Dia 1 Ricordiamo che il diabetico di tipo 2 è un soggetto non

Lezione 6 - RAZIONALE PER LA TERAPIA DIETETICA NEL DIABETE DI TIPO 2
Dia 1
Ricordiamo che il diabetico di tipo 2 è un soggetto non insulino-privo, quindi con un certa capacità
di secrezione insulinica, associato ad un grado variabile di resistenza insulinica in stretta relazione
al grado di sovrappeso o di obesità.
Distinguiamo se la diagnosi viene fatta per la prima volta ed il paziente è privo di trattamento
oppure se il paziente già sapeva di essere diabetico ed era già stata prescritta una terapia.
Dia 2
Consideriamo un paziente in cui il diabete è stato appena diagnosticato. Innanzitutto la diagnosi è
quasi sempre occasionale, fatta per combinazione, sottoponendosi ad esami per motivi diversi. Si
presenta quasi sempre in sovrappeso o obeso, senza dimagramento, senza polidipsia e poliuria, con
glicosuria, se la iperglicemia non è modesta, ma senza chetonuria.
Dia 3
Anche se è di nuova diagnosi, la regola è che il diabete è insorto certamente anni prima. L’assenza
di sintomi ha ritardato la diagnosi. A differenza del diabete di tipo 1, le complicanze vanno ricercate
subito, e, in molti casi, vengono diagnosticate.
Gli obiettivi che dobbiamo perseguire sono 2 e sono in stretta relazione fra loro:
raggiungere il peso ideale, quindi ridurre l’eccesso ponderale, obbiettivo molto arduo per
l’esperienza di tutti i giorni, ma di enorme importanza pratica, perchè conduce il paziente
obbediente a raggiungere il secondo obbiettivo, che è quello di ottenere un controllo soddisfacente
dei valori glicemici e far scomparire la glicosuria.
Dia 4
Se il diabete è gia stato diagnosticato, è necessario valutare la correttezza dell’impostazione
dietetica, la cui compliance è sempre molto problematica, ed eventualmente, se è già stata prescritta,
una valutazione farmacologia, della quale si parlerà nella lezione successiva.
Dia 5
Il trattamento del diabete di tipo 2 vede nel medico di famiglia uno dei principali protagonisti,
soprattutto nelle vesti di educatore, come avviene per tutte le malattie croniche. E’ talmente grande
la ripercussione dello stile di vita sulla gestione del diabete di tipo 2, in particolare per quanto
riguarda l’aspetto della nutrizione, che un medico di famiglia adeguatamente sensibilizzato sul
problema è in grado di ottenere risultati di grande rilevanza sul piano della salute globale dei suoi
assistiti. Lo specialista diabetologo dovrebbe inserirsi nell’impostazione generale del trattamento e
nella gestione delle complicanze come diagnosi precoce e come sorveglianza nel tempo.
Dia 6
Si parte con la valutazione del BMI massimo, corrispondente a 25. In pratica l’altezza in metri,
accuratamente rilevata, si moltiplica per se stessa e poi il risultato si moltiplica per 25 per avere il
peso ideale massimo. Questo semplice calcolo ci permetterà di stabilire se esiste, e a quanto
ammonta, l’eccesso ponderale, quasi sempre presente nel diabetico di tipo 2.
Il secondo passo è quello di calcolare il fabbisogno calorico quotidiano basale e sovrabasale.
Per quanto riguarda questo aspetto è stata dedicata una intera lezione, per l’importanza che
l’argomento riveste, in vista soprattutto di stabilire un programma di riduzione ponderale
progressiva.
Al risultato ottenuto si aggiunge poi una certa percentuale variabile fra il 10 ed il 30% a seconda
che le abitudini del paziente siano fortemente sedentarie o vi sia un certo grado di attività fisica.
Il terzo passo è quello di impostare un regime dietetico in grado di condurre il paziente ad una
lentissima riduzione ponderale, quasi impercettibile, di circa 1-2 kg al mese. Ciò si ottiene
prescrivendo un regime calorico che contenga circa il 25% in meno del fabbisogno calorico stimato.
