusa­
lemme, e così via), con l’effetto di trascurare la relazio­
ne che unisce l’eucaristia agli éschata, al regno di Dio.
Simile tendenza a dimenticare il significato escato­
logico dell’eucaristia non ci interesserebbe se non fos­
2
II cattolico romano Maurice de la Taille, nella sua monumentale
opera Mysterium Fidei de Augustissimo Corporis et Sanguinis Christi Sacrifi­
cio atque Sacramento, Paris 19 21, p. 58 1, è chiaro: la res tantum, cioè il
senso ultimo dell’eucaristia e di tutti i sacramenti, è la nostra unione con
il sacrificio di Cristo sulla croce. Lo si confronti con quanto si riporterà
sotto di Massimo il Confessore.
se gravida di p e san ti conseguenze che toccano il m o­
do della sua celebrazione, la p ie tà dei fedeli e tu tta
la v ita della chiesa. È necessario, p e rta n to , so tto lin e a ­
re ed evidenziare anche oggi, nella n o stra coscienza,
il rap p o rto eucaristia-regno, rap p o rto che, p u r visib il­
m en te e v id en te nella n o stra liturgia, te n d e a sparire
o a in d eb o lirsi sotto il peso di p ro b lem atich e e form e
di p ie tà di altra n a tu ra , con l ’e ffe tto che ci lascia­
m o adescare da concezioni estran ee alla vera tra d izio ­
ne o rto d o ssa rite n e n d o p e r g iunta, m olte volte, di d i­
fen d ere l ’orto d o ssia, m en tre nella sostanza rip ro d u ­
ciam o e p ro p o n iam o m odi di in te n d e re che esulano
to ta lm e n te dalla sua trad izio n e.
I d ati biblici
N o n sono necessari g ran d i sforzi p e r provare il ca­
ra tte re escatologico d e ll’eu caristia nel N uovo Testa­
m ento. G ià la descrizio n e d e ll’u ltim a c e n a 3 nei v an ­
geli ci o rie n ta verso il regno di D io. I D o d ici p a rte ­
cipano al b a n c h e tto com e p refigurazione del nuovo
Israele; p e r q u esto l ’evangelista Luca in co rp o ra nella
n arrazio n e d e ll’u ltim a cena il d e tto di C risto ai D o d i­
ci: “ E io p reparo p e r voi u n regno, com e il Padre l ’ha
prep arato p er m e, perché possiate m angiare e bere
alla m ia m ensa n el m io regno, e siederete in tro n o a
giudicare le d o d ici trib ù di Israele” (Lc 22,29-30).
3 Mystikòn deîpnon (cena mistica), nel testo greco. È così infatti che
viene chiamata nella tradizione ortodossa 1’“ultima cena” dei latini
[N.d.T.].
13
Q u e sto passo, com e vedrem o p iù avanti, è assai im ­
p o rta n te p er la genesi e la configurazione dei m in iste ­
ri liturgici e p iù in generale ecclesiali. Per il m om en­
to segnaliam o il fatto che l ’u ltim a cena fu u n even­
to escatologico, collegato in d isso lu b ilm en te al regno di
D io. È p er tale ragione che nel corso di essa C risto si
riferisce espressam ente e con u n a p a rtico lare in te n ­
sità em otiva al regno: “H o d esiderato ard e n tem e n te
m angiare q u esta pasq u a con voi, p rim a della m ia p a s­
sione, po ich é vi dico: n o n la m angerò p iù , fin c h é essa
n o n si com pia n e l regno di D io ... Poiché vi dico: da
qu esto m om ento n o n b e rrò p iù del fru tto della v ite
fin c h é non venga i l regno di D io ” (Lc 2 2 ,1 5 -1 6 .1 8 e
paralleli).
N ella cornice dal c a ra tte re fo rte m e n te escatologi­
co che c o n tra d d istin g u e l ’ultim a cena nei vangeli, il
com ando d i C risto ai discepoli: “ F ate q uesto in m e­
m oria di m e ” n o n può n o n essere in relazione con
il regno di D io. C om e già h a n n o osservato e m in e n ti
esegeti (J. Je re m ia s4 e altri), il d ato p iù p ro b ab ile è
che l 'aná mnesis (m em oria) di cui p arla q u i il Signore
si riferisca all'aná mnesis d i C risto d in an z i al tro n o di
D io nel regno fu tu ro . L ’aná mnesis eucaristica è cioè
essenzialm ente u n ’aná mnesis, u n a p refigurazione, p re ­
gustazione e “p re -d o n o ” del fu tu ro regno d i C risto,
fatto che, com e vedrem o tra breve, la d iv in a liturgia
del C risostom o, celebrata nella n o stra chiesa, esprim e
con u n a chiarezza provocatoria p er la logica com u­
ne. P e rta n to L'aná mnesis d e ll’u ltim a cena e, p er e s te n ­
4 Nella sua classica opera Die Abendmahlsworte Jesu, particolarmente
nella terza edizione, Göttingen 1960 (tr. it.: Le parole dell'ultima cena,
Brescia 1973).
14
sione, d e ll’eucaristia, è aná mnesis n o n solo di eventi
p assati, m a anche d i eventi fu tu ri, cioè del regno di
D io 5 quale vertice e pienezza di tu tta la storia salvifica.
M a il d ato p iù rilev an te p e r la c o n ferm a del ca ra t­
tere escatologico d e ll’e u c aristia è il fatto che le radici
d i q u e s t’u ltim a si trovano sto ricam en te n o n solo n el­
l ’u ltim a cena, m a anche nelle ap p arizio n i d i C risto
d u ran te i q u a ra n ta gio rn i che seguono la risu rrezio n e.
N el corso d i tali ap p arizio n i assistiam o all’atto dello
“ spezzare il p a n e ” e a p a sti del R iso rto con i discepoli
(cf. L c 24; G v 21). L ’atm o sfera che regna è di festa,
d ato che la risu rrezio n e h a d im o strato la v itto ria di
D io sui suoi nem ici, l ’apparire cioè del regno di C ri­
sto nella storia. N o n a caso Luca negli A tti degli A p o ­
stoli (2,46) sotto lin ea com e la chiesa p rim itiv a cele­
brasse l ’eu caristia “con le tiz ia ” . S oltanto la risu rre ­
zione e la p aru sia giu stifican o o p iu tto sto im pongono
u n a sim ile letizia.
Q u e sto o rie n tam e n to escatologico d e ll’e u c aristia è
ev id en te nelle p rim e co m u n ità eu caristich e. L ’espres­
sione aram aica m arana’ th a ’ (1C o r 16,22), che sen­
5 L’espressione “regno dei cieli” non dev’essere intesa come una spe­
cie di condizione statica al di sopra della terra (una specie di realtà plato­
nica intelligibile o ideale). Si tratta, molto semplicemente, di una para­
frasi dell’espressione “regno di Dio”, dato che la locuzione “i cieli” para­
frasa il termine “Dio”, termine che i cristiani di provenienza giudaica
evitano, per ragioni legate al rispetto, di utilizzare (si veda l’evangelo di
Matteo, dove la frase ricorre 31 volte; cf. J. Jeremias, Teologia del Nuovo
Testamento I, Brescia 1972, p. 118). Si ritiene necessaria tale osservazio­
ne perché, molto spesso, nella mente dei fedeli l’espressione “regno dei
cieli” viene tradotta “regno celeste”, con una contrapposizione spaziale e
sovente platonica con quanto è o si compie sulla terra; cf. quanto verrà
detto più avanti. Nel NT, come osserva J. Jeremias (Teologia del Nuovo Te­
stamento I, p. 123): “sempre e dovunque basileía ha un significato escato­
logico, indica il tempo della salvezza, il compimento del mondo, la re­
staurazione dell’amicizia infranta tra Dio e l’uomo”.
15
za alcun d u b b io co stitu isce u n te rm in e liturgico-euc aristico , h a u n c o n te n u to escatologico (il Signore è
vicino, o v iene, o verrà). L ’apostolo Paolo, nella r i­
p e tiz io n e delle parole eu caristich e del Signore ( 1C or
11,23-26), aggiunge il rife rim e n to alla seconda v en u ta
di C risto (“ finché egli ven g a”)6. L ’A pocalisse d i G io ­
vanni, che è b asilarm en te u n testo eu caristico e che
sem bra aver in flu ito sulla fo rm azio n e della liturgia o r­
todossa, n o n solo considera l ’e u c aristia icona del re ­
gno, qualcosa che h a luogo d in an z i al tro n o di D io e
d e ll’A gnello, m a si conclude anche con u n a c ce n tu a ­
to rife rim e n to all’a tte sa del fu tu ro escatologico: “ Lo
S pirito e la sposa dicono: ‘V ie n i’. E chi ascolta ripeta:
‘V ieni’ ... A m en. Vieni, Signore G esù ” (Ap 22,17.20).
Q u e s t’in te n sa a tte sa delle rea ltà escatologiche si è
eclissata dalla n o stra coscienza eucaristica. E tu ttav ia ,
se il libro d e ll’A pocalisse p e r diverse ragioni n o n è ac­
cessibile ai m em b ri delle n o stre assem blee e u c aristi­
che, u n altro testo che si trova n o n solo al cen tro d el­
la d iv in a liturgia, m a anche sulle lab b ra di tu tti i cre­
d e n ti, d e n tro la liturgia e fu o ri di essa, dov reb b e r i­
cordarci con forza tale attesa. Si tra tta della preghiera
del Signore, il Padre nostro.
Q u e sta preghiera h a orm ai p e rd u to nella n o stra co­
scienza il suo cara tte re sia escatologico sia e u c aristi­
6 II senso del passo è il seguente: “annunciamo la morte del Signore
guardando con gioia alla sua venuta" (J. Moffatt, The First Epistle of Paul
to the Corinthians, New York 1954, p. 169). Cf. At 2,46: en agalliásei,
“con letizia”. La precedente teoria di H. Lietzmann, secondo cui nelle
chiese paoline l’eucaristia veniva celebrata in un’atmosfera di afflizione a
ricordo della morte di Cristo, mentre nella chiesa di Gerusalemme in un
clima di gioia, si dimostra errata. Sia nell’uno sia nell’altro caso l’eucari­
stia era celebrata in un’atmosfera di letizia e di esultanza in ragione del
suo collegamento con il regno.
16
co. E tu tta v ia n o n dovrem m o d im en ticare com e tale
p reghiera n o n solo fosse, fin d a ll’origine, escatologi­
ca, m a com e in o ltre co stitu isse il cen tro e il nucleo
di tu tte le an tic h e liturgie; n o n è poi escluso che la
sua radice storica sia p ro p rio eucaristica. In questa
p reghiera si risc o n tra n o , accen tu atam en te, d u e rife ri­
m en ti agli éschata1 che di solito ci sfuggono. Il p r i­
m o è la p e tiz io n e “ sia san tificato il tu o N om e, v en ­
ga il tu o reg n o ” , che ci rico rd a il m arana' tha' e il
“vieni, S ignore” delle p rim e liturgie eu caristich e. Il
secondo, p iù im p o rta n te, è la p e tiz io n e “dacci oggi
il n o stro p an e epioús io n " . G li esegeti n o n sono ap­
p ro d a ti a conclusioni u n a n im i q u an to al senso di
q u e s t’u ltim a esp ressio n e8. E sisto n o tu tta v ia n u m ero ­
se testim o n ia n z e che p o rta n o alla seguente conclusio­
ne: il p an e che chiediam o con q u esta p reghiera n o n è
il n o stro p a n e q u o tid ian o , com e so litam en te in te rp re ­
tiam o, m a il p a n e eucaristico , che è epioúsios nel sen ­
so di v en ien te, di fu tu ro , cioè del regno fu tu ro . S eb­
be n e q u esta frase della p reghiera del Signore am m etta
diverse in te rp re ta z io n i, il p o sto che con u n a stab ilità
rim archevole ha occupato fin da an n i antichissim i tale
7 Probabilmente anche le altre petizioni come “rimetti a noi i no­
stri debiti” e “non ci indurre in tentazione” hanno un significato escato­
logico.
8La domanda cruciale è se il termine epioúsios provenga da epeînai o
epousía, per cui significherebbe ciò che è indispensabile per la nostra esi­
stenza, o da epiénai, per cui significherebbe il veniente o del giorno che
viene. Dalla contrapposizione, presente nel testo della preghiera, tra
epioúsios e sémeron (oggi), come pure dalle testimonianze di antiche fonti
sia dell’oriente sia dell’occidente, risulta trattarsi del secondo tra i signi­
ficati segnalati. Tuttavia, persino nel caso in cui a essere indicato fosse il
pane quotidiano, è da dire, come osserva E. Lohmeyer (Das Vater-Unser,
Göttingen 1946), che tutti i riferimenti di Gesù al pane e ai pasti presen­
tano un senso escatologico.
17
p reghiera nella celebrazione eucaristica, cioè im m e­
d iata m e n te p rim a della co m u n io n e, testim o n ia che,
alm eno nella coscienza della chiesa an tica, la d o m a n ­
d a del “p a n e epioúsios” n o n si riferisce al p a n e q u o ti­
d iano, m a al b a n c h e tto e al cibo del regno. Q u e sto è
“il p an e disceso dal cielo ” , cioè la carn e o il corpo del
“ Figlio d e ll’u o m o ” (G v 6 ,53), il quale, va so tto lin e a ­
to, è a sua volta u n a figura escatologica. N e ll’e u cari­
stia cerchiam o oggi il p an e “v e n ie n te ” del regno, p an e
del dom ani o fu tu ro .
P otrem m o aggiungere m olti altri elem en ti tra tti d al­
la S c rittu ra , a testim o n ia n z a del c a ra tte re escatologi­
co d e ll’eu caristia e della sua relazione con il regno di
D io. L ’am bito tu tta v ia dove tale relazione viene svi­
lu p p ata in p ro fo n d ità e consolidata nella coscienza ec­
clesiale è rap p resen tato dalla teologia dei p a d ri greci e
dalle liturgie eu caristich e della chiesa antica, che c o n ­
tin u a n o a essere u sate nella n o stra chiesa.
Il regno fu tu ro , causa e arch etip o d e ll’eucaristia
A ll’in te rn o delle ricch e testim o n ia n z e p a tristic h e
in e re n ti al rap p o rto eucaristia-regno scegliam o u n p as­
so realm en te rilevante d i M assim o il C onfessore, p a s­
so che, d a ciò che sappiam o, n o n h a o tte n u to finora
l ’a tte n z io n e che m erita da p a rte dei n o stri teologi.
Q u e sto fram m ento m o stra n o n solo il vincolo in d isso ­
lubile che in te rco rre tra eu caristia e regno, m a anche
il radicale capovolgimento d el concetto di causalità che
caratterizzav a la G recia antica, fatto che prova, al di
18
là d i altre cose, q u a n to in g iu sta e d e stra n ea alla rea ltà
sia la co n cezione, così d iffu sa, in o rd in e all’in flu en za
esercitata su san M assim o d a ll’an tica filosofia greca
(platonica e aristotelica). R ip o rtiam o d a p p rim a il p a s­
so stesso, p e r com m en tarlo p o i in relazione alla n o ­
stra tem a tic a. N e i suoi Scholia sulla G erarchia eccle­
siastica d e ll’Areopagita, M assim o scrive:
[L’Areopagita] ha chiamato immagine delle cose vere
quanto ora si celebra nella sin a ssi... Si tratta di sim­
boli, non di verità ... Dagli effetti: cioè il passaggio
da quanto si celebra visibilmente alle realtà invisibili
e mistiche, che sono cause e archetipi delle realtà
sensibili. Cause, poi, vengono dette quelle realtà che
non hanno in alcun modo da altrove la proprietà di
essere causa. Ovvero: il passaggio dagli effetti alle
cause, cioè dai simboli sensibili alle realtà intelligibili
e spirituali, dunque dalle cose più im perfette alle più
perfette. Dalle figure, cioè, all’immagine, e da questa
alla verità. O m bra infatti sono le cose dell’Antico e
immagine quelle del Nuovo Testamento. Verità è la
condizione delle cose future9.
In q u esto b ra n o M assim o spiega, co n la m o d alità
ch e gli è p ro p ria , il co n c etto d i e u c aristia com e icona
e sim bolo in relazione al co n c etto d i causalità. C iò
c h e si celeb ra n e ll’e u c aristia è “ic o n a ” e “sim b o lo ” d i
“ciò ch e è v ero ” . F in o ad u n c e rto p u n to della le ttu ra
del fram m en to citato ab biam o l ’im pressione d i m uo­
verci in u n ’atm o sfera plato n ica. “ Q u a n to si celebra
v isib ilm en te ” è ico n a e sim bolo delle re a ltà “invisibili
9Scholia in librum de ecclesiastica hierarchia, PG 4,137A-D.
19
e mistiche” ; i simboli sensibili sono icone delle realtà
“ intelligibili e spirituali” . Secondo la concezione pla­
tonica, il mondo sensibile e visibile è immagine di un
mondo stabile ed eterno, il quale, in quanto intelligi­
bile e spirituale, costituisce la verità, il vero mon­
do. Di conseguenza, ciò che si celebra nella liturgia
eucaristica rappresenta e riflette, potremmo dire, la
liturgia celeste celebrata eternamente, che è l’archeti­
po dell'eucaristia terrestre. Questa sarebbe, in effetti,
una concezione tipicamente platonica dell’eucaristia.
Ma Massimo ci riserva, alla fine del passo, una sor­
presa. La celebrazione eucaristica è per lui icona di
una vera eucaristia che non è nient’ altro che “la con­
dizione futura” . La “verità di ciò che ora si celebra
nella sinassi” non risiede in una realtà ideale di tipo
platonico, ma in una realtà del futuro, nel regno futu­
ro. L ’elemento decisivo che rovescia la relazione pla­
tonica tra archetipo e icona è la categoria di tempo.
Per risalire dall’icona al prototipo non dobbiamo fug­
gire dal tempo, ma passare assolutamente attraverso
l’attesa di un “evento” o di uno stato posto cronologi­
camente nel futuro. Ciò trasforma l’intera mentalità
da platonica in biblica. Infatti, mentre per il pensiero
platonico è impossibile passare dall’icona all’archeti­
po attraverso il tempo (come se l’archetipo si trovasse
al termine della storia), per la concezione biblica ciò
è indispensabile. Nell’eucaristia, secondo la concezio­
ne biblica come secondo la visione del Confessore,
sono raffigurate le realtà future, il Veniente e il regno
che da lui verrà stabilito.
Ma questo passo è di notevole importanza anche
perché pone il problema della causalità, rovesciando
in tal modo le concezioni non solo platoniche ma an­
20
che aristoteliche di “ entelechia” 10 e di causalità. Cau­
sa, afferma Massimo, è tutto ciò che non deve in al­
cun modo l’origine del proprio essere a qualcos’altro.
Per l’antico pensiero greco, ma anche per quello oc­
cidentale, come pure per la logica comune, la causa
precede (logicamente ma anche temporalmente) l’ef­
fetto. Nel pensiero di Massimo tuttavia, quanto più
indietro risaliamo nel tempo, tanto più ci allontania­
mo dall’archetipo, dalla causa: l’Antico Testamento è
“ ombra” , il Nuovo è “ icona” e “ la condizione futura”
è la verità. In altri termini l’archetipo, ciò che è la
causa di “ quanto si celebra nella sinassi” , è il futuro.
L ’eucaristia è l ’effetto del regno futuro: è il regno futu­
ro, un evento futuro (la condizione futura), in quanto
causa dell’eucaristia, a conferirle il suo vero essere.
Queste le conclusioni che scaturiscono da uno stu­
dio attento di Massimo. Appresso vedremo il loro si­
gnificato esistenziale perché è questo, in ultima anali­
si, a interessare la teologia, e non la curiosità storica
o filosofica, cui di solito si limitano quanti fanno teo­
logia ai nostri giorni. Per il momento segnaliamo il
fatto che il collegamento biblico tra eucaristia e regno
non solo non si è indebolito nel periodo patristico,
ma ha anzi trovato un consolidamento su base ontolo­
gica: l’eucaristia non è semplicemente collegata al re­
gno futuro; essa attinge da quello il proprio essere e
la propria verità. La prassi liturgica ha costituito e co­
stituisce la lingua con cui la chiesa esprime tale tesi.
