commentary Commentary, 12 giugno 2014 BRASILE 2014: ALLA RICERCA DI UN NUOVO MODELLO SOSTENIBILE GIORGIO TREBESCHI N ei primi tre anni della presidenza di Dilma Rousseff il tasso di crescita del Pil brasiliano si è praticamente dimezzato (al 2% circa) rispetto alla media dei due mandati del presidente Lula (2003-2010). Anche l’anno in corso non è cominciato sotto i migliori auspici. Il prodotto nel primo trimestre è progredito appena dello 0,2% rispetto al periodo precedente (0,8% su base annua), sostenuto esclusivamente dalla spesa per consumi del governo e dall’accumulo di scorte. Le previsioni di crescita degli economisti del settore privato non sono certamente rosee. Esse si attestavano, nelle più recenti inchieste del Banco Central do Brasil, all’1,4% circa per il 2014 e in lieve accelerazione, ma comunque al di sotto dei ritmi del primo decennio del secolo, solo nel medio periodo (3% nel 2018). ©ISPI2014 Che cosa ha determinato il rallentamento dell’economia brasiliana? Quali le azioni deve intraprendere il Brasile per riavviarsi su un sentiero di crescita più robusta e ambire a entrare così nel novero dei ‘paesi avanzati’? Per cercare di dare una risposta a queste domande bisogna adottare una prospettiva di lungo periodo. Il Brasile riuscì a conquistare la stabi- lità macroeconomia e a sconfiggere l’elevatissima e persistente inflazione (2.477% a fine 1993) con il plano real, lanciato da Fernando Henrique Cardoso nel 1994. La seconda metà degli anni novanta fu periodo di profonde riforme (le privatizzazioni, la riforma della previdenza sociale, l’apertura dell’economia verso l’estero, la ristrutturazione del sistema bancario, oltre all’introduzione di una nuova valuta, il real per l’appunto) i cui frutti sono maturati proprio negli anni 2000. Nel suo primo mandato Lula proseguì la fase riformista con alcuni interventi che posero le basi, ad esempio, per il successivo sviluppo del mercato creditizio (si pensi al credito consignado o all’alienaçao fiduciaria). I benefici delle riforme e il contributo del favorevole ambiente esterno determinarono il decollo dell’economia brasiliana, illustrato efficacemente dalla famosa copertina dell’Economist che, a fine 2009, ritraeva il Cristo Redentore come un razzo sulla rampa di lancio. Quattro anni dopo la stessa rivista mostra un missile impazzito che si sta schiantando. Cosa è successo nel frattempo? Certamente la visione della celebre rivista della city di Londra è eccessivamente pessimista e non tiene conto Giorgio Trebeschi, autore con Andrea Goldstein di L’economia del Brasile, Bologna, il Mulino, 2014. 1 Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI. Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. commentary degli enormi progressi che si sono consolidati negli ultimi venti anni. Nonostante tutto, il Brasile di oggi è molto più stabile sul piano macroeconomico, il suo sistema bancario e finanziario più solido, moderno e meglio regolamentato e supervisionato, la povertà e la diseguaglianza sono diminuiti in maniera evidente. Molte sono le imprese brasiliane capaci di eccellere a livello internazionale e il continuo interesse degli investitori stranieri per il paese è testimoniato dagli afflussi per investimenti diretti, che si collocano ancora stabilmente al di sopra dei 60 miliardi all’anno. sebbene assai più contenuta che venti anni fa, e il crescente deficit delle partite correnti). Più recentemente le autorità sembrano aver preso coscienza che le politiche di stimolo alla domanda non sono più efficaci per accelerare la crescita e che molto di più va fatto per sanare le strozzature dal lato dell’offerta. Ne sono un esempio il piano di concessioni ai privati nel settore delle infrastrutture (che continua tuttavia a basare il proprio successo sui prestiti agevolati, forniti dalla banca di sviluppo Bndes) e gli sforzi per migliorare l’istruzione e la formazione attraverso alcuni importanti piani governativi (in particolare il Pronatec e Ciência sem fronteiras). Tuttavia la crisi nei paesi avanzati (prima la crisi dei subprime negli Stati Uniti e successivamente quella dei debiti sovrani in Europa) e il connesso deterioramento del quadro esterno – che era stato caratterizzato in precedenza da crescenti livelli dei prezzi delle materie prime esportate dal Brasile, oltre che da favorevoli condizioni di finanziamento esterno – hanno contribuito a ‘spegnere’ alcuni importanti ‘motori della crescita’, mettendo in luce i limiti del modello di sviluppo basato sugli stimoli alla domanda per consumi. Le più difficili condizioni esterne hanno fatto riemergere radicati problemi strutturali, come: a) il cosiddetto custo Brasil (fare impresa è costoso, come riportano le classifiche del Doing Business della Banca Mondiale), b) l’inadeguata dotazione di capitale fisico (in particolare per le infrastrutture dei trasporti) e umano, c) i bassi saggi di risparmio, d) la perdita di competitività dell’industria per la forte dinamica salariale. La sfida per il futuro è proprio quella di trarre ispirazione dall’impeto riformista degli anni Novanta per cambiare profondamente il modello di sviluppo brasiliano e orientarlo maggiormente alla crescita degli investimenti (in capitale fisico e umano), preservando e consolidando i progressi sociali sin qui conseguiti. Il compito è certamente difficile ma questa appare l’unica strada percorribile per far ripartire l’economia e per dare risposta al malcontento di gran parte della popolazione, manifestato dalle proteste in occasione della Confederations Cup dello scorso anno. Una recente inchiesta del Pew Research Center mostra che da allora la percentuale di brasiliani che ritiene che l’economia sia in cattive condizioni (bad shape) è aumentata dal 41 al 67% (era del 36% nel 2010, anno delle ultime elezioni presidenziali). La stessa inchiesta mostra anche che il Brasile non è più solamente il “paìs do futebol” (il paese del calcio) e che la politica del panem et circenses non funziona, se è vero che oltre il 60% degli intervistati ritiene che «l’organizzazione della coppa del mondo della Fifa sia stata un evento negativo perché ha sottratto risorse pubbliche dall’istruzione e dalla sanità». ©ISPI2014 Le politiche economiche adottate all’inizio del mandato di Dilma (in particolare il significativo taglio del tasso di riferimento tra il 2011 e il 2012, le politiche di bilancio espansive e il controllo dei prezzi dei prodotti energetici) hanno contribuito ad accentuare alcuni squilibri macroeconomici (tra cui l’inflazione elevata, 2 3 ©ISPI2014