Se il medico riesce a convincere e a fare accettare questo regime fino al raggiungimento del peso
ideale massimo, sarà pienamente ricompensato non solo per la progressiva riduzione dei valori
glicemici, ma anche per il miglioramento dei valori pressori, lipidici e, quindi, in generale della
salute del paziente. Al momento del raggiungimento del peso ideale massimo, nei casi fortunati in
cui questo obbiettivo viene raggiunto, si potrà impostare un regime calorico pari a quello calcolato,
per bloccare la riduzione ponderale.
Dia 7
L’importanza della riduzione ponderale nel diabete di tipo 2 è enorme: infatti il sovrappeso e
l’obesità sono i veri responsabili dell’aumento della resistenza insulinica che slatentizza il genotipo
e fa emergere il diabete.
La progressiva riduzione ponderale riduce progressivamente la resistenza insulinica producendo una
riduzione della glicemia e della glicoemoglobina
Dia 8
Questo grafico è tratto da un vasto studio americano che dimostra come con il progredire del BMI si
assiste ad un rischio progressivamente crescente di sviluppare il diabete. Si evince come il genotipo
diabete sia molto diffuso, ma rimane latente se il peso corporeo rimane nei limiti della norma,
Viceversa cresce in modo esponenziale con l’aumentare del BMI.
Dia 9
Fortunatamente esiste la possibilità, quindi, di ottenere, con la riduzione ponderale, una riduzione
del rischio, non solo nei soggetti non ancora diabetici ma anche nei soggetti già divenuti diabetici
che vedono prima migliorare e poi eventualmente scomparire il proprio diabete. Alcuni
raggiungono questo traguardo persino prima di raggiungere il peso ideale.
A questo proposito viene mostrato il risultato di una metanalisi che permette di comprendere come
si mettono in pratica i risultati delle ricerche sperimentali, come cioè i risultati sperimentali possono
indurre a modificare i comportamenti dei medici, la cosiddetta EBM.
Dia 10
L’importanza della riduzione ponderale era emersa già sin dagli anni 40, con una serie di studi su
piccoli campioni. Ma solo nel 96 è stato pubblicato uno studio di metanalisi su 89 sperimentazioni,
che permetteva di mettere insieme i dati raccolti su 1.800 diabetici di tipo 2, obesi.
Dia 11
Le modalità per ottenere la riduzione ponderale erano diverse: nel 40% degli studi era stata
utilizzata la dieta, nel 20% la terapia comportamentale, tesa a modificare le abitudini nutrizionali
scorrette, senza dare una vera e propria dieta, e nel 10% il solo esercizio fisico.
Dia 12
Nella tabella sono riportati i risultati ottenuti con i 3 metodi utilizzati per perdere peso, sia in modo
singolo che associato. I risultati sono forniti sia in termini di kg perduti, sia di riduzione dei valori
di glicoemoglobina. E’ quindi possibile ricavare i mg% di glicemia medi perduti per ogni kg di peso
corporeo, e questo calcolo è possibile conoscendo la relazione, che abbiamo illustrato nella lezione
sulla glicoemoglobina, fra valori di HbA1c e glicemia. Il risultato finale medio che emerge da
questo studio è che per ogni kg perduto la glicemia media si riduce di ben 12 mg% e che la
riduzione media della glicoemoglobina dell’1% si ottiene con la perdita di circa 3 kg di sovrappeso.
Segue ora la descrizione dettagliata di 2 studi, tratti dagli 86, che fanno ben comprendere l’efficacia
della riduzione ponderale.
Dia 13
Il primo fu svolto in America e pubblicato nel 1985. Si riferisce a 30 diabetici di tipo 2 obesi del
peso medio di 99 kg e con una glicemia media di 297 mg%. Furono sottoposti a dieta drastica di
330 cal al dì per la durata di 40 giorni. La dieta è nota con l’acronimo VLCD cioè “Very Low
Calorie Diet”, cioè dieta a contenuto calorico molto basso.