Dobbiamo ora prestarvi attenzione.
10
Termine filosofico che designa lo stato di perfezione di una realtà
che ha raggiunto il suo fine (télos), attuando pienamente il suo essere in
potenza [N.d.T.].
La prassi liturgica
Consideriamo solitamente la ritualità liturgica co­
me qualcosa di secondario e irrilevante. È un dato di
fatto che la nostra liturgia si è appesantita di un ac­
cumulo di simbolismi secondari e di ornamenti esteti­
ci, ma ciò non significa che ogni týpos nella liturgia
non abbia alcun rapporto con la sua essenza. I litur­
gisti, di regola storici del culto privi di interessi teo­
logici ed ecclesiologici, non ci illuminano quanto al
contenuto teologico dei riti11 o cerimonie liturgiche
e quanto alla differenza tra sostanziale e margina­
le. Così i membri del nostro clero, principalmente,
ma anche il popolo, o considerano queste forme tut­
te parimenti importanti e le conservano con assoluta
devozione oppure, cosa pericolosa, tagliano, tolgono,
cambiano l’ordine, e via dicendo, distruggendo quel­
l’ic o n a ” del regno che la liturgia dev’essere. Siamo
in tal modo arrivati al punto di perdere, nella nostra
liturgia, il riferimento iconico agli éschata, sia per­
ché l’abbiamo sovraccaricata di forme rituali che non
esprimono la venuta del regno, sia perché togliamo o
mescoliamo gli elementi strutturali della liturgia, alte­
randone così pericolosamente il carattere escatologico.
Sarebbe necessario un volume intero per descrivere
i patimenti subiti dalla nostra liturgia nelle mani del
suo clero. I nostri vescovi, da custodi della tradizione
apostolica - e non dimentichiamo che Ippolito intito­
la Tradizione apostolica nient’altro che la descrizione
11 D ’ora in poi tradurremo týpos e i suoi derivati con “rito” [N.d.T.].
22
d el m odo in cui si celebra la liturgia - sono d iv en tati
di regola sp e tta to ri, se n o n anche esecutori m ateriali,
d i tali m altra tta m e n ti. M a m olte di q u e ste violenze
disto rco n o talm en te l ’im m agine delle realtà fu tu re da
dover essere segnalate, sia p u re in breve, visto che il
discorso co n cern e l ’e u c aristia in q u a n to icona del re ­
gno fu tu ro .
Il rad u n arsi “ in u n m edesim o lu o g o ”
U no degli elem en ti b asilari della v e n u ta degli éschata è il rad u n arsi del popolo di D io disperso e, p er
esten sio n e, di tu tta l ’u m a n ità “in u n m edesim o lu o ­
g o ” 12 in to rn o alla p erso n a del M essia, p erch é si a ttu i
il giudizio del m ondo e si stabilisca il regno di D io.
N e ll’evangelo d i M a tte o il regno di D io è paragonato
“ a u n a rete g e tta ta nel m are, che raduna ogni genere
d i p e sci” (M t 13,47), m en tre, in te rm in i ancor p iù
ch iari, nella d escrizio n e della p aru sia del Figlio d e l­
l ’uom o leggiam o che, in quel giorno d ei tem p i ultim i,
“saranno radunate dav an ti a lui tu tte le g e n ti” (M t
25,32). N e ll’evangelo d i G io v an n i, d ’altro n d e, si c o n ­
sidera quale scopo della passione di C risto e, p er
esten sio n e, d i tu tta l ’opera salvifica, n o n solo la sal­
vezza di Israele, “ m a anche il radunare i figli d i D io
che erano d isp ersi” (G v 11,52).
N o n è d u n q u e casuale il fatto che assai p resto l ’eu ­
caristia com e icona del regno venga d e sc ritta com e
12 Epì tò autó.
23
“ sinassi” 13, riu n io n e “in u n m edesim o luogo” . N el
sesto capitolo d e ll’evangelo d i G io v an n i, dove m an i­
festa m e n te si parla d e ll’eucaristia, G esù d à o rd in e,
d o p o che la folla si è saziata, d i radunare i pezzi avan­
zati, cosa che viene rite n u ta segno del fatto che G esù
è “il V eniente” (cf. G v 6,12-14). È u g ualm ente nota
la descrizione d e ll’eu caristia com e sinassi “in u n m e­
desim o lu o g o ” in Paolo (cf. 1C o r 11,20). La D idaché
ci offre la p iù esplicita descrizio n e d e ll’e u c aristia co­
m e icona della sinassi escatologica d ei figli d i D io d i­
spersi, della chiesa: “ C om e q u esto p a n e spezzato era
sparso sui colli e radunato d iv en n e u n a cosa sola, così
la tu a chiesa sia radunata dai c o n fin i della te rra nel
tu o reg n o ” 14.
C o n il passare del tem p o d o v ’è d u n q u e fin ita q u e ­
sta fo rte coscienza escatologica della sinassi e u c aristi­
ca? In Ignazio sopravvive c h ia ra m e n te 15 e, già lo si
è visto, in M assim o il C onfessore, nel VII secolo,
l ’e u c aristia v ien e chiam ata stab ilm en te “ sinassi” ed è
considerata icona della “c o n d izio n e f u tu ra ” . M a a p o ­
co a poco sia la nozione di sinassi “ in u n m edesim o
luogo” di “ tu tta la c h ie sa ” (1C o r 14,23; R m 16,23)
sia il suo cara tte re escatologico vengono m eno. In oc­
c id e n te il processo giunge al n o n plus u ltra con l ’in ­
tro d u z io n e e la d iffu sio n e della m essa privata, che il
p resb itero può celebrare anche d a solo. M a p u re nella
15 Traduciamo per quanto possibile il verbo synágo con “radunare”, e
il sostantivo sýnaxe (gr. ant. sýnaxis) con “sinassi”, salvo porre in risalto
sfumature di significato che emergono nel testo greco o al fine di evitare
cacofonie nella fraseologia italiana [N.d.T.].
14 Didaché 9,4.
15 Per una trattazione più estesa, cf. il nostro libro: He Henótes tês
Ekklesías en tê Theía Eucharistia kaì tó Episkópo katà toùs treîs prótous
aiônas, Athênai 19902.
24
chiesa o rto d o ssa, se b b en e n o n sia concessa la celebra­
zio n e della litu rg ia senza la p resen za d e i laici, cap ita
spesso c h e q u e sti u ltim i siano assen ti o siano p resen ­
ti, sim b o licam en te, in n u m ero in d eg n o d i m enzione.
La n o stra e u c aristia , se esam iniam o il m odo della sua
a ttu a le celebrazione, tu tto rap p resen ta fu o rch é la sin assi escatologica “in u n m edesim o lu o g o ” . C o n la
m o ltiplicazione delle sinassi e u c aristic h e in p a rro c ­
chie, orato ri, m o n aste ri e così via, e l ’assenza del ve­
scovo a capo della sinassi “d i tu tta la c h iesa” in u n
d a to luogo, in ragione della g ran d e este n sio n e delle
diocesi, il te rm in e “ sinassi” h a p e rd u to il suo senso:
o ram ai d o b b iam o p iu tto s to p a rlare d i “d iasp o ra ” d ei
fed eli ch e n o n d i “ sinassi in u n m edesim o lu o g o ” .
Il passaggio attrav erso l ’e sp erien z a ascetica
e b a tte sim ale
La v e n u ta d el regno d i D io è inco m p ren sib ile senza
il p relim in are passaggio d el po p o lo d i D io attraverso
la catarsi delle te n ta z io n i, delle trib o la z io n i e della
m o rte . Lo stesso M essia doveva superare tu tte q u e ste
rea ltà p e r p o rta re il regno; a ltre tta n to doveva fare il
popolo d i D io . Il passo d i Lc 2 2 ,2 8 -3 0 è significativo:
solo q u a n ti attraversano le te n ta z io n i d i G e sù sono
resi d e g n i d e l p rivilegio d i m angiare e b e re “ alla m en ­
sa nel suo reg n o ” . L ’ingresso nel regno passa a ttra v e r­
so la “p o rta s tre tta ” e la “via an g u sta” della “p a z ie n ­
za” (hypom oné), cosa ch e n ei p rim i secoli significava
in p ra tic a la so p p o rta z io n e delle persecu zio n i (la L e t­
25
tera agli Ebrei sottolinea con particolare enfasi questo
elemento) e, più tardi, attraverso il periodo di penti­
mento e digiuno che doveva comunque precedere il
battesimo (la quaresima, con il suo digiuno severo e il
divieto di celebrare l’eucaristia in giorni che non sia­
no il sabato e la domenica, ne costituisce un residuo
indicativo, dato che il battesimo, inizialmente, veniva
amministrato il giorno di Pasqua). Nella prassi liturgi­
ca, tutto ciò si esprimeva con il battesimo, il quale,
già nel Nuovo Testamento, viene collegato con il sa­
crificio e il martirio (cf. Mc 10,39; Lc 12,50) e con la
morte (cf. Rm 6,4; Col 2,12), proprio come è succes­
so con Cristo. Negli scritti areopagitici e in Massimo
si parla dello stadio di “coloro che vengono purifica­
ti” , stadio che, dal punto di vista liturgico, si identifi­
ca con quello dei catecumeni che si preparano all’ “il­
luminazione” (cioè al battesimo), i quali con il crisma
e l’eucaristia entrano nell’ordine dei “perfetti” o ini­
ziati16.
In tal modo la sinassi eucaristica, come icona degli
éschata, deve assolutamente comprendere i battezzati
e soltanto i battezzati. Si tratta, in tal senso, di una
comunità chiusa che si raduna “ a porte chiuse” (Gv
20,19; cf. l’esclamazione: “ Le porte! le porte!” 17). La
sinassi eucaristica non può mai costituire mezzo e
strumento di missione, perché negli éschata, che essa
16 Queste classi o ordini si riferiscono chiaramente ai sacramenti del
battesimo, della cresima e dell’eucaristia e non ai monaci, almeno in
Massimo: cf. Scholia in librum de ecclesiastica hierarchia, PG 4,168-169.
17 Con essa il celebrante, nella chiesa antica, prima del Credo e dell’a­
nafora che lo segue, invitava a chiudere le porte del tempio perché nes­
sun estraneo (non battezzato, eretico o escluso dalla comunione ecclesia­
le) potesse entrare in chiesa e seguire il mistero che veniva celebrato
[N.d.T.].
26
raffigura, n o n ci sarà m issione, la quale, del resto,
p resu p p o n e d iaspora o dispersione, e n o n sinassi “in
u n m edesim o luogo” . È di conseguenza c o n tra ria alla
n a tu ra d e ll’eu caristia com e icona del regno la sua tra ­
sm issione attraverso m ezzi televisivi o radiofonici, sia
p er ragioni p astorali che m issionarie (una specie di
esibizione e di p u b b lic ità della ricchezza e della b e l­
lezza del n o stro culto). A ll’e u c aristia o si p a rte cip a in
q u an to ci si è “ra d u n a ti in u n m edesim o luogo” o non
si p a rte cip a affatto . U n a p a rte cip a z io n e d a lo n tan o è
incom prensibile: ai m alati e a q u a n ti risu lta im possi­
bile recarsi alla sinassi la chiesa p o rta , secondo u n a
c o n su etu d in e antichissim a, il fru tto della sinassi (la
co m u n io n e, l 'a n tíd o ro n 18 e via dicendo) e n o n ... la
stessa sinassi in versione acustica o o ttica.
L’eu caristia com e m ovim ento e cam m ino
A ssiem e all’in d eb o lim e n to della d im en sio n e te m ­
porale d e ll’e u c aristia com e icona del regno che sta per
venire, il regno che a tte n d ia m o , d o b b iam o registrare
com e si sia a poco a poco sm arrita anche la p ercezio ­
ne d i com e nella d iv in a eu caristia si a ttu i u n m ovi­
m ento “verso il te rm in e ” , u n cam m ino del m ondo,
secondo l ’espressione di M assim o, verso il regno, e
u n a v en u ta del regno verso il m ondo. Q u e sta terrib ile
18 II pane benedetto durante l’anafora che un tempo veniva offerto “al
posto del dono” (come il nome dichiara) a coloro che non si erano acco­
stati al dono per eccellenza, l’eucaristia. Oggi nelle chiese ortodosse lo si
dà a tutti indistintamente [N.d.T.].
27
alterazione si è verificata con la scomparsa, in fin dei
conti, della dimensione ingressuale dell’eucaristia. Si
sono sì conservati i cosiddetti “ ingressi” (il piccolo
ingresso e il grande ingresso) della liturgia bizantina,
salvo però che “ ingressi” è proprio ciò che non sono.
Si tratta, in realtà, di giri fatti dal celebrante per en­
trare dove già si trovava, nel santuario. Dal momento
in cui vennero soppressi la próthesis19 e lo skeuophylákion20 come dipendenze a parte della chiesa, i mini­
stri cominciarono a entrare nel sacro bêma21 (ciò che
resta ormai del tempio strettamente inteso), per com­
piere la proskomidé22 e indossare le loro vesti. Ma al­
lora, che senso ha l’ingresso, piccolo o grande? In ef­
fetti non ha senso, dato che l’eucaristia ha smesso di
significare cammino verso il regno o venuta del regno,
e si è trasformata in qualcosa di statico e di spaziale,
senza riferimento al tempo.
Da tale prospettiva si rivelano interessanti le inter­
pretazioni dell’ingresso nelle fonti liturgiche, in un’e­
poca, certo, in cui esso costituiva l’accesso reale del
15
Un tempo costituiva una costruzione indipendente a fianco della
chiesa. Oggi viene così chiamata l’area a sinistra dell’altare (e dunque al­
l’interno del santuario), dove, su una piccola mensa, vengono presentati
o esposti (protíthemi) i doni per la celebrazione dell’eucaristia prima di
essere, con il grande ingresso, portati sull’altare perché vengano consa­
crati; per estensione, il nome indica oggi anche la preparazione dei doni
che avviene su quella mensa [N.d.T.].
20 Originariamente un piccolo edificio accanto alla chiesa in cui veni­
vano custodite (phylásso) le suppellettili sacre (skeûos): gli oggetti e i pa­
ramenti liturgici. Oggi corrisponde al diakonikón, all’altare secondario di
destra, all’interno del santuario, dove vengono collocati gli ornamenti li­
turgici dei celebranti [N.d.T.].
21 II “ santo dei santi” della chiesa, con al centro l’altare, separato dal
resto dell’edificio sacro mediante l’iconostasi [N.d.T.].
22 E il rito della preparazione dei doni offerti o portati (proskomízo si­
gnifica “portare” ) per il sacrificio [N.d.T.].
28
clero e del popolo con alla testa il vescovo al tempio e
all’altare. Nelle interpretazioni sopra menzionate do­
mina la tipologia che voleva l’ingresso del vescovo
icona della prima parusia o venuta di Cristo sulla ter­
ra, cioè dell’incarnazione, con chiara indicazione del
cammino verso gli éschata. Ancora nel VII secolo, co­
me testimonia il Confessore nella sua Mistagogia23, so­
pravvive questa iniziale tipologia. Per questo padre
l’ingresso del vescovo nel tempio per celebrare l’euca­
ristia rappresenta un’icona della prima venuta del Si­
gnore sulla terra; quanto poi segue conduce direttamente allo scenario escatologico del regno: le letture
sacre e in particolar modo l’evangelo rappresentano
“la consumazione di questo mondo” , dopo la quale
“ il pontefice scende dal trono” , perché si attui il giu­
dizio con l’espulsione dei catecumeni e la chiusura
delle porte. Da quel momento in poi, tutto avviene
innanzi al trono di Dio nel suo regno:
L’ingresso dei santi e venerabili misteri24 è l’inizio e
il preludio ... del nuovo insegnamento che verrà im­
partito25 nei cieli in merito all’economia di Dio nei
nostri riguardi... Dice infatti il Dio e Verbo: ... Non
berrò più ormai del frutto della vite fino al giorno in
cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio.
Anche il reciproco bacio ha un significato escatolo­
gico: “ La concordia ... che prevarrà [ancora un rife­
rimento cronologico al futuro] fra tutti al tempo del­
23 Massimo il Confessore, Mystagogia, PG 91,688 ss.
24 Evidentemente il cosiddetto grande ingresso.
25 Si noti ancora una volta il tempo al futuro, che ci allontana da una
corrispondenza di tipo platonico tra realtà celesti e realtà terrene.
29
la rivelazione degli indicibili beni futuri” . Persino il
simbolo della fede, nonostante il suo contenuto stori­
co, ci trasporta nel futuro: “ La confessione del divino
simbolo di fede da parte di tutti preannuncia la mi­
stica azione di grazie, nell’eone futuro , per i giudizi e
le disposizioni ammirabili con cui fummo salvati dal­
la sapientissima provvidenza di Dio nei nostri riguar­
di” . Anche il Trisaghion ci porta spiritualmente verso
la condizione futura: “ Rappresenta l’unione e l’egua­
glianza di onore, che si manifesterà nel tempo futuro,
con le potenze incorporee e spirituali” . Il Padre no­
stro raffigura anch’esso la futura adozione: “ Secondo
la quale, per la grazia che verrà su di loro, tutti i santi
saranno chiamati e saranno figli di Dio” .
C ’è dunque un continuo cammino nell’eucaristia,
un cammino che, almeno secondo Massimo (le cose
cambiano un poco in autori bizantini posteriori che
hanno commentato la liturgia), ci trasporta ponendoci
in movimento e ci stabilisce nel regno futuro. Tutto,
nella divina liturgia, si muove verso ciò che sta davan­
ti: niente è statico. Nella liturgia il simbolismo non è
parabolico o allegorico: è iconico, nel senso attribuito
all’icona dai padri della chiesa, icona che significa
partecipazione di contenuto ontologico al prototipo. E
il prototipo in questo caso, come mostrano i passi di
Massimo che abbiamo riportati, è il regno venturo di
Dio, la riconciliazione e l’unione finali con Dio, tra­
mite la nostra incorporazione in Cristo.
Da quanto si è detto si comprende quanto impor­
tante sia per la liturgia la dimensione di movimento e
di cammino del suo typikón o rituale. È un peccato
che si crei l’impressione che nella liturgia tutto si com­
pia staticamente. La soppressione degli ingressi costi­
30
tuisce u n a g ran d e p e rd ita liturgica. C e rta m e n te l ’a r­
c h ite ttu ra d el tem p io ch e è prevalsa n o n c o n sen te p iù
ai sacerdoti d i e n tra re v eram en te, com e nella chiesa
antica. Possono tu tta v ia farlo i vescovi; addolora p erò
il co n statare com e n o n lo facciano p iù: e v id e n tem e n te
h a n n o sm esso d i ap p rezzarn e il sig n ificato 26.
Sacrificio d e ll’agnello p asq u ale
L ’e u c aristia è u n sacrificio. La tra d izio n e p a tris ti­
ca, sia in o rie n te sia in o ccid en te, so tto lin e a in m odo
p a rtico lare q u esto suo asp etto . C osì, in d ic a tiv a m e n te ,
C irillo d i G e ru sale m m e 27, G reg o rio d i N a z ia n z o 28,
C irillo d i A le ssa n d ria 29, G io v an n i C riso sto m o 30, m a
26 È incomprensibile che il vescovo entri nel santuario, indossi lì le
sue vesti ed esca per entravi di nuovo durante il piccolo ingresso, dato
che può rivestirsi dei paramenti fuori del santuario nel corso dell'órthros
(senza la lettura dei relativi versetti se la liturgia non è solenne). È l’ordo
che si conserva in tutte le chiese ortodosse slave, e in tal modo si preserva
l’autenticità del carattere ingressuale del piccolo ingresso, mentre que­
st'ordo non si è mantenuto nelle chiese di lingua greca (a eccezione, for­
se, della chiesa di Cipro). E tuttavia l’importanza di queste forme di­
sprezzate è essenziale.
27Cf. Le catechesi 23,8-9, a cura di C. Riggi, Roma 1993, pp. 463-464.
