Corso di Laurea Magistrale in Relazioni internazionali INSEGNAMENTO DI STORIA E ISTITUZIONI DELL’ASIA Modulo 1° - Mappatura dell’Asia: un quadro d’insieme A cura di Antonietta Pagano Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 1° - Mappatura dell’Asia: un quadro d’insieme SOMMARIO MODULO 1° Mappatura dell’Asia: un quadro d’insieme 1.1. Profilo generale 1.2. Etnie, lingue e religioni in Asia 1.3. Popolazione e sviluppo 1 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 1° - Mappatura dell’Asia: un quadro d’insieme 1.1. Profilo generale Il toponimo Asia, utilizzato per la prima volta da Erodoto attorno al 440 a.C., deriva, secondo alcuni studiosi, da una voce semitica (per esempio l'assiro Açu) e stava già a significare "oriente". In particolare, il termine allora aveva una connotazione eurocentrica, essendo utilizzato da Greci e Fenici per contrapporre il Paese d'Occidente, l’Europa, dal Paese d’Oriente. (De Agostini, 2014) Da allora, l’estensione geografica dell’Asia si è modificata gradualmente, avanzando sia verso est che verso nord, di pari passo con le esplorazioni e quindi con le conoscenze geografiche. Inizialmente confinata ai territori dell’Asia Minore (corrispondente alla parte centroccidentale della Turchia), successivamente si estese fino al fiume Don, per quel che riguarda il confine tra Europa e Asia, e fino al Nilo per quel che concerne l’Africa. Solo nel Settecento si definirono nuovi confini, corrispondenti a quelli odierni, ovverosia a nord il Mar Glaciale Artico, a est lo Stretto di Bering, a sud ovest il Mar Rosso e l'Istmo di Suez, a ovest (verso l’Europa) i Monti Urali, il Mar Nero e l'Egeo. Con una superficie di 44.600.000 km2, attualmente l’Asia rappresenta il 30% delle terre emerse di tutto il pianeta e ospita tre quinti della popolazione mondiale. I primati dell’Asia si estendono anche sotto altri profili fisici: nel continente non solo si trovano i sistemi montuosi più alti al mondo - ci si riferisce alle catene del Karakoram e dell’Himalaya, come anche al picco più alto sulla Terra l’Everest (8.846 m) - e le depressioni più profonde (Bajkal, profondità massima 1.620 m, Caspio, 995 m); ma anche gli abissi marini più profondi siti lungo i margini orientali (Fossa delle Marianne, 11.022 m). La vastità del territorio, inoltre, fa sì che l’area continentale presenti un’elevata varietà morfologica: si passa, infatti, dalle grandi regioni montuose e i vastissimi deserti dell’Asia centrale, alle vaste pianure settentrionali (ad esempio la Siberia), e alle piattaforme dell’India e dell’Arabia, fino alla regione degli arcipelaghi nella parte sud-orientale del continente, comprendente Paesi quali ad esempio Filippine e Giappone. Una delle peculiarità fisiche dell’Asia è la contiguità con gli altri sistemi continentali, in particolar modo con l’Europa, il cui confine, che corrisponde ai monti Urali, è del tutto convenzionale, trattandosi in realtà di un unico territorio continentale, anche detto Eurasia. Tantomeno può definirsi naturale il confine con l’Africa delimitato dal Mar Rosso e dal Canale di Suez, dove sono siti Paesi come Arabia e Siria che presentano caratteristiche morfologiche e strutturali molto simili al continente africano, sebbene rientrino nel continente asiatico. Infine, lo stretto di Bering, un piccolo braccio di mare di 92 km, separa il continente asiatico dall’America settentrionale il quale, durante il periodo delle gelate invernali, permette gli spostamenti umani tra i due continenti (Treccani, 2014). È proprio attraverso lo Stretto di Bering che i primi Homo sapiens lasciarono il continente euroasiatico alla volta delle Americhe: ai tempi (12.000 a.C., circa), infatti, il livello del mare, essendo di decine di metri più basso a causa delle calotte glaciali formatesi durante le glaciazioni, favoriva il passaggio lungo lo Stretto di Bering, che probabilmente era solo un lembo di terra, permettendo così ad alcuni di essi di raggiungere i territori dell’America settentrionale. (Diamond J., 1998) 2 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 1° - Mappatura dell’Asia: un quadro d’insieme Figura 1.1.: Diffusione del genere umano sulla Terra Fonte: Diamond J. (1998), Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, Einaudi Le prime tracce della presenza umana nei territori asiatici si fanno risalire al periodo del Paleolitico, come dimostrato da diversi reperti fossili, di cui il più famoso è il cosiddetto “uomo di Giava” ritrovato in Indonesia e risalente a circa un milione di anni fa. Oltre a questo importantissimo reperto fossile, vari, numerosi e non omogenei sono i ritrovamenti scoperti nel continente, come ad esempio in India, nel Gukarat e nella regione di Madras; in Pakistan, presso il fiume Soan; in Birmania, ad Anyath; in Manciuria; nella Cina centrale. Trattasi di utensili tipici, come asce, punte, strumenti di lavoro utili a interpretare e fare ipotesi sulla vita svolta allora: si viveva in piccoli gruppi di uomini, che si spostavano lentamente, praticando la caccia, la pesca, la raccolta di molluschi e/o di vegetali selvatici. (Corna Pellegrini G., 1982) Date le condizioni climatiche, le caratteristiche geo-fisiche e l’evoluzione delle capacità umane, il rapporto uomo-territorio è stato per lungo tempo sfavorevole, fino alla scoperta dell’agricoltura, avvenuta nel periodo neolitico. Probabilmente grazie al lavoro delle donne, che già nei periodi precedenti erano dedite alla raccolta di vegetali selvatici, la domesticazione di piante e animali diventa produttiva in sei aree del mondo: il Vicino Oriente – la famosa Mezzaluna Fertile –, la Cina, la valle dell’Indo, il Mesoamerica (Messico centrale e meridionale), le Ande e gli Stati Uniti orientali (Diamond J., 1998). Dunque proprio nella Mezzaluna Fertile, e quindi in Asia, furono creati per la prima volta (intorno all’8.000 a.C.) sistemi di agricoltura e allevamento, grazie soprattutto all’interazione di una serie di fattori particolarmente vantaggiosi quali: il clima mediterraneo che favorì la crescita di piante annue a seme grosso (es. orzo); un’elevata 3 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 1° - Mappatura dell’Asia: un quadro d’insieme biodiversità (ricchezza di specie animali e vegetali) che aumentò le probabilità di addomesticare piante e animali; la presenza di piante “ermafrodite sufficienti” (es. orzo e farro), ovvero in grado di riprodursi autonomamente per autoimpollinazione, oltretutto molto ricche di proteine (in misura maggiore al mais o a riso, quest’ultimo diffusosi in Cina); l’elevata produttività allo stato selvatico, che rese tali cereali facilmente coltivabili anche a livello domestico (Pant D. R., Rebola L., 2004). Figura 1.2.: La Mezzaluna Fertile Fonte: Diamond J. (1998), Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, Einaudi L’adozione della produzione agricola e dell’allevamento permise non soltanto di passare gradualmente da una popolazione di cacciatori-raccoglitori a comunità stanziali ma, soprattutto, la maggiore disponibilità di cibo (non più dipendente dalle “sorti” della caccia), favorì un incremento della popolazione, che si diffuse oltremodo nelle aree circostanti la Mezzaluna Fertile. La diffusione dell’agricoltura, infatti, fu accompagnata dall’insediamento umano specialmente in quelle regioni caratterizzate da terreni fertili e, naturalmente o artificialmente, ricchi di risorse idriche, come ad esempio la regione dell’Indo, le aree fluviali della penisola indocinese e le zone costiere delle isole di Giava e Sumatra. I grandi bacini idrografici, comprese le pianure alluvionali, diventarono, così, le aree principali degli insediamenti di popolazioni prevalentemente agricole, che trasformarono queste aree in territori di colture sempre più progredite, intensive e, più o meno diversificate. Gli effetti della domesticazione di piante e animali non si limitarono però ad una maggiore disponibilità di cibo e, quindi, ad una più alta densità di popolazione; il surplus alimentare e l’utilizzo degli animali anche come mezzo di trasporto e di coltivazione delle terre furono fattori che favorirono la nascita delle città al cui interno si svilupparono 4 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 1° - Mappatura dell’Asia: un quadro d’insieme società politicamente organizzate, stratificate sotto il profilo sociale, economicamente complesse e tecnologicamente avanzate. L’evoluzione da una forma di vita primitiva (gruppi di cacciatori-raccoglitori) verso una produzione più organizzata di beni agricoli (sistemi di coltura stabili o itineranti, allevamento fisso o nomade), nonché il successivo emergere di società complesse e delle prime realtà urbane, avvenne con modalità relativamente simili in varie aree dell’Asia, ma in epoche storiche molto distanziate nel tempo (Corna Pellegrini G., 1982). In effetti, le differenze geografiche costituirono un elemento determinante nella diffusione più o meno rapida dell’agricoltura e di altre tecniche ed invenzioni; ad esempio, la loro espansione ad est della Mezzaluna Fertile fu ostacolata dal clima di tipo monsonico presente in India, dove le piogge estive richiedevano tecniche agricole diverse, che necessitavano di aggiustamenti rispetto a quelle sviluppate originariamente. In Cina, invece, in virtù dell’isolamento determinato dai deserti dell’Asia centrale, dall’Himalaya e dall’altopiano del Tibet, l’agricoltura nacque in modo indipendente e con colture differenti rispetto a quelle della Mezzaluna Fertile. Similmente, invenzioni come la ruota o la scrittura non furono trasmesse con eguale velocità a causa delle distanze e delle caratteristiche fisiche, ma si diffusero tra società agricole complesse, geograficamente contigue e che avevano già intensi scambi di semi, animali e tecniche produttive. Queste differenze esercitarono un imprescindibile ascendente sulle evoluzioni economiche, sociali e culturali dei territori asiatici dando luogo ad una elevata ricchezza di popoli, culture, lingue e religioni. Difatti, la varietà culturale, morfologica e geografica, nonché le differenti evoluzioni storico-politiche, permette di suddividere l'Asia in diverse regioni in base al fattore preso in esame. Ad esempio, sotto un profilo geografico è possibile distinguere l'Asia centrale, l'Asia orientale, l'Asia meridionale e, infine, l'Asia sudoccidentale. Un’ulteriore ripartizione fondata su elementi sociologici e geografici dà invece luogo alla distinzione tra Asia asiatica, mondo arabo-islamico, i territori russo-sovietici e quelli anglo-australiani. Ancora, da un punto di vista esclusivamente culturale, è possibile dividere il continente in altrettante regioni: l'Asia orientale dei popoli cinesi, l'Asia centrale dei popoli turchi e indiani a sud ed, infine, l’Asia in cui forte è stato l'influsso dei russi (Treccani, 2014; Corna Pellegrini G., 1982). Le numerose declinazioni del continente asiatico sembrerebbero impedire la selezione e lo studio dettagliato di una singola regione, considerato che i territori appaiono come sovrapposti sotto diversi profili. In effetti, non sarebbe possibile “dividere” l’Asia in base, ad esempio, alle lingue, perché in quel caso si tratterebbe di distinguere i popoli “indoeuropei” (Pakistan, India del Nord, Bangladesh) da quelli “dravidici” (India del Sud). Non sarebbe, inoltre, possibile procedere ad una distinzione in base alle tradizioni religiose: in questo caso si dovrebbe dividere il Pakistan (dove è altamente diffuso la religione islamica) dalla Tailandia (buddismo) e dalle Filippine (cattolicesimo). Una suddivisione è però realizzabile in base alle evoluzioni storiche, durante le quali l’interazione di diversi fattori (politici, sociali, religiosi, etc.) nel corso dei secoli, ha dato luogo ad una comunanza di eventi, trasformazioni e sviluppi caratterizzanti l’odierna realtà dell’Asia Meridionale e Orientale, che va dal Pakistan al Giappone, e che comprende il sub-continente indiano, la penisola d’Indocina, la Cina, l’arcipelago indonesiano e le Filippine. 5 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 1° - Mappatura dell’Asia: un quadro d’insieme 1.2. Etnie, lingue e religioni in Asia L’Asia si caratterizza per essere un territorio ove coesistono diversi gruppi etnici e razziali, la cui convivenza, sebbene ormai consolidata, ha rappresentato e rappresenta ancora, una delle principali motivazioni di drammatici conflitti. Pertanto, un’analisi, seppur sommaria, della presenza e distribuzione delle varie razze, della composizione delle società e del modo in cui la loro presenza abbia influenzato l’evoluzione delle sue istituzioni, rappresenta un momento necessario per comprendere la stessa struttura sociale degli stati che compongono i territori asiatici meridionali e orientali. In primo luogo, bisogna osservare l’evidenza delle differenze razziali ed etniche del continente asiatico, sebbene talvolta tendano ad attenuarsi successivamente a similari esperienze storiche e dall’abitudine a convivere; mentre in altre aree risultano accentuate dai diversi culti religiosi, dalla varietà delle lingue o dalle semplici differenze delle attività economiche. Di fatto, quasi tutti i Paesi dell’Asia Meridionale e Orientale si distinguono per essere delle società polirazziali. Tre sono i tipi razziali fondamentali riscontrabili nei territori in analisi, con tre provenienze probabili: un tipo mongolide, proveniente dall’Asia centro-orientale; un tipo europoide o caucasico, sviluppatosi nell’Asia sud-occidentale; un tipo negroide, derivante in parte dall’Africa orientale e in parte (probabilmente) dall’Australia. Le razze mongolidi rappresentano il gruppo asiatico maggioritario, poiché assommano circa alla metà degli abitanti di tutto il territorio dell’Asia Meridionale e Orientale, e al suo interno l’etnia più rappresentata è appunto quella del gruppo mongolide vero e proprio (Mongoli, Manciù, Buriati, Jakuti, Tangusi, etc.). Man mano che si scende dalla Cina meridionale ai Paesi sud-orientali, si riscontra un’attenuazione della razza mongolide a favore di tratti più vicini a quella indonesiana e proto-maltese, che formano il substrato etnico di tutto il Sud-Est asiatico. Per quel che concerne le stirpi europoidi o caucasiche, queste popolano prevalentemente il bacino indo-gangetico, mente altrove è possibile ritrovarle in composizione più o meno marcata, assieme ad altre razze (es. Corea o nella Cina nord-occidentale). Un’analisi a sé stante, seppur breve, deve essere dedicata al popolo degli Ainu giapponesi che, secondo alcuni etnologi, discendono da una popolazione protocaucasica rimasta isolata nel continente asiatico e su cui poi si sarebbero innestati gli elementi mongolidi; secondo altri etnologi, invece, derivano da una etnia indifferenziata, anteriore alle genti sia di pelle bianca che gialla. La dominazione europea, avvenuta durante il periodo coloniale, se da un lato non ha favorito alcuna forma di integrazione etnico-razziale, che, a causa delle rispettive differenze nei retaggi storici e culturali li ha mantenuti distinti e spesso contrapposti; dall’altro lato ha permesso una mescolanza razziale dando luogo a combinazioni euro-asiatiche sia per quel che riguarda le popolazioni del gruppo caucaside, sia dei gruppi mongolidi e negroidi. Tra le principali etnie di quest’ultimo gruppo è possibile distinguere tra coloro che popolano le coste indiane meridionali, caratterizzati dalla pelle nera ma con lineamenti europoidi; la popolazione dello Sri Lanka che, invece, appartiene al ceppo australoide e, da alcuni, è ritenuta la rimanenza di una stirpe già esistente in tutta l’Asia meridionale; i 6 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 1° - Mappatura dell’Asia: un quadro d’insieme Negritos presenti in tutta l’Asia sud-orientale, dalle Andamane alle isole giapponesi meridionali, ma rinvenibili alla stato originario solo nelle Filippine. La ricchezza etnica, si riflette anche nella varietà del quadro linguistico dell’Asia Meridionale e Orientale, evidente soprattutto se si considera che la lingua parlata da un gruppo etnico può non avere alcuna relazione con la propria origine razziale, questo in parte a causa dei flussi migratori che hanno determinato lo spostamento delle popolazioni e quindi dei loro idiomi. In particolare, migrando poteva accadere tanto che le comunità diffondessero la propria lingua nei territori di accoglienza, quanto che adottassero le lingue locali, con le eventuali influenze reciproche che si potevano produrre. Da ciò deriva, dunque, l’elevato numero di lingue (più di un migliaio) e di relativi dialetti parlati nell’area asiatica meridionale e orientale. Se si volessero classificare le lingue parlate nell’Asia Meridionale e Orientale, la suddivisione si dovrebbe basare su due criteri di selezione: quello etnico-geografico e quello prettamente linguistico. In base a quest’ultimo, è possibile distinguere le lingue tonali e senza sistema morfologico (cinese, tibetano, birmano) – nelle quali il significato si fonda sulla tonalità delle parole e sul rapporto sintattico delle parole nella frase; quelle con affissi (turco, mongolo, tunguso) – in cui si da significato alla frase aggiungendo altri elementi neutri alla parola; quelle a flessione (lingue indo-europee) – con rapporti grammaticali espressi, ad esempio, dalle desinenze dei nomi e dalla coniugazione dei verbi. (Corna Pellegrini G., 1982) Figura 1.3.: Le grandi aree linguistiche Fonte: Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte 7 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 1° - Mappatura dell’Asia: un quadro d’insieme In base, invece, al criterio etnico-geografico è possibile rintracciare altri tipi di famiglie linguistiche, di cui le principali sono quelle altaiche, il coreano e il giapponese; le lingue sino-tibetane, la “superfamiglia” austrica, le lingue dravidiche e quelle indo-europee. Figura 1.4.: Distribuzione delle principali lingue in base alla popolazione Fonte: Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte Le lingue altaiche si possono suddividere a loro volta in tre gruppi: il turco ad ovest, il mongolo al centro, il tunguso ad est. Secondo alcuni linguisti è possibile far rientrare in questa categoria anche il coreano e il giapponese. Cina e Mongolia sono le aree dove vi è una più alta concentrazione di persone che adottano la lingua altaica, pari circa 17 milioni di persone. Di gran lunga predominante è la famiglia delle lingue sino-tibetane, l’unica esclusivamente asiatica, che comprende principalmente due gruppi: quello sinico (adottato da più di un miliardo di persone) e si compone fondamentalmente di “lingue cinesi”, ossia il mandarino e le lingue della Cina meridionale; e il gruppo tibeto-birmano (parlato da più di 60 milioni di persone), composto da circa 250 lingue, ma di cui due sole predominanti: il birmano e il tibetano. La “superfamiglia” austrica è particolarmente complessa in quanto comprende a sua volta quattro grandi famiglie linguistiche: quella austro-asiatica (17 lingue parlate da 6 milioni di persone) all’interno della quale troviamo le lingue diffuse in India, il vietnamita e 8 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 1° - Mappatura dell’Asia: un quadro d’insieme il kmer; la famiglia delle lingue thai (parlata da 90 milioni di persone) che comprende il siamese, il lao e lo shuang; la famiglia miao-yao (10 milioni di persone circa) adottata soprattutto nella Cina del sud; e, infine, la famiglia delle lingue austronese (300 milioni di persone) diffuse nelle isole dell’Oceania. L’indonesiano e il malese costituiscono delle lingue a se stanti, in quanto godono dello status di lingua nazionale rispettivamente in Indonesia e Malesia, come accade anche per il tagalog nelle Filippine. Le lingue dravidiche, parlate da 250 milioni di persone, sono diffuse soprattutto nel sud dell’India. Infine, tra la cinquantina di lingue indoeuropee dell’Asia meridionale primeggiano quelle indo-arie parlante soprattutto in India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka e Nepal. Rientrano in questa categoria anche l’hindi e l’urdu (due varianti della medesima lingua) che, come nel caso dell’Indonesia, ad esempio, sono riconosciute come lingue nazionali rispettivamente in India e Pakistan. (Sellier J. 2010) Quelle fin qui presentate rappresentano le lingue tradizionali dell’Asia Meridionale ed Orientale, sviluppatesi e diffusesi nel corso dei secoli. È però doveroso menzionare l’introduzione, seppur recente, delle lingue prettamente europee avvenuta a partire dal periodo coloniale e la cui diffusione corrisponde, ovviamente, alle zone di rispettiva influenza politica. In alcuni Paesi, soprattutto dell’area meridionale, le classi più colte furono molte interessate all’adozione del nuovo strumento linguistico, che in alcuni casi, come in quello inglese in India, favorì la possibilità di intrecciare legami nazionali prima impensabili a causa dell’elevata varietà di lingue e dialetti. Viceversa, in Paesi come Cina e Giappone la resistenza alla cultura e alla dominazione politica occidentale impedì l’adozione, seppur parziale, delle lingue europee. Il processo di decolonizzazione e la ritrovata indipendenza politica dei territori asiatici non comportò, sorprendentemente, l’abbandono delle lingue europee – soprattutto per quel concerne i rapporti amministrativi e commerciali – rappresentando un utile strumento di comunicazione e di imparzialità tra le etnie locali. Basti pensare all’uso del francese in Indocina o a quello dell’inglese, eletto a lingua co-ufficiale, in India. Le recenti evoluzioni storico-economiche hanno portato ad una dominanza dell’inglese sulle restanti lingue europee (fenomeno del resto verificatosi in altri parti del mondo), diventando di fatto la principale lingua in tutte le relazioni internazionali, sia di carattere politico, che commerciale o turistico. L’importanza della lingua inglese si evince anche dal semplice fatto che è regolarmente insegnata nella maggior parte delle scuole secondarie di tutti i paesi asiatici. Un terzo elemento caratterizzante le società, ma anche l’assetto istituzionale dell’Asia Meridionale e Orientale è la religione: l’Asia è facilmente definibile come la culla di tutte le religioni del mondo e, in special modo, delle grandi religioni monoteiste. È nell’Asia sudoccidentale che ebbero origine l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam; in Cina nacquero e si diffusero il Confucianesimo e il Taoismo ed, infine, in India nacquero il Buddismo e l’Induismo. (Carpanetto D., 2006) La rilevanza che la religione riveste è riscontrabile nel fatto che la ritualità, sia intesa come espressione di fede che come ispirazione di vita “retta”, rappresenti una parte consistente della quotidianità delle popolazioni locali, soprattutto nelle aree non urbane: 9 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 1° - Mappatura dell’Asia: un quadro d’insieme Islamismo, Buddismo e Induismo costituiscono la chiave interpretativa principale della vita nelle rispettive aree di diffusione. Ad esempio, è difficile immaginare la popolazione di Bali astenersi dal suo costante dialogo con i morti o che non effettui l’offerta cerimoniale loro dovuta, azioni che riempiono molti momenti della vita quotidiana. Lo stesso vale per il mondo sino-nipponico, che sarebbe totalmente differente senza le virtù confuciane dell’ordine, dell’obbedienza, del comando inteso come servizio che si intersecano e influenzano profondamente etica e politica dando luogo, ad esempio, ad una forte gerarchizzazione della società (Corna Pellegrini G., 1982). Non sorprende, quindi, che tanto nei Paesi dell’Asia Meridionale, che in quelli della parte Orientale, abbiano potuto (e tuttora possano) manifestarsi movimenti politici autoritari; le radici di tali movimenti affondano nella fede comune di un popolo o nella sua tradizione millenaria in cui si crede che un popolo sia ben governato “dagli uomini della classe superiore” che gestisce il Paese per provvedere al bene di tutti. Figura 1.5.: Aree di diffusione dei culti religiosi Fonte: Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte L’Islam è la religione maggioritaria nell’Asia sudoccidentale e centrale, in particolare in Pakistan (dove il 98% della popolazione è musulmano), in Bangladesh (87%), in Indonesia (87% e in Malesia (53%). Anche in Cina una piccola parte della popolazione (quella turca dello Xinjinag e quella Hui di lingua cinese) è musulmana. 10 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 1° - Mappatura dell’Asia: un quadro d’insieme L’Induismo che può considerarsi la più antica delle religioni asiatiche (circa 4.000 anni fa) è, invece, particolarmente diffuso in India (dove gli adepti rappresentano l’80% della popolazione), Sri Lanka, Malesia e in Nepal. A differenza dell’Induismo, il Buddismo, originariamente nato in India dove è divenuto una religione minoritaria, si è diffuso declinandosi in correnti diverse, nelle regioni interne dell’Asia e nel Sud-Est asiatico. In particolare, nello Sri Lanka (per amor di precisione presso la popolazione cingalese) domina il Buddismo therevada, come anche in Myanmar, in Thailandia, Cambogia e Laos; mentre il buddismo mahayana è praticato in Giappone, Vietnam e Cina. Infine, la grande religione minoritaria, il Cristianesimo, si diffuse nell’area grazie soprattutto al lavoro dei missionari che convertirono intere popolazioni, come ad esempio quelle animiste in Indonesia e nel nord est dell’India. Attualmente, questa religione registra un elevato numero di adepti nelle Filippine (poco più del 90% della popolazione) e in Corea (quasi 20% della popolazione), nello specifico in Corea del Sud in quanto, a causa dell’instaurazione di un governo ateo comunista nella Corea del Nord non è riconosciuta la libertà di culto. Sensibile diffusione del cristianesimo si registra anche in Giappone, in Vietnam e in Cina. (Sellier J., 2010; Caracchi P., 2010) 1.3. Popolazione e sviluppo È largamente accettato che il fulcro dell’economia mondiale si sia spostato dall’Occidente in Asia, e più specificatamente nei territori del Meridione e dell’Estremo Oriente, ovverosia l’Asia confuciana e l’India. Le ragioni atte a spiegare questi mutamenti sono di varia natura e vanno dalle dinamiche economiche che questi paesi hanno sperimentato nell’arco di pochi anni, al loro peso demografico capace di esercitare il suo impatto sia in termini economici che ambientali, e al crescente ruolo che stanno acquistando in un ormai già grave degrado ambientale. La questione demografica dell’Asia orientale e meridionale riveste particolare importanza se si considera che con i suoi quasi 4 miliardi di abitanti il territorio rappresenta più della metà della popolazione mondiale, redendola, quindi, l’area geografica demograficamente più importante del nostro pianeta. Ovviamente, la distribuzione all’interno del vasto territorio è diseguale e presenta zone di concentrazione molto intensa, vedasi alcune aree della Cina, accanto ad immensi territori quasi totalmente disabitati, come ad esempio la Mongolia. Sotto l’aspetto meramente quantitativo emerge, anzitutto, il ruolo dominante svolto dalla popolazione della Cina e dell’India. Nonostante le incertezze statistiche, soprattutto per gli anni più remoti, si stima che nel 2012 la popolazione cinese fosse pari a 1,3 miliardi di persone, registrando negli anni altissime variazioni percentuali. In particolare, nel periodo 1961-2012 l’incremento percentuale medio è stato dell’1,4%, con picchi di crescita soprattutto dal 1962 al 1973 circa, quando la variazione percentuale media era del 2,6%. Al contempo, anche l’India si è distinta sia per il numero totale della popolazione, che nel 2012 si attestava intorno a 1,2 miliardi di abitanti, sia per i ritmi di crescita, significativamente più elevati rispetto a quelli della Cina. Difatti, mentre in Cina l’adozione di politiche per il contenimento demografico, nello specifico la politica del “figlio unico” ha prodotto gli effetti sperati (con conseguenze di lungo periodo alquanto preoccupanti); in India ciò non è 11 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 1° - Mappatura dell’Asia: un quadro d’insieme accaduto, eccezion fatta per alcune regioni, tant’è che nel medesimo periodo, 1961-2012 la crescita media percentuale della popolazione è stata quasi del 2%, con un’impennata fino al 1991, ultimo anno in cui la variazione percentuale della popolazione è stata maggiore al 2%, da lì in poi la popolazione indiana, seppur in crescita (e in misura maggiore rispetto a quella cinese) ha fatto registrare ritmi meno incalzanti. Tabella 1.1.: Popolazione totale nel 2012 Fonte: The World Bank (2014) Oltre a Cina e India, altri quattro stati dell’Asia Meridionale ed Orientale contano una popolazione maggiore ai 100 milioni di abitanti: l’Indonesia (più di 246 milioni), il Pakistan (più di 179 milioni), il Bangladesh (più di 154 milioni) e il Giappone (più di 127 milioni). La sola somma di questi quattro Paesi (circa 708 milioni di persone) è maggiore alla popolazione dell’Unione Europea, che si attesta intorno ai 509 milioni, e a quella degli Stati Uniti, pari a 313 milioni. Il confronto, diventa ancor più interessante quando il paragone è effettuato con altri giganti quali il Brasile e la Russia la cui popolazione, nel 2012 rispettivamente pari a 198 milioni e 143 milioni di persone, è decisamente inferiore rispetto quanto meno a tre dei quattro Paesi asiatici appena menzionati. Al contempo, questa parte del continente asiatico si caratterizza anche per avere Stati con popolazioni e/o densità della popolazione (quest’ultima intesa come numero di persone che abita per un km2) tra le più basse al mondo, eccezion fatta per Macao che – sebbene abbia una popolazione relativamente contenuta (556 mila abitanti) – presenta un’elevata densità demografica (più di 19 mila persone per km2) trattandosi non di uno Stato, ma di una zona amministrativa con statuto speciale della Repubblica Popolare della Cina, e quindi con un’estensione territoriale decisamente limitata. Il Brunei è lo Stato con il minor numero di abitanti (circa 412 mila), segue il Bhutan ( quasi 742 mila persone), Timor Est (con una 12 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 1° - Mappatura dell’Asia: un quadro d’insieme popolazione di 1,2 milioni) e la Mongolia (2,7 milioni di abitanti). Tutti e quattro i Paesi registrano anche una bassa densità della popolazione, in particolar modo la Mongolia che, secondo i recenti dati statistici, registra 2 abitanti per km2 (The World Bank, 2014). Figura 1.6.: Attuale popolazione dell’Asia Meridionale e Orientale Fonte: CIA World Factbook (2014) L’importanza della dimensione demografica dell’Asia Meridionale e Orientale non risiede solo sotto il profilo quantitativo, ma soprattutto sotto quello qualitativo, qui inteso come l’insieme degli effetti che la popolazione e la sua crescita potranno produrre a livello regionale e mondiale. Come brevemente illustrato precedentemente, i territori in analisi si distinguono non soltanto per avere le popolazioni più numerose al mondo, ma anche per registrare ritmi di crescita elevati, soprattutto rispetto alla media mondiale. Trattasi, inoltre, di sistemi economici emergenti tra i più dinamici, il cui peso economico e le possibilità di crescita rischiano di soppiantare quello di importanti giganti dell’Occidente. Tra i principali protagonisti di questa scalata demografica ed economica figurano Cina, India, Indonesia, Giappone, Nord Corea, Malesia e Tailandia. Nel 2010 queste sette economie registravano una popolazione totale di circa 3,1 miliardi di persone (78% di tutta l’Asia) e un PIL pari a 14.200 miliardi di dollari (87% dell’Asia). Recenti studi hanno calcolato che entro il 2050 mentre la loro popolazione diminuirà, arrivando a rappresentare il 73% della popolazione totale dell’Asia, il loro peso economico – qui inteso in termini di PIL – costituirà il 90% dell’intera area, e sarà pari al 45% del PIL mondiale (Asian Development Bank, 2011). Se ne deduce, quindi, un crescente ruolo economico che verrà sempre più svolto nelle realtà urbane dei paesi dell’Asia Orientale e Meridionale a scapito di quelle rurali. 13 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 1° - Mappatura dell’Asia: un quadro d’insieme Difatti, uno degli effetti, diretti ed indiretti, della crescita demografica ed economica è il fenomeno dell’urbanizzazione – ovvero la nascita di agglomerati urbani (città) e la loro successiva espansione sia territoriale sia di funzioni, fino a dar vita ad una rete di città – favorito dalla creazione di attività produttive, soprattutto di tipo industriale, e dalla conseguente pressione migratoria, ad opera di individui alla ricerca di migliori e più remunerate opportunità lavorative. Nei territori dell’Asia Orientale e Meridionale il processo di urbanizzazione è stato supportato anche da altri fattori, in primis di carattere politico: in molti Stati, infatti, si è avuto in passato un rafforzamento della classe dirigente che proprio nella città ha collocato i suoi centri direzionali. In particolare, l’esercito, grande protagonista di molta parte della vita asiatica, ha nelle città le sue basi più forti, anche perché è dalle città che più facilmente possono nascere contestazioni al potere. A ciò si aggiunga che in alcuni dei territori analizzati lo sviluppo economico è stato, in tutto o in parte, trainato dal controllo e dalla programmazione pubblica che ritrovava proprio nella città la sua centrale operativa. L’interazione di questi fattori ha prodotto una forte crescita urbana negli ultimi decenni, tanto che la popolazione urbana di tutta l’area è aumentata dal 33% del 1990 al 43% nel 2010. La parte orientale dell’Asia guida il processo di urbanizzazione, come dimostrano il rapido aumento della sua popolazione che dal 32% del 1992 è passato ad un 50% nel 2010. Di contrasto, il sud-est asiatico e i territori meridionali non sono ancora così avanzati sotto questo punto di vista: mentre nel primo caso nello stesso periodo si registra un aumento dal 32% al 42% della popolazione urbana; nel caso dell’Asia Meridionale l’incremento è stato dal 28% al 33% (Asian Century Institute, 2013). Figura 1.7.: Evoluzione processo di urbanizzazione Fonte: UN Habitat (2012), Sustainable Urbanization in Asia: A Sourcebook for Local Governments, United Nations A ben vedere, la maggior parte della popolazione urbana dell’Asia Meridionale e Orientale vive in città secondarie, con una popolazione inferiore ad un milione di abitanti – 14 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 1° - Mappatura dell’Asia: un quadro d’insieme nel 2009 solo il 21% viveva in città con una popolazione tra 1 e 5 milioni. Quindi al momento la situazione non risulterebbe preoccupante, se non si tenesse conto della capacità di crescita della popolazione urbana che nei prossimi vent’anni si stima possa arrivare a crescere più del 75% (UN Habitat, 2012). Secondo recenti studi, infatti, entro il 2050 la popolazione urbana dell’Asia passerà da 1,6 miliardi di abitanti odierni a 3,1 miliardi. Le città saranno sempre più il centro delle attività economiche del continente, e se oggi rappresentano più dell’80% del prodotto economico dei Paesi asiatici, nel prossimo futuro i centri urbani saranno anche poli per l’alta educazione, l’innovazione e lo sviluppo tecnologico – aumentando ulteriormente la già alta competitività internazionale della regione – come del resto sta già accadendo in grandi metropoli come Pechino e Seul. Tabella 1.1.: Popolazione urbana 2010-2050 2010 Totale popolazione urbana (in milioni) 1.649 2050 3.247 Asia nord-orientale 805 1.284 Asia meridionale 496 1.261 Asia sud-orientale 252 520 Asia centrale 96 182 Urbanizzazione (%) 41% 64% Asia nord-orientale 50% 74% Asia meridionale 33% 55% Asia sud-orientale 42% 65% Asia centrale 52% 67% Fonte: Asian Development Bank (2011), Asia 2050: Realizing the Asian Century, Asian Development Bank. Se da un lato, l’aumento demografico, la crescita economica e il processo di urbanizzazione potranno portare ulteriore progresso ai paesi dell’Asia Meridionale e Orientale, il rovescio della medaglia sarà un crescente consumo energetico e quindi maggiore richiesta di risorse da un lato e un aumento di emissioni inquinanti dall’altro. Già in questo periodo le città asiatiche soffrono di gravi problemi ambientali, basti pensare che dal 2004 le emissioni di gas serra delle economie meridionali e orientali rappresentavano rispettivamente il 13,1% e il 17, 3% di quelle globali. La rapida crescita di abitazioni e infrastrutture, nonché l’aumento del numero automobili nella regione rischiano di far aumentare il fabbisogno energetico pro-capite, provocando importanti ricadute a livello ambientale. La regione, infatti, già soffre di un elevato numero di disastri ambientali, come ad esempio siccità, ondate di calore, inondazioni e cicloni – fortemente legati al processo di cambiamento climatico – e destinati ad aumentare al crescere delle emissioni e delle peggiorate condizioni ambientali, con effetti in primo luogo sulle fasce della popolazione più povere costrette a stanziarsi presso aree particolarmente vulnerabili agli elevati rischi ambientali. (UN Habitat, 2012; Giordano A., Pagano A., 2013) 15 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 1° - Mappatura dell’Asia: un quadro d’insieme RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Asian Century Institute (2013), “Urbanization and slums in Asia”, in Development section, 05 august 2013 (http://www.asiancenturyinstitute.com/development/224-urbanizationand-slums-in-asia, consultato in data 27/01/2014) Asian Development Bank (2011), Asia 2050: Realizing the Asian Century, Asian Development Bank. Caracchi P. (2010), Le grandi religioni dell'Asia: orizzonti per il dialogo, Paoline. Carpanetto D. (2006), Le religioni nel mondo, De Agostini. CIA World Factbook (2014) (https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/, consultato in data 27/01/2014). Corna Pellegrini G. (1982), L’Asia Meridionale e Orientale, Volume I, UTET. Diamond J. (1998), Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, Einaudi. Enciclopedia De Agostini (2014), Asia, Sapere.it (http://www.sapere.it/enciclopedia/%C3%80sia+(geografia).html, consultato in data 22/01/2014). Enciclopedia Treccani (2014), Asia, Treccani.it (http://www.treccani.it/enciclopedia/asia/, consultato in data 20/01/2014). Giordano A., Pagano A. (2013), “Bangladesh à risque entre vulnérabilité et migrations climatiques”, in Outre-Terre – Revue Europeenne de Geopolitique, n. 35-36, pp. 99110. Pant D. R., Rebola L. (2004), “Fondamenti di Antropologia. Sistemi economici e sociali”, Materiali di supporto per il Corso di Antropologia Applicata, LIUC. Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte. The World Bank (2014) (http://data.worldbank.org/indicator/SP.POP.TOTL, consultato in data 26/01/2014). UN Habitat (2012), Sustainable Urbanization in Asia: A Sourcebook for Local Governments, United Nations 16 Corso di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali INSEGNAMENTO DI STORIA E ISTITUZIONI DELL’ASIA Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione A cura di Antonietta Pagano Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione SOMMARIO MODULO 2° L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione 2.1. L’Asia delle colonie e degli imperialismi 2.2. Il nazionalismo in Asia 2.3. Bandung e il non allineamento 1 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione 2.1. L’Asia delle colonie e degli imperialismi Il concetto di «colonialismo» trova i suoi fondamenti storici già in età romana, quando i Romani creavano «colonie», ovvero nuovi insediamenti di cittadini in territori conquistati da Roma. Pertanto, originariamente il termine «colonizzazione» indicava il processo di nascita di nuovi nuclei di popolazione trasferiti in maniera stabile dalla madrepatria in un altro territorio. Nel corso dei secoli, soprattutto tra fine ‘800 e inizio’900, il suo significato si è trasformato arrivando a corrispondere al dominio esercitato da un popolo su di un altro attraverso lo sfruttamento economico, politico e ideologico. In base all’evoluzione storica e alle sue caratteristiche, è possibile individuare tre tipologie fondamentali di colonia: • Colonie d’insediamento, prototipo della colonia, consistevano nella bonifica e nel popolamento dei territori prescelti per opera di un numero crescente di persone. Spesso, già abitati da popolazioni considerate «meno sviluppate», furono costrette ad abbandonare le proprie terre o ridotti allo stato di servitù, come accadde negli insediamenti britannici del Nord America e dell’Australia; • Colonie come basi di appoggio furono create per scopi economici (es. il commercio) e/o militari. Le potenze marinare occidentali, come il Portogallo, svilupparono una rete di basi di appoggio lungo le coste dell’Oceano Indiano, abbinando agli obiettivi commerciali quelli militari; • Domini coloniali, in cui la colonizzazione si estendeva fino al controllo dell’intero paese, senza ripopolarlo interamente. Emblema fu la colonizzazione afro-asiatica e, più nello specifico, il modello dell’India britannica, dove il dominio fu esercitato dalla minoranza dei coloni inglesi sulla maggioranza di indigeni. È in questo contesto che si evolve anche il concetto di «imperialismo» che, associandolo a quello di colonialismo, indicava la brama espansionistica ed egemonica di una nazione. Con imperialismo si intendeva, pertanto, l’insieme di iniziative miranti a realizzare il colonialismo. 2 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione È possibile affermare che, in linea di principio, questa suddivisione corrisponde anche all’evoluzione storica del processo di colonizzazione. Fin dai tempi delle grandi scoperte geografiche i paesi europei inviarono ovunque soldati, missionari, commercianti e semplici cittadini al fine di fondare dapprima delle basi d’appoggio e successivamente d’insediamento. Trattasi di un processo non soltanto raramente pianificato, ma anzi perlopiù improvvisato, se si considera che la scoperta di nuove terre sebbene progettata si raggiunse grazie a casualità fortunate, venti e correnti favorevoli (Reinhard W., 2002). Le prime fasi della colonizzazione in Asia Meridionale e Orientale si possono far risalire al XV secolo, quando le necessità economiche e commerciali spinsero le flotte delle potenze occidentali a superare i confini del Mar Caspio. In questo periodo, infatti, pepe, cannella, noce moscata, chiodi di garofano ed altri prodotti similari erano sempre più ricercati e divennero praticamente indispensabili nelle abitudini alimentari europee e, pertanto, altamente rimunerativi per mercanti, intermediari e governanti. È proprio questo commercio che, più di ogni altro fattore, stimolò l’espansionismo europeo in Asia. Le invasioni turche del XIII e del XIV secolo avevano reso impraticabili le relazioni dirette fra Europa e Asia, il cui commercio era di fatto monopolizzato dall’Islam e da Venezia. Nel tentativo di infrangere il blocco mussulmano e il monopolio veneziano, i Genovesi tentarono una rotta interamente marittima per l’Asia facendosi finanziare dalle corti di Spagna e Portogallo, in quegli anni disposte a supportare le imprese marittime che poi condussero alla scoperta del Nuovo Mondo, per conto del re di Spagna, e della rotta del Capo di Buona Speranza verso l’Oceano Indiano, per conto del re di Portogallo. Il miraggio delle spezie, le aspirazioni della nobiltà terriera verso nuove terre da conquistare, i progressi tecnologici raggiunti in Europa nel giro di pochi decenni e, non ultimo, il perenne spirito di crosciata contro i Mori (i Mussulmani) che animava le popolazioni iberiche, furono i principali fattori alla base dell’energica azione del principe Enrico il Navigatore cui si deve il lungimirante progetto che avrebbe portato la Cristianità a superare l’ostacolo islamico e ad arrivare direttamente in Oriente. 3 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione Il monopolio dei Portoghesi in Oriente fu sancito nel 1454 da Papa Niccolò V, il quale promulgando la prima delle tre Bolle, conferì un titolo legale, incontestabile e assoluto alle iniziative portoghesi. L’arrivo nelle Indie avvenne pochi anni dopo, nel 1498 quando l’equipaggio comandato da Vasco de Gama sbarcò a Calicut, in quel tempo uno dei principali porti dell’India intera e tra i centri più importanti per il commercio delle spezie. L’area era governata dagli Zamonir, la cui politica illuminata consentì il libero formarsi di molteplici colonie di mercanti stranieri, tra cui quella mussulmana era la più forte e numerosa. Per più di un secolo e mezzo dallo sbarco di Vasco de Gama a Calicut il commercio marittimo delle Indie fu concentrato nelle mani dei Portoghesi, dominatori assoluti dell’alto mare. Figura 2.1.: L’Asia sud-orientale e la via delle spezie in una carta del 1568 Fonte: Corna Pellegrini G. (1982), L’Asia Meridionale e Orientale, Volume I, UTET Il regime commerciale portoghese, sebbene ostile solo ai Mussulmani, fu incoraggiato dai sovrani indù (fatta eccezione per Calicut) in quanto la loro presenza non alterò la tradizionale rete commerciale orientale, tanto meno comportò conseguenze politiche nei territorio in cui operarono. Altrettanto successo non si ebbe in Cina, dove i tentativi portoghesi di aprire basi commerciali trovarono l’ostilità degli imperatori Ming, 4 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione contrari a quegli stranieri che non riconoscevano le loro leggi. Ad ogni modo, nel 1557 fu concesso il libero commercio nei porti meridionali e i Portoghesi riuscirono a ottenere l’uso di una penisoletta deserta, l’attuale Macao, per depositarvi le loro merci. Sebbene questa concessione non comportò alcuna conseguenza nella struttura della Cina, rappresentò comunque un’importante novità, poiché per la prima volta dal XIII secolo furono ripresi i rapporti diretti tra Europei e Cinesi, senza l’intermediazione araba. Priva ancora di una borghesia commerciante e capitalistica, che nel frattempo si stava formando in altri paesi europei, il Portogallo si avviò rapidamente verso la decadenza, sconfitto dalla Spagna nel 1580, a sua volta vinta nel 1588 dall’Inghilterra. Nel XVI secolo il commercio delle spezie passa nelle mani delle potenze commerciali del Nord: in questi anni, Olanda e Inghilterra tentarono a loro volta la via dell’Oriente. Fondata ad Amsterdam nel 1602, la Compagnia olandese per le Indie Orientali avviò, senza alcuna motivazione religiosa e politica, la penetrazione commerciale in India, cacciando gradualmente i Portoghesi. L’attività olandese fu geograficamente concentrata nelle Indie Orientali, cioè alla fonte delle spezie, tant’è che nel giro di pochi anni modificarono l’economia agricola dei territori locali imponendo la monocultura di spezie. Gli Olandesi, inoltre, provarono, con scarso successo, a incrementare il commercio con la Cina e a intraprendere relazioni anche con il Giappone, dove aprirono, seppur sotto il rigido controllo giapponese, i primi empori olandesi. Poco prima degli Olandesi, anche gli Inglesi fondarono nel 1600 la propria Compagnia delle Indie Orientali i cui intenti commerciali erano: rifornimento di spezie, pietre preziose e altri generi di lusso. A differenza della controparte olandese, gli Inglesi stanziarono le loro attività in India, dove fu creato il primo centro commerciale a Surat nel 1612 e da cui si espansero rapidamente, d’accordo con gli imperatori Mogol e con i sovrani locali, fino a creare sul finire del XVII secolo i tre centri di Bombay, Madras e Calcutta, dai quali cento anni dopo la dominazione inglese penetrerà nell’India intera. 