Tariffa Pagata P.D.I. Autorizzazione DCB/ACBNE Trento/PDI/272/2005 COPIA OMAGGIO valida dal 29/04/2005 Anno 9 N. 6 giugno 2005 € 0,50 Giornale del Centro Servizi Culturali S. Chiara gi u gno 2 0 0 5 Il laboratorio di critica teatrale VA IN SCENA Alla prima edizione del Laboratorio di Orientamento alla critica teatrale, che si è svolto tra gennaio e maggio presso il Centro Servizi Culturali S. Chiara, viene dedicato questo numero de “Le Muse”. Questo per poter aprire e condividere con il pubblico che ha seguito la Stagione teatrale le riflessioni, i commenti e i giudizi critici sugli spettacoli nati durante il laboratorio e raccolti in questo “speciale” dai partecipanti. In questo numero 2 La pratica della critica teatrale 4 La funzione del critico teatrale 4 Il gioco delle preferenze 5 Il progetto di un laboratorio di “Orientamento alla critica teatrale e allo spettacolo” nasce nell’ambito delle attività di formazione del Centro Servizi Culturali S. Chiara e della collaborazione con la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento. Il progetto è stato pensato per valorizzare, da un lato le conoscenze e i metodi critici propri degli studi umanistici e, dall’altro, stimolare una visione critica dello spettacolo teatrale con lo scopo di creare dei fruitori più consapevoli dell’evento culturale teatrale, avviandoli, attraverso esperienze pratiche di esercizio della scrittura critica e della comunicazione culturale. Durante il Laboratorio insieme ai partecipanti si è discusso di quale funzione può avere oggi la critica teatrale e qual è l’oggetto del suo sapere. Ci siamo chiesti se davvero la critica teatrale abbia oggi una qualche funzione di guida per il mondo del teatro o se, invece, è guidata da esso. Abbiamo imparato ad osservare ed analizzare lo spettacolo scenico, a scomporlo nelle sue diverse “componenti”, a tenere conto non solo di ciò che accade sulla scena ma anche nell’interazione con il pubblico, alla potenza dei gesti, ai significati che assumono gli oggetti nello spazio. Durante i seminari dedicati agli approfondimenti metodologici e di approfondimento sugli autori si è parlato non solo di testi teatrali ma anche e soprattutto dei loro contesti: letterari, storici, politici che fanno la storia della loro interpretazione. Momenti “critici” 5 I racconti: sogni (e incubi) del critico teatrale 7 Attività di formazione lirica 2004/05 8 Calendario del mese di giugno Insieme ad attori ed attrici ospiti ai Caffè del Teatro, abbiamo affrontato alcuni aspetti legati alle loro messe in scene, le scelte operate da registi e da scenografi; in questi incontri, spesso informali, siamo entrati in contatto con le “memorie” del teatro italiano, quelle che spesso non si trovano nei libri ma stanno mescolate tra i ricordi personali di chi ha vissuto (a volte scritto) la storia del teatro italiano, come Giulio Bosetti, Glauco Mauri, Moni Ovadia, Piera Degli Esposti… Di questo percorso, e di tutte queste occasioni di incontri abbiamo voluto costruire una sorta di diario, una Cronaca delle Stagioni raccontata dai partecipanti del Laboratorio. Ecco quindi: in questo numero troverete alcune “recensioni” degli spettacoli, accuratamente scelte e accostate per mettere in luce la pluralità dei punti di vista ma anche delle prospettive con cui si può osservare ed analizzare uno spettacolo; le interviste e i commenti rilasciati dagli attori durante gli incontri; i nostri giudizi e preferenze sugli spettacoli ed interpreti. Questo inserto raccoglie tutto ciò e lo propone a quanti, leggendolo, vogliano ripercorrere riscoprendola la Stagione teatrale appena trascorsa. Il