LA MALATTIA DI BEHÇET Laura LANDI, Marina PAPADIA, Michele IESTER La Malattia d Behçet è una vasculite primaria sistemica ad eziologia ignota, che può interessare vasi di ogni calibro ma che colpisce prevalentemente piccoli vasi, sia arteriosi che venosi. Deve il suo nome al dermatologo turco Hulusi Behçet che per primo, nel 1937, descrisse una triade di sintomi caratterizzata da uveite con ipopion associata ad afte orali e genitali. La distribuzione geografica di questa sindrome è estremamente particolare, in quanto segue la cosiddetta Via delle Seta (Bacino del Mediterraneo Orientale, Turchia, Medio Oriente e Giappone), usata per molti secoli come via di scambio tra est ed ovest. La particolare distribuzione geografica probabilmente riflette l’associazione tra fattori ambientali e genetici, la Malattia di Behçet risulta infatti associata a polimorfismi del gene HLA-B, in particolare BW51. L’eziologia rimane ancora oggi sconosciuta ma sono state avanzate ipotesi eziopatogenetiche di tipo batterico e virale. Attualmente l’ipotesi maggiormente accreditata associa una predisposizione genetica ad un agente scatenante infettivo (HSV-1, HSV-6, HAV, HBV, HCV, parvovirus B19, micobatteri) o di altra origine non nota, che determinerebbe, tramite meccanismi di mimetismo molecolare o attivazione del sistema immune innato, una risposta infiammatoria sproporzionata con conseguente danno endoteliale e tessutale. La sindrome colpisce prevalentemente i giovani adulti tra la II e la IV decade di vita ed è più frequente ed aggressiva nei maschi rispetto alle femmine (M:F, 2-10:1). Il decorso presenta fasi di acutizzazione dei sintomi e fasi di remissione. Fig 1 Fotocolor del fundus di giovane paziente in recidiva di malattia coinvolgente il polo posteriore. Courtesy of Prof. Ilknur Tugal-Tutkun. La Malattia di Behçet può presentarsi con quadri clinici estremamente diversi sia per organi interessati che per gravità. Generalmente l’aftosi orale, genitale e le lesioni cutanee sono presenti alla diagnosi, mentre l’interessamento oculare è meno frequente ma è un fattore prognostico negativo per la morbidità e mortalità del paziente. Le afte orali sono la manifestazione clinica più comune all’esordio (>85%): sono lesioni rotondeggianti, singole o multiple, coperte da pseudomembrane biancastre localizzate per lo più a livello della mucosa buccale (guance, gengive, vestibolo, labbra). Le afte genitali sono la seconda manifestazione più comunemente osservata (72-94%): sono lesioni più profonde di quelle orali e si localizzano a livello dello scroto e della vulva. Eritema nodoso, follicolite, acne, eruzioni papulo-pustolose sono lesioni cutanee tipiche di questa patologia. L’interessamento oculare è presente nel 20% dei casi all’esordio ed è osservato in oltre il 70-80% dei pazienti durante il corso della malattia. La presentazione tipica è una panuveite recidivante e/o una vasculite retinica coinvolgente vene ed arterie. Meno frequentemente si osservano ulcerazioni congiuntivali, episcleriti, scleriti, cheratiti, neuriti ottiche isolate e paralisi dei muscoli extraoculari. Il decorso dell’uveite è caratterizzato da attacchi violenti e remissioni spontanee. All’esordio i pazienti lamentano dolore oculare e fotofobia, e si presentano con occhi arrossati, visione offuscata e calo del visus importante. L’uveite anteriore è caratterizzata dalla presenza di ipopion transitorio e mobile che si sposta liberamente con i movimenti del capo del paziente e di cellule e flare in camera anteriore. Nella fase acuta di malattia si può osservare una vitreite diffusa, segno di interessamento del segmento posteriore, che però non permette una corretta visualizzazione della retina. Con la risoluzione della vitreite, sono evidenziabili i dettagli del fundus dell’occhio come i precipitati bianco-perla sulla superficie della retina che guariscono senza esiti cicatriziali. A livello retinico la malattia si manifesta con una vasculite occlusiva che determina sanguinamenti, la formazione di edema maculare cistoide ed un edema retinico diffuso. In casi estremamente gravi la vasculite può essere confusa con una vasculite di tipo virale. La non-perfusione capillare può portare alla formazione di neovasi a livello retinico e della testa del nervo ottico. La diagnosi della malattia di Behçet è sostanzialmente clinica, anche se la predisposizione genetica correlata all’HLA B51 rende la ricerca di questo antigene essenziale. Nel 1990 uno studio Internazionale ha definito i seguenti criteri diagnostici per questa patologia: la presenza di ulcere orali associata ad almeno due tra le seguenti manifestazioni: ulcere genitali, uveite, lesioni cutanee tipiche o test cutaneo positivo per patergia. In caso di coinvolgimento cerebrale si può avere un aumento delle cellule e delle proteine a livello del liquido cerebro-spinale. La terapia in caso di uveite anteriore acuta si basa sull’uso topico di corticosteroidi (da 2 a 4 volte al giorno) e di un midriatico con emivita breve (es. tropicamide all’1% instillato 1 o 2 volte al giorno) per evitare la formazione di sinechie irido-lenticolari. La somministrazione di steroidi sistemici può essere utile per abbreviare la durata dell’episodio infiammatorio, ma a lungo andare risulta poco efficace. In caso di vasculite è essenziale una terapia ad alto dosaggio con immunosoppressori sistemici. Sono attualmente disponibili i farmaci immunosoppressori quali azatioprina, ciclosporina A, ciclofosfamide, clorambulcile ed interferone њ che possono essere utilizzati da soli, in combinazione tra loro o con il cortisone. Gli effetti collaterali e tossici di questi farmaci (leucopenia, azospermia, sindrome similinfluenzale, iperglicemia, ipertensione, danno epatico e renale) devono essere tenuti in considerazione ed attentamente valutati tramite esame emocromocitometrico, valutazione funzionalità epatica e renale, misurazione della pressione arteriosa e valutazione glicemica. La prognosi visiva è nettamente migliorata con l’introduzione dei farmaci immunomodulatori, che ha permesso un controllo a lungo termine della malattia. Se prima degli anni 70 circa il 50% dei pazienti diventava cieco entro 5 anni dall’esordio oculare della patologia, oggi il 65% dei pazienti mantiene un buon visus (superiore a 7/10) in almeno uno dei due occhi a 10 anni dall’insorgenza dei sintomi oculari.