OLTRE Il giornale dello spazio privato del SE' Quadrimestrale di psicologia, psicoterapia, psicoanalisi, ipnosi, sessuologia, neuropsicologia. Num. 14 - Settem. / Dicem. 2009 - Registrazione al Tribunale Ordinario di Torino n. 5856 del 06/04/2005 - Dirett. responsabile: Dott. Ugo Langella - Psicologo, Psicoterapeuta Iscritto all'Ordine degli Psicologi ed all'Albo degli Psicoterapeuti, Posizione 01/246 al 17/07/1989 - Str. S. Maria 13 - 10098 RIVOLI (To) - Tel. 0119586167 - [email protected] http://www.oltrepsy.it/ - Esente da pubblicità - Stampa in proprio - Pubblicazione gratuita. ________________________________________________________________________________ SOMMARIO (Il numero indica la pagina) 1 2 3 3 5 10 12 12 Cause di incompatibilità fra genitori e neonato L’IO e l’ideale dell’IO Il piacere del vittimismo La dipendenza dagli psicofarmaci Note sulla pillola anticoncezionale “ Ma, te ne vai già?” Il supplemento di OLTRE 14 Il curriculum di Ugo Langella CAUSE DI INCOMPATIBILITA’ FRA GENITORI E NEONATO Scrive T. B. Brazelton: “Nella prima metà del XX secolo le ricerche sullo sviluppo furono soprattutto centrate sugli effetti dell’ambiente nel plasmare il bambino. Nella seconda metà del XX secolo si nota la tendenza opposta: molti ricercatori pensano che la personalità del bambino possa esercitare da subito una forte influenza nel determinare l’esito delle sue relazioni con coloro che si occupano di lui, principalmente la madre.” “La teoria dell’attaccamento [alla madre] di J. Bowlby studia il legame madre-bambino, e dall’andamento positivo o negativo di questo, prevede la natura dei legami affettivi dell’individuo adulto. Se questa tesi è valida, e cioè che le reazioni che il neonato produce nei genitori nelle prime settimane di vita possono esercitare una forte influenza nel determinare le loro risposte verso di lui, e quindi successivamente le sue verso di loro in una spirale crescente di possibile reciproca tolleranza o intolleranza con prevedibili conseguenze sulla sua evoluzione futura, per poter effettuare una qualche previsione occorre fare alcune fondamentali considerazioni.” “Non si può considerare il comportamento del neonato totalmente determinato geneticamente. Anche i fatti che hanno agito nella vita intrauterina sono importanti ed hanno già influito sulle reazioni fisiologiche e comportamentali del bambino alla nascita. La nutrizione, le infezioni, gli ormoni ed i farmaci che hanno agito durante la vita intrauterina, per nominarne solo alcuni, hanno influenzato il feto per nove lunghi mesi, ed è sempre più evidente che il bambino è già notevolmente plasmato prima della nascita.” Come dire, che è del tutto scorretto se non assurdo, attribuire solo a lui le colpe di comportamenti incompatibili con le attese dei genitori ma anche, se vogliamo, attribuirne le 1 cause solo alla madre. Ancora Brazelton: “Il comportamento alla nascita è fenotipico [cioè dato dall’insieme dei caratteri fisici risultanti dal patrimonio genetico e dai fattori ambientali] e non genotipico [cioè risultante esclusivamente dai caratteri genetici dei genitori]”. [Zanichelli 1999] “Tuttavia si può ”prevedere il risultato dei primi rapporti madre-neonato, correlando il comportamento del neonato con quello che la madre si aspetta che abbia basandosi sulla sua eventuale esperienza di madre e sulla osservazione di bambini appartenenti alla sua propria cultura, [e non solo su alcuni a lei più vicini o per sentito dire dalle amiche o dalle colleghe.] Occorre valutare l’influenza della madre e del bambino nel loro rapporto reciproco, e per far questo dobbiamo poter documentare le differenze nel comportamento individuale di neonati diversi.” “A questo proposito - continua Brazelton - abbiamo sviluppato una: scala psicologica dello sviluppo comportamentale del neonato umano. Essa tiene conto dello sviluppo delle capacità del bambino secondo parametri che noi pensiamo siano importanti per la sua emergente capacità di socializzazione in via di sviluppo. Sebbene i punteggi Apgar (*) abbiano dimostrato di avere un discreto valore nel prevedere il futuro assetto neurologico del bambino, ci deve essere una valutazione clinica che può riflettere il suo futuro sviluppo per quanto riguarda un campo più ampio di risposte. Mentre viene usata la scala di valutazione comportamentale, inoltre, noi speriamo di riuscire a capire le modalità di risposta di coloro che si occupano del bambino nei confronti della sua presenza ed attività, e di poter perciò prevedere il tipo di rapporto che il bambino probabilmente instaurerà con il suo ambiente.” (*) Note - Indice di APGAR - Tecnica di valutazione neurologica del neonato, usata nei reparti di ostetricia degli ospedali italiani. Bibliografia essenziale T. Berry Brazelton – Scala per la valutazione del comportamento del neonato Ambrosiana J. Bowlby - Attaccamento e perdita - Vol. 1 - L’attaccamento alla madre - Boringhieri S. Isaacs, A. Freud, D.W.Winnicott, E. Bick, M. Boston, W.E. Freud, A.H. Brafman L’osservazione diretta del bambino - a cura di Vincenzo Bonaminio e Bianca Iaccarino – Boringhieri. L’IO E L’IDEALE DELL’IO Il nostro IO si sviluppa con un certo suo progetto di autorealizzazione che via via prende corpo man mano che cresciamo, e che una certa corrente della psicoanalisi definisce: “l’Ideale dell’IO”. Ognuno di noi, quindi, nel corso della vita tende alla realizzazione del suo Ideale dell’IO. Riuscirci davvero, però, dipende da una serie di variabili non sempre e non tutte da noi controllabili, quali il sesso, l’ambiente, le origini, le risorse mentali e finanziarie, e così via. La frustrazione