5 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione I successi inglesi indussero altri europei a seguire il loro esempio, ma l’ostilità inglese e quella olandese limitò queste ambizioni. Solo i francesi riuscirono a fondare una base d’appoggio a Pondicherry nel 1670 (Corna Pellegrini G.,1982). La rivalità tra Francia e Inghilterra si riflesse anche sulle rispettive Compagnie delle Indie, ma alla fine i Francesi furono sconfitti e completamente estromessi dall’India in seguito alla Guerra dei Sette anni e a quanto sancito nel Trattato di Parigi del 1763, che rivoluzionò l’assetto delle colonie a vantaggio dell’Inghilterra. Di fatto, dopo la conquista del Bengala del 1765, l’Inghilterra divenne l’unico arbitro europeo del subcontinente indiano. Il predominio britannico sull’India portò allo sviluppo di una rete commerciale destinata a rafforzarsi sempre più negli anni successivi (Reinhard W., 2002). Figura 2.2.: La penetrazione europea sul finire del XVIII secolo Fonte: Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte Il rafforzamento della penetrazione occidentale comportò profonde trasformazioni nella colonizzazione dei territori asiatici: se fino alla metà del Settecento fu quasi esclusivamente 6 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione di tipo economico; in seguito, i paesi europei, e in particolar modo l’Inghilterra, presero il controllo degli Stati asiatici dando vita ad un vero e proprio impero coloniale. Le uniche eccezioni furono le Filippine, cadute sotto la dominazione spagnola sin dalla seconda metà del XVI secolo, e i possedimenti olandesi di Ceylon, Sumatra, Giava e Borneo. In questa seconda fase, la colonizzazione inglese non fu condotta direttamente dalla corona, bensì da una compagnia privata – l’East India Company – che sui possedimenti indiani aveva pieni poteri amministrativi e militari. La trasformazione del colonialismo inglese ebbe pesanti ripercussioni sulla società indiana, in particolar modo sulla struttura economica. Inizialmente, infatti, il commercio tra i due paesi era decisamente a favore dell’India – le esportazioni inglesi erano pressoché nulle, mentre dai porti indiani partivano navi cariche di spezie, tè, porcellane e cotonate. Successivamente, la Rivoluzione Industriale, che rese altamente competitivi i prodotti europei, e l’adozione di tariffe doganali, che ostacolavano l’esportazione delle cotonate indiane nel Regno Unito, resero l’India indifesa contro la penetrazione dei prodotti inglesi. In pochi anni la produzione di prodotti tessili fu azzerata e l’economia indiana dovette focalizzarsi sull’esportazione di prodotti non lavorati, come tè e cotone grezzo, che sarebbero poi stati reimportati dall’Inghilterra sotto forma di prodotto finito. Il consolidamento della presenza inglese continuò ancora nei primi decenni dell’Ottocento con il protettorato sul Nepal (1816), la fondazione della città portuale di Singapore (1819) e l’annessione della bassa Birmania (1826) e del Punjab (1849). Sebbene alcune di queste ultime acquisizioni si raggiunsero grazie a eventi casuali, approfittando delle lotte intestine ai paesi asiatici, in generale le scelte espansionistiche britanniche furono guidate dalla volontà di creare attorno all’India degli Stati cuscinetto e di controllare le rotte commerciali che collegavano la madrepatria con le colonie asiatiche (Reinhard W., 2002). Durante tutto il XIX secolo tutte le potenze coloniali, in misura diversa, si ampliarono avendo come principale interesse l’acquisizione, anche con le armi, di nuove aree per il mercato europeo. Il risultato di questa nuova fase, definita «imperialismo», vide la dominazione britannica esercitare il proprio potere sull’intera India, la Birmania e i territori 7 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione settentrionali del Sud-est asiatico, tanto che nel 1877 la regina Vittoria fu proclamata imperatrice delle Indie. Contemporaneamente, gli Olandesi sottomisero gradualmente il resto dell’arcipelago del Sud-est asiatico; mentre i Francesi conquistarono la cosiddetta Indocina francese, composta da Vietnam e Laos (escluso il Siam – Stato cuscinetto tra Inglesi e Francesi – che rimase indipendente). A ciò si aggiunga che nel 1898 la guerra tra USA e Spagna per la questione di Cuba (ai tempi colonia spagnola) permise gli statunitensi di impadronirsi delle Filippine, nonostante la resistenza locale (Sellier J. ,2010). Figura 2.3.: Mappa degli imperi coloniali all’indomani della Prima Guerra Mondiale Fonte: Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte I fattori alla base di questo mutamento furono soprattutto economici e politicoideologici. In primo luogo, sotto il profilo economico, particolare rilievo svolsero l’esigenza di ricercare nuovi sbocchi commerciali, la necessità di accaparrarsi materie prime e beni di lusso a basso costo ed, infine, l’accumulazione di capitali finanziari disponibili per investimenti ad alto profitto nei territori d’oltremare. 8 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione Dal punto di vista politico-ideologico, invece, le motivazioni si basarono su una mescolanza di nazionalismo e di politica di potenza, di razzismo e di spirito missionario. In Inghilterra, per esempio, l’idea di appartenere a una nazione eletta, a quella che Disraeli chiamava «una razza dominatrice, destinata dalle virtù a spargersi per il mondo», accomunò diversi scrittori e uomini politici anche di estrazione liberale. Il desiderio imperialista dei singoli paesi si legò, poi, all’ideologia della missione civilizzatrice della civiltà europea nel mondo: il «fardello dell’uomo bianco» di cui parlava Kipling indicava proprio il dovere di redimere le «popolazioni selvagge» (Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). 2.2. Il nazionalismo in Asia Il XX secolo rappresenta un momento di profonde trasformazioni a livello mondiale, iniziato con il momento di massimo espansionismo delle potenze coloniali, si caratterizzerò per la nascita d’importanti movimenti nazionalistici che condussero alla decolonizzazione e all’indipendenza dei territori asiatici e africani. Dopo la Prima Guerra Mondiale, gli imperi coloniali raggiunsero la loro massima espansione e proprio nel periodo fra le due guerre che alcune colonie furono rivalutate per il loro contributo alla guerra. Allo stesso tempo, ambedue i conflitti mondiali mostrarono ai coloni la discordia, la vulnerabilità e le debolezze delle potenze europee, dando inizio alle prime tensioni nei territori coloniali. La colonizzazione indebolì fortemente i territori sotto il proprio dominio, distruggendo le società tradizionali, modificando il sistema agricolo che da autarchico fu destinato alla produzione di beni da esportare, favorendo un aumento demografico che non fu altresì compensato da politiche di sviluppo economico. In soli trent’anni (dal 1940 al 1970) la popolazione dei paesi in via di sviluppo aumentò fino a oltre un miliardo, rappresentando il 72% della popolazione mondiale (mentre inizialmente era pari al 64%). La motivazione alla base di quest’eclatante crescita demografica è la repentina riduzione della mortalità, dovuta alle migliorate condizioni igienico-sanitarie (ad esempio, 9 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione tramite l’adozione di antibiotici) verificatosi in una società in cui il tasso di natalità era ancora elevato. Tab. 2.1. – Crescita della popolazione mondiale (in milioni di persone) Anno Popolazione Pop. dei Paesi Pop. Paesi in via Mondiale avanzati di sviluppo 1750 791 201 590 1800 978 248 730 1850 1.262 347 915 1900 1.650 573 1.077 1950 2.506 857 1.649 1970 3.621 1.084 2.537 Fonte: Magagnoli S. (2009), Dal colonialismo al neocolonialismo, Università degli Studi di Parma (http://economia.unipr.it/DOCENTI/MAGAGNOLI/docs/files/Dispensa.pdf, consultato in data 31/01/2014) Contemporaneamente, nacque nei territori coloniali una classe borghese composta in parte da intellettuali che combinavano ideologie occidentali (come il nazionalismo e il marxismo) ai valori tradizionali. Fu proprio questa élite, formatasi presso gli istituti e le università delle potenze coloniali, ispirati da principi democratici europei e consapevoli della necessità di riconquistare un’identità nazionale distrutta dal processo di colonizzazione, che si pose al comando dei movimenti nazionalisti e di liberazione dei propri paesi (Magagnoli S., 2009). Già a partire dagli anni Trenta i movimenti nazionalisti erano particolarmente attivi, proprio nel periodo in cui le colonie versavano in condizioni di difficoltà a causa del mancato sviluppo industriale e del crollo dei prezzi delle materie prime, producendo effetti considerevoli, considerato che il settore agricolo era quasi totalmente destinato alla coltivazione di prodotti da esportare in Occidente e costituiva il settore principale, se non esclusivo, delle loro economie. Questi elementi aiutano a spiegare come mai i nuovi movimenti nazionalisti si distinguevano per la lotta contro lo sfruttamento economico. 10 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione Quest’ultimo fu rafforzato oltremodo dall’opposizione all’assoggettamento culturale operato dalle religioni – come induismo e islamismo – che da sempre svolgono un ruolo fondamentale nelle società locali e, proprio in questo periodo, assunsero una parte importante nella diffusione dei movimenti di emancipazione e nel rifiuto all’unificazione culturale occidentale. Sin dagli inizi del XX secolo la religione musulmana si espanse rapidamente, conquistando e convertendo vaste popolazioni dell’Asia, e presentandosi come ostile alle potenze coloniali. A questo proposito, proprio la percezione di «non colonialista» – considerata l’assenza di possedimenti (eccezion fatta per le Filippine) – favorì la penetrazione delle due superpotenze post-belliche, USA e URSS, in Asia. Per quel che riguarda gli Stati Unti, la sua posizione «anti-coloniale» fu dimostrata dalla proclamazione della Carta Atlantica nel 1941 – in cui fu sancito il diritto all’autodeterminazione di tutti i popoli – e dal costante incoraggiamento dei movimenti nazionalistici in Asia e Africa. Dal canto suo, l’URSS considerava quale obiettivo principale la liberazione dei popoli oppressi e la lotta all’imperialismo, così nel dopoguerra appoggiò, in sede ONU, le rivendicazioni delle colonie. Il fascino «anti-coloniale» dell’URSS, supportato dall’alleanza fra USA e le nazioni vincitrici della Seconda Guerra Mondiale (corrispondenti, grosso modo, alle potenze coloniali), facilitarono l’avvicinamento tra comunisti e nazionalisti. In Cina dopo la rivoluzione del 1911, le rivalità fra i «signori della guerra» divisero la Cina: i nazionalisti si insediarono a Canton (a Sud del paese) e nel 1923 si allearono con i comunisti, successivamente, però, il capo dei nazionalisti Chiang Kai-shek riuscì a prendere il controllo su tutta la Cina meridionale rompendo qualsiasi tipo di apporti con i comunisti nel 1927. «La Lunga Marcia» (1934-1935) portò i comunisti ad insediarsi nella parte nordoccidentale del paese, dove approfittando della presenza sovietica nella Manciuria, provarono gradualmente a penetrare nel resto della Cina e, nel 1947, attaccarono i nazionalisti, costringendoli ad arretrare. Mao Zedong proclamò la Repubblica Popolare a Pechino nell’ottobre del 1949 e pochi mesi dopo, nel dicembre dello stesso anno i nazionalisti, guidati da Kai-sheck, ripiegarono a Taiwan. 11 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione Nel frattempo, in Indocina la Francia fu costretta a fronteggiare il movimento indipendentista guidato da Ho Chi-minh, alleatosi con la Cina e l’URSS, che condusse alla separazione del Vietnam in due stati separati, il Nord (comunista) e il Sud (Sellier J., 2010). Altro movimento nazionalista nacque in Indonesia, dove le iniziative di Sukarno portarono prima all’indipendenza dello Stato e, successivamente, ad una sempre più stretta collaborazione con le fazioni comuniste e con la Cina. In Corea, infine, a nord del 38° parallelo prese il comando il regime comunista di Kim Il Sung (Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). In risposta al «blocco comunista» gli Stati Uniti si attivarono, all’inizio degli anni Cinquanta, a tessere una serie di relazioni ed alleanze per contrastare l’avanzata comunista. Così furono firmati i trattati di alleanza con Giappone, Corea del Sud, Cina nazionalista (ovvero Taiwan), Filippine, Vietnam del Sud, Thailandia, Pakistan e Australia. Figura 2.4.: L’Asia Meridionale e Orientale durante la Guerra Fredda Fonte: Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte 12 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione Le potenze coloniali già dagli anni Venti videro minacciati i propri possedimenti, acquisendo gradualmente la consapevolezza da un lato del loro difficile mantenimento dal punto di vista militare e finanziario, dall’altro della crescente forza dei movimenti nazionalisti e del desiderio di indipendenza delle popolazioni autoctone. Ciò nonostante, gli Stati coloniali avevano ancora bisogno di mantenere i propri territori coloniali, soprattutto da quando i mercati di sbocco si erano contratti a causa della semi-chiusura di URSS e Cina. Considerati questi elementi, le potenze occidentali realizzarono che la migliore politica da adottare per continuare a esercitare il proprio controllo sui territori coloniali consisteva nel supportare i movimenti nazionalisti conservatori, favorendo, quindi, l’indipendenza o comunque l’autonomia dei governi, riservandosi, allo stesso tempo, vantaggi economici (come ad esempio privilegi fiscali o doganali, possibilità di esportare capitali e profitti, etc), la possibilità di mantenere basi militari, missioni di consiglieri e tecnici che, praticamente, continuarono a governare indirettamente i territori coloniali. Tra i principali promotori di questa tipologia «non violenta» di indipendenza vi è l’Inghilterra che adottò quasi da subito un approccio flessibile e pragmatico, sebbene in alcune occasioni adottò misure violente di repressione. In generale, le autorità inglesi evitarono di imbarcarsi in conflitti lunghi, dispendiosi e sanguinosi e preferirono, invece, un’indipendenza concordata nei tempi e nei modi con Londra, al fine di conservare i legami politici ed economici con la ex madrepatria. Vero centro nevralgico delle terre coloniali britanniche, l’India si distinse per l’elevata crescita demografica e per le significative risorse industriali, in particolare del settore tessile, che favorirono la nascita di una moderna classe operaia, avente i propri sindacati, e di un ceto impiegatizio nei principali centri urbani. In questo paese i principali movimenti nazionalisti furono il Partito del congresso, di orientamento moderato, e quello di Jawaharlal Nehru, movimento radicale e socialista, che oltre all’indipendenza sosteneva anche l’emancipazione sociale delle classi inferiori. 13 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione All’interno del quadro politico indiano la figura più importante, vera giuda del movimento indipendentista indiamo, fu Mohandas Karamchand Gandhi, meglio conosciuto come Mahatma (Grande anima) Ganfhi, la cui dottrina – la satyagraha (abbraccio della verità) – si caratterizzava per il profondo tradizionalismo religioso, il rifiuto dell’uso della violenza e la non collaborazione con le potenze coloniali. La sua politica, favorevole alla conservazione di una società indiana tradizionale (ovvero ordinata in caste), lasciava incompiute le profonde esigenze di rinnovamento sociale e rese Ghandi vulnerabile alle critiche dell’opposizione del nazionalismo radicale. Inoltre, non riuscì nel suo progetto di cooperazione interreligiosa tra la maggioranza induista e la minoranza mussulmana (guidata dalla Lega musulmana), il cui desiderio secessionista era, invece, sostenuto dalla Gran Bretagna che aveva come scopo ultimo la divisione del movimento nazionalista e, quindi, il suo indebolimento. La Lega musulmana guadagnò sempre più consensi e, nel giro di poco tempo, divenne il movimento politico-religioso che meglio rappresentava le province orientali a prevalenza mussulmana e radicalizzò così gradualmente le proprie posizioni autonomiste nel periodo in cui gli scontri tra ultranazionalisti indù e musulmani si facevano sempre più violenti e sanguinosi. Queste tensioni politico-religiose condussero all’inevitabile divisione del paese, che avvenne nel 1947, quando in concomitanza del riconoscimento dell’indipendenza indiana da parte della Gran Bretagna, furono costituiti due Stati autonomi: l’India, a maggioranza induista, e il Pakistan, prevalentemente musulmana, da cui successivamente, nel 1971 si sarebbe staccato anche il Bangladesh. La divisione impattò pesantemente sulle popolazioni locali, provocando l’esodo di circa 6 milioni di indù e, allo stesso tempo, in direzione Pakistan, di 8 milioni di mussulmani, che varcarono le rispettive frontiere per evitare persecuzioni di matrice religiosa. Lo stesso Ghandi fu assassinato per mano di un fanatico indù, sicuro che il Mahatma avesse supportato la spartizione del paese, a cui Ghandi vi si oppose sino all’ultimo. 14 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione Negli anni successivi i due paesi si caratterizzarono per evoluzioni profondamente diverse: l’India, grazie all’operato di Nehru, riuscì a sviluppare un sistema agricolo e industriale moderno e diede vita a istituzioni democratiche sufficientemente solide (fatta esclusione di qualche breve parentesi autoritaria), che permisero uno sviluppo robusto del paese, tanto che attualmente l’India è una delle più importanti economie emergenti del sistema economico mondiale; il Pakistan, invece, dopo la morte del leader carismatico della Lega musulmana, Jinnah, cadde velocemente sotto il controllo di violente dittature militari. Tutt’oggi le antiche tensioni religiose, i recenti conflitti etnici – dovuti principalmente alla nascita di movimenti di estremisti indipendentisti, di cui i più attivi e famosi sono quelli delle popolazioni sikh del Punjab e tamil nel Sud dell’India – continuano a minacciare la stabilità sociale e politica dell’Asia Meridionale. Figura 2.6.: Partizione tra India e Pakistan dopo la dichiarazione d’indipendenza Fonte: Canali L. (2008), «La partizione», in Limes (http://temi.repubblica.it/limes/lapartizione/669, consultato in data 04/02/2014) 15 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione A differenza di quanto accadde nelle colonie britanniche, i Francesi mal si prestano a concedere l’indipendenza alle proprie colonie e l’emancipazione del Vietnam fu raggiunta solo dopo una sanguinosa guerra che impegnò (peraltro senza successo) le truppe francesi dal 1946 al 1954. In Indocina il regime coloniale francese provò a piegare militarmente il movimento comunista del Viet Mihn (Fronte per l’indipendenza del Vietnam) che, oltre alle richieste di indipendenza, rivendicava diritti sociali a favore dei contadini. Iniziata come guerra di liberazione dal dominio coloniale, dopo la vittoria comunista in Cina (1949) lo scontro si trasformò rapidamente in un conflitto bellico in cui si contrapposero il blocco occidentale e quello socialista. L’esercito Viet Mihn era, infatti, sostenuto militarmente dalla Cina, attraverso l’addestramento dell’esercito e il rifornimento di armi, mentre le truppe francesi potevano contare sull’appoggio militare degli Stati Uniti, che sostennero in gran parte anche il finanziamento delle operazioni belliche. Solo le pesanti sconfitte militari inflitte dall’esercito vietnamita indussero le autorità francesi a trattare la pace. Gli accordi di Ginevra nel 1954, sancirono l’abbandono dei francesi dell’Indocina, la fine delle ostilità e la neutralità straniera (anche degli attori regionali) negli affari interni dell'Indocina e la separazione del Vietnam lungo la linea provvisoria del 17° parallelo, in attesa che le elezioni generali consentissero l’unificazione del paese. Di fatto, la divisione divenne definitiva fino al 1976: a Nord assunse il potere il regime socialista della Repubblica democratica del Vietnam, mentre a Sud si instaurò un regime di ispirazione cattolica e filoamericano, dove trovarono rifugio oltre un milione di cattolici vietnamiti in fuga dal Nord del Vietnam (Magagnoli S., 2009). Dopo la divisione del Vietnam, si sviluppò una guerriglia sostenuta dal Nord nella parte meridionale del paese, dove, al fine di riportare la stabilità nell’area intervennero anche gli Stati Uniti a sostegno del Sud. La guerra del Vietnam durò fino al 1973, estendendosi anche al Laos e alla Cambogia, nella quale i Khmer assunsero il potere nel 1975, instaurando un regime di terrore che durò per altri quattro anni. La guerra del Vietnam terminò nel 1975 16 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione 1976 quando il Vietnam del Nord procedette alla riunificazione del paese, annettendo il Sud. Similmente a quanto accadde nel Vietnam, anche la Corea fu teatro della contrapposizione tra il mondo occidentale e quello socialista. Dopo la sparizione della Corea nel 1945 lungo il 38° parallelo, si crearono due aree di influenza: i Sovietici occuparono il Nord della Corea e gli Stati Uniti il Sud, dando così luogo a due regimi ostili. La pace nell’area durò fino al 1950 quando la Corea del Nord attaccò il Sud costringendo subito in campo gli Stati Uniti e il mondo socialista, questa volta capeggiato dalla Cina – in quest’occasione, infatti, l’Unione Sovietica restò in disparte. Il conflitto durò tre anni e, una volta che le parti riguadagnarono le posizioni iniziali, fu raggiunto un armistizio. Ancora oggi la Corea del Nord è governata da un regime socialista, mentre nella Corea del Sud vige una democrazia semi-presidenziale. Quest’ultimo paese si è distinto negli ultimi anni per la forte crescita del sistema economico, tanto da farla classificare tra le principali economie asiatiche. Dalla seconda metà del XX secolo, seguendo l’ondata indipendentista che ha travolto il continente asiatico, nacquero altri numerosi stati, alcuni separandosi dai neo-stati formatisi durante il processo di decolonizzazione. Così la Malesia (peninsulare) ottenne l’indipendenza nel 1957, dando vita nel 1963 alla «Grande Malaysia» che comprendeva Singapore, il Sarawak e il Borneo del Nord. Tuttavia, pochi anni dopo (esattamente nel 1965) Singapore si separò e scelse la via dell’indipendenza; nello stesso anno anche le Maldive ottennero l’indipendenza. Altra tappa importante nel processo di stabilizzazione politica dell’area fu il 1971, quando la ribellione della popolazione del Pakistan orientale condusse alla formazione di un nuovo stato: il Bangladesh. Ci furono, poi, l’indipendenza del Brunei nel 1983 e nel 2001 quella di Timor est, che dopo essere stato annesso all’Indonesia (nel 1976) attraverso una pesante guerriglia riuscì ad emanciparsi. Gli ultimi retaggi dell’epoca coloniale si dissolvono nel momento dell’annessione di Hong Kong e Macao, rispettivamente nel 1997 e nel 1999, da parte della Cina (Sellier J., 2010). 17 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione Figura 2.6.: Mappa della decolonizzazione in Asia Meridionale e Orientale Fonte: Day A. (2001), Europe 66. Introduction to Modern Europe - Map, Temple University (http://astro.temple.edu/~barbday/Europe66/resources/maps.html, consultato in data 04/02/2014) 2.3. Bandung e il non allineamento I paesi di nuova indipendenza si affacciarono sulla scena internazionale con la convinzione di possedere un’eredità comune, ovvero la lotta di liberazione dalle potenze coloniali, e di avere interessi e aspirazioni comuni, che esulano dalle differenze fra i diversi regimi politici. In piena Guerra Fredda, dove le relazioni internazionali si caratterizzavano sempre più per la contrapposizione tra Est e Ovest, alcuni dei neonati stati avvertirono la necessità di affrancarsi dalle influenze politiche delle potenze mondiali e di adottare una linea di condotta autonoma. La parola d’ordine divenne quella del «non allineamento», ovvero di non seguire i grandi blocchi militari e ideologici in vigore in quegli anni. 18 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione Per impulso soprattutto dell’India di Nehru e dell’Egitto di Nasser – ai quali poi si aggiunse anche la Jugoslavia di Tito – questa parola d’ordine divenne il principio ispiratore di una nuova categoria di Stati, che fu definito «Terzo Mondo» (creato sulla base di un’espressione coniata dal Alfred Sauvy per definire le classi sociali durante la Rivoluzione Francese), distinta sia dall’Occidente capitalistico che dai paesi socialisti. La consacrazione di questa nuova linea politica si ebbe nell’aprile del 1955 con la «Conferenza afroasiatica di Bandung» – la prima conferenza internazionale dei popoli di colore – a cui parteciparono 29 paesi asiatici e africani, inclusa la Cina, rappresentante più della metà della popolazione mondiale e che fino a pochi anni prima erano assoggettate allo stato di colonie o semicolonie. La Conferenza, quindi, non solo segnò la nascita del movimento dei «non allineati», ma anche l’avanzare del Terzo Mondo sulla scena mondiale, ed è proprio allora che si diffuse il cosiddetto «terzomondismo», cioè la tendenza a individuare nei paesi in via di sviluppo il principale fattore di mutamento e rinnovamento a livello mondiale. La Conferenza di Bandung proclamò l’eguaglianza fra tutte le nazioni, il supporto a quei movimenti impegnati nella lotta al colonialismo, la negazione delle alleanze militare egemonizzate dalle superpotenze e il rifiuto di ogni forma di razzismo. Tuttavia la Conferenza non rappresentava una semplice piattaforma ideologica, originariamente doveva servire anche per porre fine alla dipendenza economica dei paesi colonizzati tramite, ad esempio, la cooperazione economica tra i paesi asiatici e africani, il supporto statale per la creazione d’industrie nazionali, realizzazione di banche indigene, etc. Sotto il profilo della politica internazionale, invece, la Conferenza proclamava il neutralismo attivo, una politica indipendente che avrebbe eroso l’egemonia delle superpotenze e sottratto il mondo dalla morsa della Guerra Fredda. Di fatto, le aspirazioni neutraliste finirono con l’indebolirsi sempre più, limitandosi ad affermazioni di principio, a volte anche in contrasto con le scelte operate dai singoli Stati per motivazioni ideologiche o di semplice convenienza politica. 19 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione Il movimento nato dopo Bandung crebbe velocemente, tanto che nel 1973 durante la Conferenza di Algeri comprendeva 75 Stati, divenendo molto, forse troppo, eterogeneo: accanto a paesi di ispirazione filo-occidentale, figuravano paesi socialisti e fortemente legati all’Unione Sovietica, come Cuba e il Vietnam del Nord. Nonostante le buone intenzioni, la contrapposizione Est-Ovest finì con influenzare le vicende del movimento, come dimostrato dal tentativo di alcuni Stati di spostare l’asse del non allineamento in senso filosovietico, adottando la tesi secondo cui l’URSS rappresentava la «naturale alleata» del movimento, considerati la sua ostilità agli Stati Uniti e l’assenza di un passato coloniale. La crescente eterogeneità stava, quindi, comportando seri problemi di compattezza tra i suoi membri e di coerenza con i suoi principi ispiratori. Ciò nonostante, il movimento dei «non allineati» diede una nuova fisionomia del sistema mondiale, non più riducibile alla semplice contrapposizione Est-Ovest. Se originariamente il non allineamento apparve l’unico comune denominatore del Terzo Mondo, il concetto di «sottosviluppo» rappresentò un ulteriore elemento unificatore capace di riassumere le caratteristiche dei sistemi economici dei paesi interessati. Questo concetto, che va ben oltre la dimensione di povertà in cui versavano molti di queste nazioni, stava ad indicare il ritardo in termini di sviluppo economico accumulato negli anni rispetto ai paesi industrializzati e le attese di crescita maturate dal confronto con essi (che in parte corrispondevano agli ex dominatori coloniali). I punti in comune riscontrabili tra quasi tutti i paesi di nuova indipendenza erano: la carenza di strutture industriali, il ritardo nel sistema di produzione agricolo, la semiesclusione dal commercio mondiale, lo squilibrio tra le risorse disponibili e una popolazione in costante aumento. Il quadro che emerse era di profonda e drammatica povertà, basti pensare che intorno al 1960 il reddito pro-capite dei paesi definiti «in via di sviluppo» era mediamente di dieci volte più basso rispetto a quello dei paesi industrializzati, l’analfabetismo era ancora molto diffuso (in alcuni Stati si registravano addirittura punte del 90% e oltre) e le strutture igienico-sanitarie erano ancora carenti. 20 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 2° - L’Asia tra imperialismo e post-colonizzazione Sebbene non si trattasse di elementi nuovi, fu la percezione del fenomeno che cambiò radicalmente: la povertà di massa, frutto anche della colonizzazione, che interessava due terzi della popolazione mondiale non poteva più essere vista come una condizione «ambientale», bensì come un fallimento del nuovo ordine mondiale fondato sul principio di uguaglianza fra i popoli. La questione del sottosviluppo fu oltremodo amplificata dall’atteggiamento «rivendicazionista» assunto dalla maggioranza dei paesi del Terzo mondo nei confronti dei paesi industrializzati, accusati di aver realizzato la loro ricchezza durante il colonialismo e il «neocolonialismo» (periodo in cui le ex potenze coloniali utilizzarono strumenti economici e culturali per controllare le ex colonie) e dovevano, dunque, dividere questo benessere con i paesi più poveri (Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Canali L. (2008), «La partizione», in Limes (http://temi.repubblica.it/limes/la- partizione/669, consultato in data 04/02/2014). Corna Pellegrini G. (1982), L’Asia Meridionale e Orientale, UTET. Day A. (2001), Europe 66. Introduction to Modern Europe - Map, Temple University (http://astro.temple.edu/~barbday/Europe66/resources/maps.html, consultato in data 04/02/2014). Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V. (2002), L’età contemporanea, Laterza. Magagnoli S. (2009), Dal colonialismo al neocolonialismo, Università degli Studi di Parma (http://economia.unipr.it/DOCENTI/MAGAGNOLI/docs/files/Dispensa.pdf, consultato in data 31/01/2014). Reinhard W. (2002), Storia del colonialismo, Piccola Biblioteca Enaudi. Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte. 21 Corso di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali INSEGNAMENTO DI STORIA E ISTITUZIONI DELL’ASIA Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia A cura di Antonietta Pagano Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia SOMMARIO MODULO 3° Democrazia e totalitarismi in Asia 3.1. L’assetto politico della regione 3.2. Il comunismo asiatico 3.3. Il rapporto tra «valori asiatici» e democrazia 1 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia 3.1. L’assetto politico della regione La fine del XX secolo è stata caratterizzata da importanti trasformazioni sotto il profilo istituzionale, basti semplicemente pensare all’aumento dei sistemi democratici instauratisi in Asia Meridionale e Orientale, mentre nel 1975 le uniche democrazie presenti erano quelle del Giappone e dell’India, quest’ultima ritenuta oltretutto anomala e destinata probabilmente a cadere; attualmente è possibile verificare non soltanto che l’assetto democratico indiano si è brillantemente consolidato, ma anche che le democrazie nate nella regione sono aumentate, ed in particolare in Corea del Sud, Taiwan, Mongolia e Indonesia (sebbene in questo caso si tratta di una democrazia recente e non ancora consolidata) (Somaini E., 2009). L’instaurazione di regimi democratici rappresenta, ovviamente, solo una parte dell’evoluzione politica dell’Asia Meridionale e Orientale che, dalla seconda metà del XX secolo in poi, è stata scossa da eventi rilevanti a livello mondiale quali il processo di decolonizzazione, il crollo del Muro di Berlino e la successiva caduta dell’impero sovietico che ha condotto, poi, alla dissoluzione dell’URSS stessa e quindi alla fine della Guerra Fredda. L’insieme e l’interazione di questi eventi storici (nazionali ed internazionali) hanno prodotto importanti effetti sugli asseti politico-istituzionali della regione asiatica. Figura 3.1.: Espansione dei sistemi democratici dal 1975 al 2007 1975 2007 Fonte: Somaini E. (2009), Geografia della democrazia, il Mulino 2 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia Se si volesse cartografare, ovvero rappresentare su una mappa, a livello globale la distribuzione territoriale dei regimi politici, il risultato evidenzierebbe la tendenza dei regimi politici tra loro simili a concentrarsi in aree geografiche contigue. La contiguità è spesso accompagnata da un’elevata densità di quegli stessi sistemi politici lungo uno stesso territorio, considerato che spesso gli stati in oggetto presentano caratteristiche strutturali (soprattutto economiche e sociali) comuni e/o processi e tradizioni storiche similari. Quanto descritto è riscontrabile, ad esempio, nell’area europea dove la condivisione di eventi storici comuni si è ripercossa anche sulla sfera politica, dando luogo ad una contiguità geografica di regimi democratici che ha inizio nella penisola iberica e si estende fino ai confini con Russia e Turchia. A onor del vero, la cosiddetta «area delle democrazie» potrebbe essere prolungata, lungo una linea ininterrotta, oltrepassando l’Atlantico, così da comprendere Stati Uniti, Canada e proseguendo fino all’area del Pacifico per includere Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Australia e Nuova Zelanda. Questo percorso, che potrebbe essere anche definito «arco delle democrazie», comprende al suo interno, il 34% dei sistemi politici presenti in Asia. Figura 3.2.: Distribuzione dei regimi democratici Fonte: Somaini E. (2009), Geografia della democrazia, il Mulino 3 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia Analogamente è possibile tracciare almeno due aree geografiche dove sono altamente concentrati regimi non democratici o autoritari: la prima va dall’Afghanistan fino al continente africano, e la seconda che si estende dalla Russia all’Asia orientale, fino alla Cina e alla Corea del Nord, includendo anche i paesi della penisola indocinese (Vietnam, Laos e Cambogia) dalla quale, tuttavia, si esclude la Mongolia, in cui vige ormai da circa quindici anni un regime democratico. Nel caso dell’area russo-asiatica uno dei principali fattori di coesione e comunione è stato l’eredità sovietica e comunista, a cui si affiancano l’importanza che la regione riveste (soprattutto Russia e Cina) sotto il profilo economico ed energetico e il sistema di alleanze formatasi tra i giganti dell’area (si pensi all’adesione alla politica del «non allineamento», alleanza Russia-Cina, Corea del Nord-Cina, etc.) (Somaini E., 2009). Figura 3.3.: Concentrazione territoriale di regimi autoritari Fonte: Somaini E. (2009), Geografia della democrazia, il Mulino I territori asiatici risultano, pertanto, interessanti non soltanto per lo straordinario sviluppo economico che alcuni paesi dell’area fanno registrare, per la loro dimensione strategica che gradualmente stanno acquistando o per il peso demografico, ma anche per le 4 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia trasformazioni dei regimi politici che si sono succeduti nella regione e le possibili evoluzioni immaginabili nel breve periodo. Nel caso, infatti, del caso dell’Asia Meridionale e Orientale è possibile riscontrare un’elevata densità e un’estesa contiguità geografica di regimi politici similari tra loro (ad esempio sistemi autoritari concentrati territorialmente), al quale si contrappongono sistemi politici totalmente opposti dal punto di vista ideologico e istituzionale, ad esempio la Repubblica semi-presidenziale della Corea del Sud confinante e opposta al sistema monopartitico socialista della Corea del Nord, oppure la Repubblica parlamentare federale indiana adiacente geograficamente ma contrapposta politicamente al Governo socialista monopartitico della Cina. Le vicinanze e le interazioni hanno dato luogo a processi di reciproca influenza che hanno condotto all’emergere, a seconda dei periodi storici, di determinati sistemi politici (es. vedasi Corea del Nord e Cina). Un esempio lampante di come la contiguità territoriale possa influenzare l’assetto politico è dato dalle relazioni tra URSS e Cina. Sebbene non sia mai possibile identificare un unico evento come l’inizio di un processo storico o di un cambiamento (essendo tutti i fattori ed eventi storici concatenati tra loro seguendo un’unica linea temporale), si può indicare l’incontro tra Sun e Yoffe come un evento fondamentale per l’evoluzione delle istituzioni politiche del Sud-est asiatico. Mosso da ambizioni nazionaliste, Sun incontrò un rappresentante sovietico con cui firmò nel 1923 il manifesto «Sun-Yoffe» in cui tra l’altro si poteva dedurre che l’obiettivo primario per la Cina non era tanto l’instaurazione del comunismo, bensì l’unificazione e l’indipendenza del paese. L’anno dopo, nel 1924 il primo Congresso del Guomindang – GMD (Partito Nazionalista Cinese), riorganizzato secondo il modello bolscevico, dichiaro le cosiddette «tre politiche», ovvero sostegno del movimento operaio e contadino, collaborazione con l’URSS e fusione con il Partito Comunista Cinese – PCC (Mazzei F., Volpi V., 2006) Pertanto, l’interesse di Mosca a portare avanti il programma leninista e quello del GMD a unificare la Cina, condussero alla fusione dei comunisti con i nazionalisti, ad una sempre più stretta alleanza con i sovietici e all’instaurazione di una dittatura monopartitica 5 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia dapprima retta dai nazionalisti e successivamente dai comunisti. Da allora l’ideologia comunista ha assunto una forma quasi religiosa riuscendosi ad affermare a macchia d’olio in diversi paesi. Ad oggi, circa il miliardo e mezzo di persone di Cina, Corea del Nord, Laos e Vietnam, ovvero un quinto della popolazione mondiale, vive in Stati in cui vigono governi retti dai partiti comunisti (The World Bank, 2014). Figura 3.4.: Sistemi di governo per Stato Fonte: Chartsbin (2014), Systems of Government by Country (http://chartsbin.com/view/6kx, consultato in data 17/02/2014) Il quadro politico dell’Asia Meridionale e Orientale risulta, quindi, estremamente variegato, passando da un paese come l’India, che da sola rappresenta poco meno della metà di tutte le popolazioni che vivono sotto un regime democratico, alla Cina in cui coesistono un governo monopartitico e autoritario e un sistema economico capitalistico (il cosiddetto «socialismo con caratteristiche cinesi» in cui sono presenti aperture economiche e chiusura politica), continuando poi per il Giappone retto da una monarchia parlamentare e per democrazie altamente instabili come in Pakistan e Bangladesh, per poi finire a teoriche repubbliche presidenziali che, di fatto, risultano essere delle dittature militari come in Myanmar. 6 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia 3.2. Il comunismo asiatico La storia della Repubblica cinese può essere divisa in tre fasi nettamente distinte (per quanto persistono forti elementi di continuità nel passaggio da un periodo all’altro): 1. trattati di pace di Versailles e avvento dei nazionalisti; 2. ascesa del comunismo di Mao Tse-Tung e consolidamento del regime; 3. il post maoismo. Alla conferenza di pace post Seconda Guerra Mondiale, i rappresentanti cinesi (presenti in quanto Stati vincitori) subirono l’umiliazione delle grandi potenze occidentali che riconobbero al Giappone il diritto di subentrare alla sconfitta Germania nel controllo economico della regione dello Shandong. L’affronto subìto provocò il risveglio del movimento nazionalista che si raccolse attorno al GMD e al suo leader Sun Yat-sen. Obiettivo comune ai rinnovati movimenti nazionalisti era la lotta all’imperialismo delle potenze occidentali e l’avversione al governo centrale inetto. La lotta interna fu guidata da Sun Yat-sen (che nel 1921 fondò il proprio governo a Canton), dal PCC formato sempre nel 1921 da un gruppo di intellettuali capeggiati da Mao Tse-Tung e anche dall’Unione Sovietica che – erigendosi come modello per i paesi in lotta contro l’imperialismo occidentale – inviò aiuti economici e militari al governo e indusse addirittura il PCC ad aderire in blocco al GMD (mantenendo però la sua struttura organizzativa). L’alleanza fra nazionalisti e comunisti non sopravvisse a lungo: con la morte di Sun nel 1925 e la successione di Chang Kai-shek, iniziarono a emergere i primi contrasti già nel 1926, quando Kai-shek, alla testa di un nuovo esercito, diede avvio alla campagna per la riunificazione del paese e scacciare il governo «legale» di Pechino (ancora riconosciuto dalle potenze occidentali). Dopo aver stroncato l’opposizione operaia e aver conquistato, nel 1928, l’allora capitale Pechino, Kai-shek tentò di riorganizzare l’assetto economico e statale secondo modelli «occidentalisti» affiancati da una forte impronta autoritaria. La grande estensione del paese e, al contempo, le profonde divisioni interne costituivano degli enormi problemi: da un lato, infatti, c’erano i comunisti che cominciarono a creare delle «basi 7 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia rosse» nelle campagne; dall’altro sopravvivevano le velleità autonomiste dei «signori della guerra» che avevano ancora mire espansionistiche ed erano, quindi, contrari al consolidamento di un unico potere statale in Cina. Da quel momento iniziò un periodo di altissima tensione interna, ai limiti della guerra civile, che si concluse solo nel 1937, quando si giunse ad un accordo, stipulato sotto gli auspici dell’URSS, fra comunisti e nazionalisti. La precaria alleanza entrò in crisi in poco tempo, allo scoppio della guerra nel Pacifico, quando Chang Kai-sheck volle riconcentrarsi sulla battaglia contro i comunisti, sebbene avesse ormai perso credito con la società cinese. Il governo nazionalista si dimostrò, infatti, incapace di fare la guerra ai Giapponesi, aveva raggiunto livelli incredibili di corruzione e sprecava le risorse nella repressione del dissenso interno. Al contrario, i comunisti non solo combatterono un’efficace guerriglia contro i Giapponesi, ma riuscirono anche a rafforzare i loro legami con le masse contadine e i ceti medi, attuando ampie riforme agrarie nei territori sotto il loro controllo. Lo scontro ultimo si ebbe quando Chang Kai-shek lanciò una campagna militare utilizzando anche gli aiuti degli alleati ricevuti durante e dopo la guerra. Dopo un iniziale vantaggio dei nazionalisti (1946-1947), i comunisti riuscirono a contrattaccare – nonostante non fossero totalmente sostenuti dall’URSS che continuava a riconoscere il governo di Kaishek – grazie al supporto della popolazione contadina che gli consentì di usare le tecniche della guerriglia. Mentre i nazionalisti perdevano terreno e il sostegno popolare e militare (molti soldati iniziarono a sbandarsi o a disertare), l’esercito di Mao si rafforzava fino a che, nel febbraio del 1949, i comunisti entrarono a Pechino. A quel punto, il governo di Chang Kai-shek dovette ritirarsi nell’isola di Taiwan (Formosa). Il 1 ottobre 1949 fu proclamata a Pechino la nascita della Repubblica popolare cinese, che fu immediatamente riconosciuta da URSS e Gran Bretagna, mentre gli Stati Uniti continuarono a considerare legittimo il governo di Taiwan. 8 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia Figura 3.5.: Evoluzione dell’avanzata comunista 1934-1950 Fonte. Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V. (2002), L’età contemporanea, Laterza Inizia quindi la seconda fase dell’ascesa del comunismo di Mao Tse-Tung e del consolidamento del regime. La nuova Repubblica retta da comunisti apportò sin da subito importanti misure di «socializzazione». Nel corso degli anni Cinquanta la Cina comunista aveva nazionalizzato i settori industriali e commerciali e si era dotata di una propria industria pesante. Contemporaneamente, si preoccupò di collettivizzare il settore agricolo: con la riforma del 1950 furono dapprima ridistribuite le terre fra i contadini – favorendo la nascita di una miriade di piccole aziende – e successivamente incoraggiò, e poi obbligò, le famiglie contadine a riunirsi in cooperative di fatto controllate dal governo centrale. Per promuovere nel minor tempo possibile il rilancio della produzione agricola, le autorità comuniste definirono una nuova strategia: il «Grande Balzo in Avanti», grazie alla quale si sarebbe raggiunta una generale razionalizzazione produttiva. L’esperimento, però, risultò essere fallimentare: la produzione agricola crollò e gli effetti prodotti furono una spaventosa carestia e la massiccia importazione di cereali. Precipitò, inoltre, anche il rapporto con l’URSS – già in aperta polemica relativamente alla coesistenza pacifica e ai rapporti con i partiti comunisti – a causa delle critiche contro la strategia del «Grande Balzo 9 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia in Avanti», il relativo ritiro dei loro tecnici e di assistenza in campo nucleare. La tensioni sfociarono, addirittura in sporadici scontri armati nel 1969 lungo i confini tra Siberia e Manciuria. Anche a livello interno il fallimento del «Grande Balzo in Avanti» comportò importanti effetti, in primis, sotto il profilo dell’unità partitica: iniziarono a guadagnare spazio le componenti più moderate e meno antisovietiche del gruppo dirigente comunista. Per contrastare i dissidenti interni Mao si avvalse del sostegno dell’esercito e delle generazioni dei più giovani, esortandoli a ribellarsi contro i dirigenti sospettati di percorrere la «via capitalistica». La mobilitazione culminò nella «Rivoluzione Culturale» tra il 1966 e il 1968: gruppi di giovani guardie rosse (in maggioranza studenti), ispiratisi all’autentico pensiero maoista, accusarono insegnanti, dirigenti politici, intellettuali e funzionari di allontanarsi dai principi più puri del comunismo. La rivoluzione terminò nell’arco di un paio di anni, il tempo necessario di eliminare dai posti di responsabilità i dirigenti contrari alla linea maoista. In questo periodo un ruolo fondamentale fu svolto da Chou En-lai, primo ministro della Repubblica popolare dal 1949, a cui si deve anche l’inizio, negli anni Settanta, di una normalizzazione anche in ambito internazionale. Distrutti ormai i rapporti con l’Unione Sovietica, la Cina grazie a Chou En-lai si aprì sorprendentemente agli Stati Uniti. A sancire quest’apertura ci fu il viaggio del Presidente Nixon a Pechino nel 1972 e l’entrata nell’ONU della Cina comunista (sostituendo la Repubblica «nazionalista» di Chan Kai-shek che fino a quel momento aveva retto il seggio al suo interno). Si chiude così definitivamente il periodo della rivoluzione culturale e inizia una fase di transizione destinata a sfociare, dopo la morte di Mao e Chou En-lai, in un radicale cambiamento che sarà impersonato da Deng Xiaoping (Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). Altro importante paese protagonista del blocco comunista è la Corea, dove si scontrarono nella maniera più drammatica le parti coinvolte nella Guerra Fredda durante il 10 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia conflitto del 1950-1953. Dopo aver gravitato per secoli nell’orbita sinocentrica prima e aver subito la dominazione giapponese poi, la Corea sperava, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, di raggiungere l’indipendenza. Al contrario, a causa dei disaccordi fra gli alleati, si riprodusse il dramma della Germania: 280 km di zona smilitarizzata sul 38° parallelo che attraversava e divideva l’intera penisola. Il Nord fu sottoposto all’influenza della Russia e della Cina, mentre il Sud sotto quella degli Stati Uniti. Sebbene questa divisione si sarebbe dovuta mantenere solo temporaneamente, ovvero fino all’organizzazione di libere elezioni, di fatto il confine lungo il 38° parallelo divenne permanente. Nella Corea del Sud vinse, con le elezioni del 1948, Syngman Rhee (che per molti anni visse negli Stati Uniti) e nella Corea del Nord ci furono delle elezioni di tipo comunista e fu nominato presidente Kim Il Sung, leader carismatico, addestrato nell’Unione Sovietica. Le cause scatenanti il conflitto furono una serie di incidenti di frontiera in un’area già altamente tesa – considerato che entrambi gli Stati rivendicavano la sovranità sul restante territorio – di fatto, però, il conflitto fu dovuto ad una serie di errori di politica americana che, ad esempio, dotarono la Corea del Sud solo di armi leggere, onde evitare che la Corea del Sud attaccasse il Nord e per il timore di ripercussioni sino-sovietiche di fronte a una politica statunitense troppo attiva. Al contrario, la parte Nord guidata militarmente dai Russi e con gli aiuti cinesi si era già pesantemente riarmata (Mazzei F., Volpi V., 2010). Lo scontro inevitabile si ebbe nel 1950 quando le forze nordcoreane invasero il Sud, confermando le mire espansionistiche del blocco comunista. In questo caso, risulta evidente come la contiguità geografica influenzi gli assetti istituzionali delle nazioni limitrofe. Gli Stati Uniti reagirono respingendo i nordcoreani e in ottobre oltrepassarono a loro volta il 38° parallelo. A questo punto, però, fu la Cina di Mao a intervenire in difesa dei comunisti, con un massiccio invio di «volontari», che in poche settimane capovolsero le sorti della guerra penetrando nella Corea del Sud. Nell’aprile del 1951 il presidente Truman accettò di aprire le trattative di pace con la Corea del Nord. I negoziati si trascinarono per altri due anni, giungendo nel 1953 al ritorno della situazione precedente (quindi il confine tra i due stati lungo il 38° parallelo) (Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). 11 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia L’impatto della Guerra di Corea fu devastante non solo per le due nazioni (si calcola un milione di morti tra la sola popolazione civile e tre milioni di rifugiati), ma anche a livello internazionale, intensificando le tensioni della Guerra Fredda. In particolare, la Guerra di Corea danneggiò gravemente le relazioni della Cina con gli Stati Uniti, la cui insofferenza al comunismo, e specialmente quello asiatico, si accentuò. Le frizioni si attenuarono e le relazioni diplomatiche si riaprirono solo agni inizi degli anni Settanta. Un’altra conseguenza fu la riconversione geopolitica della Cina, che si chiuse al commercio internazionale, dopo un secolo di apertura tra l’altro imposta dall’arrivo degli occidentali. Quello che è importante sottolineare sono le conseguenze che il popolo coreano continua ancora oggi a subire, in quanto diversamente da quanto è accaduto in Germania e in Vietnam, la penisola è ancora divisa secondo quanto deciso durante la Guerra Fredda (Mazzei F., Volpi V., 2006). Attualmente, solo la Cina sembra essere l’unico paese in grado di avere un certo controllo sulla Corea del Nord e quindi su Kim Jong-un, erede del «monarca rosso», grazie all’aiuto economico e militare che le autorità cinesi hanno garantito per lunghi anni (Mazzei F., Volpi V., 2010). Altro paese retto da un regime comunista è il Laos che dal 1899 entro a far parte dell’Indocina francese. Nel 1947, ancora sotto dominazione francese, fu proclamato il Regno del Laos adottando come sistema di governo la monarchia costituzionale. Sin da subito il governo si trovò in serie difficoltà per l’attività di opposizione portata vanti dal partito comunista di ispirazione vietnamita nato in quegli stessi anni, il Pathet Lao (Paese di Lao, guidato dal principe Souphanouvong), che aveva iniziato un’azione di resistenza, in cooperazione coi Vietminh vietnamiti. Si giunse ad una situazione in cui il Pathet Lao controllava praticamente le due province nord-orientali, rifiutando di riconoscere il governo regio. Pur essendo risultato vittorioso alle elezioni del 1956 il Partito progressista, il Pathet Lao venne ammesso nel 1957 nel governo di unione nazionale del principe Souvanna Phouma. Ai tentativi di quest’ultimo di controllare lo Stato mediante governi moderati progressisti, tenendo separata la politica loatiana da quella vietnamita, si alternarono colpi di Stato militari, reazioni armate del 12 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia Pathet Lao ed una inevitabile commistione con le vicende belliche vietnamite: si pensi alla «pista di Ho Chi Minh» tra i Vietnam del Nord e quello del Sud che attraversava il Laos e veniva usato per il rifornimento di armi. Un accordo del 1973 portò al Laos un periodo di relativa tranquillità, ma la fine della guerra del Vietnam, nel 1975, ebbe come ripercussione una ripresa della guerra civile e, nel novembre dello stesso anno, la caduta della monarchia e l’assunzione del potere da parte del Pathet Lao che diede vita ad una repubblica democratica di tipo comunista. All’inizio del 1979 il Pathet Lao fu sostituito dal Fronte Nazionale per la Costruzione del Laos che tra i suoi primi atti, conseguentemente al conflitto sino-vietnamita, decise per l’espulsione dei tecnici cinesi coinvolti in alcuni settori dell’economia, riconoscendosi quindi nell’orbita del Vietnam filosovietico (Corna Pellegrini G., 1982). Il Vietnam, infine, rappresenta l’ultimo paese dell’area dell’Asia Meridionale e Orientale in cui ancora vige un regime monopartitico comunista. Ben prima dell’occupazione giapponese in Indocina, durante la Seconda Guerra Mondiale, si era formato un movimento rivoluzionario clandestino Vietminh guidato da Ho Chi Minh e sostenuto dall’URSS. Quando, infatti, si parla di comunismo vietnamita, l’immediata associazione è con Ho Chi Minh che può essere considerato il suo fondatore e ideatore, ma anche il più fervente sostenitore della liberazione del Vietnam dalla presenza francese, giapponese e anche cinese. Infatti, prima che dalle potenze occidentali, il Vietnam doveva difendersi dalle mire espansionistiche della Cina, nonostante Mao avesse sempre inviato sostegni economici e militari: già con gli accordi di Ginevra il Vietnam accusò la Cina di aver limitato la loro lotta di liberazione arrestandoli lungo la linea del 17° parallelo, in modo da formare uno stato cuscinetto tra i territori meridionali della Cina e le possibili aggressioni militari americane (Bussolino C., 2014). Con la Conferenza di Ginevra del 1954 si decise di dividere il Vietnam in due repubbliche: quella del Nord che sarebbe stata retta dai comunisti di Ho Chi Minh e quella del Sud retta da un regime semidittatoriale del cattolico Ngo Dinh Diem (appoggiato dagli americani che intendevano sostituirsi ai francesi in termini di influenza nell’area). 13 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia All’interno del governo del Sud si creo un movimento di guerriglia – il Vietcong – guidato dai comunisti e sostenuto dallo Stato nordvietnamita, che allarmò gli Stati Uniti al punto tale da inviare nel Vietnam del Sud un proprio contingente di consiglieri militari per scongiurare la formazione di un’Indocina comunista (Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). Caduto Diem, dall’autunno del 1963 si succedettero vai governi, mentre l’offensiva premeva sempre più e così nel febbraio del 1965, senza che vi fosse stata una vera e propria dichiarazione di guerra ebbe inizio una serie di violenti bombardamenti contro il Vietnam del Nord. Il conflitto tra Nord e Sud prese così le proporzioni di una vera e propria guerra. Nel 1968 una grossa offensiva nordista, detta del «Têt» (ossia de capodanno buddista), sebbene non incisiva sul piano militare, indusse gli Americani a cercare una soluzione negoziata coi Nordvietnamiti. Figura 3.6.: Vietnam 1962-1975 Fonte. Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V. (2002), L’età contemporanea, Laterza 14 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia I colloqui di Parigi, iniziati nel maggio del 1968, furono poi condotti dal nuovo Presidente Nixon (1969) e si trasformarono in trattative ufficiali tra USA, Vietnam del Nord e del Sud e governo rivoluzionario del Vietnam del Sud. Le trattative, però, si protrassero per anni, mentre la guerra si estese anche alla Cambogia e Laos, parzialmente invasi dagli Americani per tagliare ai Nordvietnamiti le vie di rifornimento provenienti dalla Cina (Corna Pellegrini G., 1982). Solo nel gennaio del 1973, Americani e Nordcoreani firmarono a Parigi un armistizio che prevedeva il graduale ritiro delle forze statunitensi. Successivamente al loro ritiro il conflitto continuò per oltre due anni: fino al 30 aprile 1975, i Vietcong e le truppe nordvietnamite entrarono a Saigon, capitale del Sud, e riunirono il paese sotto il regime della Repubblica Democratica settentrionale (Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). 3.3. Il rapporto tra «valori asiatici» e democrazia Negli ultimi cinquant’anni alcuni paesi dell’Asia Orientale hanno assunto i caratteri di uno sviluppo economico moderno e sistemi di governo democratici. Oltre al Giappone, è possibile inserire nel novero anche la Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong, in modo atipico Macao e Singapore. Trattasi di paesi che sono divenuti ormai essenzialmente, o almeno tendenzialmente, urbani: percentuali elevatissime della loro popolazione vivono in città. Le campagne sono state progressivamente abbandonate e hanno subito trasformazioni produttive tendenti a liberale da quella forza lavoro molto numerosa e tipica dei paesi del Terzo Mondo (Corna Pellegrini G., 1982). In alcuni casi lo sviluppo economico si è accompagnato ad un progresso anche in termini democratici: la Corea del Sud, Taiwan, e Singapore formano insieme a Hong Kong (che non è una nazione indipendente bensì un territorio a statuto speciale della Cina), il nucleo originario delle cosiddette «Tigri asiatiche». Tutti e tre hanno rappresentano esempi particolarmente riusciti di come lo sviluppo economico possa essere stimolato dalle esportazioni e dai grandi complessi industriali come nel caso del Sud Corea, oppure dall’industria leggera o dalla finanza, come accaduto a Taiwan e a Singapore. 15 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia Fino alla fine degli anni Ottanta tutti e tre i paesi erano governati da regimi autoritari, sebbene tra loro diversi: repressivo e con un rilevante peso militare in Sud Corea; a Taiwan si formò una sorta di colonialismo interno da parte dei nazionalisti cinesi; più tollerante e di tipo paternalistico quello di Singapore. In tutti e tre i casi si ebbe un sapiente dosaggio tra repressività e libertà così da garantire l’ordine e la disciplina interna e la sicurezza esterna, lasciando spazio all’innovazione e allo spirito imprenditoriale. Questo sistema rappresentava la loro visione moderna di «dispotismo illuminato» (Somaini E., 2009). La combinazione tra autoritarismo politico e libertà economica ha dato luogo al cosiddetto «modello asiatico» fondato sulla flessibilità e sui bassi salari, sull’elevata produttività e sulla repressione dei conflitti sociali (Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). Infatti, i fattori fondamentali allo sviluppo di questi tre paesi sono stati una forza lavoro altamente qualificata e disciplinata, un sistema di valori (di origine buddista e confuciana) fondamentalmente conservatore ma aperto all’innovazione, a cui è stato dato il nome di «valori asiatici». Quest’ultimo privilegia l’impegno, la solidarietà, lo spirito di gruppo e di risparmio, e una decisa azione di sostegno allo sviluppo da parte dei governi. La fine Guerra Fredda ha prodotto importanti evoluzioni politiche nell’area: mentre Cora del Sud e Taiwan hanno adottato un sistema democratico, rispettivamente nel 1988 e nel 1996, e sono entrati a far parte al cosiddetto «arco delle democrazie», Singapore ha mantenuto il suo originario carattere di autoritarismo paternalista. La conservazione a Singapore di un autoritarismo illuminato ispirato dai «valori asiatici» risiede nella convinzione dei leader politici locali che esso rappresenti un sistema di guida politica superiore rispetto alla combinazione «occidentale» di individualismo e democrazia. Il principale sostenitore di questa tesi è stato Lee Kwan Yew, Primo Ministro di Singapore dall’indipendenza (avvenuta nel 1959) al 1990 e tuttora «mentore del governo», attualmente presieduto del figlio Lee Hsien Loong, e capo indiscusso del partito dominante PAP. 16 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia Con il passaggio della Corea del Sud e di Taiwan alla democrazia, Singapore è l’unico paese rimasto fedele alla sua ricetta e rappresenta ormai più un’anomalia che un modello paradigmatico. Una forma di autoritarismo illuminato e paternalistico che è stato capace di coniugare le esigenze di un centro finanziario internazionale, situato in un paese piccolo, con quelle di uno Stato militarmente debole e con una popolazione locale multietnica. Per quanto riguarda il rapporto tra «valori asiatici» e democrazia si può dire che i casi di Giappone, della Corea del Sud e di Taiwan suggeriscono la possibilità di un adattamento reciproco tra i due, e cioè una certa «occidentalizzazione» dei primi e «asiatizzazione» della seconda (Somaini E., 2009). La trasformazione in stato democratico del Giappone risale a molti anni prima rispetto alle giovani democrazie della Corea del Sud e di Taiwan. Nello specifico, il passaggio, seppur graduale, avvenne sul finire della Seconda Guerra Mondiale, quando l’imperatore giapponese accettò la richiesta di resa e il generale MacArthur, comandante delle forze alleate, procedette all’occupazione del paese. Quel ultimo volle, contro il parere di Washington, la conservazione della monarchia come fattore superstite di stabilità nel paese sconvolto dalla disfatta e agì sempre tramite il governo giapponese, così da evitare ogni eccessiva tensione. La nuova costituzione del 1946 stabiliva che i membri del governo non potessero essere militari e si ispirava ai principi di una democrazia occidentale. Le persone compromesse coi precedenti regimi militari furono allontanate da tutti i posti di responsabilità e una radicale riforma agraria fu adottata, che distribuì terre a migliaia di coltivatori che divennero proprietari della propria terra. L’effetto prodotto fu di rendere le campagne tranquille, anche politicamente, avendo dato la sicurezza economica ad una classe sino ad allora poverissima e sottomessa. Il sistema scolastico fu riformato secondo il modello americano e maggiore autonomia fu riconosciuta alla donna. Questi cambiamenti, se da un lato portarono ad un indebolimento di alcuni principi gerarchici tradizionali – e quindi ad una confusione di valori – dall’altro introdusse maggiore scioltezza nei rapporti sociali e nuova apertura mentale verso i mutamenti che la ripresa economica avrebbe portato. 17 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia Dal 1952 si ebbe la formidabile ripresa economica giapponese, soprattutto con uno sviluppo industriale imprevisto e senza precedenti. Fedele al principio del premier Yoshida di privilegiare l’economia nei confronti della politica, il Giappone da allora concentrò tutte le sue energie nel miglioramento e nello sviluppo delle proprie tecniche di produzione e nella conquista dei mercati esteri (Corna Pellegrini G., 1982). Un'altra importante area dell’Asia Meridionale sotto il profilo dei regimi democratici è sicuramente il subcontinente indiano, regione assai variegata sotto il profilo etnico, religioso e non solo. Basti pensare che vi sono paesi come: • l’India, di religione prevalentemente induista ma che ospita diverse minoranze, tra cui emerge quella mussulmana (rendendolo il terzo paese mussulmano del mondo). In questa nazione vive poco meno della popolazione mondiale retta da un regime democratico; • il Pakistan e il Bangladesh, il primo quasi esclusivamente mussulmano mentre il secondo lo è per la maggior parte della sua popolazione, che hanno alternato ripetutamente fasi di semidemocrazia e di autocrazia; • lo Sri Lanka, prevalentemente buddhista ma con una minoranza induista, ha mantenuto alcuni tratti democratici pur nel quadro di un conflitto che oppone il governo centrale al movimento separatista dei Tamil. L’India rappresenta sicuramente il paese di particolare importanza, alcuni autori parlano addirittura di «anomalia indiana», dovuta al fatto che, pur in presenza di condizioni che normalmente potrebbero ostacolare se non impedire il nascere di una democrazia, è uno dei pochi paesi ad essere nato come democrazia ed essere riuscito a mantenerlo nel corso di tutta la sua storia di nazione indipendente. Nei sessanta anni trascorsi dalla sua nascita, la democrazia indiana ha dovuto affrontare una serie di sfide che avrebbero minacciato anche le democrazie più solide: basso livello di sviluppo economico, vastità del territorio, frammentazione etnica e culturale, tensioni religiose, presenza di stratificazione sociale (le caste) rigida e potenzialmente in conflitto 18 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia con al democrazia, essere confinante con paesi quali Cina e Pakistan con i quali è stata ripetutamente coinvolta in conflitti. Uno dei fattori principali che ha permesso l’instaurazione sin da subito di un regime democratico è stato, paradossalmente il regime coloniale britannico: al momento dell’indipendenza l’India ereditò un sistema di governo che presentava importanti vantaggi. Questi erano: • un sistema amministrativo razionale e quadri burocratici qualificati ed efficienti, capaci di assolvere alle funzioni del nuovo stato; • un modello di democrazia parlamentare con sistema maggioritario; • un sistema di governo federale, necessario considerate la vastità del territorio e la varietà geografica, etnica e culturale delle regioni che formano il paese; • una magistratura indipendente e competente; • una pratica precedente di pluralismo politico, di elezioni competitive, soprattutto a livello locale e nelle sfere (limitate) di autogoverno riconosciute dalla potenza coloniale; • un esercito rispettoso delle prerogative del potere politico. L’eredità coloniale sarebbe, tuttavia, servita a ben poco se non ci fosse stata una rielaborazione dell’élite indiana che da un lato era erede di una ricca e profonda tradizione culturale e dall’altro aveva assimilato il meglio della cultura politica e ammnistrativa inglese (Somaini E., 2009). Il ruolo di guida politica dell’India fu assunto nel 1947 (anno dell’indipedenza) da Jawaharlal Nehru, il quale si trovò di fronte un paese in miseria, afflitto da una crisi strutturale che lo portarono ad adottare un modello di socialismo democratico, basato su un’economia pianificata, al fine di combattere la povertà, l’ignoranza e la diseguaglianza che affliggevano i suoi territori. Nel gennaio del 1950 entrò in vigore la nuova costituzione che istituiva l’Unione Federale Indiana presieduta da Rajendra Prasad, fondata sull’uguaglianza dei cittadini e su un sistema di governo parlamentare più o meno simile a quello britannico (Corna Pellegrini G., 1982). 19 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia I principi ispiratori della nuova costituzione indiana furono il frutto, oltre che della tradizione indiana e dell’eredità britannica, anche della traumatica esperienza di separazione dal Pakistan (staccatosi al momento dell’indipendenza dalla Gran Bretagna) che provocò un milione di morti e costrinse molti milioni di persone a trasferirsi perdendo praticamente tutti i loro averi. Il rischio costante che si ripetessero simili avvenimenti, spense i padri fondatori dell’India, in primis Gandhi e Nehru, a vedere nella democrazia e nella laicità l’unica alternativa possibile alla guerra civile. Si potrebbe affermare che l’India deve a questa intuizione la sua stessa esistenza, di cui il Partito del Congresso ne è stato erede e incarnazione. Grazie al suo operato quest’intuizione è divenuta patrimonio comune di tutte le maggiori forze politiche indiane, come dimostrato dal caso del Bharatiya Janata Party (BJP) – nato inizialmente come espressione del nazionalismo indù e autore negli anni Novanta di sanguinosi scontri con la minoranza musulmana – che una volta salito al potere, si rimodulò rapidamente e abbracciò la tradizione democratica e di tolleranza multiculturalista. Ulteriore peculiarità della democrazia indiana è data dal fatto che il paese non confina con altre democrazie, né tanto meno è coinvolta in forme di integrazione sovranazionale con altre democrazie – per cui è da escludersi il fattore della contiguità territoriale – ciò nonostante rientra pienamente nell’«arco delle democrazie». Sicuramente l’India deve il suo inserimento in questa categoria per le caratteristiche che il suo sistema politico ha, frutto appunto di eredità culturali e coloniali e di necessità di carattere etnico-politico, ma anche per il suo forte ancoraggio con democrazie straniere. Quest’ultimo elemento è merito del ruolo svolto da un lato dalla numerosa e influente comunità indiana all’estero (presente soprattutto negli Stati Uniti) e dall’altro dall’emergere nel paese di élite culturali, professionali e imprenditoriali che sono ormai cosmopolite e hanno interiorizzato i valori della democrazia (Somaini E., 2009). 20 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 3° - Democrazia e totalitarismi in Asia RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Bussolino C., (2014), Un “comunismo” asiatico, (http://www.claudiobussolino.com/it/client/site/m6199-un-comunismo-nazionaleasiatico.html, consultato in data 19/02/2014) Chartsbin (2014), Systems of Government by Country (http://chartsbin.com/view/6kx, consultato in data 17/02/2014) Corna Pellegrini G. (1982), L’Asia Meridionale e Orientale, UTET. Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V. (2002), L’età contemporanea, Laterza. Mazzei F., Volpi V. (2010), La rivincita della mano visibile. Il modello economico asiatico e l’Occidente, Università Bocconi Editore. Mazzei F., Volpi V. (2006), Asia al centro, Università Bocconi Editore. Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte. Somaini E. (2009), Geografia della democrazia, il Mulino. 21 Corso di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali INSEGNAMENTO DI STORIA E ISTITUZIONI DELL’ASIA Modulo 4° - Il secolo asiatico A cura di Antonietta Pagano Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico SOMMARIO MODULO 4° Il secolo asiatico 4.1. Il miracolo asiatico 4.2. Asia tra regionalismo e globalizzazione 4.3. Nuovi rapporti internazionali 1 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico 4.1. Il miracolo asiatico I paesi dell’Asia Meridionale e Orientale stanno attraversando un’importante fase storica, caratterizzata da elevati tassi di crescita tali da aver fatto uscire alcuni Stati dalla categoria di paesi del Terzo Mondo. Il progresso economico registrato negli ultimi decenni risulta essere ancora più notevole se si considera che nel periodo 1750-1990 i loro sistemi economici subirono un forte indebolimento, in buona parte a causa del susseguirsi di eventi di portata mondiale quali il colonialismo, le Guerre Mondiali e l’adozione di politiche autarchiche, quale conseguenza dell’ondata indipendentista. Gli effetti prodotti si possono quantificare in una drastica contrazione della porzioni del sistema economico mondiale detenuta dai paesi dell’Asia Meridionale e Orientale, ridottasi nel periodo 1750-1990 da circa il 60% a poco più del 20%. La rinascita economica della regione ha avuto diverse fasi e interessato Stati differenti. Iniziato negli anni Cinquanta solamente in Giappone, il progresso economico si è intensificato in molti paesi della regione soprattutto negli ultimi due decenni, facendo registrare ritmi di crescita elevati, tanto che ad oggi l’area rappresenta il 27% della produzione mondiale. Se gli attuali tassi di crescita registrati dovessero essere mantenuti, è molto probabile che entro il 2050 la regione rappresenterà oltre la metà del Prodotto Interno Lordo (PIL) globale e il reddito pro-capite dei suoi abitanti potrebbe aumentare fino a sei volte, raggiungendo la media mondiale. Se tali previsioni dovessero effettivamente realizzarsi, l’Asia Orientale e Meridionale potrebbe riguadagnare la posizione economica dominante che già deteneva circa 250 anni fa, ovvero prima della Rivoluzione Industriale (Asian Development Bank, 2011). Il crescente ruolo che i paesi della regione stanno guadagnando a livello internazionale tenderà ad essere sempre più prevalente, tanto che il XXI secolo è stato identificato con la locuzione, ormai diffusa a livello mondiale, di «Secolo Asiatico». 2 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico Figura 4.1.: Evoluzione della quota di produzione mondiale dell’Asia Meridionale e Orientale (1700-2010) Fonte: Asian Development Bank (2011), Asia 2050: Realizing the Asian Century, Asian Development Bank. In base alle evoluzioni e alle performance riscontrate negli ultimi 25 anni, è possibile suddividere i paesi dell’Asia Meridionale e Orientale in tre gruppi. Il primo gruppo, composto da Brunei, Hong Kong, Giappone, Corea del Sud, Singapore e Taiwan, si è distinto per aver avviato il processo di modernizzazione e sviluppo economico già dal 1950, diventando economie sviluppate ad alto reddito in una sola generazione. In questo caso, è però importante distinguere il Giappone apripista del «miracolo asiatico» e la cui evoluzione economica si è basata fortemente sulla crescita del comparto industriale sempre più innovativa, dal Sultanato del Brueni il cui successo è dovuto essenzialmente dalla produzione di petrolio e di gas naturali, risorse che permettono alla popolazione dello Stato di avere il PIL pro capite tra i più elevati del continente. Le altre sette nazioni che formano il secondo gruppo sono i due grandi giganti dell’area, India e Cina, a cui si aggiungono Cambogia, Indonesia, Malaysia, Thailandia e Vietnam. Tutte hanno in comune l’inizio del processo di crescita economica, avvenuto intorno al 1990, e l’essere riuscite a diventare economie a reddito medio. Infine, vi sono i restanti paesi dell’area che possono essere raccolte nel terzo gruppo avendo ottenuto negli ultimi decenni un modesto livello di progresso. 3 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico Figura 4.2.: Suddivisione in base a fase storica e livello di progresso Economie ad alto reddito (anni ’50) • Giappone • Brunei • Hong Kong • Corea del Sud • Singapore • Taiwan Economie a reddito medio (anni ’90) Economie con basso livello di progresso • Restanti paesi dell'Asia Meridionale e Orientale • India • Cina • Cambogia • Indonesia • Malesia • Tailandia • Vietnam Fonte: Asian Development Bank (2011), Asia 2050: Realizing the Asian Century, Asian Development Bank. Le principali teorie economiche atte a spiegare lo straordinario sviluppo economico di questi paesi sono pressappoco due: il primo neoclassico, il secondo culturalistico. Il primo enfatizza l’importanza del mercato, ovvero la cosiddetta «mano invisibile», capace di far adottare agli attori economici le scelte più razionali come, ad esempio, l’apertura al commercio estero, supporto del settore privato, non distorsione dei prezzi, etc. Il secondo, invece, si focalizza sul ruolo dello Stato e sulle peculiarità culturali dei territori in analisi. Nel secondo approccio, quindi, molto importanza viene riconosciuta allo Stato confuciano, distintosi per essere altamente interventista, unico a conoscere l’interesse comune del paese e estremamente catalizzatore. Ispirato dall’analisi del caso giapponese, questo secondo approccio è l’espressione della teoria dello stato sviluppista, secondo cui lo stato confuciano e il complesso di effetti 4 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico generati dall’interazione dei fattori culturali sul tessuto socio-economico risultano essenziali nel processo di sviluppo e progresso di uno Stato (Mazzei F., Volpi V., 2006). Apripista del «miracolo economico asiatico» è stato, quindi, il Giappone, che molto deve al mondo occidentale, sia per l’iniziale sviluppo industriale registrato all’inizio del XX secolo - influenzato dai modelli europei – sia per la seconda fase del decollo economico avutasi nella seconda metà del XX secolo, profondamente plasmata sui modelli americani. In entrambi i casi, il Giappone è riuscito ad equilibrare sapientemente e in maniera equilibrata i nuovi ideali di produzione, benessere e potenza economica prettamente occidentali con le peculiarità della cultura nipponica. A favorire il successo dell’industrializzazione giapponese fu soprattutto l’impegno imprenditoriale sviluppato nelle nuove attività economiche della classe dirigente agricola, commerciale e perfino militare nel Giappone pre-industriale. Diversamente da quanto avvenne negli altri paesi della regione, di fronte alla penetrazione economica e politica dall’esterno le autorità giapponesi accettarono sin da subito la collaborazione tecnica degli Occidentali – capendo in anticipo il prezioso apporto che avrebbero potuto dare al loro decollo industriale – e in alcuni casi si spinsero persino alla copia delle loro iniziali invenzioni. Questa cooperazione tecnica, però, fu sempre fortemente controllata e ai collaboratori stranieri fu inizialmente riconosciuto un trattamento di rigida subordinazione e, successivamente, furono esclusi man mano che l’assimilazione delle nuove tecniche raggiungeva livelli più elevati e creativi, tanto da rendere la produzione Giapponese altamente competitiva rispetto ai competitor stranieri. L’efficienza organizzativa, l’elevata qualità delle produzioni e i costi contenuti (soprattutto dei salari) resero il modello giapponese il protagonista indiscusso dello sviluppo economico dell’Asia Orientale. Un’importanza che acquistò ancora più rilevanza quando si considera che il sistema di produzione e i valori del progresso nipponico furono diffusi, attraverso il commercio, il turismo e altre interazioni, ai territori circostanti e, in particolar modo, a Seoul, Taipei, Hong Kong e Singapore. 5 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico Segno indiretto della crescente presenza giapponese, soprattutto nel Sud-est asiatico, fu lo sviluppo del turismo nipponico che oltre a far aumentare la presenza di operatori tecnici commerciali giapponesi nelle mete turistiche, favorì anche la diffusione di un modello di comportamento sensibilmente diverso da quello trasmessoo precedentemente da visitatori ed operatori economici americani ed europei. Si trattava di un modello certamente moderno ma, al tempo stesso, genuinamente «orientale» ed asiatico (Corna Pellegrini G., 1982). Uno dei principali fattori di forza dei paesi asiatici è, infatti, la capacità di coniugare i principi occidentali con i valori e le tradizioni asiatiche. Secondo alcuni studiosi, economisti, politologi e orientalisti, alla base del progresso dell’Asia Orientale ci sarebbero, appunto, i cosiddetti Asian values. Formulata inizialmente da Lee Kuan Yew, l'ex primo ministro di Singapore, questa teoria sostiene che l'inclinazione culturale al rispetto dell'autorità e il duro lavoro ha consentito ai paesi dell'Asia Orientale di adottare politiche economiche liberali senza democrazia, che sul lungo periodo hanno consentito di raggiungere un elevato progresso economico. Singapore oltre ad essere la «patria» della teoria basata sui valori asiatici, rappresenta anche uno dei casi emblematici dello sviluppo delle cosiddette «tigri asiatiche». Ottenuta l’indipendenza dalla Gran Bretagna, Singapore si unisce alla Federazione della Malesia nel 1963, ma ne uscì due anni dopo, nel 1965. Nel primo anno dalla sua separazione dalla Federazione, Singapore divenne membro sia delle Nazioni Unite che del Commonwealth, e iniziò a stabilire relazioni diplomatiche con gli altri paesi, rafforzando così i riconoscimenti internazionali della città-stato. Due anni dopo, nel 1967, Singapore fondò – insieme a Indonesia, Malesia, Filippine e Tailandia – l’Association of Southeast Asian Nations (ASEAN) e istituì il servizio militare nazionale obbligatorio. Tutti queste azioni furono programmate probabilmente per rafforzare la legittimità di Singapore e consolidarne la presenza internazionale attraverso il riconoscimento esterno. A livello nazionale, invece, furono adottate riforme drastiche – come ad esempio la regolamentazione del mercato del lavoro, il programma di pianificazione familiare e l’obbligo di risparmio utilizzando il Fondo di Previdenza Centrale – che contribuirono, 6 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico insieme alla generale ripresa dell'economia mondiale degli anni Sessanta, alla crescita economica di Singapore, che dall’anno della sua indipendenza ha fatto registrare in media tassi di crescita pari al 9% (Elgin M., 2010). Figura 4.3.: Crescita economica di Singapore rispetto agli altri Stati limitrofi Fonte: Elgin M. (2010), «Asian values», in Standford Journal of East Asian Affairs, Vol 10, Num. 2, pp. 135-145) (http://www.stanford.edu/group/sjeaa/journal102/10-2_12%20SeAElgin.pdf, consultato in data 01/03/2014). Singapore ha, quindi, registrato tassi di crescita ben più alti rispetto, ad esempio, all’Indonesia, Tailandia o Vietnam, i cui progressi economici hanno avuto inizio un secondo momento. Gli altri paesi che confinano con Singapore, infatti, rientrano il quel gruppo di Stati la cui crescita economica è iniziata intorno agli anni Novanta ed è ancora in itinere. Ad ogni modo, se si volesse trovare un ulteriore elemento comune ai paesi dell’Asia Meridionale e Orientale (oltre all’alta densità della popolazione, alla relativa scarsità delle risorse e all’adozione dei cosiddetti «valori asiatici») questo è sicuramente un sistema economico fortemente orientato alle esportazioni, decisione politica che si è poi rivelata vincente. In effetti, un forte orientamento all’esportazioni rappresenta uno dei tratti 7 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico essenziali del modello di sviluppo della regione, che poi si è estesa non soltanto all’export di beni ma anche di servizi. Uno dei principali paesi esportatore di servizi è sicuramente l’India, grande gigante della regione insieme alla Cina, ed entrambi appartenenti al secondo gruppo di Stati che hanno registrato i primi segnali di forte crescita economica negli anni Novanta. Uno degli mutamente più interessanti da rilevare riguarda per l’appunto questi due enormi Stati, acerrimi nemici durante l’intera durata della Guerra Fredda, oggi guidano insieme il G21, il gruppo di 21 paesi costituito all’interno dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) che si contrappone alle economie avanzate (Mazzei F., Volpi V., 2006). La loro crescita da record, rispettivamente del 9,3% e del 6,9% nel 2011 (OECD, 2013), le ha rese non soltanto protagoniste indiscusse del sistema economico regionale e mondiale, ma ha valso loro anche il soprannome di «nuove locomotive dell’economia mondiale» (Mazzei F., Volpi V., 2006). Analogamente a quanto già sperimentato dagli altri paesi sviluppatisi durante gli anni Cinquanta e Sessanta, anche la Cina in un secondo momento da un lato lasciò ampio spazio all’iniziativa privata, dall’altro accentrò tutte le politiche nelle saldi mani dello Stato centrale. Grazie a questa miscela, la Cina è riuscita a mantenere ritmi di crescita annua elevatissimi (dapprima intorno al 10% e più di recente intorno al 9%) e a inserirsi in un mercato internazionale da cui era rimasta isolata per decenni, grazie all’ingresso nel 1991 nell’OMC (Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). Inoltre, dal 1978 – anno della salita al poter di Deng Xiaoping – ad oggi la produzione industriale cinese è passata dalla fabbricazione di prodotti a bassa tecnologia (principalmente abbigliamento) alla realizzazione di beni ad alto contenuto tecnologico (cellulari, macchine fotografiche, computer, etc.), destinati principalmente per l’esportazione. Tra il 1978 e il 2003 l’export della Cina ha registrato un incremento dall’8,8 a 438 miliardi, di cui il 40% era destinato agli Stati Uniti (Roberts J. A. G., 2013). Mentre la Cina si è trasformata negli ultimi anni nel centro mondiale dell’industria manifatturiera, l’India, per quanto meno specializzato, è sicuramente più orientato verso il 8 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico settore terziario. Difatti, in soli trent’anni (dal 1951 al 1980) il settore dei servizi è cresciuto in media del 4,5%, negli anni Ottanta si è registrata un’accelerazione pari al 6,6% annuo, negli anni Novanta l’incremento è stato pari al 7,5%, per poi stabilizzarsi su un tasso di crescita dell’8-9% annuo, contribuendo per oltre il 60% alla variazione del PIL indiano (Boilot J. J., 2006). Nonostante i successi registrati nell’area, molti paesi sono stati colpiti negli anni Novanta da una grave crisi finanziaria, provocando crolli borsistici e pesanti svalutazioni monetarie. Tutti i principali protagonisti del boom economico sono stati colpiti dalla crisi, soprattutto i più vulnerabili, come Indonesia e Filippine. La crisi, originata da un eccesso di produzione e da un’incontrollata euforia speculativa, fu risanata dall’intervento delle autorità monetarie internazionali. Ciò nonostante, sebbene l’evento e i suoi effetti furono localizzati geograficamente, si riflesse anche sui paesi occidentali, preoccupati per il destino dei paesi orientali a causa dei vincoli commerciali e finanziari instaurati con alcuni di essi. Queste preoccupazioni occidentali se da un lato danno un’idea della forte integrazione dell’economia mondiale, dall’altro mostrano il crescente ruolo che l’Asia Meridionale e Orientale sta esercitando sulla scena internazionale (Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). 4.2. Asia tra regionalizzazione e globalizzazione La crescita economia dell’Asia Meridionale e Orientale negli ultimi cinquant’anni è stata in alcuni casi così dirompete da aver fatto emergere sulla scena internazionale un «terzo polo» in competizione con quello nordamericano e quello europeo. Nonostante l’eterogeneità dei paesi che compongono la regione, è possibile affermare che si sia formato una nuova triade, un triangolo economico mondiale evoluto, ai cui vertici, oltre USA ed Europa, ritroviamo la regione dell’Asia Meridionale e Orientale. Il principale indicatore atto a testimoniare il pur complesso e talora contraddittorio decollo di questa parte del mondo è la crescita del PIL, che dal 1971 agli inizi degli anni Novanta è cresciuto di ben oltre la media mondiale, pari mediamente al 7,7% annuo per le 9 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico Quattro tigri asiatiche, i paesi fondatori dell’ASEAN e la Cina (a fronte di un tasso di crescita medio del 2,9% per il resto del mondo) (Aa. VV., 2004). Figura 4.4.: Tasso di crescita medio del PIL 1980-2001 Fonte: Aa. Vv., Atlante geopolitico mondiale. Regioni Società Economie Conflitti, Touring Club Italiano I fattori che hanno contribuito in maniera sostanziale al decollo economico asiatico sono stati sicuramente le esportazioni e gli investimenti diretti esteri (IDE), a loro volta supportati dalla crescente globalizzazione dei sistemi economici mondiali. L’adozione di regimi economici fortemente orientati alle esportazioni ha accresciuto di molto il livello di apertura dei mercati asiatici, generando crescenti volumi di scambi commerciali (Aa. VV., 2004). Dalla metà degli anni Ottanta gli scambi commerciali transpacifici, ovvero quelli che intercorrono tra la parte del globo asiatica e quella americana, hanno superato in termini di volume e valore gli scambi transatlantici (ovvero il commercio che avviene attraverso l’Oceano Atlantico) che, invece, sono stati predominanti per quattro secoli. Questo mutamento commerciale ha, di fatto, spostato il centro di gravità economico del pianeta dal 10 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico «mondo antico» europeo all’«altro mondo» asiatico, specialmente grazie allo straordinario progresso prima del Giappone e, successivamente, delle Quattro Tigri Asiatiche, Cina e India (Mazzei F., Volpi V., 2006). Ma la globalizzazione non ha significato solamente l’apertura verso il mercato globale, ma anche l’assorbimento di sempre più aggiornate tecnologie dell’informazione, della comunicazione e del trasporto che hanno favorito una crescita più rapida. L’acquisizione di questo capitale di conoscenze ha fatto aumentare la divisione internazionale del lavoro, in un mercato in cui competenze e conoscenze rappresentano il reale vantaggio competitivo. In tal senso, molti dei governi asiatici hanno compiuto ingenti investimenti per aumentare il livello di scolarizzazione della popolazione, e quindi per rendere maggiormente competitivo il proprio capitale umano (si pensi, ad esempio, a Singapore, Taiwan, Hong Kong, Cina e India). La straordinaria crescita di molti paesi dell’Asia Meridionale e Orientale non ha però interessato tutti gli Stati della regione, che, a causa di instabilità politiche e sociale e/o per la mancanza di capitali, stentano a decollare, come nel caso del Laos o del Myanmar. Dall’analisi della distribuzione del PIL pro-capite è possibile osservare come le differenze in alcuni casi siano veramente sostanziali: mentre in alcuni paesi della regione la maggior parte della popolazione è riuscita ad uscire da uno stato di indigenza, in altri Stati molte sono ancora le persone che vivono sotto la soglia di povertà, così come quantificata dalle Nazioni Unite (secondo cui le persone che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno vivono in un’estrema condizione di povertà) (Aa. VV, 2004). Secondo i dati della World Bank, in Bangladesh più del 40% della popolazione vive ancora in uno stato di indigenza, in India più del 30% della popolazione vive con 1,25 dollari al giorno, in Indonesia le persone che vivono al di sotto della soglia della povertà sono il 16% della popolazione totale(World Bank, 2014). 