Basilica Patriarcale di San Marco
Messa del Crisma
Is 61, 1-3.6.8-9; Sal 88; Ap 1, 5-8; Lc 4, 16-21
Omelia di S. E. Mons. Angelo Scola, Patriarca di Venezia
17 aprile 2003
Eminenza Reverendissima,
Cari fratelli nel sacerdozio,
Diaconi e ministri istituiti,
amatissimi figli,
1. «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Vangelo: Lc 4,21).
Gesù prende con autorità l’iniziativa di alzarsi a leggere il brano di Isaia (Prima Lettura, Is 61,1-3.6.8-9).
L’intensa attesa si trasforma in meraviglia carica di sorpresa quando Egli, l’inviato, si appropria del testo
dell’invio. I termini della sua missione, per la quale ha ricevuto l’unzione, già enucleati dal profeta: «...
portare il lieto annunzio ai poveri, ... fasciare le piaghe... proclamare l’anno di misericordia del Signore» (Is
61,1-2) sono assunti e spiegati nella loro radice dal passaggio dell’Apocalisse (Seconda Lettura: Ap 1,5-8). I
tre attributi che descrivono l’identità di Gesù Cristo datore di gloria e di pace – Egli è «testimone fedele;
primogenito dei morti; principe dei re della terra» (cf Ap 1,5) - cui corrisponde il triplice omaggio della lode
cristiana - «a Colui che ci ama; che ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue; che ha fatto di noi un
regno di sacerdoti» (Ap 1,5-6) – prendono forma a partire dalla morte, dalla risurrezione e dalla
glorificazione di nostro Signore Gesù Cristo.
Nell’orizzonte svelato da questi misteri, che il sacramento propone come eventi alla nostra libertà,
sono poste le opere di Cristo e quindi, in questo preciso orizzonte, devono sempre essere collocate le opere
del cristiano. E il ministro ordinato, esercitando i tria munera che gli vengono conferiti il giorno
dell’ordinazione, può guidare il popolo santo di Dio solo se rispetta questo oggettivo metodo inaugurato, con
autorevolezza, da Colui che proprio per questo si è definito come la Via. È la ragione per cui, nell’Enciclica
sull’Eucaristia che viene oggi resa pubblica, il Santo Padre ha identificato nell’acclamazione: «Mistero della
fede. Annunciamo la tua morte o Signore, proclamiamo la tua Risurrezione, nell’attesa della tua venuta» il
triplice contenuto dell’evangelizzazione che sgorga dall’Eucaristia culmine e fonte della vita stessa della
Chiesa (EdE 5.11-20).
2. In forza dell’Eucaristia e della ratio sacramentalis che ne scaturisce (FR 13) l’oggi di Cristo
(«Oggi si è compiuta questa Scrittura», Lc, 4,21) diventa l’oggi della Chiesa.
Scrive il Papa nella sua nuova Enciclica: «...l’intero Triduum paschale è come raccolto, anticipato e
concentrato “per sempre” nel dono eucaristico. In questo dono Gesù Cristo consegnava alla Chiesa
l’attualizzazione perenne del mistero pasquale. Con esso istituiva una misteriosa “contemporaneità” tra quel
Triduum e lo scorrere di tutti i secoli» (EdE, 5).
Fuori da questa contemporaneità il nostro esigente ministero, che domanda l’offerta totale della nostra
vita, perderebbe ogni significato. Solo a questa condizione infatti l’uomo di ogni tempo, ed in particolare
l’uomo disincantato del post-moderno, può decidersi a seguire Cristo. Ce lo ricorda un profeta acuto e tragico
come Franz Kafka: «La vita non cessa d’insegnare suo malgrado che non si può mai salvare qualcuno se non
con una presenza, e con nient’altro».
Così l’odierna benedizione dei Santi Oli e, in particolare modo, del Santo Crisma, ma più ancora la
memoria della duplice istituzione dell’Eucaristia e dell’Ordine sacro, rivela efficacemente la natura
sacramentale di tutto il Popolo di Dio, che attraversa la storia proprio per rendere contemporanea alla libertà
del singolo la salvezza di Gesù Cristo. Una comunione organica, continuamente rigenerata dal perdono
sacramentale e dall’Eucaristia, che noi ministri ordinati celebriamo in persona Christi.
