Call for articles
L’eteronormatività tra costruzione e riproduzione
Curatrici: Emanuela Abbatecola (Università degli Studi di Genova), Luisa Stagi (Università
degli studi di Genova).
La norma eterosessuale traccia dei confini invisibili nelle traiettorie biografiche. Afferma chi
si può o non può essere, cosa si può o non può fare. Confina gli spazi, definisce i luoghi,
costruisce i desideri, delimita i diritti, struttura il linguaggio.
Il concetto di eteronormatività indica l’esistenza di un paradigma a fondamento di
norme morali, sociali e giuridiche basato sul presupposto che vi sia un orientamento
sessuale corretto, quello eterosessuale, che vi sia una coincidenza fra il sesso biologico e il
genere e che sussista una naturale e necessaria complementarietà fra uomo e donna. Il
termine pare comparire per la prima volta nel testo, Introduction: Fear of a Queer Planet di M.
Warner (1991) dove viene inteso come un «carattere pervasivo ed invisibile» delle società
attuali, connesso con «l’abilità della cultura eterosessuale di auto-interpretarsi come la
società», marginalizzando e definendo in senso antitetico qualunque sessualità non
iscrivibile alla tradizionale cultura eterosessuale» (Falcetta 2014). L’eteronormatività, infatti,
prescrive i comportamenti “da non assumere” ma allo stesso tempo codifica fortemente i
comportamenti considerati “normali” e “giusti”. Come i soggetti LGBTQI vengono
emarginati da questo discorso, così i soggetti eterosessuali si trovano ad essere obbligati a
conformarsi ad esso e ad assumere una serie di atteggiamenti che caratterizzano la
femminilità e la maschilità normativa. L’identità eterosessuale, infatti, influenza il controllo
fisico del corpo come anche il controllo del contegno, del lecito e del morale. Per questo
motivo si parla di ‘violenza’ e di ‘controllo’ dei corpi, dal momento che tutto ciò che sfugge
ai ruoli tradizionali di genere viene sanzionato (Borghi 2011, 2013).
Ragionare intorno alla relazione tra eteronormatività e regolazione dei corpi e dei
desideri significa anche cercare di decostruire i modi in cui le gerarchie normative sessuali
strutturano i processi globali quali le migrazioni, le forme del turismo, del lavoro e del
welfare (tema questo a cui è stato dedicato un numero monografico di Gender & Society Vol. 23 No. 4, 2009). Come ha mostrato Judith Butler, infatti, le norme che determinano la
posizione sessuale degli individui nella società sono tutte riconducibili alla norma
dell’eterosessualità obbligatoria, individuata come il prodotto per eccellenza dell’ordine
patriarcale. La norma eterosessuale governa, per esempio, il discorso attraverso la
produzione delle matrici del discorso psicanalitico, del discorso antropologico, compresa la
sua versione strutturalista, e infine, e questo paradossalmente, anche parte del discorso
femminista (Butler 1990). Certamente è bene sottolineare che eterosessualità ed
eteronormatività non sono sinonimi, ma per capirlo occorre analizzare i modi in cui i
soggetti, i corpi, le norme e le pratiche eterosessuali sono articolati e naturalizzati in
relazione a generi e sessualità ‘non-normativi’ (Ward e Scheneider 2009). Interessante è
ricordare il percorso di Gayle Rubin (1975 e 1993) e la tensione tra i suoi vecchi lavori –
focalizzati primariamente ad evidenziare come l’eteronormatività abbia funzionato al
servizio del genere binario patriarcale – e quelli più recenti, dove l’attenzione è stata rivolta
piuttosto a rintracciare la mobilità, l’adattabilità e gli effetti a lungo raggio della ‘sessualità
normale’. L’ultimo decennio è stato testimone di un patrimonio di ricerca femminista
informato da entrambi gli approcci, come anche dai loro sviluppi all’interno della teoria
femminista intersezionale. Le sociologhe femministe hanno considerato la co-costruzione
del genere e dell’eterosessualità attraverso domini culturali, istituzionali e politicoeconomici, lavorando per mostrare gli effetti moltiplicativi di origine etnica e di classe
sociale sulla soggettività eterossessuale (per es. Andersen 2008; Bettie 2003). Portando il
paradigma eterosessuale all’interno dell’analisi, queste ricerche hanno mostrato come la
soggettività eterosessuale, nonostante derive di fragilità, variabilità o ‘queerness’, ancora
riesca e scrivere la femminilità e la maschilità sociali (per es. Kitzinger e Wilkinson 1994).
