Dott.ssa Valentina Farris
Psicologa Psicoterapeuta
Albo Psicologi della Sardegna n°1872
Progetto: “ Emozioni, corpo e cibo”
Premessa
Viviamo in una società che si sta sempre più virtualizzando e che rende sempre più incorporea ogni
esperienza.
L’obiettivo per raggiungere il vero benessere è quello di conquistare e conoscere la globalità
dell’individuo nella sua dimensione biologica, psicologica, sociale, affettiva e relazionale.
Si può certamente affermare che lo scompenso psicologico da parte dei soggetti che poi presentano
delle patologie non organiche è dovuto ad un mancato riconoscimento delle emozioni e dei propri
costrutti mentali: esiste cioè una difficoltà a conoscere se stessi, a sentire e a capire i propri desideri,
ad avere fiducia negli altri e a credere che è possibile un miglioramento del proprio stile di vita.
Tutto ciò è ancora più difficile in pre – adolescenza e in adolescenza, poiché questa tappa evolutiva
comporta una serie di cambiamenti fisici che determinano profonde implicazioni psicologiche: la
“nuova” identità corporea, l’autostima vacillante, il non conoscere le proprie emozioni e non riuscire a
gestirle, il confronto mai vincente con i coetanei e con i modelli di riferimento proposti dai mass
media, possono generare e sviluppare molteplici conseguenze psicologiche e comportamentali. Il non
conoscersi, l’incapacità d’identificarsi e sentirsi in sintonia con il proprio corpo portano, spesso, ad una
scorretta alimentazione e a patologie che minano il fisico, sfociano in depressione e nelle peggiori delle
ipotesi conducono alla morte. A proposito di quanto detto, Guidano e Liotti (1983), affermano che la
caratteristica principale dell’anoressia nervosa, è un deficit nelle strutture cognitive profonde legate
all’identità personale e quindi ad una scarsa conoscenza di sé.
E’ utile quindi, per prevenire i disturbi del comportamento alimentare, non solo informare su una
corretta alimentazione e stile di vita ma anche lavorare per aumentare la consapevolezza interocettiva.
Cosa sono i disturbi del comportamento alimentare (DCA)?
Come nascono e si sviluppano?
I disturbi del comportamento alimentare (DCA) non riguardano principalmente le problematiche col cibo,
col digiuno o con le abbuffate, ma nascondono i sintomi di un sottostante profondo disagio emozionale e
psicologico. Per alcuni individui diventano il caratteristico stile di vita con il quale affrontano le difficoltà
apparentemente irrisolvibili.
La maggior parte dei disturbi alimentari si sviluppano fra gli 11 e i 24 anni. Anche se attualmente il periodo
si è spostato ai 40 anni. In alcuni casi, l’anoressia nervosa si sviluppa anche in età infantile, attorno ai 6 / 7
anni, mentre per quanto riguarda la bulimia nervosa è rara prima dei 13 anni.
ANORESSIA e BULIMIA sono entrambi due gravi (e potenzialmente letali) disturbi del comportamento
alimentare, accompagnati da continue preoccupazioni riguardanti il proprio peso e il cibo, nonché dal
terrore d’ingrassare.
Di solito l’anoressia inizia a seguito di una drastica dieta dimagrante senza il controllo medico, oppure con
una iniziale perdita di fame legata ad un evento doloroso e si evolve in una ossessione per il controllo della
quantità di cibo ingerito. Le “vittime”, pur affamate, si impongono di digiunare o di mangiare solamente
una quantità minima di cibo nello sforzo di mantenere il proprio peso il più basso possibile: anche se il
proprio corpo è al di sotto del peso normale lo percepiscono “troppo grasso”. In questo atteggiamento, una
ragazza può essere influenzata da spot pubblicitari (dove, per essere accettati, bisogna avere un corpo
snello), oppure dall’idea di volere un corpo sottile e asciutto come tante top model; altre volte teme
l’apparire di quei segni corporei che segnalano l’identità femminile (seno, curve, ciclo mestruale): in tal
senso si può dire che l’anoressia esprime la paura di diventare adulta.
I pazienti anoressici non ammettono di avere un problema grave, si sentono fisicamente bene e sono
convinti di essere di fatto in sovrappeso: pertanto possono sottoporsi ad un eccessivo esercizio fisico per
bruciare il “grasso in eccesso”. I costanti sentimenti di insicurezza, la pervasiva insoddisfazione di sé e
l’ossessione della magrezza li trasformano da persone, un tempo, sane e felici in individui pressoché
scheletrici, irritabili, ostinati e depressi. Dapprima il futuro anoressico non rispetta più l’orario dei pasti,
mangia poche cose a orari insoliti (spesso da solo) e può imporsi un ritmo di vita frenetico (attività
scolastiche, sportive, domestiche), pur di perdere sempre più peso. La malattia compromette, col passare
del tempo, tutto l’organismo: diminuzione della temperatura corporea, della pressione e della massa
muscolare, pelle disidratata e tesa, colorito giallo, occhi cerchiati e arrossati, fragilità delle ossa, dei denti e
delle unghie, perdita dei capelli e di Sali (potassio e il calcio), amenorrea (assenza o scomparsa del ciclo
mestruale), alterazioni cardiache , ecc. la malattia viene accelerata non solo da drastiche diete , ma anche
da vomito volontario, abuso di diuretici, di lassativi e di farmaci anoressizzanti. Molti anoressici, infine,
diventano bulimici in quanto, desiderando intensamente il cibo, periodicamente perdono il controllo delle
restrizioni alimentari e si abbuffano. La malattia diventa conclamata quando il/la ragazzo/a perde più del
15% del proprio peso corporeo. Si può arrivare a pesare 28/30 Kg, che è il limite della sopravvivenza.
In passato, l’anoressia nervosa , veniva considerata una patologia principalmente femminile, attualmente
un sempre più crescente numero di maschi ne è affetto (passando da un 10 % dei casi totali a percentuali
del 25%-30%).