Alla fine del periodo i soggetti avevano perduto 10 kg e mezzo e la glicemia media era scesa a 135
mg%. I 2 grafici a destra dimostrano in alto la riduzione dei valori glicemici ed in basso la
progressione del peso perduto.
E’ importante sottolineare però che diete così drastiche non sono mai consigliate e possono essere
eseguite solo in ambiente ospedaliero sotto continua sorveglianza medica.
Dia 14
Il secondo studio, eseguito in Australia e pubblicato nel 1984, si riferisce a 10 diabetici di tipo 2 con
obesità che si sottoposero volontariamente ad una drastica modifica dello stile di vita per un periodo
di 7 settimane. Acconsentirono ad essere lasciati vivere nella foresta senza viveri, ma armati di
archi e frecce per procurarsi il cibo. La nutrizione era pari a quella degli uomini primitivi: frutti
selvatici, caccia e pesca. La glicemia media prima dell’esperimento era di circa 12 mmole/L
corrispondente a 216 mg%, denunciando un inaccettabile livello di controllo glicemico. I soggetti
venivano controllati ogni settimana e veniva registrato il peso corporeo. Dopo le 7 settimane di
regime di sopravvivenza il peso corporeo era diminuito di 8 kg e la glicemia basale si era ridotta a
circa 7 mmole/L corrispondente a 126 mg%. Il ritorno alla vita primitiva, con le restrizioni
alimentari e una notevole quantità di esercizio fisico aveva permesso il raggiungimento di un
controllo glicemico invidiabile.
Dia 15
Affrontiamo ora il problema dell’obesità viscerale, argomento di recente introduzione, ma che
presenta importanti risvolti pratici e che rappresenta un notevole aiuto per il medico pratico. Gli
studi sperimentali ci indicano che la valutazione della circonferenza della vita, facilmente
misurabile con un semplice metro da sarta, si è rivelato un parametro ancora più affidabile del BMI
per predire uno stato di resistenza insulinica. L’importanza di questo dato sperimentale risiede nel
fatto che, anche se i soggetti che presentano un BMI elevato, è intuitivo che abbiamo anche una
circonferenza vita aumentata, e viceversa, in realtà le 2 misure non sempre sono in stretta relazione.
In altre parole è possibile che anche soggetti con BMI inferiore a 25 abbiano una circonferenza
della vita elevata, svelando uno stato di resistenza insulinica da trattare.
Dia 16
Dobbiamo allora conoscere quali sono i valori normali della circonferenza vita, per diagnosticare i
casi che eccedono la normalità. E’ quanto ci viene proposto da questo studio che valuta quasi 2.000
individui di ambo i sessi. Lo scopo dello studio è quello di trovare una relazione fra il BMI e la
circonferenza vita, in un folto numero di soggetti scelti perché rappresentativi di tutte le fasce di
BMI e calcolare la circonferenza della vita massima oltre la quale porre diagnosi di obesità
viscerale. I risultati sono mostrati separatamente negli uomini e nelle donne, essendovi grandi
differenze antropometriche fra i due sessi. La donna infatti ha una circonferenza vita molto inferiore
a quella dell’uomo. Come si vede dai 2 grafici, in alto per gli uomini, in basso per le donne, la
relazione fra i due parametri c’è ed è di tipo lineare e ciò permette di trovare, per ogni valore di
BMI, il corrispondente valore medio di circonferenza vita. E’ così possibile stabilire nei 2 sessi che
il valore di BMI di 25, cioè il massimo della normalità, corrisponde ad una circonferenza vita per
l’uomo di 94 cm e per la donna di 80 cm (cioè 14 cm inferiore) essendo nel sesso femminile più
contenuta rispetto al sesso maschile. Uno dei risultati dello studio è quello di far vedere come la
relazione fra le 2 variabili non è molto stretta: da ciò emerge un concetto che ha notevoli risvolti
pratici e che era già conosciuto da tempo e cioè esservi dei soggetti con obesità solo di tipo
viscerale mentre il BMI è ancora inferiore a 25. E questi soggetti appaiono nei 2 grafici posizionati
al di sotto della linea orizzontale corrispondente al BMI di 25: tutti i soggetti che si posizionano a
destra della linea verticale che indica la circonferenza vita corrispondente al BMI di 25, sono tutti
soggetti con un BMI al di sotto di 25 ma con una circonferenza vita al di sopra di 80 cm se sono
donne e 94 cm se sono uomini. Tutti questi soggetti oggi non sono considerati normali, come
potrebbe far sembrare un BMI inferiore a 25, ma soggetti affetti da obesità viscerale, anche se il
BMI è inferiore a 25, ed abbiamo già sottolineato che la circonferenza vita è un parametro più
sensibile del BMI per identificare il grado di resistenza insulinica. Questi soggetti vanno anch’essi
trattati con dieta ipocalorica per ottenere una riduzione della circonferenza della vita.