28 Cf. I cinque discorsi teologici, a cura di C. Moreschini, Roma 1986,
specie il secondo e il quarto.
29Homilia X. In mysticam coenam, PG 77,1016-1029.
30In epistulam ad Hebraeos argumentum et homiliae 17,3. Il Crisosto­
mo insiste in modo del tutto particolare su questo aspetto dell’eucaristia;
egli la collega con l’ultima cena e con il sacrificio di Cristo sulla croce,
ma anche con il culto e il regno celesti (cf. In epistulam ad Hebraeos
11,2-3 e 14,1-2; De sacerdotio 3,4 ss.; tr. it.: Il sacerdozio, a cura di A.
Quacquarelli, Roma 1980, pp. 65 ss.). Quanto ai padri latini, cf. indica­
tivamente: Ambrogio (De off. 1,248; De fide 4,124 ss.), Agostino (Conf.
9,32; Enchir. 110; In Ps. 21 e 33; De civ. Dei 10,20 ss.).
31
le stesse div in e liturgie di C risostom o e di Basilio,
che vengono celebrate nella chiesa o rto d o ssa, chiam a­
no l ’eu caristia sacrificio “in c ru e n to ” o “raz io n ale ” , e
così via. Q u esto sacrificio n o n è altro che la m o rte di
C risto in croce, il cui corpo e sangue sono o ffe rti
“p e r m o lti” (M c 14,24; M t 26,28), h a n n o cioè u n ca­
rattere di liberazione dai peccati, i quali “vengono r i­
m essi” grazie a q uesto sacrificio e alla “c o m u n io n e ” a
esso d a cui zam pilla la “vita e te rn a ” d ei “ m o lti” .
U n sim ile cara tte re sacrificale d e ll’e u c aristia è in d i­
scutibile nella coscienza e nella teologia sia b ib lica sia
patristico -litu rg ica. C iò che spesso ten d ia m o a tra sc u ­
rare o a sottovalutare è il legam e e il rap p o rto d i q u e ­
sto cara tte re sacrificale d e ll’eu caristia con la v en u ta
del regno d i D io, con gli éschata. L ’eu caristia è in ­
d u b b ia m e n te lo stesso sacrificio del Signore sulla cro­
ce. M a qual è la relazione che lega q u esto sacrificio
alla v en u ta del regno? Tale in terro g ativ o h a u n ’im p o r­
tan za decisiva p er la teologia m a anche p e r la m o d ali­
tà con cui noi, c red en ti, viviam o q u esto grande sacra­
m ento della chiesa.
T utte le ind icazio n i p ro v en ien ti dalla narrazio n e
storica d e ll’u ltim a cena - narrazio n e consegnataci dai
vangeli e da Paolo - testim o n ia n o che, con l ’espres­
sione “q u esto è il m io c o rp o ” e “questo è il m io san ­
g u e ” , C risto si riferiv a a se stesso quale Agnello p a ­
squale (cf. 1C o r 5,7: “C risto , n o stra p asq u a, è stato
im m o lato ”). Q u e sta id en tifica z io n e di C risto con l ’a­
gnello pasquale era così d iffu sa nella chiesa p rim itiv a
da essere rip e tu ta senza u lte rio ri spiegazioni n o n solo
d a Paolo, m a anche da a ltri te s ti d e ll’epoca apostoli­
ca (cf. G v 1,2 9 .3 6 ; 1P t 1,19; A p 5 ,6 .1 2 ; 12,11 e al­
tri). N o n è in tal m odo casuale che nella lingua litu r ­
32
gica della chiesa sia prevalsa la consuetudine di chia­
mare “ agnello” il pezzo di pane destinato a tramutarsi
in corpo di Cristo nel corso della celebrazione eucari­
stica.
Il sacrificio dell’agnello pasquale ha le sue radi­
ci nell’uscita di Israele dall’Egitto: si confronti la
descrizione in Es 12,6. Nel caso tuttavia dell’ultima
cena è chiaro che non si tratta semplicemente di far
memoria e di ripetere il sacrificio dell’agnello dell’e­
sodo, come avveniva a ogni celebrazione della pasqua
ebraica, ma del sacrificio dell’agnello pasquale fina­
le, escatologico. Ciò viene testimoniato da molti ele­
menti di cui è intessuta la narrazione dell’ultima ce­
na nei vangeli, come pure dalla prassi liturgica della
chiesa antica. Ci riferiamo indicativamente ad alcuni
di essi.
Già abbiamo sottolineato all’inizio del presente stu­
dio, in base al racconto che i vangeli ci tramandano,
il fatto che il Signore leghi chiaramente l’ultima cena
al regno di Dio. Ciò che ora dobbiamo segnalare è il
collegamento del sacrificio, cui il Cristo lì si riferisce,
con la nuova alleanza. È già stato osservato dai bibli­
sti come il termine diathéke, alleanza, debba essere
considerato corrispondente all’espressione “regno dei
cieli” 31. Il sacrificio di Cristo quale agnello pasquale
costituisce il compimento del fine escatologico del sa­
crificio, sia del primitivo agnello pasquale dell’esodo,
sia di tutti i sacrifici posteriori effettuati dagli ebrei
a imitazione del sacrificio di quell’agnello. Quando
51 Cf. J. Behm, s.v. “ Diathéke” , in G. Kittei, Grande lessico del Nuo­
vo Testamento II, Brescia 1966, 1065-1094.
33
pertanto Cristo afferma nell’ultima cena, e la chiesa
ripete nella celebrazione eucaristica, che “ questo è il
mio sangue, della nuova alleanza” , il nostro pensiero
corre alla venuta e all’instaurazione del regno di Dio
e non semplicemente a un evento accaduto nel passa­
to. Il sacrificio in croce del Signore non può essere
isolato dal suo significato escatologico. La stessa re­
missione dei peccati è collegata, nel Nuovo Testamen­
to, alla venuta del regno (cf. Mt 6 ,12 ; Lc 11,4 ; G v
20,23; ecc.) e ciò vale di sicuro, particolarmente, per
la remissione dei peccati che proviene dal sacrificio di
Cristo come agnello pasquale.
Le cose sono ancor più chiare nel libro dell’Apoca­
lisse che, innegabilmente, contiene elementi o fram­
menti di un’arcaica liturgia eucaristica32. In questo li­
bro la descrizione di Cristo come “ Agnello” ricorre
ripetutamente e, senza alcun dubbio, in relazione con
l’ agnello pasquale di Es 12,6. Il significato escatologi­
co attribuito dall’Apocalisse all’Agnello appare chia­
ramente dalle osservazioni seguenti che hanno un’im­
portanza rilevante.
a) L’ “Agnello immolato” ha il potere di aprire il li­
bro sigillato sette volte, il cui contenuto e significato
vengono rivelati solo al termine della storia.
b) Il sacrificio dell’Agnello non concerne solo il po­
polo di Israele, ma gli uomini “ di ogni tribù, lingua,
popolo e nazione” (Ap 5,9). Questa universalità della
32 Cf. P. Prigent, Apocalypse et Liturgie, Neuchâtel 1964. Sull’in­
fluenza che l’Apocalisse ha esercitato sulla liturgia ortodossa, cf. P. Bratsiotis, “ L’Apocalypse de Saint Jean dans le culte de l’Église grecque orthodoxe” , in Revue d ’Histoire et Philosophie religieuse 42 (1962), pp.
116 -12 1.
34
salvezza denota la fine della storia e l’albeggiare del
“giorno del Signore” (1 Cor 1,8; 1 Ts 5,2). È caratteri­
stico il fatto che Paolo, il quale attende a breve sca­
denza la seconda venuta del Signore, consideri come
sua “primizia” la conversione dei gentili e il loro in­
nesto nel tronco di Israele (cf. Rm 11).
In tal modo, il fatto che il sangue dell’Agnello sia
versato “ per molti” ci rinvia al “ Servo o Figlio di
Dio” del libro di Isaia (cc. 52 e 53), colui che “ha
portato i peccati di molti e fu consegnato per i loro
peccati” (Is 53,12), ma anche colui che nei tempi
escatologici radunerà l ’Israele disperso e sarà “luce del­
le genti ... salvezza fino all’estremità della terra”
(49,6), perché “ si meraviglieranno di lui molte genti
... vedranno quanti non avevano ricevuto l’annuncio
su di lui e comprenderanno quanti non avevano ascol­
tato” (52,15).
c)
In particolare dev’essere rilevato il collegamento
che il libro dell’Apocalisse instaura tra l’Agnello im­
molato e il “cantico nuovo” , e anzitutto l’“ alleluja” ,
che viene ripetuto per tre volte dalla “folla immen­
sa” , come pure dalla creazione (“ come una voce di
molte acque” ), nel contesto delle “ nozze dell’Agnel­
lo” e della sua adorazione (cf. Ap 19,1-8).
Che 1’ “ alleluja” di cui parliamo costituisca un inno
escatologico appare chiaramente dalla motivazione che
lo stesso testo fornisce: “ Perché ha preso possesso del
suo regno il Signore, il nostro Dio, il pantokrátor” (Ap
19,6), cioè il regno di Dio si è insediato. Per questo,
del resto, e nonostante si tratti di un agnello immo­
lato, il tono dominante è gioioso: “ Rallegriamoci ed
esultiamo” (chaíromen kaì agalliômen: Ap 19,7), qual­
cosa che ricorda la “letizia” (agallíasis) di At 2,46 in
35
rap p o rto alla celebrazione d e ll’e u c aristia da p a rte dei
p rim i cristiani.
Q u e s te osservazioni assum ono u n interesse ancora
m aggiore se l ’in n o su cui rifle ttia m o v ien e collegato
con la stessa u ltim a cena. G li evangeli an n o tan o (M t
26,30; M c 14,26) che su b ito d o p o il b a n c h e tto e le
parole di C risto che lo collegano al regno, “dopo aver
cantato l ’in n o , [C risto e i discepoli] uscirono verso il
m o n te degli U liv i” . C om e segnalano alcuni specialisti
in m ateria, si tra tta d e ll’hallel che seguiva la cena p a ­
squale ebraica, della le ttu ra a n tifo n ata , cioè, d ei Sal­
m i 113-118: u n m em bro del g ruppo proclam ava il te ­
sto, gli a ltri (cf. la “folla” o il “p o p o lo ” nel caso dell ’A pocalisse) risp o n d ev an o con l ' “ alleluja” a m età di
ogni versetto. G ià all’epoca di C risto tali salm i ave­
vano p e r gli ebrei u n senso escatologico-m essianico.
M a n o n si tra tta , forse, dello stesso senso che h a n n o
p e r n oi ortodossi, che conserviam o fed e lm e n te la tra ­
d izio n e liturgica della chiesa antica, tra d izio n e che
c o n tin u a il culto della chiesa prim itiva? I v e rse tti con
cui te rm in a il Salm o 118: “ Q u e sto è il giorno che ha
fatto il Signore, esultiam o e rallegriam oci in lu i” , so­
no c h iaram en te escatologici nel culto orto d o sso , dato
che “q uesto g io rn o ” è p er n oi il g iorno della risu rre ­
zione. Lo stesso cara tte re escatologico è p resentato
anche dagli u ltim i v ersetti di tale salm o: “B e n e d e tto
colui che viene nel N o m e del Signore ... D io il S igno­
re ci illu m in i!” (Sal 118,26-27).
C onclusione: l ’u ltim a cena e l ’A gnello im m olato
p e r la n o stra salvezza n o n possono essere in tesi senza
rife rim e n to al “g iorno u ltim o ” , al “g iorno del S igno­
re ” , alla p aru sia e all’in stau razio n e del regno d i D io.
C o n le parole di C irillo d i A lessandria, l ’eu caristia
36
non è solo e semplicemente “celebrazione di un tre­
mendo sacrificio” , ma “ dono di immortalità e caparra
di vita eterna” 33.
Questa conclusione viene rafforzata e convalidata
da un’altra osservazione: la chiesa antica mai ha ce­
lebrato la sua ultima cena, l’eucaristia, nello stesso
giorno della morte del Signore, ma dopo di esso. È
noto dalla storia come i primi cristiani dell’Asia M i­
nore nel II secolo festeggiassero la pasqua il 14 di nisan, cioè nel giorno stesso della pasqua ebraica. È
tuttavia significativo che essi non celebrassero l’euca­
ristia se non all’aurora dell’indomani, una volta cioè
conclusa la cena pasquale ebraica, nel corso della qua­
le i cristiani digiunavano. Il fatto che la chiesa orto­
dossa, seguendo la tradizione antica, ancor oggi at­
tenda che prima sia trascorsa la pasqua ebraica e solo
allora festeggi la propria pasqua, non si deve, come
viene sovente interpretato, a una sua posizione antie­
braica, ma, oltre ad altre motivazioni, al fatto che la
pasqua della chiesa, connessa a un clima di gioia ed
esultanza, non può precedere il momento temporale
nel quale storicamente si compì l’ultima cena e che fu
seguito dalla crocifissione. Quel tempo è tempo di di­
giuno, mentre la pasqua è tempo di festa.
Abbiamo mai riflettuto seriamente sul perché la
chiesa ha disgiunto non solo la sua pasqua, ma anche
la sua eucaristia, dal digiuno, e l’ha collegata allo
splendore della risurrezione? È significativo, come ab­
biamo notato precedentemente, che sia stata proibita
dalla chiesa la celebrazione dell’eucaristia in giorni di
33 Homilia X. In mysticam coenam, PG 77,1028B .
37
dig iu n o (l’eccezione rap p resen tata dalle feste d e ll’Esaltazione della croce e della m em oria del Precursore
co n ferm an o la regola). C iò è stato, c erto , lim itato al
p erio d o della q u a re sim a 34, m a il senso rim ane: l ’euca­
ristia è u n evento escatologico e n o n p u ò che essere
contrassegnata da festa, gioia e splendore. Il suo ca­
ra tte re sacrificale si tra m u ta in evento d i gioia p a ­
squale, cioè escatologica. N o n esiste in C risto sacrifi­
cio senza red en zio n e, e red e n z io n e significa n o n solo
rem issione di p eccati personali, secondo lo spirito oc­
cidentale latin o e p ro te sta n te , m a trasfigurazione fi­
nale del m o ndo, superam ento della co rru zio n e e della
m o rte. C eleb ran d o l ’eu caristia celebriam o u n sacrifi­
cio sulla croce che assum e il p ro p rio senso dalla ris u r­
rezione, risu rrezio n e vista com e la p rim a realizzazio­
ne del regno fu tu ro nella storia.
F esta pasq uale
La p iù e lo q u e n te dim o strazio n e del cara tte re esca­
tologico d e ll’eu caristia e della sua id en tifica z io n e con
la pregustazione del regno di D io è il fatto che, fin
d a ll’inizio, essa fu u n ita alla d om enica quale giorno
p iù id o n eo p e r la sua celebrazione. C i siam o p rim a
rife riti ai q u a rto d e cim an i d e ll’A sia M in o re (II seco­
34 Secondo la testimonianza degli storici Socrate (Hist. eccles. 5,22) e
Sozomeno (Hist. eccles. 7,19), nella chiesa antica, almeno ad Alessan­
dria, in nessun giorno di digiuno di tutto l’anno, e non solo della quaresi­
ma, si celebrava l’eucaristia.
38
lo d.C.), che festeggiavano la pasqua il 14 del mese
di nisan. Ciò sicuramente comportava la celebrazione
dell’eucaristia al di fuori della domenica, almeno nel
giorno di pasqua. Questa consuetudine creò, come è
noto, la “ controversia sulla pasqua” che minacciò di
dividere la chiesa antica perché provocava, tra l’altro,
differenziazioni quanto al tempo del digiuno. In zone
come Roma, per esempio, la chiesa locale celebrava la
pasqua di domenica mentre i quartodecimani giunti
in quella città dall’Asia Minore continuavano a segui­
re le loro tradizioni. Tuttavia tale consuetudine non
tardò ad arretrare e si generalizzò invece il festeggia­
mento della pasqua, e la celebrazione dell’eucaristia,
in giorno di domenica. Le testimonianze sul legame
tra eucaristia e domenica potrebbero partire dagli At­
ti degli Apostoli (20,7) e dalla Prima lettera ai Corin­
ti (16,2), per giungere all’Apocalisse (1,10), alla Didaché (14 ,1) e a Giustino (Apologia 1,67), il quale è
esplicito su questo argomento.
Ma perché la domenica? Cosa ha condotto la chie­
sa a tale pratica e quale ne è il più profondo significa­
to teologico?
La domenica è il giorno della risurrezione di Cristo.
Così la consideravano fin dall’inizio i cristiani35, sulla
base della testimonianza biblica secondo cui la risur­
rezione è avvenuta “ il primo giorno dopo il sabato”
(Mc 16,2; Lc 2 4 ,1; cf. Mt 28,1). Ma il significato che
davano fin dall’inizio alla risurrezione di Cristo era
assai profondo e veniva necessariamente trasferito sia
35 Alcune testimonianze: Ignazio, A d Magn. 9; Epistula Barnabae 15,8
s.; Giustino, Apologia 1,67; Dial. cum Tryph. 41 e 138; Tertulliano, De
orat. 23; Eusebio, Hist. eccles. 3,27,5; Const. apos. 2,59 e 5,20,19.
39
alla domenica sia all’eucaristia celebrata in quel gior­
no. Vale la pena annotare alcuni degli aspetti basilari
di tale significato, per meglio comprendere la relazio­
ne che intercorre tra eucaristia e regno.
La domenica, in quanto giorno della risurrezione, è
l'ottavo giorno. La ragione è la seguente: in esso inizia
la “ nuova creazione” , dato che allora “il nostro Cristo
apparve risorto dai morti, giorno che ha la prerogati­
va di essere sempre il primo. Cristo infatti, che è il
primogenito di tutta la creazione, è divenuto anche
principio di una nuova stirpe, quella da lui rigenera­
ta” 36. Il carattere escatologico dell’ottavo giorno vie­
ne chiarito da Basilio il Grande nella sua opera Sullo
Spirito santo, quando scrive il seguente passo di im­
portanza davvero notevole, che non dobbiamo dimen­
ticare quando parliamo della divina eucaristia:
Per questo noi guardiamo tutti verso oriente mentre
preghiamo; ma pochi sanno che cerchiamo l’antica
patria, il paradiso che Dio piantò in Eden, in orien­
te. Noi preghiamo in piedi, il primo giorno dopo il sa­
bato, ma non tutti ne sappiamo la ragione. Non è sol­
tanto perché, come risorti con Cristo e cercando le cose
di lassù, ci ricordiamo, stando in piedi in preghiera
nel giorno dedicato alla risurrezione, della grazia che
ci è stata donata; ma perché quel giorno sembra essere
in qualche modo l’immagine dell’eternità futura. Per
questo, essendo inizio di giorni, da Mosè fu chiama­
to non “primo” , ma “unico” ... come se lo stesso
giorno desse inizio sovente al medesimo ciclo. E dav­
vero questo stesso giorno “unico” è anche l’“ottavo”
36 Giustino, Dial. cum Tryph. 138.
40
poiché significa in sé quel giorno realmente “unico”
e veramente “ottavo” di cui fa menzione anche il sal­
mista in alcuni titoli dei salmi, alludendo alla rein­
tegrazione del creato che seguirà a questo tempo, il
giorno eterno senza sera e senza domani, il secolo senza
fine che non invecchierà . Necessariamente, quindi, la
chiesa educa i propri figli adottivi a compiere le pre­
ghiere, in quel giorno, ritti in piedi, affinché nel ri­
cordo continuo della vita senza fine, non ci dim enti­
chiamo di fare le provviste per quel viaggio. Anche
ogni Pentecoste è memoria della risurrezione che noi
aspettiamo nell'eternità. Infatti quel giorno primo e
unico, moltiplicato sette volte per sette, completa le
sette settimane della santa Pentecoste ... Così imita
per somiglianza l’eternità ... L’usanza della chiesa ci
insegna in questo giorno a preferire la preghiera fatta
stando in piedi: per questa evidente evocazione è co­
me se noi trasferissimo la nostra mente dal presente a l
futuro37.