Criteri diagnostici secondo il DSM IV
Di frequente anche la bulimia è la diretta conseguenza di una drastica dieta (al pari di una crisi di astinenza
da droghe pesanti). Da una nutrizione insufficiente, fame e debolezza presto si sviluppa un ciclo compulsivo
e incontrollabile di abbuffate con l’ingestione di grosse quantità di cibo seguita da comportamenti di
eliminazione (vomito, uso di lassativi, ecc.).Bulimia significa mangiare senza fame,senza uno scopo preciso:
l’unica motivazione è quella di placare uno stato di ansia (come il latte calma il neonato). Nel corso di
questa drammatica lotta interiore molti bulimici sono disponibili al trattamento e acconsentono ad una
qualche alimentazione. Al contrario dell’anoressico il tipico bulimico non è emaciato, ma di solito conserva
un peso corporeo normale e appare essere in forma e sano. Tuttavia il ciclo ossessivo di abbuffate e di
comportamenti di eliminazione genera nei pazienti bulimici una profonda sofferenza, sentimenti di
vergogna, sensi di colpa, disgusto di sé e isolamento sociale. Sviluppano, nel tempo, una grande abilità a
nascondere il loro “vergognoso segreto” alla famiglia e agli amici: infatti quando sono in compagnia non
cadono mai in questi eccessi e, ancor più degli anoressici, non ammettono la propria malattia. Il bulimico ha
un’immagine fortemente negativa di sé e non prende mai decisioni in quanto vive la sua condizione con
profondi sensi di colpa.
In alcuni soggetti con bulimia, sono stati evidenziati problemi supplementari quali: abuso di sostanze
stupefacenti e di alcool, gioco d’azzardo patologico, comportamenti auto lesivi e impulso incontrollabile al
furto.
LA BULIMIA
Ricorrenti episodi di abbuffate
compulsive:
-Mangiare in un periodo di tempo
circoscritto una quantità di cibo
maggiore di quella che mangerebbe
la maggior parte delle persone
nello stesso tempo e in circostanze
simili
-Sensazione di perdere il controllo
sul cibo
PAURA DI ESSERE GRASSI
Dieta
Depressione
Senso di colpa
Perdita di controllo
Eventi
stressanti
Ricorrenti comportamenti
compensatori al fine di prevenire
l’aumento del peso: Vomito
autoindotto, lassativi, diuretici,
farmaci o eccessivi esercizi fisici
L’autostima è influenzata dalle
forme del corpo e dal peso
PURGING
ABBUFFATA
Circolo vizioso della bulimia nervosa
Sensazioni di perdita di
controllo,impotenza,tristezza,solit
udine e oscillazioni d’umore.
Alterazione del ciclo mestruale
nelle femmine
Mal di gola e carie dentarie,
causati dal vomitare.
Disidratazione, problemi
dermatologici e apatia
QUALI SONO LE CONSEGUENZE FISICHE DELL’ANORESSIA?
Ventricoli e solchi cerebrali ingranditi: difficoltà di
concentrazione,
ritardo mentale
Cardiovascolari:
Aritmia
Bradicardia
Anomalie elettrocardiografiche
Ipotensione
Disfunzione ventricolare sinistra
Capacità di lavoro ridotta
Miocardiopatia da rialimentazione
Immunologici
Ridotta attività battericida dei
granulociti
Compromessa immunità cellulomediata
Ridotta adesività dei granulociti
Ridotti livelli sierici del
complemento
Ematologici
Anemia
Leucopenia
Ridotta velocità di sedimentazione
eritrocitaria
Endocrini
Amenorrea/
Ipogonadismo
Sensibilità al freddo
Diabete Insipido
Ipoglicemia
Osteopenia
Gastrointestinali
Dolori addominali
Stitichezza
Ridotta motilità intestinale
Dilatazione duodenale
Senso di sazietà precoce
Dilatazione gastrica
Gonfiore postprandiale
Epatite da rialimentazione
Pancreatite da rialimentazione
Metabolici
Ipercolesterolemia
Ipocalcemia
Ipokalemia
Ipomagnesemia
ipofosfatemia
QUALI SONO LE CONSEGUENZE FISICHE DELLA BULIMIA?
ORALI:
Cheilosi
Carie dentali
Perimolisi
Dolenza faringea
MEDIASTINICHE
Pneumediastino
CARDIOVASCOLARI
Aritmie
Tossicità da farmaci “per
dimagrire”
Ipotensione
Tossicità da ipecacuana
Prolasso della valvola
mitrale
GASTROINTESTINALI
Colon catartico
Stipsi
Diarrea
Ematochezia
Pancreatite
ENDOCRINE
Complicanze diabetiche
Ipoglicemia
Irregolarità mestruali
Eccesso di
mineralcortcoidi
GASTROESOFAGEE
Dispepsia
Disfagia
Rottura esofagea
Stenosi esofagea
Ulcera esofagea
Esofagite
Ematemesi
Dolenzia e irritazione faringea
POLMONARI
Polmonite da aspirazione
SISTEMA RISPRODUTTIVO
Basso peso alla nascita
Aborto spontaneo
NEUROMUSCOLARI
Tossicità da farmaci (convulsioni)
Tossicità da
ipecacuana(neuromiopatia)
Equilibrio idrico-elettrolito,
acido di base
Disidratazione
Alterati livelli elettrolitici e di ph
di sodio, potassio, cloro,
bicarbonato
Edema idiopatico
Acidosi metabolica
Alcalosi metabolica
Oltre all’anoressia nervosa e alla bulimia vi sono altre tipologie di disturbo del comportamento alimentare
come il disturbo da alimentazione incontrollata (Binge eating). Tale disturbo è definito da due particolari
caratteristiche, entrambe necessarie (APA,1994): 1) mangiare in un periodo di tempo circoscritto (per
esempio nell’arco di due ore) una quantità di cibo indiscutibilmente maggiore di quella che la maggior parte
delle persone mangerebbe nello stesso periodo di tempo e in circostanze simili; 2) sensazione di perdere il
controllo nell’atto di mangiare (ad esempio sentire di non poter smettere di mangiare o di non poter
controllare cosa o quanto mangiare). La diagnosi di disturbo da alimentazione incontrollata prevede che le
abbuffate si verifichino almeno “ due giorni la settimana”, infatti le abbuffate non sono limitate ad un certo
periodo di tempo come nella bulimia nervosa, ma continuano spesso nell’arco di un’intera giornata. Le
condotte eliminatorie, inoltre, a differenza dei soggetti bulimici e anoressici, non vengono utilizzate da
questi soggetti per controbilanciare le conseguenze delle abbuffate . La maggior parte delle ricerche
effettuate ha evidenziato che i pazienti con disturbo da alimentazione incontrollata hanno un’incapacità
generale di regolare la loro alimentazione sia durante che al di fuori delle abbuffate, hanno cioè un introito
di cibo molto elevato e caotico sia ai pasti che fuori pasto.