Laboratorio riprenderà in autunno. Un ringraziamento a quanti ci hanno accompagnato e lavorato insieme, in particolare al prof. Nestore Pirillo e Michele Flaim, a tutti i relatori e docenti dell’Università di Trento coinvolti nel progetto, a Emanuela Faitelli e Maria Luisa Buzzi. Lo “speciale” è a cura dei partecipanti del Laboratorio di orientamento alla critica: Simona Aimar Giovanni Alamia - Ilaria Andaloro - Violetta Armanini - Loredana Baruffaldi - Vittorio Caratozzolo - Paola Colacicchi - Anna Epifani - Elisa Fanelli - Alessandro Franceschini - Claudia Gelmi - Manuela Girardi - Mara Lucian - Nadia Martinelli Valentina Miorandi - Cristina Otelli - Chiara Paoli - Nicola Perobelli - Claudia Petroni - Maria Teresa Repetto - Nicola Ricci - Michele Ruele - Matteo Scotton - Marisa Tava - Giacomo Zandonini Gianluca Zorzi. Coordinatrice del laboratorio: Emanuela Rossini. LA PRATICA Foto: Monica Condini, Archivio C.S.C. S. Chiara della critica teatrale LE STAGIONI DEI TEATRI 2004/2005 Alcuni estratti dalle recensioni scritte dai partecipanti durante il laboratorio. La Stagione COSÌ È (SE VI PARE) di Luigi Pirandello con Giulio Bosetti Il monologo che Bosetti/Laudisi interpreta davanti allo specchio è un momento di alto teatro: la sua grande dote attoriale e l’amaro umorismo svelano quello strappo tra forma e vita che pervade tutta la drammaturgia pirandelliana. (Claudia Gelmi) La scelta di ambientare alcune scene in un secondo piano, nascosto dietro a finte pareti, visibile in controluce – penso all’attento vestirsi della Signora Frola o all’abbraccio tra suocera e genero – è ancora più azzeccata. Il regista ci dà la possibilità di vedere oltre i protagonisti stessi e di avere una visione completa. (Nicola Perobelli) Giulio Bosetti in Così è (se vi pare) In un ambiente rigorosamente chiuso, dai colori cupi, dove regnano l’autorevolezza e la gravità di un’aula di tribunale, viene messo in scena un vero e proprio processo nel quale la situazione sfugge progressivamente di mano fino all’entrata della signora Ponza (Marina Bonfigli) che, coperta di veli e avvolta da una nebbia d’oltretomba, rivela la propria condizione di essere «colei che mi si crede». (Gianluca Zorzi) Il finale resta aperto, la risposta della signora Ponza non risolve il mistero: come diceva fin dal principio il signor Laudisi, ognuno di noi crede sia giusto quello che vede, ma gli altri non vedono mai le cose allo stesso modo in cui le vediamo noi. (Chiara Paoli) Tato Russo in Napoli Hotel Excelsior Direttore responsabile Luigi Mattei In redazione Katia Cont Viviana Bertolini Emanuela Rossini Redazione e amministrazione Centro Servizi Culturali S. Chiara Via S. Croce 67, 38100 Trento Presidente Carlo Fait Vicepresidente Grazia Cattani Consiglio di Amministrazione Adolfo de Bertolini Lia De Finis Giuseppe Endrizzi Renzo Fracalossi Carmine Ragozzino Direttore Franco Oss Noser Vicedirettore Marisa Detassis Revisori dei conti Diego Ferretti Renzo Sartori Mario Zambotti Informazioni e segreteria tel. 0461.213811 fax 0461.213817 Una regia che sembra voglia sottolineare, attraverso ombre al di là delle pareti, una presenza di fantasmi interiori come proiezioni della psiche; personaggi che entrano da uno specchio, quasi provenienti da un mondo lontano, specchio tanto caro a Pirandello inteso come chiave di osservazione. (Marisa Tava) Uno dei punti di forza della messinscena è una regia ferma e discreta allo stesso tempo, che ha permesso allo spettatore di comprendere come tutta la potenza di Così è (se vi pare) sia già tutta contenuta nel testo, ancora così attuale; unito a questo, l’utilizzo di