Dia 17
La sindrome da resistenza insulinica è oggi agevolmente identificata mediante vari parametri, fra
cui la circonferenza della vita, e trova nel binomio sedentarietà/iperalimentazione il movente
eziologico fondamentale. Da studi molto recenti si può stabilire che, almeno nei paesi
industrializzati, il 25% circa della popolazione (cioè 1 su 4 persone) è affetto dalla sindrome.
Dia 18
A dimostrazione dell’epidemia dell’obesità vi è questa figura tratta da un vastissimo studio
americano che dimostra come il sovrappeso (indicato nella zona gialla) e l’obesità (indicata come
zona rossa) è una condizione che aumenta con l’aumento dell’età sia negli uomini, nel grafico a
sinistra, che nelle donne, nel grafico a destra. Intorno ai 50 anni di età per entrambe i sessi quasi il
70% della popolazione è o in sovrappeso o obesa, quindi solo il 30% nella stessa fascia di età,
presenta un peso normale. Questo aspetto, che è in continuo aumento con il progredire degli anni, è
alla base dell’aumento dei casi di diabete nel mondo, dei quali è previsto un raddoppio nei prossimi
20 anni.
Dia 19
In questa mappa è possibile vedere la progressione dell’obesità negli Stati Uniti nel corso di 7 anni,
precisamente dal 91 al 98. Le regioni in rosso indicano una concentrazione di obesi (cioè con BMI
maggiore di 30) superiore al 15%. La progressione del fenomeno si evince dall’incremento, nel giro
di 7 anni, del numero di regioni colorate in rosso e che, cioè, in 7 anni hanno raggiunto una
concentrazione di obesi superiore al 15%.
Dia 20
In questa mappa è invece mostrato l’incremento del diabete di tipo 2, che è consensuale al
progredire dell’obesità. In azzurro sono colorate le regioni con una prevalenza di diabete di tipo 2
superiore al 6%. Come si vede chiaramente, in 7 anni le regioni colorate in azzurro sono
notevolmente aumentate, a dimostrazione della stretta relazione fra diabete di tipo 2 e obesità.
Dia 21
Questi studi epidemiologici, sommati ad altri eseguiti in numerose nazioni sparse nel mondo hanno
permesso la stima dell’incremento del diabete da oggi al 2025. Le 3 coppie di istogrammi del
grafico si riferiscono: il primo ai paesi industrializzati, il secondo ai paesi in via di sviluppo, tra i
quali il numero maggiore è rappresentato da Cina e India) e il terzo a tutta la popolazione mondiale.
Nei paesi sviluppati, ai quali appartiene anche l’Italia, la prevalenza è destinata ad aumentare, al
2025, dall’attuale 6% al 7,6%, con un incremento % del 27%. Nei paesi in via di sviluppo la
prevalenza parte da valori minori (3,3%) ma è destinata a raggiungere valori proporzionalmente
maggiori (5,9%) con un incremento percentuale quasi doppio (del 48%).
Queste cifre danno certamente un’idea dell’impegno che dovrà essere profuso dai futuri medici per
tentare di arginare questa vera e proprie epidemia, le cui cause sono da addebitarsi esclusivamente
allo stile di vita sedentario ed alla ipernutrizione.