L’obesità
Esistono molti luoghi comuni riguardo all’obesità. Il più importante e difficile da sfatare è quello di
considerare l’eccesso ponderale legato esclusivamente all’ingordigia e alla golosità. Una moltitudine di
studi ha chiaramente dimostrato che non esiste una sola causa dell’obesità, ma entrano in gioco molti
fattori (Genetici, comportamentali e sociali), che, interagendo tra di loro in modo complesso, conducono al
sovrappeso e all’obesità (vedi tabella 1.1). Se i fattori sociali sono egualmente influenti su tutta la
popolazione, quelli genetici possono essere più importanti per alcuni individui, mentre quelli
comportamentali per altri. Se è vero che i fattori genetici determinano una predisposizione all’obesità e
non una predestinazione, essi, però, fanno si che per l’individuo geneticamente predisposto sia
particolarmente difficile mantenere un peso nel range della normalità in un ambiente ricco di cibi grassi e
che incoraggia uno stile di vita sedentario. L’obiettivo principale dell’educazione sull’obesità è quello di
rendere il paziente consapevole che anche il miglior programma dimagrante è inefficace nella diminuzione
ponderale a lungo termine. L’intervento educativo è mirato a fare accettare alle pazienti il fatto che
saranno sempre in sovrappeso e di taglia superiore alla media.
Tabella 1.1 Alcuni dei principali fattori implicati nello sviluppo dell’obesità
1. Fattori biologici
Suscettibilità genetica (responsabile del 25-40% dei livelli di BMI)
Sesso femminile (maggiore predisposizione ad accumulare grasso in sede gluteo femorale)
Periodo della vita che in alcuni casi si associano ad un aumento di peso
Periodo prenatale
5-7 anni (rimbalzo adiposo)
Adolescenza
Prima età adulta
Gravidanza
Menopausa
2. Fattori comportamentali e psicologici
Eccessivo introito abituale di grassi e di energia
Modalità dell’assunzione del cibo (saltare la colazione, fare pochi pasti)
Ridotti livelli di attività fisica
Problemi psicologici
Farmaci (cortisonici, antidepressivi triciclici, neurolettici)
Eccessiva assunzione di alcool
Malattie (ipotiroidismo, malattia di Cusching, tumori ipotalamici)
Riduzione importante dell’attività fisica
Cambiamenti sociali (matrimonio, nascita di un figlio, nuovo lavoro, cambiamenti di clima)
3. Fattori ambientali e influenze sociali
Modernizzazione
Aumento della disponibilità del cibo
Aumento della sedentarietà
Industria della dieta
Media che pubblicizzano il cibo.
Da WHO (1997). Obesity. Preventing and managing the global epidemic. Report of a who consultation on Obesity.
NUOVE FORME DI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
ORTORESSIA
BIGORESSIA
Nightressia
drunkorexia
Preoccupazione per il mangiare solo cibi “puri”
Ossessione per la
muscolatura
Mangiare e abbuffarsi solo di notte
Bere alcool per non sentire la fame
Quali sono le cause dei disturbi del comportamento alimentare?
Fattori culturali
Pressione verso la magrezza
Insoddisfazione corporea
Restrizione dietetica
Fattori familiari
Familiare a dieta per qualsiasi motivo
Familiare a dieta per peso e forme corporee
Conflitti familiari
Fattori personali
Auto-svalutazione
Perfezionismo
“disturbo” dell’Identità
Pensare “ io valgo e sono bello/a solo se il mio peso, il mio corpo è
uguale al mio ideale di peso, di corpo”
PERCHE’ CI SI AMMALA O SI SVILUPPA UN DISTURBO DEL COMPORTAMENTO
ALIMENTARE????????
PERSONALITA’ POCO STRUTTURATA:
•Difficoltà a riconoscere le proprie
emozioni e pensieri (autoconsapevolezza)
•Difficoltà relazionali
•Ricerca di perfezione data
dall’insicurezza di base
•Scarsa autostima
•Eccessiva dipendenza
•Difficoltà nell’accettare i cambiamenti
ESISTE UN TIPICO AMMALATO DI ANORESSIA O DI BULIMIA?
Queste patologie sottopongono i malati a terribili tensioni emotive. La malnutrizione
provoca negli anoressici gravi difficoltà a pensare lucidamente e a concentrarsi.
Malgrado la riluttanza della maggior parte degli ammalati ad ammettere che
qualcosa vada male, la qualità della vita degli individui affetti da disturbo del
comportamento alimentare lascia molto a desiderare: oltre ad isolarsi socialmente,
provano disgusto per se stessi, sensi di colpa e di vergogna, paura dei cambiamenti,
sentimenti di inadeguatezza e di rifiuto da parte degli altri. Sono soli, disperati,
depressi e spesso evitano il contatto dei loro amici.
CONSIGLI PER LA SOPRAVVIVENZA DELLE FAMIGLIE E DEGLI AMICI
Occorre stimolare gli ammalati a ricercare un aiuto professionale. Non appena le
condizioni fisiche sono sotto controllo e il miglioramento delle capacità intellettuali
e dello stile di vita rendono possibile l’inizio di un trattamento, allora è bene far in
modo che il paziente si assuma la responsabilità : deve essere lui a decidere come
seguire i suggerimenti del terapeuta. E’ necessario che la famiglia stimoli gli
ammalati a condurre una vita indipendente: i parenti, i professori e gli amici non
possono prendersene il carico. E’ di vitale importanza offrire amore e sostegno, ma
è poco ragionevole controllare il comportamento del paziente, anche quando è lui
stesso a chiederlo. Bisogna evitare di concentrare l’attenzione sul cibo o sulla forma
del corpo. Discussioni su quanto cibo assumono o sul peso possono stimolare
l’ammalato all’uso strumentale della patologia per manipolare gli altri. Si consiglia di
evitare di acquistare cibi esclusivamente per accontentare il familiare ammalato e di
fare osservare regole, per quanto riguarda l’alimentazione, solamente quando è
necessario per l’ammalato o per altri seri motivi familiari. L’ora dei pasti non deve
diventare un campo di battaglia. Emozioni, quali la rabbia e la frustrazione, devono
essere espresse, ma non all’ora dei pasti. La persona con disturbi alimentari non
dovrebbero ricevere più attenzioni del dovuto da parte degli altri membri della
famiglia, dai professori o dagli amici. La cosa più importante è manifestare amore,
attenzione e fiducia.