del nostro Ideale dell’IO o la sua incompleta realizzazione, sono assai probabilmente la causa del maggior numero di sindromi depressive. Tale frustrazione o tale non realizzazione dell’Ideale dell’Io vengono addebitate sotto forma di odio ad altri non sempre effettivamente responsabili: genitori per primi, seguiti dalle risorse offerte dal luogo fisico in cui siamo cresciuti, dalle caratteristiche della mentalità corrente, ed infine dal coniuge, dai figli e dalla necessità di accudirli. L’odio che scaturisce dalla frustrazione dell’Ideale dell’IO, riversandosi sui presunti responsabili di essa, persone e/o cose, essendo 2 poi alla fin fine odio verso noi stessi in quanto a suo tempo incapaci di uscire da questo schema, si trasforma in persecuzione, per cui crea un cuscinetto che divide e allontana dai presunti responsabili in modo sottile ma concreto, rendendo difficile il riconoscimento e lo scambio degli affetti ed alimentando i sensi di colpa che un’analisi superficiale non consente di capire da dove provengano, che però accentuano ancora di più la frustrazione e la depressione. Raggiunta una certa età, tramontate tutte le speranze, frustrazione, depressione, paranoia possono spingere l’individuo al suicidio o lo fanno precipitare nella malattia organica e quindi nella morte, o nella morte dell’IO costituita dall’assunzione a vita di alcool o antidepressivi. Se si avesse avuto il coraggio di staccarsi dai propri genitori (non solo come persone ma anche come ambiente rassicurante), di crescere, di lottare, di rischiare, forse si sarebbe riusciti a realizzare se non del tutto almeno in parte le aspirazioni contenute nell’Ideale dell’IO, e l’epilogo della vita avrebbe potuto essere diverso. Tanto si muore ugualmente, ma l’impatto della bara di chi in vita è riuscito ad avvicinarsi alla realizzazione del suo Ideale dell’IO è molto diverso da quello della bara di chi è stato ucciso dalla sua mancanza di coraggio. Una morte dignitosa è l’ultima prova d’amore che le persone che ci hanno amato si aspettano da noi, e questa incomincia da lontano. Bibliografia essenziale Mauro Mancia (a cura di) - Super-Io e Ideale dell’IO - Il Formichiere 1979 IL PIACERE DEL VITTIMISMO Il piacere del vittimismo nasce dallo struggimento d’amore che comporta il flettere su di sé, all’insaputa della persona amata, la distruttività suscitata dalla sua incomprensione, allo scopo di proteggerla dalle fantasie omicide. Quasi sempre, originariamente quella persona amata è la madre. LA DIPENDENZA DAGLI PSICOFARMACI Non sono pochi gli individui che iniziano la giornata con mezzo bicchiere di vino bianco o altri alcolici. Pare che non siano pochi nemmeno quelli che, prima di un incontro importante o una prestazione di lavoro, si fanno una sniffata di cocaina. Ma sono molti, molti di più quelli che iniziano la giornata assumendo psicofarmaci o farmaci come psicofarmaci. Se tutte queste persone ricorrono a questi sostegni per affrontare la giornata, cioè la vita, significa che per un motivo o per un altro ne hanno bisogno. Preoccupa però, che con l’andar del tempo molti di loro non potranno più farne a meno, e diventeranno dipendenti a vita dalla loro droga, qualunque essa sia. La cosa in sé può apparire indifferente: ognuno di noi ha la sua, anche chi ha bisogno di stare continuamente davanti al computer o alla televisione, immerso nello studio o nell’osservazione del microscopio allo scopo di isolarsi in tal modo dal resto del mondo, o la casalinga che dal mattino alla sera è sempre lì che pulisce. Certamente alcool, cocaina, farmaci e psicofarmaci sono meno innocui, ma non è necessariamente detto che l’innocuità sia l’unico parametro valido di riferimento; dipende dalle circostanze. Cosa fa soffrire, invece, è che molte persone alterino intenzionalmente la loro psiche attraverso farmaci e psicofarmaci, poiché è di questi che ci stiamo principalmente occupando, stravolgendo in tal modo la loro identità e, se qualcuno non li 3 farà smettere, lo dovranno fare per sempre in quanto ormai farmaco-dipendenti. So già cosa potrebbero rispondere alcuni lettori: “Questo discorso può andar bene per gli psicofarmaci, ma antiipertensivi e cardiotonici non lo sono mica!” Vero e falso. Premesso che occorrerebbe capire chi li ha prescritti, cioè il medico generico o lo specialista, per quale patologia, da quanto tempo e per quanto tempo, chi li assume non si rende conto che poco alla volta non è più lui, come chi prende psicofarmaci. Certamente non ha più le angosce di prima, poiché spesso sono proprio queste, somatizzate sul corpo, che lo spingono dal medico e dal cardiologo, ma nemmeno emozioni positive autentiche, e poco alla volta anche la sua identità si indebolisce. Certo l’ipertensione prolungata nel tempo è pericolosa per la tenuta dei vasi sanguigni, ma il farmaco che l’attenua altera non meno il carattere di una persona. L’antiipertensivo, il cardiotonico, l’antidepressivo possono essere indispensabili negli attacchi acuti e meno male che ci sono, ma poi occorrerebbe riflettere sulle cause. Quasi tutti i farmaci e gli psicofarmaci sono antisintomatici; solo gli antibatterici, fra i quali gli antibiotici, non lo sono. Ma spesso anche loro non bastano se non viene rimossa per via chirurgica la causa dell’infezione. Come quindi in tali casi si dà per scontato il ricorso al chirurgo, stupisce che negli altri non si dia per scontato il ricorso allo psicologo. L’ovvietà di quanto sopra è ormai stucchevole. Per affrontare un trattamento psicoanalitico o psicoterapeutico occorre sospendere qualsiasi tipo di psicofarmaco diretto o indiretto, nel senso che