elementi scenografici, primo fra tutti lo specchio, molto suggestivi nonché funzionali a riconsegnarci l’idea di una realtà dominata, in fondo, solo da apparenze, ombre, spettri. (Ilaria Andaloro) Si potrebbe dire che Laudisi sia lo sguardo dell’autore (ma anche dello spettatore) che osserva divertito questo valzer crudele della vita e di una società che testardamente deve ricercare la ragione del perché le cose accadono. (Violetta Armanini) In questo spettacolo c’è molto di Pirandello, il testo ci fa riflettere sul senso della vita, il senso della verità. E poi l’energia che si crea tra l’attore, il personaggio da interpretare e il pubblico in teatro è illuminante. Certe cose si chiariscono sul palco, il pubblico, la tensione ecc. te lo fanno capire. Pirandello è officina perpetua. La Novella è sempre il GERME del teatro. (Nadia Martinelli) lussi di una rinata Napoli ai primi del Novecento. Lo spettacolo non poteva che chiudersi con “la musica dei ciechi”, presenze silenziose in una Napoli sfavillante di luci e benessere, costrette dal loro buio a raccontare alla “gente per bene” le illusioni e le sofferenze di un mondo destinato per sempre a vivere nell’ombra del grande Hotel Excelsior. (Elisa Fanelli) Separate dalle pareti dell’hotel vengono presentate due città tra loro inconciliabili, in costante ma distinta unione, delle quali il più o meno fortuito contatto provoca situazioni altamente drammatiche. Questa duplicità viene portata in scena con vergano verismo, supportata da una scenografia scarna ma essenziale, che svela la tragedia di una Napoli varia e ricca di macchiette, in cui tra tutte s’apprezza la professionalità di un grande attore come Tato Russo. La componente musicale e canora avvicina lo spettacolo al musical in frequenti situazioni. (Matteo Scotton) Una esagerata esaltazione dei numerosi e ripetitivi ruoli interpretati da Tato Russo. (Claudia Gelmi) Il nostro problema è quel che si definisce “memoria culturale” o “memoria colta”, ossia la nostra conoscenza “di genere”, la nostra esposizione passiva – grazie a televisione, letteratura, cinema – alle variazioni sul tema, alle risacche periodiche della cultura contemporanea che gettano sulle nostre rive di tutto, dai cliché più retrivi ai più sublimi emblemi di tradizioni, epopee. Raffaele Viviani sembra criticare, già ai suoi tempi, la prolificazione e l’abuso dei luoghi comuni, ma a quanto ci è stato dato di vedere (e, dapprima di leggere) egli stesso si esprime attraverso quegli stessi cliché che sembrerebbe voler denunciare. Il tipismo è il marchio stilistico ma anche il difetto, a nostro avviso, di questo spettacolo. (Vittorio Caratozzolo) In scena il lungomare antistante l’entrata di un grande albergo. La platea rappresenta quel mare misterioso su cui il proscenio si affaccia ed estende i propri interrogativi. Destinati, quest’ultimi, a rimanere irrisolti, se è giusto interpretare in questo senso la battuta del comico pescatore che, rivolto verso la scena con la sua canna da pesca, afferma sconsolato «qui, non si pesca niente». Un mare quindi che pare non apportare alcuna modifica alla fissità dei ruoli imposti sulla scena dalla società. Attraverso questa sapiente soluzione registica, il punto di vista è invertito: la scena non è il luogo in cui lo spettatore assopisce i propri pensieri, ma rimanda e restituisce alla platea, come uno specchio, la responsabilità di quei ruoli. (Maria Teresa Repetto) IL BUGIARDO di Carlo Goldoni con Glauco Mauri e Roberto Sturno aut. del Tribunale di Trento n. 945 R. st. del 25 febbraio 1997 NAPOLI HOTEL EXCELSIOR testo e musica di Raffaele Viviani di e