Cosa fare?
Il rifiuto sistematico di alcuni alimenti, le bugie su quanto mangiano, scappare in bagno dopo aver
mangiato sono segnali da non sottovalutare. Un professore e un genitore non dovrebbe mai
sottolineare troppo spesso l’importanza della linea (ad esempio tra colleghi: “ma quanto sei
dimagrita, ti trovo bene!!!”). Osservare se un ragazzo butta il cibo, se corre in bagno dopo aver
mangiato e/o se salta la merenda.
Verificare se dietro le troppe ore passate in palestra non vi sia l’ansia di diventare molto magri. Se
il/la ragazzo/a sale sulla bilancia più volte al giorno, è probabile che sia scattato il meccanismo
ossessivo del controllo. Ritenere un importante campanello d’allarme il fatto che la ragazza si veda
grassa in alcune parti del corpo. Osservare se il/ la ragazzo/a passa ore davanti allo specchio senza
trovare un abito che gli/le piaccia.
Sono preoccupanti anche lo studio eccessivo e la tendenza ad impegnarsi in mille attività
intellettuali. Analizzare gli atteggiamenti provocatori che il/la ragazzo/a assume: il rifiuto del cibo
può diventare una forma di protesta contro la dipendenza (avvertita come eccessiva) nei confronti
dei familiari e professori.
L’ALIMENTAZIONE EQUILIBRATA NEI RAGAZZI
LA NUTRIZIONE rappresenta una modalità più stretta di relazione tra
AMBIENTE, CIBO E BIOLOGIA, la relazione tra ambiente e biologia è il
comportamento alimentare influenzato da fattori biologici, psicologici e
sociali
-Importanza del “RICONOSCIMENTO DELLA SENSAZIONE DI FAME E DELLA
SAZIETA’”nei disturbi del comportamento alimentare vi è un’incapacità nel
riconoscere queste due sensazioni (per cui si mangia perché è ora di pranzo o
di cena, si mangia perché ho avuto un brutto giorno a scuola, non mangio
perché sono troppo arrabbiato)
- E’ importante un’alimentazione varia ed equilibrata per crescere in
armonia
-Fare attività sportiva
-Non esistono cibi sani o sbagliati è la quantità che lo rende “nocivo”
E’ importante fare almeno 5 pasti al giorno (Colazione, spuntino, pranzo,
Spuntino, cena) per aumentare metabolismo
per non restare “a corto” di energie
IMPORTANTE:FARE SEMPRE PRIMA COLAZIONE studi dimostrano che le
persone obese saltano la
colazione (Dalla Grave)
Cibo, sport e lavoro sulle emozioni sono i giusti ingredienti per una VITA
EQUILIBRATA E ARMONIOSA
Una giornata equilibrata è così composta:
Almeno 1 litro di acqua al giorno (per gli adulti 1.5 litri)
GRUPPO VERDE: almeno 5 porzioni di frutta e verdura
(2-3 porzioni di frutta e 2-3 porzioni di verdura)
GRUPPO MARRONE: 3-4 porzioni di farinacei al giorno
(preferendo prodotti integrali)
GRUPPO BLU: 2-3 porzioni di latticini al giorno
GRUPPO ROSSO: una porzione di carne, pesce, uova, leguminose
GRUPPO GIALLO: al massimo 4 cucchiaini
(preferendo gli oli di oliva e colza)
Il piatto equilibrato è così composto:
gruppo verde
gruppo rosso
e blu
gruppo
marrone
I GRUPPI ALIMENTARI
Gruppo verde: frutta e verdura
Ad esempio: frutta fresca, secca, cotta, congelata, in succo, verdura fresca,
in minestra o in insalata.
Questi alimenti contengono fibre, vitamine C e B-carotene, potassio,
magnesio.
Frutta e verdura sono essenziali per mantenersi in salute perché
favoriscono il funzionamento dell’intestino e apportano all’organismo
vitamine e sali minerali indispensabili. Svolgono un ruolo di prevenzione
dei tumori, rafforzano le strutture nervose, aumentano la resistenza alle
infezioni, proteggono dalla degenerazione cellulare
2 o più volte al giorno un frutto e da 2 a 3 volte una porzione di verdura,
variando il più possibile i colori. Semplice da ricordare, vale la regola del 5
volte al giorno!
Porzione di frutta: 4-12 anni Al minimo 100 g
Porzione di verdura: 4-12 anni Al minimo 100 g
Gruppo marrone
Ad esempio: pasta, riso, patate, pane, fiocchi di cereali, mais, orzo,
miglio, polenta, avena.
Questi alimenti contengono molti carboidrati (= zuccheri) sotto forma di
amido, fibre (se sono integrali), vitamine del gruppo B, magnesio.
I carboidrati forniscono costantemente energia all’organismo, permettono
di studiare, di pensare, di giocare, di crescere. Sono come il carburante
per la macchina!!!
Porzione di farinacei: 4-12 anni 40 – 50 grammi (Crudi)
Gruppo rosso: carne, pesce, uova, leguminose
Ad esempio: pollo, manzo, maiale, fegato, cavallo, coniglio, tacchino,
prosciutto, bresaola, salmone, sogliola, uova, lenticchie, fagioli, ceci, tofu.
Questi alimenti contengono proteine (elementi costruttori, i “mattoni” del
corpo), ferro (soprattutto nella carne rossa e nelle uova) e vitamine del
gruppo B. Le leguminose contengono soprattutto le vitamine B, ferro,
calcio, fosforo, magnesio e fibre alimentari.
Questo gruppo è importante per costruire e rinnovare i tessuti, per
assicurare un buon funzionamento del nostro corpo, per prevenire l’anemia
e la perdita di appetito.
Porzione di carne: 4 - 7 anni 60 - 70 g
(cruda) 8 - 12 anni 80 - 90 g
Porzione di pesce: 4 - 7 anni 60 - 70 g
(crudo) 8 - 12 anni 80 - 90 g
Uova: 4 - 7 anni 1 uovo 2 volte alla settimana
8 - 12 anni 1 uovo e mezzo 2 volte alla settimana
Porzione di leguminose: 4 - 7 anni 20 g
(crude) 8- 12 anni 30 g
Gruppo blu: latte e latticini
Ad esempio: latte, yogurt, ricotta, formaggio a pasta dura, formaggio a
pasta molle, formaggini da spalmare, mozzarella.