anche un antisintomatico indirettamente è uno psicofarmaco e non tanto poiché davvero lo sia, ma poiché dall’interessato viene preso come tale nei momenti di angoscia, anche se non c’entra niente. Cosa nota anch’essa. La novità è che i soggetti che da anni assumono quotidianamente psicofarmaci, non sopportano più di farne a meno poiché il loro livello di angoscia diverrebbe insostenibile. Se fu proprio l’angoscia a portarli da un neurologo o da uno psichiatra, e l’angoscia somatizzata dal medico generico, e di conseguenza vennero loro prescritti psicofarmaci o farmaci, ad esempio antinfiammatori, sospendendoli l’angoscia si presenterebbe in quantità ancora maggiore, non perché sia aumentata rispetto a prima, ma semplicemente poiché proprio grazie agli psicofarmaci ed ai farmaci si erano abituati ad averne meno di quanto possano averne le persone cosiddette normali. Anzi: non ne hanno proprio! Siamo sotto lo zero. Sono emozionalmente congelati, ed è per quello che credono di stare bene! L’idea di risperimentare quelle angosce alle quali non sono più abituati, che possono anche essere quelle della quotidianità dalle quali dovrebbe scaturire il desiderio di crescere, di cambiare, di innovare la propria esistenza, di fare nuove esperienze, di vivere insomma, è per loro terrificante, per cui non hanno alcuna intenzione di rinunciare ai loro sostegni farmacologici, precludendosi la strada di ogni trattamento psicologico e autocondannandosi al farmaco. La novità più recente è che numerosi di questi individui sono giovani, che avrebbero intenzione di formarsi una famiglia ed avere figli. Ci si chiede quanto sia un bene per un figlio avere un genitore zombi. Se pensiamo che la tendenza a somministrare psicofarmaci anche ai bambini sta cercando di imporsi, non si può non essere seriamente preoccupati circa quello che sarà l’avvenire delle giovani generazioni. Da un lato, quindi, abbiamo la sempre minore tolleranza dell’angoscia da parte degli individui, ma dall’altro la risposta di chi, medico, neurologo, psichiatra, somministrando farmaci e psicofarmaci con una facilità sconcertante rafforza nel paziente l’idea che l’angoscia sia una questione esclusivamente patologica come la febbre. Il fatto è che sopprimendo la capacità di provare angoscia, si sopprimono o si attenuano anche i piaceri, i desideri (compresi quelli sessuali), la creatività, le emozioni e gli affetti e, come si diceva prima, ci si trasforma in piccoli o grandi zombi lontani dalla realtà quotidiana. 4 NOTE SULLA PILLOLA ANTICONCEZIONALE “A te che sai…” Su OLTRE numero 9, in: “Appunti sulla contraccezione” l’argomento prevenzione delle nascite era stato sviluppato a tutti i livelli. Si invita il lettore che non lo avesse letto e che desiderasse farlo, a scaricarlo direttamente dal sito: http://www.oltrepsy.it/ Premesso che in quel lavoro avevo dato molto risalto alle istruzioni per affrontare l’eventuale emergenza, cioè un’imprevista occasione di fare sesso senza un’adeguata protezione, situazione responsabile più spesso di altre di gravidanze indesiderate, aborti, maternità subite, il che equivale a dire che se proprio lo si vuole la percentuale di rischio può essere notevolmente ridotta, se ho inteso riprendere l’argomento il motivo va ben più in profondità e in direzione diversa da tutti questi pure fondamentali aspetti. Motivi di praticità ed efficacia hanno favorito l’ampia diffusione della “pillola” come metodo anticoncezionale. Teoricamente parlando si tratta di un grande successo della scienza. Praticamente, invece, come psicologo ritengo che non sia così. A parte il fatto che spesso viene prescritta dopo una sommaria raccolta verbale di informazioni da una paziente che teme le venga negata, il che è tutto dire, anziché imporle per il suo bene adeguati esami di laboratorio per escludere potenziali fattori di rischio, non vengono mai considerate le ricadute negative in termini psichici e più direttamente sessuali che ne sconsiglierebbero l’uso. Da parte delle femmina il criterio utilizzato nella scelta di questo metodo anticoncezionale sembra essere la libertà sessuale totale e incondizionata, senza che vengano prese in esame altre tecniche se non raramente ed in modo superficiale. Non che ve ne siano di così elevatamente sicure, si sa, ma si penserebbe che almeno le donne intelligenti ed istruite dovrebbero, di loro iniziativa, perlomeno approfondirne davvero la conoscenza anziché scartarle a priori per una semplice questione di comodità, finendo così per pagare un prezzo elevato costituito dall’attacco alla loro stessa femminilità, da un’intrinseca diminuzione delle loro potenzialità seduttive ed orgasmiche e delle ricadute positive di esse, ma non solo. E’ vero che nel corso del tempo la formula originale sperimentata dallo scopritore G. Pincus è stata notevolmente modificata apportando una forte riduzione di estrogeni (che in dosi maggiori sembrano essere il principale fattore responsabile dei fenomeni tromboflebitici o tromboenbolici) e progestinici, nonché una variazione del loro rapporto, al fine di attenuare il più possibile gli effetti collaterali, ma c’è un limite al di sotto del quale se si vuole che la pillola raggiunga lo scopo non si può andare. In ogni caso mi sembra aberrante la trasformazione della donna in un laboratorio chimico, tanto più su di una funzione così importante per lei stessa e per l’umanità (nel caso intendesse avere figli più tardi) come quella riproduttiva. E’ noto che la pillola viene spesso prescritta nel trattamento dei disturbi del ciclo e cutanei (acne) delle adolescenti. Se funziona ciò avviene poiché da un lato