In questo numero di AG s’intende riflettere sull’eteronormatività intesa come struttura
pervasiva di potere che impone, naturalizzandoli, sia un dualismo di genere che si fa
gerarchia, sia il primato dell’eterosessualità monogamica. In altre parole, il ruolo del
discorso eteronormativo nel definire le regole del vivere sociale. In particolare ci interessa
articolare le riflessioni nei seguenti ambiti, da intendersi come non esclusivi:
1)
Eteronormatività e storia: Si è parlato della norma eterosessuale come di presenza
assente (Katz 1996) volendo sottolineare come la storiografia si sia interrogata poco
sull’eterosessualità, impostasi progressivamente come norma di “natura” e come criterio
definitorio delle altre forme di sessualità. Ci interessano pertanto contributi che riflettano
intorno alla costruzione sociale della normalità eterosessuale, all’invenzione e ai
cambiamenti della cultura eterosessuale nello spazio e nel tempo e ai processi storici che
hanno contribuito alla costruzione e al mutamento delle norme sociali e culturali in
rapporto alle questioni della sessualità.
2)
Eteronormatività e spazio: Il regime di (in)visibilità della norma eterosessuale traccia
delle frontiere, più o meno porose, che permettono di ripensare le condizioni e le modalità
di accesso di ciascuno allo spazio pubblico (Blidon 2012). Lo spazio pubblico è infatti
pensato, gestito e modellato in base a una rigida concezione dualistica (pubblico/privato,
maschio/femmina, lecito/illecito, omosessuale/eterosessuale). Ci interessano contributi
che si focalizzino sull’analisi degli spazi, su come essi incorporino, riflettano e quindi
naturalizzino le strutture di potere e le gerarchie di genere, legittimino i confini di visibilità e
invisibilità, contribuiscano a costruire le nozioni di adeguatezza e vulnerabilità dei corpi.
3)
Eteronormatività e diritto. Attraverso il processo di giuridificazione, il diritto non
plasma semplicemente le norme giuridiche secondo assunti eteronormativi ma tende ad
ammantare questi assunti di naturalità, proponendoli come normali e dando per scontato
che la visione della società che essi propongono sia la sola possibile e reale (Wilkinson e
Kizinger 1993). Al contempo però, almeno in determinate circostanze, il diritto può
operare come strumento riparatore delle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale
e sull’identità di genere delle persone, contribuendo a sovvertire l’ordine sociale
eteronormativo e ad anticipare mutamenti culturali “desiderabili” (MacKinnon 1987 e
1993).
Alla luce di queste considerazioni, riteniamo importanti studi e ricerche che, partendo
dall’analisi dei più recenti sviluppi legislativi, giurisprudenziali e dottrinali in materia,
riflettano, anche in un’ottica comparatistica: i) sui percorsi argomentativi che tendono
ancora, in diverse parti del mondo, a riconoscere diritti esclusivamente a quel modello di
soggetto e di formazione sociale che rientra nell’ideale eteronormativo; ii) sugli strumenti e
sulle modalità attraverso cui in alcuni ordinamenti, europei e non, la cultura giuridica, o
parte di essa, si è mossa e/o si sta muovendo nella direzione dell’abbandono del c.d.
dualismo eteronormativo, basato sull’assunto che vi sia un unico orientamento sessuale
“corretto” e un unico modello di famiglia accettabile e meritevole di tutela sul piano
giuridico.
4)
Eteronormatività e linguaggio: L'eteronormatività pervade anche il modo in cui parliamo
e quello che diciamo nelle conversazioni quotidiane (Land 2005). Nell'interazione
quotidiana, l'eteronormatività si costruisce e si mantiene costantemente attraverso le
pratiche comunicative e, come ha mostrato Butler (1990), gli individui sono quello che
sono anche come risultato del modo in cui parlano. Secondo Sedgwick (1993), che ha
affermato l'esistenza di un presupposto di eterosessualità nella conversazione quotidiana, i
partecipanti ad un'interazione in un contesto ordinario si presumono eterosessuali fino a
quando non si dimostra il contrario. Ci interessano, in questo senso, studi e ricerche sulle
conversazioni quotidiane e sugli indici linguistici di genere in riferimento al presupposto di
eterosessualità veicolato dalla cultura eterosessuale.
I contributi dovranno contenere tra le 4000 e le 6000 parole (bibliografia esclusa) ed
essere redatti in una delle due lingue in cui viene pubblicata la rivista (italiano e inglese), si
vedano a questo proposito le linee guida della Rivista.
I contributi dovranno essere inviati entro il 31 ottobre 2014.
http://www.aboutgender.unige.it/ojs