Questi alimenti contengono calcio, proteine, vitamine D e A, B2 e
fosforo.
Il latte e i latticini sono importanti per la formazione delle ossa e dei
denti.
Ogni giorno 2-3 porzioni di latticini
Porzione di latte: 4 - 6 anni 1 dl
7 - 9 anni 1 dl
10 - 12 anni 2 dl
Porzione di yogurt: 4 - 6 anni 125 - 150 g
7 - 9 anni 100 g
10-12 anni 180 g
Porzione di formaggio: 4 - 7 anni 25 gr
8 - 12 anni 30 - 35 g
Porzione di formaggio fresco: 4 – 7 anni 60 gr
8 - 12 anni 80 g
Gruppo giallo: grassi
Ad esempio: burro, oli, panna, maionese e frutta oleaginosa.
Questi alimenti forniscono molta energia, contengono vitamine A, D, E e K e
altre
sostanze indispensabili al nostro corpo (negli oli). Noci, nocciole e mandorle
contengono vitamina E.
Un consumo moderato e variato di grassi è indispensabile. Gli oli da
preferire in cucina sono l’olio di oliva e quello di colza. Il
burro può essere usato a freddo (da spalmare).
La quantità consigliata è pari al massimo a 4 cucchiaini da tè al giorno.
Porzione di olio a pasto: (5-10 g)
4-12 anni 1-2 cucchiaini
Porzione di burro giornaliera
4-12 anni 1-2 cucchiaini
Bevande
Ad esempio: acqua, tisane, brodi.
Un corretto apporto di acqua è molto importante per facilitare il
lavoro dell’intestino e dei reni e per prevenire la disidratazione e la
stitichezza
Regole:
Ciò che è stato elencato qui sopra è il prospetto per una corretta alimentazione per
bambini e pre-adolescenti (11-13 anni).
E’ importante che i cibi non vengano etichettati come “proibiti”
Il ragazzo ha bisogno di tutto anche di mangiare “le schifezze”, dovremmo insegnare
noi, attraverso l’esempio, che si possono mangiare tutti i tipi di cibo senza abusarne.
Mai riprendere in “pubblico” un alunno che sbaglia nel modo di alimentarsi,
bisognerebbe creare un momento di dialogo da soli con l’alunno in questione e
comprendere come mai porta a scuola sempre cibi appartenenti alla categoria dei
“cibi grassi”. Spiegare le conseguenze (ad esempio: i grassi non servono per creare
energia subito disponibile per affrontare le altre ore di lezione, ma hanno un'altra
funzione, per cui potrebbe optare per altre categorie di cibi).
Se il professore si accorge che un alunno butta o evita di fare merenda a scuola
parlare con il ragazzo cercando di capire le sue motivazioni e poi informare la
famiglia , ricordandosi di non avere un atteggiamento giudicante.
Non eliminare o punire i ragazzi con il cibo o saltando la ricreazione o l’attività fisica.
La ricreazione non è solo momento di svago ma è anche la regola del cibo a metà
mattina per evitare di restare a corto di energie e per aumentare il
metabolismo(regola dei cinque pasti al giorno).
Cosa succede ai ragazzi?
L’adolescenza è una fase di sviluppo che copre
approssimativamente il periodo che va dagli 11 ai 22 anni.
PUBERTA’passaggio dalla
condizione fisiologica del
bambino a quella dell’ adulta
ADOLESCENZApassaggio dallo
status sociale del bambino a
quella dell’adulto
Caratterizzata da cambiamenti fisici
PREADOLESCENZA
Problemi legati alla crescita fisica,
all’identità corporea e alla
definizione sessuale
ADOLESCENZA
Maturazione delle capacità di
analisi, di introspezione e
definizione dell’identita’, dei valori
e delle scelte
“prima adolescenza” età compresa fra 10 e 14 anni,
comincia con la pubertà e finisce con il rallentamento della crescita
fisica,
tendenza all’allontanamento dalla famiglia
avvicinamento ad un gruppo di coetanei.
La “media adolescenza”15 ai 18 anni
- periodo di separazione psicologica dalle figure genitoriali
- tensione verso la definizione dell’identità sessuale
-modalità di relazionarsi con la società“allargata”
La “tarda adolescenza”dai 19 ai 22 anni (o 25 anni)
è il periodo finale dello sviluppo e del consolidamento dell’identità,
in cui la famiglia, gli amici e il proprio io,
con le sue complesse ramificazioni
psicologiche, affettive, sessuali, sociali,
attitudinali, vocazionali cominciano a
trovare un loro armonico equilibrio.
La fine di questa fase è assolutamente difficile da
determinare (particolarmente nelle socioculture avanzate)
CAMBIAMENTI
psichici
fisici/sessuali
relazionali
comportamentali
VERSANTE PSICHICO
MAGGIORE CONFUSIONE
MENTALE
MAGGIORI SBALZI D’ UMORE
Sviluppo intellettivo in adolescenza
PENSIERO OPERATORIO FORMALE
• raggiungimento delle capacità di astrazione la realtà viene percepita
come realizzazione del possibile, molti sè
• nascita della capacità di formulare ipotesi e di trarre conclusioni
• capacità di valutare diverse combinazioni tra variabili
• capacità di utilizzare il pensiero proposizionale
• scoperta del piacere dell’utilizzo del pensiero
• sviluppo del pensiero narrativo
Identità adolescenziale
L’identità personale
Idea che un individuo ha di
sé (cioè quello che pensa
di essere)
Ciò che l’individuo è
realmente
Nella pubertà e nell’adolescenza
il SENSO D’IDENTITA’ si esprime
tramite
IDEA DI SE’ CERCATAricerca
attiva di esperienze e
situazioni in cui mettersi aLla
prova
AUTOSTIMA
IDEA DI SE’ RIFLESSAricerca di
una coerenza nelle qualità
personali nelle esperienze; sforzo
di riflessione e consapevolezza
VERSANTE RELAZIONALE
MAGGIORE DISTACCO DAI
GENITORI
MAGGIORE RICERCA DEI
COETANEI
TENDENZA ALL’ISOLAMENTO E
RICERCA DEGLI SPAZI PROPRI
VERSANTE COMPORTAMENTALE
ADOLESCENZA
“VISIBILE”
ADOLESCENZA
“SILENZIOSA”
Tendenza trasgressioni
Ricerca dell’isolamento e/o
pochi amici
Rendimento scolastico in calo
Rendimento scolastico nella
norma
Esplosione di amore e/o odio
verso i genitori
Poche esplosioni verso i genitori
Superficialità
Riflessioni interiori
VERSANTE FISIOLOGICO E SESSUALE
Insorgenza peli pubici
Mestruazioni
Aumento del peso
Interesse per la sessualità
“ormoni impazziti”
Eiaculazioni notturne
masturbazione
Ricerca/timore per i rapporti
sessuali
Effetti psicologici dei cambiamenti corporei
• Mentalizzazione del corpo: fenomeno per cui al corpo viene
attribuito un significato relazionale, sociale, sentimentale, erotico,
generativo, etico, a cui viene riconosciuta continuità nel tempo, in
termini di sviluppo ma anche di decadimento.
