VA’ E RICOSTRUISCI LA MIA CHIESA Omelia di commiato a Don Avio Spattini Abbiamo da poco iniziato un nuovo anno pastorale. A ispirare i primi passi e segnare le tappe del cammino di quest’anno è l’invito del Santo Padre Benedetto XVI a guardare alla Chiesa a partire dal suo centro di gravitazione: la fede in Gesù Cristo. Per questo il Papa ha indetto l’Anno della fede. Ma che cosa vuol dire mettere al centro della Chiesa la fede in Cristo? È la domanda che mi stavo facendo mercoledì scorso, in preparazione all’omelia per la festa di S. Francesco, quando mi ha sorpreso la notizia della morte di don Avio. Non è un caso questa coincidenza. La Chiesa di S. Francesco Che cosa abbiamo ascoltato nella prima lettura? “Ecco chi nella sua vita riparò il tempio, e nei suoi giorni fortificò il santuario”. Così il libro del Siracide, tesse l’elogio del grande sacerdote del tempio di Gerusalemme Simone II, che il Siracide deve aver probabilmente conosciuto. È questo un elogio che bene si applica anzitutto alla figura di S. Francesco di Assisi. C’è una pagina della vita di Francesco che lo ritrae tutto impegnato nel ricostruire dalle macerie la chiesetta di S. Damiano: “Va’ — aveva sentito in fondo al suo cuore — e ricostruisci la mia chiesa”. E così è stato il compito di Francesco: dal sogno alla realtà. C’è però un’altra Chiesa che doveva stare a cuore al santo di Assisi. Quale? Gli stava a cuore la Chiesa che crede, la fede di tutto un popolo. Questa fede era minacciata non solo dall’esterno, dal degrado degli edifici, dal crollo dei muri, ma dal venire meno all’interno della coscienza popolare delle ragioni del credere, dal senso del Mistero celebrato nell’Eucaristia, dalla fiducia nei preti. Francesco, stando in mezzo al popolo, ha saputo essere un “Vangelo vivo”. Il Vangelo è anzitutto una persona viva: prima che una dottrina, una morale, una liturgia, il Vangelo è la Persona stessa di Gesù, è l’evento della sua vita, dalla nascita alla sua Pasqua gloriosa nella passione, morte e risurrezione. È questa immagine di Chiesa, di popolo che crede, che ha spinto Benedetto XVI a indire l’Anno della fede: “Fin dall’inizio del mio ministero come successore di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia e il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo”. E aggiunge: “Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti, chiamati a far risplendere la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato”. Questo è il perché della Chiesa, la sua ragion d’essere, il fondamento della sua vita e della sua azione: fare di noi un vangelo vivo, delle persone vive, il corpo vivo di Cristo che ne porta ancora i segni. E segni nel corpo di Cristo che è la Chiesa sono certamente i sacramenti celebrati, l’Eucaristia in particolare, la Parola di Dio, perché è Cristo che parla quando nella Chiesa si leggono le Sacre Scritture (cf. Sacrosanctum Concilium 7), ma segni sono le persone vive nella Chiesa, come San Francesco. 2 La Chiesa di don Avio Anche qui a Sassuolo, come ad Assisi, c’era bisogno di costruire una chiesa. Il dinamismo eccezionale della sua popolazione e l’intraprendenza dei suoi imprenditori aveva richiamato gente dalla montagna, dal sud Italia, tanto che si poteva dire: “Qui convengon d’ogni paese”. Le case si moltiplicavano come fungaie, il verde veniva divorato, si imponeva la necessità di strade, di scuole, di strutture di servizio, di parrocchie, di chiese. Non bastava più la pur centrale e tradizionale parrocchia e chiesa di S. Giorgio. C’era bisogno di nuove parrocchie e nuove chiese. E don Avio, che già come parroco “volontario” (è l’espressione che usa lui stesso nel suo testamento spirituale) a Carù, nel minozzese, aveva dato prova di pastore zelante di comunità costruendo la nuova bella chiesa stile montanaro, viene mandato qui, senza casa e senza chiesa, a rimboccarsi le maniche, provvedere con le sue mani agli impianti elettrici e scaldare il cuore di tutti, a formare questa comunità della “piccola Roma”. Don Avio era fiero delle chiese che aveva costruito, ma sempre sottolineava che l’importante erano le “pietre vive”, le