attenua il bombardamento degli ormoni femminili, e con esso il conflitto con il quale viene accolto sia a causa di una sostanziale immaturità del soggetto che molto spesso per un vero e proprio rifiuto dell’identità femminile, favorendo una mestruazione meno traumatica che introduce alla femminilità in modo più graduale di come farebbe la natura. Dall’altro, e nello stesso tempo, la pillola funziona come una sorta di legalizzazione sociale circa l’uso della sessualità, e garantendo la non fecondabilità favorisce una precoce iniziazione sessuale un 5 tempo allontanata dallo spettro punitivo della maternità, a tutto vantaggio della componente femminile del conflitto, quella più restia ad evolversi, favorendo nella maggior parte dei casi il suo imporsi. Per questa casistica di pazienti appare quindi in tutta la sua evidenza l’influsso indiretto della pillola, come ben sanno i ginecologi. Funziona, e ciò basta a non farsi troppe domande. Sul dizionario enciclopedico di medicina e biologia Zanichelli, alla voce: “ormone sessuale” leggiamo: “Qualsiasi ormone di natura steroidea (1) prodotto dalle gonadi e dalla corteccia surrenale e, durante la gravidanza, dalla placenta, deputato a regolare lo sviluppo ed il mantenimento dei caratteri sessuali maschili o femminili e il decorso della gravidanza. Nel sesso maschile gli ormoni sessuali vengono indicati come ormoni androgeni; nel sesso femminile comprendono gli ormoni estrogeni, detti anche ormoni follicolari, e gli ormoni progestinici.” Alla voce “pillola anticoncezionale, birth control pill; oral contraceptive”, leggiamo: “Pillola contenente uno di una serie di anticoncezionali orali comprendenti estrogeni e progesterone di sintesi o solo progesterone.” La “Grande Enciclopedia Universale Rizzoli Larousse” alla voce: pillola riporta: “Preparazione ormonale da assumere per via orale allo scopo di prevenire il concepimento. In particolare, nella donna, pillola che impedisce l'ovulazione, e quindi previene la gravidanza.” “Il meccanismo antifecondativo degli estroprogestinici non è stato ancora chiarito in tutto i suoi aspetti, ma si può dire che il fenomeno principale sia di regola il blocco dell’ovulazione indotto dall’azione degli estroprogestinici sull’ipotalamo e sull’ipofisi, che riduce o sopprime la secrezione delle gonadotropine FSH ed LH stimolanti il ciclo ovulatorio.” Il fatto è che: “lo FSH, follicle-stimulating hormone, ormone follicolo-stimolante, appartenente al gruppo delle gonadotropine, secreto delle cellule basofile (b) della adenoipofisi, regola la crescita e la maturazione dei follicoli ovarici e la produzione di estrogeni. L'ormone esplica la massima attività sulle gonadi femminili in presenza dell'ormone luteinizzante. I suoi livelli ematici si modificano durante il ciclo mestruale della donna. La sua secrezione da parte dell'ipofisi è sotto il controllo del fattore di liberazione delle gonadotropine. Sinonimo: gonadotropina A.” (Zanichelli) “Lo LH, invece, luteinizing hormone; interstitial cell-stimulating hormone; gonadotropin B, ormone luteinizzante, prodotto dalle cellule g dell'adenoipofisi, appartenente al gruppo delle gonadotropine, è deputato al controllo della produzione degli ormoni delle gonadi: nell'ovaio stimola l'ovulazione, la trasformazione del follicolo maturo in corpo luteo e la produzione di progesterone. La sua secrezione è sotto il controllo del fattore di liberazione delle gonadotropine.” (Zanichelli) Visto quindi che è in gioco l’ipofisi, essendo l’adenoipofisi il suo lobo anteriore, di cui la parte tuberale e soprattutto quella distale elaborano vari ormoni di natura polipeptidica: GH, ACTH, LTH, LH, FSH, TSH, non stupisce che la pillola anticoncezionale nel sopprimere l’ovulazione con annessi e connessi, attenui l’odore di femmina degli organi genitali e di tutto il corpo, (quello sfruttato dai produttori di profumi come appoggio per creare essenze particolarmente seduttive), l’intensità del desiderio sessuale e del piacere orgasmico, effettuando di conseguenza a livello psichico un’azione inibente sulla femminilità. Come se dal punto di vista ormonale (soltanto?) la donna venisse riportata e fissata all’inizio dell’adolescenza. Il prezzo che la femmina umana paga per evitare la gravidanza per questa via è elevato, ed a parer mio troppo. La certezza di non rimanere incinta ripaga il costo 6 rappresentato dall’interferenza su tutto questo? O meglio: si potrebbe, con un po’ d’impegno, una maggior attenzione e qualche rinuncia, raggiungere lo stesso risultato per un’altra via meno invasiva? Occorre però fare una precisazione. La donna adulta con una forte identificazione femminile goduta liberamente per anni con pieno appagamento, se inizia a prendere la pillola ad una certa età, diciamo intorno ai quarant’anni, per via dell’effetto “memoria dell’estro” non pare risentire degli effetti negativi sopra descritti o non così intensamente. Ma ho il dubbio esclusivamente personale e soggettivo frutto della mia pluridecennale esperienza, che proprio la pillola possa esporre maggiormente questo tipo di soggetto al rischio di tumore al seno attraverso un meccanismo di tipo psicofisologico. In una donna ancora nel pieno della fertilità, la pillola estingue l’esuberanza seduttiva e riproduttiva, ancorché non intenda più servirsi di quest’ultima, introducendo brutalmente una frustrazione fisiologica una sostanziale menopausa anticipata, mestruazioni a parte - con ricadute di tipo depressivo che probabilmente incidono sul sistema immunitario. Una gelata in piena estate. Circa la possibile fissazione della donna all’inizio dell’adolescenza di