• Maturazione precoce: il confronto con i coetanei può portare:
nei maschi ad un aumento
del ruolo di responsabilità,
della leadership, della
fiducia in sé e del senso di
sicurezza
nelle femmine ad un aumento
dell’indipendenza e della
sicurezza di sé, ma anche a
comportamenti adultizzati e
di tipo antisociale
• Dismorfofobia: preoccupazioni immotivate circa la presenza di
difetti fisici
• Ipocondria: paura di avere malattie fisiche o psicologiche
Compiti di sviluppo
(Havinghurst, 1952)
• instaurare relazioni nuove e più mature con coetanei di entrambi i
sessi
• acquisire un ruolo sociale femminile e maschile
• accettare il proprio corpo e usarlo in modo efficace
• conseguire indipendenza emotiva dai genitori e da altri adulti
• raggiungere la sicurezza di indipendenza economica
• orientarsi verso e prepararsi per un’occupazione o professione
• prepararsi al matrimonio e alla vita familiare
• sviluppare competenze intellettuali e conoscenze necessarie per la
competenza
civile
• desiderare e acquisire un comportamento socialmente responsabile
• acquisire un sistema di valori e una coscienza etica come guida al
proprio comportamento
Intelligenza emotiva a scuola – scuola e famiglia:alla ricerca di una cultura
pedagogica condivisa
Riprendendo ciò che ho detto nella premessa è importante insegnare ai ragazzi una
propria autonomia e indirizzarli ad avere una propria struttura di personalità che
eviti in loro lo svilupparsi di patologie o problematiche adolescenziali che poi si
accompagnano fino in età adulta (disturbi del comportamento alimentare, ansia,
comportamenti antisociali, abbandono scolastico, etc).
Quando si parla di autonomia e di come far raggiungere ai figli un sufficiente grado
di indipendenza e autostima, sembra chissà quali forche caudine debbano
attraversare le famiglie. Insegnare l’autonomia appare oggi un grande problema e si
è convinti il più delle volte di chissà quali competenze educative e pedagogiche
occorra possedere per rendere figli e alunni forti, autonomi e sicuri.
In verità, si dimentica spesso che le condotte autonome possono essere insegnate a
partire da cose molto pratiche e semplici. Troppo spesso purtroppo si tende a
pensare che educare all’autonomia un figlio sia opera complessa, fine e certosina.
Eppure basterebbero alcune accortezze, un po’ di volontà e soprattutto la
convinzione che già all’età di 12-13 anni i figli sono di certo ancora fragili e bisognosi
di guida, ma dotati di capacità notevoli per eseguire e portare a termine condotte
complesse. A questa età ogni ragazzino dovrebbe essere in grado di cambiare una
lampadina, sistemare la propria camera, tenere a posto il proprio armadio, eseguire
i compiti da solo, fare qualche piccola spesa, andare a scuola autonomamente,
svegliarsi da solo con la sveglia e tanto altro ancora. Non favorire l’apprendimento di
queste attività, lasciandoli in una bambagia protettiva e totalizzante, può inibire in
loro non solo le competenze di base dell’autonomia, ma anche lo stesso desiderio di
crescere di diventare indipendenti e di sviluppare una buona autostima. Purtroppo
molti genitori, spesso, per fare presto e alleviare ogni incombenza ai figli, si
sostituiscono completamente a loro, risparmiando ogni passo, ogni tentativo di
misurarsi con la realtà, ogni esplorazione. Tra un esonero e l’altro i ragazzi,
percepiscono, sia pure inconsapevolmente, l’estraneità al mondo e alle cose che li
circondano e l’incapacità di agire sulla realtà, diventando spesso dei piccoli geni
armati di tastiere e mouse, senza la pur minima capacità di capire cosa succede
intorno a loro, dentro loro e tra di loro. Perciò si dovrà stare accanto ai figli, da
quando sono piccoli, al fine di insegnare loro con pazienza a fare le cose e
soprattutto a sviluppare sia il gusto di farle che il senso di responsabilità e il
sacrificio, ingredienti indispensabili per affrontare la vita adulta senza correre il
rischio di diventare invisibili o con mille problematiche. La scuola ha il compito di
implementare l’autonomia o di favorirla qualora fosse scarsa, creando spazi e tempi
qualificati di riflessione comune con i genitori degli alunni. Vanno cioè introdotti
momenti istituzionali dedicati alla collaborazione, in un’ottica di continuità, evitando
contrasti e schieramenti per lo più sempre sterili.
Tra famiglie e docenti si possono infatti sviluppare pregiudizi contrapposti: da una
parte molti genitori ritengono che i loro figli non siano sufficientemente capiti e
tutelati dagli insegnanti; dall’altra i docenti reputano completamente inadeguati i
genitori dei propri alunni. Lungi da rappresentare una risorsa e importanti alleati in
ambito educativo, i genitori rappresentano per molti insegnanti una vera e propria
difficoltà. Esistono due tipologie problematiche di genitori: i disimpegnati e
permessivi, tendenti sempre a colludere, difendere e giustificare i figli, fino a negare
o banalizzare anche il più evidente segno di difficoltà e inadeguatezza; gli
invischianti e simbiotici, sempre pronti a sovrapporsi ai figli, a pressare gli
insegnanti, a manipolare, a chiedere interventi magici e risolutivi, sperando che però
non cambi nulla. I primi si vedono raramente a scuola e la collaborazione è spesso
difficile se non impossibile. I secondi vi si recano sovente, mettendo a dura prova gli
insegnanti, i quali fanno appello a tutta la loro pazienza per far rispettare i confini e i
ruoli, placare le ansie e tentare di far capire che per educare i figli è necessaria una
collaborazione lucida, efficace e costruttiva.