anime. Solo così la parrocchia non è superata, ma rinnovata a partire certo dal territorio che cambia, ma prima ancora dalla sua immagine di Chiesa. Quale immagine? Quella di “comunità tra le case”, che si edifica in un luogo dove tutti collaborano, mettendo a disposizione i propri doni e le proprie risorse spirituali e materiali. Certo necessaria resta sempre la presenza del sacerdote, perché senza il prete non c’è l’Eucaristia, sorgente e culmine di tutta la vita della Chiesa. Lascio la parola a don Avio, che non mancava di linguaggio vivace ed arguto, come testimoniano i suoi “Dialoghi semplici”: “Corre voce che la parrocchia è una formula superata e che ha fatto il suo tempo. La mia piccola esperienza mi dice di no: certo di tanto in tanto occorrono specialisti, certi programmi vanno svolti interparrocchialmente, da superare è un po’ di campanilismo, ci vorrebbe più unità. È ben vero che la parrocchia non deve essere un feudo, ma è altrettanto vero che se la parrocchia scade a raduno anonimo, inaridisce e non si riesce più a vedere la pastorale individuale; sfugge la persona…”. E spiegava: “Un giorno ho detto al mio collaboratore: noi preti dobbiamo credere che Gesù Cristo è nato 2000 ani fa, e che la sua opera è la Chiesa, e che ci salva oggi attraverso i sacramenti. Tutto questo nostro programmare, agitarci, correre, mi pare uno scorazzare se non portiamo Gesù Cristo. È l’anno del Giubileo del 2000, che ha visto la spinta eccezionale di un Papa straordinario, che ha coinvolto il mondo intero, le diocesi, le parrocchie, mettendo in cammino da questa parrocchia una sessantina di giovani a piedi capitanati da don Giordano… un anno in cui è emerso il bisogno di valori, di risposte sicure in una vita tumultuosa”. E concludeva: “il pellegrinaggio verso Dio continua ogni giorno, fintanto che la nostra vita fiorirà nel giorno di Dio. Cristo ieri, oggi e sempre!. Ho 80 anni. Inizio l’ultimo segmento di vita. Spero di poter dire di avere compiuto il mio dovere. Madonna Santissima non mi abbandonare”. 3 Termina così il suo testamento spirituale: “Ultima predica… o ci si attacca a Cristo… altrimenti ci si aggrappa a niente! Sempre quella: il padrone è Lui e si nasce e si muore all’antica”. Grazie, don Avio e grazie ai tuoi genitori che così ti hanno educato, con i quali ora, come il pastore evangelico del gregge (cfr. Luca 17,10), al termine della tua lunga giornata di vita puoi dire al Signore: “Abbiamo fatto quanto dovevamo fare!”. È tutto! + Adriano VESCOVO Sassuolo - Rometta, sabato 6 ottobre 2012 *** All’inizio della celebrazione, il Vescovo Adriano, con a fianco il parroco di San Giorgio, Mons. Romano Baisi, il parroco di Rometta, Don Carlo Lamecchi, l’incaricato della pastorale giovanile di Sassuolo, Don Alessandro Ravazzini, un’altra trentina di sacerdoti, davanti all’assemblea che gremiva la chiesa di Rometta, ha introdotto così la celebrazione: «Il carissimo Don Avio riceve il saluto nella fede in questa chiesa, sorta con l’opera della sue mani, del lavoro della sua officina, e che lo ha visto primo parroco per quarant’anni e poi collaboratore attento e discreto. Insieme al Vescovo, sono qui a condividere questo momento di fede, i confratelli: in particolare i sacerdoti del Vicariato Sassuolo - Valle del Secchia con il parroco e vicario foraneo don Carlo Lamecchi, e i sacerdoti della canonica di San Giorgio, dove don Avio condivideva la mensa fraterna; poi la vicina Casa della Carità e, in comunione di preghiera, le Carmelitane di Montegibbio. Sono qui, vicini alle sorelle, ai fratelli, ai familiari, il Sindaco e le Autorità della Città di Sassuolo, e soprattutto voi cari parrocchiani di Rometta, per diverse generazioni legati al ministero pastorale di Don Avio, in particolare le due giovani vocazioni sorte in questa comunità: Don Alessandro Ravazzini e sorella Daniela del Cenacolo Francescano. Siamo nel giorno di sabato, memoria di Maria, madre della Chiesa e nostra sorella nella fede: affidiamo alla beata Vergine del Rosario l’anima del nostro confratello don Avio e chiediamo di essere rafforzati nella nostra fede in Cristo Risorto».