CINECIRCOLO “ROBERT BRESSON” Brugherio °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° Mercoledì 23 dicembre 2015 Inizio proiezione ore 21 “È arrivata mia figlia! può essere considerato un film sociale, ma non solo. Il suo approccio diretto non intende né giudicare né esaltare i personaggi, vuole semplicemente mostrare la nuda verità. La sua struttura drammatica è asciutta, quasi algebrica”. Anna Muylaert E’ arrivata mia figlia di Anna Muylaert con Regina Case, Michel Joelsas, Camila Márdila, Karine Teles, Lourenço Mutarelli Brasile 2015, 114’ °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° Una storia privata - quella di una domestica che lavora per una ricca famiglia di São Paulo - che diventa storia pubblica del Brasile e delle sue contraddizioni di fronte a una modernità che cambia usi e costumi inveterati: è la scommessa, vinta, di un film al femminile che sa coniugare la grazia e la tenerezza del ritratto psicologico con la giustezza e l'efficacia dell'analisi sociologica. Al centro di "È arrivata mia figlia!", la matura Val (Regina Case, una delle grandi protagoniste del teatro e del cinema brasiliano) che per tredici anni ha mandato avanti la casa di una ricca coppia paulista, svolgendo anche le funzioni di madre putativa per il loro figlio Fabinho. Per farlo, lei originaria del povero nord-est del Paese, ha dovuto lasciare la figlia a dei parenti, costretta dalla povertà e dal bisogno di lavorare lontano da casa a 'compensare' il suo affetto con i soldi che regolarmente spediva a casa. Quando il film entra nel vivo, Val riceve la notizia che la figlia Jessica sta arrivando a São Paulo per sostenere l'esame di ammissione alla facoltà di architettura e da parte dei padroni di casa non c'è nessun problema se la ragazza dividerà la stanza con lei per gli ultimi giorni di studio prima della prova all'università. Anzi, come dimostrazione della loro buona accoglienza, le comprano anche un materasso nuovo. I primi problemi nascono quando Val si accorge che la figlia non sembra capace di accettare e rispettare quelle regole di comportamento che lei non aveva nemmeno avuto bisogno di imparare. Piccole e meno piccole infrazioni che incrinano l'equilibrio (silenziosamente ma rigorosamente classista) su cui si era costruita in tutti quegli anni la convivenza tra padroni e domestici. (…) Costruito su una successione di piccole scene di vita quotidiana che hanno il doppio compito di mostrare il comportamento 'anticonformista' di Jessica ma anche di 'svelare' la griglia di regole e di convenzioni su cui si reggeva il rapporto padroni/domestica, il film diventa così lo specchio rivelatore della doppia anima di un Paese, quella di un passato dove le donne, soprattutto loro, erano disposte ad accettare sacrifici e limiti in nome di un lavoro che permetteva loro di superare la condizione di povertà in cui erano nate; e quella di un presente dove i giovani rifiutano quasi per 'istinto' comportamenti e usanze che possono mettere in discussione la loro libertà. Il doppio ritratto di un Brasile arcaico (di cui comunque si capisce e apprezza lo spirito di sacrificio e l'impegno) e un Brasile moderno, dove le nuove generazioni chiedono di avere i diritti dei loro connazionali più fortunati (e ricchi). Naturalmente il film sfuma queste posizioni, evitando qualsiasi forma di manicheismo o di rigidità sociologica: Jessica nasconde un segreto che sembra spingerla sulla stessa strada della madre, Fabinho rivela una fragilità emotiva che gli sarà probabilmente d'ostacolo anche nella sua vita e la bistrattata Val nasconde dentro di sé le risorse per superare le fatiche e le umiliazioni del lavoro e non perdere la propria gioia di vivere. E tutti aprono il film verso un discorso di più ampio respiro, dove il destino di ognuno sembra finalmente tornato nelle mani delle persone e non delle secolari condizioni di sofferenza e sottomissione sociale. Un percorso che la regista e sceneggiatrice Anna Muylaert (un passato di critica cinematografica alle spalle) sa raccontare con tocchi di autentica commozione, attenta a non giudicare o esaltare i personaggi ma a mostrarne di ognuno il bello e il brutto, il positivo e il negativo. E ottenendo alla fine quel senso di verità che dà al film la sua indimenticabile forza. Paolo Mereghetti – Il Corriere della Sera Scene dalla lotta di classe a San Paolo del Brasile. Senza cortei né operai, senza slogan né bandiere, perché la lotta di classe oggi si fa in altri modi e altri luoghi. Come la villa con piscina in cui è ambientato quasi integralmente questo bel film di un'ex-critica e autrice tv brasiliana che conosce come pochi l'arte di dire e non dire. Oltre a quella, antica e oggi in disuso, di creare personaggi a cui non smettiamo di credere un solo istante. La lotta di classe, dunque, è una tata fedele che vive da tanti di quegli anni con la famiglia per cui lavora da farne ormai parte a tutti gli effetti, anche se sempre un gradino più sotto degli altri (lei del resto è la prima a saperlo e accettarlo. L'attrice, magnifica, una specie di Anna Magnani carioca, si chiama Regina Casé ed è una delle più grandi interpreti, oltre che - ironicamente – una delle artiste più ricche del Brasile). Lotta di classe è una figlia che sua madre, la tata, non vede da dieci anni perché ha lasciato il Nordest e si è trasferita lì per mantenerla; così anziché lei ha cresciuto e viziato Fabinho, il marmocchio dei padroni di casa che ormai è un simpatico adolescente nonché l'unico a trattarla con calore e umanità. Lotta di classe è una madre che in sostanza delega a un'altra donna, la tata, il dovere e il piacere di crescere suo figlio, costringendola di fatto a non poter crescere la sua di figlia, come succede spesso anche in Italia e in tanti paesi ricchi. Ma soprattutto, lotta di classe e l'arrivo in quella bella casa mossa e spaziosa, dove ogni cosa ha il suo posto e ogni rapporto è chiaro e codificato da sempre, di una giovane che non sa e non vuole sapere niente di quelle regole. E presto manderà in blocco l'intero sistema, semplicemente imponendo la sua presenza a tutti. (…) Mentre la regista Anna Muylaert segue l'evoluzione dei rapporti fra i suoi protagonisti con un'esattezza geometrica e implacabile che usa a meraviglia i diversi spazi della casa (il gioco delle inquadrature è una vera lezione di messa in scena, fra Buñuel e Chabrol). Con l'amore in più, perché di questo in fondo si tratta nel film. Anche se non sta bene dirlo. Fabio Ferzetti – Il Messaggero Non è vero che la commedia all'italiana s'è estinta: non si fa più in Italia, ma altrove gode di ottima salute. Premiato al Sundance e a Berlino, "È arrivata mia figlia!" ("Que horas ela volta?") di Anna Muylaert è la migliore commedia all'italiana dell'anno ed è un film brasiliano. Della nostra gloriosa tradizione condivide lo sguardo sociale e la capacità di declinarlo senza sforzo ideologico, senza ferraglia drammaturgica, con quella facilità d'esecuzione che è sintomo di calma grandezza. Il film si fa seguire con brio, ci fa appassionare ai suoi personaggi e nel mentre ci apre squarci di consapevolezza sul vivere oggi in Brasile e non solo, laddove upper class e proletariato s'incontrano e scontrano. La sceneggiatura è stata buttata giù dalla Muylaert, classe 1964, già 20 anni fa, alla nascita del primo figlio e della conseguente constatazione: 'Nel mio ambiente sociale, piuttosto che accudire il proprio figlio, le donne molto spesso assumono una bambinaia a tempo pieno e demandano a lei gran parte del lavoro, considerato noioso e spossante. Ma quelle bambinaie molto spesso devono affidare i loro figli a qualcun altro per potersi occupare di quelli delle persone per cui lavorano'. La Muylaert parla di 'paradosso sociale', uno dei più significativi in Brasile' e tesse la tela, trama sociale e ordito thriller: macchina da presa ferma, campi parziali, facciamo la conoscenza di Val (Regina Case, star nazionale e attrice superba), governante a tempo pieno presso un'agiata coppia paulista, di cui ha cresciuto il figlio Fabinho. Ancora non lo sappiamo, ma quel che si dipana ordinato e programmato davanti ai nostri occhi è la quiete prima della tempesta: squilla il telefono, Val risponde, dall'altro capo c'è sua figlia Jessica (Camila Màrdila, sensuale, perfetta), che sta arrivando in città per sostenere un test d'ingresso all'università. Ebbene, non sta per giungere solo una ragazzina con le idee chiare e nessuna voglia - non c'è ceto né status che tenga... - di farsi mettere i piedi in testa, ma un ciclone rivoluzionario: quel 'Progresso' che sulla bandiera brasiliana è congiunto a 'Ordem' qui lotta dialettico contro l'ordine precostituito. Inconsapevole e/o incurante delle regole di casa, Jéssica infrange divieti e divelle obblighi , dalla colazione al tavolo dei padroni all'ingresso in piscina, e puntualizza la regista-sceneggiatrice 'ovviamente viene espulsa da quegli spazi che per tradizione le sono vietati: viene rimessa la suo posto, solo che quel posto non esiste più'. Se l'eroe, non solo semioticamente, è un travalicatore di confini, Jéssica è una super-eroina, agisce con profitto personale ed esternalità positive: lei cerca l'affrancamento dai legacci di classe e dalle convenzioni piramidali, gli spettatori empatizzano, lo schermo restituisce emancipazione e libertà. Federico Pontiggia – Il Fatto Quotidiano