Quando gli insegnanti si trovano davanti alle prese con alunni problematici
(aggressività, bullismo, tendenza alla chiusura, difficoltà di attenzione, etc,), di
norma dovrebbero contattare i genitori per informarli della situazione, per
raccogliere informazioni su eventuali particolari condizioni dell’alunno e per
collaborare assieme su un piano comune d’intervento, per mettere in atto
atteggiamenti pedagogici adeguati e non in conflitto tra loro. Questo, almeno, in
teoria. Spesso la risposta è molto vaga, superficiale, disarmante e a volte piena di
risentimento. Verrebbe voglia di lasciare perdere, benché sia comprensibile, non è
l’atteggiamento più costruttivo. Lo si può pensare, lo si può dire tra colleghi, ma non
ci si dovrebbe mai arrendere: normalmente tali atteggiamenti dei genitori sono la
causa del disagio dell’alunno. Bisogna, con fermezza e continuità spiegare
l’importanza di una collaborazione per garantire lo sviluppo adeguato del ragazzo e
occorre anche rassicurarli che la collaborazione non implica giudizio, vergogna o
etichetta mento, bensì il contrario: solamente collaborando l’alunno non si sentirà
giudicato, diverso o escluso, ma avrà la percezione che gli adulti si stanno
interessando a lui e ai suoi vissuti di discontinuità.
Occorre che la scuola diventi un palcoscenico sul quale tutti gli attori riescono
serenamente a confrontarsi per affrontare efficacemente il complesso tema
dell’educazione.
Che il mestiere di genitore sia complesso e difficile si sa da sempre. Che invece
l’insegnamento sia un lavoro faticoso lo riescono a comprendere ancora in pochi.
Insegnare non è soltanto un’operazione di accrescimento informativo: alunni e
bambini portano con sé la loro storia personale, caratterizzata da curiosità,
desiderio e gioia, così come da paure, difficoltà e disadattamento variamente
espresso. Il salto concettuale da una scuola “insegnante” a una scuola “educativa”
non è così immediato:pone ulteriori me inevitabili fatiche. Lo spazio classe non è
una scatola nera dove i bambini entrano, apprendono ed escono educati.
L’esperienza di discontinuità vissuta dagli alunni all’entrata della scuola è data dalla
difficoltà di riadattare le consuete e consolidate modalità di relazione vissute per lo
più all’interno del nucleo familiare, a nuove condizioni ambientali in genere
complesse e mutevoli proprie del mondo della scuola. Il passaggio dalla famiglia alla
classe è sempre delicato anche per quei bambini e ragazzi solitamente tranquilli e
solidi. Questo passaggio è mediato dall’insegnante.
Se lo sviluppo della personalità, partendo da una base ereditaria istintuale piuttosto
ridotta, consiste in una sorta di fasi successive di montaggio, sulle quali l’ambiente
(scuola e famiglia) inserisce una grande quantità di informazioni cognitive, emotive e
affettive, l’insegnante dovrà tenere conto di tutti gli elementi interagenti:
 La fase di sviluppo di ogni soggetto, i livelli di partenza, la capacità di
apprendimento e le potenzialità;
 La situazione emotiva ed affettiva;
 Le eventuali difficoltà di relazione
 La struttura della famiglia e le sue caratteristiche;
 L’ambiente di provenienza;
 Il sistema scolastico nel suo insieme.
Non bisogna poi mai dimenticare di mantenersi sempre AUTOREVOLI, senza
mostrarsi lassisti, a costo di scontrarsi con le famiglie. Un’educazione efficace è
proporzionale alla possibilità di dilatare il contesto proprio dell’alunno:nella misura
in cui il docente ha l’opportunità e la capacità di operare su più contesti (il bambino,
la famiglia, le istituzioni, il territorio), la sua attività educativa produrrà soggetti più
sani.
Quali competenze allora?
Almeno dieci:
1. Conoscere la materia che si insegna: (sembra una cosa scontata, ma non
sempre lo è);
2. Sapere ascoltare gli alunni;
3. Cogliere in tempo i segnali del loro disagio;
4. Sapere sempre cosa si deve fare quando si evidenzia un problema o esplode
una crisi;
5. Cogliere i fenomeni emergenti del mondo giovanile (le mode, i modi, i
linguaggi);
6. Avere una certa conoscenza della psicologia dello sviluppo, aggiornandosi
spesso sugli ultimi studi;
7. Prospettare strategie e interventi adeguati per affrontare i problemi (ci sono
molte “buone pratiche” da adattare alle differenti esigenze);
8. Sperimentare procedure e protocolli d’intervento;
9. Verificare sempre quanto si sta facendo;
10. Avere passione, autorevolezza e la capacità di affascinare.
Si tratta di competenze poco tecniche e molto attitudinali da affinare e collaudare
attraverso confronti, collaborazioni e formazione di un certo livello: una formazione
intesa come sperimentazione di progetti educativi condivisi, interessanti e innovativi
finalizzati alla crescita dell’intera comunità scolastica.
Tutto ciò assieme al potenziamento delle abilità personali è attualmente
considerato tra tutte la strada migliore per promuovere il benessere e implementare
fattori protettivi. Tra le abilità da sviluppare l’OMS nel 2001 ne ha individuate alcune
particolarmente importanti:
- Il riconoscimento, la discriminazione e la condivisione delle emozioni degli
altri (empatia);
- La gestione delle proprie emozioni (autoregolazione);
- La modulazione dello stress per raggiungere obiettivi concreti (autoefficacia);
- Il senso di controllo personale (autostima);
Queste quattro competenze costituiscono le basi necessarie per uno sviluppo sano,
equilibrato e foriero di autonomia.
Basi teoriche, applicazioni pratiche, procedure e strategie d’intervento.
Insegnare le emozioni a scuola è dunque un modello d’intervento educativo e di
prevenzione precoce con queste caratteristiche:
-
Non è un surplus di lavoro per i docenti
Non intralcia le attività didattiche
È di facile applicazione
Ha un costo economico tendente a zero
Può essere utilizzato in tutte le classi
Affronta molte esigenze pedagogiche e situazioni di criticità
- È efficace poiché sperimentato su vasti campioni.