cui la pillola sarebbe responsabile, ciò potrebbe avvenire: 1 se assunta troppo presto; 2 se assunta ininterrottamente o con pause troppo brevi per anni a partire da un’assunzione precoce, spesso giustificata da disturbi di natura mestruale come accennato; 3 se la donna che se ne serve non ha una solida identità femminile, e di conseguenza il desiderio sessuale e la capacità orgasmica sono già carenti per conto loro. Ho verificato in diverse situazioni come alla fin fine per quanto riguarda la propria identità il soggetto non si sente maschio poiché ovviamente non lo è, ma nemmeno femmina. Non una via di mezzo ma una sospensione di identità sessuale. Si fa sesso poiché c’è un organo che lo consente ed un maschio che lo chiede, ma ad esso non corrisponde un analogo atteggiamento psichico. E’ interessante osservare come, in questi casi, a due tre mesi dalla sospensione della pillola riappaiano spontaneamente, quali premesse del risveglio della femminilità, quelle piacevoli attenzioni per gli accessori dell’abbigliamento tipicamente femminili che con la sua protratta assunzione erano diminuite o vissute per abitudine. Va comunque detto che a non poche donne tutto ciò va ancora meglio. Infatti, se si studia da vicino la donna che preferisce assumere la pillola anticoncezionale, si può notare come spesso si tratti di femmine che mal sopportano la volubilità del ciclo ormonale quale espressione di una mal tollerata identità femminile. Sembra che lo stato emozionale che si determina in questi casi sia molto simile a quello onnipotente dell’adolescente che si sente padrone della vita, reso però freddo e quindi più determinato dalla consapevolezza dell’aver eliminato la dipendenza dall’eros (e quindi dal maschio), condizionante con le sue esigenze ed i suoi riti: un robot dotato di luccicanti seni metallici, come nei film di fantascienza, seni che però, nella loro perfezione, hanno perso ogni attrattiva. Premesso che anche nel maschio pur non essendo presente un ciclo vero e proprio come nella femmina, secondo alcuni ricercatori non vi sarebbe affatto Qualsiasi cosa tu faccia, un andamento piatto, in ogni caso il picco delle variazioni in primo luogo ricordati non sembra mai così elevato in positivo come nella donna che stai vivendo! durante il periodo ovulatorio, o così negativo come nella donna durante il periodo premestruale e mestruale. E’ l’invidia per la presunta stabilità psicologica del maschio, non soggetto all’esaltazione tipica della femminilità in tutti i suoi aspetti nel periodo ovulatorio ed al crollo del periodo premestruale e mestruale, che 7 spinge la donna alla ribellione per questa presunta ingiustizia della natura, facendole trovare nella pillola che tutto appiattisce la risposta ideale ad ogni esigenza. Considerate queste premesse, per non poche femmine che la pillola sia anche un anticoncezionale è un vantaggio secondario. Si potrebbe affermare che costituisca un antidoto ad una ipotetica bipolarità: periodo fecondo / periodo pre-mestruale e mestruale, equivalente alla sindrome bipolare: euforia / abulia-depressione un tempo chiamata maniacodepressiva. E’ ragionevole ipotizzare che ad essere maggiormente esposte a queste accentuazioni siano proprio le femmine con sindrome bipolare latente. Nei fatti, la pillola sembrerebbe assumere il significato di un inconfessato psicofarmaco stabilizzatore. Notiamo che, fra l’altro, alla diminuzione degli ormoni femminili a seguito della pillola, nei casi di maggiore attività sessuale si avrebbe un aumento in circolo di ormoni maschili! E’ abbastanza noto come Freud abbia in più occasioni parlato di invidia del pene da parte delle donne. Allora quest’affermazione poteva avere un senso poiché l’organo genitale femminile, del tutto nascosto sia dai peli che dall’eccessivo pudore, era davvero invisibile creando una inferiorità nella femmina solo mitigata dalla maternità. Oggi che invece le donne ricorrono molto presto alla depilazione completa della “prugnetta”, ostentandola agli occhi del maschio come lui esibisce il suo “pacco” ai loro, il problema dell’invidia del pene è di gran lunga attenuato, ma rimane tutta una serie di disagi ai quali la femmina è soggetta dal menarca alla menopausa, ancora oggi oggetto di invidia nei confronti del maschio. Infatti non si può ignorare che nello sport come in diverse altre situazioni, laddove il periodo mestruale con le sue ricadute negative venga a sovrapporsi a prestazioni che richiedano il massimo dell’efficienza, l’anticoncezionale orale non venga neppure sospeso, saltando le pillole da prendere nel periodo mestruale, se previste, per passare immediatamente ad un altro blister. Siamo al controllo onnipotente della psiche sulla fisiologia femminile. E’ credibile pensare che questo ulteriore stravolgimento di un meccanismo già alterato sia del tutto innocuo? Non bisogna davvero odiare la propria componente femminile per soffocarla in questo modo? E’ interessante notare, a conferma di quanto sopra descritto, come la donna che sospende la pillola dopo averla assunta per lungo tempo, senta la differenza solo nel periodo preovulatorio ed ovulatorio, mentre in quello successivo, almeno sino a quando non entra nel periodo premestruale e mestruale, si percepisca sostanzialmente piatta come quando assumeva la pillola quale che fosse il giorno del ciclo mensile: un effetto memoria della pillola. Bisognerebbe che la donna si convincesse che la pillola è un farmaco, e come tutti i farmaci, come ben sanno le persone dotate di buona capacità introspettiva, produce delle alterazioni nella percezione della realtà e della capacità emozionale, e