11 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico Figura 4.5.: Prodotto Interno Lordo Pro Capite 2009 Fonte: Chartsbin (2014), GDP Per Capita (Current US$) in 2009 (http://chartsbin.com/view/19931, consultato in data 17/02/2014) Le profonde trasformazioni politiche ed economiche che stavano attraversando la regione portarono alla nascita di diverse associazioni regionale, tra cui le principali l’ASEAN (Association of SouthEast Asian Nations), L’APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation) e la SAARC (South Asia Association of Regional Cooperation). L’ASEAN nacque nel 1967, quando Indonesia, Malaysia, Thailandia, Filippine e Singapore, mosse da un desiderio di stabilizzazione regionale, fondarono l’associazione con l’obiettivo ufficiale di mantenere la sicurezza e il sistema delle relazioni internazionali nell’area, ma ufficiosamente lo scopo era quello di arginare l’espansione del comunismo in Indocina. Con la fine della Guerra Fredda l’ASEAN, mantenne la propria volontà di migliorare l’integrazione commerciale fra i paesi membri e, al contempo, mutò i propri obiettivi (informali): limitare la dominazione (economica e culturale) delle potenze straniere e isolare la regione dagli effetti del post-Guerra Fredda. In altre parole, dopo un’iniziale difesa dalla minaccia comunista, l’associazione si concentrò sempre più su una reale e indipendente crescita economica, attraverso una maggiore cooperazione economica tra i 12 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico paesi membri, tanto da allargarsi fino ad includere Brunei, Vietnam, Myanmar, Laos e Cambogia. Una fase importante nell’evoluzione dell’ASEAN si ebbe con il ritiro delle forze armate statunitensi dal Vietnam nel 1975. Successivamente a questa data, fu eliminata qualsiasi velleità militare tra gli scopi dell’associazione, sebbene l’ASEAN tentò sempre di svolgere un ruolo di mediatore diplomatico, soprattutto quando le parti coinvolte erano suoi stessi Stati membri, come avvenne nel 1979 con l’invasione e occupazione vietnamita della Cambogia. Diversamente dal processo di integrazione economica della Comunità Economica Europea (CEE), l’ASEAN creò un nuovo tipo di regionalismo, anche conosciuto come l’«ASEAN way», fondato sull’informalità tra le parti, l’eliminazione di tutti i procedimenti di legalizzazione e di accentramento burocratico ritenuti eccessi e il consenso di tutti i membri. Pertanto, consenso, volontarismo e non interferenza negli affari interni dei paesi membri hanno rappresentato i segni distintivi dell’ASEAN. All’interno dell’ASEAN, difatti, ogni decisione è presa all’unanimità e, coerentemente con gli scopi dell’associazione, perdura il principio di non interferenza nella politica interna di ciascun Stato membro (diversamente di quanto si verifica, ad esempio, nell’Unione Europea). Queste caratteristiche hanno permesso di mantenere intatta e forte l’associazione durante il periodo di forte crescita, ma rischia di comprometterne l’efficacia qualora dovesse verificarsi un periodo di affanno economico. Uno dei principali meriti dell’associazione, oltre alla migliorata integrazione economico-commerciale tra le parti, è stata quella di aver fornito un senso di identità e uno scopo comune agli Stati del Sud-est asiatico. Ha quindi supportato la nascita di un’identità regionale, che si è poi diffusa nel Nord-est asiatico e più in generale nell’Asia orientale, facendo diventare questa parte del continente asiatico un’area istituzionalizzata e facilmente riconoscibile nel contesto regionale e internazionale (Aa. Vv., 2004). E in tal senso si spiega anche il progetto dell’ASEAN, nel senso di una maggiore integrazione economico-commerciale e una crescente identità regionale, che mira alla 13 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico realizzazione di un’area di libero scambio l’AFTA (ASEAN Free Trade Area). Stabilita nel 1992, l’AFTA ha raggiunto nel 2010 l’eliminazione del 99% delle barriere doganali tra i sei Stati fondatori (ASEAN-6), mentre l’obiettivo per il 2015 è la libera e completa circolazione di beni tra tutti i paesi membri dell’associazione. Questa distinzione tra paesi fondatori (ASEAN-6) e i restati membri si basa sulla necessità di tener conto di alcune profonde differenze tra gli Stati dell’ASEAN: al suo interno, infatti, vi sono paesi tra loro molto disomogenei in termini di dimensione, ricchezza e sviluppo dell’economia e del sistema d’istruzione. Altro importante forum di cooperazione, risultato dall’evoluzione e dalla forte crescita del regionalismo nell’area, è l’ASEAN+3, nato nel 1997 e composto dai paesi dell’ASEAN, Cina, Corea del Sud e Giappone allo scopo di rafforzare la cooperazione tra i suoi membri. In tal senso, sono stati firmati diversi accordi (anche con l’India) tra il 2003 e il 2009, che fissano le condizioni e la tempistica entro i quali dovrebbero costituirsi delle aree di scambio privilegiate, in alcuni casi addirittura di libero scambio, tra l’area ASEAN e il singolo Stato. In altre parole, trattasi di accordi per una più facile circolazione di beni, servizi e investimenti bidirezionali tra i paesi dell’ASEAN e la Cina, il Giappone, la Corea del Sud e l’India (ASEAN Secretariat, 2013). Un’ulteriore organizzazione regionale rilevante sia per il ruolo svolto nell’area che per la varietà dei suoi membri è l’APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation), che riunisce i paesi che si affacciano sull’Oceano Pacifico. Nata nel 1989, sula scia degli ingenti flussi di investimenti che legavano l’America Settentrionale all’Asia, l’APEC era inizialmente un semplice forum di consultazione che avrebbe dovuto essere di supporto al ruolo centrale che avrebbe svolto l’Australia. Contrariamente da quanto previsto in origine, gli Stati Uniti – che sin da subito compresero il grande potenziale dell’organizzazione – promossero, grazie all’allora Presidente Clinton, la rapida trasformazione dell’APEC da forum consultivo ad associazione regionale con una struttura istituzionale. La svolta si ebbe nel 1993, quando i capi degli Stati membri collaborarono per la conclusione delle negoziazioni dell’Uruguay Round, il cui risultato fu l’istituzione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Attualmente gli Stati membri dell’APEC sono ventuno: Australia, Brunei, Canada, 14 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico Cile, Cina, Hong Kong, Indonesia, Giappone, Corea del Sud, Malaysia, Messico, Nuova Zelanda, Papua Nuova Guinea, Perù, Filippine, Russia, Singapore, Taiwan, Thailandia, Stati Uniti e Vietnam. Il principio ispiratore dell’APEC è l’open regionalism: ciò significa regionalismo aperto, dove – diversamente da quanto accade nelle altre associazioni regionali – gli accordi commerciali determinati dall’associazione non sono rivolti esclusivamente ai soli Stati membri, ma possono essere applicati anche a paesi terzi. Questa nuova forma di associazionismo su scala regionale riflette il tentativo di coniugare l’integrazione regionale con la globalizzazione. Tuttavia, il rigoroso rispetto del principio di non interferenza negli affari interni degli Stati membri, ha provocato un lento sviluppo dell’APEC e dell’integrazione economica della regione, che è ancora largamente dipendente dalle politiche attuate da alcuni paesi come Cina, Giappone e Stati Uniti. Rimane comunque forte il desiderio per la creazione di organizzazione regionali volte a coordinare le politiche commerciali o, nel caso di shock esterni, per predisporre le necessarie politiche economiche e gli aiuti essenziali. In tal senso si inserisce anche la creazione dell’ASEM (Asia Europe Meeting), di cui fano parte la Commissione Europea, il 28 paesi membri dell’Unione Europea e i membri dell’ASEAN. Nato a Bangkok nel 1996, in occasione del primo vertice dei capi di Stato degli attuali membri dell’ASEM, esso rappresenta un foro di consultazione e dialogo in materia economica, politica e culturale. Dal momento della sua costituzione, il foro si è riunito con cadenza biennale. Infine, per quel che riguarda l’integrazione regionale nell’Asia Meridionale, la sua principale associazione regionale è la SAARC (South Asia Association for Regional Cooperation) nata nel 1985 da India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka, Buthan, Nepal e Maldive. Attualmente uno delle principali debolezze dell’organizzazione è il processo decisionale fortemente rallentato, e in alcuni casi bloccato, dal diritto di veto riconosciuto per ogni suo membro. Previsto originariamente per preservare il peso decisionale anche per 15 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico i paesi meno influenti (ad esempio dal punto di vista economico e/o demografico), è diventato poi uno strumento che limita un effettivo e veloce funzionamento dell’organizzazione, a causa di irrisolte questioni politiche esistenti tra gli Stati membri. Pertanto, fino a quando queste dispute non saranno risolte – si pensi all’annosa questione tra India e Pakistan per il controllo del Kashmir - la SAARC non sarà capace di raggiungere una maggiore integrazione tra i paesi dell’Asia Meridionale (Aa. Vv., 2004). 4.3. Nuovi rapporti internazionali È questo il secolo asiatico? La risposta è decisamente si. Le economie emergenti del continente asiatico hanno registrato una notevole crescita economica e, nonostante la crisi globale, il loro progresso non è stato arrestato. In altre parole, nonostante le difficoltà economiche si siano estese a tutte le economie dell’Asia Orientale, di recente si è assistito ad un progressivo dislocamento del centro dell’economia mondiale dall’Atlantico al Pacifico settentrionale (il formidabile «commonwealth elettronico e telematico» che collega la California a Tokyo via Hong Kong-Singapore-Seul) sta determinando nuovi rapporti non soltanto economici ma anche politici. Negli ultimi anni, mentre ancora molti occidentali consideravano la Cina soltanto come la patria della contraffazione, il paese è riuscito a superare Gran Bretagna, Italia e Francia nella classifica delle nazioni più industrializzate. Contemporaneamente, ha scavalcato gli Stati Uniti come prima esportatrice mondiale di prodotti tecnologici, dai telefonini ai computer. Inoltre, la Cina ha un’elevata riserva valutaria tanto da farla diventare il vero banchiere degli americani. L’«altro» miracolo asiatico è l’India, la cui crescita è iniziata con le riforme in ambito energetico del 1991 e da allora le dimensioni dell’economia indiana sono più che raddoppiate. L’India, infatti, non rappresenta un temibile concorrente nel settore della produzione manifatturiera, al contrario, il paese si distingue per un grande mercato in espansione per tutti i servizi e i beni di consumo. Solo a titolo esemplificativo, dal 1996 il 16 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico numero di viaggiatori sulle sue compagnie aeree si è sestuplicato, le vendite di auto sono raddoppiate e il settore della telefonia è aumentato esponenzialmente. Dietro i grandi giganti ci sono le altre economie emergenti asiatiche, che in passato hanno trainato e oggi sono stimolate da queste due locomotive (Cina e India). Le nazioni più ricche – Taiwan, Giappone, Sud Corea e Singapore – hanno appreso i sistemi di produzione cinesi e indiani e le stanno utilizzando per rimanere competitive nel sistema economico mondiale. Allo stesso tempo, paesi come Indonesia, Filippine e Malaysia sono importanti interlocutori nella fornitura di energia, materie prime e manodopera. Gli ex paesi della penisola Indocinese – Vietnam, Thailandia e Cambogia – ruotano intorno ai due colossi, studiando e copiando i modelli di crescita economia di Pechino e New Delhi. Uno studio della Bank of Korea prevede che fra trent’anni il 42% del PIL mondiale sarà dell’Asia, il 23% degli Stati Uniti e il 16% dell’Europa. Lo stesso Henry Kissinger, l’ex segretario di Stato americano, ha affermato che nel XXI secolo l’Asia sarà il centro del mondo, mentre l’America e l’Europa saranno relegate nella periferia del sistema mondiale. A ben pensare, ci sarà un ritorno al passato, e più precisamente al Settecento, quando nell’area si concentrava più della metà della ricchezza mondiale (solo la Cina e India detenevano rispettivamente il 33% e il 16%). Riemerge dopo una parentesi di decadenza, un universo che ha un passato di 5.000 anni, composto da Stati che hanno primeggiato nella scienza e nella tecnologia, dove sono nate grandi religioni e importanti filosofie laiche (Rampini F., 2006). Oggi, sebbene permangano profonde differenze tra i paesi dell’area, l’Asia Meridionale e Orientale diventa la nuova punta nel triangolo geopolitico. Nell’ambito di questo nuovo dispositivo si stanno sviluppando rapporti fortemente asimmetrici tra loro. Asimmetrico è il rapporto tra Stati Uniti e Giappone, caratterizzato da forti frizioni commerciali, contrasti politici e diversità geostrategiche. In termini più generali, le autorità statunitensi non hanno mai visto di buon occhio che il loro principale concorrente economico diventasse anche un antagonista politico. Così si spiega l’opposizione americana alla proposta giapponese di 17 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico creare un «Fondo Monetario Asiatico» per contrastare la crisi scoppiata nel 1997 in Thailandia e poi estesasi a tutti i paesi dell’Estremo Oriente. Tuttavia, con l’affermarsi della Cina sulla scena internazionale si è modificato anche il sistema delle relazioni tra Tokyo e Washington: entrambi i governi si sono mossi velocemente per riaffermare il «rapporto speciale» esistente tra i due paesi. Le ragioni che hanno spinto a rinsaldare quest’alleanza sono ben chiare: il Giappone ha ancora bisogno della presenza statunitense nella regione considerate le tensioni che ancora permangono nel continente (basti pensare ai contenzioni territoriali nel Mar della Cina meridionale e il problema di Taiwan) e tenuto conto che lo Stato nipponico non ha ancora sviluppato una visione strategia regionale; dal canto suo, l’amministrazione statunitense necessita del Giappone per mantenere forte la propria supremazia di fronte al crescente potere di alcuni paesi dell’area, in primis Cina e India. La Cina, infatti, sta sviluppando una «nuova centralità» nella regione, non più soltanto economica, ma anche geopolitica, grazie ad una minore rigidità dei dogmi ideologici del passato e adottando una nuova diplomazia, soprattutto dopo l’11 settembre – definita da alcuni studiosi «neobismarckiana» - che mira innanzitutto a garantirsi la sicurezza e in secondo luogo ad affermarsi come grande potenza, senza però provocare la potenza statunitense né tanto meno allarmare i propri vicini. In questo modo, l’azione della dirigenza cinese sta diventando più incisiva nell’arena internazionale, come riscontrabile dall’azione che Pechino svolge a livello diplomatico in Africa e nell’America Centrale e Meridionale, dove si mescolano interessi economici (in relazione soprattutto alle risorse energetiche) e mire strategiche. L’obiettivo finale della strategia di Pechino non è tanto una lotta contro l’egemonia politica ed economica americana (come affermato dai sostenitori della teoria della «minaccia cinese»), bensì una transizione pacifica e graduale dall’attuale unipolarismo complesso verso una forma più equilibrata di multipolarismo, ovvero in un sistema di equilibro dei poteri (balance of powers) dove gli Stati Uniti potrebbero svolgere il ruolo fondamentale di «equilibratori». 18 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico Per quel che concerne l’India, la sua politica estera è composta da tendenze nazionalistiche, volontà di mantenere aperti i rapporti con le diverse controparti internazionali e dalle necessità che il sistema economico e il suo progresso presentano. In tal senso, considerato il crescente bisogno di energia le autorità di New Delhi hanno teso a mantenere buoni rapporti con le nazioni del Medio Oriente. Inoltre, nell’ottica di uscire da un eccessivo isolazionismo, l’India sta virando molte delle sue scelte politiche verso il polo confuciano. Il 1991 non rappresenta per l’India solo l’anno della svolta liberista, ma anche l’adozione di una politica fortemente rivolta all’Asia Orientale, che si è concretizzata con una serie di iniziative: nel 1995 vi è stato il partenariato con l’ASEAN e l’anno successivo l’adesione al suo forum (ASEAN+3); nel 1997 ha appoggiato forme di cooperazione transregionale come la BIMST-EC (Cooperazione economica tra Bangladesh, India, Myanmar, Sri Lanka e Thailandia, a cui si sono poi aggiunti Nepale e Bhutan); nel 1999 partecipò all’Iniziativa Kunming lanciata dalla provincia cinese dello Yunnan per la creazione di sinergie economiche, che interessa il Bangladesh, la Cina, l’India e il Myanmar. Questa stessa nuova politica indiana ha portato anche a consolidare i rapporti economici con il Giappone e con le «tigri asiatiche» e ad approcciare una cooperazione militare con i paesi del Sud-est asiatico, come il Vietnam e la Thailandia, la Malaysia e l’Indonesia. Infine, per quel che concerne i rapporti con la Cina, questi si sono distinti per una volontà da entrambe le parti di superare in una prospettiva «politica» (nel senso di non ostilità) le vecchie tensioni territoriali e, più in generale, adottare una politica win-win (entrambi vincitori) attraverso la realizzazione di misure di mutua fiducia sia in campo economico che militare. 19 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 4° - Il secolo asiatico RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Aa. Vv. (2004), Atlante geopolitico mondiale. Regioni Società Economie Conflitti, Touring Club Italiano. Asian Development Bank (2011), Asia 2050: Realizing the Asian Century, Asian Development Bank. ASEAN Secretariat (2013), ASEAN’S Free Trade (http://www.jterc.or.jp/koku/koku_semina/pdf/130306_presentation01.pdf, Agreements consultato in data 01/03/2014) Boilot J. J. (2006), L’economia dell’India, Il Mulino. Chartsbin (2014), GDP Per Capita (Current US$) in 2009 (http://chartsbin.com/view/19931, consultato in data 17/02/2014). Corna Pellegrini G. (1982), L’Asia Meridionale e Orientale, UTET. Elgin M. (2010), «Asian values», in Standford Journal of East Asian Affairs, Vol 10, Num. 2, pp. 135-145) (http://www.stanford.edu/group/sjeaa/journal102/10-2_12%20SeAElgin.pdf, consultato in data 01/03/2014). Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V. (2002), L’età contemporanea, Laterza. Mazzei F., Volpi V. (2010), La rivincita della mano visibile. Il modello economico asiatico e l’Occidente, Università Bocconi Editore. Mazzei F., Volpi V. (2006), Asia al centro, Università Bocconi Editore. Roberts J. A. G. (2013), Storia della Cina, Il Mulino. Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte. World Bank (2014), Poverity & Equity Data, (http://data.worldbank.org/topic/poverty#boxes-box-topic_cust_sec, consultato in data 26/02/2014) 20 Corso di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali INSEGNAMENTO DI STORIA E ISTITUZIONI DELL’ASIA Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone A cura di Antonietta Pagano Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone SOMMARIO MODULO 5° L’Occidente a Oriente: il Giappone 5.1. Il particolarismo nipponico 5.2. Il Giappone tra le due Guerre Mondiali 5.3. Il Giappone contemporaneo 1 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone 5.1. Il particolarismo nipponico Posto all’estremità dell’Eurasia, ma separato dai territori continentali da una striscia di mare (lo stretto di Tsushima), il Giappone si compone di quattro grandi isole Honshū, Hokkaidō, Kyūshū e Shikoku, più una miriade di isolette minori, che insieme rappresentano il 98% dell’arcipelago giapponese. La sua popolazione, maggiore ai 127 milioni di abitanti nel 2012, può considerarsi omogenea sia sotto il profilo etnico che linguistico. Gli unici gruppi etnici che si distinguono sono gli Ainu e gli abitanti delle isole Ryukyu. I primi discendono dalla popolazione più antica del Giappone, nello specifico dell’epoca Jamon, e nel corso dei secoli sono stati spinti via via sull’isola di Hokkaidō, dove attualmente hanno raggiunto una popolazione pari ad una decina di migliaia di persone. Considerati per lungo tempo come «barbari», gli Ainu stanno attraversando un processo di assimilazione, anche perché il loro esiguo numero non gli permette di ottenere lo status di «popolo autoctono», che alcuni richiedono. Gli abitanti delle isole Ryukyu rientrano fondamentalmente sotto la prefettura di Okinawa. Inizialmente, i Ryukyu erano un regno tributario sia della Cina che del Giappone, fino a che quest’ultimo non decise di annetterlo nel 1872. Sebbene in seguito la propria appartenenza al Giappone non sia mai stata messa in dubbio, la popolazione dei Ryukyu difende con particolare vigore il proprio particolarismo culturale (Sellier J., 2010). Il particolarismo in Giappone è sempre stato molto forte, a parte alcuni brevi ma significativi periodi in cui vi è stata una tendenza verso l’universalismo: si pensi al periodo antico in cui vi è stato un avvicinamento all’universalismo cinese o al più recente periodo di occidentalizzazione (caratterizzata da un’influenza europea prima e americana poi). Dalle origini fino al VII secolo, l’arcipelago si era distinto per i forti flussi migratori e per gli apporti culturali dei suoi vicini continentali, soprattutto della Cina, che avvenivano per lo più tramite la penisola coreana. 2 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone A ben vedere sin dall’antichità il Giappone ha plasmato la propria struttura organizzativa basandosi sui modelli stranieri dominanti a seconda del periodo storico preso in esame. Sicuramente il primo non poteva che essere quello cinese da cui il Giappone ha importato gradualmente la scrittura, il buddhismo, il confucianesimo e le istituzioni politiche ed agrarie. L’influenza del modello cinese durò per lungo tempo fino al periodo premoderno (pre Meiji), per poi passare all’adozione del sistema della Gran Bretagna imperialista (alleanza del 1902), a quello della Germania nella fase del militarismo degli anni Trenta del XX secolo e, infine, all’assimilazione del modello degli Stati Uniti, super potenza mondiale a partire dalla Seconda Guerra Mondiale. Il particolarismo del Giappone sta però nella capacità di saper selezionare e adattare gli elementi utili al proprio sistema paese per poi scartare quelli non adattabili. Così è stato nel caso del principio del «mandato celeste» del sovrano cinese, secondo il quale il sovrano era legittimato a governare sul popolo in base all’eticità del proprio comportamento, ma in caso di condotta indegna questi poteva essere revocato dallo stesso popolo. Contrariamente alla Cina, il Giappone non adottò mai interamente questo principio. Al contrario il sovrano nipponico, il Tennō, regna ma non governa, ciò significa che il potere di governare è delegato ad altri: ad esempio i «partiti dei popoli» nel periodo pre-bellico, l’esercito durante gli anni Trenta o i rappresenti eletti democraticamente dal popolo. Tuttavia, una volta che il modello è considerato non più utilizzabile o superato, questo viene abbandonato. In effetti, dopo l’iniziale e rapida fase di sinizzazione, nel X secolo fu ripudiato il sistema cinese e fiorì la cultura e l’epoca di Heian (794 – 1185) (Mazzei F., Volpi V., 2006) caratterizzata da un’estrema raffinatezza, in special modo, sotto il profilo artistico e letterario, ma anche da una graduale perdita di potere degli imperatori. In questo periodo, infatti, si rileva una diminuzione del potere effettivo dei sovrani dovuta essenzialmente a due ragione: da un lato, diminuì l’influenza culturale cinese, 3 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone dall’altro si verificò uno scarto tra il potere nominale, detenuto dai principi a corte, e il potere reale, esercitato da altri membri delle grandi famiglie reali o dalla nobiltà locale. I nobili provinciali erano particolarmente potenti, possedevano, infatti, proprie milizie armate composte da bushi («servitori») o samurai («guerrieri»), e grazie a diverse alleanze concluse alle spalle dei sovrani divennero man mano sempre più potenti ma anche instabili. Diversi furono i conflitti tra membri, a volte dello stesso clan, per la conquista del controllo della corte, come avvenne tra i Taira e i Minimato, che condussero all’alternanza di diverse famiglie al potere ed anche a diverse epoche. In effetti, nel corso dei secoli si sono succedute diverse epoche, come ad esempio quella Kamakura, che prende il nome dalla sede del capo dei Minimato (clan al potere al tempo), famosa perché fece riconoscere al sovrano giapponese il titolo di shogun, che sta a significare «grande generale che sottomette i barbari» (e indicava tradizionalmente i generali che affrontavano gli Ainu), e per essere riusciti a salvarsi dagli attacchi mongoli, nonostante la superiorità militare di questi ultimi, grazie a calamità naturali del tutto casuali. Il termine kamikaze fu coniato proprio in questo periodo, perché i Giapponesi, convinti che gli dei li abbiano voluti proteggere dall’invasione mongola, nominarono il tifone che li salvò kamikaze, ovvero «vento divino». Una delle epoche più importanti nella storia del Giappone è sicuramente quella di Tokugawa, soprattutto per gli importanti cambiamenti imposti sulla società nipponica. Durata dal 1600 al 1868, la dinastia nasce con il suo fondatore Tokugawa Ieyasu che dopo una serie di lotte intestine tra i nobili provinciali riuscì a imporsi e a ottenere dall’imperatore il titolo di shogun nel 1603. Tra le profonde modifiche apportate in questo periodo vi è sicuramente la regolamentazione della società, ottenuta attraverso l’adozione forzata di regole molto precise concernenti anche la vita quotidiana. I componenti della dinastia Tokugawa erano infatti convinti che l’unico modo per poter mantenere ordine e controllo sul paese fosse l’imposizione alla società di stabilità e conformismo. 4 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone A tal fine, la società fu divisa in quattro classi – i nobili erano al di fuori di questa categorizzazione – composta, in ordine decrescente di status, da: samurai (guerrieri); contadini; artigiani e commercianti. Al gradino più basso vi erano gli eta (impuri) e gli hinin (venditori ambulanti, attori, etc.). Lo shogun, inoltre, esercitava ormai un potere quasi assoluto – mentre l’autorità imperiale era una pura formalità – come dimostrato sia dai possedimenti e dalle ricchezza accumulate, sia dal controllo e dall’influenza usata sui signori (daimyo): oltre a possedere il 25% delle terre coltivate, le principali città, porti e miniere; i restanti territori erano ripartiti tra i daimyo che però avevano l’obbligo di amministrarli coerentemente con le direttive dello shogun. A ciò si aggiunga che i loro spostamenti e, più in generale, quello dell’intera popolazione erano severamente controllati. L’epoca Tokugawa si distingue quindi per il rigore e l’isolamento del Giappone non soltanto sotto il profilo culturale ma anche economico. I commercianti europei – arrivati con i portoghesi nel 1543 – furono cacciati dal paese, ad eccezion fatta degli Olandesi a cui fu concesso di proseguire le attività commerciali unicamente nel porto di Nagasaki. Anche ai Coreani e ai Cinesi fu accordato il permesso di continuare le relazioni commerciali con il Giappone. La chiusura del paese interessò, poi, l’intera popolazione nazionale: dopo il 1630, ai residenti fu vietato di lasciare lo Stato, mentre ai connazionali che in quel momento erano impiegati in ambito commerciale nel Sud est asiatico fu proibito di rientrare. L’isolamento geografico del Giappone aveva contribuito alla formazione e alla crescita di un forte sentimento d’individualità etnica e culturale, ed un robusto sviluppo economico favorito da un prolungato periodo di pace civile. I contadini, nonostante le carestie e le imposte elevate, ebbero un miglioramento dei propri livelli di vita, grazie soprattutto all’incremento dei rendimenti agricoli. L’alfabetizzazione si diffuse anche nelle società rurali, per iniziativa dei monaci buddhisti o dei samurai. Le attività manifatturiere furono caratterizzate da un progressivo sviluppo e la classe mercantile (disprezzata dallo shogunato) poté arricchirsi, al punto da minacciare un’aristocrazia altamente indebitata (Sellier J., 2010). 5 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone L’isolamento del Giappone fu interrotto bruscamente quando nell’estate del 1853 le navi della marina americana gettarono le ancore nella baia di Edo (Tokyo), fornendo un’esibizione di forza navale alla quale difficilmente il Giappone avrebbe potuto opporsi. La sottoscrizione dei primi trattati imposti dagli Stati Uniti nel 1854 aprì modeste attività commerciali tra i due paesi, a quali seguirono analoghi trattati firmati con Inglesi, Olandesi e Russi. I «Trattati con le cinque nazioni» (1858) furono siglati dall’autorità shogunale nonostante il parere contrario dei daimyo e della corte. Nei dieci anni che seguirono, in ogni classe sociale si manifestarono le più varie reazioni, alcune delle quali condurranno a un radicale cambiamento politico, alla caduta del governo Tokugawa e alla restaurazione imperiale. L’apertura agli Occidentali si rivelò ben presto la causa scatenante che portò al limite le tensioni che già negli ultimi anni avevano minato il sistema Tokugawa e indotto parte dei daimyo più irrequieti e indipendenti a considerare apertamente l’ipotesi di un mutamento dell’ordine costituito. L’alto livello dell’istruzione pubblica, estesa a tutte le classi sociali, la pragmatica curiosità verso ogni settore delle scienze occidentali – così disprezzate dall’impero cinese – gli elevati traguardi raggiunti dall’espansione economica sono alcuni degli elementi che permisero al Giappone di comprendere il significato della sfida lanciatagli dall’Occidente. Tutto ciò aveva, infatti, fatto affiorare da tempo stimoli critici nei confronti di una struttura politica feudale ormai erosa e superata. Le riforme intraprese negli ultimi anni dallo shogun si rivelarono tardive e insufficienti rispetto alle nuove esigenze statali. Nel 1868, non senza disordini e qualche resistenza, fu proclamata la «restaurazione imperiale», il giovane Mutsuhito, succeduto appena quattordicenne al padre, divenne imperatore del periodo Meiji, o «Governo illuminato», come i Giapponesi chiamano il nuovo regno. Se la caduta del secolare regime Tokugawa avvenne in modo relativamente semplice, non fu altrettanto facile l’avvio del nuovo governo. I capi che avevano guidato la rivolta, per la maggior parte molto giovani e ambiziosi, non avevano nessuna esperienza governativa. 6 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone Tentativi ed errori costellarono le loro prime azioni, ma la decisione, nel settembre del 1868, di ribattezzare Edo con il nome di Tokyo, ovvero «capitale orientale», e di trasferirvi l’imperatore rappresentò – più che un’azione simbolica – un programma di centralizzazione del governo al potere. Dal 1871 furono adottate importanti azioni di modernizzazione ed emancipazione civile, come l’abolizione di molti limiti imposti alla libertà di movimento e commercio, l’annullamento delle distinzioni di classe e la revisione dell’imposta fondiaria (Corna Pellegrini G.,1982). Le autorità nipponiche fecero, inoltre, larghi investimenti in capitale umano, ricorrendo a numerosi stranieri – soprattutto in ambito tecnico o per insegnare all’università di Tokyo fondata nel 1877 – e inviando consistenti missioni di studio all’estero. Con un dinamismo di cui si hanno pochi altri esempi al mondo, i Giapponesi si dotarono di un ordinamento politico stabile, crearono un moderno sistema di comunicazioni e di trasporti, istituirono nuovi ordinamenti educativi, giuridici, bancari e fiscali. Il settore industriale beneficiò di abbondante capitale umano qualificato e disciplinato, ma doveva comunque fare ricorso a tecnologie importate. Gli inizi furono quindi difficili dal punto di vista dei finanziamenti, il che spinse, attorno al 1880, il governo a vendere a imprenditori privati molte delle sue imprese industriali. Anziché farsi concorrenza tra loro, queste famiglie di imprenditori concentrarono le loro attività in pochi ma giganteschi aggregati societari, dando vita ai primi zaibatsu, che dominarono l’economia giapponese successivamente. Lo Stato continuò però a mantenere il controllo sulle attività industriali belliche, per ovvi motivi strategici, e sui servizi pubblici fondamentali (Sellier J., 2010). L’espansione economica giapponese avanzò fino alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Le guerre stimolarono fortemente molti settori industriali, dando un’accelerata all’economia già molto potente. La guerra del 1894-95 con la Cina per il controllo della Corea, e quella del 1905 con la Russia per il controllo della Manciuria, terminarono con la vittoria del Giappone, assicurandogli il riconoscimento quale grande potenza a livello internazionale e notevoli vantaggi territoriali: Taiwan, le isole Pescadores, il Liaodong 7 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone compreso Port Arthur, la metà meridionale dell’isola di Sahalin, la Manciuria e la Corea, annessa quest’ultima definitamente nel 1910. Figura 5.1.: L’espansione giapponese 1868-1922 Fonte: Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte L’epoca Meiji terminò con la morte dell’imperatore Mutsuhito, succeduto dal figlio il quale diede inizio all’epoca Taisho, «grande giustizia». Pochi anni dopo la fine del periodo Meiji, alla fine della Prima Guerra Mondiale, a cui aveva partecipato marginalmente in qualità di alleato dell’Inghilterra, il Giappone si ritrova a sedere alla conferenza di Versailles alla pari delle altre potenze occidentali vincitrici (Corna Pellegrini G.,1982). 8 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone 5.2. Il Giappone tra le due Guerre Mondiali A Guerra Mondiale già scoppiata, molte potenze minori e non ancora coinvolte, temendo di dover subire un nuovo assetto internazionale e, in alcuni casi spinte da progetti di espansione territoriale decisero di entrare in guerra. Il Giappone, richiamandosi al trattato del 1902 che lo legava alla Gran Bretagna, dichiarò guerra alla Germania, così da poter impadronirsi anche dei possedimenti tedeschi in Estremo Oriente (Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). Le autorità giapponesi, però, chiarirono sin da subito che il paese si sarebbe battuto unicamente in Estremo Oriente, in altre parole che avrebbe perseguito le proprie mire espansionistiche nella regione. In tal senso, nel 1915 inviò le cosiddette «ventuno richieste» atte a porre sotto controllo giapponese la Cina, la quale, nel tentativo di difendere i propri possedimenti, chiese il supporto degli Alleati, che non poterono intervenire. Pechino fu quindi costretto ad accettare le richieste del governo giapponese, sebbene alleggerite. L’avanzata giapponese però non terminò qui. Nel 1918, grazie alla spedizione alleata nel nord della Manciuria e nell’est della Siberia contro le forze bolsceviche, i Giapponesi riuscirono a stabilire la proprie influenza anche in questi territori. Il controllo della Manciuria divenne effettivo solo nel 1932. Uscita vincitrice dalla Prima Guerra Mondiale, il Giappone partecipò alla Conferenza di Pace a Versailles nel 1919, dove ottenne un mandato sugli arcipelaghi del Pacifico, ma non riuscì nel proprio intento di accaparrarsi tutti i domini tedeschi, in quanto la Cina si oppose al controllo giapponese sugli ex possedimenti tedeschi dello Shandong. In quest’occasione la Cina fu appoggiata dalla nuova superpotenza del momento gli Stati Uniti, che nel 19211922, su iniziativa del Presidente americano Harding, tennero a Washington una conferenza per trattare degli armamenti navali e dell’Estremo Oriente: in questa circostanza furono gli Stati Uniti a far pressione sul Giappone affinché rinunciasse allo Shandong e a far evacuare i territori settentrionali della Manciuria. 9 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone La partecipazione alla Prima Guerra Mondiale garantì, quindi, al Giappone di rafforzare, con un costo militare relativamente esiguo, la sua posizione a livello regionale e internazionale ed anche a fortificare il suo sistema economico, potendo accedere a nuovi mercati non più raggiungibili dalle potenze europee impegnate nel conflitto. Il dinamismo dell’economia – dovuto in buona parte agli zaibatsu – la forte crescita demografica (si calcola che fra l’inizio del 1900 e il 1930 la popolazione aumentò da 44 a 65 milioni), la struttura della classe dirigente, fondata sull’unione fra grande industrie, proprietà terriera e alti gradi militari, spinsero il Giappone verso una politica imperialistica in un campo d’azione che comprendeva il Pacifico e l’intera Asia Orientale. Durante i primi dieci anni dopo la fine della Guerra, queste spinte imperialistiche si conciliarono col mantenimento di un quadro istituzionale di tipo liberale, con lo sviluppo di una vivace cultura politica, e con la crescita, sebbene contrastata, di partiti e sindacati operai. Tuttavia, già negli anni Venti nacquero i primi movimenti autoritari di destra, in parte ispirati al modello dei fascismi occidentali, in parte impregnati di cultura tradizionalista, come la difesa delle antiche strutture sociali e familiari, il culto dell’imperatore come suprema autorità politica e religiosa. Questi movimenti furono favoriti da un lato dalle conseguenze della grande crisi, dall’altro dalle preoccupazioni nate in seno alla classe dirigente in seguito alla crescita dei movimenti di sinistra nelle prime elezioni a suffragio universale tenutesi nel 1928. Ebbe inizio in Giappone un periodo di crescente autoritarismo, in concomitanza con quanto stava già accadendo in molti Stati europei. Quest’autoritarismo non si manifestò, almeno all’inizio, in forme esplicitamente fasciste ma comportò comunque la chiusura di ogni margine di manovra per l’opposizione, una dura repressione antioperaia e l’esercizio effettivo del potere da parte dei generali e degli esponenti degli zaibatsu, suffragati dall’imperatore. Furono, infatti, queste forze a gestire la politica imperialistica giapponese in Estremo Oriente, a premere per la guerra contro la Cina e a far assumere al Giappone una collocazione politica molto vicina – tenuto conto delle reciproche differenze – a quella fascista, che spinse il paese nel secondo conflitto mondiale (Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). 10 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone Uno dei principali obiettivi degli esponenti al potere in Giappone era l’espansionismo territoriale, giustificato da alcuni con il bisogno di «spazio vitale» negato al popolo giapponese dagli Occidentali. Si formò in questo modo l’imperialismo nipponico che altro non era che una reazione agli imperialismi occidentali. Spinto da queste ragion di Stato il Giappone nel 1937 iniziò una vera e propria guerra contro la Cina, conquistando Shanghai e Nanchino. Inaspettatamente i Cinesi riuscirono a fare resistenza contro l’invasione, limitando la conquista giapponese solo ad una parte del paese. Poco dopo, esattamente tra il 1938 e il 1939 violenti scontri militari opposero i Sovietici ai Giapponesi, senza che però questi ultimi riuscissero ad avere il sopravvento. Le necessità espansionistiche giapponesi, unite allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e all’inquietudine di un possibile isolamento politico spinsero il Giappone ad allearsi con la Germania e l’Italia con la sigla del Patto tripartito del 1940. L’anno successivo la Germania attaccò l’URSS, ponendo fine alla pressione sovietica sulla Manciuria, atto che consentì ai Giapponesi di concentrare le loro azioni belliche nel Sud della regione (Sellier J., 2010). Difatti nel luglio del 1941 il Giappone invase l’Indocina francese, fatto che provocò la reazione di Gran Bretagna e Stati Uniti, i quali decretarono il blocco delle esportazioni verso il Giappone. In quel momento le autorità nipponiche dovettero scegliere se piegarsi alle richieste degli avversari occidentali o ampliare ulteriormente il campo di battaglia al fine di poter conquistare nuovi territori e, quindi, procurarsi le materie prime necessarie alla sua politica di grande potenza. Alla fine le correnti belliciste prevalsero e nel dicembre del 1941 l’aviazione giapponese attaccò, senza peraltro nessuna dichiarazione di guerra, la flotta degli Stati Uniti ancorata a Pearl Harbor. Nei mesi a seguire, avvantaggiandosi della superiorità navale nell’area del Pacifico, i Giapponesi conquistarono le Filippine, la Malaysia, la Birmania (attuale Myanmar) e l’Indonesia olandese (Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). 11 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone Figura 5.2.: L’espansione giapponese 1931-1942 Fonte: Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte La prima risposta americana ci fu subito dopo e le vittorie non tardarono a venire, nel giugno del 1942 gli Stati Uniti riportarono una prima vittoria al largo delle isole Midway (ad Ovest di Hawaii), ma la controffensiva statunitense ebbe praticamente inizio nel 1943 con la conquista dell’isola di Guadalcanal, che segnò la fine delle azioni offensione giapponesi e l’inizio di un tentativo di difesa di quei territori conquistati dall'avvio della Guerra. Dopo un iniziale fervore supportato dai successi espansionistici, l’esercito e le autorità nipponiche iniziarono a non credere più nella vittoria, ma adottarono comunque una convinta difesa, nella speranza che gli Alleati stanchi del conflitto, proponessero un negoziato. È questo lo spirito che portò all’ideazione degli «aerei suicidi» (kamicaze) impiegati per la prima volta nel 1944 nelle Filippine (Sellier J.,2010). Nel frattempo gli Stati Uniti iniziarono una lenta riconquista delle posizioni perdute nel Pacifico, ma il punto di svolta si ebbe nel 1945 quando, ormai liberi dagli impegni bellici in Europa, si concentrarono unicamente nel Pacifico. Il 26 luglio 1945 il Presidente americano 12 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone Truman enuncia la dichiarazione di Postdam, in accordo con Gran Bretagna e Cina – e con la tacita approvazione dell’URSS – che intima al Giappone la resa incondizionata, onde evitare una distruzione immediata e totale. Ma al rifiuto del Giappone, gli Stati Uniti decisero di impiegare contro il Giappone la nuova arma di distruzione totale: la bomba atomica. La decisione di Truman serviva ad accorciare una guerra che altrimenti sarebbe stata ancora più lunga e distruttiva, ma anche per dimostrare al mondo intero la potenza militare statunitense. Il 6 agosto 1945 fu sganciata una prima bomba atomica sulla città di Hiroshima e tre giorni dopo su Nagasaki. Le conseguenze furono enormi: 100.000 morti a Hiroshima e 60.000 a Nagasaki, la distruzione totale delle due città e un numero elevato di persone contaminate dalle radiazioni. Il 15 agosto, dopo che anche l’URSS dichiarò guerra al Giappone, l’imperatore Hirohito dichiarò la resa incondizionata. La firma dell’armistizio fu firmata il 2 settembre 1945 a bordo della corrazzata americana Missouri (Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). La resa del Giappone comportò un regime di occupazione delle truppe alleate, soprattutto americane. Il Presidente Truman nominò, in tal senso, il generale Douglas MacArthur a capo del Comando Supremo delle Forze Alleate (SCAP – Supreme Command for the Allied Powers), il quale aveva anche il compito di presiedere il Consiglio Alleato per il Giappone, di cui facevano parte anche un rappresentante Sovietico, uno Cinese e uno Britannico. Di fatto, però, le politiche da adottare nei confronti del Giappone venivano decise direttamente a Washington, permettendo agli Stati Uniti di amministrare il paese senza doversi preoccupare di intromissioni esterne (Sellier J., 2010). Nonostante l’ampia libertà di manovra, MacArthur decise sin da subito di amministrare il paese per via indiretta, ciò significa attraverso la trasmissione di direttive al governo giapponese, il quale aveva poi il compito della loro effettiva implementazione. Varie e immediate furono le modifiche apportate in Giappone: abolizione di alcuni ministeri; scioglimento della polizia segreta; richiesta di condanna dei criminali di guerra; redazione di una nuova Costituzione; avvio di un piano di smantellamento degli zaibatsu; ampliamento delle libertà civili e epurazione di chi aveva sostenuto l’Impero giapponese. 