A b b iam o rip o rta to p e r esteso q uesto lungo passo
perché ci offre n itid a m e n te il significato escatologico
della d om enica e d e ll’eu caristia che in essa si celebra.
Segnaliam o in m odo partico lare che, secondo Basilio,
il n o n g e n u flettersi d i d o m e n ic a 38 viene im posto n o n
solo dal cara tte re pasquale del giorno (“ n o n è soltanto
perché . ..” ), m a anche d a ll'attesa d e l secolo fu tu ro , p er
cui la n o stra m en te em igra “dal p resen te al fu tu ro ” .
37 Basilio di Cesarea, De Spiritu Sancto 27,66; tr. it.: Lo Spirito santo,
a cura di G. Azzali Bernardelli, Roma 1993, pp. 181-184.
38 II divieto di genuflettersi di domenica risale a tempi antichissimi,
come testimonia anche Ireneo nella sua opera perduta Sulla Pasqua. Cf. il
frammento 6 nel volume V (p. 174) della collana Bibliothéke Ellénon Pa­
téron edita dalla Apostolikè Diakonía.
41
Q u e sto fo rte m ovim ento verso il fu tu ro , e n o n sem ­
p licem en te verso le rea ltà del cielo, in tro d u c e la d i­
m ensione tem porale n e ll’escatologia e ci rich iam a al­
la m em oria q u an to sopra si è scritto , a com m ento di
passi correlativ i d i M assim o il C onfessore: l ’escatolo­
gia della d iv in a liturgia, com e quella della dom enica,
n o n è u n a rap p resen tazio n e di tip o platonico di c o n ­
d izio n i celesti, m a u n cam m ino e un progredire verso il
fu tu ro . Le concezioni di M assim o e B asilio co in cid o ­
no anche in o rd in e a questo.
D egno d i no ta, ancora, è il rife rim e n to di Basilio
alla p reghiera fa tta stan d o riv o lti a o rie n te. Perché
l ’o rie n te n o n è solo il luogo del p aradiso degli inizi,
m a anche il p u n to da cui a tte n d ia m o l ’arrivo del Si­
gnore al m om ento della sua seconda parusia. Le ragio­
n i della p reghiera verso o rie n te - si veda il c o m p en ­
dio che ne fa G iov an n i D a m a sc e n o 39 - sono m o ltep li­
ci; tra q u este, anche la fu tu ra v en u ta d a ll’o rie n te del
Figlio d e ll’uom o testim o n ia ta dalla S crittu ra: “C om e
la folgore v ien e d a o rie n te e b rilla fin o a o ccid en te,
così sarà la v en u ta del Figlio d e ll’u o m o ” (M t 24,27).
P er questo, dopo aver rip o rta to il passo, il D am asce­
no conclude: “ N e ll’atte sa di lui, preghiam o d u n q u e
riv o lti a o rie n te ” , cioè: po ich é asp ettiam o con tre p i­
d azio n e la v en u ta finale di C risto nella gloria, p re ­
ghiam o g u ard an d o a o rien te.
Q u esto cara tte re pasquale ed escatologico d e ll’eu ­
caristia h a u n ’u lte rio re conseguenza: la chiesa nella
celebrazione eu caristica si bagna di luce e si veste di
tutto lo splendore di cui dispone. U n ’e u c aristia in c h ie ­
39 De fide orthodoxa 13, PG 94,1136.
42
se semioscure per presunte ragioni di compunzione è
antitetica alla sua stessa natura. Sfortunatamente il
pietismo, che di nascosto si è intrufolato nella nostra
coscienza e nel nostro culto, ci ha trascinati nella sua
errata concezione secondo cui lo sfarzo dei paramenti
e dell’arredo dei templi è qualcosa di male. Quanto
sia estraneo alla tradizione ortodossa un tale modo di
intendere appare da un’unica e semplice osservazio­
ne: i paramenti più lussuosi e splendidi della nostra
chiesa si trovano nei nostri monasteri, e in particolar
modo al Monte Athos, il più importante e il più auto­
revole centro monastico dell’ortodossia. Perché dun­
que il monaco ortodosso autentico, colui che, a senti­
re i detti dei padri del deserto, dovrà indossare un rá ­
son40 di così poco valore e così logoro che, se lo ap­
pende fuori della porta della cella, è sicuro che nessu­
no sarà colto dalla tentazione di rubarlo, perché dun­
que costui, al momento della liturgia, indossa come
celebrante la veste più magnifica, e ciò senza scanda­
lizzarsi o scandalizzare nessuno? Molto semplicemen­
te perché, nella sua coscienza, rimane vivo il carattere
escatologico dell’eucaristia: in essa ci muoviamo nello
spazio del secolo futuro, nello spazio del regno. Lì vi­
viamo “ il giorno eterno senza sera e senza domani, il
secolo senza fine che non invecchierà” , secondo l’e­
spressione di Basilio. Abbiamo tutta la possibilità di
esercitare la nostra umiltà al di fuori della liturgia.
Non abbiamo il diritto di trasformare l’eucaristia in
occasione di ostentazione della nostra modestia, né in
40 Mantello nero, dalle maniche larghe, indossato sopra la veste. Èl’a­
bito di coro dei monaci, usato anche nel refettorio e nei viaggi [N.d.T.].
43
strumento di esperienze psicologiche di compunzio­
ne. Del resto, “ colui che offre e colui che è offerto” ,
il vero celebrante, è Cristo, e precisamente Cristo ri­
sorto, quale verrà nella sua gloria nell’ultimo giorno,
e quanti celebrano la liturgia non sono che icone di
questo Cristo escatologico. Certamente, poi, “l’onore
reso all’icona passa a colui che vi è rappresentato” 41.
In tal modo, molto dipende, di nuovo, dal fatto se,
nell’eucaristia, risaliamo semplicemente al passato o
volgiamo il nostro sguardo verso gli éschata, verso il
futuro.
Tutta l’ostinazione con cui la chiesa ha rifiutato di
collegare l’eucaristia all’afflizione e alla compunzione
appare ancora dal fatto che, pure nei giorni in cui fa
memoria dei martiri, in cui rievoca il loro martirio,
essa celebra la divina eucaristia con magnificenza pa­
ri a quella della domenica. È noto come, fin dai pri­
mi secoli, sia invalso l’uso di celebrare l’eucaristia nei
giorni in cui si commemoravano i martiri42 e in segui­
to tutti i santi. Ciò che spesso non si considera è che
il martirio dei santi veniva ritenuto, fin dall’inizio,
non solo una ripetizione del sacrificio di Cristo sul­
la croce, ma una rivelazione della gloria del suo regno.
Già la descrizione del martirio di Stefano negli Atti
degli Apostoli (7,55 s.) rende chiaro il carattere esca­
tologico che a esso riconosceva la chiesa: “ Fissando
gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che sta­
va alla sua destra, e disse: Ecco, io contemplo i cieli
41 Basilio, De Spiritu Sancto 18,45; espressione celebre, ripresa nella
Definitio de sacris imaginibus del concilio Niceno II.
42 A. Phytrakis, Leípsana kaì Táphoi tôn Martýron katà toùs treîs prótous aiônas, 1955, pp. 77 s.
44
aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio”
(il riferimento al Figlio dell’uomo, che veniva consi­
derato una figura escatologica nella Scrittura, è carat­
teristico). Lo stesso dicasi per gli Atti dei martiri, i
martirologi della chiesa antica43. La celebrazione del­
l’eucaristia nelle commemorazioni dei santi non può
essere staccata dal carattere escatologico dell’eucari­
stia, la quale, per questa ragione, viene sempre cele­
brata con eccezionale magnificenza, anzitutto con la
soppressione del digiuno.
Memoriale del futuro
L’eucaristia è anámnesis (fare memoria). Ma cosa
significa anamnesis? In psicologia anámnesis significa
ritornare al passato. Il fondamento di tale nozione è
platonico o, in generale, greco-antico. Per Platone, in
particolar modo, tutta la verità è immagazzinata nel­
l’anima. Nulla di nuovo può accadere sotto il sole, se­
condo la comune espressione. La verità è uscita dalla
43
Commovente e rivelatore del carattere escatologico sia del martirio
sia dell’eucaristia è il seguente frammento tratto dal martirio di san­
ta Agatonice, pubblicato da Harnack (Die Akten des Karpus, des Papylus
und der Agathonike, Texte und Untersuchungen III,3/4, 1988, pp. 415
s ): “Una certa Agatonice, che stava lì in piedi [durante il martirio di Papilo e Carpo] e aveva negli occhi quella gloria del Signore che Carpo dice­
va di vedere, intuito trattarsi di una chiamata al cielo, subito levò la vo­
ce: ‘Questo cibo mi è stato imbandito dinanzi! Debbo avere anch’io la
mia parte a questa mensa gloriosa!’ ” . È chiaro il collegamento tra marti­
rio ed eucaristia, come pure il carattere escatologico di entrambi gli ele­
menti.
45
léthe, dalla dimenticanza: è a-létheia, manifestazione
di ciò che già esiste. Per questa ragione il maestro
non ha altro compito che quello di aiutare il discepolo
a ricordare ciò che già conosce, a fargli partorire, co­
me una “ levatrice” (è il metodo maieutico di Socrate),
la verità.
Questa concezione ha il proprio fondamento anche
nella logica comune. Nessuno di noi può capire cosa
voglia dire ricordare le cose future. E questo perché
il tempo, nella nostra esperienza di uomini che vivo­
no dopo la caduta, è frammentato: si divide inevitabil­
mente in passato, presente e futuro, con una succes­
sione che, a motivo della morte entrata nel mondo
con il peccato dell’uomo, non può per natura essere
invertita. Così il futuro viene fisiologicamente dopo il
passato e il presente; la sua memoria risulta pertanto
incomprensibile.
Ma cosa succede in un tempo affrancato da tale
frammentarietà in ragione dell’abolizione della mor­
te? In un simile caso il futuro non è separato dal pas­
sato e dal presente. Se anzi è il futuro a dare senso sia
al passato sia al presente, allora il futuro si trasfor­
ma in sorgente da cui entrambi attingono la loro ipo­
stasi. Il futuro acquisisce “ ipostasi” (cf. Eb 1 1 , 1 ) , e
può essere anticipato e diventare parte della nostra
memoria. Si può in tal modo parlare di memoria del
futuro.
Il
fatto che nell’eucaristia capiti esattamente que­
sto è qualcosa di tanto evidente per chi la studia at­
tentamente, quanto è sconosciuto per coloro che si
accostano all’eucaristia senza essere coscienti del suo
carattere escatologico. Esaminiamo più da vicino que­
sta rilevantissima questione.
46
L ’anafora della divina liturgia in uso nella chiesa or­
todossa (sia quella di Giovanni Crisostomo, sia quella
di Basilio) contiene la frase seguente, che è fonte di
scandalo per la logica comune: “ Facendo dunque me­
moria di questo comandamento salvifico, della croce,
del sepolcro, della risurrezione dopo tre giorni, dell’a­
scensione ai cieli, della sessione alla destra, della se­
conda e gloriosa parusia, offrendo a te le cose tue da
ciò che è tuo, in tutto e per tutto, ti celebriamo” .
Ricordare eventi passati (croce, risurrezione) è na­
turale. Ricordare tuttavia qualcosa che non è ancora
accaduto (la seconda parusia) non può essere spiega­
to che trasferendoci in uno spazio esistenziale in cui
hanno trovato guarigione la frammentarietà e la suc­
cessione obbligatoria dei tre elementi del tempo (pas­
sato, presente e futuro). È quel che avviene esatta­
mente nel regno di Dio. In tale regno tutte le realtà
non si convertono in presente - ciò sarebbe un af­
francamento tipicamente platonico dalla morte - ma
“ nel secolo senza fine che non invecchierà” (così chia­
ma il regno Basilio), che essendo la condizione alla fi­
ne dominante, la “ verità” (secondo Massimo il Con­
fessore), precede logicamente, dato che è ciò che dà
ipostasi e significato sia al passato sia al presente. La
“ fine” costituisce la “ ragione” per la quale “ sussisto­
no” sia il passato sia il presente, secondo Massimo44,
e di conseguenza “ il secolo futuro senza fine” divie­
ne, come già abbiamo constatato a partire da alcuni
passi di Massimo, non un effetto, come invece acca­
de nel nostro tempo posteriore alla caduta, ma la cau­
44 Cf. Quaestiones ad Thalassium 60, P G 90,621.
47
sa di tutti gli eventi passati e presenti45. La memo­
ria dunque di questo futuro “ senza fine” è non so­
lo possibile, ma anche ontologicamente determinante
nell’ambito dell’eucaristia come icona del regno. Ciò
viene testimoniato sia dalla descrizione dell’ultima
cena nei vangeli, sia dalla prassi liturgica della chiesa.
Nella descrizione dell’ultima cena nell’evangelo se­
condo Luca (22,19) un posto eminente occupa la se­
guente frase del Signore ai suoi discepoli, frase ripe­
tuta da Paolo (1 Cor 11,2 4 -2 5 ) e dalle liturgie eucari­
stiche lungo i secoli: “ Fate questo in memoria di me".
Con la nostra logica comune, determinata dall’espe­
rienza del tempo che segue la caduta, come è stata da
noi sopra descritta, il senso di questa frase sarebbe:
“ Fate questo per ricordarvi di me” . La domanda tutta­
via che si impone è se il Signore fosse interessato a
perpetuare la sua memoria nel pensiero dei discepoli
(o, in generale, degli uomini) con la celebrazione del­
l’eucaristia, o se non volesse, piuttosto, con la cele­
brazione eucaristica da parte dei suoi discepoli (e del­
la chiesa) collegare l ’eucaristia con la memoria eterna
di Dio nel regno che avrebbe stabilito.
L ’interrogativo ha sollevato parecchie discussioni tra
i biblisti da quando Joachim Jeremias, nell’opera che
abbiamo citato, con seri argomenti ha confutato la
prima opinione e sostenuto la seconda, arrivando al
45
La questione era già stata sollevata nel II secolo d.C. in relazione al­
l’abrogazione di alcune prescrizioni della legge mosaica (circoncisione,
sacrifici, ecc.) da parte del NT. La risposta data da Ireneo rimane la base
del pensiero di Massimo: un evento futuro (la venuta di Cristo) può sop­
primere un evento del passato (ad es. i sacrifici dell’AT) non perché que­
st’ultimo fosse cattivo e dovesse scomparire, ma perché sussisteva soltan­
to a motivo dell’evento futuro, il quale gli conferiva senso e ipostasi.
48
punto di formulare la tesi estrema secondo cui Cristo
avrebbe comandato di celebrare l ’eucaristia perché
Dio si ricordasse di lui (come Messia) nella parusia.
Non ci occuperemo di tali discussioni che, del resto,
non concernono direttamente la nostra tematica in
tutti i loro aspetti. Quello che ci interessa è stabilire
se la memoria di Cristo nell’eucaristia sia memoria
psicologica umana di un evento del passato o se si le­
ghi al futuro, al regno, e ciò non solo psicologicamen­
te, ma ontologicamente.
Se vogliamo servirci di Paolo come ermeneuta della
frase “ in memoria di me” , saremo portati senza dub­
bio a concludere che la memoria eucaristica orienta
verso la parusia. La spiegazione, infatti, fornita da
Paolo all’espressione “ in memoria” è la seguente: con
l’eucaristia “ voi annunciate la morte del Signore fin­
ché egli venga” (1 Cor 11,2 6 ). Come annota Jeremias,
l’espressione “ finché egli venga” viene usata nel Nuo­
vo Testamento in riferimento agli éschata46; il suo sen­
so nel caso concreto è che nell’eucaristia la morte del
Signore non viene annunciata come evento del passa­
to, ma nella prospettiva della parusia. Così si spiega
anche il collegamento dell’eucaristia con l ’acclamazio­
ne marana' tha', che Paolo conosce e alla cui impor­
tanza ci siamo già riferiti.
N ell’eucaristia dunque collochiamo gli eventi e le
persone del passato e del presente nel contesto del re­
gno che verrà, e ciò non solo psicologicamente (con
un movimento dell’immaginazione in direzione del
46
In particolare, áchri hoû (“ finché” ) introduce espressioni analoghe
in L c 2 1,2 4 ; R m 1 1 ,2 5 e 1 Cor 15 ,2 5 . Cf. J. Jeremias, Le parole dell’ulti­
ma cena, p. 3 16 .
49
fu tu ro ), m a ontologicam ente, al fine cioè d i d are ip o ­
stasi a q u e sti eventi e a q u e ste persone, così che n o n
scom paiano (in forza del tem p o e della m orte) e vi­
vano e te rn a m e n te . Sim ile sopravvivenza e te rn a degli
eventi e degli esseri non può essere garantita tram ite
la loro collocazione nella m em oria um ana. La m em o­
ria u m an a viene e se ne va, p erch é è u n a m em oria
creata. Q u a n d o com e chiesa preghiam o p e r la “m e­
m oria e te rn a ” di q ualcuno, n o n in te n d ia m o che q u e ­
sta p erso n a sopravviva nella n o stra m em oria u m a­
na: ciò avrebbe scarsa rilevanza, d ato che la m em oria
um an a, in q u a n to creata, passa. In te n d ia m o la soprav­
vivenza di q u esta p erso n a nella m em oria di D io. Solo
cose e persone che esistono nel pensiero d i D io esi­
stono realm ente. Q u a n d o D io p ro n u n cia il trem en d o :
“ N o n vi co n o sco ” (M t 25,12), le conseguenze n o n
sono psicologiche, m a ontologiche; allo stesso m odo
q u a n d o afferm a: “ N o n m i rico rd erò p iù d ei loro p e c ­
c a ti” (E b 8,1 2 ; 10,17), le conseguenze sono d i ordine
ontologico p e r i p eccati concreti. In v ersam en te, q u a n ­
do D io “ si ric o rd a ” d i qualcosa o d i qualcuno, n o n
agisce psicologicam ente - n o n h a d ’a ltro n d e senso in ­
tro d u rre la psicologia n e ll’essere di D io, com e h a fa t­
to A go stin o con la sua teologia trin ita ria - m a p ro ce­
de a u n atto creativo e ontologico con cui viene accol­
to esisten zialm en te l ’essere co n c re to 47.
Siam o così g iu n ti alla liturgia eucaristica. E lem ento
fo n d am en tale ed essenziale d i ogni liturgia eucaristica
47 L’espressione “Ricordati di me, Signore, quando verrai nel tuo re­
gno”, che dai tempi del buon ladrone ripetiamo nella chiesa, testimonia
che il regno è lo spazio entro cui la nostra ipostasi è garantita, in ragione
del fatto che a ricordarsi di noi è Dio e non sono semplicemente degli uo­
mini (“Ricordati, Signore
50
è la com m em orazione. N o n c ’è e u c aristia in cui, in un
m odo o in u n altro, n o n vengano ric o rd ati eventi (an­
z itu tto l ’evento della creazione del m o n d o e gli eventi
relativi alla v ita te rre n a d i C risto), m a anche nom i.
C he senso h a q u e s t’u ltim a com m em orazione all’in te r ­
no d e ll’eu caristia?
C om e la n o stra litu rg ia si è an d ata co n figurando,
è difficile discern ere il senso della com m em orazione
dei nom i. Tre sono essenzialm ente i m o m en ti in cui
vengono, a ttu a lm e n te , ric o rd ati dei nom i nella litu r ­
gia. Il p rim o è nella proskom idé, q u a n d o cioè i fedeli
consegnano i d o n i ai c e le b ra n ti (sacerdoti e diaconi)
prim a della d iv in a liturgia, perché con essi p rep a rin o
l ’eucaristia. Q u e sto p u n to , p e r ragioni p ratich e, è alla
fine div en tato il m om ento p e r eccellenza di com m e­
m orazione d i nom i, d u ra n te il quale si estraggono le
partico le (merí des) d i q u a n ti vengono ric o rd ati, p e r
collocarle nel disco accanto all’A gnello e in fin e, as­
siem e a q u e s t’u ltim o , nel calice48. T utto il rito , così
48 Suscita ampia discussione il fatto se le particole corrispondenti alla
Vergine, ai santi e ai fedeli debbano o meno essere poste nel calice, assie­
me all’Agnello, al momento della comunione. Se ci avvaliamo di criteri
storico-filologici sembra che una simile mescolanza non trovi il favore
delle testimonianze storiche (cf. I. Foundoulis, “Apantéseis sè Leitourghikés, Kanonikès kaì álles Aporíes”, in Ephemérios 43 [1994], pp.