quindi andrebbe usato solo quando il vantaggio è maggiore del disagio. Certo alla lunga ci si abitua e non ci si fa più caso, ma è dopo la sospensione che ci si accorge degli effetti, cioè di quello che si è perso, anche se occorrono giorni e giorni prima che il farmaco, e con esso la sua azione, vengano eliminati del tutto. Nel caso della pillola ci troviamo davanti al risveglio della componente femminile della personalità. Che dire, poi, se tale assunzione è avvenuta per anni senza interruzione? Il risveglio potrebbe anche apparire destabilizzante, almeno nel medio periodo. E’ odioso quando, all’interno di un rapporto che si pretende d’amore, il maschio insiste affinché la femmina assuma la pillola in continuità per non essere costretto innanzitutto a contenersi in certi periodi oppure ad usare il preservativo, anziché studiare con la compagna un metodo alternativo soddisfacente per la coppia vigilando, laddove riguardi la compagna, che venga correttamente impiegato. In ultimo, mi chiedo se in alcune donne già predisposte, ancorché non clinicamente a rischio, vi sia un rapporto fra la pillola e l’abulia visto il possibile effetto degli estrogeni sulla coagulazione del sangue, e forse per lo 8 stesso motivo, quella minore efficienza mentale che alcune lamentano. Per certo l’accoppiata estrogeni + sigaretta pare altamente rischiosa: una delle due va eliminata. Premesso che nonostante quanto sopra descritto non sia affatto facile convincere le donne che vi si appoggiano completamente ad abbandonare l’anticoncezionale orale, laddove ciò avvenga occorre porsi il problema di un’accettabile alternativa. In OLTRE n 9 ho passato in rassegna i metodi esistenti. A mio avviso, se si vuole ridurre al minimo l’uso del preservativo, scartando a priori il coito interrotto il quale tuttavia ha il suo fascino sulla coppia per motivi specifici (si veda OLTRE 9), il metodo più scientifico è quello della temperatura corporea, detto della temperatura basale, purché utilizzato con vera cognizione di causa. Va da sé che non attenuando il desiderio sessuale, come invece fa la pillola, anche il preservativo viene sopportato meglio in quanto preferibile all’astinenza completa. In ogni caso è assurdo usare sempre il preservativo anche nei giorni in cui se ne potrebbe fare tranquillamente a meno, per non dover fare lo sforzo di approfondire la fisiologia del ciclo ovulatorio. Che non lo faccia il maschio, per quanto deprecabile è ancora comprensibile, ma che ad essere così ignorante - nel senso di colui che intenzionalmente non vuole sapere - sia la donna, non è ammissibile. Eppure è così. Non posseggo dati statistici circa i paesi civilizzati, ma nel corso dei miei anni di lavoro posso affermare di aver trovato una elevata percentuale di donne con una conoscenza molto approssimativa non solo della fisiologia dell’apparato genitale femminile, ma anche dell’anatomia di tale apparato, unitamente ad una forte ritrosia ad esplorarsi, e non si trattava sempre di soggetti con problemi psichici! Ancora oggi molte donne, forse troppe, fanno solo lo “sciacquino”. Ma non è solo questione di igiene intima. E in gioco il non vedere ed il non toccare per non capire cosa c’è o cosa non c’è, che tuttora ancora persiste, o il non toccare per paura di godere o di provare desiderio, ambedue “proibiti” poiché “pericolosi”… Fuori apparentemente evolute, ma dentro, quante paure, quanti complessi e quante frustrazioni represse! Con questo non si vuol affermare che i maschi siano tutti puliti, anzi! Ma se non lo sono, generalmente è per altri motivi. Ai fini del nostro discorso, una delle conseguenze pratiche circa la mancanza di confidenza con sé stesse riguarda l’esclusione a priori di due tecniche anticoncezionali alternative altrove diffuse: il diaframma ed il pessario - si veda OLTRE 9 - il cui uso richiede una totale dimestichezza con il canale vaginale. Alcune donne si servono de metodo Billings, basato sull’esame del muco cervicale. Nel periodo fecondo esso dovrebbe raggiungere la massima fluidità, ma le cause che possono intorbidirlo sono così numerose da renderlo addirittura più aleatorio ed inaffidabile del metodo Ogino-Knaus pur mantenendo un elevato valore didattico come indice del periodo fecondo, ma anche in questo caso spesso inaffidabile per lo stesso motivo. L’Ogino-Knaus potrebbe costituire il presupposto teorico; il metodo della temperatura corporea: il supporto scientifico; l’esame del muco un’ulteriore conferma fisiologica. Ma allora le cose rischiano di diventare davvero complicate. Sono persino patetiche le accese discussioni fra lui e lei sulla diversa interpretazione dei valori dei tre parametri. Piuttosto di arrivare a quel livello, è più sbrigativo ricorrere al preservativo. Non va dimenticato che anch’esso si è evoluto, e che per una utilizzazione più adeguata alle proprie esigenze occorrerebbe studiare a fondo le offerte del mercato anziché affidarsi alla prima etichetta che capita. In ogni caso, la rilevazione della temperatura corporea consente di limitarne l’uso. “Ma senza la pillola non si può fare sesso senza il preservativo nel periodo fecondo!” E’ vero, ma se prendi la pillola non hai un periodo fecondo! Meglio godere di più con il preservativo che godere molto meno prendendo la pillola! “Ma allora, non devo mai più prendere la pillola?” Fai tu, ma se 9 proprio non ne puoi fare a meno, per motivi che è superfluo elencare i periodi più indicati potrebbero essere la primavera e l’estate. Peccato però che la primavera costituisca il periodo migliore per l’intensità del desiderio. D’estate si fa sesso più per sfrenatezza a causa del caldo da un lato e del rilassamento delle vacanze dall’altro, per cui la pillola disturba meno, sempre che non vi siano controindicazioni individuali. NOTA (1) Steroide: Qualsiasi composto appartenente ad una classe di sostanze caratterizzate dalla presenza nella molecola di un idrocarburo policilico, il ciclopentanoperidrofenantrene o sterano. Appartengono a questa classe numerosi composti di notevole importanza biologica, solubili nei solventi apolari, quali gli steroli, gli acidi biliari, il gruppo delle vitamine D, numerosi ormoni sessuali, gli ormoni della corteccia della surrene, alcuni agenti cancerogeni, la porzione attiva degli estratti digitalici, ecc. (Dizionario enciclopedico di medicina e biologia - Zanichelli) Bibliografia essenziale Derek Llewellyn-Jones - Fondamenti di ostetricia e ginecologia – Ed. Universo Diz. Encicl. di medicina e chirurgia - Zanichelli Enciclopedia universale Rizzoli-Larousse Nuovo dizionario di sessuologia - Longanesi “OLTRE” 9 - Appunti sulla contraccezione Sito internet: Pianeta Donna Siti internet delle case farmaceutiche Altri siti internet interessati all’argomento a vario titolo. “MA, TE NE VAI GIA’?” Quanto sto per raccontare è realmente accaduto, nel limite di come certi fatti possano accadere o, soprattutto, si desidera che accadano, ed in questo caso probabilmente sotto lo schiacciante peso dei sensi di colpa come espressione del desiderio di far tornare indietro il calendario per potersi comportare in modo diverso. Del resto, a chi non è mai successo un qualcosa del genere? Non mi era però mai accaduto di sentirmi raccontare una così chiara e realistica allucinazione uditiva, anche se la persona ha rifiutato con sdegno questa definizione. In effetti, aver sentito la voce della propria mamma dopo la morte, escluso l’uso di una registrazione, è comunque una grande fortuna anche se l’interessata non la vede così, e non stiamo a disquisire come ciò sia avvenuto! Natale era vicino. Erano ormai sette mesi che mamma giaceva lì sotto, nella nuda terra come aveva voluto e la neve, eccezionalmente molta, ricopriva la tomba. Aveva finito di sistemare i ciclamini nel vaso e mescolato i fiori freschi ai rametti di agrifoglio dalle rosse bacche, portati qualche giorno prima da suo fratello e sua moglie. Ripresa la borsa e sistemato il cappotto stava per andarsene, quando: “Ma, te ne vai già?” Nessun dubbio; era proprio la voce di mamma, inconfondibile nel suo caratteristico tono depresso di quando chiedeva qualcosa, come di chi alla fine si arrende, getta l’orgoglio e supplica. “Ma, te ne vai già?” Quante volte, quando la sera scendeva da sopra per salutarla e augurarle la buona notte, con la mano sulla maniglia della porta della cucina e in procinto di andarsene aveva sentito quel tono e quelle parole! “Ma, te ne vai già?” Tante volte non avrebbe voluto scendere perché era stanca e le pesava fare ancora una volta le scale. “Devo preparare delle cose per domani…”, era la sua solita risposta. La baciava e se ne andava, ma si sentiva oppressa dalla depressione che quelle parole le scatenavano come per una riparazione mai sufficiente; oppressa dalla rabbia contro di lei che le pronunciava e contro fratelli e sorelle i quali, abitando da un’altra parte, potevano evitarsi quella straziante supplica di bambina che 10 vorrebbe ancora trattenere la mamma: “Ma, te ne vai già?” Come se non avesse fatto ancora abbastanza, non facesse ancora abbastanza, lei che da anni si trovava esposta alle sue proteste, per carità: tante volte giustificate, che la portavano a scontrarsi per opposti motivi con suo marito e con fratelli e sorelle, i quali anche se col passar del tempo non dicevano più nulla lei capiva dai loro sguardi cosa pensavano, per cui era arrivata a rimpiangere di averla tenuta in un alloggio della sua casa poiché alla fine, qualsiasi disagio della mamma sembrava fosse colpa sua. “Ma, te ne vai già?” Sentiva in quelle parole un rimprovero che non meritava, ma che nello stesso tempo la paralizzava, e la colpa la faceva ancora indugiare per qualche minuto. Aveva molto sofferto quando mamma era morta, ritrovandola attraverso la religione, ma non poteva negare che fosse una liberazione. Ogni mattina attendeva con ansia di sentire dal piano di sotto l’avvolgibile salire, segno che era ancora viva. Allora scendeva ed era sicura di trovare la porta apribile dall’esterno, poiché mamma aveva già dato il giro di chiave. Anche per quel giorno l’incubo di trovarla morta come sua suocera che aveva anch’essa abitato lì, o per terra morta come sua nonna, era svanito. Poi venne la notte del 16 gennaio quando mamma, caduta non si sa perché, probabilmente cercando di andare in bagno, visto che non riusciva a rialzarsi si era trascinata vicino al telefono, e tirando il filo era riuscita a farlo cadere vicino a sé ed a chiamarla pigiando il tasto della memoria, e dove lei e suo marito l’avevano trovata faticando non poco a tirarla su ed a rimetterla a letto. Ma non lo fece subito. Aspettò poiché era ancora notte, rimanendo distesa sul pavimento freddo. Si. Una liberazione dall’angoscia dell’attesa di una morte e di una separazione che prima o poi sarebbero arrivate. Morì all’ospedale quattro mesi dopo, il giorno della festa della mamma. Non si era più ripresa, se non apparentemente grazie agli anabolizzanti (quelli che portano alla squalifica corridori, calciatori ed atleti) ed ai cardiotonici, prescritti dal geriatra. Dormiva la maggior parte del giorno; stava alzata soltanto per pochi minuti e non mangiava quasi più. Poi la polmonite. Il ricovero all’ospedale. Il crollo. Adesso era lì coperta dalla terra fradicia. “Ma, te ne vai già?” I genitori sono segretamente sollevati al pensiero che i figli li assisteranno quando saranno vecchi, o almeno, così credono, ma si sforzano di non pensare che i figli, come del resto loro a suo tempo, vivano nel terrore che si avveri il desiderio più o meno conscio che un giorno o l’altro i genitori muoiano anche se non lo dicono esplicitamente, sia per l’ambivalenza che a causa dei sensi di colpa per averli usati da sempre come contenitori delle proprie angosce, autocondannandosi ad assisterli per espiare anche quando vorrebbero essere da un’altra parte e odiandoli per questo, anche se nessuno li costringe se non la paura della ricaduta dei sensi di colpa. O forse certi momenti si sono davvero trovati a desiderarne intensamente la morte per liberarsi della loro funzione di grilli parlanti, se non addirittura per impossessarsi dei loro beni. Per cui sembra che la loro vita incominci davvero solo quando i genitori muoiono: finalmente liberi di fare quello che vogliono. Del resto, non sono pochi i genitori che quando i figli sono lontani sembrano farlo apposta a farsi venire tutti i mali del mondo, per costringerli a tornare. Non riescono a stare soli, come i bambini. Hanno dimenticato come si sentivano oppressi dai figli che non sopportavano la loro assenza nemmeno per pochi minuti. Spesso non hanno voluto capire i loro pianti di disperazione quando al risveglio non li hanno trovati, preoccupandosi soltanto che qualcuno in qualche modo se ne occupasse, e adesso rifiutano la badante. Ecco il perché di colpa, depressione, rabbia nel sentire una mamma che supplica: “Ma, te ne vai già?” Verrebbe voglia di scappare e di non tornare più, per non sentire quella disperazione che è poi la stessa che i genitori, figure autoritarie odiate diventate piagnucolose, hanno fatto provare loro quando, bambini, non si sentivano capiti. Prima e dopo. 11 Non sarebbe stato meglio, piuttosto, che fossero stati più comprensivi, anche a costo di sembrare deboli, e che divenuti anziani avessero usato quell’autoritarismo su sé stessi per impedirsi di regredire e diventare dipendenti in modo così straziante? Forse i figli avrebbero avuto una vita per certi versi peggiore, ma sicuramente meno oppressa dalla necessità di espiazione dei sensi di colpa. Per ritornare alla nostra storia, qualche giorno dopo quella persona tornò al cimitero, ma era terrorizzata al pensiero che, andandosene, mamma avrebbe di nuovo cercato di trattenerla. Fortunatamente, mentre era lì passò una sua amica che la salutò. Allora, raccolta in tutta fretta la sua roba, si avviò con sollievo con lei all’uscita. La cosa avvenne così rapidamente, che mamma fu colta di sorpresa e non fece più in tempo a parlare, o se parlò la udirono solo gli altri morti. IL SUPPLEMENTO DI OLTRE 14 I lettori che hanno già esplorato il sito http://www.oltrepsy.it/ di cui si ricorda che al momento la ricerca va effettuata manualmente poiché non si è ancora provveduto all’inserimento in motori di ricerca, nella prima pagina avranno trovato la scritta SUPPLEMENTI DI OLTRE. Cliccandoci sopra, si saranno trovati davanti ad un indice composto da due colonne: la sinistra, che con un clic ulteriore invia a messaggi singoli sintetici corredati di grafica; la destra, che invia invece a supplementi di specifici numeri di OLTRE, cioè numeri monotematici più o meno estesi che proprio per tale motivo sono stati pubblicati separatamente, anch’essi raggiungibili con un clik ulteriore. Al Questionario di Rosen è stato aggiunto il SUPPLEMENTO a OLTRE 14, contenente una descrizione estesa del metodo della temperatura corporea come preannunciato su OLTRE 14, nel corso dell’articolo: “Note sulla pillola anticoncezionale”. Ovviamente, come per tutto quanto appare sul sito, il lettore interessato può scaricare e/o stampare quanto di suo interesse. Circa i cartoncini contenenti singoli messaggi sintetici, corredati di grafica ed elencati nella colonna di sinistra della pagina SUPPLEMENTI a cui si è accennato prima, essi sono appaiati in quanto stampandoli su carta di formato A4, o meglio ancora, su cartoncino, è possibile ottenerne due. Se dopo aver stampato la pagina si gira il foglio, se lo si desidera si può stampare il curriculum di Ugo Langella cliccando su “Il retro dei messaggi” in coda alla stessa colonna di sinistra. A quel punto è possibile tagliare la pagina in verticale ed in orizzontale in modo che escano due cartoncini uguali di cm. 10,5 x 21 circa di formato, utilizzabili come segnalibri o regalandoli ad altri come tali. IL CURRICULUM DI UGO LANGELLA Ugo Langella e' nato ad Alba (Cuneo) il 25/6/1943. A Torino dal 1964, nell'estate 1994 ha trasferito studio e abitazione all'attuale indirizzo. Laureato in Pedagogia a Torino nel 1971, nel 79 si e' laureato in Psicologia a Padova. In analisi personale dal 1975 al 1981 a Milano dalla Dott. Myriam Fusini Doddoli della Societa' Psicoanalitica Italiana, negli anni 78 e 79 ha partecipato ai suoi gruppi di formazione e supervisione, quest'ultima continuata a Torino nel 79 con il Dott. Flegenheimer e dall'80 all'82 con il Dott. Levi, analisti della Societa' Psicoanalitica Italiana. Nel 1989 ha conseguito l'attestato di ipnotista presso il Centro Italiano di Ipnosi Clinica Sperimentale C.I.I.C.S. del Prof. Franco Granone. E' iscritto all'Ordine degli Psicologi (posizione 01/246 - al 17/07/1989, data di prima costituzione) ed all'Albo degli Psicoterapeuti. [email protected] Per ricevere “OLTRE” per e-mail scrivi a: Puoi trovare tutti i numeri di “OLTRE” su internet, direttamente all’indirizzo: http://www. oltrepsy.it/ 12