13 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone Gli obiettivi primari dell’occupazione americana furono la smilitarizzazione e la democratizzazione del Giappone. Il primo compito fu raggiunto tramite lo smantellamento della struttura militare giapponese e il rimpatrio delle truppe e dei civili ancora stanziati all’estero, al fine di implementare quanto stabilito nella dichiarazione di Postdam – a relativamente ai confini del territorio giapponese – secondo cui i territori nazionali del Giappone dovevano tornare a quelli del 1868. Per quel che concerne, invece, il processo di democratizzazione già nell’ottobre del 1945 furono introdotte le prime riforme atte a garantire la libertà di espressione, di stampa e di assemblea, e il diritto a formare organizzazioni sindacali. Ma la svolta democratica si ebbe con la richiesta di una nuova Costituzione, che fu redatta tra il 1945 e il 1946 e promulgata nel novembre del 1946. La nuova Costituzione sostanzialmente garantiva, sulla falsa riga del Bill of Rights statunitense, una serie di diritti fondamentali per i cittadini e determinava due cambiamenti epocali nella struttura politica del paese. Il primo cambiamento consisteva nel passaggio da una monarchia assoluta ad una costituzionale, la seconda modifica sostanziale prevedeva l’istituzione di un sistema parlamentare di tipo inglese. La Dieta, supremo organo di potere, diventava bicamerale: la Camera dei Rappresentanti – dotata di supremazia – e la Camera dei Consiglieri, entrambe elettive. Il processo di riforma coinvolse anche la sfera economica. La più significativa novità consisteva nella soppressione degli zaibatsu, accusati dagli alleati di aver supportato il militarismo nipponico e di essere un ostacolo alla competizione interna. Furono quindi bloccati i beni degli zaibatsu e intaccati i loro capitali tramite l’applicazione di un’imposta generale progressiva. Furono poi introdotte delle imposte sul reddito e sui diritti di successione, così da impedire, o quanto meno limitare, l’accumulazione di grandi ricchezze. Fu, infine, promulgata una legge anti-monopolio per evitare che si formassero dei cartelli e si ripetesse, sotto forma diversa, il medesimo fenomeno dei zaibatsu. Uno dei principali successi del processo di riforma guidata dagli Stati Uniti fu quella agraria, che migliorò profondamente la condizione dei contadini. In precedenza, infatti, i 14 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone contadini dovevano pagare delle rette esorbitanti ai legittimi proprietari, ma con l’adozione della riforma fu stabilito un limite alla superficie di terreno che un singolo poteva possedere, mentre le eccedenze erano vendute allo Stato, il quale aveva il diritto di rivedere il terreni in surplus ai coltivatori ex affittuari. L’elevata inflazione, che però non colpì il prezzo dei terreni, permise agli ex affittuari di comprare una porzione di terreno a pochissimo, riuscendo, in questo modo, a distribuire le terre arabili a chi effettivamente le avrebbe coltivate. L’elevata inflazione che si era abbattuta sul Giappone, mise il paese in ginocchio fino al 1950, quando con lo scoppio della Guerra di Corea il sistema produttivo nipponico subì una forte impennata. Gli americani, infatti, sfruttarono la prossimità geografica del Giappone e i contenuti costi di produzione per rifornirsi di beni di ogni sorta: munizioni, uniformi, mezzi, attrezzature di comunicazione, etc. Nel periodo 1951-1953 il volume delle esportazioni dal Giappone triplicò, i gruppi industriali iniziarono a dare i primi segnali di ripresa, reinvestendo i profitti nella costruzione di nuovi impianti e nello sviluppo tecnologico. In questo periodo il PIL crebbe esponenzialmente. Paradossalmente, con il tragico evento della Guerra di Corea ebbe inizio la rinascita economia del Giappone (Fiori A., 2010). 5.3. Il Giappone contemporaneo Lo scoppio della Guerra in Corea non rappresentò soltanto un momento di svolta economica, ma anche un cambiamento profondo nei rapporti tra Stati Uniti e Giappone. Diversamente da quanto programmato e compiuto all’indomani del dopoguerra, ovvero la totale smilitarizzazione del Giappone, lo scoppio del conflitto in Corea determinò un’inaspettata «inversione di rotta» statunitense, avendo ora bisogno di un alleato nella regione economicamente forte e militarmente preparato, sebbene subordinato e dipendente dagli Stati Uniti. A tal fine, gli Stati Uniti supportarono un limitato riamo del Giappone, a partire dalla polizia nipponica che fu ricostituita con il nome di Riserva della Polizia Nazionale nel 1950. Inizialmente composta da 75.000 uomini, la Riserva poi fu aumentata a 110.000 poliziotti, al fine di sostituire i soldati americani trasferiti in Corea. 15 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone Nonostante le pesanti controversie interne incentrate sullo scontro tra chi sosteneva l’incostituzionalità delle forze armate nipponiche e, invece, coloro che le ritenevano legittime poiché forze di autodifesa (tra cui il Primo Ministro Yoshida), la Riserva prese piede e il Giappone acquistò maggiore autonomia sotto il profilo della sicurezza nazionale. È di questi anni la decisione di porre fine all’occupazione del paese da parte americana. L’8 settembre 1951, furono firmati a San Francisco il Trattato di Pace, che poneva fine allo stato di guerra – che esisteva ancora formalmente in Giappone – e il Trattato di Sicurezza, siglato solo tra Giappone e Stati Uniti, volto a proteggere il primo da qualsiasi minaccia e assicurare le pace e la sicurezza internazionale, tramite la presenza di basi e uomini militari statunitensi sul suolo nipponico (Fiori. A., 2010). Terminata l’occupazione americana nel 1952, si creò una relazione ancora più privilegiata tra Giappone e USA, in quanto, sebbene il Trattato di Sicurezza prevedesse solo lo stanziamento di basi militari sul territorio giapponese, di fatto lo Stato delegò la gestione della sua politica estera agli Stati Uniti, in cambio Tokyo poté operare liberamente in campo economico, dove gli USA si dimostrarono per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta particolarmente tolleranti e generosi (in termini di protezionismo, di cambio dello yen). La politica estera attuata dal Giappone nel dopoguerra, nota come «dottrina Yoshida» dal nome del Primo Ministro giapponese Yoshida Shigeru – consisteva essenzialmente dei seguenti quattro principi: • antimilitarismo, ovvero interpretazione restrittiva della clausola pacifista dell’articolo 9 della Costituzione, in modo da non permettere l’invio all’esercito di Forze di Auto-Difesa (FAD); • bilateralismo, cioè preminenza della relazione speciale con Washington, quindi posizione diplomatica e militare passiva; • astensionismo in politica estera, che di fatto venne delegata a Washington, da cui l’arcipelago dipendeva in materia di sicurezza come previsto dal sistema di San Francisco con i due Trattati del 1951; 16 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone • economicismo, ossia enfasi posta sulla conquista di mercati e sullo sviluppo economico, obiettivo prioritario dello «stato sviluppista» (Mazzei F., Volpi V., 2006). L’economicismo ebbe particolarmente successo. Nel periodo che va dagli anni Cinquanta ai Settanta, il Giappone aumentò il PIL di oltre il 10% su base annua, facendo conquistare al paese la terza posizione nella classifica delle economie mondiali. Altrettanti risultati stupefacenti si registrarono sotto il profilo degli investimenti in nuove tecnologie e impianti manifatturieri, che fecero raggiungere il paese livelli allora impensabili (Fiori A., 2010). Possibili motivazioni atte a spiegare l’inimmaginabile sviluppo economico sono la quasi completa assenza di spese militari del Giappone – perchè imposta dal Trattato di pace – e l’adozione di una politica economica tutta fondata sul contenimento dei consumi e sul rilancio produttivo. Inoltre, bisogna riconoscere il merito della classe dirigente che decise di puntare sin da subito sui settori in crescita e sulle tecnologie d’avanguardia, in particolar modo nel campo della siderurgia, della cantieristica, dell’automobile, della meccanica di precisione e soprattutto della telefonia (Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). L’altissima qualità del capitale umano rappresentò un ulteriore elemento fondamentale nel rilancio dell’economia nipponica nell’immediato dopoguerra. L’innalzamento dell’età dell’istruzione obbligatoria, produsse un numero gradualmente maggiore di persone sempre più istruite, i quali potevano avere accesso a lavori sempre più qualificati e ben pagati. I salari più alti e la forte propensione al risparmio, permisero di accrescere i fondi monetari utilizzati per gli investimenti industriali, dando vita ad un circuito virtuoso che rafforzò oltremodo il sistema produttivo giapponese. Ruolo fondamentale fu svolto dal Ministero del Commercio Internazionale e dell’Industria (MITI). Il MITI aveva il compito di coordinare le politiche concernenti il commercio internazionale con gli altri attori, come banche, altri ministeri e imprenditori, al fine di rinforzare la base industriale del paese, senza mai cadere in una pianificazione centralizzata. 17 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone Difatti, il MITI forniva agli stakeholders gli strumenti adatti a capire le dinamiche del mercato, come ad esempio le tecnologie da adottare, gli investimenti da realizzare, i processi di modernizzazione, etc. Inoltre, furono adottate misure politiche ed espedienti per limitare le importazioni e proteggere le imprese giapponesi dalla concorrenza straniera. La crescita economica del Giappone conobbe le prime battute d’arresto all’inizio degli anni Settanta, dovute principalmente ai cosiddetti Nixon shocks, che determinarono l’inizio di importanti tensioni tra USA e Giappone, soprattutto sotto il profilo economico. Il nuovo Presedente degli Stati Uniti Nixon annunciò, infatti, nel 1971 la riapertura delle relazioni diplomatiche con la Repubblica Popolare Cinese, sancita con la visita di Nixon in Cina. La questione irritò le autorità giapponesi che, fino a quel momento, avevano seguito letteralmente la politica americana di isolamento e contenimento del regime comunista cinese. Ora che gli Stati Uniti aveva virato la propria politica internazionale, era arrivato il momento per i Giapponesi di agire di conseguenza. Così nel 1972 anche Tokyo instaurò i primi rapporti diplomatici con i cinesi, avviando anche nuove relazioni economiche che resero la Cina in poco tempo il principale partner commerciale giapponese. Di lì a breve, esattamene nel 1978, fu ratificato anche il Trattato di Pace tra Giappone e Cina. A complicare ulteriormente la situazione economica giapponese, si aggiunse, sul finire del 1973, la prima crisi petrolifera, che provocò l’interruzione delle forniture di petrolio da parte dei paesi produttori verso quegli Stati, tra cui anche il Giappone, che avevano appoggiato Israele durante la Guerra del Kippur. Il Giappone dipendeva pesantemente dalla fornitura energetica dei paesi arabi e la crisi del 1973 determinò un aumento esponenziale nelle spese relative alle importazioni e, più in generale, un incremento dei prezzi di tutti i beni. Pertanto, per ovviare a questo problema il Giappone si affrettò a prendere le distanze dalla posizione statunitense di appoggio ad Israele e annunciò l’inizio di una «nuova politica araba». Quest’ultima convinse i paesi arabi produttori di petrolio a far ripartire la fornitura del gregge, ma gli effetti della shock petrolifero si abbatterono sull’economia giapponese, provocando una forte recessione. 18 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone Già nel 1975 l’economia sembrò risollevarsi, grazie ad una riduzione della spesa pubblica e a una rigida politica monetaria, che permisero di contenere l’inflazione, mentre le esportazioni ritornarono a crescere in compensazione degli altissimi costi delle importazioni. Tuttavia, proprio quando si pensava che il peggio fosse passato, si verificò la seconda crisi petrolifera tra la metà del 1979 e il 1980, durante cui il prezzo del gregge raddoppiò. La corsa al riparo delle autorità giapponesi prevedeva diverse azioni atte a limitare l’uso del petrolio, come il divieto di uso di automobili per andare a lavoro per i dipendenti pubblici, la sospensione dei programmi televisivi a mezzanotte e la realizzazione di alcune centrali nucleari, in alternativa al petrolio, che già nel 1985 producevano il 25% dell’elettricità del Giappone. Sotto il profilo della produzione industriale, le crisi petrolifere impattarono su quelle imprese che utilizzavano in maniera massiccia il petrolio, come le acciaierie e i petrolchimici. Pertanto, le autorità e gli imprenditori giapponesi si orientarono su quelle industrie a più alto valore aggiunto e tecnologicamente avanzate, come il settore automobilistico. Quest’ultimo comparto produttivo ebbe una forte crescita, anche grazie allo stesso mercato statunitense che iniziò a preferire le più economiche e affidabili automobili giapponesi (come Nissan, Toyota e Mazda) alle compagnie americane. Le esportazioni verso gli Sati Uniti crebbero esponenzialmente, nonostante le restrizioni alle importazione di prodotti giapponesi. A metà anni Ottanta il Giappone era leader nel settore automobilistico e non solo. Divenne, infatti, uno dei principali paesi nel settore dell’elettronica di consumo (chip per computer, videoregistratori, etc.) a scapito di settori più meramente tradizionali, come il tessile o l’acciaio. Il Giappone era, quindi, entrato nel periodo di «crescita stabile» che sarebbe durato fino all’inizio degli anni Novanta, periodo in cui scoppiò una crisi del mercato immobiliare e azionario, meglio conosciuta come «economia della bolla». La bolla comportò una lunga stagnazione economica, caratterizzata dall’abbassamento dei profitti per le imprese – le quali ridussero gli investimenti e l’occupazione – e una riduzione dei consumi. Questa lunga 19 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone crisi, nota anche come «decennio perduto», produsse importanti conseguenze anche a livello sociale: contratti di lavoro a tempo indeterminato divennero sempre più rari, anzi si dovette lavorare per più ore a parità di salario; aumentò la disoccupazione; crebbe il tasso di suicidi, in cui forte fu la correlazione con la perdita del posto di lavoro. Da quel momento diversi governi di coalizione si sono succeduti al potere, aventi tutti il difficile compito di rilanciare l’economia nazionale e migliorare gli apparati pubblici troppo a lungo trascurati. La svolta si registra nel 2001 con la salita a potere di Junichiro Koizumi a guida del Partito liberal democratico (Pld), che riuscì a conservare la carica di Primo Ministro fino al 2006, cosa che lo ha reso uno dei primi ministri più longevi nella storia politica del Giappone. Le riforme strutturali di Koizumi permisero di rilanciare l’economia nipponica, obiettivo raggiunto soprattutto attraverso una massiccia privatizzazione delle attività ancora detenute dallo Stato, come ad esempio il sistema postale. In ambito internazionale, con Koizumi fu consolidata l’alleanza diplomatica tra Giappone e Stati Uniti, il cui rapporto era considerato prioritario, mentre si verificarono diverse tensioni con Cina e Corea del Sud a causa di diverse visite al santuario shintoista Yasukuni di Koizumi, dove sono sepolti oltre due milioni di soldati giapponesi morti in battaglia, tra cui alcuni criminali di guerra. Sebbene il Primo Ministro abbia sempre affermato che si trattasse di visite private, e non ufficiali, questi episodi provocarono lo sdegno dei due paesi (Cina e Corea del Sud) che per un certo periodo si rifiutarono di incontrare il premier. Nel 2006 Koizumi rassegnò le proprie dimissioni e gli succedette Shinzo Abe, rimasto in carica per un solo anno. Dal 2007 ad oggi si sono alternati diversi primi ministri delle due principali fazioni. Attualmente il Primo Ministro del Giappone è Shinzo Abe, eletto nel 2012. 20 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 5° - L’Occidente a Oriente: il Giappone RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Corna Pellegrini G. (1982), L’Asia Meridionale e Orientale, UTET. Fiori A. (2010), Asia orientale. Dal 1945 ai giorni nostri, il Mulino. Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V. (2002), L’età contemporanea, Laterza. Mazzei F., Volpi V. (2010), La rivincita della mano visibile. Il modello economico asiatico e l’Occidente, Università Bocconi Editore. Mazzei F., Volpi V. (2006), Asia al centro, Università Bocconi Editore. Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte. 21 Corso di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali INSEGNAMENTO DI STORIA E ISTITUZIONI DELL’ASIA Il gigante rosso: la Cina A cura di Antonietta Pagano Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina SOMMARIO MODULO 6° Il gigante rosso: la Cina 6.1. L’Impero di Mezzo 6.2. La Cina tra Repubblica e Rivoluzione 6.3. Da Xioaping ad oggi 1 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina 6.1. L’Impero di Mezzo La Repubblica Popolare Cinese, fatta esclusione per Taiwan, si estende per 9.560.900 km2, ovvero un’ampiezza territoriale di poco superiore agli Stati Uniti, e minore solo alla Russia e al Canada. Questi dati sono utili a far capire come la grandezza del territorio della Cina sia comparabile alle dimensioni di un continente, che comprende all’interno dei confini nazionali un’estrema varietà etnica, linguistica e regionale. Tale ricchezza è stata il frutto dell’evoluzione politica e sociale della Cina, che per svariati secoli ha visto l’alternarsi di diverse dinastie a capo dei differenti regni che attualmente compongono lo Stato cinese. Questo susseguirsi di dinastie al potere ha indotto lo studio della storia cinese a dividerla in periodi dinastici, tra cui la più antica è quasi sicuramente quella Xia iniziata, molto probabilmente, nel 2205 a.C. e seguita dalla dinastia Shang e Zhou, che insieme rappresentano le tre dinastie della Cina antica (Roberts J. A. G., 2011). Segue la dinastia dei Qin, formatasi nella valle del fiume Weihe, che grazie alla guida del suo primo Imperatore, riuscì a: espandere i territori del regno sia a Nord-Ovest che a Sud, verso l’attuale Vietnam; riformare l’organizzazione regionale e amministrativa; dare avvio a importanti opere pubbliche come canali per migliorare l’irrigazione delle terre del regno. La politica dei lavori pubblici, soprattutto idraulici, divenne un compito prioritario per lo Stato che, proprio durante questa dinastia, uscì dall’ambito regionale e assunse una dimensione nazionale che non verrà mai meno (Corna Pellegrini G., 1982). Nonostante l’importanza che l’epoca Qin ebbe, la maggioranza dei cinesi afferma di discendere dagli «han», che fa appunto riferimento alla dinastia Han (durata dal 206 a.C. al 200 d.C.), tant’è che le minoranze etniche attualmente presenti in Cina rappresentano orientativamente l’8% della popolazione (Roberts J. A. G., 2011). La dinastia Han si divide in Han anteriori (206 a.C – 9 d.C.) e Han posteriori (23 – 220 d.C.) ed ebbe inizio con Liu Bang il quale, già re di Han, divenne Imperatore usando il 2 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina nome del proprio Stato come titolo della nuova dinastia e, pertanto, fu chiamato imperatore Gaozu. Il periodo degli Han anteriori fu particolarmente florido, soprattutto all'epoca del regno di Wudi (141 a.C. – 87 a.C.) durante cui la dinastia degli Han raggiunse il suo apogeo. Difatti, con gli Han si ebbe uno slancio espansionistico eccezionale, sia sotto il profilo delle conquiste territoriali, che dello sviluppo di grandi opere pubbliche, strategiche ed economiche (Sellier J. 2010). Durante questa dinastia, considerate anche le penetrazioni in Corea del Nord e in Manciuria, il regno cinese raggiunse un’elevata estensione che andava dal Mar del Giappone al bacino del Tarim, allo Yunnan al Vietnam centrale. Con queste conquiste, gli Han acquisirono ricchezze, conoscenze e fama addirittura mondiali, raggiunta anche grazie ad una notevole attività commerciale con l’estero, in particolar modo con l’Occidente romano, l’India e l’Asia subtropicale. Sempre in questo periodo l’economia agricola cinese iniziò a mostrare le sue caratteristiche più tipiche, ovvero una coltura intensiva con avanzate tecniche di irrigazione e di selezione dei semi; una classe contadina libera particolarmente attiva, in grado di produrre surplus di beni primari da poter poi rivendere sul mercato; un gruppo di contadini che integrava il proprio reddito con l’artigianato domestico; una forte vulnerabilità ambientale, intesa in termini di esposizione a calamità naturali che impattavano pesantemente sulla produzione agricola; un sistema latifondista sfruttatore (Roberts J. A. G., 2011). Il periodo degli Han anteriori gode di un notevole sviluppo economico e commerciale, nonché urbano e culturale. In questi secoli i grandi testi antichi, e in particolar modo quelli dell’epoca di Confucio, riacquistano valore e sono sempre più studiati. Difatti, lo studio dei classici rappresentò la base dell’educazione di tutti gli impiegati nell’amministrazione imperiale. Il confucianesimo divenne, perciò, l’ideologia ufficiale che forgiò la società cinese da quel momento in poi. Trattasi di una filosofia che pone l’accento sulla pietà filiale e sugli obblighi reciproci tra superiori e inferiori (che può essere padre/figlio, capo/subalterno, etc.), ma anche tra amici. Il confucianesimo servì a formare sentimenti 3 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina tipici della società cinese quali la lealtà verso i propri capi, il rispetto dell’ordine stabilito e una serie di obblighi morali validi sia per la popolazione sia per l’imperatore stesso, tenuto a dare l’esempio e governare in maniera retta e nell’interesse dello Stato, pena la perdita del «mandato celeste». La dottrina del «mandato celeste» – derivante dalla cosmologia cinese che leggeva delle relazioni tra fenomeni celesti, la natura e la società – ideata dagli Zhou, acquistò con gli Han un significato confuciano: sebbene l’imperatore dovesse sempre mostrare di essere degno di governare il paese, doveva servirsi del supporto dei consiglieri che avevano il compito di illuminarlo. Le istituzioni definite durante i Qin prima, e nel periodo degli Han poi, sono rimaste alla base del pensiero politico cinese fino al XIX secolo: l’imperatore era il detentore del potere assoluto, aveva anche il monopolio dell’eventuale ricorso alla violenta, mentre in campo civile, il suo potere era moderato dall’apparato amministrativo (Sellier J. 2010). Il potere degli Han anteriori fu messo in crisi dalla morte di Wudi e dalle dispute per la sua successione, che portarono a una temporanea sospensione della dinastia Han e l’inizio del governo di Wang Mang, (9 – 23 d.C.) che nel 9 d.C. usurpò il trono e si autoproclamò imperatore della dinastia Xin. Il suo regno non durò comunque molto, principalmente per due motivi: a causa delle riforme radicali che avevano impattato negativamente sul popolo e per la deviazione del fiume Giallo che provocò ingenti vite umane. Questa serie di disastri naturali e politici furono i fattori scatenanti di una ribellione popolare il cui unico obiettivo era la restaurazione degli Han, che si ebbe nel 25 d.C. (Roberts J. A. G., 2011). Il regno degli Han posteriori fu, però, caratterizzato a sua volta da profonde crisi agricole, disordini e ribellioni contro un sistema di governo ormai incapace di fronteggiare i problemi amministrativi, demografici ed economici che un regno di tali dimensioni comportava. Così nel 220 d.C. terminava la dinastia degli Han e con essa crolla anche l’Impero, che fu ricostruito solo verso la fine del VI secolo dai Sui (Corna Pellegrini G.,1982). 4 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina Il periodo di divisione e di lotte che seguì la caduta degli Han si prolungò per poco più di tre secoli, portando alla divisione della Cina in cinque principali unità politiche. Questa situazione di frazionamento territoriale e rivalità politica fu risolta dalla dinastia dei Sui che, insieme agli imperatori della dinastia Tang, riucirono a riunire la Cina e a registrare un periodo di straordinario splendore che durò per circa tre secoli. Nel X secolo terminava l’impero Tang e iniziava un periodo di grandi turbolenze politiche e di alternanze al potere, interrotto soltanto dalla conquista mongola della Cina. L’arrivo dei Mongoli aprì una nuova fase storia per la Cina e per il suo assetto geografico: si riavviarono, infatti, gli antichi rapporti tra il mondo cinese e quello delle steppe settentrionali, da sempre interessati alla ricchezza della Cina e alla sua superiore organizzazione sociale. Quando i successori di Gengis Khan, fondatore della supremazia mongola e del grande impero euroasiatico del tempo, rivolsero le loro mire sulla Cina, questi riuscirono a portare a compimento gli obiettivi espansionistici molto più lentamente rispetto alle altre conquiste territoriali. Iniziata nel 1206, la conquista di tutto il territorio cinese terminerò soltanto nel 1279. Sebbene profondamente odiati dalla maggioranza dei Cinesi, sotto la dominazione mongola la Cina registrò una forte crescita urbana ed economica, va riconosciuto ai Mongoli il merito di aver saputo stimolare gli scambi tra Nord e Sud della Cina, i rapporti con l’Asia centrale e la crescita del commercio marittimo. In questi anni la Cina si aprì alle influenze straniere, sotto il profilo religioso, culturale come anche commerciale. Mai come in questo periodo le conquiste della più avanzata tecnologia cinese penetrarono in Occidente, soprattutto tramite la mediazione islamica. Fu con il commercio estero che l’Europa iniziò a conoscere la cultura e i costumi orientali, tra cui l’uso delle spezie per scopi alimentari, dando origine delle prime imprese coloniali in questa parte del globo (Corna Pellegrini G.,1982). I primi contatti tra Occidente e Cina si ebbero con l’arrivo dei Portoghesi che nel 1514, dopo aver conquistato Malacca cercarono di aprire un dialogo con le autorità imperiali Ming, nel frattempo già avvisate dagli emissari del sultano di Malacca della pericolosità e 5 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina rapacità portoghese. Il commercio con gli Europei fu quindi vietato, ciò nonostante fu comunque praticato clandestinamente dai Cinesi del Sud. Nel 1535 i Portoghesi si impossessarono di Macao e vi fondano una colonia dal 1550. L’audacia portoghese fu accompagnata da un fortuito disinteresse cinese in quell’area, a causa delle maggiori preoccupazioni provocate dalla pirateria giapponese che minacciava il litorale dallo Shandong al Guangdong. A differenza dell’India che, con le sue millenarie tradizioni di commercio marittimo, integrò perfettamente sul proprio territorio le basi commercianti straniere nel tessuto economico locale, la Cina si oppose allo scambio di qualsiasi prodotto con gli stranieri, considerati inutili e dannosi. Tuttavia la Gran Bretagna, divenuta dopo le guerre napoleoniche la massima potenza mondiale, considerava umiliante l’impossibilità di scambi commerciali con la Cina e decise, quindi, di imporre in qualche modo la propria presenza e lo fece tramite l’oppio. Finalmente gli Occidentali trovarono una merce di scambio con i Cinesi: l’oppio, il cui consumo stava incrementando sempre più tra la popolazione. Nonostante i drastici provvedimenti che l’autorità imperiale cinese prese per troncare il traffico di questa droga, gli Inglesi ne imposero l’importazione, scatenando da parte cinese una reazione tanto violenta quanto inutile. La Guerra dell’oppio (1840-1842) si concluse con la totale sconfitta della Cina che fu costretta a cedere, con il Trattato di Nanchino, una serie di autorizzazioni commerciali in diverse città della Cina nonché il controllo su Hong Kong. Trattati simili furono poi firmati anche con Americani e Francesi, mentre i Portoghesi ottennero concessioni mai avute prima a Macao. Successivamente alla Guerra dell’oppio gli interessi stranieri cominciarono ad avanzare nell’economia e nella società cinese, utilizzando per circa un secolo la collaborazione della classe burocratica-borghese. Intellettualmente impreparata e incapace di fronteggiare i nuovi eventi, essa si prestò alla penetrazione economica straniera, rimanendo però essenzialmente disinteressata alla conoscenza dell’Occidente, almeno per i primi due decenni dopo il conflitto. 6 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina La resistenza intellettuale e culturale dei cinesi limitò il processo di occidentalizzazione ad un’area marginale del paese, lungo la costa marittima comprendente Hong Kong e i porti aperti dai recenti trattati con i paesi occidentali. Nel resto dell’impero il sistema economico era ormai stagnante, quasi fondato sull’autosufficienza, provato dall’elevata pressione demografica. Numerose inondazioni e altrettante carestie flagellano il paese, provocando ribellioni contadine in quasi tutte le province, ma in particolar modo nel Sud, dove più debole era il controllo imperiale e più forte, invece, l’influenza straniera. La grande rivolta dei Taiping, formatasi in alcune comunità agricole del Sud intorno al 1850, s’ispirava a principi nazionalistici in un certo senso egualitari e collettivistici, che anticiparono molti dei concetti guida della Cina comunista. Il movimento dei Taiping era contro l’ordine costituito e contro la dinastia Qing, ma essendo privo di uomini in grado di guidare i territori sotto controllo e militarmente inferiori, fu sconfitto dalle truppe imperiali, che nel 1864 occuparono Nanchino, capitale dei ribelli. Altre rivolte minori e più brevi scoppiarono tra il 1850 e il 1860, dando la misura della crescente debolezza del potere centrale e dello scontento popolare. La dinastia Qing, allora al potere, si trovava quindi in una situazione di gravissima crisi politica e sociale: milioni di morti causati da calamità naturali, carestie, guerre e rivolte misero in ginocchio la popolazione. Nonostante l’elevata tensione nell’impero, il governo di Pechino riuscì a imporre intorno agli anni Sessanta del 1800 una «restaurazione» della dinastia, attraverso una serie di riforme agrarie, di opere pubbliche (soprattutto nel settore idrico), la concessione di prestiti e la riduzione delle tasse. Venne così a crearsi, per un breve periodo, un certo equilibrio tra risorse economiche e popolazione. Una calma che durò poco, perché restava irrisolta la delicata questione dei rapporti con gli stranieri, ulteriormente aggravata dalla recrudescenza degli imperialismi russi, giapponesi e francesi che scatenarono conflitti in quei territori, talora dal confine incerto, che erano da tempo legati alla Cina, come Tibet, Corea, penisola indocinese e Taiwan (Corna Pellegrini G.,1982). La Francia ottenne il Vietnam; il Giappone riuscì ad 7 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina ottenere nel 1894 Taiwan, le Pescadores e il Liaodong. Gli anni che seguirono furono segnati dal colonialismo in Cina: tutte le grandi potenze accorsero per accaparrarsi una porzione di territorio o cessioni amministrative per imporre la propria influenza. Processo che determinò lo smembramento del territorio cinese. La Gran Bretagna ottenne Shanghai, Hong Kong e altri porti delle coste settentrionali e meridionali, la Germania lo Shandong; la Francia la parte sud-ovest dei territori cinesi, il Giappone Taiwan e il Fujian, la Russia la Manciuria (Sellier J., 2010). La guerra russo-giapponese (1905) modificò relativamente questa diposizione d’influenza, assicurando al Giappone – nuova potenza imperialista dell’area – il controllo anche sulla Manciuria (Corna Pellegrini G.,1982). Alla fine degli anni Novanta del XIX secolo il malcontento raggiunse nuovamente livelli molto elevati. I contadini individuarono la causa delle loro povertà negli stranieri e nel cristianesimo, in quanto considerati colpevoli di voler sovvertire l’ordine stabilito. Le prime rivolte si ebbero nello Shandong, dove la società segreta dei «pugni della giustizia e della concordia», altresì nota come Boxer, iniziò a utilizzare metodi violenti contro stranieri, missionari, Cinesi convertiti al cristianesimo, etc. In breve tempo i Boxer divennero una forza importante e nella primavera del 1900 attaccarono le legazioni straniere di Pechino e Tianjin, ma le truppe internazionali ebbero rapidamente la meglio. Nel 1901 la Cina firmò il «protocollo dei Boxer» che sanciva la punizione dei responsabili della rivolta e il pagamento di una pesante indennità: la Cina rinunciava ai ricavati delle dogane marittime che da quel momento in poi sarebbero state versate a un gruppo di banche occidentali, mentre alle autorità di Pechino spettò solo il surplus eventualmente prodotto (Sellier J., 2010). 6.2. La Cina tra Repubblica e Rivoluzione Dopo il 1901 il governo imperiale tentò di adottare una serie di riforme, in parte ispirate al modello giapponese. In tal atte si procedette: alla modernizzazione del sistema scolastico e militare; alla creazione di camere di commercio per sviluppare le attività commerciali; alla concentrazione del potere supremo nelle mani dell’imperatore conservò, proprio come 8 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina accadeva in Giappone, senza però escludere una possibile evoluzione costituzionale (Sellier J., 2010) Ciò nonostante, le riforme non riuscirono a ridare prestigio al potere centrale, la dinastia Manciù di dimostrò incapace di promuovere un processo di riscossa nazionale così come verificatosi in Giappone con la «restaurazione Meiji». L’effetto prodotto fu, invece, quello di preparare il terreno per l’avanzata di un movimento di ispirazione democratica e occidentalizzante. Nel 1905, un medico di Canton, Sun Yat-sen fondò un’organizzazione segreta, il Tongmenghui («Lega di alleanza giurata») avente un programma basato essenzialmente su tre principi: • indipendenza nazionale; • democrazia rappresentativa; • benessere per tutto il popolo. La Lega di Sun Yat-sen raccolse molti seguaci, in particolar modo tra gli intellettuali, gli ufficiali dell’esercito e il proletariato industriale, quest’ultimo formatosi in alcuni grandi agglomerati urbani, in primis a Shanghai. A ciò si aggiunga che il movimento conquistò anche le simpatie di una parte dell’esigua borghesia imprenditoriale cinese, non ancora legata agli interessi commerciali delle potenze straniere. La corte imperiale tentò invano di posticipare, o quanto meno limitare, il processo di modernizzazione. Nell’ottobre del 1911 il governo decise, comunque, di affidare a imprese straniere il controllo della rete ferroviaria cinese. La decisione provocò la ribellione nelle province centro-meridionali e l’ammutinamento di alcuni reparti dell’esercito. Queste sommosse furono il frutto di diversi fattori: 1) le idee del Tongmenghui si erano diffuse, soprattutto tra i militari; 2) le élite moderate avevano modificato il proprio sistema di lealtà, avendo ormai realizzato l’incapacità dell’Imperatore e del suo governo nel gestire il paese; 3) la rete telegrafica (installata dagli Occidentali) favorì una più rapida trasmissione delle 9 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina informazioni tra le capitali provinciali. La rivoluzione del 1911 iniziò, infatti, nelle città e non nelle campagne. All’inizio del 1912 la rivolta prese talmente piede che la dinastia Manciù fu dichiarata deceduta e un governo repubblicano provvisorio si formò a Nanchino, nominando Sun Yatsen Presidente della Repubblica. Nel frattempo Yuan Shikai fu inviato dalla corte imperiale, ancora per poco al potere, a domare la rivolta, ottenendo in cambio la nomina a Primo Ministro con pieni poteri (Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). A questo punto della rivoluzione le forze riformatrici moderate, che speravano in una stabilità politica per evitare rivolte contadine, spinsero il governo di Nanchino a intraprendere negoziati con Yuan Shikai, il cui risultato fu la carica a Presidente della Repubblica a favore di Yuan Shikai qualora fosse riuscito a far cadere la dinastia Manciù. Cosa che si verificò nel 1912, anno che segnò anche il ritiro di Sun Yat-sen. Il più antico impero del mondo crollava, mentre nella neonata Repubblica fiorivano le libertà politiche: di stampa, di associazione, etc. il Tongmenghui divenne Guomindang (Partito Nazionalista – GMD), fu adottata una nuova Costituzione (sulla falsa riga di quella americana) e si svolsero normali elezioni. Tuttavia Yuan Shikai era fondamentalmente un conservatore, cosà che impatto pesantemente sulla vita dell’appena costituita Repubblica, poiché il fragile compromesso tra GMD e conservatori si ruppe nel giro di pochi mesi. Nel 1913 il nuovo Presidente sciolse il Parlamento appena eletto, bandì il GMD, costrinse Sun Yat-sen all’esilio e instaurò una dittatura personale supportata dalle potenze occidentali, i cui privilegi rimasero invariati. Il regime di Yuan Shikai non riuscì, però, a garantire quella stabilità politica e la pace sperata da molte parti della società cinese. Al contrario, con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, la Cina fu ancora più vulnerabile, in quanto le potenze occidentali distratte dal conflitto in territorio europeo, lasciarono ampio margine di azione al Giappone che nel 1915 inviò le cosiddette «ventuno richieste» – che prevedevano ad esempio il controllo della Manciura del sud, dello Shandong, concessione delle reti ferroviarie, etc. – che con 10 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina riluttanza furono accettate dalla Cina tramite Shikai (Sellier J., 2010). A peggiorare la posizione fu poi la Conferenza di Versailles dove, sebbene vi partecipò in qualità di Stato vincitore, la Cina subì una pesante umiliazione dalle grandi potenze occidentali, le quali riconobbero al Giappone il diritto di subentrare alla Germania sconfitta nel controllo economico dello Shandong. Questa ennesima umiliazione provocò la rinascita dei sentimenti nazionalisti in Cina, che si organizzarono nuovamente attorno al GMD e a Sun Yat-sen, che nel frattempo era tornato dall’esilio (Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). Di fatto, però, il potere passò nelle mani dei militare che si divisero in fazioni rivali e lottarono per il controllo delle istituzioni centrali. Alcuni dei capi militari provinciali divennero talmente potenti dal far coniare il nome di «signori della guerra», contro i quali si scatenò in parte il movimento rivoluzionario del 1919 (Sellier J., 2010). Nel maggio del 1919 scoppiarono una serie di dimostrazioni di protesta iniziate nelle università e poi propagatesi in tutte le grandi città. Alla base di questa enorme protesta vi era la gioventù intellettuale alleatasi con la nascente borghesia industriale e commerciale, nonché con i gruppi di operai operanti in quelle regioni del paese dove più forte fu la penetrazione straniera. Queste fazioni avevano, quindi, in comune la lotta all’imperialismo delle grandi potenze e l’avversione contro un governo centrale ormai incapace e il gruppo dei «signori della guerra», entrambi espressione di un sistema politico e sociale di estrazione terriera che dominava nelle campagne. Il movimento concentrò i suoi sforzi contro l’amministrazione di Sun Yat-sen – che nel 1921 diede vita ad un nuovo governo a Canton – e riuscì ad avere l’appoggio del neonato Partito comunista cinese (PCC) – anch’esso formatosi nel 1921 e di cui faceva già parte Mao Tse-tung – che dopo l’iniziale esperienza nazionalista, furono profondamente influenzati dall’esempio della rivoluzione russa e ne acquisirono molte delle caratteristiche e ideologie. La stessa Unione Sovietica entrò a far parte attivamente dell’evoluzione politica della Cina di quegli anni, appoggiando la causa di Sun Yat-sen attraverso l’invio di aiuti economici e militari e inducendo il PCC ad aderire al blocco de GMD. 11 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina L’alleanza tra nazionalisti e comunisti non durò a lungo, non oltre la morte di Sun Yatsen. Chang Kai-shek, succedutogli alla guida del GMD, era meno accomodante verso le istanze di riforma sociale dei comunisti e sicuramente li trattava con molta più diffidenza rispetto al suo predecessore. Le prime tensioni iniziarono a manifestarsi nel 1926 in concomitanza della campagna militare di riunificazione mossa contro il governo «legale» di Pechino (ai tempi riconosciuto come tale dalle potenze occidentali), ed esplosero definitivamente l’anno successivo. Nel 1927 a Shanghai, centro vitale dell’industria cinese e roccaforte dei comunisti, le milizie operaie, le quali da sole erano riuscite a liberale la città, non avevano alcuna intenzione di deporre le armi e sottomettersi al governo di Chang Kaishek, che decise quindi di reprimere violentemente la rivolta. La medesima sorte toccò ad un’insurrezione a Canton – anch’essa conclusasi in un bagno di sangue. Da quel momento, i comunisti furono cacciati dal GMD, che saranno poi nominati «nazionalisti», mentre il PCC divenne un partito fuori legge e molti suoi dirigenti furono incarcerati. Chang Kai-shek creò un nuovo governo a Nanchino nel 1927 e un anno dopo uscì vittorioso dalla lotta contro il governo di Pechino. A questo punto il nuovo leader dei nazionalisti tentò di riorganizzare il paese in base a modelli occidentalisti (da cui era profondamente attratto) caratterizzati da profonde venature di autoritarismo. I suoi obiettivi si scontravano con la difficile gestione di uno Stato immenso e profondamente diviso: da un lato c’erano i comunisti che, cacciati dalle città, si riorganizzarono nelle campagne dove fondarono delle «basi rosse»; dall’altro sopravvivevano i progetti autonomisti dei «signori della guerra», supportati dai Giapponesi che non avevano ancora rinunciato alle loro mire espansionistiche nella regione. Nel 1931, usando come scusa un incidente di frontiera, il Giappone invase la Manciuria e la tramutò in uno Stato-fantoccio, il Manchu-kuo, che sarebbe servito come base per un’ulteriore espansione nipponica sul continente. L’inerzia del governo nazionalista e lo scarso appoggio delle potenze occidentali (la Società delle Nazioni si limitò ad una semplice condanna dell’accaduto) diedero nuova linfa vitale all’azione comunista, che potè fare leva sulle masse contadine presentandosi come gli unici difensori degli interessi nazionali. All’inizio degli anni Trenta i comunisti avevano già 12 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina numerosi seguaci nella società rurale e fondarono addirittura una «Repubblica sovietica cinese». Costretto a combattere su due fronti, da un lato i Giapponesi dall’altro i comunisti, Chang Kai-shek decise di dare priorità a questi ultimi e lanciò una serie di sanguinose campagne militari nelle zone sotto controllo comunista, i quali non aspettando tanta violenza dovettero ripiegare su se stessi e abbandonare molte delle loro posizioni. Nell’ottobre del 1934 circa 100.000 comunisti localizzati nel Sud del paese si trasferirono in massa verso le regioni settentrionali dello Shanxi. Passata alla storia come la «Lunga Marcia», la migrazione durò un anno e vide arrivare a destinazione solo 10.000 persone, fra cui, grazie alla guida di Mao Tse-tung – diventato il leader del partito – anche il nucleo dirigente comunista. Mao Tse-tung riuscì anche a ricostituire la sua «Repubblica sovietica» proprio nelle zone in cui elevata era la minaccia giapponese. Nel 1936 ci fu un nuovo attacco di Chang Kai-shek contro i comunisti, ma dovette affrontare anche la dissidenza di parte dell’esercito, che chiedeva la fine della guerra civile e l’unione delle forze nazionali per fronteggiare la minaccia giapponese. Fu così che fu creato il «Fronte unito» nel 1937 grazie ad un accordo stipulato, sotto gli auspici dell’URSS, tra nazionalisti e comunisti avente come unico nemico il Giappone. Tuttavia, quest’ultimo già nell’estate del 1937, prima che l’accordo potesse diventare operativo, sferrò un attacco dalle nefaste conseguenze: dopo due anni di guerra, il Giappone controllava gran parte dell’area litoranea, tutto il Nord-est industrializzato e quasi tutte le principali città della Cina (Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). La supremazia militare giapponese fu mantenuta fino al 1943, nonostante le varie controffensive organizzate dal fronte cinese e, in particolar modo, dalla compagine comunista. È proprio in questi anni che Mao adattò il marxismo-leninismo al contesto cinese, dando vita al cosiddetto «pensiero Mao Tse-tung», o semplicemente «maoismo». La svolta nelle sorti del conflitto cino-giapponese si ebbero con l’evoluzione della Seconda Guerra Mondiale che condusse alla totale sconfitta del Giappone. 13 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina Nel post Seconda Guerra Mondiale il sistema di alleanze risultò alquanto complesso: da un lato, c’era l’URSS che aveva siglato un accordo di alleanza con i nazionalisti ma allo stesso tempo lasciò che i comunisti penetrassero nella Manciuria; dall’altro, gli USA – sebbene sostenessero una riconciliazione tra nazionalisti e comunisti – appoggiarono sempre il governo di Chang Kai-shek, in quanto considerato un fattore di stabilità nell’Estremo Oriente dopo la sconfitta giapponese. Fu così che la Cina divenne, nell’ottobre 1945, membro fondatore dell’ONU ed ottenne un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza (Sellier J., 2010). All’indomani della capitolazione giapponese, la Cina versava ancora in una situazione di guerra civile rimasta latente nonostante gli sforzi di riconciliazione degli Americani nel 1946. La guerra civile riesplose, quindi, immediatamente con i tentativi di riconquista della Manciuria da parte dei nazionalisti. È possibile dividere per grandi linee la guerra civile in tre fasi: 1. dal luglio 1946 a giugno 1947, durante cui vi fu una netta avanzata nazionalista che occupò le principali città della Manciuria e ampie zone della Cina settentrionale; 2. dal giugno del 1947 fino all’autunno 1948, caratterizzata da un susseguirsi di successi e di riconquiste territoriali da parte dell’«Armata popolare di liberazione» – nome che i comunisti diedero alle loro truppe armate; 3. dall’autunno 1948 alla primavera del 1949, vittoria comunista e ritirata dei nazionalisti (Roberts J. A. G., 2011). Il 1° ottobre 1949 Mao proclamò a Pechino la Repubblica Popolare di Cina, mentre nel dicembre Chan Khai-shek e il suo governo si rifugiavano a Taiwan. I primi interventi adottati durante gli anni Cinquanta riguardavano la progressiva nazionalizzazione del settore industriale-commerciale e la collettivizzazione dell’agricoltura. Già con la riforma agraria del 1950 Mao aveva redistribuito le terre fra i contadini, formando così aziende agricole, poi obbligate a riunirsi in cooperative di fatto controllate dallo Stato. Tuttavia il settore agricolo stentava a decollare, a differenza del settore industriale che, invece, registrava una rapida crescita – pari circa al 20% annuo. Pertanto, per promuovere un rilancio della produzione 14 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina agricola in tempi brevi, il governo Mao varò nel maggio del 1958 il programma definito del «Grande Balzo in Avanti», che avrebbe dovuto realizzarsi grazie ad una generale razionalizzazione economica ma, soprattutto, in virtù di un gigantesco sforzo collettivo. Il programma obbligò le cooperative a riunirsi in agglomerati più grandi, le comuni popolari, ciascuna delle quali doveva ottenere l’autosufficienza economica, anche attraverso la realizzazione di tutto ciò che era necessario alla produzione. L’esperimento fu però totalmente fallimentare, provocando pensati ripercussioni sul piano interno, poiché diede forza alle fazioni più moderate del partito (Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). Non avendo un controllo del PCC tale da permettergli di epurare le parti moderate, Mao si avvalse dell’esercito per sconfiggere i nuovi contendenti al potere, mobilitando le generazioni più giovani a ribellarsi contro quei dirigenti comunisti che stavano percorrendo la «via capitalistica». La mobilitazione culminò tra il 1966 e il 1967 con la «rivoluzione culturale» composta essenzialmente da giovani che, richiamandosi all’autentico pensiero di Mao, combattevano ogni potere burocratico, tecnicismo e chiunque fosse sospettato di non credere pienamente del comunismo. L’intento era di provocare un radicale mutamento nella culturale e nella mentalità collettiva e di superare in questo modo tutti gli ostacoli che si frapponevano alla realizzazione del comunismo. La rivoluzione si esaurì, per stessa decisione di Mao, nel giro di due o tre anni, in concomitanza anche dell’inizio della lotta intestina per la successione a Mao. Sebbene il principale candidato sembrasse essere Lin Biao – capo dell’esercito – le intenzioni di Mao di ridurre il peso dei militari, favorirono Zhou Enlai, che coprì il ruolo di Primo Ministro ininterrottamente dal 1949 (Sellier J., 2010). Fu, infatti, Zhou a dare avvio negli anni Settanta ad una politica di normalizzazione della Cina anche sotto il profilo internazionale, resasi necessaria dopo il prolungato isolamento economico e diplomatico del paese. Furono così instaurati i primi rapporti con gli USA, sanciti da un viaggio del Presidente Nixon a Pechino nel 1971 e dall’ammissione all’ONU della Cina comunista – che subentrò alla Cina nazionalista. Cominciava, così, un periodo di transizione destinata a sfociare, dopo la morte 15 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina di Mao e di Zhou Enlai (avvenute nel 1976), in un radicale cambiamento della Cina (Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). 