con Tato Russo Le bugie – o «spiritose invenzioni», secondo Lelio, amante di se medesimo più che delle putte onorate che corteggia – come quelle nuvole sullo sfondo si inanellano una dopo l’altra e si inseguono, senza fine, lasciando il loro creatore in una penosa solitudine sociale e costringendolo alla partenza, inseguito a sua volta dagli effetti conseguenti alle bugie disseminate dovunque egli sia passato. (Vittorio Caratozzolo) Realizzazione Publistampa Arti grafiche Pergine Valsugana La rappresentazione ha saputo raccontare, con quel pizzico di tragico umorismo tipicamente napoletano, le contraddizioni e i Se è vero che questo Lelio è solo un bugiardo allora è bravissimo perché, pur conoscendo la verità, ha recitato parti che non gli (8.30 -13.00 14.00 -18.30) e-mail: [email protected] sito: www.centrosantachiara.it Numero verde: 800 - 013952 Le Muse 2 giugno 2005 erano proprie al fine di rendere interessante la realtà, al fine di permettere a chi era bigotto di essere il bigotto, a chi è imbranato di rivelarsi imbranato. (Cristina Otelli) Alla fine, Lelio resta vittima delle sue stesse trovate che, smascherate, non possono più generare illusioni. Quando si allontana porta via la vita con sé: le luci si spengono, crollano le pareti, non più cielo, a terra anche le luci/palloni aerostatici di casa Balanzoni. Tutti i personaggi rimangono pietrificati ai loro posti, nelle certezze che si sono scelti. Come suona amara la promessa di felicità – «saremo felici» – pronunciata da Ottavio, mentre, con il mantello gettato sulle spalle, se ne va malinconicamente Lelio, facendo sue le parole tante volte rivoltegli da Arlecchino «busie, mai più, ma qualche volta, qualche spiritosa invenzion». (Paola Colacicchi) Forse, intravedendo l’assenza di una vera e propria posizione morale dell’autore nei confronti del suo personaggio, Glauco Mauri punta sulla positività di Lelio e sulla sua flamboyance come atteggiamento di difesa da una società relativamente statica e priva di passioni. È questa assenza di giudizio e di apertura alla fantasia che trasforma l’opera di Goldoni in un momento dove la leggerezza può anche essere sinonimo di profonda emotività. (Gianluca Zorzi) Senza stravolgere il testo, il misto di dialetti e cadenze, la gestualità a tratti più stilizzata e la forma scenografica sono gli elementi innovativi della messa in scena di Glauco Mauri: lo sfondo luminoso veneziano, il cielo e il mare che si fondono nella vita quotidiana, le due altalene su cui siedono le due sorelle, le pittoresche gondole che funzionano come strambe motorette elettriche per anziani. (Manuela Girardi) PERSIANI di Eschilo con Piera Degli Esposti Un’intera storia umana fatta di reduci che portano negli occhi il dolore di chi ha visto, un dolore che si è trasformato in follia poiché spogliato di tutta l’umanità del mondo. Tragicamente attuale. (Claudia Gelmi) La suggestione drammatica sta in quella ipsilon azzurrina in rilievo sulla fronte, in quella vena del collo gonfia e tesa, nella voce biascicata, rauca e dolente, in quegli occhi sbarrati che, per interminabili minuti, raccontano la disfatta di Salamina. Il Dolore è davanti a noi, nel corpo di un attore che lo rappresenta, alla maniera estrema, apparentemente senza risparmiarsi, sera dopo sera, per noi una volta sola, con la stessa necessaria spasmodica tensione. L’attore fa rivivere i Persiani immaginati da Eschilo, con un’interpretazione scolpita nel suo stesso corpo. (Vittorio Caratozzolo) La messa in scena del regista Calende, con una scenografia semplice e spoglia di ogni decoro superfluo, ha per culmine la scena iniziale nella quale c’è vuoto e silenzio e lascia spazio alle riflessioni evocate dal testo. (Anna Epifani) Altro Teatro KONARMIJA - L’ARMATA A CAVALLO di e con Moni Ovadia Combattendo fianco a fianco con quelli che per certi versi sono i suoi nemici (l’an- l’abete a Natale. E le radici, queste lunghe radici che affondano nel palco. Sembra perfino più grande quel palco. Le radici aiutano la terra e l’albero aiuta noi. Ogni albero ha un nome, come noi. Dobbiamo amare gli alberi, la terra, le foglie come le nostre radici. (Nadia Martinelli) Moni Ovadia in Konarmija - L’armata a cavallo tisemitismo dei cosacchi e dei russi era noto), Ljutov cerca di imparare a vivere quella che per lo scrittore Babel è vera vita: quella dei sentimenti carnali, della ferocia, della guerra dove si è così vicino alla morte. (Violetta Armanini) Moni Ovadia si muove quasi come uno spettro fra gli alberi scuri, scheletrici, privi di foglie, a sottolineare la fragilità dell’animo umano di fronte ai grandi eventi della storia. (Anna Epifani) Uno spettacolo turbinoso, con traduzione in tempo reale dal russo e yiddish: due lingue così lontane dall’italiano da imporre allo spettatore un ascolto tutto emotivo. (Gianluca Zorzi) La musica accompagna il tutto, una musica da festa paesana, zingara e solenne allo stesso tempo; i tromboni si fondono insieme ai clarinetti nell’aria rivoluzionaria. Nel buio della steppa Ovadia canta la vicenda di un uomo alle prese con un’esperienza drammatica ma viva; allo stesso tempo rivive l’ebraismo rivoluzionario con i suoi difetti e le virtù. Il canto finale prende il tono quasi di un requiem che segna la morte di un sogno. (Giovanni Alamia) IL LIBRO CUORE di Edmondo De Amicis Regia di Tonino Conte La messa in scena usa diverse tecniche scenografiche: un palco aperto su un primo piano con tre lettere vergate a mano con il vecchio pennino e l’inchiostro, datate 1873; un uso del diario quasi dimenticato ai nostri giorni perché tutto corre velocemente quasi da ritenere inutile fermare sulla carta emozioni nella fretta di vivere la vita. (Mara Lucian) Stagione InDanza STRANGE ATTRACTORS di e con Stephen Petronio Si ballava sopra e dentro la musica e anche senza musica. Tutto ciò dava una sensazione di essere al di fuori del tempo e dello spazio, il movimento risultava esaltato e liberava l’essenza di un gesto puramente fisicizzato. In una civiltà che nega il corpo queste immagini di energia sprigionano una spontaneità primitiva, riportano l’uomo alla sua condizione naturale, al di là di qualsiasi condizionamento socio-culturale fino a farlo sentire un tutt’uno con il cosmo. Posso dire che ora ogni gesto e azione mi sembra danza e ogni relazione è regolata da qualche forma irrazionale e superiore di attrazione e repulsione. (Anna Epifani) A differenza della Parte I dove i danzatori danzavano su violini lirici intenti ad allungare le loro forme, ma non ad accompagnare i loro movimenti, nella Parte II i danzatori sembrano seguire un ritmo e rallentare quando questo si placa. Un momento quasi romantico e di respiro è dato dalle luci calde che attraversano la scena. Ma tutto poi riparte: movimento, ritmo e la calma, forse apparente, di un ordine organizzato, si dissolve. (Claudia Petroni) Teatro Ragazzi ALBERO di Vania Pucci e Lucio Diana L’uso sapiente della lavagna luminosa ci aiuta a capire la differenza tra la grande quercia secolare e l’abete di Natale. Forse il prossimo anno ci penserò se acquistare IL TEMPO DEI CUSCINI testo e regia di Margherita Hoffer con Giovanna Palmieri e Giacomo Anderle Tutto nasce da un candido pensiero di bambina che, interrogandosi sull’origine dei sogni, arriva alla conclusione che essi nascono dai cuscini, quando i bambini vi si appoggiano, la sera, prima di addormentarsi. Nasce così la storia di Bice al tempo in cui i sogni ancora non c’erano e nemmeno i cuscini. Lo spettacolo alterna parti recitate ad altre dove i protagonisti sono pupazzi. I bambini presenti in sala sono coinvolti in modo attivo dai due bravi attori soprattutto grazie ad un dialogo diretto tessuto con loro che li rende protagonisti di un sogno. (Ilaria Andaloro) Il racconto è accompagnato da musiche, rumori, luci, contro-luci...si cerca di materializzare la suggestione delle fantasie, dei sentimenti in gioco. E gli oggetti e i suoni, nel momento in cui vestono le parole, danno slancio alle fantasie dei piccini, non li privano dello stupore: ecco un uso sapiente del potere evocativo della parola. (Paola Colacicchi) Avrei scommesso che dietro quelle lenzuola rattoppate ci fossero più persone. Che dormivano perché erano molto stanche; perché, a quei tempi, lavoravano tutto il giorno, dalla mattina al tramonto senza riposarsi e senza dormire sui cuscini. E la povertà emerge da quei pochi metri di lenzuola di lino grezzo e dal profumo della minestra di cavoli. (Nadia Martinelli) C’era un bambino accanto a me. Mentre le luci passavano dal giallo al verde l’ho sentito dire: «È il bosco delle fate... anzi no! È il centro della terra!» Davanti a noi un telo illuminato. Senza quel pensiero ad alta voce ora probabilmente scriverei di aver riscontrato una eccessiva lentezza nello svolgimento della storia. Quel pensiero ad alta voce mi ha fatto notare che il resto dei presenti, più piccoli e creativi di me, riempiva con fantasie scintillanti quegli attimi in cui la noia mi coglieva: spazi vuoti di una storia consegnati consapevolmente a loro da attori che sapevano di avere davanti a sé qualcuno più bravo di altri a sognare. (Simona Aimar) IL LIBRO DI MAGO CALVINO di e con Roberto Corona e Massimo Cottica Dallo smarrimento di uno spartito musicale, il duo, servendosi di un libro dai poteri magici, le cui pagine bianche raccontano ogni volta una fiaba diversa, s’avventura in una adrenalinica e decisamente divertente narrazione: un’alternanza di letture e quadretti di forte connotazione cabarettistica in cui l’attore-regista, Roberto Corona, dà prova di un’abilità e di un eclettismo ammirevoli. (Matteo Scotton) HANSEL E GRETEL di Marcello Chiarenza con Claudia Casadio e Daniela Riccardi Se si sceglie di narrare questa storia a dei bambini è necessario essere preparati a fronteggiare gli interrogativi e ancor più le reazioni emotive che la vicenda potrebbe destare in loro. (Paola Colacicchi) Poco mi piace la “soluzione finale”, con tanto di forno crematorio per la strega cattiva – per carità cattivissima – quasi a sostenere, ancor oggi, la tesi della soppressione della malvagità tramite l’eliminazione fisica dei malvagi: un’apologia, a ben vedere, della pena di morte. E poi è colpa dei fratelli Grimm caso mai, che ci possiamo fare? Ci possiamo fare che censuriamo il malvagio senza offrire ai bimbi un esempio di giustizia estrema e pericolosa anche per il giustiziere stesso. (Vittorio Caratozzolo) I bambini della Compagnia di Accademia Perduta Romagna sono forti perché non hanno solo la realtà. Un segreto li protegge dal risucchio degli adulti, incapaci di pensare se non alla sopravvivenza: abbandonati due volte nel bosco scopriranno che sul sentiero si può giocare con la paura. Una favola che può ancora suscitare stupore se vogliamo riflettere su quanto è costato diventare grandi. (Cristina Otelli) Stagione Lirica I CONCERTI ALL’ORA DEL TