MAURIZIO DE CARO PER BEATRIZ PIMENTA CAMARGO Origine e necessità della non-regolarità. Prima di tutto le coste che frastagliano quasi tutta la parte dell’area meridionale del sud-america e invadono territori, si avviluppano a terre, le accarezzano con la violenza dei colori assoluti, eccessivi dei tropici. Il percorso espositivo non poteva essere regolare, semplice, abitudinario, l’approccio non poteva essere sereno, pacato, tranquillo perché il Brasile sgomenta con le sue spiagge che sono solo brasiliane, la musica che non è solo musica, il calcio, i sapori. Tutto qui ha valore poetico, diverso, non regolare, il Brasile è eccessivo per necessità, esiste nella mitologia della sua diversità. Come il brutalismo di Niemeyer che pietrifica l’artificialità del modernismo perché meglio il cemento del marmo (che si usa poco) ma nella curva continua e sensuale del grande architetto c’è tutta la metafora di quel paese duro ed estetico. Parlare dunque del mito rischia di annientare il valore del suo racconto, nella sua inevitabile autocelebrazione. Adesso il barocco nuovissimo della nostra era è filosofico, (Derrida + Beaudrillard, molta Europa e poche certezze) come il Novecento e quindi il Palazzo Reale di Milano, dove la corte giocava, riceve i doni preziosi, esotici di questo Tropico immenso in uno spazio nuovo, temporaneo, irregolare e improbabile. Per scoprire le opere della Collezione Pimenta vogliamo costruire pause e spezzate,linee difficili perché bisogna navigare verso un centro che naturalmente non esiste,verso un interno che è la metafora della scoperta,della certezza e che nel Brasile viene negato quotidianamente dal trionfo dell’assenza di regole, dall’esibizione informale oltre la storia,senza memoria, e quindi senza paure. L’origine è dunque l’inizio di una differenza,di una interpretazione che diventerà ,in qualche secolo,altro rispetto alle matrici e che contiene i germi autoctoni dell’unicità. Tutto è diverso,perché nulla può essere legato a tempi luoghi e storie,ogni gesto artistico gode di questo privilegio,se esiste un prima è solo perché condannato a un “dopo”. Nel viaggio(e nel racconto)che accompagna il nostro progetto di allestimento di questa mostra c’è la voglia di ringraziare chi ti ha contaminato(Niemeyer e non solo), influenzato, affascinato; anche questo lavoro sul Brasile è solo un gesto d’amore. Le stazioni/pause di riflessione sono altrettanti poli catalizzatori concettuali di altrettante metafore che sostengono con la forza evocativa delle linee guida, il difficile compito di traghettare il visitatore alla scoperta di un mondo nuovo. TERRA. TROPICO .CROCE. ORO. NAZIONE. CULTURA ORIGINALE. Sono i momenti che àncorano il passato,la storia complessa e per certi versi contraddittoria ad una perenne contemporaneità, ad una realtà che oggi è difficile da raccontare esattamente come ieri. Ognuna delle aeree è sostanzialmente un territorio autonomo ma interagente con la totalità caleidoscopica dell’intervento, colore che costruisce quello indicibile della totalità. La “spina”centrale,dorsale,colonna vertebrale del corpo esposto alla percezione particolare di ciascuno degli spettatori è la parete temporanea di un ipotetico palazzo reale transeunte, quello che come giustamente analizzava nelle sue meravigliose città Calvino si “smonta alla fine dell’uso”per tornare al nulla e al tutto onirico della memoria delle bellezze e delle contraddizioni. Quella di Milano dovrebbe essere un avvenimento che stabilisce l’impossibile legame tra neoclassicismo controllato, calvinista, proto-rivoluzionario dei luoghi della magnificenza civile lombarda e la deflagrazione cromatica devastante del più misterioso e conosciuto paese del Pianeta. Se riusciranno a dialogare è anche perché questa mostra è fatta soprattutto di una musica che pervade i destini dell’arte,una lettura che anticipa le nostre capacità di razionalizzare filosoficamente l’adesione sensoriale al bello,solo forme e bellezza e idee impossibili,apparentemente lontane da noi ma vicine perché producono quel suono,appunto, che conosciamo da sempre. Ascoltato una volta è difficile scordarlo. Milano, 25 novembre 2004