6.3. Da Xioaping ad oggi La morte di Mao, il 9 settembre 1976, sancì per la Cina la chiusura di un’epoca e l’inizio di un processo di radicale trasformazione, che fu denominato «demaoizzazione» il cui principale artefice fu Deng Xiaoping, anziano esponente del gruppo dirigente storico comunista, emarginato durante la rivoluzione culturale, perché favorevole ad una linea più moderata. Salito al potere effettivamente nel 1978, Deng Xiaoping capovolse la linea collettivista ed egualitaria di Mao e promosse una serie di profonde modifiche, soprattutto sotto il profilo economico. Tra i più gravi problemi della Cina vi erano l’estrema povertà in cui versava la maggior parte della popolazione e un sistema industriale ormai obsoleto. Fu per contrastare questo ritardo che fu lanciato il programma delle «Quattro modernizzazioni» che mirava a promuovere il progresso nel settore agricolo, industriale, militare, scientifico e tecnologico. Quando questo programma prese piede, i maggiori interventi vennero effettuati nel primo settore, in cui fu applicato il cosiddetto sistema di responsabilità, secondo cui la famiglia o il piccolo gruppo di famiglia deteneva la responsabilità della produttività di un determinato appezzamento di terra concessogli dalle organizzazioni collettive proprietarie. Dei livelli minimi di produzione venivano fissati e nel caso l’obiettivo venisse superato, la famiglia era ricompensata degnamente, in alcuni casi concedendo addirittura la possibilità di vendere privatamente il surplus prodotto. Il sistema si evolse ulteriormente verso la fine degli anni Ottanta, quando il governo decise di aumentare le possibilità per i contadini di accedere al commercio privato. Fu, pertanto, deciso di assegnare fino al 15% del totale dei terreni disponibili a privati contadini che avrebbero potuto utilizzare questi terreni come appezzamenti privati. In altre parole, gli 16 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina agricoltori non sarebbero stati responsabili nei confronti del governo dell’uso che facevano dei terreni loro distribuiti: potevano piantarvi quello che volevano e decidere di venderne la produzione allo Stato o a privati. Nel 1984, inoltre, il governò annunciò che quasi tutta la terra sarebbe stata distribuita ai contadini su base temporale di quindici anni. Questo provvedimento determinò la fine dell’agricoltura collettivizzata. Sotto il profilo industriale, anche il settore secondario ebbe un’evoluzione quasi capitalistica. Chi avesse intenzione di investire in Cina, aprire una nuova attività propria, assumere lavoratori e ottenere profitto, era libero di farlo. Possibilità che fu concessa non solo alla popolazione nazionale ma anche agli stranieri. Nel 1980 furono create quattro «zone economiche speciali» in cui era garantito agli investitori stranieri il diritto di costruire impianti produttivi, usando manodopera cinese, al fine di produrre bene destinati all’esportazione. Se da un lato questa riforma mirava all’importazione di macchinari moderni, conoscenze e competenze che avrebbero qualificato i lavoratori cinesi, dall’altro si mirava ad aprire una possibilità verso la riunificazione con Hong Kong e Taiwan. Le «zone economiche speciali» erano, infatti, situate lungo la costa della Cina in posizioni molto vicine ad Hong Kong e Taiwan, appunto (Fiori A., 2010). In generale, la popolazione cinese assistette a una veloce introduzione di elementi di economia di mercato che, però, provocò numerose trasformazioni nella stratificazione sociale – si crearono nuove classi privilegiate di piccoli imprenditori, tecnici e commercianti – nella mentalità e nei costumi del popolo, soprattutto tra le generazioni più giovani dove penetrarono rapidamente modelli di tipo consumistico. Fu proprio il contrasto tra modernizzazione economica (per certi aspetti traumatica) e la conservazione di un potere autoritario che provocò l’insorgere di nuovi e spontanei movimenti di protesta, soprattutto tra gli studenti universitari che iniziarono a demandare maggiore democrazia e libertà (Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). Tutto ebbe inizio nel dicembre 1986 quando a Hefei si formò un movimento di protesta studentesco contro la presunta manipolazione delle elezioni per i congressi popolari, il movimento si estese velocemente a Shanghai e Pechino e agli studenti si aggregarono altri 17 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina gruppi sociali che invocavano la democrazia. Questa fu la prima dimostrazione studentesca nella storia della Repubblica Popolare non promossa o esplicitamente incoraggiata dal PCC. Nell’aprile del 1989 moriva Hu Yaobang, che il popolo innalzò a sostenitore della democrazia. Gli studenti dell’Università di Pechino organizzarono delle dimostrazioni per commemorarlo e per protestare contro il governo (Roberts J. A. G., 2011) chiedendo maggiori livelli di democrazia. Migliaia di studenti iniziarono ad ammassarsi in Piazza Tian’anmen dal 17 aprile 1989, un’occupazione durante cui fu redatto un documento contenente una lista di richieste (ad esempio maggiore libertà, controllo dell’inflazione, etc) che venne categoricamente respinta dal governo. Anzi, nell’aprile il PCC produsse e divulgò un documento in cui descriveva il movimento studentesco come una minaccia al sistema cinese e alla crescita registrata fino ad adesso e incitava, quindi, la popolazione a supportare il governo. Al contrario, la reazione prodotta fu un inasprimento della reazione studentesca e la crescita del numero di persone unitasi alla protesa. La rimostranza assunse caratteristiche e diffusione inaspettate. Gli studenti iniziarono lo sciopero della fame e i moderni strumenti di comunicazione permisero una diffusione capillare degli eventi di piazza Tian’anmen, che indussero altri studenti di differenti università ad unirsi alla protesta. Dopo un’iniziale incertezza del governo, fu deciso di porre fine a questo movimento con l’esercito che fu inviato il 19 maggio e il 3 giugno, provocando un vero e proprio massacro (il numero delle vittime si aggira intorno a 3.000 persone) i cui effetti si protrassero per lungo tempo. Infatti, il progresso economico subì una prima battuta d’arresto a causa delle critiche interne al PCC e all’indebolimento dei rapporti commerciali con l’Occidente, rimasto sdegnato dalla violenza di quegli eventi. Il complesso degli effetti post 1989 rischiavano di mettere a repentaglio il successo del processo di modernizzazione avviato da Deng, minaccia che lo spinse a fare un viaggio nella Cina Meridionale dove rilanciò la riforma economica e l’apertura attraverso le zone economiche speciali. Consapevole degli attriti interni al PCC (che stavano tentando di reintrodurre un governo centralizzato) Deng Xiaoping annunciò che anche la Cina avrebbe 18 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina seguito un processo riformatore definibile come «economia socialista di mercato» che stava ad indicare la capacità del sistema economico cinese di saper mixare elementi di mercato nell’economia pianificata. In altre parole, un rafforzamento del mercato (fine dei controllo sui prezzi, riduzione dei lavoratori impiegati in imprese statali) a scapito dello Stato pianificatore ( e quindi rafforzamento dell’iniziativa privata) (Fiori A., 2010). Dopo il 1989, sebbene Deng Xiaoping continuò ad esercitare al propria autorità suprema, Jiang Zemin divenne capo del PCC e Li Peng Primo Ministro (Sellier J., 2010). Pertanto, alla morte di Deng – avvenuta nel febbraio del 1997 – non ci furono sanguinose lotte per la successione, ma anzi il passaggio fu scandito da una continuità politica che si potrebbe indicare come l’elemento caratterizzante lo sviluppo della Cina. Dopo Deng, l’esponente di «terza generazione» Jiang Zemin salì al potere diventando famoso per la teorizzazione delle «Tre Rappresentanze» secondo cui il partito ha sempre rappresentato le forze produttive più avanzate, la cultura più avanzata e gli interessi fondamentali della grande massa del popolo cinese. Questa teoria veniva elaborata proprio in periodo in cui il PCC stava in parte perdendo credibilità agli occhi della nazione. Pertanto, la teoria intendeva legittimare la posizione del PCC, in quanto rappresentante di tutti gli elementi della società cinese, tra cui anche quelli più avanzati, ovvero i capitalisti (Fiori A., 2010). Tra i suoi successi è fondamentale ricordare la riannessione di Hong Kong nel 1997 e quella di Macao due anni dopo. Jiang Zemin fu succeduto nel 2002 da Hu Jintao, che fu il primo Segretario Generale del Partito Comunista Cinese ad essere eletto in via pacifica dai tempi della rivoluzione comunista. Membro della «quarta generazione» cresciuta durante la Rivoluzione culturale, Hu Jintato divenne Presidente della Repubblica Popolare Cinese nel 2003 e insieme al Primo Ministro Wen Jiabao hanno portato avanti il progetto della formazione di una «società xiaokang», ovvero in cui la popolazione è in maggioranza sufficientemente agiata. L’obiettivo non era quindi una crescita economica spregiudicata e a tutti i costi, al contrario il Presidente e il Premier adottarono una serie di provvedimenti atti a favorire l’uguaglianza sociale e la salvaguardia dell’ambiente e del patrimonio naturale cinese (Sellier J., 2010). 19 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 6° - Il gigante rosso: la Cina La presidenza di Jintao è stata interessata da parecchie tensioni, alcune ereditate dal passato e che riguardano conteziosi territoriali, come il caso del Tibet – dove forti sono le spinte autonomiste – e la regione dell’Urumqi – dove il programma di migrazione forzata verso le ricche province orientali ha creato seri problemi di integrazione. Altra importante e annosa questione è Taiwan che, nonostante i tentativi cinesi, continua a mantenere la propria sovranità statale. Da molto tempo la Cina continentale vorrebbe far diventare l’isola di Taiwan una regione speciale con un proprio sistema di governo, ma per diversi anni le autorità del PCC hanno dovuto fronteggiare un governo ostile a una simile soluzione. Dal 2008, con la vittoria del rinato Partito del Guomindang i rapporti con la Repubblica Popolare sono migliorati. Attualmente, i viaggi e i rapporti commerciali tra Cina e Taiwan sono diventati liberi, elemento fondamentale per la crescita dell’economia di Taiwan, considerato che la Cina continentale rappresenta uno dei suoi più importanti mercati di riferimento e il principale paese di destinazione dei suoi investimenti (Fiori A., 2010). Dal marzo 2013 il Presidente della Repubblica Popolare Cinese è Xi Jinping, mentre il ruolo di Primo Ministro è coperto da Li Keqiang. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Corna Pellegrini G. (1982), L’Asia Meridionale e Orientale, UTET. Fiori A. (2010), Asia orientale. Dal 1945 ai giorni nostri, il Mulino. Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V. (2002), L’età contemporanea, Laterza. Mazzei F., Volpi V. (2010), La rivincita della mano visibile. Il modello economico asiatico e l’Occidente, Università Bocconi Editore. Mazzei F., Volpi V. (2006), Asia al centro, Università Bocconi Editore. Roberts J. A. G. (2011) Storia della Cina, il Mulino. Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte. 20 Corso di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali INSEGNAMENTO DI STORIA E ISTITUZIONI DELL’ASIA Modulo 7° - L’altro gigante: l’India A cura di Antonietta Pagano Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India SOMMARIO MODULO 7° L’altro gigante: l’India 7.1. L’evoluzione indiana 7.2. L’India da Gandhi alla drammatica partizione 7.3. Mutamenti del XX secolo 1 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India 7.1. L’evoluzione indiana La configurazione fisica dell’India ha di certo influito sulle vicende del popolamento umano e sulla stessa unitarietà dei suoi caratteri, sempre tenendo conto dell’elevata varietà etnica della regione. L’impervia barriera dell’Himalaya, seguita dal Tibet e dal deserto dei Gobi, hanno ostacolato per molti anni i rapporti con l’Asia Nord-orientale. Questa frontiera ha segnato il limite tra due tipi di cultura, quella nomade e quella degli agricoltori stanziali. Prime testimonianze di queste comunità si potrebbero far risalire a circa 8.000 anni fa, quando nella valle dell’Indo si stabilirono le prime popolazioni stanziali, dedite alla coltivazione della terra e all’addomesticazione del bestiame. In questo vasto territorio sorgevano numerose città in concomitanza allo sviluppo delle popolazioni locali, che rapidamente diedero vita ad un inteso flusso commerciale. I primi popoli di cui si può certificare la presenza è quella degli Arya, che penetrarono dal 1500 a.C. progressivamente in tutta la parte settentrionale dell’India. Inizialmente popolo di tribù nomadi, spesso in lotta tra loro, si trasformarono in comunità stanziali e crearono una confederazione di tribù e regni (Sellier J., 2010). Come per molti Stati della regione, anche nel caso dell’India si sono avuti un susseguirsi di regni e dominazioni, più o meno incisivi, che hanno plasmato l’appartato etnico e culturale dell’area, come ad esempio l’Impero dei Maurya, quello dei Gupta e l’invasione degli Unni e dei Turchi. L'incursione turca fu particolarmente violenta, se si considera che dopo le iniziali ma numerose scorrerie, si passò a un’aggressione distruttrice e brutale che portò prima alla conquista dell’India settentrionale e poi all’occupazione di Madura, nell’estremo Sud del subcontinente indiano nel 1310 d.C. (Corna Pellegrini G., 1982). Diverse sono le ragioni atte a spiegare i successi militari dei Mussulmani. In primo luogo la presenza di una cavalleria, cosa che gli assicurò una grande mobilità, a differenza degli eserciti indiani composti fondamentalmente da fanteria ed elefanti, quindi molto più lenti. In secondo 2 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India luogo, i saccheggi commessi dai Mussulmani aggravarono oltremodo lo squilibrio tra i primi e gli Indiani, in quanto i rajah indiani continuavano a perdere le loro ricchezze nella guerra a vantaggio dei mussulmani, che potevano, invece, contare su rinnovate risorse per poter reclutare nuove truppe afghane e turche (Sellier J., 2010). L’invasione turca determinò, inoltre, l’assoggettamento indiano sia sotto il profilo militare che religioso, più specificatamente all’Islam. Particolarmente forte fu la penetrazione negli ambienti rurali, dove la conversione alla religione dell’invasore dava la possibilità di sottrarsi al dominio oppressivo e uscire da una situazione d’inferiorità. Così conversioni di massa si registrarono nel Bengala, nella parte Nord-occidentale e in alcune comunità della pianura del Gange (Corna Pellegrini G., 1982). Questo processo di assimilazione religioso comportò catastrofiche conseguenze, in primis la distruzione di templi indù o buddhisti, sostituiti da santuari e edifici islamici, come le moschee a Delhi e Jaunpur, costruiti secondo uno stile che rappresentava una sintesi tra gli elementi islamici e quelli indù. L’impero turco, detto anche sultanato di Delhi, aveva come obiettivo finale l’unificazione e la centralizzazione dell’India al fine di inserire la regione in un unico sistema economico mondiale composta da Cina ed Europa occidentale, che a quei tempi erano strettamente collegate tra loro da ingenti flussi commerciali. Nonostante le invasioni mongole guidate da Genghis Khan nel XIII secolo e quello di Temerlano nel XIV secolo, l’impero mussulmano riuscì a resistere, senza però ritrovare l’antico splendore. Ormai indebolito e diviso, l’India dei Musulmani fu travolta nel 1536 dall’esercito di Babur – presunto pronipote di Tamerlano – musulmano di rito sunnita il quale, grazie alla superiorità militare dovuta essenzialmente alla polvere da sparo, fondò – nell’area che va dalla valle dell’Indo alla pianura del Gange – l’Impero del Gran Moghul, che si distinse negli anni per lo sviluppo delle arti e delle scienze, oltre che allo spirito di tolleranza che regnò nell’impero. Il più famoso e importante imperatore fu Akbar (1555-1606) che riuscì a estendere il dominio sulla quasi totalità dell’India settentrionale e in parte del Decan. Egli 3 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India tentò, peraltro, di dar vita ad un sistema amministrativo multietnico basato sulla lealtà nei confronti del sovrano utilizzando la cultura persiana come collante ideologico. Cercò, inoltre, senza successo, di fondere islamismo e induismo. Tuttavia, l’esperimento non sopravvisse ad Akbar. In effetti, sebbene la presenza mussulmana si fosse consolidata definitivamente nel subcontinente indiano, in particolar modo nella parte occidentale, l’induismo continuò a scandire la vita dalla maggioranza della popolazione. Gradualmente l’impero si disgregò e gli imperatori furono man mano spodestati dalla crescente presenza occidentale, soprattutto della Gran Bretagna (Mazzei F., Volpi V., 2006). I primi occidentali ad arrivare in India furono i Portoghesi con la fortunata spedizione di Vasco de Gama che nel 1498, che dopo aver circumnavigato il Capo di Buona Speranza, riuscirono a raggiungere Calicut, in India. I Portoghesi avevano intenzione di trarre enormi profitti dal commercio delle spezie, fino a quel momento riservato esclusivamente a Musulmani e Veneziani. È proprio in questo periodo che i rapporti con i primi, già conflittuali, si deteriorarono ulteriormente. I Portoghesi poterono operare indisturbati e acquisirono, di fatto, il dominio sulle rotte commerciali nell’Asia Meridionale, riuscendo a conquistare man mano diversi importanti porti. Tuttavia, il predominio portoghese durò fino alla fine del XVI secolo quando gli Olandesi, approfittando del declino del commercio portoghese, li cacciarono da Malacca e da Colombo (Sellier J., 2010). La Compagnia olandese delle Indie Orientali, fondata dopo solo due anni quella inglese (1600) era decisamente più forte di quella britannica, ai tempi molto piccola. Avviata per il commercio di pepe e altre spezie, successivamente la Compagnia olandese si concentrò sul commercio di tessuti indiani che rivendevano in altre parti dell’Asia. Anche gli Inglesi si inserirono gradualmente in questo settore commerciale, che divenne col tempo altamente redditizio. All’inizio i mercanti inglesi si limitavano a comprare i tessuti offerti dal mercato indiano, ma nel giro di poco tempo iniziarono ad intervenire direttamente sul processo produttivo, insinuandosi nel territorio indiano. Ciò permise alla popolazione inglese operante in India di acquisire un’elevata conoscenza del paese che successivamente risultò fondamentale sotto il profilo politico e gestionale del territorio. 4 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India L’elevata competitività e convenienza dei prodotti indiani indebolì il mercato inglese a tal punto che fu imposto il divieto di importare in Inghilterra tessuti a stampa, al massimo era possibile importare materiali indiani grezzi con l’unico scopo della riesportazione – entravano in Gran Bretagna tessuti in cotone grezzo, dove venivano ricamati per poi essere esportati in India. In questo modo l’economia inglese ebbe modo di riprendersi – il rinnovato slancio del settore manifatturiero fu oltremodo rafforzato dalla Rivoluzione industriale – e in pochi anni fu la Gran Bretagna a rifornire di tessuti l’India. Dal dominio commerciale si passò velocemente a quello amministrativo e giudiziario, dal 1700 in poi si assistette a una rapida diffusione dell’amministrazione giudiziaria inglese, ad esempio. Con l’affermazione del diritto anglo-indiano aumentarono gli avvocati e i giudici indiani, dando vita a quelle classi sociali che successivamente criticarono aspramente la sovranità della Corona inglese, utilizzando proprio i principi del diritto inglese per mettere sotto accusa gli effetti della colonizzazione. Lo spirito missionario con obiettivi civilizzatori presente agli inizi del XIX secolo era ancora forte e gli Inglesi non immaginavano minimamente che i propri coloni indiani, che avevano avuto la possibilità di godere dei benefici della loro civiltà, potessero ribellarsi contro. Cosa che invece avvenne con la grande rivolta del 1857. Originariamente, l’esercito era composto da Indiani – che non potevano ambire alle alte posizioni dell’esercito – e da ufficiali inglesi che avevano una profonda conoscenza del paese, della cultura e dei relativi problemi che i subordinati indiani potevano avere. L’ampliamento dell’esercito a ufficiali sempre più giovani, inesperti e senza alcuna nozione della popolazione autoctona portò ad aumentare le tensioni interne ai comparti militari, che sfociarono in una protesta dei soldati indiani che marciarono verso Delhi e chiesero a vecchissimo Gran Moghul di mettersi alla loro guida. La ribellione si allargò a macchia d’olio, fino ad estendersi ai contadini e ai proprietari terrieri dell’India settentrionale non contenti delle elevate tasse da pagare. Inizialmente gli Inglesi fecero fatica a tenere sotto controllo la rivolta, che era scoppiata del tutto a sorpresa. 5 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India Fondamentale per la repressione della rivolta fu il sostegno dei sikh che riuscirono a riconquistare Delhi con l’ausilio delle loro truppe irregolari. Il sostegno dei sikh è spiegabile con l’odio provato da questa parte della popolazione verso la Bengal Army, che pochi anni prima li aveva sottomessi. Questo supporto garantì un rapporto privilegiato con gli Inglesi, tanto che da quell’insurrezione in poi, ai sikh fu riconosciuto un canale preferenziale per entrare a far parte dell’esercito anglo-indiano. La rivolta determinò anche la fine della Compagnia delle Indie Orientali, già da tempo non operante nel settore commerciale, che con l’insurrezione raggiunse il tracollo finanziario. Nel 1813 la Compagnia aveva perso il monopolio commerciale e nel 1833 fu fatto divieto di praticare qualsiasi attività commerciale. Divenne, pertanto, un’agenzia governativa che continuava a pagare agli azionisti i dividenti del profitto. Tale anomalia fu risolta nel 1858 quando fu sciolta la Compagnia e lo Stato britanno entrò in possesso dell’India. Non essendo più necessaria la presenza di un’organizzazione cuscinetto tra India e Regno Unito e una volta eliminato il Gran Moghul, compromessosi con la sua partecipazione alla rivolta del 1857, l’India entrò a far parte dei domini inglesi e la Regina Vittoria fu nominata nel 1877 imperatrice. Dal quel momento fino al 1914 regnò la pax britannica. Con la proclamazione della regina Vittoria furono garantite pari opportunità agli Indiani. Promesse che furono, però, disattese e causarono la nascita del primo movimento nazionalista indiano – tra le cui principali lamentele c’era l’esclusione dalle più alte cariche del servizio amministrativo anglo-indiano. I nazionalisti indiani si basavano su filosofi come John Stuart Mill e Herbert Spencer – autori a cui il ceto istruito indiano poté accedere grazie al sistema d’istruzione anglosassone – da cui scaturì il pensiero di esponenti come Dadabhai Naoroji, primo critico della colonizzazione inglese, secondo cui gli Inglesi avevano manovrato il commercio estero indiano a tal punto da averne drenato ogni sua ricchezza (Rothermund D., 2007). Tutte le correnti del nazionalismo indiano si riunirono nel Congresso Nazionale (AllIndia National Congress), riunitosi per la prima volta a Bombay nel 1885. Inizialmente il 6 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India Congresso era composto da un élite per la grande maggioranza hindu, capace di parlare in inglese e i cui obiettivi riformisti riguardavano essenzialmente l’apertura agli Indiani dei consigli legislativi e delle alte cariche amministrative, la riduzione delle spese militari e la diminuzione della tassa sul sale. Fino alla Prima Guerra Mondiale la gestione inglese dell’India fu relativamente tranquilla, eccezion fatta per i sommovimenti causati dalla divisione del Bengala. Nel 1904 i britannici decisero di dividere la regione in Bengala orientale e Bengala occidentale, dando vita ad una provincia a maggioranza musulmana. La decisione comportò da un lato lo sdegno della popolazione indù, che decise di boicottare le merci inglesi e le istituzioni scolastiche inglesi. Dall’altro lato, la fazione musulmana ne fu estremamente soddisfatta e ne uscì rinvigorita, tanto che nacque nel 1906 la Lega musulmana, che riuscì a ottenere dagli Inglesi un trattamento speciale sotto il profilo elettorale, contrariamento a quanto affermava l’ideologia del Congresso. Avendo l’obiettivo di consolidare l’equilibrio raggiunto, la dominazione britannica decise nel 1909 di concedere ad alcuni rappresentanti indiani eletti di entrare a far parte dei consigli legislativi centrali e provinciali, mentre i musulmani beneficiavano ancora di un collegio elettorale diversificato. Inoltre, nel 1911 fu deciso di rivisitare la divisione del Bengala, provvedimento che provocò lo scontento della parte musulmana, la quale poco dopo, esattamente nel 1913, decise di adottare una nuova linea politica: quella dell’autogoverno (self-government) (Sellier J., 2010). 7.2. L’India da Gandhi alla drammatica partizione Durante la Prima Guerra Mondiale più di un milione di Indiani supportarono la Corona inglese negli sforzi bellici in Europa e nel Vicino Oriente, mossi dalla convinzione (o per meglio dire speranza) che la fedeltà dimostrata sarebbe poi stata ricompensata con il riconoscimento dell’indipendenza. Tuttavia a conflitto concluso, nonostante le richieste del Congresso e della Lega, le aspettative furono disattese e le difficoltà economiche 7 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India provocarono un’ondata di malcontento, che permise l’emergere di Mohandas Gandhi (Sellier J., 2010). Giovane avvocato, Gandhi lavorava inizialmente in Sudafrica, dove ebbe inizio il suo impegno per il riconoscimento dei diritti degli Indiani. Indignato dalle discriminazioni subite, Gandhi organizzò una serie di attività di resistenza, la cui portata e successo lo fecero diventare il leader indiscusso della minoranza indiana sudafricana. In questo periodo Gandhi realizzò un sistema di resistenza «passiva», che in realtà si dimostrò essere estremamente efficace, tanto da fargli valere il il nome di Satyagraha (fermezza della verità). Al suo ritorno in India, avvenuto nel 1915, Gandhi era già conosciuto e apprezzato dal Congresso Nazionale, non soltanto grazie alla sua azione politica in Sudafrica, ma anche per le posizioni prese su questioni di carattere nazionale e per il suo manifesto l’Hindi Swaraj. In circolo già nel 1909, il manifesto, oltre a spiegare come senza il supporto indiano la Corona inglese non avrebbe mai potuto dominare la stessa India, conteneva anche forti critiche contro le civiltà occidentali e i primi elementi embrionali della sua futura politica della «non cooperazione». Poco dopo il suo rientro in India, Gandhi organizzò una prima protesta, nel 1919, contro i Rawlatt Acts, che estendevano nel periodo post bellico le restrizioni imposte agli Indiani durante il conflitto mondiale. Gandhi indisse allora un’hartal (sciopero generale) che comportò la chiusura dei negozi di tutti i commercianti indiani. Sebbene si trattasse di una vecchia forma pacifica di protesta, non si riuscì comunque a evitare che si verificassero episodi di violenza, cosa da cui trasse lezione Gandhi, che, onde evitare atti di violenza che avrebbero rappresentato la giusta scusante per i Britannici per reagire con durezza (Rothermund D., 2007). Intanto la battaglia per l’emancipazione dell’India iniziava a produrre qualche risultato, nel 1919 con l’Indian Act fu garantito il diritto di voto a circa cinque milioni di Indiani, sebbene i Musulmani continuassero a votare a parte. Gli Indiani ebbero così il diritto di 8 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India eleggere dei rappresentanti nelle due camere dell’Impero (Assemblea legislativa e Consiglio di Stato) e nelle Assemblee provinciali. Nel 1920 Gandhi convinse il Congresso ad aderire alla strategia della non-cooperazione, creata da alcuni musulmani, consisteva nel boicottare le istituzioni britanniche e il commercio dei tessuti importati: i notabili dovevano dare indietro le onorificenze ricevute dalla Corona, gli studenti dovevano boicottare l’università, gli avvocati contestare i tribunali e non si doveva prender parte alle elezioni previste con la nuova riforma costituzionale. Infine, Gandhi propose di sabotare il commercio dei tessuti, ma non volendo urtare gli interessi dei musulmani importatori dei prodotti tessili inglesi, propose di rivolgersi al consumatore anziché al produttore. Fu così che gli attivisti indiani gettarono nel fuoco le giacche e gli indumenti in tessuto inglese. L’obiettivo ultimo era quello del «self-rule» (swaraj). Nel 1922, però, a causa dell’uccisione di alcuni poliziotti da parte di rivoltosi, Gandhi decise di annullare la campagna che stava conducendo in tutto il paese e pose fine al movimento, decisione che provocò le critiche di molti giovani seguaci. Gandhi probabilmente temeva che l’intero movimento potesse degenerare in forme di protesta violenta e poiché i Britannici detenevano il monopolio dell’esercito, ogni azione violenta sarebbe stata destinata a un utile spargimento di sangue e al fallimento (Sellier J., 2010). Con la fine del movimento della non-cooperazione, nel 1922 il governo coloniale decise di arrestare Gandhi che dopo soli due anni fu rilasciato per motivi di salute. In questo stesso periodo iniziarono nuove agitazioni all’interno dei territori indiani, in parte dovuti al riaccendersi delle tensioni tra musulmani e hindu in seguito alla soppressione del califfato da parte di Ataturk nel 1924, in parte per la vittoria del partito laburista in Gran Bretagna nel 1929. Questa vittoria, infatti, faceva ben sperare per il processo d’indipendenza dell’India, considerata anche la buona predisposizione del viceré lord Irwin, il quale addirittura propose l’indizione di una «Conferenza della Tavola Rotonda» a Londra, composta da rappresentanti Indiani e della Corona al fine discutere di una possibile riforma costituzionale. Tuttavia, gli entusiasmi laboristi furono contenuti da un convinto 9 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India imperialista in ascesa, Winston Churchill, secondo cui la massima concessione possibile era lo status di provincial autonomy, ovvero la costituzione di governi locali indiani che avrebbero affiancato il potere centrale della Corona. Dall’altro canto, alcuni politici indiani erano diventati insofferenti e diedero vita ad un nuovo partito all’interno del Congresso Nazionale, dal nome «Indian Independence League» con a capo Jawaharlal Nehru e Subhas Chandra Bose che richiedeva la totale indipendenza del paese. Già nel 1928 premevano affinché il Congresso adottasse una risoluzione in tal senso, ma fu Gandhi che riuscì a mitigare gli spiriti e a concedere il rinvio di un anno, cosi da dare il tempo necessario al viceré per poter perorare la causa indiana in seno al governo britannico. Tuttavia di fronte al fallimento di Irwin, Gandhi dovette soccombere e fu incaricato dallo stesso Congresso Nazionale di guidare una campagna di disobbedienza civile. Molto intelligentemente Gandhi redasse un programma adeguato e come prima azione proclamò il 26 gennaio la «Festa dell’indipendenza» (che poi divenne «Festa della Repubblica»). Successivamente, stilò 11 punti che rappresentavano l’essenza dell’indipendenza indiana e che, grazie alla sapiente lungimiranza di Gandhi, rappresentava tutte le diverse componenti della popolazione indiana. Nei punti si proponeva anche l’abolizione della tassa sul sale, che impattava pesantemente sugli Indiani più poveri. Difatti, il governo della Corona deteneva il monopolio sia sulla produzione che sulla commercializzazione del sale e chiunque fosse stato scoperto a produrlo privatamente o raccoglierlo (ad esempio anche lungo le spiagge) commetteva reato. Tuttavia, in un paese caldo come l’India, il sale rappresentava una risorsa fondamentale per sopravvivere. Pertanto, dal punto di vista di Gandhi trattandosi di una legge ingiusta era possibile trasgredirla e fu così che, raccolto un gruppo di fedelissimi, si mise in marcia verso la costa, raggiunta il 6 aprile del 1930. Esattamente sulla spiaggia di Dandi nel Gujarat, Gandhi raccolse un granello di sale e divenne perseguibile secondo le leggi coloniali. Questa protesta, inizialmente simbolica, produsse gli effetti sperati grazie alle ripercussioni della crisi economica che si era imbattuta a livello globale. 10 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India Difatti nel 1930 il prezzo del frumento e del riso si dimezzò, provocando un’eguale riduzione del reddito dei contadini indiani costretti comunque a pagare le stesse tasse e i medesimi interessi, trovandosi così in estreme condizioni di difficoltà economica. Iniziarono, quindi, una serie di proteste contro il pagamento delle tasse e dei fitti fondiari, sedate solo con l’organizzazione di una seconda Tavola Rotonda riguardante il processo di emancipazione dell’India. Raggiunto nel 1931, l’accordo prevedeva la fine della campagna di Gandhi e la sua partecipazione alla Conferenza della Tavola Rotonda, mentre la controparte inglese non dovette promettere nulla in cambio. In realtà per Gandhi la sola possibilità di poter partecipare e trattare alla pari con il viceré costituiva una gran vittoria. Molte delle speranze di Gandhi erano riposte nel primo ministro MacDonald, il quale però a causa dell’incapacità di saper fronteggiare la crisi economica risultò essere un mero esecutore nelle mani dei conservatori. Le trattative della Tavola del 1931 furono quindi fallimentari e motivo di frustrazione per Gandhi, il quale una volta di ritorno in patria fu immediatamente portato in prigione (Rothermund D., 2007). Intanto nel 1935 il nuovo Indian Act allargò i corpo elettorale e instaurò nuovi governi provinciali in India, cosa che permise al Congresso di ottenere la maggioranza dei governi regionali durante il rinnovamento delle Assemblee legislative del 1938. Non riuscirono però a raggiungere un numero di seggi sufficienti al conseguimento della maggioranza anche in Bengala e Punjab. Le vicende di queste due provincie furono causa di imprevedibili e irrisolvibili problemi per la Corona britannica quando, successivamente alla vittoria da parte degli Alleati della Seconda Guerra Mondiale, il gabinetto laburista si mosse velocemente per liberare la Gran Bretagna dall’India (Ludden D., 2011) Intanto i progetti di emancipazione indiana furono bloccati con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, ma la posizione strategica del paese e l’evoluzione del conflitto rappresentarono in seguito importanti strumenti per poter far leva sul governo britannico. 11 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India Figura 7.1.: L’impero coloniale nel 1939 Fonte: Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte Fino al 1941 il governo anglo-indiano si occupò principalmente di far lavorare l’industria indiana per sopperire al fabbisogno bellico. Furono, pertanto, create quelle istituzioni e quell’organizzazione amministrativa che in seguito fu ereditata dall’India indipendente, senza cui il paese non sarebbe stato in grado di realizzare i progetti di programmazione economica. Il reale intervento dell’India – e quindi la possibilità di «ricattare» il governo britannico – si ebbe nel 1942 quanto l’avanzata giapponese si fece sempre più pericolosa, con la conquista della Birmania britannica e la caduta di Singapore, per cui l’India acquisì una posizione strategicamente fondamentale. Fu allora che Roosevelt sollecitò Churchill a far si che l’India entrasse in guerra al fianco degli Alleati ma questi, data la ben nota opposizione del Primo Ministro inglese a cedere alle richieste indiane, si limitò ad adottare un 12 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India sotterfugio accettando l’offerta di Stafford Cripps, membro del Gabinetto, il quale avrebbe dovuto mediare tra interessi indiani e britannici affinché l’India entrasse in guerra. Il fallimento della Cripps Mission determinò una forte reazione del Congresso Nazionale e di Gandhi, che si concretizzò con la campagna del «Quit India» che invitava gli Inglesi a lasciare il paese considerato che non erano in grado di difendere i territori indiani e, soprattutto, tenuto conto che gli Indiani non erano in conflitto con i Giapponesi. Il messaggio di Gandhi fu uno «do or die» (agisci o muori) da intendere non in termini di violenza, ma di alta determinazione e massimo impegno. La risposta del viceré Linlithgow fu la totale repressione e imprigionamento di tutti i capi del Congresso. La reazione indiana fu molto violenta, soprattutto da parte del movimento indipendentista indiano che, privato della sua guida, si scaglio contro beni immobili della Corona. Questi tipi di sovversioni rientravano perfettamente nelle capacità repressive inglesi che non impiegarono molto a sedare la «rivoluzione». Intanto le sorti della Seconda Guerra Mondiale si ribaltarono a favore degli Alleati, grazie alla vittoriosa battaglia nelle isole Midway. L’appoggio dell’India non era più così essenziale. Un momento di svolta fu la sostituzione del viceré Linlithgow – che ormai aveva superato il limite massimo di estensione del mandato– con il generale lord Wavell, il quale non essendo un politico di mestiere, inizialmente ebbe serie difficoltà a rapportarsi con i politici inglesi e indiani. Wavell, però, era profondamente consapevole di cosa comportasse la smobilitazione dell’esercito anglo-indiano, soprattutto dopo che era stata superata la vecchia regola di non concedere il diploma di ufficiale a soldati indiani: durante il secondo conflitto mondiale circa 8.000 Indiani divennero ufficiali. La soluzione al problema della smobilitazione era la costituzione di un governo indiano provvisorio in grado di lavorare. Cosi nel 1945 lord Wavell volò a Londra per ottenere l’autorizzazione in tal senso e dopo un iniziale contrasto con Churchill, il generale ottenne il benestare a portare avanti il suo progetto. La fortuna volle che nel 1945 in Gran Bretagna le elezioni furono vinte dal partito laburista favorevole a risolvere la questione indiana, fu così che Wavell ebbe l’autorizzazione a procedere con le elezioni in India in attesa di nuovi sviluppi. L’esito delle 13 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India elezioni fu inaspettato, ne uscì rafforzato Jinnah – leader del movimento musulmano – che spingeva per la partizione dell’India e la creazione del Pakistan (Rothermund D., 2007). All’inizio del 1946 fu inviato in India un gruppo di «tre saggi» che proposero la creazione di una confederazione in due Stati, lasciando al governo centrale la gestione delle relazioni estere e della difesa. La proposta fu accettata sia dal Congresso sia dalla Lega, ma il progetto si arenò nella definizione di un governo interinale. Il paese quindi attraversò un periodo di terribili scontri in cui si affrontarono musulmani e hindu (si parla di più di 100.000 morti) che costrinsero Londra a sostituire nel 1947 Wavell con lord Louis Mountbatten (Sellier J., 2010), in quale prima di accettare impose delle condizioni molto severe e stringenti: pieni poteri che lo posero al di sopra dello stesso Ministro per l’India e dichiarazione della Corona in cui si concedeva ufficialmente l’indipendenza all’India. All’arrivo di lord Mountbatten in India la partizione gli sembrò inevitabile, pertanto, stinse rapporti sia con Nehru che con Jinnah – sebbene lo trovasse insopportabile – ma dovette comunque fargli accettare che non poteva chiedere tutto il Bengala e il Punjab, ma esclusivamente quei distretti delle due province a maggioranza musulmana. Molto più difficile fu ottenere il consenso di Gandhi, il quale fino a poco prima aveva definito la divisione una «vivisezione dell’India». Tuttavia dopo la visita del viceré, durante cui gli mostrò come velocemente fosse riuscito a ottenere l’indipendenza del paese e raggiungere una soluzione consensuale tra le parti politiche coinvolte, Gandhi espresse durante il raduno per la preghiera la sua fiducia a lord Mountbatten. Nel luglio del 1947 il Parlamento della Corona votò l’Indipendence Act e il 14 agosto del 1947 a Karachi e il 15 agosto a Nuova Delhi il viceré proclamò l’indipendenza dei due nuovi Stati. Nessuno, soprattutto gli Inglesi, poterono immaginare il bagno di sangue che questa partizione avrebbe potuto causare (Rothermund D., 2007): lungo la frontiera del Punjab, che attraversava gli insediamenti sikh, si verificarono atti di violenza inaspettati. A partire dall’agosto del 1947 masse di hindu e sikh abbandonarono il Punjab occidentale, altrettanti musulmani fuggirono dal Punjab orientale e le due fazioni si affrontarono in violente rappresaglie, provocando un bagno di sangue e un vero esodo di massa. 14 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India Queste migrazioni di massa non interessarono solo il Punjab, tra il 1947 e il 1948 circa 14 milioni di persone abbandonarono le proprie case: più d un milione di hindu lasciarono il Sind, un milione e mezzo di musulmani si spostarono dalla pianura del Gange verso Occidente, nel Bengala, infine, ci fu la migrazione di più di tre milioni di hindu e un milione di musulmani (Sellier J., 2010). 7.3. Mutamenti del XX secolo All’indomani della proclamazione dei neonati Stati di India e Pakistan le autorità centrali si trovarono a dover affrontare la questione dell’annessione degli Stati principeschi che, in seguito alla spartizione, dovettero scegliere a quale stato annettersi. Furono oltre 550 gli Stati che nell’agosto del 1947 decisero di entrare a far parte dell’India, solo tre stati, tra cui il Kashmir, erano riluttanti: il Kathiawar e l’Hyderabad, entrambi governati da musulmani ma la cui popolazione era in maggioranza hindu. Il primo optò per l’annessione al Pakistan, ma dopo poco una sommossa popolare supportata dal governo indiano, si ottenne la sua unione all’India. L’Hyderabad, invece, cercò in tutti i modi di preservare la propria indipendenza (sebbene fosse ormai una semplice enclave), ma gli fu comunque concesso un anno per decidere, durante cui il governo allora regnante s’inasprì, cosa che spinse le truppe indiane a occuparlo ed impadronirsene nel 1948 (Sellier J., 2010). Restava solamente la questione del Kashmir che per la sua posizione geografica (confina con India, Pakistan e Cina) aveva più margine di decisione. Territorio a maggioranza musulmana e retto da un maharaja induista, tentennò circa l’annessione fino a che l’esercito pakistano non lo invase, costringendolo a chiedere l’aiuto dell’India. Quest’ultimo, su suggerimento di lord Mountbatten, decise che non poteva fornirglielo fino a quando la questione dell’annessione non fosse risolta: fu così che il maharaja del Kashmir si piegò e truppe indiane entrarono a sua difesa. Nel giro di poco tempo il conflitto si inasprì e Nehru chiese la condanna delle Nazioni Unite contro il Pakistan, che non condannarono il Pakistan come paese aggressore ma riuscirono comunque a ottenere un armistizio sforzandosi di trovare una soluzione politica al problema (Rothermund D., 2007). 15 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India Figura 7.2.: L’India dopo l’indipendenza Fonte: Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte Intanto nel resto dell’India si operava per compiere e concretizzare l’emancipazione dell’India e renderlo uno Stato a tutti gli effetti. Gandhi fu assassinato nel 1948 per mano di giovane fanatico nazionalista, perché a suo parere il Mahatma (Gandhi) era colpevole di alto tradimento, essendo promotore della spartizione dell’erario tra Pakistan e India. L’evento suscitò un vasto sentimento di unità nel paese, anche tra musulmani e hindu, rafforzando la linea «laica» sostenuta da Nehru e dal Congresso. Nel 1950 fu adottata la Costituzione che instaurò uno Stato laico, egualitario, democratico, fondato sul suffragio universale e federale. Si ebbe quindi un sistema politico parlamentare: il Primo Ministro ha il potere di governarne solo con l’appoggio di una maggioranza alla Camera del popolo e il Presidente della Repubblica (eletto per cinque anni 16 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India dal Parlamento e dalle Assemblee degli Stati) ha il potere di sospendere la Costituzione (al massimo per sei mesi) solo nel caso in cui la sicurezza dello Stato sia minacciata. La seconda Camera è, invece, composta dal Consiglio degli Stati. Inoltre l’India è federale perché, già dal 1950, è composta da 18 Stati di cui nove corrispondenti alle ex province britanniche e i restanti dagli ex Stati principeschi e/o da raggruppamenti di Stati principeschi. Il principale protagonista della prima fase dell’India indipendente e democratica fu sicuramente Nehru che guidò il paese fino alla sua morte avvenuta nel 1964. Il suo Partito del Congresso risultò maggioritario nel Parlamento federale per molti anni, sebbene esistesse un’opposizione di sinistra, socialista e comunista, ma proclamandosi egli sesso socialista, Nehru sbaragliò la concorrenza politica per lungo tempo (Sellier J., 2010). Inoltre, il sistema maggioritario permetteva al Partito del Congresso di risultare sempre vittorioso alle elezioni, essendo la forza politica di centro in una competizione in cui gli antagonisti erano la destra e la sinistra. Un temibile avversario era il partito di destra del Bharatiya Janata Party – BJP che gradualmente riuscì a salire al potere. Il successo del BJP è ascrivibile essenzialmente a due fattori: la formazione e crescita di un «ceto medio» e l’articolazione di interessi politici regionali. Il primo fattore fu merito di Nehru che adottando una mirata pianificazione economica, riuscì a far diventare l’India una potenza industriale, in cui viveva una piccola porzione di popolazione (circa il 10% della popolazione) che beneficiò dello sviluppo di un’economia generalmente liberale (Rothermund D., 2007). In campo internazionale Nehru e la sua India sono passati alla storia per aver dato vita durante la Guerra Fredda, insieme a Tito e Nasser, ad un nuovo tipo di schieramento di «non allineamento». Fu dietro iniziativa di Nehru che fu invitato il Primo Ministro cinese Chu En-lai a partecipare alla Conferenza di Bandung nel 1955. Secondo Nehru la Cina era una potenza anticolonialista e non ritornò su questa sua posizione neanche quando le truppe cinesi invasero il Tibet e nel 1954 conclusero il trattato in cui lo si riconosceva regione della Cina. Questo trattato conteneva i cinque principi (pangha shila) della coesistenza pacifica, 17 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India su cui Nehru si basò, molto superficialmente, anche in seguito nel delineare la sua politica estera. Infatti, nel 1957 prima e nel 1959 la Cina non aveva rispettato questo principio, provocando la fuga del Dalai Lama e di centinaia di Tibetani in India. Per porre fine al conflitto con la Cina, nel 1962 Nehru accettò il supporto militare inglese e americano, compromettendo così il proprio ruolo di paese guida del movimento dei «non allineati». Morì poco dopo nel maggio del 1964 e sebbene gli sopravvisse il movimento non ci fu più quell’euforia che lo aveva contraddistinto nei primi anni di attività. Nehru fu succeduto da Lal Bahadur Shasri, ma in quegli stessi anni iniziò ad affacciarsi sulla scena politica la figlia di Nehru, Indira Gandhi (che non aveva nessun legame di parentela con Mahatma) che già nel 1967 vinse le elezioni dando così inizio all’epoca di Indira Gandhi, che fu subito segnata dalla guerra indo-pakistana del 1971 che condusse all’indipendenza del Bangladesh (Sellier J., 2010). Figura 7.3.: L’Asia Meridionale oggi Fonte: Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte 18 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India L’adozione di una politica poco lungimirante e la perpetuazione di un atteggiamento colonialista sul Pakistan orientale da parte del Pakistan occidentale, alimentarono la nascita di movimenti nazionalisti linguistici bengalesi. Quando l’esercito del punjabi intervenne con la forza nei territori orientali nel marzo del 1971, la guerra da interna si tramutò in un conflitto per l’indipendenza che vide contrapporsi il Pakistan, alleatosi con gli Stati Uniti, all’India, che strinse un trattato di reciproca assistenza con l’URSS e che, infine, condusse alla proclamazione dell’indipendenza del Bangladesh dal Pakistan. La sconfitta fu ancora più schiacciante perché il nuovo Presidente del Pakistan, Zulfiqar Ali Bhutto, per riscattare i propri prigionieri di guerra dovette garantire ad Indira Gandhi che tutti i futuri ed eventuali conflitti tra i due Stati si sarebbero risolti solamente con negoziati bilaterali, escludendo l’internazionalizzazione della questione del Kashmir, politica che fino ad allora era stata perpetuata dal Pakistan. Ancora una volta sconfitto in una guerra convenzionale, il Pakistan non si diede per vinto e decise di riequilibrare la forza militare tra i due paesi con l’annuncio nel 1972 della costruzione della «bomba islamica». La risposta indiana non mancò ad arrivare e già nel 1974 esplose una carica nucleare che diede il via alla corsa agli armamenti nucleari da entrambe le parti fino a quando, nell’estate del 1998, entrambi gli Stati non eseguirono dei test nucleari (Rothermund D., 2007). A questo punto, raggiunta la parità militare i due paesi avrebbero dovuto stabilizzarsi, ma al contrario l’attacco del Pakistan su territori del Kashmir utilizzando armi convenzionali dimostrò che le tensioni nella regione non si sarebbero risolte nel breve termine. Ad ogni modo, la trasformazione dell’India in potenza nucleare le ha fatto guadagnare prestigio e potere sulla scena internazionale. A livello economico l’India oggi rappresenta una delle principali economie emergenti, sebbene il paese rappresenti una paese ancora molto povero. Il sistema economico indiano molto deve ancora a quel sistema di razionalizzazione e modernizzazione dell’agricoltura 19 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India indetto da Indira Gandhi, che sebbene nelle intenzioni fosse lodevole, sul piano pratico avvantaggiò la media e grande proprietà. Importanti cambiamenti si sono avuti con il premier Narasimha Rao, grazie alle riforme ideate da Manmohan Singh, che hanno determinato la «svolta liberista» dell’India all’inizio degli anni Novanta, capace di dare un impulso di progresso simile al programma di apertura e riforme ideato da Deng Xiaoping nel 1978. Sostanzialmente il sistema di riforme mirò a ridurre il ruolo di uno Stato eccessivamente interventista attraverso: la privatizzazione e la deregolamentazione che ridussero l’azione dello Stato e favorì l’iniziativa privata; la contrazione delle spese pubbliche attraverso la riduzione degli aiuti e sovvenzioni e ricostruendo le finanze pubbliche (anche grazie ad un’importante riforma fiscale); favorendo massicci investimenti sia nazionali che esteri (Mazzei F., Volpi V., 2006). Attualmente in paese è in forte crescita, come dimostrato dal tasso medio di crescita che dal 2000 si è assestato intorno al 7%. Tuttavia, il progresso economico ha prodotto delle differenze settoriali e regionali: l’agricoltura che rappresenta meno dell’1/3 del PIL impiega circa i 2/3 della forza lavoro nazionale; l’industria che costituisce circa il 30% del PIL da lavoro ad 1/5 della popolazione attiva; mentre il settore terziario – il più produttivo – contribuisce per la maggior parte alla realizzazione del PIL e occupa solo l’1/6 della forza lavoro (Rothermund D., 2007). L’India rappresenta quindi un importante paese dell’outsourcing, ovvero del settore dei servizi più avanzati, come call center, assistenza informatica remota, grandi studi di consulenza fiscale e amministrativa, di analisi chimiche e biogenetiche, avendo molto investito oltre che sui capitali anche in conoscenza e ricerca, in altre parole in capitale umano. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Corna Pellegrini G. (1982), L’Asia Meridionale e Orientale, UTET. Fiori A. (2010), Asia orientale. Dal 1945 ai giorni nostri, il Mulino. 20 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 7° - L’altro gigante: l’India Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V. (2002), L’età contemporanea, Laterza. Ludden D. (2011), Storia dell’India e dell’Asia del Sud, Piccola Biblioteca Einaudi. Mazzei F., Volpi V. (2010), La rivincita della mano visibile. Il modello economico asiatico e l’Occidente, Università Bocconi Editore. Mazzei F., Volpi V. (2006), Asia al centro, Università Bocconi Editore. Rothermund D. (2007), Storia dell’India, il Mulino. Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte. 21 Corso di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali INSEGNAMENTO DI STORIA E ISTITUZIONI DELL’ASIA Modulo 8° - La penisola coreana A cura di Antonietta Pagano Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana SOMMARIO MODULO 8° La penisola coreana 8.1. Il ponte tra Oriente e Occidente 8.2. La Corea del Sud 8.3. La Corea del Nord 1 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana 8.1. Il ponte tra Oriente e Occidente La penisola di Corea può essere paragonata ad un ponte naturale che unisce l’Asia continentale con la parte insulare. Il suo nome deriva dalla dinastia Koryo al potere nel XVIII secolo, quando ci furono i primi arrivi dei Portoghesi nella regione. Il territorio è anche chiamato «Hangook», ovvero «terra di Han», dal nome della principale fiume della Corea meridionale, che poi fu anche il nome di un’antica civiltà del paese. La peculiarità della penisola coreana sta nell’essere stata attraversata e influenzata da popolazioni, civiltà e idee che dalla Cina sono passate in Giappone e viceversa, la cui portata è stata tale dall’aver profondamente influenzato la stessa Corea. La penisola coreana deve, dunque, molto alla civiltà sviluppatasi nella pianura della Cina settentrionale e al fatto di essere proiettata verso le isole giapponesi. Infatti, i primi tentativi di unitarietà amministrativa si ebbero nel III secolo a.C., quando in Cina si instaurò il primo Stato unitario e alcuni cinesi, forti delle loro esperienze di governo, posero in Corea le basi per un nucleo politico di forte impronta sinica, a cui fu dato il nome di Choson. Nel I secolo a.C. i territori di Choson furono inglobati dall’avanzata imperiale della dinastia cinese Han, che divise e organizzò i territori coreani secondo il sistema in vigore in Cina in quel tempo. La popolazione autoctona, probabilmente tenuta in condizione di subordinazione se non peggio, riuscì comunque ad acquisire tecniche avanzate sotto il profilo civico, scientifico e artistico, fondamentali per supportare più tardi la formazione di unità politiche indipendenti e ben organizzate. Il periodo dei Tre Regni, composto dai quello di Koguryo, Paekche e Silla, (57 a.C. – 668 d.C.) fu caratterizzato dall’alternanza del predominio cinese e giapponese, perennemente in conflitto tra loro, dalla graduale penetrazione del buddhismo e da una relativa crescita urbana, supportata principalmente da una forte produttività agricola. L’unificazione della Corea si ebbe nel 668 d.C., quando il regno di Silla assorbì gli altri due regni e riuscì a mantenere questa condizione di pace e stabilità per quasi tre secoli. 2 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana Durante questo regno, si rafforzarono i legami con la Cina dei Tang, influenzando profondamente la struttura organizzativa del paese, dando però maggior rilievo agli elementi aristocratici che distinguevano lo Stato. In Corea, infatti, le cariche governative erano riservate esclusivamente ai membri della famiglia regnante e della classe dei nobili, fatta eccezione per il sistema degli esami di Stato, che avevano lo scopo di ampliare la base sociale della classe burocratico-amministrativa. Un periodo di decadenza precedette la fine del regno Silla, al quale subentrò una nuova dinastia, quella di Koryo che mantenne il potere per oltre quattro secoli, dal 918 d.C. al 1392 d.C.. Uno dei primi cambiamenti apportati dai nuovi regnanti fu lo spostamento della capitale a Songdo, che indicava non solo il disprezzo dei nuovi sovrani per le popolazioni meridionale, ma anche la necessità di proteggersi dalle popolazioni nomadi lungo i confini del Nord. Minaccia che si concretizzò nel XII secolo, quando diversi gruppi nomadi fecero pressioni lungo le frontiere settentrionali, fino a che i Mongoli, più forti e organizzati, conquistarono il Nord Corea, ponendolo in uno stato di completa subordinazione. Le diverse spedizioni dei Mongoli, unite alle continue incursioni piratesche dei Giapponesi stremarono economicamente e demograficamente la regione coreana, tanto che alcune aree furono abbandonate dai suoi abitanti (Corna Pellegrini G., 1982). I Mongoli furono sconfitti solo quando in Cina si affermò la dinastia Ming, grazie alla quale nacque in Corea la dinastia degli Yi che regnò fino al 1910. Il passaggio di regnanti fu abbastanza burrascoso, con la cacciata dei Mongoli la corte si divise in due, alcuni restarono sostenitori dei Mongoli, altri sostenevano i Ming. Quando nel 1338 le truppe dei Ming si ammassarono lungo i confini, il generale Yi Song rendendosi conto della superiorità militare cinese, fece ritorno al palazzo e neutralizzò tutta la corte, impadronendosi nel 1392 del paese e fondando appunto la sua dinastia (Sellier J., 2010). Fedele tributario dei Ming, la dinastia Yi realizzò profonde riforme che trasformarono la struttura politica, economica e sociale del paese: i territori furono organizzati in base ad una nuova divisione amministrativa; si operò per una più precisa struttura burocratica degli organi di governo centrale e locale; un nuovo sistema degli esami di Stato fu introdotto, con 3 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana norme ancor più rigide di quelle cinesi, che costituirono la base dell’organizzazione statale coreana. Questo sistema d’esami favorì fortemente la diffusione della filosofia confuciana e lo sviluppo delle scuole. Si formò così un élite intellettuale che, dopo gli studi universitari, era pronta ad affrontare gli esami nazionali e ad essere immessa nella burocrazia governativa (Corna Pellegrini G., 1982). Verso la fine del XVI secolo la Corea fu colpita dall’offensiva via mare del dittatore giapponese Hideyoshi. Inizialmente chiese l’autorizzazione al governo coreano per poter attraversare il paese e procedere alla conquista della Cina, ma al (giusto) rifiuto coreano, il dittatore invase il territorio e s’impadronì di Seul. La guerra durò sei anni e, sebbene riuscì a liberarsi dagli invasori nipponici, la Corea ne uscì distrutta, le campagne furono saccheggiate e divennero improduttive, il potere politico discorde e indebolito. Condizione di cui si avvantaggiò la popolazione Manciù che a partire dal 1636 provarono a attaccare il paese ripetutamente, fino a quando l’anno successivo la Corea non fu costretta a riconoscere la superiorità Manciù su quella Ming (Sellier J., 2010). L’ascesa dei Qing – dinastia fondata in Cina dai Manciù – corrispose con l’isolamento della Corea che doveva riavviare un processo di sviluppo tout court, essendo in quegli anni caratterizzato a una profonda stagnazione economica culturale e politica. Condizione che sul lungo periodo la rese più vulnerabile alla penetrazione giapponese e occidentale (Corna Pellegrini G., 1982). Inizialmente ostile a qualsiasi intrusione occidentale – tanto da aprire il fuoco su qualsiasi nave straniera in avvicinamento alle coste coreane – le idee occidentali riuscirono comunque a diffondersi grazie soprattutto alla mediazione dei mercanti, che le consideravano «conoscenze pratiche». Verso la fine del XIX secolo, poi, furono costretti a soccombere definitivamente dopo che le flotte giapponesi inflissero una schiacciante sconfitta, costringendo le autorità di Seul a firmare nel 1876 un «trattato ineguale» che prevedeva la concessione di tre porti, ovvero l’apertura al commercio giapponese. Da quel momento in poi la Corea fu al centro di tensioni e rivalità internazionali, soprattutto di origine giapponese, cinese e russa, tutte miranti a conquistare le risorse dei territori coreani e della confinante Manciuria. I momenti salienti di quest’avanzata straniera 4 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana furono il 1895, anno in cui nello scontro tra Cina e Giappone ebbe la meglio il secondo Stato e il 1905, che decretò la vittoria nipponica sulla Russia, nonché la trasformazione della Corea in un proprio protettorato. Successivamente i Giapponesi procedettero sistematicamente a occupare militarmente i territori coreani, a scioglierne l’esercito e a occupare tutti i posti di responsabilità, per finire decretarono l’annessione diretta della Corea nel 1910. Governata come una colonia con opprimente durezza, la popolazione locale fu trattata come «razza inferiore» – vennero esclusi da qualsiasi posizione di potere – furono soppresse tutte le libertà politiche, l’insegnamento del coreano fu trascurato a favore, invece, del giapponese e la modernizzazione della Corea – sebbene fu dotata di buone infrastrutture e delle prime industrie – fu programmata unicamente a soddisfare gli interessi e il progresso giapponese (Sellier J., 2010). In questi anni nacquero e si diffusero idee nazionaliste e diversi movimenti di protesta, aventi tutti uno spirito sostanzialmente antigiapponese, ma articolate secondo molteplici fazioni antagoniste tra loro. Prime manifestazioni si ebbero già intorno al 1919, ma la repressione giapponese fu talmente efficiente e senza scrupoli dal riuscire a eliminare ogni movimento comunista o liberale. La Corea continuò a essere sfruttata in ogni sua risorsa umana e naturale esclusivamente in funzione dell’espansionismo dell’impero nipponico, fino alla sua disfatta nel 1945 (Corna Pellegrini G., 1982). Con la disfatta della Seconda Guerra Mondiale, il Giappone perse tutti i suoi territori coloniali. Pertanto, le potenze vincitrici dovevano occuparsi della liberazione e smilitarizzazione di Stati come la Corea e portarli all’indipendenza. Già nel 1943 Chiang Kai-shek, Roosevelt e Churchill s’incontrarono al Cairo per definire il futuro dell’Asia, stabilendo che a tempo debito la Corea sarebbe diventata uno Stato libero e indipendente. Quello che è importante rilevare di questa dichiarazione è la trasparenza di USA e Gran Bretagna circa le loro intenzioni in Corea e come, sebbene quest’ultima non rappresentasse ancora uno Stato con un’importate posizione strategica, il Presidente Roosevelt fosse 5 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana convinto che la migliore soluzione per il paese fosse l’imposizione di un’amministrazione controllata. Intuizione che si potrebbe definire lungimirante, considerato che non appena la Russia dichiarò guerra al Giappone nell’agosto del 1945, questa si diresse alla volta della Corea, essendo da tempo interessata al paese. Per timore che la penisola potesse entrare interamente sotto l’influenza russa, due colonnelli americani nella notte tra il 10 e l’11 agosto esaminarono la cartina della Corea alla ricerca di una possibile divisione dello Stato da porre sotto «amministrazione controllata» e arrivarono alla conclusione che dividendo il paese lungo il 38° parallelo si poteva ottenere una partizione quasi perfettamente egualitaria, riuscendo a mantenere la capitale Seul nella parte meridionale della Corea, zona che sarebbe poi andata sotto il controllo statunitense. Il 13 agosto 1945, con sorpresa della stessa presidenza statunitense, il governo di Mosca accettò l’offerta di divisione (Fiori A., 2010). Nel dicembre del 1945, durante la Conferenza di Mosca, si formalizzò quindi la divisione lungo il 38° parallelo e l’imposizione dello status di tutela congiunta da parte degli Stati Uniti, Cina URSS e Gran Bretagna. Successivamente, una commissione sovieticoamericana prese i contatti con i gruppi democratici coreani per organizzare un governo provvisorio, ma l’opposizione dei Coreani (derivante dall’atteggiamento del Partito comunista) e le divergenze sulla strada da percorre condussero ad un impasse nella commissione. Nella parte meridionale gli Americani supportavano Syngman Rhee, dell’Associazione nazionale per l’indipendenza coreana, mentre nella Corea settentrionale salì alla guida del partito comunista Kim Il-sung (Sellier J., 2010). La gravità dell’impasse fu tale che nel novembre 1947 le Nazioni Unite – profondamente influenzate dagli Stati Uniti – fondarono la Commissione Temporanea delle Nazioni Unite sulla Corea, con il compito di supportare le elezioni in Corea e conseguentemente un governo indipendente. In tal senso, l’obiettivo prefissato era quello di dotare il paese di un parlamento unico entro marzo 1947, così da trasferire il potere al nuovo organismo politico e obbligare le forze americane e sovietiche a ritirarsi. Tuttavia, a Guerra 6 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana Fredda inoltrata era impensabile che una delle due potenze potesse fare delle concessioni all’altra, tant’è che i sovietici non riconobbero mai l’autorità della Commissione Onu, impedendo conseguentemente l’indizione dell’elezione nella parte settentrionale della Corea. Si decise, pertanto, di procedere con le lezioni soltanto nel Sud. Le elezioni, dalle quali uscì vincitore Syngman Rhee, si tennero il 10 maggio 1948. Molti però le boicottarono, realizzando in anticipo che avrebbero decretato la fine di ogni possibile ricongiunzione statale tra Nord e Sud sotto un unico governo. All’incirca due mesi dopo le elezioni fu promulgata la Costituzione, in base alla quale fu stabilita a quattro la durata del mandato presidenziale e conferendo notevoli poteri esecutivi al Presidente. Il 20 luglio 1948 Syngman Rhee fu nominato Presidente e dopo poco, esattamente il 15 agosto, fu proclamata formalmente la Repubblica di Corea. Preso atto della validità delle elezioni, il 12 dicembre l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dichiarò legittimo solo il governo della Corea del Sud. La contro risposta sovietica non mancò ad arrivare: furono, pertanto, indette le elezioni anche nella parte Nord, che sancirono il 19 settembre 1948 la nascita della Repubblica Popolare di Corea e la nomina di Kim Il-sung Primo Ministro del neonato Stato. La separazione della Corea poteva considerarsi compiuta definitivamente. La partizione tra Sud e Nord non fu mai completamente tollerata dalla gran parte dei Coreani, che anzi la consideravano una condizione temporanea destinata a terminare con la naturale riunificazione del paese. In tal senso, frequenti furono gli episodi di tensione lungo il confine, in certe occasioni anche di una certa entità. Questa situazione era, poi, sicuramente esasperata dalle relazioni instauratesi tra le due superpotenze mondiali, al cui interno era stata risucchiata anche la Corea, che rappresentò la quintessenza di tale scontro. Difatti, sebbene l’Europa fosse il principale scenario della rivalità USA-URSS, anche l’Asia fu teatro di queste tensioni e rappresentava una regione di crescente interesse per gli Stati Uniti e i loro alleati, soprattutto dopo la vittoria dei comunisti di Mao, la proclamazione della Repubblica Popolare in Cina e la firma del Trattato di Amicizia sino-sovietico del 1950. 7 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana È facile, quindi, intuire il clima di tensione che si era venuto a formare, avendo da un lato l’URSS che avanzava nel continente asiatico sia a livello ideologico che politico, dall’altro gli USA che, invece, miravano a «contenere» l’avanzata sovietica. In tal senso, la Corea agli occhi degli Americani doveva servire ad arginare la possibile diffusione del comunismo in Giappone. Allo stesso tempo, però, non volevano investire troppe risorse nella difesa di un territorio considerato periferico nei loro piani strategici e lasciarono, pertanto, la tutela della Corea del Sud alle Nazioni Unite. (Fiori A., 2010). Gli Stati Uniti peccarono, quindi, di estrema superficialità ma anche timore nella gestione e protezione della Corea del Sud – errori che contribuirono a scatenare il conflitto fratricida coreano. Superficialità perché, come sostenuto dallo stesso MacArthur, le decisioni furono prese da persone che avevano poca conoscenza e comprensione del Pacifico e della Corea. Timore perché per evitare un tentativo di riunificazione forzata del paese da parte di Syngman Rhee e onde evitare possibili ripercussioni sino-sovietiche di fronte a una politica troppo attiva da parte americana, la Corea del Sud fu dotata soltanto di armi leggere, incapaci di proteggere il paese in caso di attacco. Al contrario, la Corea del Nord – sebbene anche i Sovietici non volessero investirvi troppo e, al contempo, volevano evitare un conflitto nell’area – supportarono, insieme alla Cina, il riarmo del paese, che alla vigilia del conflitto possedeva un esercito di 200mila effettivi (Mazzei F., Volpi V., 2010). Dopo aver consultato e ricevuto il supporto di Mosca e Pechino, Kim Il-sung attaccò il Sud il 25 giugno del 1950 e dopo pochi giorni, il 28 Seul cadde sotto il controllo degli aggressori. Tutti furono colti di sorpresa e la stessa amministrazione Truman impiegò due giorni per reagire, ordinando al generale MacArthur di organizzare e supportare la risposta dell’esercito sudcoreano. Contemporaneamente, si rivolsero al Consiglio di Sicurezza ONU – dove l’URSS si rifiutava di parteciparvi in forma di protesta contro la partecipazione del governo di Taiwan in rappresentanza della Cina – e riuscirono a far condannare l’aggressione nordcoreana e a chiedere l’intervento dei membri dell’ONU in aiuto della Corea del Sud. Fu, quindi, costituita nel luglio 1950 una forza unificata delle Nazioni Unite, composta per la maggior parte da contingenti americani e guidata dal generale MacArthur. 8 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana Figura 8.1.: La Guerra di Corea (1950-1953) Fonte: Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte L’offensiva delle Nazioni Unite ebbe inizio nel settembre del 1950 con lo sbarco a Inchon (a ovest di Seul), grazie alla quale si riuscì a far indietreggiare le milizie del Nord a tal punto che si sollevò la questione se superare o meno la line del 38° parallelo. Syngman Rhee era ovviamente favorevole, diversamente dagli alleati degli Stati Uniti. Alla fine il 7 ottobre il generale MacArthur ordinò di superare il confine e lanciarsi alla volta del Nord. Fu in questa fase che intervennero truppe «volontarie» di cinesi in soccorso delle forze nordcoreane. La guerra procedette con avanzamenti dell’una e dell’altra parte che, quasi come in una danza, ritornavano l’equilibrio ripetutamente all’altezza del 38° parallelo. Fu così che l’URSS propose nel 1951 l’apertura di negoziati, che si bloccarsi su diversi punti, tra i quali la sorte dei prigionieri (Sellier J., 2010). La situazione fu sbloccata con le lezioni di Eisenhower alla presidenza degli Stati Uniti nel 1952, che determinò un cambio di strategia americana, consistente in un forte incremento della pressione militare per terminare in conflitto. La maggiore determinazione statunitense unita alla morte di Stalin, avvenuta nel 1953, resero possibile la risoluzione della questione dei prigionieri e, pertanto, la 9 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana conclusione del conflitto che avvenne il 27 luglio 1953 con la sigla a Panmunjeom dell’armistizio tra rappresentanti dell’ONU, della Cina e della Corea del Nord. Il Presidente Syngman Rhee si rifiutò di firmare. La guerra il cui scopo era la riunificazione della penisola aveva determinato il consolidamento della sua partizione. Una divisione che divenne non soltanto territoriale, ma anche ideologica (Fiori A., 2010). Figura 8.2.: La penisola coreana oggi Fonte: Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte Sebbene sia impossibile conoscere con esattezza il numero di vittime causato da soli tre anni di conflitto, si stima che furono 800mila i militari (sia del Nord che del Sud) caduti, altrettanti Cinesi e 57mila delle forze Onu. Per non parlare dei civili coinvolti, che più di tutti subirono i costi di questa guerra. Si parla, infatti, di oltre due milioni di vittime tra i civili e oltre tre milioni di rifugiati (Sellier J., 2010). 8.2. La Corea del Sud Terminato il conflitto, gli Stati Uniti si prodigarono attivamente, soprattutto sotto il profilo finanziario, a favorire la ricostruzione della Corea del Sud, fondamentale per riavviare un sistema economico pesantemente colpito dal guerra fratricida. L’unico 10 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana vantaggio ricavato da quest’evento tragico fu la possibilità di legittimare il proprio regime tramite lo spauracchio – peraltro continuamente utilizzato – del comunismo, risultato utile non soltanto come strumento per tenere coeso il paese, ma anche per contrapporsi ideologicamente e politicamente al versante settentrionale. In questo modo, la Corea del Sud diveniva un avamposto della lotta al comunismo, dotato di un esercito ormai forte, ben equipaggiato e addestrato e che poteva sempre contare sull’appoggio statunitense. La Corea del Sud divenne, improvvisamente, uno Stato strategicamente fondamentale nelle logiche della Guerra Fredda, pertanto, fu sempre più elevata la presenza e la vicinanza militare americana nel paese, che poi si evolsero velocemente in una stretta alleanza anche economica e culturale. Per quel che attiene la sfera politica, il leader incontrastato continuava ad essere Syngman Rhee che, purtroppo, anziché dare priorità alla ricostruzione e al progresso del proprio paese, era maggiormente concentrato sul mantenimento della propria carica e del proprio potere. Il regime, quindi, nel giro di poco tempo si trasformò in autoritario e repressivo, forzò l’adozione di alcuni emendamenti costituzionali così da garantire appunto il consolidamento formale e informale del mandato di Syngman Rhee. Il culmine della repressione si ebbe con l’approvazione di alcune leggi il cui effetto fu il forte indebolimento dei principi democratici del neo Stato sudcoreano, in quanto impedirono qualsiasi libertà di critica e, in pratica, favorirono la rielezione – non propriamente legale – di Syngman Rhee come Presidente. Le manipolazioni elettorali scatenarono le proteste degli studenti, alle quali si aggiunse il malcontento generale che esplose con il ritrovamento del cadavere di un ragazzo ucciso da un lacrimogeno sparato dalla polizia. Le manifestazioni scoppiate a Masan, si spostarono a Seoul, provocando la repressione violenta da parte della polizia: molti furono le persone uccise e ferite in quella che venne nominata la «rivoluzione del 19 aprile». L’intensificarsi delle protese costrinse Syngman Rhee – dietro suggerimento USA – a dimettersi e abbandonare il paese sul finire dell’aprile 1960 (Fiori A., 2010). 11 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana Con la fine della Prima Repubblica un governo provvisorio promulgò una seconda Costituzione sulla cui base fu fondata la Seconda Repubblica. Tuttavia, il sistema parlamentare non riuscì a consolidarsi e così, all’alba del 16 maggio 1961 un colpo di Stato, con a capo il generale Park Chung-hee, prese il potere e diede avvio alla Terza Repubblica guidata da una giunta militare (Sellier J., 2010). La reazione dell’opinione pubblica fu sorprendentemente speranzosa, confidando che almeno i militari riuscissero a portare il paese verso un processo di crescita e progresso. Il nuovo governo militare, in effetti, era animato da grandi intenzioni e programmi «sviluppisti», mirava cioè a creare uno Stato che perseguisse la crescita economica attraverso un sistema d’incentivi e sanzioni diretto agli attori economici. Oltre al progresso economico, i golpisti avevano la necessità di legittimare il proprio potere, soprattutto nei confronti di coloro – in particolar modo studenti ed intellettuali – che non gradivano un regime retto da militari. Pertanto, il generale Park il 19 maggio 1961 decise di riorganizzare l’intera giunta militare, creò il Consiglio Supremo per la Ricostruzione Nazionale tramite il quale esercitò il proprio potere sul paese e promulgò una legge che gli attribuiva il controllo effettivo su tutte le attività politiche. Specularmente, furono sciolti l’Assemblea Nazionale e tutti i governi locali, mentre la maggioranza dei funzionari pubblici fu deposta. Grazie all’opera del Consiglio nello Stato regnarono il rispetto della legge e l’ordine, grazie ad una serie di azioni mirate, quali: l’arresto dei membri delle gang malavitose e di quegli uomini d’affari considerati corrotti – questi ultimi furono pubblicamente umiliati e poterono tornare in libertà solo dopo aver corrisposto ingenti multe; furono chiusi bar, sale da ballo e coffe shops; fu sospesa la pubblicazione di molti giornali; chiunque fosse sospettato di essere un simpatizzante comunista veniva immediatamente arrestato. Durante i primi mesi dopo il colpo di stato furono raggiunti alcuni degli obiettivi sociali ed economici prestabiliti, ma mancava ancora una reale legittimazione del nuovo regime. Fu promulgata, nel 1962, una nuova Costituzione che, sulla base di quella redatta durante la Prima Repubblica, ristabiliva un sistema presidenziale con un’unica camera, oltretutto 12 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana estremamente debole. L’anno successivo i golpisti ricoprirono le posizioni chiavi della nuova organizzazione statale e il generale Park fu nominato prima Presidente del Partito Democratico Repubblicano e, successivamente, con le elezioni tenutesi nello stesso anno, Presidente della Repubblica di Corea. Ebbe così inizio la Terza Repubblica, il cui obiettivo primario era il progresso economico del paese. L’importanza che rivestiva quest’obiettivo aiuta a spiegare la stretta coalizione venutasi a formare tra la nuova burocrazia – estremamente preparata in macropianificazione dell’economia – i vasti gruppi industriali – fondamentali per la creazione di un moderno sistema economico – e il gruppo di militari – detentori del potere politico e sociale – avente l’unico scopo la protezione dello Stato da qualsiasi attacco o minaccia esterna. Coerentemente con le recenti alleanze economiche, la politica economica portata avanti dal Park incoraggiava fortemente l’imprenditoria privata. In tal senso, lo Stato favorì con forza le esportazioni garantendo ai gruppi industriali incentivi senza eguali, come per esempio agevolazioni per ottenere prestiti bancari con tassi vantaggiosi, benefici fiscali, o addirittura sussidi diretti. Più in generale, per supportare la crescita del paese Park cercò di adottare una sorta di «diplomazia finanziaria» con altri paesi, avendo bisogno di un’elevata disponibilità di capitali e considerato che gli aiuti da parte degli Americani si erano ormai stabilizzati. Fu così che Park iniziò a tessere una rete di rapporti internazionali, dapprima con la Repubblica Federale Tedesca, riuscendo a ottenere un estensione degli aiuti governativi e dei crediti commerciali, successivamente con il Giappone, cosa che produsse notevoli benefici economici per la Corea, anche sotto forma di compensazione per i danni sofferti durante il periodo coloniale. È necessario evidenziare che tra le ragioni del successo della politica economica di Park vi furono un’elevata disponibilità di forza lavoro qualificata e a basso costo e la rinuncia, solo momentanea, degli Stati Uniti al protezionismo contro i prodotti coreani come forma d’aiuto al paese. Dopo il rinnovo del terzo mandato – grazie ad un emendamento costituzionale ottenuto tramite referendum popolare nel 1967 – il regime di Pak fu nuovamente minacciato, questa 13 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana volta da fattori interni ed esterni, i quali minarono considerevolmente la solidità della crescita economica sudcoreana e la stabilità politica raggiunta del paese. Questi erano: il futuro della guerra del Vietnam, la progressiva distensione tra Stati Uniti e Cina, la Dottrina Nixon, la riorganizzazione delle priorità americane in Asia (secondo cui, ad esempio, era necessario raggiungere una maggiore autosufficienza nella regione, soprattutto sotto il profilo militare) e la riduzione degli aiuti concessi dagli Stati Uniti. L’interazione di questi fattori e il loro effetto cumulativo rischiavano di far scoppiare le pressioni sociali, soprattutto tra operai e gruppi studenteschi, e fortificare l’opposizione politica, come dimostrato dal notevole consenso registrato durante le elezioni presidenziali del 1971. La reazione di Park a tale minaccia fu l’imposizione della legge marziale, la proibizione di qualsiasi tipo di attività politica e l’attribuzione di poteri straordinari al Presidente: aveva inizio la Quarta Repubblica, nota anche come «epoca del rinnovamento». La crescita economica del paese – che assicurava a Park il supporto delle classi più agiate della popolazione – andava di pari passo con la continua riduzione di democrazia nel paese, che portò il Presidente verso la fine degli anni Settanta ad isolarsi sempre più sia a livello nazionale che internazionale. Park morì assassinato di lì a poco, nell’ottobre 1979, per mano del direttore dell’Agenzia Centrale di Intelligence creato dallo stesso Park durante la Quarta Repubblica (Fiori A., 2010). Dopo una serie di successioni di militari al potere, all’inizio degli anni Ottanta il governo decise di adottare una politica maggiormente concentrata sullo sviluppo sostenibile e sul sociale e, pertanto, fu ridotto il ruolo dello Stato e aumentato ulteriormente quello delle imprese. L’obiettivo fu centrato facilmente, così nell’arco di poco tempo la Corea del Sud rientrò nella categoria dei paesi a economia sviluppata, sebbene, il sistema economico fosse ancora debole, considerate le minacce derivanti dalla rivalutazione del won (la moneta nazionale) e dalla produzione low cost sostenuta da altri paesi della regione. Fu necessario, quindi, adottare una strategia differente: concentrarsi su produzioni a maggiore valore aggiunto; differenziare le merci e qualificare di più i prodotti finali. Altri due ulteriori fattori contribuirono a un maggiore sviluppo della domanda interna: la nascita di una classe media e un benessere maggiormente diffuso tra la popolazione (Mazzei F., Volpi V., 2010). 14 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana Inoltre, è doveroso segnalare che – sebbene non condivisibile – anche l’adozione di una politica altamente repressiva contro rivolte e movimenti di protesta (principalmente studentesca) supportò il rapido processo di crescita economica della Corea del Sud, tale da farle raggiungere i livelli registrati dal Giappone e da farla diventare l’undicesima potenza industriale del mondo. La classe media urbana occupò un posto sempre più rilevante ed è proprio al suo interno che nacquero le versioni embrionali delle richieste di libertà e democrazia che maturarono in seguito. Così, nel 1987 una nuova Costituzione (Sesta Repubblica) approvò l’elezione del Presidente a suffragio universale diretto, da cui uscì vincitore Roh Taewoo, un ex generale (Sellier J., 2010). Successivamente, le Olimpiadi di Seoul del 1988 migliorarono notevolmente l’immagine internazionale della Corea del Sud, che sul finire degli anni Ottanti si avvicinò a Russia e Cina, dando avvio alle prime relazioni diplomatiche rispettivamente nel 1990 e nel 1992. Inoltre, sempre all’inizio degli anni Novanta, con esattezza nel 1991, le due Coree furono ammesse alle Nazioni Unite e firmarono un patto di non aggressione e di riconciliazione (Mazzei F., Volpi V., 2010). La democrazia sudcoreana continuò il processo di consolidamento e stabilità con l’elezione di Kim Young-sam nel 1993, il cui governo si distinse per l’adozione di un programma di «moralizzazione» del paese e, più specificatamente, della sfera politica ed economica, basata sulla trasparenza della gestione della cosa pubblica e portata avanti principalmente attraverso una lotta serrata alla corruzione. Nonostante gli alti principi ispiratori, il governo di Young-sam fu costellato da molti alti e bassi, sia a livello di soddisfazione dell’opinione pubblica, che di successo nel raggiungimento del programma prefissatosi. Uno dei più grandi successi del governo Young-sam fu comunque l’ingresso della Corea del Sud nell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) nel 1996 che segnò il passaggio definitivo da un paese in via di sviluppo ad un economia avanzata. Purtroppo, questo passaggio avvenne forse troppo presto, poiché la crisi finanziaria thailandese causò gravi ripercussioni anche sull’economia sudcoreana, tanto che dovette richiedere l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale (Fiori A., 2010). In quel momento salì al potere Kim Daejung, importante e storica figura dell’opposizione sudcoreana degli anni Settanta, che si distinse nel tempo per la sua determinazione nel 15 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana cercare la riconciliazione con la Corea del Nord. Impegno che gli valse il premio Nobel per la pace nel 2000 (Sellier J., 2010). La crisi del 1997 mise in luce i limiti strutturali delle economie – tra cui quella della Corea del Sud – troppo orientate sulle esportazioni e che, sebbene siano caratterizzate da ottime capacità emulative, non hanno sufficienti capacità di ricerca e innovazione tali da poter competere con Giappone, Stati Uniti ed Europa. Peraltro, la Corea del Sud è sempre stata al centro di una trappola competitiva, dovendo confrontarsi da un lato con la più elevata qualità dei prodotti giapponesi, dall’altra con i costi decisamente più contenuti dei prodotti cinesi. Ad ogni modo, pochi sarebbero riusciti a raggiungere i traguardi ottenuti dalla Corea del Sud nel dopoguerra, sarebbe sufficiente visitare il quartier generale della Samsung a Seoul per rendersene conto. Pertanto, sebbene le minacce, o per meglio dire gli ostacoli da superare sono ancora vari (come per tutti gli Stati), le caratteristiche sociali ed economiche della Repubblica di Corea sono tali da doverla considerare uno dei più temibili competitor sulla scena economica globale (Mazzei F., Volpi V., 2010). 8.3. La Corea del Nord Al termine del conflitto la Corea del Nord era un paese tutto da ricostruire. Primi tentativi verso un’efficace ricostruzione del paese furono inseriti nel piano triennale (19541956) il cui principale merito fu, solamente, quello di definire lo schema sociale che poi caratterizzò la Corea del Nord per molti anni: l’organizzazione simile a quella militare al fine di raggiungere gli obiettivi fissati dallo Stato, che avvenne attraverso vere e proprie campagne di mobilitazione di massa. In questa fattispecie, l’obiettivo iniziale fu la ricostruzione dei servizi pubblici, delle case e del sistema infrastrutturale. In un secondo momento, con il piano quinquennale (1957-1961) il governo di Pyongyang intendeva raggiungere anche il progresso dei comparti produttivi e, pertanto, industria, agricoltura e infrastrutture (Fiori A., 2010). È in questi anni che la Repubblica Democratica Popolare di Corea assunse una struttura politica e sociale di chiara ispirazione marxista, così come indicato nelle «Tre Grandi Rivoluzioni» annunciante dal Presidente 16 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana Kim Il Sung, ovvero la rivoluzione ideologica, tecnica e culturale per il rinnovamento del paese. In sostanza, il paese adottò una rigida osservanza collettivista, fermamente guidata dal Partito Comunista coreano (Corna Pellegrini G., 1982). Intorno alla seconda metà del 1950, Kim Il-sung iniziò a portare avanti un programma ideologico che si concentrava sul concetto di autonomia e enfatizzava le qualità dell’identità coreana, coniando per la prima volta il termine chuch’e (che non ha una traduzione esatta, ma sta appunto ad indicare l’«autosufficienza») che incise profondamente sulla vita e sull’ordinamento statale del paese. Il vocabolo, infatti, fu applicato nell’arco di poco tempo, e senza alcuna forma di distinzione, a livello economico, politico e militare, affiancando l’ideologia marxista-leninista, per poi scalzarla definitivamente poco dopo. La maturazione del concetto del chuch’e continuò per tutti gli anni Settanta, e la sua diffusione e importanza fu tale da comparire perfino nella Costituzione del 1972 come principio guida del sistema politico del paese. Verso la fine degli anni Settanta, il chuch’e divenne un principio universale applicabile a qualsiasi campo (anche allo sport, alle scienze, o alla musica). In seguito l’ideologia della chuch’e si fuse inestricabilmente al culto della figura di Kim Il-sung e della sua famiglia. Un sentimento di adorazione che finì per impregnare ogni aspetto della società coreana, con una capacità di diffusione e di radicamento di difficile comprensione per gli osservatori esterni. Al principio del 1958 il controllo della sfera politica da parte del gruppo di Kim Il-sung era ormai completo, grazie anche all’annientamento dell’opposizione avvenuta successivamente al fallimento di alcuni tentativi di rovesciare lo status quo. La crescente enfasi sul culto della personalità di Kim Il-sung costruiva lo specchio del controllo esercitato dal leader. Con la progressiva eliminazione delle altre fazioni, il dibattito pubblico cessò di esistere e il partito, pertanto, si tramutò da movimento politico, in strumento operativo per la realizzazione delle direttive di Kim. Per tutti gli anni Sessanta guidò il paese al fine di dotarlo dell’industria pesante e di armamenti. 