Si tratta di allenare con continuità, utilizzando alcune tecniche in base all’età
degli alunni, alla più adeguata decodifica delle proprie emozioni e degli stati
d’animo altrui, in modo da attivare quei canali comunicativi profondi e quella
sensibilità interna che concorrono insieme alla costruzione dell’empatia.
Le tecniche e le strategie, “costringono” alunni e docenti a sostenere scambi
comunicativi verticali, che spesso sono disturbati da altri rumori di fondo. Ciò
favorisce un clima più collaborativo con ricadute positive sui comportamenti, sul
profitto e sullo stesso svolgimento delle attività. Sono gli stessi docenti che
mettono in atto questo percorso di “alfabetizzazione emotiva”.
ALCUNE TECNICHE DA UTILIZZARE:
La tecnica che si è rivelata più efficace e anche la più apprezzata è l’appello delle
emozioni. E’ una strategia molto semplice indicata in soggetti tra i 6 e i 16 anni.
Consiste nel fare l’appello ma invece che rispondere con la parola “presente” si
risponde con un valore da 0 a 10, cioè il valore dell’umore personale in quel
momento. Valori bassi indicheranno uno stato d’animo negativo e pesante
(tristezza, molta rabbia, paura, ecc.); valori gradualmente più alti esprimeranno
benessere. Dopo un breve periodo di rodaggio (sono sufficienti pochi giorni),
l’insegnante che normalmente conduce l’appello dovrà strutturare l’attività,
registrando su di un apposito foglio i valori riferiti giorno per giorno, in modo da
visualizzare e monitorare in un arco di tempo predefinito l’andamento delle
emozioni e dell’umore di ciascun allievo. L’arco di tempo ottimale per la verifica
collettiva dell’andamento dell’esperienza non debba essere superiore a un mese,
né inferiore a venti giorni. A ciascuna scadenza (ogni 20-30 giorni, quindi) viene
fatto il punto della situazione: l’insegnante sollecita ciascun alunno a riflettere
sulle proprie valutazioni, sulla loro origine emotiva, aiutando a identificare con i
giusti termini linguistici lo stato d’animo prevalente. Durante questa verifica il
docente deve astenersi da condotte investigative o moraleggianti e dal chiedere
spiegazioni dirette, preoccupandosi soltanto di capire se le emozioni espresse
dagli allievi in quell’arco di tempo siano relative a problematiche interne o
esterne alla scuola. La funzione dell’appello emotivo ha come scopo, infatti, oltre
che di aumentare negli alunni le competenze nella gestione delle emozioni e
relazioni, di agevolare l’insegnante a sintonizzarsi con i bisogni, le aspettative e le
richieste più profonde e nascoste dei ragazzi, verificandone l’evoluzione nel corso
del tempo.
La procedura da adottare per la verifica periodica è la seguente:
1. Individuare le valutazioni basse di ciascun soggetto (punteggi da 1 a 5)
2. Chiedere all’alunno se ricorda il motivo dell’autovalutazione, in modo da
consentirgli di poter fare mente locale sulla sua situazione;
3. Individuare l’andamento delle emozioni nel periodo considerato
(andamenti regolari, positivi, negativi, ondulatori, ciclici, ecc.)
4. Invitare a riflettere sulla base delle rivelazioni effettuate e delle
osservazioni;
5. Invitare a specificare la natura, esterna o interna alla scuola, dei disagi, dei
problemi, ma anche degli agi e del benessere individuati con l’appello;
6. Sollecitare a dare un nome agli stati d’animo prevalenti.
Che durante l’appello gli alunni si attribuiscano veritieri o meno è irrilevante:
l’appello delle emozioni costituisce un vero e proprio allenamento all’introspezione,
alla comunicazione con se stessi e con gli altri al di là dell’autenticità dei valori auto
assegnati.
Domande e dubbi.
1. se si vanno a provocare così tante emozioni, chi sarà poi in grado di gestire i
relativi problemi?
Nessuna paura. In qualunque ambito educativo, ogni relazione basata sull’
evitamento delle emozioni e stati d’animo è destinata a essere parziale,
fuorviante e a produrre disagio, normalmente sotto forma di chiusura o
controreazioni aggressive.
2. Cosa faccio se qualcuno si rifiuta di svolgere questi tipi di attività?
E’ necessaria una maggiore rassicurazione, evitando pressioni o minacce
disciplinari. Se l’atmosfera è distesa diventa tutto più facile e si riesce a
trascinare anche i soggetti più inibiti.
3. Alcune attività sono già svolte in classe
Quello sopra proposto non è un’attività speciale, ma sicuramente si può
integrare al meglio con le diverse attività.
La comunicazione a scuola
La classe si configura come un gruppo particolare che non è né assimilabile né
ai gruppi spontanei, finalizzati allo stabilizzarsi di rapporti di vicinanza e di
attrazione, né a gruppi che si caratterizzano per relazioni di intimità e di
amicizia. In classe dovrebbe realizzarsi una reciproca passione comunicativa,
una solidarietà dinamica tra insegnanti e alunni, e degli alunni tra loro. A
questo riguardo bisogna sottolineare l’importanza del clima relazionale e dello
stile dei rapporti. Nel corso dell’età evolutiva sono necessarie relazioni
personali con educatori significativi e le stesse conoscenze hanno maggiore
incidenza nella formazione dello studente se poste in un contesto di
coinvolgimento personale, di autentica reciprocità, di coerenza negli
atteggiamenti, di stili e di comportamenti quotidiani.
Nelle situazioni educative la priorità non viene data al contenuto della
comunicazione, ma al rapporto interpersonale che si instaura.
La convivenza quotidiana offre molte opportunità di avere una breve
conversazione in corridoio, alla fine di una momento di lezione, nelle pause
(che devono essere sempre predisposte alla fine di ogni ora di lezione, anche
con lo stesso insegnante). Questi contatti sporadici e brevi, quando sono di
appoggio al colloquio formale, hanno un grande valore per stimolare e
incoraggiare l’alunno, per risolvere un problema occasionale, per
congratularsi con chi ha raggiunto l’obiettivo che perseguiva, insomma per
dimostrare ad ogni alunno che all’insegnante interessa il “suo mondo”. Tutto
ciò senza dimenticarsi di essere autorevoli, l’autorevolezza in termini di
costanza di fermezza con un dialogo aperto alle emozioni sono i pilastri
fondamentali di una relazione educativa.