208.239 s.). Comunque sia, da un punto di vista teologico questa mesco­
lanza è significativa. Il corpo di Cristo nell’eucaristia è corpo che com­
prende i "molti" (1Cor 10,17) e specialmente i santi e i fedeli commemo­
rati, di cui vengono estratte le particole, per testimoniare il carattere ipo­
statico di ciascuno di loro. La comunione al corpo di Cristo nell’eucari­
stia è nel contempo comunione con i santi e i fedeli commemorati (cf.
Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa 13, PG 94,1153: “Viene detta
ed è veramente comunione, perché attraverso di essa noi entriamo in co­
munione con Cristo ... ma anche perché, tramite essa, noi entriamo in
comunione e ci uniamo tra noi... e diventiamo gli uni membra degli altri
essendo con-corporei con Cristo”. L’estrazione delle particole è certa51
com e ora si celebra, è privo di chiaro rife rim e n to al
regno fu tu ro ; i suoi rife rim e n ti sim bolici sono es­
senzialm ente al sacrificio d i C risto sulla croce. Tale
rito ven n e in tro d o tto a poco a poco, solo a p a rtire
d a ll’VIII secolo; n o n co stitu isce u n a p a rte d e ll’anafora
eu caristica, la quale, com e o ffe rta e sacrificio d e ll’Agnello escatologico, h a luogo più tardi. In tal m odo,
l ’espressione “R icordati, S ignore” che accom pagna in
quel m om ento l ’estrazio n e delle p a rtico le n o n d e v ’es­
sere rite n u ta la com m em orazione in senso p ro p rio di
q u a n ti vengono ric o rd ati, vivi o d e fu n ti.
L ’altro m om ento che ospita la com m em orazione
d ei nom i è quello del g ran d e ingresso, specie q u a n ­
d o a celebrare è u n vescovo. L ’e v en tu alità che il p re ­
sule o ffic ia n te ricordi alcuni nom i nel m om ento in cui
riceve dai p resb ite ri e dai diaco n i i d o n i del popolo
d e v ’essere collegata con il fatto che il vescovo n o n as­
siste alla p reparazione dei d o n i (la proskom idé), d a ­
to che e n tra nel tem p io solo in occasione del piccolo
ingresso. C osì anche q u esta com m em orazione di n o ­
m i n o n d e v ’essere considerata com e la com m em ora­
zione eu caristica in senso p ro p rio , m a com e u n p ro ­
lu n gam ento della com m em orazione della proskom idé,
che in izialm en te veniva celebrata in quel m o m e n to 49
e che p u re n o n fa p a rte d e ll’anafora in senso stret-
mente prassi posteriore, ma è incomprensibile senza la loro coincorpora­
zione nel corpo di Cristo). Senza una tale comunione non ha senso né
commemorare né porre le particole accanto all’Agnello. Ciò che lava i
peccati dei commemorati non è il loro contatto con l’Agnello, ma la loro
incorporazione in lui. Altra questione, certo, è l’elevazione dell’Agnello il
quale, in quanto unico santo e unico Signore (“Uno solo è santo, uno solo
è Signore”), in quanto capo del corpo, viene elevato e adorato da solo.
49 I. Foundoulis, Apantéseis eis Leitourghikas Aporías IV, Athênai
1982, pp. 289 s.
52
\
to50. È comunque meritevole di attenzione il fatto
che l’acclamazione “ Di noi tutti si ricordi il Signore
D io” , come pure la memoria che in essa viene fatta
dei nomi, presentano un chiaro riferimento al regno:
“ Nel suo regno” .
Resta così il terzo momento di commemorazione,
che è il momento per eccellenza dell' anámnesis, della
memoria eucaristica: ci riferiamo al momento dell’a­
nafora. Costituisce una vera disgrazia il fatto che la
commemorazione dei nomi abbia ormai smesso di es­
sere fatta in quel momento e sia stata relegata, per ra­
gioni pratiche, quasi esclusivamente alla proskomidé.
Perché, in tal modo, viene a scomparire tutto il signi­
ficato teologico di quest’atto. Ma qual è questo signi­
ficato?
Se risaliamo di nuovo ai padri, come sempre faccia­
mo nel presente studio, possiamo attingere da Cirillo
50
Come effetto dell’accesso anticanonico del vescovo al santuario pri­
ma del piccolo ingresso per indossare i paramenti (cf. supra, n. 26), è in­
valso l’uso che il sacerdote celebrante completi e copra la proskomidé al
momento dell'órthros. Non è senza significato il fatto che i vescovi dei
tempi più antichi mai facessero tale cosa, ma commemorassero e comple­
tassero la próthesis al momento dell’inno cherubico. Tale ordine, in quan­
to più antico, costituisce un’indicazione sia del fatto che il rito della pro­
skomidé veniva originariamente celebrato in quel momento, sia del fatto
che il vescovo non si trovava nel santuario prima del piccolo ingresso.
Generalmente non è certo se il vescovo inizialmente avesse un qualunque
contatto e rapporto con la proskomidé, persino quando fu introdotto que­
sto rito, dato che lo skeuophylákion o la próthesis, dove venivano conse­
gnati i doni e avveniva la preparazione, almeno a Costantinopoli, costi­
tuivano un edificio particolare e indipendente accanto al tempio (T. Mathews, The Early Churches of Constantinople, 1 9 7 1, pp. 13 - 18 .15 8 s.).
Del resto, è al momento dell’inno cherubico e non durante l ’ órthros che il
vescovo deve lavarsi le mani davanti al popolo come atto pubblico di puri­
ficazione e di richiesta di perdono in vista della celebrazione dell’eucari­
stia. Questo gesto viene omesso, e non è certo un bene: ha un carattere
fondamentale che è testimoniato da fonti assai antiche (Cirillo di Geru­
salemme, ecc.).
53
di Gerusalemme51 informazioni utili. Nella sua spie­
gazione dell’anafora eucaristica, Cirillo la considera
nella sua totalità una commemorazione. Nella preghie­
ra anaforica, che inizia subito dopo l’invito: “ Rendia­
mo grazie al Signore” e la risposta del popolo: “ È co­
sa buona e giusta” , “ Commemoriamo - dice - il cielo,
la terra, il mare ... e ogni creatura razionale e irraziona­
le ... angeli, arcangeli, ecc.” , cioè la creazione di Dio
che, con questa commemorazione, partecipa anch’essa, in qualche modo, al mistero-sacramento dell’euca­
ristia. Dopo l’epiclesi dello Spirito santo e la trasmu­
tazione degli elementi in corpo e sangue di Cristo, “ al
cospetto di quella vittima di propiziazione” facciamo
memoria dapprima dei vivi (chiese, re, eserciti, malati
e “ in generale di tutti coloro che hanno bisogno di
aiuto” ) e poi “ di quanti si sono addormentati (pa­
triarchi, profeti, apostoli, martiri, ... vescovi) e in ge­
nerale di tutti coloro che ci hanno preceduti nel sonno
della morte, credendo che ne derivi sommo giovamen­
to alle anime per le quali si innalza la supplica quando
è presente sull’altare il santo e tremendo sacrificio” .
Da queste parole e da quanto Cirillo scrive nel pro­
sieguo si deduce che la commemorazione sia dei vivi
sia dei morti è collegata organicamente e prende tutto
il suo significato dal “ santo e tremendo sacrificio che
viene presentato", cioè dal sacrificio offerto a Dio in
quel momento. Quello, pertanto, è il tempo per com­
memorare vivi e defunti, atto che comporta un “ som­
mo giovamento” per gli stessi52. Dato allora che nella
51 Cf. Le catechesi 23,6-9.
52 Una nota sulla cosiddetta “ commemorazione episcopale” : si è im­
posta la consuetudine di effettuare commemorazioni episcopali quando
54
santa anafora del sacrificio coloro che vengono ricor­
dati sono presentati davanti a Dio “ in memoria eter­
na” , essi, grazie al sacrificio dell’Agnello, non solo
ottengono il perdono, ma ricevono anche “ vita eter­
na” , cioè un’ipostasi vera. Alla domanda: “ Cosa gio­
va a un’anima che lascia questo mondo con o senza
peccati, l’essere ricordata nel sacrificio?” (l’eterna do­
manda razionalistica, che sottomette alla legge del
peccato la libertà della grazia divina e la potenza del­
l ’eucaristia, che essa discredita come una presunta
azione magica), Cirillo dà la risposta categorica: noi
“ crediamo” fermamente che con l’eucaristia “ rendia­
mo propizio, sia per loro sia per noi [cioè per quanti
sono commemorati], il Dio amico degli uomini” , per­
fino se sono peccatori (“ anche se peccatori” ), perché
“ offriamo Cristo immolato per i nostri peccati” .
A questo punto si pone il problema dei dittici53 e
della sorte che ha infine avuto questo elemento così
essenziale dell’eucaristia. Non ci interessa qui la que­
stione dell’apparizione e dell’evoluzione storica dei
dittici nella prassi liturgica54. Faremo soltanto alcune
non è il vescovo a celebrare la liturgia. Ma se il vescovo non offre il sa­
crificio e non ricorda nell’anafora colui per il quale la commemorazione
viene compiuta, allora tutto il senso della commemorazione episcopale
scompare. La commemorazione si riduce a un Trisaghion episcopale (in
un ambiente come quello del Patriarcato ecumenico è stato sempre in­
concepibile celebrare una commemorazione episcopale senza una liturgia
episcopale).
53 Sono così chiamati i cataloghi liturgici dove venivano trascritti i no­
mi dei vescovi e dei fedeli vivi e defunti da commemorare. Si trattava di
una coppia di tavolette congiunte a cerniera o di un foglio piegato in due
(di qui il nome: díptychon, che significa “ piegato in due” ) [N.d.T.].
54 Lo studio più circostanziato su tale argomento è stato scritto, di re­
cente, dal famoso liturgista Robert Taft, A History o f the Liturgy of St.
John Chrysostom, IV. The Diptychs, Roma 19 9 1.
55
osservazioni di carattere generale, u tili a chiarire l ’a r­
gom ento del n o stro studio.
È prevalso oggi l ’uso di leggere i c o sid d e tti d ittic i
solo q u a n d o a celebrare sono capi di chiese autocefale
o, secondo il calen d ario ufficiale della chiesa di G re ­
cia, q u a n d o celebra u n vescovo in u n a g ran d e so lenni­
tà. Tale lim itazio n e co n trib u isce a rafforzare l ’in u tilizzazione, sopravvenuta con il trascorrere del tem po,
di u n elem ento assai essenziale d e ll’eu caristia. N ella
chiesa an tica i d ittic i avevano u n p o sto e u n ’im p o r­
tanza cen trali nella div in a liturgia, com e te stim o n ia ­
no, tra gli altri, C riso sto m o 55 e M assim o 56; com e poi
si ded u ce dal caso d e ll’esilio del C risostom o, alm eno
C o stan tin o p o li, A lessan d ria e A n tio ch ia leggevano ad
alta voce d ittic i d u ra n te l ’anafora, su b ito d o p o l ’e p i­
clesi. Q u e sto loro p o sto nella liturgia testim o n ia ch ia­
ram e n te che i d ittic i n o n avevano solo lo scopo rile ­
vantissim o d i m ostrare il reciproco rico n o scim en to e
la reciproca co m unione tra le chiese (com e a tte sta
l ’argom ento della cancellazione d a essi del C riso sto ­
m o), m a co stitu iv an o anche u n a p a rte organica della
com m em orazione eucaristica, cui ci siam o appena r i­
fe r iti57. E v id e n te m e n te , po ich é a prevalere è stato il
55In Acta apostolorum homiliae 21,4, PG 60,170.
56Relatio motionis 5, PG 90,117.
57 II metropolita di Patrasso Nikodimos (Díptycha tês Ekklesías tês
Helládos, 1994, p. 80) sostiene, giustamente, che l’acclamazione “pollà
tà éte” (ad multos annos) non ha posto nei dittici, proprio perché essi “di­
pendono dall ' ancora ti preghiamo, ricordati, Signore’". I dittici sono una
parte organica del memento nell’anafora e non sono soltanto dimostrativi
della comunione ecclesiale. L’origine dell’acclamazione “pollà tà éte” è
da ricercarsi sicuramente nella confusione dei dittici con le phêmes, le ac­
clamazioni con cui si augurava lunga vita ai presuli (e al re) e nella loro li­
mitazione, alla fine, soltanto a nomi di vescovi.
56
primo di questi due significati (la dichiarazione del­
l’unità e della comunione delle chiese locali), si è alla
fine ritenuto sufficiente che i dittici comprendessero
solo vescovi e venissero proclamati solo durante la ce­
lebrazione presieduta da primati di chiese autocefale.
Il secondo significato, tuttavia (commemorazione di
vescovi, re e fedeli, vivi e defunti), è ugualmente im­
portante. L ’anafora eucaristica esige, per la sua stessa
natura, tale commemorazione (lo si è già visto: cf. supra, Cirillo di Gerusalemme).
Da un semplice sguardo al testo della divina litur­
gia di cui oggi si serve la chiesa ortodossa, appare
chiaro come in questo punto della commemorazione
dopo l’epiclesi si sia verificata una grande confusione
dei manoscritti e, in generale, del materiale liturgi­
co58. Quello tuttavia che sembra indiscutibile è il fat­
to che nella nostra liturgia vengano commemorate due
categorie di fedeli dopo l ’epiclesi e la consacrazione.
Una è quella dei defunti, la cui commemorazione ha
inizio nell ' Exairétos, e l’altra è quella dei vivi, che
comincia con l ' En prótois59. Si tratta chiaramente di
una forma di dittici che costituisce l ’ambito per ec­
58 Cos ì vengono commemorati, prima dell’Exairétos (“ In modo parti­
colare per la santissima ... Madre di Dio e sempre vergine Maria” ), gli
apostoli, i martiri, ecc., cosa che viene ripetuta dopo l 'Exairétos. Allo
stesso modo, prima dell 'E n prótois (“ In primo luogo ricordati, Signore,
del nostro arcivescovo ...” ) e assieme ai defunti, si fa menzione “ di tutti i
vescovi ortodossi ... e del presbiterio” , ecc., mentre tali elementi appar­
tengono alla commemorazione dei vivi, che viene ripetuta dopo l ' En
prótois.
59 La proclamazione di dittici relativi solo ai defunti viene citata negli
scritti areopagitici ma, come si è visto, le testimonianze di dittici concer­
nenti pure i vivi sono antiche. Cf. anche Massimo il Confessore, Scholia
in librum de ecclesiastica hierarchia, P G 4 ,14 5.
57
cellenza della com m em orazione eu caristica. È allora
che devono essere ric o rd ati i nom i, o alm eno alcuni
tra essi, com e i n om i di coloro p e r i quali viene cele­
b rata la liturgia di com m em orazione; nel caso poi in
cui i nom i siano m olti, si deve fare rife rim e n to , in
term in i generali, a q u a n ti sono sta ti ric o rd a ti nella
próthesis. Tutto ciò n o n equivale a p u ra form a: so tto li­
nea il fatto che il “ m em o riale” di C risto n e ll’eucaristia com prende in sé anche tu tti i san ti e i m em bri
della chiesa, p e r i quali v ien e o ffe rto “q uesto culto
raz io n ale ” .
La com m em orazione dei d e fu n ti inizia con l 'Exairétos60 e com prende i san ti rico n o sciu ti assiem e a t u t ­
ti i fedeli. Il fatto che l ’e u c aristia sia o ffe rta anche
p e r (hypér) la Vergine, p e r il Precursore, p e r il santo
d el g iorno, com e p u re “p e r quelli che si sono a d d o r­
m en ta ti nella fede, p ro g en ito ri, p a d ri, p a triarc h i, p ro ­
feti, apostoli, p red icato ri, evangelisti, m a rtiri, e c c.” 61,
d im o stra com e tu tti i santi a b b ian o bisogno d e ll’euca­
ristia e d e b b a n o venire in co rp o rati in essa. La q u e ­
stio n e era già stata sollevata d a G io v an n i C riso sto ­
m o 62: p erch é - si chiede il santo - o ffriam o il sacrifi­
cio p e r i m a rtiri, visto che già sono santi? N o n o sta n te
siano san ti - risp o n d e - facciam o la com m em orazione
60 Secondo Taft (A History of the Liturgy IV, p. 118) questo memen­
to venne introdotto da Gennadio di Costantinopoli (458-471); costitui­
va l’inizio della proclamazione dei dittici dei defunti senza l’inno Axión
esti (“Degno è davvero dirti beata, o Madre di Dio ...”), che fu aggiunto
molto più tardi, quando ormai era prevalsa la consuetudine di leggere sot­
tovoce i nomi, dopo l’XI secolo, anzi, secondo Taft, non prima del XVI
secolo.
61 Questo pezzo compare oggi nella liturgia prima dell'Exairétos. Cf.
n. 58.
62 In Acta apostolorum homiliae 21,4, PG 60,170.
58
per loro, perché in quel momento è presente il Signo­
re, ed è un grande onore per loro essere ricordati in
tale circostanza. Ciò che è significativo in questo caso
è il fatto che nel corpo dell’eucaristia il corpo sacrifi­
cato e risorto della “ nuova creazione” , la chiesa, con
la sua eucaristia, ponga insieme i santi e i peccatori,
per i quali - santi e peccatori - offre il sacrificio: gli
uni, per onorarli e per dichiarare che pure i santi ven­
gono salvati solo in quanto membri del suo corpo; gli
altri, per chiederne la salvezza, sempre attraverso la
comunione di tutti all’unico corpo di Cristo.
D ’altra parte, la commemorazione dei vivi inizia
con “ In primo luogo” 63, con la menzione, cioè, anzi­
tutto, del vescovo locale64. È lui il capo dei vivi, co-
63 La cancellazione dell’E n prótois nel caso di una liturgia presieduta
dal primate di una chiesa autocefala si giustifica, ed è accaduto realmente
nella storia (Taft), solo quando i dittici vengono considerati come catalo­
ghi per commemorare soltanto i vescovi. Ma lo si è già sottolineato: ì'En
prótois è l’inizio dei dittici di tutti i vivi (re, laici, ecc.; cf. Massimo il
Confessore), e di conseguenza chi presiede la liturgia deve proclamare:
“ In primo luogo ricordati di tutti i vescovi” , mostrando così che prima dì
tutti i vivi si fa memoria del corpo episcopale. Tale questione può rivesti­
re una particolare rilevanza ecclesiologica (cf. Massimo il Confessore,
Relatio motionis 5, P G 90,1 1 7C-D).
64 II problema è quando celebra un vescovo. Si pone, in tal caso, la
questione di chi dovrà essere commemorato dal vescovo celebrante. Que­
sta domanda resta semplice forma se non ci curiamo di fondare teologica­
mente la nostra risposta. Ciò che dev’essere sottolineato è il fatto che
mentre i presbiteri di una chiesa locale celebrano l’eucaristia in nome del
vescovo locale, il vescovo la celebra sempre nel nome del suo prôtos, del
suo “ primo” , e mai del vescovo locale, e solo quello commemora, in qual­
siasi luogo si trovi egli a celebrare. Se il vescovo celebra in una diocesi
non sua, il vescovo del luogo gli cede la presidenza dell’eucaristia (non la
cattedra, però) e dunque viene menzionato in tale liturgia solo il nome
del vescovo celebrante. In caso di una concelebrazione che veda presenti
più vescovi, è di nuovo incomprensibile che il vescovo che presiede com­
memori il vescovo locale (qualunque sia la carica o dignità che questi ri­
veste), perché ciò implica la sospensione della commemorazione della te­
sta stessa, come pure la sottomissione di un vescovo a un altro, cosa che
59
m e la Vergine lo è dei m o rti. Possono b e n esistere
m em b ri della chiesa p iù san ti del vescovo, tu tta v ia
n o n vengono ric o rd ati in prim o luogo, perch é il corpo
della chiesa locale h a soltanto u n a testa o u n capo: il
vescovo. I vivi si salvano solo u n iti al loro vescovo, al
d i fu o ri di lui n o n h a n n o relazione con il corpo di
C risto , o ffe rto “p e r la v ita e te rn a ” . C h i n o n com m e­
m ora il suo vescovo in q u esto m om ento d e ll’eu caristia
am puta se stesso dal catalogo dei vivi. A n ch e p er
questo u n ’eu caristia che n o n venga celebrata nel n o ­
m e del vescovo locale o del vescovo che, p e r conces­
sione di quello, presiede, è senza significato salvifico
p er q u a n ti la celebrano.
C o n q u an to sc ritto in q u esto paragrafo abbiam o
voluto so tto lin eare i seguenti elem enti: a) l ’eu caristia
è la com m em orazione p er eccellenza di vivi e d e fu n ti;
b) soggetto della “m em o ria ” , cioè colui che “ric o r­
d a ” , è D io stesso (non si tra tta d u n q u e sem plicem en­
te d i uom ini: “R ico rd ati, Signore ...” ); c) q u esto fare
m em oria (aná mnesis) n o n h a u n significato psicologico
m a ontologico (qui la q u e stio n e è il trascen d im en to
si oppone al fondamentale principio ecclesiologico dell’uguaglianza tra i
vescovi. Il problema dei vescovi ausiliari crea ulteriore complicazione,
perché si tratta di una grossolana deviazione ecclesiologica, dato che, in
quel caso, siamo in presenza di un vescovo che dipende da un altro vesco­
vo. La cosa più regolare sarebbe che anch’egli commemorasse il suo prô­
tos, qualunque sia il luogo in cui si trovi a celebrare, e non, com’è entrato
nell’uso, sempre il vescovo locale. Di conseguenza, quando un vescovo
celebra in un’altra eparchia, è lui e non quello locale - per concessione,
certo, di quest’ultimo - il prôtos e la testa di quella sinassi eucaristica, e
nel suo nome tale eucaristia viene celebrata. Ciò non costituisce un’intro­
missione, perché avviene con il permesso canonico del vescovo locale.
Principio ecclesiologico fondamentale è il seguente: il vescovo, ovunque
egli celebri, è testa della concreta sinassi eucaristica e mai si incorpora in
una chiesa locale a lui estranea, né interrompe la commemorazione del
suo proprio prôtos.
60
della m o rte e il vero, ip o statico , “e te rn o essere” in
C risto); d) q uesta com m em orazione p a rte dalla p a s­
sione di C risto e dal suo sacrificio sulla cro ce65, m a
rin v ia e “si co m p ie” nel regno fu tu ro d i C risto (“ R i­
co rd ati, Signore, q u a n d o verrai nel tu o re g n o ”). In
tal m odo il m em oriale eu caristico div en ta anche m e­
m oriale del fu tu ro , cioè “della seconda e gloriosa paru sia ” .
V iviam o v eram en te solo nella m isura in cui D io,
nel regno del suo Figlio, si ric o rd erà di noi e ci d a ­
rà fin a lm e n te ipostasi. L ’eucaristia, tra sp o rta n d o ci in
questo regno, ci offre il sacrificio d i C risto “p e r la re ­
m issione dei p e c c a ti” m a anche “p e r la v ita e te rn a ” ,
cioè l ’“essere sem pre e l ’essere b e n e ” (M assim o il
C onfessore), il n o stro essere ipostatico-personale nel
“ secolo senza fine che n o n in v ecch ierà” (Basilio).
La s tru ttu ra d e ll’“ istitu z io n e ” della chiesa
L ’eu caristia n o n è solo icona del regno, m a è anche
rivelazione della chiesa; e q uesto perché, c o n tra ria ­
m en te a ciò che h a rite n u to la teologia o ccidentale in
varie epoche, la chiesa n o n è co n fin a ta esclusivam en­
te al p erio d o com preso fra la v ita te rre n a di C risto e
la sua seconda venuta, m a p reesisteva66, essendo lega­
ta alla volontà e te rn a d i D io rig u a rd an te il corso e
65 In realtà comprende e ricapitola l’intera storia della salvezza, l’eco­
nomia divina; cf. Teodoro Studita, Antirrhetikós I, PG 99,340.
66 Cf. I. Karmiris, Orthódoxos Ekklesiologhía, 1973, pp. 19 ss.
61
l’esito dell’economia divina, e si estenderà “ per i se­
coli dei secoli” come regno di D io67. La chiesa è un
mistero dall’aspetto poliedrico e la sua definizione
- ammesso che la si possa definire - è a sua volta po­
liedrica e complessa68. Una “ definizione” che ci ri­
mandi non a concezioni intellettuali ma all’esperienza
reale è quella ben nota fornitaci da Nicola Cabasilas:
“ La chiesa è significata nei sacramenti” . Se mai si
può vedere (non “ definire” ) la chiesa, ciò avviene so­
lo nell’eucaristia: “ Se uno è in grado di vedere la
chiesa di Cristo ... non vedrà null’altro che il solo
corpo del Signore ... Non è perciò affatto sconvenien­
te che la chiesa sia significata quaggiù attraverso i sa­
cramenti” 69. Secondo Cabasilas, esiste fra chiesa ed
eucaristia non un’ “ analogia di somiglianza” , bensì
un’ “ identità di realtà” 70: questo è il punto a cui si
spinge questo padre! Ciò consente a lui e ad altri teo­
logi dogmatici autenticamente ortodossi di scrivere
67 La chiesa “ prende inizio in questa vita e si sviluppa nell’esistenza
presente, ma sarà portata a compimento soltanto nel futuro, quando
giungeremo a quel giorno” : Nicola Cabasilas, La vita in Cristo I , a cura di
U. Neri, Torino 19 7 1, p. 63.
68 Richiede una certa arroganza il pretendere che la propria definizio­
ne sia la definizione della chiesa, quando lungo tutto il periodo patristico
non si trova alcuna definizione della chiesa. G li ecclesiologi ortodossi,
come I. Karmiris nel suo Orthódoxos Ekklesiologhía, non solo evitano di
dare una “ definizione” ma parlano di una “ espressione e una spiegazione
vaghe e imperfette dell’inesprimibile e inesplicabile mistero della chie­
sa” (p. 11).
69 Expositio liturgiae 38,2-3, P G 1 5o,452D -453A . Meraviglia che nes­
suno abbia ancora condannato Cabasilas per “ monismo eucaristico” , vi­
sta la sua posizione secondo cui “ solo” nell’eucaristia la chiesa è rivelata.
E degno di nota, tuttavia, che sia lui sia Massimo il Confessore preferi­
scono il linguaggio dell’immagine (vedere) piuttosto che fornire una defi­
nizione della chiesa.
70 Expositio liturgiae 3 8 ,1, P G 150 ,4 52 D .
62
- senza p au ra di essere c o n d a n n a ti p e r “u n ila te ra li­
t à ” - che la chiesa è m utata in e u c a ristia 71 o, con le
parole di Florovskij e K arm iris, che “l ’eu caristia fa,
costitu isce c o n cretam en te la c h iesa” 72.
M a, com e scrive Florovskij, “ [c o m u n io n e/c o m u n i­
tà] sacram entale n o n significa n ie n t’altro che escatolo­
gica” 73. N el c o stitu ire la chiesa, l ’eu caristia la rivela
com e com unione e com unità dei tem pi ultim i, d ato che
“la chiesa è p o rta tric e in generale di u n c arattere
escatologico e vive c o n tin u a m e n te nell ‘ora u ltim a ’” 74.
La p o rta ta d i questa v e rità n o n è solo antropologica
(salvezza e div in izzazio n e d e ll’uom o attraverso i sa­
cram en ti e in seno alla chiesa) m a anche cosmologi­
ca75 e d ecclesiologica. C i sofferm erem o in m odo p a rti­
colare su q u e s t’u ltim o p u nto.
La chiesa è u n a c o m u n ità con u n a p artico lare strut­
tura. N o n è sem plicem ente u n a “ c o m u n ità di fede e
di c u o ri” , com e la v o rreb b e la teologia p ro te sta n te
(cf. la Confessione di Augusta) e così c o m ’è com presa,
sfo rtu n ata m e n te, da m olti o rto d o ssi del n o stro te m ­
po, i quali p rese n tan o l ’orto d o ssia p rin c ip alm e n te co­
m e u n sistem a d i idee o u n a fo rm a d i “relig io n e” ,
u n ’esp erien za religiosa del cuore, e v itan d o n e le is titu ­
zioni e specialm ente il vescovo e la conciliarità. M a
d a dove deriv a la p ro p ria s tru ttu ra la chiesa? V isto
71Ibid.
72 G. Florovskij, “The sacraments constitute the Church”, in The
UniversalChurch in God’s Design, Geneva 1948, p. 47. Più specificamen­
te, scrive Karmiris: “È stato giustamente osservato che l’eucaristia fa la
chiesa” (Orthódoxos Ekklesiologhía, p. 94).
73 G. Florovskij, “The sacraments”, p. 54.
74 I. Karmiris, Orthódoxos Ekklesiologhía, p. 164.
75 Cf. I. Zizioulas, Il creato come eucaristia, Bose 1994, pp. 71 ss.
63
che è nella sua natura una comunità escatologica, co­
me è connessa la sua struttura al regno di Dio?
Come è accaduto nel caso della stessa eucaristia,
così pure per le istituzioni della chiesa l ’intero sforzo
della teologia accademica si è concentrato nel dimo­
strare come le varie istituzioni e i ministeri della chie­
sa siano o non siano connessi con la vita terrena e
l’insegnamento di Cristo e degli apostoli (o anche con
la tradizione). Uno sforzo assai modesto è stato fatto
per mostrare come queste istituzioni e ministeri si
rapportino alla prospettiva escatologica della chiesa.
E tuttavia il fatto che questi ministeri siano scaturi­
ti e continuino a scaturire dall’eucaristia76 testimonia
che è impossibile che essi non siano strettamente con­
nessi con la comunità escatologica della quale l ’euca­
ristia è immagine.
Ma quale rapporto può avere il regno di Dio con
la struttura? Il concetto di struttura ha acquisito una
brutta nomea non solo dal pietismo, che pone tut­
to l’accento sull’uomo interiore o sul suo comporta­
mento etico, ma pure dalla filosofia e dal pensiero
contemporanei che tendono a considerare ogni strut­
tura come un’alienazione della persona e della sua li­
bertà.
Se, tuttavia, non attribuiamo a “ struttura” il carat­
tere legale di un’autorità imposta dall’esterno ma la
connettiamo all’alterità delle relazioni personali, allora
le cose cambiano. Nel regno di Dio esisterà alterità dì
relazioni, e questo crea la varietà e la gerarchia dei
ministeri.
76 Per maggiori ragguagli cf. I. Zizioulas, He Henótes tês Ekklesías.
64
Per essere p iù specifici: su ll’evidenza concorde dei
te sti b ib lici e p a tristic i la co m u n ità escatologica, il re ­
gno di D io, in clu d erà i seguenti elem en ti basilari, che
co stitu isco n o l ’a lte rità relazionale e in q u esto senso
u n a s tru ttu ra di c a ra tte re esistenziale.
a) U n a sinassi del popolo disperso d i D io, e p er
e ste n sio n e u n ’u n ità “in u n m edesim o lu o g o ” del m o n ­
do fram m en tato dalla c o rru z io n e e dalla m o rte. C om e
già abbiam o v isto 77, q u esta sinassi fo rm a u n elem ento
essenziale degli éschata, del regno di D io.
b) U n a sinassi con a l centro la persona di Cristo,
il quale d a u n lato in ca rn a la presenza stessa d i D io
nel m o n d o com e “im m agine del D io in v isib ile ” (Col
1,15), e d a ll’altro in co rp o ra e riu n isce “i m o lti” nella
sua p erso n a com e “ Servo del S ignore” e “ Figlio d e l­
l ’u o m o ” escatologico, o com e “p rim o g en ito di tu tta la
creazione ... p rim o g en ito d i tra i m o rti” , “capo del
corpo, che è la c h iesa” (Col 1,15-20).
c) U n a sinassi con al cen tro il C risto che, co m u n ­
que, sarà circondato dai D odici (gli apostoli), che “sie­
d eran n o su do d ici tro n i p e r giudicare le dodici trib ù
di Israele” (M t 19,28; Lc 22,30).
D i conseguenza il regno di D io , la co m u n ità esca­
tologica, sarà u n a sinassi (del “popolo di D io ” e d i
“tu tte le cose” ) in cui, co m u n q u e, vi sarà u n ’a lte rità
d i ra p p o rti d e te rm in a ta dalla d ifferen za fra i tre ele­
m en ti, alm eno, ai quali abbiam o fatto riferim en to : il
popolo (o “i m o lti” o p e rfin o “tu tte le cose” ), C risto
e gli apostoli. Senza q u e sti elem en ti la co m u n ità esca­
tologica e, p e r esten sio n e, il regno d i D io , sono in ­
77 Cf. supra, “Il radunarsi ‘in un medesimo luogo’”.
65
concepibili. Il regno non è semplicemente un’espe­
rienza interiore dei “ cuori” 78, ma un’unità di tutto
nella persona di Cristo come “ immagine del Dio invi­
sibile” ; il Cristo, però, come ci è fatto conoscere dagli
apostoli e come ci è giunto per loro mano, e non co­
me ognuno di noi lo vorrebbe o se lo immagina79.
Inoltre, nel popolo stesso o nei “ molti” vi sarà una
varietà di carismi, perché non è concepibile che ognu­
no debba essere appiattito allo stesso livello nel regno
di Dio. La varietà e la molteplicità che non spezzano
l’unità del corpo bensì lo tengono insieme (cf. 1 Cor
12) saranno certamente una caratteristica del regno
come lo sono della chiesa.
Tutte queste cose sono “ rappresentate iconicamen­
te” dall’eucaristia come immagine del regno. Perciò
le osservazioni che seguono assumono un significato
speciale.
a)
Tutte le ordinazioni ai ministeri strutturali di ba­
se della chiesa (laicale, diaconale, presbiterale ed epi­
scopale) hanno luogo necessariamente all’interno del­
la celebrazione eucaristica80. Il battesimo e la crisma­
78 II detto del Signore: “ Il regno di Dio è fra di voi/dentro di voi” (Lc
17 ,2 1) significa, come risulta evidente dal contesto: il regno di Dio è in
mezzo a voi (ovviamente con la presenza della stessa persona di Cristo).
79 Si dovrebbe notare che nei tempi ultimi “ sorgeranno falsi cristi”
(Mt 24,24; M c 13,2 2), e perciò la testimonianza e il giudizio di coloro
che sono genuinamente apostoli è d ’importanza decisiva non solo da un
punto di vista storico, ma anche escatologico.
80 Le ordinazioni diaconali si svolgono spesso in una liturgia dei pre­
santificati. Quest’usanza sorse a partire dal seguente argomento: dato
che nella piena liturgia il diacono è ordinato subito prima della comunio­
ne, e i presantificati sono un ufficio il cui scopo principale è ricevere la
comunione, questa ordinazione può aver luogo nel corso di tale liturgia.
Questo ragionamento sottovaluta il fatto che lo svolgimento di un’ordi­
nazione in seno all’eucaristia è connesso all’intera raffigurazione iconica
del regno, che ha luogo solo in una liturgia completa, come ci è mostrato
66
zione sono l ’“o rd in a z io n e ” d ei laici, perché “laico ”
n o n è il n o n -o rd in ato , com e si p en sa co m u n em en te,
m a colui che attraverso il b a tte sim o e la crism azione è
u n m em bro regolare d ella sinassi eu caristica, con tu tti
i d iritti e gli ob b lig h i che ne conseguono; q u e sti due
sacram enti erano u n iti all’e u c aristia nella chiesa delle
origini, ed erano im pensabili staccati d a essa, com e
del resto le o rd inazioni.
b)
C o n tra ria m e n te ai r iti nei quali le persone ven­
gono “m esse a p a rte ” p er tu tti gli a ltri o rd in i (su d d ia­
conato, letto ra to , ecc.) che h a n n o luogo al di fu o ri
d e ll’eu caristia (alla fin e d e ll’ufficio del m a ttin o , a b i­
tualm en te) p erch é n o n co m p o rtan o m in iste ri strut­
turali, q u e ste o rd in a z io n i sono state v iste fin dai te m ­
pi di Ignazio di A n tio ch ia com e im p lican ti dei m in i­
ste ri che “rap p re sen ta n o in im m ag in e” gli elem enti
che, com e abbiam o visto, “c o stru isc o n o ” la c o m u n ità
escatologica: la “ m o ltitu d in e ” , vale a dire il popolo in
u n a sinassi, il tro n o di D io che è occupato dal vesco­
vo, e gli apostoli, rap p re sen ta ti ico n icam en te dai p re ­
sb ite ri, con il m in istero in te rm e d io dei diaconi. In si­
tu az io n i nelle quali il vescovo rap p resen ta iconica­
m en te il Padre, i diaco n i rap p resen tan o il “ Servo del
dalla prassi liturgica della chiesa antica (Ippolito e altri). Inoltre, è cosa
dubbia se 0 vescovo possa presiedere a una liturgia che non contiene
un’anafora. Non è un caso che all’ufficio dei vespri - e quanto a struttura
la liturgia dei presantificati non è altro che un ufficio vespertino - il ve­
scovo non presiede mai quale celebrante, ma “è presente” o sta in piedi
vicino ai cori. In generale, ogni ufficio che non è connesso all’eucaristia
(il mattutino, i vespri, ecc.) è compito dei presbiteri, e resta dubbio se
debba essere celebrato dai vescovi. Questo è importante, perché mostra
al di là di tutto che compito del vescovo per eccellenza è l'offerta dell’eu­
caristia; in altre parole, la celebrazione di una liturgia che comprenda
un'anafora.
67
Signore” Gesù (Ignazio); dove invece il vescovo rap­
presenta Cristo che siede sul trono di Dio, essi rap­
presentano gli “ spiriti ministranti mandati innanzi a
servire” (Eb 1,14 ), gli angeli: così come la tradizione
e l’iconografia bizantine hanno percepito e descritto i
diaconi.
La conclusione, significativa per il nostro argomen­
to, è che l’eucaristia come immagine dei tempi ultimi
- precisamente con tale proprietà - ha fornito e con­
tinua a fornire la struttura basilare della chiesa, senza
la quale, come dice Ignazio, “ essa non si chiama chie­
sa” 81. Questi elementi strutturali della chiesa sono es­
senziali e sono in relazione al suo essere (non solo al
suo benessere), perché toccano la sua natura di immagi­
ne del regno. In altre parole, la disgregazione di que­
sta struttura di base della chiesa distorce l’immagine
del regno che si suppone la chiesa manifesti nella sto­
ria, e presuppone un’escatologia che: a) o non con­
sente la rappresentazione in immagine dei tempi ultimi
nella storia, b) o non ha elementi strutturali, nel sen­
so esistenziale piuttosto che in quello legale del ter­
mine a cui ci siamo riferiti poc’anzi, c) oppure con­
tiene elementi strutturali - un’alterità relazionale diversi da quelli consegnatici dalla nostra tradizione
scritturistica e patristica e dei quali abbiamo appena
dato una descrizione sommaria82. In questo caso, ci si
81 Ad Trall. 3 ,1 .
82 II giornale greco Kathimerini recava recentemente (22 luglio 1994)
un articolo di Ch. Malevitsis intitolato: “ I vescovi” nel quale l ’autore in­
vocava l’abolizione dell’istituzione dei vescovi perché i loro battibecchi e
la loro veste dorata sono offensivi, e perché limitano l ’istituzione dei pre­
sbiteri (perché allora dovremmo aver bisogno di questi ultimi?). C i si sa­
rebbe attesi dal signor Malevitsis una migliore conoscenza delle questio-
68
dovrebbe dire quali siano questi elementi differenti e
perché dovrebbero sostituirsi a quelli che abbiamo ri­
cevuto dalla tradizione83.
Se i ministeri e le istituzioni della chiesa sono visti
come immagine del regno, conseguentemente le di­
verse istituzioni non possono essere comprese né pos­
sono funzionare se non in rapporto l ’una con l ’altra.
Dato che ogni istituzione e ogni ministero forma una
parte di un’immagine, se uno di questi ministeri si iso­
la e si esalta al punto da dire agli altri: “ Non ho alcun
bisogno di te” (1 Cor 12 ,2 1-2 4 ), il risultato è una di­
storsione dell’intera immagine. L ’immagine del regno è
un’immagine unificata, e l ’ontologia dei ministeri ri­
ni teologiche. Ma forse la responsabilità è in ultima istanza della chiesa e
della teologia, che per tutti questi anni non hanno svolto il loro compito
di mostrare perché queste istituzioni nella chiesa ortodossa possiedano
una verità e un significato “ ultimi” . Sintomi come quelli mostrati dall’ar­
ticolo di Malevitsis continueranno ad apparire sempre più finché la teo­
logia non svolgerà il proprio dovere di interpretare i nostri dogmi e le no­
stre istituzioni e di mostrarne il significato più generale. Quando vi sono
teologi ortodossi che reputano l’interpretazione del dogma una peculiari­
tà “ protestante” (!), si può capire perché accadano simili episodi. Se i pa­
dri della chiesa avessero fatto lo stesso e avessero lasciato i dogmi privi
d’interpretazione - che è il significato che questi assumono per la nostra
vita - , il cristianesimo sarebbe stato relegato da lungo tempo nel cestino
per i rifiuti della storia.
83
Per esempio, perché limitarci al solo presbitero? Il protestantesimo
ha rifiutato i vescovi perché non riusciva a trovarli nel NT, secondo l’as­
sioma del sola Scriptura (ora sta abbozzando una riconsiderazione dell’ar­
gomento). Ma scegliere 0 presbitero dalla tradizione e respingere altri
elementi puramente e semplicemente perché sono psicologicamente o
moralmente offensivi non è buona teologia, e non è neppure teologia
protestante. Noi abbiamo il sospetto che tali idee celino una visione della
chiesa come struttura stabilita per rispondere a bisogni religiosi, che spe­
rimenta il “ sacro” e pone in rapporto con il “ divino” ; in questo caso,
davvero, il presbitero è sia necessario (cf. le antiche religioni greche e
orientali) sia sufficiente a tale scopo. Il cristianesimo, però, è una “ religio­
ne” ? E può essere intravista un’affinità tra esso e altre religioni basando­
si sull’idea del “ sacro” e del “ divino” ?
69
chiede in te rd ip e n d e n z a e relazione fra essi, com e so t­
tolinea Paolo d ram m aticam en te nella sua P rim a le tte ­
ra ai C o rin ti. N o n p u ò , p e r esem pio, il vescovo e siste­
re senza i p re sb ite ri e il popolo, né i p resb ite ri e il
popolo senza il vescovo. Q u e sto fatto protegge la ch ie­
sa sia dal “d isp o tism o ” o dal “clericalism o” d i m arca
episcopale o presb iterale, sia dal “laicism o” , ab e rra ­
zioni che sto ricam en te sono so rte q u a n d o l ’approccio
iconico-escatologico c o n te n u to n e ll’ecclesiologia euca­
ristic a h a lasciato il posto a u n ’ontologia d ei m in isteri
in d iv id u alista e legalista. Prova di q u esto si trova nel
fatto che nella chiesa o rto d o ssa la sola eucaristia ha
preservato l ’in te rd ip e n d e n z a dei m in iste ri della c h ie ­
sa, alm eno in teo ria, visto che è p ro ib ito celebrarla
senza u n a sinassi, senza il suo “A m e n ” 84 e senza p re ­
sb ite ri e vescovo, fosse p u re solo con l ’a n tim e n sio 85
del vescovo e facendo m em oria del suo nom e. N ie n te
di tu tto q uesto assum e alcun senso al d i fu o ri d e ll’e u ­
caristia, allorché ogni m in istero (laici e clero) opera
senza u n rad u n arsi o senza in te rd ip e n d e n z e . L ’eu cari­
stia com e sinassi del popolo a tto rn o al vescovo e ai
p resb ite ri m an tie n e ed esprim e nella storia l ’im m agi­
ne d i u n m ondo che tra sc en d e rà la p ro p ria fram m en ­
84Ciò che Cirillo di Alessandria scrive in proposito è caratteristico: la
presenza dell’“Amen” dei laici nell’eucaristia è essenziale “perché ciò
che sembra mancare nei presbiteri venga fornito dalla misura dei laici, e
Dio possa accettare così i grandi con i piccoli nell’unità dello Spirito” (In
Epistulam ad Corinthios 14,16, PG 74,8938). L’“Amen” è il sacro diritto
dei laici, ed è errato che venga abitualmente esclamato dal clero durante
gli uffici divini. Risale già alle prime chiese apostoliche (cf. 1Cor 14,16)
e ai primi secoli (cf. Giustino, Apologia 1,65).
85 Nel rito bizantino è un altare portatile consistente in un’icona o un
pezzo di stoffa decorata con scene e iscrizioni relative alla deposizione
dalla croce o al seppellimento del Signore [N.d.T.].
70
tazione m o rtife ra e la p ro p ria co rru zio n e grazie all’u ­
nio n e e all’in co rp o razio n e in colui che, secondo la te ­
stim o n ian za d ei suoi apostoli, h a u n ito m ed ia n te la
sua croce e risu rre z io n e ciò che era diviso, che h a ra ­
d u n a to il suo m o n d o “in u n o ” e h a in q u esto m odo
stabilito il suo re g n o 86.
Q uesta è l ’im m agine che la chiesa deve m ostrare,
sia a se stessa sia al m o ndo, q u a n d o celebra l ’eu cari­
stia e d à form a alle p ro p rie istitu z io n i. Q u e sta è la
p iù grande visione e il più im p o rta n te an n u n cio che
la chiesa h a d a offrire; u n a visione e u n an n u n cio di
fede, speranza e am ore. E cco p erch é deve anche cu ­
stodire q u e s t’im m agine “com e la pupilla d e ll’o cch io ”
co n tro ogni deviazione o d isto rsio n e 87.
86 Non è un caso che nella tradizione patristica (Massimo, Anastasio
Sinaita, Teodoro Studita) “sinassi” sia un termine tecnico che denota
senza alcuna ulteriore spiegazione l’eucaristia. Questo deriva dalla connes­
sione fra eucaristia e regno, il quale è pure sýnaxis. Cf. supra, “Il radunar­
si ‘in un medesimo luogo’”.
87Le distorsioni che la chiesa può subire spesso si estendono fino alla
struttura delle preghiere nella divina liturgia e all’ordine nel quale queste
sono lette dal clero. Perciò è divenuto abituale che la “litania di supplica
fervente” e il congedo ai catecumeni vengano letti segretamente durante
il Trisaghion, mentre il loro posto è dopo l’evangelo, come conclusione
della sezione della liturgia nella quale sono ammessi i catecumeni. In
questo modo diventa quasi una comica, quando i celebranti bisbigliano
tra sé e sé: “Voi catecumeni, piegate la testa al Signore” (!), e via dicendo
(come fossero essi stessi catecumeni), o di nuovo sussurrano tra sé e sé le
domande della litania che fanno appello manifestamente alla risposta del
popolo con il triplice Kyrie eleison. Ma ci si accorge veramente che tutto
è stato capovolto quando la preghiera dell’anafora che inizia con “È cosa
buona e giusta inneggiare a te ...” è già stata letta segretamente dal cele­
brante prima che egli dica l’esortazione: “Rendiamo grazie al Signore”
(di solito durante il Credo); o quando vi sono diversi presbiteri celebranti
che “condividono” fra loro parti dell’anafora, leggendole simultanea­
mente! Così la sequenza e la struttura della preghiera eucaristica viene
distrutta: per questo è assolutamente necessario correggere deviazioni di
questo genere.
71
C o m u n io n e dello S pirito santo
N o n è u n caso che secondo u n o dei tro p a ri p e r la
P en teco ste, lo S pirito santo sia colui che “tie n e in sie ­
m e l ’in te ra istitu z io n e della c h iesa” . La cosa che spes­
so ci sfugge è che, nel N uovo T estam ento, lo S pirito è
dato agli u om ini dopo la risu rrezio n e di C risto (cf.
G v 7,39), p ro p rio perché la sua v en u ta nel m ondo se­
gna la venuta dei “giorni u ltim i'' della storia (At 2,17).
N o n è esagerato id en tificare il regno e lo S pirito san ­
to: “ Il tu o regno viene: cioè, lo S pirito sa n to ” 88. C o ­
sì il legam e fra lo S pirito santo e il “ ten e re insiem e
l ’in te ra istitu z io n e della c h iesa” suggerisce che tan to
l ’“istitu z io n e ” della chiesa, q u an to la co rn ice in cui
essa d iv ien e u n a realtà, in altre parole l ’assem blea e u ­
caristica, deriv an o il loro significato dal regno di D io.
La celebrazione eu caristica viene n o rm alm en te ac­
costata d a u n p u n to di vista cristologico, m en tre lo
S pirito santo d i solito h a solo u n ru o lo secondario
nella teologia eucaristica. C iò è do v u to all’in flu en za
occidentale. La d isp u ta su q u esto argom ento fra o rto ­
dossi e latin i dopo lo scism a è b e n nota. La q u e stio n e
n o n può esser riso lta m eram ente m ed ia n te la storia,
p erch é vi sono davvero an tich e liturgie in cui l ’epicle­
si è assente o figura in posizione secondaria. La d i­
scussione è s o p ra ttu tto teologica, e il suo significato
tocca q u e stio n i che ci rig u ard an o in q u esta sede.
Se l ’eu caristia fosse sem plicem ente rip e tiz io n e di
u n evento del passato, allora ci si c h ied e perché l ’a-
88 Massimo il Confessore, Orationis dominicae expositio. PG 90.885B.
72
zione dell’ultima cena non sia riprodotta esattamente
nella liturgia: nell’ultima cena, Cristo prima benedis­
se il pane e il vino e poi disse le parole: “ Prendete,
mangiate
mentre nella liturgia l’ordine è inver­
tito. È ovvio che nell’eucaristia non stiamo copiando
un evento storico. Come scrive Nicola Cabasilas, la
descrizione dell’ultima cena in occasione dell’eucari­
stia - e la ripetizione delle parole “ Prendete, mangia­
te ...” - ha luogo “ sotto forma di narrazione” , men­
tre l ’opera di trasformazione dei doni nel corpo e nel
sangue di Cristo appartiene allo Spirito santo. La tra­
sformazione dei doni suppone la discesa dello Spirito,
e lo Spirito nella sua venuta porta i “ giorni ultimi” nel­
la storia (At 2 ,17 ). La presenza di Cristo nell’eucari­
stia non può darsi al di fuori di questa cornice pneumatologica ed escatologica. La “ presenza reale” di C ri­
sto nell’eucaristia presuppone e comporta il radunarsi
“ in un medesimo luogo” della comunità escatologica
che lo Spirito costituisce in un insieme. Solo nel qua­
dro di questa sinassi avviene la trasformazione degli
elementi nel corpo e nel sangue di Cristo. Questa os­
servazione fa emergere alcune conclusioni importanti.
a)
L ’eucaristia è una sinassi e una liturgia. È un
grave errore parlare dell’eucaristia senza riferimento
alla liturgia. La teologia accademica commette spes­
so questo sbaglio. Il teologo dogmatico che si occu­
pa dell’eucaristia dovrebbe essere un liturgista, o per
lo meno dovrebbe essere ben aggiornato riguardo alle
questioni liturgiche. Perché il mistero89 della trasfor­
89
Traduciamo qui mystérion con “ mistero” , per rendere ragione delle
sfumature di significato di cui è ricco il testo. Altrove abbiamo sempre
tradotto con “ sacramento” [N.d.T.].
73
mazione dei doni e il mistero della “ presenza rea­
le” di Cristo non possono essere separati ed esami­
nati singolarmente; vanno esaminati come un’unità
organica con tutte le basilari azioni liturgiche che
compongono la ricapitolazione dell’economia divina e
la rappresentazione iconica del regno. Abbiamo visto
che questo è il modo di vedere l ’eucaristia di Ignazio,
di Massimo soprattutto, e di altri padri. Le rubriche
e le azioni liturgiche di base non sono elementi or­
namentali del sacramento: ne sono la spina dorsale
stessa.
b)
Come sinassi, l ’eucaristia presuppone la presen­
za e la partecipazione di tutti gli “ ordini” e i ministe­
ri90. Tutti questi assieme rappresentano iconicamente
la comunità escatologica, così come il superamento di
ogni divisione, sia naturale (di età, razza, sesso) sia
sociale (ricchi, poveri, differenti professioni). U n’eu­
caristia unicamente per studenti, per bambini, per
avvocati o per dottori, per membri di “ organizzazio­
ni” , e via dicendo, distorce l ’immagine del regno e
90
Per questo motivo è impensabile nella nostra chiesa che l ’eucaristia
venga celebrata per conto proprio dal presbitero o dal vescovo o da un lai­
co (sull’ultimo punto, cf. l’interessante testimonianza di Giovanni Mo­
sco nel Leimonárion, P G 87,2869-2871). La presenza e la partecipazione
di tutti questi “ ordini” è essenziale, perché solo allora l ’eucaristia è por­
tata a pienezza come immagine del regno. Quando il vescovo non è fisi­
camente presente, la sua presenza è assolutamente essenziale nella forma
di una “ opportuna presenza simbolica” che il presbitero prende dal trono
episcopale: l’antimensio firmato dal vescovo locale, sul quale egli celebra
l’eucaristia, e la commemorazione del vescovo durante l’anafora: “ In pri­
mo luogo ricordati, Signore ... ” . Perciò ogni divina liturgia presuppone la
struttura fondamentale della chiesa: vescovo, presbiteri (diaconi), popolo
di Dio. Una liturgia senza la presenza del vescovo, sia diretta sia indiretta
nella forma cui abbiamo accennato, è tanto impensabile quanto una in
cui non siano presenti dei laici. Queste non sono mere formalità, ma toc­
cano l’essere stesso della chiesa.
74
non è giustificabile per nessun motivo, sia esso di na­
tura pastorale o di qualsiasi altro genere.
c)
L ’eucaristia è una comunione e un prender par­
te al corpo e al sangue di Cristo, che è “ pieno dello
Spirito santo” 91. Partecipiamo a Cristo ma, al tempo
stesso, “ nella comunione dello Spirito santo” (liturgia
di san Basilio). “ E unisci tutti noi che prendiamo par­
te all’unico pane e all’unico calice l’uno all’altro nella
comunione dell’unico Spirito santo", dice rivolta al Pa­
dre la liturgia di san Basilio nel momento sacro dell’a­
nafora. Lo Spirito non discende solo “ su questi doni
che offriam o” , ma anche “ su di noi” (i celebranti e la
sinassi eucaristica). Perciò la “ presenza reale” di C ri­
sto è ampliata fino a includere nello Spirito santo il
Capo e il corpo in unità. L ’eucaristia come comunio­
ne dello Spirito santo diventa “ comunione dei santi”
in un duplice senso: comunione nelle cose sante, e
comunione di santi, cioè di persone sante92. L ’eucari­
stia diventa quindi il sacramento dell’amore.
La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariran­
no; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà.
La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la no­
stra profezia. Ma quando verrà il perfetto, l’imper-
51
È caratteristica la frase: “ La pienezza del calice di fede dello Spirito
santo” che il celebrante pronuncia ogni volta che mette nel calice la por­
zione dell’Agnello prima della comunione. Egli ripete la stessa cosa
quando versa lo zéon (l’acqua calda). Durante le discussioni tra latini e
ortodossi dopo lo scisma, i secondi considerarono lo zéon come un punto
serio di disaccordo, perché il suo simbolismo a Bisanzio era collegato allo
Spirito santo.
92
Su questo duplice significato di “ comunione dei santi” , cf. l’esame
minuzioso delle fonti patristiche in W. E lert, Abendmahl und Kirchenge­
meinschaft in der alten Kirche, hauptsächlich des Ostens, 1954.
75
fetto scomparirà ... Queste dunque le tre cose che ri­
mangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tut­
te, più grande è la carità93!
Il
carattere escatologico dell’eucaristia è essenzial­
mente legato al carattere escatologico dell’amore, che
è la quintessenza esperienziale del regno. Ogni asceti­
smo e purificazione dalle passioni è essenzialmente
un presupposto all’eucaristia, perché l’eucaristia non
può essere compresa separata dall’amore. L ’amore non
è semplicemente una virtù: è una categoria ontolo­
gica, e non solo etica. L ’amore è ciò che sopravvive­
rà nel “ secolo senza fine che non invecchierà” quan­
do tutti i carismi che oggi ci impressionano, come la
scienza, la profezia e così via, passeranno94.
Di tutte le forme dell’amore, la più significativa
dal punto di vista sia dell’eucaristia sia dei tempi ul­
timi è l'amore per i nemici. Un tale amore non è sem­
plicemente un fatto etico (imitazione di Cristo e ob­
bedienza al suo comando), ma possiede un contenu­
to ontologico direttamente connesso con l’eucaristia e
con il suo carattere escatologico, come cerca di far ve­
dere Massimo il Confessore in un’analisi profonda
della richiesta contenuta nella preghiera del Signo­
93 1 Cor 13 ,8 -13 .
94 Un fenomeno degno di menzione, oggi particolarmente evidente,
è il modo in cui la gente insegue carismi sensazionali come la divinazione
e la chiaroveggenza, e considera queste cose come supremo indice di san­
tità e di presenza dello Spirito santo. Costoro ci ricordano quanti fra i
giudei “ cercavano un segno” per credere. Ma tali carismi - che, con gran­
de dispiacere di Paolo, erano ritenuti molto importanti anche dai cristia­
ni di Corinto (cf. 1 Cor 12 -13 ) ~ sono molto inferiori rispetto all’amore,
come scrive Paolo, poiché a differenza di esso non sopravviveranno negli
éschata.
re: “ Rimetti a noi i nostri debiti” , che egli lega al­
la precedente domanda: “ Dacci oggi il nostro pane
quotidiano” . L ’argomento è complesso, come tutto il
suo linguaggio, ma i punti che seguono, tratti dall’in­
terpretazione del Padre nostro meritano la nostra atten­
zione.
L ’essenza del carattere ontologico dell’amore per i
nemici risiede nel fatto che se il ricordo dei mali che
ci ha arrecato pesantemente il nostro nemico diviene
“ impresso nella nostra mente” , questo separa la natu­
ra “ secondo la volontà” , perché attraverso il ricordo
del male uno appare, come è realmente, “ separato da
qualche altro uomo, mentre egli stesso è uomo” . L ’a­
more per i nemici, di conseguenza, è nella sua essen­
za un’unione della volontà e della ragione della natu­
ra (essendo stata unita la volontà alla ragione [lógos]
della natura). Mediante questo amore, la natura uma­
na cessa di ribellarsi contro se stessa in ragione della
volontà, e ciò porta pure alla riconciliazione con Dio,
perché “ una volta che la volontà è unita alla ragione
della natura, la libera scelta di coloro che sono arriva­
ti a questo non è più in uno stato di rivolta contro
D io” 95.
Se la nostra natura è destinata a essere in grado di
trascendere la divisione e la morte, molto, allora, di­
pende per noi dalla libera volontà. Questo richiede
un morire al “ secolo presente” e un passare alla “ vita
che non invecchia” :
Chi cerca con la preghiera il pane della gnosi [cioè il
pane del regno] ... perdona i debiti ai suoi debitori,
95 Massimo il Confessore, Orationis dominicae expositio, PG 90,90 1 D.
77
poiché sa di essere mortale per natura ... previene la
natura con la volontà ... perché non rimanga in lui
alcuna traccia della depravazione del secolo presente
quando se ne va verso la vita che non invecchia96.
Se u n o n o n p e rd o n a i p ro p ri nem ici, si so tto m e t­
te alla n a tu ra com e q u esta è nel “ tem p o p re s e n te ” , in
altre parole alla divisione, alla sua “rib e llio n e ” e al­
la m o rte , e m e tte in pericolo il suo vero essere che
è o ffe rto all’uom o dal p a n e d e ll’eucaristia, p an e del
“ secolo a v e n ire ” , del regno: “ C o n la parola ‘oggi’
p enso in fa tti si in te n d a il secolo p rese n te ... D acci
oggi il n o stro p a n e che avevi p reparato nel prin cip io
per l 'im m ortalità della natura. E il cibo che è questo
p an e di v ita e conoscenza v in cerà la m o rte del p e c ­
c a to ” 97.
D opo q u e sti rilievi, n o n so rp ren d e che n ei te s ti p a ­
tristic i si tro vino in te rp re ta z io n i d e ll’e u c aristia che
p ongono u n ’enfasi p e rfin o ip erb o lica sul p erd o n o dei
nem ici, co n c en tra n d o la n o stra a tte n z io n e su questo
p u n to . A nastasio S inaita († 608?), co m m en tan d o n el­
la sua O m elia sulla santa sinassi la d iv in a liturgia (che,
com e M assim o, chiam a sem plicem ente sý naxis), dice
fra l ’altro a prop o sito della rich iesta “R im e tti a noi i
n o stri d e b iti” :
Perciò ti prego, fuggiamo questo peccato perverso e
imperdonabile [il ricordo dei torti subiti]. E se vuoi
apprendere come l’ottenebram ento che viene dal ri­
cordo dei torti sia peggio di qualsiasi altro peccato,
96 Massimo il Confessore, Orationis dominicae expositio, PG 90,904A.
97 Ibid., PG 90,897A-B.
78
allora ascolta. Ogni altro peccato necessita poco tem­
po per commetterlo e presto è esaurito, come quan­
do qualcuno cade nella fornicazione, e dopo si rende
conto dell’enormità del proprio peccato e ne prende
coscienza; ma il ricordo dei torti porta a una passio­
ne che non cessa mai di ardere ... Quando il ricordo
del male ha messo radici, niente più giova: né il di­
giuno, né la preghiera, né le lacrime, né la confessio­
ne, né la supplica, né la verginità, né le elemosine,
né qualsiasi altra cosa buona. Perché il ricordo del
male verso il fratello dissolve ogni cosa. Spesso sen­
to dire da molte persone: “Ah, come potrò essere sal­
vato? Digiunare? Non ne ho la forza. Vegliare? Non
so da dove cominciare. Vivere la verginità? Non ce
la faccio. Ritirarmi dal mondo? Non ci riesco. Co­
me posso dunque essere salvato?” . Come? Ora te lo
dico: perdona e sarai perdonato ... ecco una scorcia­
toia verso la salvezza. E te ne mostrerò un’altra.
Quale? Non giudicate, dice, e non sarete giudicati.
Ecco dunque un’altra via senza digiuno, o veglie, o
fatica ... Colui che giudica prima della venuta di Cri­
sto è un anticristo, perché s’impadronisce di ciò che
appartiene a Cristo98.
Queste parole “ iperboliche” di Anastasio, combina­
te con quelle di Massimo99, non solo spiegano perché
la chiesa abbia fin da principio guardato la riconcilia-
58 Anastasio Sinaita, Homilia de sacra synaxi, P G 89,844-845.
99
Colpisce profondamente ciò che Massimo scrive sulla maldicenza,
sia in materia di “ vita” che di “ fede” (sembra che egli abbia dovuto pati­
re entrambe): “ Non c’è dolore dell’anima che pesi più della maldicenza,
sia che si venga calunniati riguardo alla fede sia riguardo alla vita. E nes­
suno può dileggiare ciò, salvo chi, come Susanna, guarda a Dio che è il
solo in grado di strapparlo dal pericolo come fece con lei, dicendo la veri­
tà alla gente, come fece nel suo caso; inoltre può confortare la sua anima
79
zione con i nemici come precondizione insopprimibi­
le per la partecipazione all’eucaristia (cf. M t 5,23-24);
esse ci mostrano pure quanto fermamente l ’eucaristia
sia connessa con il regno di Dio. Il punto critico nel­
l’intera questione è che dobbiamo incontrare l’altro
non come era ieri o come è oggi, ma come sarà nel fu ­
turo, nei tempi ultimi, il che significa come membro
del regno e nostro prossimo in esso. Perché il futuro
dà la vera sostanza di tutte le cose: il loro posto nel
regno. E questo è esattamente ciò che elude il nostro
giudizio, perché appartiene esclusivamente a Dio e al­
la libertà dell’altro: “ Tu forse lo vedi peccare, ma tu
non sai in qual modo egli passerà da questa vita" 100.
Perciò l ’orientamento escatologico dell’eucaristia
crea un proprio ethos: l 'ethos eucaristico, l ’ethos del
perdono, che non è una mera condizione interiore ma
è sperimentato come un radunarsi e un “essere con”
colui che ci ha ferito, in un futuro che noi non con­
trolliamo e che non ha fine, il “ secolo senza fine che
non invecchierà” . Perché l ’eucaristia sia “ per il per­
dono dei peccati e per la vita eterna” di quanti vi
prendono parte e ricevono la comunione, essa dev’es­
sere contemporaneamente per il perdono da parte no-
con la speranza. Quando un tale uomo prega con tutta l ’anima per la per­
sona che lo ha calunniato, con quella stessa misura Dio rivela la verità
a coloro che ne hanno subito scandalo” (Capita de cantate 88-89, PG
90,1069). C ’è sempre la forte tentazione di contrattaccare il calunniatore per far sì che gli altri non siano scandalizzati. Massimo non pare ap­
provare un simile atteggiamento: egli corre 0 rischio che la gente si scan­
dalizzi pur di assicurare amore e perdono (cioè non punizione) al calun­
niatore, lasciando che provveda Dio a informare coloro che sono stati
scandalizzati. Quanto suona alieno tutto questo alla nostra mentalità mo­
derna, anche se “ cristiana” !
100 Anastasio Sinaita, Homilia de sacra synaxi, P G 89,845B .
80
stra dei peccati degli altri e “ per la vita eterna” con
loro nella sinassi del regno101.
Trasfigurazione del mondo
“ Sempre, ora e sempre e per i secoli dei secoli!” .
Con questa proclamazione, davanti alla quale i cele­
branti sfortunatamente aggiungono: “ Benedetto è il
nostro D io” 102, le cose sante sono prese dall’altare per
essere trasferite alla tavola della preparazione alla fine
della liturgia. Qualsiasi interpretazione si possa dare a
101 Molti padri spirituali non permettono ai fedeli di ricevere la comu­
nione se non si sono riconciliati con i loro nemici. Questo non è solo con­
forme al comando di Cristo (cf. Mt 5,23-24), ma segue anche dal fatto
che l’eucaristia è immagine e pregustazione del regno, nel quale saremo
chiamati a coesistere eternamente con i nostri nemici. L ’esortazione:
“ Amiamoci gli uni gli altri, perché possiamo confessare con un cuore so­
lo” è un elemento essenziale della liturgia. L ’unità della fede, che è anch’essa precondizione essenziale e inviolabile per la comunione eucari­
stica, viene manifestata formalmente nella recitazione del simbolo di fe­
de; questo possiede pure un carattere escatologico, secondo Massimo, co­
me abbiamo visto più sopra. Perciò la fede e l’amore sono uniti nel mede­
simo evento eucaristico, che rappresenta iconicamente il regno di Dio
che viene nel mondo e nella storia.
102 Secondo i liturgisti (Trembelas, Foundoulis) la frase “ Benedetto è il
nostro Dio” non apparteneva in origine alla proclamazione ma fu aggiun­
ta più tardi, e, se non altro, non dovrebbe essere proclamata ad alta voce;
cf. I. Foundoulis, Apantéseis II, pp. 350 s. Consideriamo questa osserva­
zione molto significativa da un punto di vista teologico. L ’aggiunta di
“ Benedetto è il nostro Dio” muta il senso della proclamazione fino a far­
la diventare dossologica (si dovrebbe notare che “ Benedetto ...” occorre
all’inizio e non alla fine dell’ufficio divino), mentre senza l’aggiunta essa
denota l’estensione del sacramento fino all’età del regno “ che non ha fi­
ne e non invecchierà” , il che è pure lo scopo di tale proclamazione alla fi­
ne della liturgia.
tale proclamazione, il fatto che originariamente non
fosse connessa alla frase “ Benedetto è il nostro D io”
ci rimanda alla prospettiva escatologica dell’eucaristia:
sia - come preferiscono molti interpreti della litur­
gia - nella forma della promessa fatta da Cristo all’a­
scensione di essere con i suoi discepoli nella chiesa
“ fino alla fine del secolo” , sia intendendo che nella
liturgia entriamo nel “ secolo senza fine che non invecchierà” , per usare le parole di Basilio (“ secoli dei
secoli” significa la durata senza fine del tempo). In
entrambi i casi, questa proclamazione mostra che l’eu­
caristia, e tutto ciò che essa comporta e offre, non è
confinata nel nostro tempo frammentato ma si esten­
de fino a un eone che non ha fine.
Le conseguenze di tale estensione dell’eucaristia
“ per i secoli dei secoli” sulla nostra esistenza sono di
grande importanza. Esse segnano il superamento del­
lo stato tragico che ci ha tormentato dai tempi della
caduta e ci offrono il gusto di una vita che conviene
al Dio increato.
Con il suo essere un’ “ immagine del regno” l ’euca­
ristia sottolinea inevitabilmente il paradosso del “ già
e non ancora” che è contenuto nell’escatologia cristia­
na. La risurrezione di Cristo significa la vittoria fina­
le sulla corruzione e sulla morte, ma questa vittoria
non è stata ancora concretamente realizzata nella sto­
ria. La morte rimane “ l ’ultimo nemico” (1 Cor 15,26),
in altre parole il nemico che sarà sconfitto ultimo fra
tutti, dato che il suo pungiglione colpisce ancora la
creazione. È naturalmente un pungiglione che, come
sappiamo, in ultima istanza non ci mette a morte (cf.
1 Cor 15 ,55), e questo rende la morte di coloro che
partecipano al corpo del Cristo risorto un “ cadere ad­
82
d o rm e n ta ti” 103. M a ciò n o n rim uove l 'esser tesi in avan­
ti verso i tem p i u ltim i, q u a n d o la risu rre z io n e di C ri­
sto d iv errà la risu rre z io n e anche d ei n o stri corpi, co­
m e confessiam o nel sim bolo di fede. Q u e sto in te n so
esser tesi in avanti, q u esto desid erare la seconda v e n u ­
ta e la risu rre z io n e dei co rpi - che ten d ia m o a d im e n ­
ticare - n o n è rim osso o fatto scom parire d a ll’e u c ari­
stia. A l c o n trario , l ’e u c aristia lo ren d e più intenso:
m arana' th a ', “ Sì, vien i, S ignore!” (Ap 22,20). Se l ’e u ­
caristia com e im m agine d ei tem p i u ltim i viene usata
com e u n a specie d i “ analgesico” p e r farci dim en ticare
che il m ale e il peccato to rm e n ta n o ancora la creazio­
ne, sarà u n ’in co m p ren sio n e grave. Il cara tte re escato­
logico d e ll’eu caristia n o n a tte n u a , anzi in te n sific a la
lo tta co n tro il m ale che ci a tto rn ia , sia il m ale “m o­
rale ” , com e a b itu a lm e n te viene chiam ato, sia quello
“n a tu ra le ” . Q u ale im m agine del regno, l ’eu caristia ci
fa co m p ren d ere p iù p ro fo n d a m en te il co n trasto fra il
m ondo com e è, e il m o n d o quale sarà nei tem p i u lti­
mi. C iò che l ’e u c aristia dissolve è l ’“essere-per-la-m ort e ” d e ll’esistenzialism o, l ’accoppiam ento ontologico di
essere e non-essere, di v ita e d i m o rte , accoppiam ento
che p o rta o alla disp erazio n e o all’in d iffe ren z a verso
la trasfigurazione del m ondo.
L ’e u c aristia ci chiam a a rivolgere lo sguardo n o n
solo “verso l ’a lto ” , m a anche “in av an ti” . N o n ci
c h iede di fuggire dallo spazio e dal tem p o , m a d i cre­
d ere che grazie all’econom ia della santa T rin ità che è
stata realizzata nella p erso n a e n e ll’opera di C risto,
“con la cooperazione dello S pirito sa n to ” , lo spazio e
103 Letteralmente: “una dormizione” [N.d.T.].
83
il tempo sono capaci di accogliere la trasfigurazione; e
che il regno di Dio non è qualcosa che rimpiazzerà la
creazione materiale, ma piuttosto la trasfigurerà, pu­
rificandola da quegli elementi che portano corruzione
e morte. L ’eucaristia ci assicura che la materia è sacra
e degna di ogni onore a partire dal momento in cui il
Figlio di Dio si è incarnato104, e che anche il tempo è
santificato dalla sua presenza incarnata. Grazie al ca­
rattere escatologico dell’eucaristia, è mostrato in mo­
do chiaro che il problema che si trovano ad affrontare
le creature non sta nella materia o nel tempo e nello
spazio in cui esse vivono, ma piuttosto nella loro pu­
rificazione e trasfigurazione perché questi elementi
divengano portatori di vita e non di morte. Perciò
l ’eucaristia come “ comunione dei tempi ultimi” ci ri­
vela che l ’intera creazione è predestinata dall’amore
di Dio a esser finalmente liberata dalla corruzione e
dalla morte e a vivere “ per i secoli dei secoli” , avendo
come capo l ’ “ ultimo Adamo” , colui che ha reso real­
tà ciò che il “ primo Adamo” aveva rifiutato e non era
riuscito a compiere: la comunione delle realtà create
con Dio.
104 “ E io onoro e tratto con venerazione la materia; attraverso essa è
stata operata la mia salvezza” : Giovanni Damasceno, Orationes de imagi­
nibus 1 ,1 6 , P G 94 ,124 5.
84
Conclusioni
N ell’accostarci all’eucaristia principalmente come
liturgia - poiché è così che i fedeli della chiesa orto­
dossa ne fanno esperienza - abbiamo cercato di vede­
re, con l’ aiuto delle testimonianze sia della Scrittura
sia dei padri, cosa significhi che l’eucaristia forma
un’immagine del regno di Dio, una manifestazione,
una prefigurazione e una pregustazione di quel regno.
Il nostro scopo è stato di mostrare che non è consen­
tito né alla teologia accademica né alla prassi liturgica
sottovalutare o in vari modi oscurare il carattere esca­
tologico dell’eucaristia. Questo carattere si trova in
tutta la Scrittura e nel pensiero patristico, e a dire il
vero anche nel nostro typikón liturgico - spesso di­
sprezzato dai teologi dogmatici - a dispetto delle al­
terazioni che esso ha subito in epoche diverse come
risultato dell’indifferenza o dell’ignoranza del nostro
clero; e tale carattere prova che ciò che abbiamo nel­
l’eucaristia non è una fuga o una liberazione dallo
spazio e dal tempo o dalla storia, bensì la prospettiva
biblica della trasfigurazione dello spazio e del tempo,
come anche di tutta la creazione che l ’amore di Dio
ha fatto “ molto buona” (Gen 1,31).
Il
nostro scopo è stato anche di fare il possibile per
aiutare la nostra gente a sbarazzarsi di concezioni ed
“ esperienze” dell’eucaristia influenzate dal pietismo
occidentale - un pietismo che ha corroso la nostra vi­
ta cultuale più di quanto avessimo mai immaginato che tendono a privare la nostra liturgia del suo carat­
tere di risurrezione e di festa o a mutarla in un mezzo
per la pietà individuale e per la compunzione psicolo85
gica, e in uno strumento di missione o di lavoro pa­
storale105. In un periodo in cui le nostre chiese locali
sono frammentate, abbiamo anche considerato essen­
ziale sottolineare il carattere comunitario e “ cattoli­
co” dell’eucaristia come “ radunarsi in un medesimo
luogo” dell’intera chiesa locale, poiché il regno di Dio
è sinassi, ma sinassi strutturata in un certo modo, con
Cristo al suo centro e come capo, circondato dagli
apostoli. Questa struttura, raffigurata nell’eucaristia e
trasferita alla struttura della chiesa stessa come unità
del popolo di Dio attorno al vescovo, attorniato dai
presbiteri, è radicata nella raffigurazione eucaristica
del regno e per questa ragione contiene una verità ul­
tima che non può essere sorvolata per amore di una
presunta comprensione “ spirituale” della chiesa.
Nostro scopo, infine, è stato di dimostrare le con­
seguenze antropologiche e cosmologiche del caratte­
re escatologico dell’eucaristia, conseguenze che sono
spesso dimenticate sotto l ’influsso delle medesime ten­
denze individualistiche che hanno invaso lo spazio
della nostra chiesa. Queste conseguenze ci chiedono
di trarre dall’eucaristia una coscienza e un ethos esca­
tologici, qualcosa che è andato progressivamente atte­
105
L ’argomento avanzato per giustificare la pratica inetta e del tutto
nuova (introdotta solo in questo secolo) di spostare l’omelia dalla sua na­
turale collocazione dopo la lettura dell’evangelo al momento dell’inno di
comunione, quando l ’anafora è ormai terminata ed è imminente la nostra
comunione alla vita eterna di Dio, è rivelativo. L ’argomento che vi sono
più persone presenti alla sinassi ora che si è giunti a quel momento testi­
monia che il criterio missionario o pastorale ha prevalso su quello strut­
turale e iconologico: non passa nemmeno per la testa che operando un ta­
le spostamento stiamo modificando l’immagine del regno e capovolgendo
l’intero movimento e il cammino dalla storia verso il regno; ed è come
mettere il primo atto di un dramma dopo l’ultimo!
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nuandosi, fin quasi a scomparire, imprigionato, come
gli uomini (e perfino i fedeli), in una prospettiva che
è ristretta al mondo e alla storia, sia nelle nostre vite
comunitarie sia in quelle personali. Ma l’uomo che
“ vive nell’eucaristia e mediante l’eucaristia” , per ri­
chiamare alla mente le parole dell’indimenticabile pa­
dre Florovskij, acquista (quando, ovviamente, l’euca­
ristia è celebrata propriamente) l’abitudine di guarda­
re non solo “ verso l’ alto” ma anche “ in avanti” . In al­
tre parole, assume l ’habitus di sottoporre se stesso, le
proprie opere e la stessa storia alla luce e al giudizio
del regno, sempre e in ogni cosa cercandone il signifi­
cato ultimo (“ Cercate prima il regno di Dio e la sua
giustizia” [Mt 6,33]: in altre parole, il suo amore):
l ’atteggiamento di chi lascia il giudizio finale degli al­
tri nelle mani di Dio, e di chi vede in tutte le cose il
destino ultimo della loro incorporazione e sopravvi­
venza in Cristo fino al “ secolo senza fine che non in­
vecch ie rà” . Con la sua prospettiva escatologica l’eu­
caristia ci guarisce dall’amore di noi stessi, la philautia, fonte di ogni passione, manda in frantumi la vera
e propria spina dorsale dell’individualismo e ci inse­
gna a esistere radunati assieme ad altri e a tutti gli
esseri della creazione di Dio. Perciò l ’eucaristia cessa
di essere un’ “ esperienza religiosa” o un mezzo per la
salvezza individuale, e diventa un modo di essere, un
modo di vivere, illuminato dalla visione e dalla ten­
sione verso il futuro, da ciò che il mondo sarà quando
verrà finalmente trasfigurato in regno di Dio.
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INDICE
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31
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P R E F A Z IO N E
E U C A R IS T IA E R E G N O D I DIO
I dati biblici
II legno futuro, causa e archetipo dell’eucaristia
La prassi liturgica
Il radunarsi “ in un medesimo luogo”
Il passaggio attraverso l’esperienza ascetica e battesimale
L ’eucaristia come movimento e cammino
Sacrificio dell’agnello pasquale
Festa pasquale
Memoriale del futuro
La struttura dell’ “ istituzione” della chiesa
Comunione dello Spirito santo
Trasfigurazione del mondo
Conclusioni
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Finito di stampare nel mese di ottobre 1996
presso Stampatre, Torino
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