17 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana In questi anni si raggiunse definitivamente il rimodellamento della società nordcoreana coerentemente ai dettami dell’ideologia del chuch’e: il potere dello Stato-partito si estendeva su qualsiasi aspetto e ambito della società, assumendo il controllo totale di qualunque forma di attività politica; nel sistema economico nordcoreano mancava quasi totalmente un’economia di consumo, cosa che comportò la pressoché totale dipendenza dei cittadini dallo Stato; il sistema di produzione statale fu devoluto essenzialmente al comparto militare e all’erogazione dei servizi di assistenza di base, limitando profondamente la crescita economica del paese. Ormai capo incontrastato Kim Il-sunn adottò una pratica ai tempi sconosciuta nei paesi a regime comunista: iniziò a introdurre nella vita politica (ovviamente in posizione di leadership) il primogenito Kim Jong-il, mosso dalla convinzione che solo in uno Stato governato dal figlio e dai suoi ex commilitoni sarebbe stato possibile preservare e tramandare i suoi insegnamenti ed la sua eredità politica. L’ascesa di Kim Jong-il fu preceduta dalla moltiplicazione di una serie di racconti, atti a manifestare ed enfatizzare l’assoluta eccezionalità del figlio, favorendo in questo modo lo sviluppo di un nuovo culto della personalità. Quello nordcoreano fu l’unico sistema ereditario della leadership sviluppatosi tra i paesi comunisti, probabilmente come conseguenza del nepotismo e dell’assottigliamento della base del potere che stava caratterizzando la Repubblica Democratica Popolare in quegli anni. Gli Settanta furono anche gli anni dei primi sentori delle inefficienze economiche dei piani collettivi, causate sicuramente da diversi fattori, come l’isolamento internazionale e la centralizzazione amministrativa che frenarono la spinta produttiva della Corea del Nord. Per ovviare a questa difficoltà furono acquistati macchinari occidentali, che sarebbero stati ripagati con i profitti generati dalle nuove attività industriali. Tuttavia, il piano iniziale risultò fallimentare, colpa anche della cattiva congiuntura economica (shock petroliferi e recessione globale), ma soprattutto delle scarse capacità di pianificazione, dell’inadeguato sistema infrastrutturale e delle carenti abilità imprenditoriali necessarie per sapere sfruttare macchinari così sofisticati. Conseguentemente, nel 1974 la Corea del Nord smise di acquistare questi macchinari, senza peraltro riuscire a sdebitarsi con i fornitori. Si creò, 18 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana quindi, un circolo vizioso in cui l’obsolescenza tecnologica peggiorava sempre più e i materiali grezzi e semilavorati costituivano la quota maggiore dell’economia nordcoreana (circa l’80%), intrappolando la Repubblica Popolare Democratica in una condizione di Stato semindustrializzato. Nonostante il ritardo economico e tecnologico, Kim Il-sung continuò a concentrarsi sul comparto militare che aveva ormai surclassato qualsiasi altro settore produttivo, privando di qualsiasi capacità produttiva l’economia civile. L’intero sistema economico, inoltre, si trovava sotto un rigido controllo dello Stato che continuava a essere gestito con metodi altamente antiquati, considerato che ancora privilegiavano i sistemi produttivi con alti rendimenti quantitativi a sistemi basati sull’innovazione tecnologica. L’autarchia e l’autosufficienza che inizialmente rappresentavano una scelta politica, divennero nel tempo una necessità per la sopravvivenza. Questa stagnazione economica non si modificò neanche con la salita al potere di Kim Jong-il, sebbene la maggioranza della popolazione sperasse nell’avvio di un processo di riforma come quelle verificatosi in Cina e Vietnam. Al contrario, l’ascesa di Kim Jong-il negli anni Novanta consolidò i vecchi principi di governo del padre e coincise con l'intensificazione della crisi economica del paese, il cui effetto più drammatico fu la rivelazione dell’inconsistenza dell’ideologia chuch’e, considerato che la Corea del Nord non riuscì mai a raggiungere l’autosufficienza così a lungo promessa. Anche a livello internazionale la sicurezza della Repubblica Popolare Democratica iniziò a scricchiolare. Con la caduta dell’URSS, avvenuta nel 1991, la Corea del Nord fu privata del suo sostegno, contemporaneamente, il paese si ritrovò schiacciato tra il forte progresso economico della Corea del Sud da un lato, e il crescente ruolo sulla scena internazionale della Cina, con la quale si deteriorarono i rapporti dopo che riconobbe la Corea del Sud nel 1992. L’amministrazione di Pyongyang tentò di uscire da questa condizione d’inferiorità, dapprima con la forza – attentando alla vita del Presidente sudcoreano – e successivamente proponendo l’apertura di trattative per la distensione dei 19 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 8° - La penisola coreana rapporti con Seoul, che fu però rigettata dagli statunitensi per l’inaccettabilità delle richieste fatte. Gli anni a seguire furono segnati da numerose calamità naturali nel 1995 e nel 1996, inondazioni seguite da siccità, che provocarono una carestia che pare abbia causato circa due milioni di vittime. Il regime, ciononostante, intensificò il suo programma militare che portò, nel 2006, al suo primo test nucleare. Dal 2007, però, la Corea del Nord ha accettato di limitare questo programma in cambio di concessioni di petrolio e altre forme di aiuto economico (Sellier J., 2010). RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Corna Pellegrini G. (1982), L’Asia Meridionale e Orientale, UTET. Fiori A. (2010), L’Asia orientale. Dal 1945 ai giorni nostri, Il Mulino. Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V. (2002), L’età contemporanea, Laterza. Mazzei F., Volpi V. (2010), La rivincita della mano visibile. Il modello economico asiatico e l’Occidente, Università Bocconi Editore. Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte. 20 Corso di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali INSEGNAMENTO DI STORIA E ISTITUZIONI DELL’ASIA Modulo 9° - In Indocina A cura di Antonietta Pagano Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina SOMMARIO MODULO 9° In Indocina 9.1. La penisola indocinese 9.2. Il travagliato cammino verso i due Vietnam 9.3. Dalla Guerra del Vietnam ad oggi 1 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina 9.1. La penisola indocinese Vasta penisola del Sud-Est asiatico, l’Indocina (sebbene sia ormai anacronistico) venne così chiamata in base alla sua posizione geografica, essendo collocata a Est del subcontinente indiano – da cui deriva anche il nome di «India Posteriore» – e a Sud della Cina. Gli Stati che attualmente la compongono, ovvero Cambogia, Laos, Malaysia, Myanmar, Singapore, Thailandia e Vietnam, non presentano alcuna unitarietà o conformità antropica. È, infatti, difficile definire gruppo o sottogruppi etnico-linguistici. Oltretutto, la diffusione delle grandi religioni indù e buddhista prima, islamica e cristiana poi, ha prodotto una grande varietà di credenze e riti, che hanno dato vita a loro volta a nuove strutture sociali complesse. Anche sotto il profilo demografico, economico e culturale, la regione si caratterizza per una profonda disomogeneità tra le aree, dovuta non tanto al determinismo geografico, piuttosto alle influenze reciproche esercitate tra uomo e territorio nel corso dei secoli. Nei territori continentali del Sud-est asiatico, il sistema oro-idrografico ha consentito sin dalla preistoria lenti spostamenti delle popolazione da Nord verso Sud, favorendo soprattutto gli insediamenti dapprima nelle vallate e successivamente anche nei delta dei grandi fiumi di cui la zona è ricca (Corna Pellegrini G., 1982). Così attraverso questi fenomeni migratori ci fu la colonizzazione del popolo dei Birmani nella pianura dell’Irrawaddy a partire dalla metà del primo millennio, epoca in cui ci fu anche la migrazione dei Thai dallo Yunnan verso Sud. Queste popolazioni furono profondamente influenzate dalla civiltà indiana, soprattutto tramite le relazioni commerciali, mediante cui furono introdotti nella regione l’induismo, il sanscrito e il buddhismo – quest’ultimo si diffuse molto più lentamente, divenendo però la religione della quasi totalità della popolazione in Birmania, Siam, Cambogia e Laos (Sellier J., 2010) Il popolo vietnamita, invece, subì una forte influenza cinese che privilegiava l’occupazione militare e l’imposizione del proprio sistema amministrativo alle relazioni 2 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina commerciali. A differenza dei rapporti tra India e Stati induizzati che restavano solitamente pacifici – appunto perché fondati su una penetrazione commerciale e culturale che permetteva lo sviluppo di elementi e caratteristiche indigene – in quelli tra Cina e paesi «satellite», invece, fu molto forte la presenza cinese, al punto da trasformarsi in alcuni casi in oppressiva e colonizzatrice. Il regno del Nam-Viet entrò nell’orbita cinese nel III secolo a.C. e nel I secolo d.C. divenne una vera e propria provincia dell’impero. La sua capitale Hanoi, allora sita più vicino alla costa, divenne un centro amministrativo, così come altre città minori della regione. L’assimilazione delle più progredite tecniche agricole cinesi e l’organizzazione centralizzata dello Stato favorirono fortemente il progresso nella regione, da cui risultò una consistente crescita che stimolò la popolazione vietnamita a lottare per indipendenza nel X secolo d.C. Non potendo espandersi a Nord a causa della presenza cinese, decisero di procedere alla conquista della parte meridionale della regione. Dopo una quasi millenaria occupazione cinese che agì in profondità sulla struttura amministrativa del paese, il regno del Nam-Viet fu diviso nell’XI secolo in ventiquattro province, ciascuna presieduta da un capoluogo collegato alla capitale Hanoi da un ben sviluppato sistema stradale. Hanoi riuscì a mantenere lo status di capitale per ben otto secoli, nonostante le rivolte interne e le guerre contro i Mongoli e il regno di Cham. Più a Sud della stessa penisola, l’influenza cinese fu, invece, meno importante di quella che l’India esercitava nei regni siti in punti chiave della regione, ovverosia lungo le vie di comunicazione tra India e Cina: il regno di Linyi (o più tardi Champa) posizionato nella regione di Hué, il regno di Funa situato lungo il corso inferiore e il delta del Mekong e il regno di Langkasuka nella penisola di Malacca (Corna Pellegrini G., 1982). Il regno di Linyi, che solo successivamente assunse il nome sanscrito di «Champa» (letteralmente significa paese dei Cham), divenne uno Stato indipendente solo nel 192 d.C., dopo essersi liberata dello status di sottoprefettura cinese, riuscendo a occupare una serie di piccole ma fertili pianure della regione. Nonostante l’origine, il regno di Champa subì profondamente l’influenza indiana a seguito dell’espansione territoriale verso Sud del IV 3 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina secolo, in cui entro in contatto con la cultura indiana. Con un’organizzazione statale e commerciale molto avanzata, il regno superò di molto la vita del regno di Funan, nonostante i conflitti con la Cina e con i Vietnamiti, i quali però nel XV secolo riuscirono a soggiogare. Il regno di Champa fu, quindi, ridotto inizialmente ad un piccolo territorio all’interno del Vietnam, per poi essere definitivamente assorbito nel XVIII secolo. Il regno di Funan, famoso soprattutto per la sua importanza commerciale e marittima, raggiunse l’apice della sua potenza nel V secolo, da cui iniziò l’inesorabile declino che portò alla conquista, da parte dei Khmer del Chen-la, suo regno vassallo, nel VI secolo (Sellier J., 2010). Il regno dei Khmer fu fondato nel I secolo d.C. e grazie all’avanzata territoriale portata avanti dai suoi sovrani. I Khmer raggiunsero il vertice intorno all’XI-XII secolo, grazie sia a guerre fortunate, sia a un sistema economico forte e florido. Il progresso economico fu dovuto alla sapiente applicazione dell’idraulica all’agricoltura che diede vita ad una civiltà molto ricca sotto il profilo amministrativo, religioso e commerciale. Tramite ingegnosi congegni che regolavano il deflusso attraverso canali di dimensioni diverse, le acque erano distribuite nei territori nelle stagioni più asciutte. Le risaie così erano permanentemente inondate, riuscendo a fornire anche tre o quattro raccolti l’anno, i canali e perfino i fossati che circondavano i templi rappresentavano inoltre un’eccellente rete di comunicazione. Un sistema così complesso richiedeva un’elevata unitarietà e sincronia nella gestione dei flussi d’acqua. Sarebbe, pertanto, bastato un qualsiasi intralcio a far bloccare l’intero sistema. Cosa che si verificò con molta probabilità nel XV secolo, anche a causa delle continue incursioni dei Siamesi, che riuscirono a conquistare la città di Angkor distruggendo i bacini e le altre opere idrauliche e rendendo conseguentemente inabitabile la zona cuore dell’impero Khmer. La caduta di Angkor decretò la fine del regno che divenne uno stato vassallo e conteso dai Vietnamiti e dai Siamesi. Il declino del regno Khmer corrispose con l’ascesa del dominio del popolo Thai, non solo nella regione centrale della penisola indocinese, ma anche in parte dell’alto Mekong. Il 4 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina regno di Sukhothai, fondato nel 1238, riuscì ad elevarsi sugli altri grazie alla vivacità del suo popolo e alla sagacia dei suoi re, riuscendo ad annettere parte della penisola malese, del Laos e della Cambogia. Chiamato Sien dai Cinesi e Siam dai Cambogiani, il regno fu considerato la «culla della civiltà siamese». La sua capitale, Sukhothai, godeva di una straordinaria posizione geografica, trovandosi al centro di molte vie di comunicazione e, pertanto, di traffici commerciali e di influenze culturali, religiose, politiche e artistiche di ogni genere che i Siamesi riuscirono a rielaborare con spirito originale. Così come rapida fu l’ascesa, altrettanto veloce fu il declino del regno di Sukhothai, che fu prontamente rimpiazzato dal regno meridionale di Ayuthai (Corna Pellegrini G., 1982). Fondata nel 1350, il regno di Ayuthai (nome anche della capitale) o anche del Siam, fu soggetto a diversi conflitti con i vicini regni dei Khmer, di Malacca e di Birmania. Una stabilità nella regione e per il regno del Siam si raggiunse solo nel 1594, periodo che durò fino alla metà del XVIII secolo. Intorno al XVII secolo, in un raro intervallo di pace, il Siam si aprì al commercio con l’estero, in particolare con Giapponesi, Olandesi, Inglesi e, solo più tardi, Francesi. Questi ultimi furono accolti favorevolmente dal re del Siam – allarmato dalla preoccupante avanzata commerciale Olandese – tramite l’iniziale intermediazione del missionario francese Pierre Lambert de Lamothe nel 1662. Originariamente i Francesi speravano di riuscire a raggiungere la conversione dei Siamesi, ma le richieste troppo esigenti scatenarono una rivolta di palazzo nel 1688, costringendoli a lasciare il paese. Da allora le autorità siamesi si dimostrarono estremamente diffidenti nei confronti degli stranieri (Sellier J., 2010). Simile fu la sorte francese in Vietnam, dove, dopo un iniziale accreditamento presso le popolazioni vietnamite, i Francesi furono rapidamente scacciati dal paese. La Francia supportò Nguyen Anh nella sua salita al potere del 1802, sancita con la proclamazione a imperatore del Vietnam, unificato sotto il nome di Gia Long. Se in un primo tempo il nuovo imperatore sembrava mostrare un certo interesse per l’Occidente, successivamente la sua politica fu di assoluto isolamento e xenofobia. Il modello cinese dei Qing fu di nuovo 5 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina ispiratore del governo e delle nuove istituzioni amministrative. Il conservatorismo immobile del governo, praticato in forma ancor più completa dai successori di Gia Long, produsse un grave deterioramento del sistema economico, una crescita della popolazione molto più veloce rispetto alla capacità produttiva del paese e un incremento della richiesta di beni di consumo. In questa situazione di stagnazione economica, l’unico settore a prosperare fu quello degli studi confuciani, dovuto in buona parte all’attività dei missionari cristiani, che da molto tempo operavano nel paese e, più in generale, in tutti gli Stati dell’Asia. La potenza disgregatrice del nuovo credo religioso fu percepita sin da subito come pericolosa (ancor più dei tentativi di espansionismo commerciale occidentale), inducendo le autorità vietnamite a reagire energicamente, sia cercando di rinsaldare in ogni modo la fede e la cultura tradizionali, sia perseguitando sistematicamente i missionari cattolici. Alcuni gravi episodi d’intolleranza religiosa offrirono alla Francia il ricercato pretesto per giustificare un intervento in Estremo Oriente, dove la sua presenza era divenuta trascurabile, soprattutto se paragonata alla crescente presenza inglese. L’uccisione del vescovo del Tonchino, di alcuni missionari e di migliaia di Vietnamiti convertiti al Cristianesimo rappresentarono il casus belli per attaccare via mare il Vietnam, dando inizio ad un’espansione che si distinse per la rapidità e l’elevata aggressività (Corna Pellegrini G., 1982). Dal 1840 al 1867 la Francia formò un’unica colonia impossessandosi della Cocincina orientale e occidentale e posero poi sotto protettorato la Cambogia. Provarono, inoltre, a esplorare il corso del Mekong, nella speranza di accedere al mercato cinese, ma rivelandosi non navigabile i Francesi si concentrarono nuovamente sul Fiume Rosso (Sellier J., 2010). Gli interessi della Francia si focalizzarono quindi sulle regioni più settentrionali del Vietnam. Nel 1874 furono firmati i primi accordi tra l’imperatore vietnamita e i rappresentanti francesi, la cui ambiguità condusse ad una guerra tra Cina e Francia, ritrovatasi coinvolta in una guerriglia logorante che si concluse con la vittoria francese e la firma di due trattati, nel 1883 e nel 1884, i quali instauravano un protettorato sul Vietnam e la fine della sovranità cinese su quei territori. 6 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina Il compimento dell’avanzata territoriale francese in Indocina si raggiunge pochi anni dopo, esattamente nel 1887, con l’unificazione amministrativa di tutti i territori sottoposti al controllo dell’autorità francese, che prese il nome di Unione Indocinese, comprendente la Cocincina, Tonchino, Annam, Laos e Cambogia. La prima regione era amministrata direttamente come vera e propria colonia, le restanti furono soggette ad un protettorato in cui il «résident supérieur» era dotato di un potere limitato a causa dalla persistenza di un apparato amministrativo-burocratico mantenuto dai mandarini locali, ancora impiegati nei loro uffici. Figura 9.1.: L’Indocina francese Fonte: Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte Durante la colonizzazione francese, in particolare nel periodo che va dal 1880 al 1940, i paesi dell’Unione Indocinese furono interessati da un sorprendente progresso economico: si procedette allo sfruttamento intensivo delle miniere di carbone, stagno, zinco e delle risorse forestali, furono aumentate le piantagioni di caucciù e si crearono le prime industrie tessili e 7 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina metallurgiche. Tuttavia, lo sviluppo economico indocinese dipendeva unicamente dagli investimenti, dalle importazioni ed esportazioni francesi, con una totale esclusione della concorrenza locale o di altre potenze, solo una minima parte degli interessi era in mano cinese. Ciò pose dei limiti al progresso economico della regione, che sebbene registrò un’interessante crescita nella produzione, non riuscì mai a far aumentare o migliorare il livello di vita della sua popolazione, che era aumentata da 7 a 27 milioni nell’arco di soli quarant’anni. La crescente pressione demografica e sociale divenne, pertanto, un fattore di forte tensione all’interno dell’Unione Indocinese e una delle cause che favorì la nascita dei primi movimenti nazionalisti all’inizio del XX secolo, spinti fondamentalmente da un desiderio di emancipazione dai soprusi e dallo sfruttamento occidentali da un lato e dalla volontà di migliorare le proprie condizioni di vita dall’altro (Corna Pellegrini G., 1982). 9.2. Il travagliato cammino verso i due Vietnam I primi movimenti indipendentisti si manifestarono in Vietnam, proprio dove le lotte contro la Cina si erano caratterizzate per una forte tradizione di nazionalismo. Nel paese, infatti, i movimenti nazionalisti erano animati non soltanto dalla volontà di combattere lo sfruttamento economico occidentale, ma anche l’immobilismo culturale che lo stava interessando. Un immobilismo che fu determinato da una civilizzazione a 360° operata dai Francesi nel corso della colonizzazione. In ogni territorio conquistato dall’autorità francese era stata promossa una sistematica assimilazione culturale e politica, processo che interessò quindi anche la lingua, la religione, la letteratura, le leggi, il sistema di governo e quello educativo Ciò valse anche per i Vietnamiti, ai quali fu insegnato il francese, molti furono convertiti al cattolicesimo, agli studenti fu insegnata la storia, la letteratura e la legge francese. Inoltre, in apposite scuole private frequentate dal 20% dei ragazzi vietnamiti fu anche insegnata matematica, scienze e ingegneria, così da poter fornire ai quei giovani più brillanti, qualora la famiglia potesse permetterselo, la preparazione necessaria per frequentare le scuole 8 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina francesi in Indocina o l’università in Francia, dove era possibile seguire gli stessi corsi dei Francesi e ottenere il medesimo livello di istruzione. La stessa lingua fu cambiata, sostituendo il difficile cinese con l’alfabeto romano utilizzato in Europa occidentale. Obiettivo ultimo delle autorità coloniali era quello di instillare nelle menti più brillanti vietnamite il sistema culturale francese, così da creare una classe – un élite sociale – pronta a supportare la dominazione del loro paese. Le profonde trasformazioni apportate dalle autorità francesi oltre all’assimilazione culturale miravano anche a modernizzare il sistema economico e infrastrutturale del paese. In effetti, nel corso della dominazione francese furono costruite numerose ferrovie che collegavano le principali città del Vietnam, tra queste la più importante – che rappresentò anche motivo di orgoglio per entrambi, Francesi e Vietnamiti – fu la realizzazione di un sistema ferroviario che collegava la capitale settentrionale di Hanoi a Saigon, la più grande città nel Sud del Vietnam. In aggiunta al sistema ferroviario, camion e automobili furono importati dalla Francia, molte strade furono asfaltate e si procedette alla costruzione di numerosi ponti. Sotto il profilo giuridico, i Francesi imposero il loro sistema giuridico, fondamentalmente basato sui codici napoleonici, sostituendo quello vietnamita usato ormai da secoli, perché convinti che quello francese fosse più «umano». In realtà, sebbene non supportato da mere motivazioni filantropiche, l’adozione dei codici francesi apportò dei miglioramenti nel trattamento dei colpevoli e nelle imposizioni delle pene, basti pensare che fino a poco prima le donne accusate di adulterio erano calpestate da elefanti, mentre i ladri venivano decapitati. Con l’adozione delle leggi e del sistema giudiziario francese le pene furono decisamente ridotte e rese più tollerabili. Infine, sotto il profilo economico si deve alla Francia la commercializzazione dell’oppio nel paese e l’esportazione del riso, fino a quel momento vietata dall’imperatore vietnamita. Il paese, inoltre, si concentrò sulla produzione di caucciù. La famosa azienda di pneumatici Michelin, per esempio, in quel periodo comprò migliaia di ettari di terra dove fu impiegata 9 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina parte della popolazione locale costretta a lavorare in condizioni disumane, affetti da malaria, dissenteria e malnutrizione (Ladenburg T., 2007). Questa condizione di assoggettamento economico e culturale continuò senza alcuna forte reazione da parte della popolazione vietnamita fino alla Prima Guerra Mondiale, quando intellettuali e attivisti politici, stanchi dell’immobilismo in cui erano costretti, iniziarono ad avanzare richieste di emancipazione all’autorità coloniale. Sotto il profilo culturale, i vietnamiti erano sistematicamente esclusi da qualsiasi ricerca di carattere scientifico, artistico, storico e letterario, che era, invece, di esclusivo appannaggio di un gruppo di studiosi francesi appartenenti all’École Française d’Extrême-Orient di Hanoi. Anche dal punto di vista politico ai vietnamiti non erano concesse ampie libertà, al contrario, ogni attività politica era severamente controllata. Ciò non impedì agli intellettuali vietnamiti, curiosamente nutriti da idee illuministiche, di avvicinarsi ai movimenti nazionalistici e rivoluzionari fioriti in Cina all’inizio degli anni Venti. In generale, le autorità francesi operarono nella regione una costante e serrata repressione contro qualsiasi forma di movimento di emancipazione o di richiesta perorata dalle comunità locali (Corna Pellegrini G., 1982). Neanche la nascita, dopo la Grande Guerra, di una borghesia vietnamita educata all’occidentale riuscì a ottenere una qualsiasi concessione, anzi, l’amministrazione coloniale preoccupata dalle continue istanze rifiutò con durezza qualsiasi apertura e tentò di conservare ancor più gelosamente il monopolio del potere. La cattiva gestione francese fu una delle principali cause scatenanti la nascita di movimenti rivoluzionari, come il Partito nazionale vietnamita, fondato nel 1927 sul modello del Guomindang cinese, e del Partito comunista indocinese guidato da Ho Chi Minh (Sellier J., 2010). La repressione francese prima e gli esiti della Seconda Guerra Mondiale poi, durante cui si arrivò all’occupazione giapponese in parte dell’Indocina, costrinsero il movimento di Ho Chi Minh alla clandestinità e all’esilio (Corna Pellegrini G., 1982). Fu così che stabilitosi nei territori appena fuori la parte occupata dal Giappone che Ho Chi Minh preparò il suo 10 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina piano per il recupero della sovranità nazionale vietnamita, da realizzarsi una volta che gli Alleati avessero sconfitto e scacciato i Giapponesi. Nel 1941, a Pac Bo – un insieme di grotte situate lungo il confine sino-vietnamita – Ho Chi Minh fondò il Viet Minh Doc Lap Dong Minh, ossia Lega per l'Indipendenza del Vietnam (in breve, Viet Minh) con a capo il Partito Comunista Indocinese, avente lo scopo di conquistare il sostegno di tutti i segmenti della società vietnamita e favorire l'indipendenza nazionale. Il 19 agosto 1945, pochi giorni dopo la capitolazione giapponese per opera degli Alleati, ma prima che le truppe di de Gaulle potessero sbarcare nei territori vietnamiti, il Viet Minh, approfittando di un’ondata di malcontento popolare a causa della prolungata carestia per impadronirsi del potere ad Hanoi. Nel giro di pochi giorni, esattamente il 2 settembre del 1945, di fronte ad una platea ipnotizzata, Ho Chi Minh proclamò l’indipendenza della Repubblica Democratica del Vietnam (RDV). Da quel momento in poi, Ho Chi Minh fu considerato il padre della neonata nazione (Goscha C. E., 2010). A pochi giorni dalla nascita della Repubblica, il Vietnam si trovava contesa da più parti (cinesi, francesi e nazionalisti). Pertanto, durante la Conferenza di Postdam si decise che si sarebbe proceduto al disarmo delle truppe giapponesi facendo occupare ai Cinesi la parte dell’Indocina a Nord del 16° parallelo e ai Britannici la restante area a Sud, i quali a loro volta facilitarono il rientro delle forze francesi che, alla fine del 1945, riuscirono a controllare nuovamente la Cocincina e il Sud dell’Annam. Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, si raggiunse la liberazione per la Francia, ma apparentemente non per le sue colonie. Estenuato dalla pressione cinese, Ho Chi Minh – le cui azioni furono sempre tese all’indipendenza e riunificazione del paese – decise di entrare in contatto con le autorità francesi (Sellier J., 2010), riuscendo così a risolvere inaspettatamente il problema dell’occupazione cinese del Nord del Vietnam quando i Francesi proposero uno scambio a Chiang Kai-shek: le forze cinesi sarebbero state sostituite da quelle francesi a Nord del 16° 11 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina parallelo in cambio sarebbero cessata ogni pretesa sulle vecchie concessioni francesi a Shanghai e in altri porti cinesi. Dopo che Chiang Kai-shek accettò l'offerta, l'esercito di Luhan iniziò a lasciare i territori settentrionali all'inizio del 1946. A questo punto Ho Chi Minh si trovò di fronte alla prospettiva di un ritorno francese nel Vietnam del Nord e, diversamente da quanto suggeritogli dai suoi collaboratori che proponevano il ricorso alla forza tramite il Vietnminh, decise di seguire in prima battuta la via dei negoziati, per poi ricorre al conflitto armato in caso di insuccesso. L’offerta di Ho Chi Minh consisteva nell’accettare il ritorno temporaneo dei Francesi nella parte settentrionale del paese, a condizione che fosse riconosciuta la legittimità della Repubblica vietnamita e fosse definito un limite di tempo per la presenza delle truppe francesi in Vietnam. Dopo lunghe trattative, il principale punto critico si rivelò essere il futuro della Cocincina, che a differenza dei protettorati francesi di Tonchino e Annam, era tecnicamente sempre stata una colonia francese. Pertanto, in base alla controproposta francese sarebbe stato concesso il riconoscimento diplomatico della Repubblica di Ho Chi Minh soltanto nel caso in cui la Cocincina fosse rimasta sotto il controllo francese. Il rifiuto di Ho Chi Minh fu più che prevedibile considerata la sua opposizione ad una partizione del Vietnam. Proprio quando le trattative sembrano bloccate, le parti raggiunsero un accordo di compromesso il 6 marzo 1946: la Francia avrebbe riconosciuto la Repubblica Democratica del Vietnam come uno Stato indipendente all'interno dell'Unione Indocinese, le truppe dell'Unione francese sarebbero rimaste di stanza nella Repubblica per non più di cinque anni e per la Cocincina si sarebbe proceduto con trattative a Parigi tra i rappresentanti della Repubblica Democratica del Vietnam e della Francia (Addington L. H., 2000). Si ottenne così l’abbandono dei Cinesi dalla parte settentrionale del Vietnam e il graduale ingresso delle truppe francesi. Nel frattempo ripresero i negoziati, ma entrambe le parti erano più interessate a portare avanti i propri interessi nazionali piuttosto che cedere a compromessi per il bene e la pace comune. Infatti, mentre, la RDV mirava all’unità e 12 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina all’indipendenza del Vietnam, le autorità francesi intendevano conservare la Cocincina e mantenere il controllo sull’Indocina federale. La tensione era quindi alta e al verificarsi degli incidenti ad Haiphong, le forze francesi ne bombardarono il porto provocando la reazione dei Viet Minh: ebbe così inizio nel dicembre 1946 la guerra. L’avanzata francese fu inarrestabile, occuparono Tonchino e Hanoi, proseguendo lungo la frontiera cinese e, tra il 1947 e il 1950, riuscì a controllare il delta del Fiume Rosso, battendosi contro la tenace resistenza del Viet Minh. Nel resto del paese, invece, l’esercito francese dovette affrontare solo focolai di guerriglia sparsi. Allo stesso tempo la Francia tentava di trovare un modo per salvaguardare i suoi interessi, dando comunque il proprio consenso al nazionalismo vietnamita e fu così che si rivolse a Bao Dai – il precedente imperatore vietnamita – rifugiatosi ad Hong Kong dopo la proclamazione di indipendenza del 1945. Nel 1949, dopo lunghissimi negoziati e soprattutto grazie alla forte pressione statunitense, la Francia si arrese alle richieste vietnamite e accordò l’indipendenza allo Stato del Vietnam, comprendente la Cocincina, con Bao Dai capo di Stato. Nel corso dello stesso anno, tuttavia, la vittoria dei comunisti in Cina sconvolse profondamente la situazione, sia sotto il profilo politico che militare: nel 1950, immediatamente dopo la rinuncia della sovranità sul Vietnam da parte della Francia, la Repubblica Democratica del Vietnam si proclamò l’unica autorità legittima del paese. Subito arrivò anche il riconoscimento da parte della Cina e dell’URSS, mentre dopo solo un mese gli Stati Uniti riconobbero lo Stato del Vietnam. Come in Corea anche i territori del Vietnam furono inglobati nei giochi di potere della Guerra Fredda. Intanto la guerra nel Vietnam continuò per altre quattro anni, fino a che le parti coinvolte non furono riunite nella Conferenza di pace di Ginevra nel 1954, dove vi parteciparono Francia, Gran Bretagna, Cina, Stati Uniti, Unione Sovietica, il Laos, la Cambogia, e i rappresentanti del Viet Minh e del regime di Bao Dai. Gli accordi di Ginevra stabilirono una linea d’armistizio lungo il 17° parallelo, che separava il Vietnam del Nord – con capitale ad Hanoi – dal Vietnam del Sud – con capitale a Saigon – i domini coloniali francesi terminavano di esistere e fu stabilita l’indizione di 13 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina elezioni libere per la riunificazione del paese. Gli accordi furono firmati da Francia, Cina e URSS, ma non dagli Stati Uniti. Il risultato della Conferenza di Ginevra furono devastanti, in pratica si vennero a creare due Stati contrapposti: a Nord un regime comunista, sostenuto da Cina e URSS, a Sud, invece, uno Stato guidato da Ngo Dinh Diem, divenuto Primo Ministro nel 1954 e sostenuto dagli Stati Uniti. Figura 9.2.: Vietnam dopo il 1954 Fonte: The Encyclopedia of New Zealand (http://www.teara.govt.nz/) Il regime comunista a Nord divenne sempre più rigido, costringendo migliaia di Vietnamiti cattolici a migrare verso Sud. Nel frattempo Diem, una volta restaurato l’ordine pubblico, dovette organizzare l’accoglienza dei rifugiati dal Nord. Di lì a poco, nel 1955, dopo la destituzione di Bao Dai, Diem divenne Presidente della Repubblica del Vietnam, nomina che coincise con la trasformazione della Repubblica in un regime sempre più autoritario e poliziesco nella lotta contro i comunisti, che Diem definiva «Vietcong», ossia «Vietnam rosso», i quali per nulla indeboliti dalla caccia repubblicana, diedero vita nel 1960 al Fronte Nazionale di Liberazione (FNL). Nel 1963 gli Stati Uniti ritirarono il loro sostegno a Diem, che tramite un golpe militare fu destituito e assassinato. Si susseguirono 14 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina diversi colpi di Stato, dai quali uscì vincitore il generale Nguyen Van Thieu che riuscì a ottenere il potere e porsi alla guida del Vietnam del Sud a partire dal 1965 (Sellier J., 2010). 9.3. Dalla Guerra del Vietnam ad oggi All’indomani della Seconda Guerra Mondiale il Vietnam fu dilaniato dall’imposizione di una divisione territoriale che, anziché perseguire gli interessi culturali e di stabilità politica della regione, rappresentava efficacemente i rapporti e le tensioni scaturite durante la Guerra Fredda. Con la fine della presidenza Truman e la morte di Stalin, tuttavia, mutarono i rapporti tra le due superpotenze, che dal combattersi apertamente passarono ad una politica di accettazione reciproca, basata sulla coesistenza pacifica tra i due blocchi. Pertanto, come gli Stati Uniti dovevano accettare il consolidamento dell’impero territoriale e ideologico dell’URSS, così i sovietici non s’intromisero nelle questioni del blocco occidentale e dei paesi sotto la loro influenza. In Asia Meridionale e Orientale questo bilanciamento dei poteri si tradusse nella non interferenza per quei paesi dichiaratamente schierati sotto il profilo ideologico (vedasi la Cina, il Pakistan e il Giappone) e la divisione in aree d’influenza per quei paesi d’importante valenza strategica (come ad esempio la penisola coreana e vietnamita). Ma a differenza del caso coreano, dove la divisione in due nazioni distinte si consolidò nel tempo – contrariamente ai desideri della stessa popolazione coreana – il Vietnam riuscì a unirsi sotto un’unica entità statale dopo lunghe e logoranti guerra. A onor del vero, il conflitto vietnamita ebbe già inizio dalla metà degli anni Cinquanta, ma esplose definitivamente negli anni Sessanta, anche a causa del massiccio coinvolgimento statunitense che incrementò progressivamente il contingente militare a supporto del Vietnam del Sud, dovuto al cambiamento di politica e, quindi, dello status quo nell’area. Infatti, se fino a quel momento vi era stata una politica di mutuo rispetto, con la presidenza Kennedy prima – durante il cui operato il supporto militare arrivò a raggiungere 30.000 uomini – e Johnson poi, la presenza degli Stati Uniti fu sempre più evidente. Contemporaneamente, la nascita del Fronte Nazionale di Liberazione (FNL o Vietcong), che godeva del sostegno militare da parte del Vietnam del Nord, creò un clima di estrema tensione pronta ad esplodere, come poi avvenne a partire dal 1964 quando gli Americani 15 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina bombardarono la pista «Ho Chi Minh» attraverso cui il Nord sostentava i Vietcong (Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). L’anno seguente, senza che ci fosse stata una dichiarazione di guerra, gli Americani iniziarono a bombardare violentemente tutto il Vietnam del Nord e la parte orientale del Laos, impiegando nel conflitto forze armate in quantità sempre maggiore (Sellier J., 2010). Tuttavia, quest’escalation di contingenti e di violenza non fu sufficiente a contrastare la lotta dei Vietcong – che potevano contare sul vasto supporto fra le masse contadine – né tanto meno a piegare la resistenza del Vietnam del Nord, il quale grazie alla collaborazione di Cina e Russia, riuscì a rifornire di armi e uomini il proprio esercito. La guerra continuò ancora per diverso tempo, diversamente da quanto pronosticato dalle autorità statunitensi, il cui esercito – addestrato alla guerra meccanizzata – si ritrovò completamente impreparato a gestire una guerriglia partigiana, provocando un crescente disagio. Uno scontento diffuso non soltanto all’interno delle forze armate coinvolte ma anche nella popolazione statunitense che percepiva il conflitto vietnamita contrario alle tradizioni e ai principi democratici americani e, pertanto, ingiusto («una sporca guerra»). L’incoerenza ideologica e gli elevati costi economici e umani sfociarono in imponenti manifestazioni di protesta, che indebolirono pesantemente la posizione assunta delle autorità americane in Vietnam. Contemporaneamente, anche nel resto dell’Occidente il conflitto vietnamita scosse l’opinione pubblica, in particolar modo la componente di sinistra che si mobilitò a favore del popolo vietnamita. Questa presa di posizione contribuì ad isolare ulteriormente la presidenza americana (Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V., 2002). La chiave di volta si ebbe nel gennaio del 1968, in prossimità delle celebrazioni del Têt, con l’offensiva lanciata dal Fronte Nazionale di Liberazione, che colpì la maggioranza delle aree più popolate del Vietnam del Sud, riuscendo così a cogliere alla sprovvista gli avversari. L’offensiva del Têt, che prese appunto il nome del Capodanno buddhista, sebbene risultò in un insuccesso militare per le forze dei Vietcong e del Vietnam del Nord, spinse le autorità statunitensi a sospendere i bombardamenti e a progettare il disimpegno militare americano in Vietnam. Da quel momento in avanti, gli Stati Uniti decisero di 16 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina «vietnamizzare» il conflitto e, allo stesso tempo, diedero inizio ai negoziati ufficiali, i colloqui di Parigi, che iniziati nel maggio del 1968 coinvolsero Stati Uniti, Vietnam del Nord e del Sud e il governo rivoluzionario provvisorio, espressione politica del Vietcong. Infine, furono riaperti i primi rapporti diplomatici con la Cina, come sancito dalla visita di Nixon a Pechino nel 1971 (Sellier J., 2010). Le trattative si protrassero per anni, mentre la guerra dilagò anche negli altri Stati confinanti, ovvero in Cambogia e Laos – dove erano attivi movimenti di guerriglia comunisti – che a loro volta furono in parte occupati dagli Stati Uniti per tagliare ai Nordvietnamiti le vie di rifornimento provenienti dalla Cina. Nel 1972, nonostante la riduzione delle forze americane a meno di 100 mila uomini, la guerra divampava più che mai con l’offensiva nordista primaverile intorno a Quang Tri, più volte presa e ripresa da ambo le parti e i fortissimi bombardamenti americani di ritorsione. Figura 9.3.: Il Vietnam durante la guerra Fonte: Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte 17 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina Nel gennaio del 1973 fu finalmente firmato l’accordo di Parigi che prevedeva: • il completo ritiro americano; • la restituzione dei prigionieri statunitensi; • la cessazione del fuoco; • la pacificazione del paese in regime di democrazia. Se i primi due punti trovarono immediata attuazione, il terzo non venne mai osservato dai Nordvietnamiti e la guerra tra i due Vietnam continuò, con esito indubbio, data ormai la sproporzione delle forze in campo (Corna Pellegrini G., 1982). Mentre il Vietnam del Nord uscì vittorioso dal conflitto contro gli Stati Uniti, quello del Sud stava attraversando una profonda crisi, le campagne erano state devastate dalla guerra e, contemporaneamente, si registrò un’elevata pressione demografica, soprattutto dovuta al forte flusso di rifugiati che rappresentavano più della metà della popolazione. Inoltre, il Vietnam del Sud era politicamente frammentato tra le aree sotto il controllo del generale Thieu, che si vide ridurre il supporto degli Americani, e quelle occupate dal Governo rivoluzionario provvisorio (GRP). Le divisioni furono definitivamente superate il 30 aprile del 1975, quando le forze nordvietnamite occuparono Saigon con l’appoggio del GRP, ponendo fine al conflitto e riunendo le due parti del paese sotto il regime della Repubblica Socialista del Vietnam (Sellier J., 2010). Una serie di misure politiche ed economiche furono subito prese per avviare con la riunificazione anche la ricostruzione del paese disastrato dalla guerra. Per il Sud ciò comportò anzitutto un rapido adeguamento al sistema socialista vigente al Nord, che avvenne con: la confisca e ridistribuzione dei terreni, l’abolizione delle imprese private e la graduale migrazione di molti abitanti dalle città sovrappopolate alle campagne. Nel giugno del 1976 si scelse per lo Stato riunificato il nome di «Repubblica Socialista del Vietnam», fu adottata la bandiera del Nord e come capitale fu scelta Hanoi. L’antica capitale del Sud, Saigon, fu ribattezzata Ho Chi Minh (Corna Pellegrini G., 1982). La riunificazione e l’adozione forzata di un regime comunista nel Sud non avvenne pacificamente, al contrario questa imposizione provocò un forte malcontento tra la 18 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina popolazione, che tra il 1975 e il 1989 tentò di migrare in massa. Circa 1,3 milioni di vietnamiti fuggirono dal paese, di questi più di 700 mila in condizioni assolutamente drammatiche. Frattanto, la regione indocinese non riuscì a trovare un equilibrio pacifico, in parte a causa delle manovre vietnamite nell’area per proteggersi sul fronte occidentale, in parte per riorganizzare l’ex Indocina francese sotto la sua egemonia. Già nel Laos era vigente dal 1975 un regime comunista alleato, il Pathet Lao, restava fuori solo la Cambogia – precedentemente occupata dai guerriglieri comunisti (Khmer rossi) con cui non si instaurarono mai buoni rapporti. Fu così che nel 1978 il Vietnam, con il supporto dell’URSS, invase la Cambogia, depose il dittatore Pol Pot e instaurò un regime amico (Sellier J., 2010). L’azione provocò la risposta della Cina, che il 17 febbraio 1979 superò il confine vietnamita dirigendosi verso Hanoi. Il conflitto tra Vietnam e Cina terminò nell’arco di diciassette giorni con il rientro dell’esercito cinese nei propri confini. Scoppiata per la questione cambogiana, il conflitto sino-vietnamita fu fondamentalmente dovuto alla più grave frattura tra i paesi di osservanza sovietica (tra cui il Vietnam) e quelli gravitanti nell’orbita cinese. Pertanto, l’occupazione della Cambogia da parte di truppe vietnamite va ascritta proprio a questa contrapposizione di fronti, che rimise in discussione l’intero assetto politico-territoriale del Sud-Est asiatico (Corna Pellegrini G., 1982). Il Vietnam riuscì a rimanere presente ed esercitare la propria influenza in Laos e Cambogia fino alla fine degli anni Ottanta, ovvero sino a che l’URSS non smise si fornire loro aiuti. Con il crollo dell’URSS, la Repubblica Socialista del Vietnam virò rapidamente la propria politica economica, accelerando quel processo di liberalizzazione già intrapreso nel 1986. Entrò a far parte dell’ASEAN (Association of Southeast Asian Nations) nel 1995, anno in cui ristabilì anche le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti. Infine, nel 2006 divenne membro dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. 19 Storia e Istituzioni dell’Asia Modulo 9° - In Indocina Sotto il profilo politico, il Partito comunista ha continuato a mantenere il potere del paese – ancora oggi possono concorrere alle elezioni solo quelle organizzazioni affiliate al partito – nonostante il rinnovamento del suo gruppo dirigente, sancito nel 2006 con la nomina a Primo Ministro di Nguyen Tan Dung e di Nguyễn Xuân Phúc nel 2016 (Sellier J., 2010). RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Addington L. H. (2000), America's war in Vietnam: a short narrative history, Indiana University Press. Corna Pellegrini G. (1982), L’Asia Meridionale e Orientale, UTET. Giardina. A, Sabbatucci G., Vidotto V. (2002), L’età contemporanea, Laterza. Goscha C. E. (2010), The Indochina War: A Connected History, University of Hawa’ii Press (http://www.er.uqam.ca/nobel/r26645/documents/HIS548X/Goscha_The_Indochina_W ar.pdf, consultato il 12/04/2014). Ladenburg T. (2007), The French in Indochina, Digital History (http://www.digitalhistory.uh.edu/teachers/lesson_plans/pdfs/unit12_1.pdf, consultato il 24 aprile 2014). Sellier J. (2010), Atlante dei popoli d’Asia Meridionale e Orientale, il Ponte. Spencer C. T. (1999), Vietnam, University Press of Kentucky. 20