Dalla consapevolezza, quotidianamente ripresa e custodita, dell’origine sacramentale della nostra
comunione, scaturisce quella inaudita possibilità, dischiusa in ogni rapporto tra cristiani, ma che deve brillare
di intensa luce nel nostro presbiterio patriarcale. Si tratta della carità sacerdotale. Essa implica, costi quel che
costi, una stima previa verso tutti. Su che cosa può fondarsi una posizione umana talmente inaudita da essere
più forte di tutte le opinioni, più forte di tutte le incomprensioni, più forte persino delle umiliazioni? Sul
riconoscimento che chiunque mi è dato, mi è dato dal Padre per il mio bene oggettivo. Quindi mi corrisponde
profondamente, al di là di ogni diversità, anche profonda. Come faremmo altrimenti a seguire il comando di
Gesù: amate i vostri nemici?
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Dove il popolo può vedere questa novità radicale che documenta nel presente il trionfo del Crocifisso
Risorto se non nella comunione organica dei suoi presbiteri? Non ci sono pre-condizioni a questa stima a
meno di umiliare la carità, senza la quale nulla ha valore. Ebbene la carità incomincia proprio dall’umile e
grato riconoscimento dell’unità che ci lega (congregavit nos in unum Christi amor) nella pluriformità di
espressioni, frutto della variegata risposta che la storia, le circostanze, e i temperamenti offrono alla
multiforme grazia dello Spirito. Questa stima a priori tra i presbiteri si rivela decisiva anche per affrontare la
delicata questione della pluralità dei carismi nell’organismo ecclesiale. La comunione sacramentale,
ordinando ogni dono all’unità, ripropone l’intreccio di universale e particolare proprio dell’autorealizzarsi
della Chiesa. E lo fa a partire dal principio dell’ecclesiologia di comunione: la pluralità nell’unità.
3. La contemporaneità della salvezza, che il sacramento nella Chiesa ci mette a disposizione e che
giustifica il nostro sacerdozio ministeriale, non è un magico automatismo. Perché l’Eucaristia sia evento in
senso pieno lo Spirito chiede il totale coinvolgimento della nostra libertà. Al dono perennemente assicurato
dall’ex opere operato appartiene l’appello all’umana adesione (ex opere operantis).
Il brano dell’Apocalisse, proclamato poc’anzi, ci indica questa ineliminabile condizione quando
identifica Gesù Cristo come «il testimone fedele» (Ap 1, 5). Egli vive per la missione affidataGli dal Padre
che, col dono dello Spirito, - come dirà la preghiera di benedizione del Santo Crisma - ha «testimoniato con la
Sua stessa voce che nel suo Figlio unigenito, dimora tutta la sua compiacenza». Di questa testimonianza del
Padre si è reso umanamente protagonista il Figlio di Dio, diventando a sua volta, nello Spirito, testimone del
Padre. E in questo scambio di testimonianza, che riflette il dinamismo di comunione proprio della Vita della
Trinità, viene introdotto, attraverso il nostro ministero, il Popolo di Dio proprio con il sacramento
dell’Eucaristia.
Così il: «Fate questo in memoria di me» mostra come al cuore della liturgia eucaristica ci sia la
dinamica integrale della testimonianza: essa sgorga dalla Vita divina per raggiungere l’intero cosmo (cfr EdE,
8).
4. Quanto più diventiamo consapevoli di quale grazia ci viene accordata con il ministero
dell’Eucaristia, tanto più può prenderci lo sgomento della nostra inadeguatezza. Ci rifugiamo allora nella
esteriorità del rito, mentre uno scetticismo sordo e lacerante rischia di impadronirsi della nostra
autocoscienza. «Tota spes mea non nisi in magna valde misericordia Tua»: ogni mia speranza è posta
nell’immensa grandezza della Tua misericordia1. In queste parole di Agostino sta il rimedio potente contro
questa grave tentazione. Solo la misericordia può assicurare il nesso tra il dono eucaristico di Cristo e la
nostra libertà. Una misericordia permanentemente elargita nella Santa Chiesa attraverso il sacramento della
Riconciliazione di cui dobbiamo essere assidui frequentatori e dispensatori.
Allora la missione presbiterale, tesa alla rigenerazione del nostro popolo, diventa espressione gratuita
che scaturisce dalla gratitudine per lo straordinario dono della quotidiana celebrazione eucaristica: «Canterò
per sempre l’amore del Signore» (Salmo responsoriale).
Così sapientemente guidate, le nostre comunità parrocchiali invitano uomini e donne ad abitare il
tempo e lo spazio alimentandosi eucaristicamente alla Parola di Dio. Con deciso senso di appartenenza
ecclesiale imparano a vivere la famiglia, il lavoro, il quartiere, la società civile e politica da veri protagonisti.
Di più: diventano, nella loro stessa persona, proposta affascinante di vita nuova.
Il Mysterium fidei si fa, per tutti gli uomini, speranza che non delude. Amen.
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AGOSTINO, Confessioni X, 29, 40.
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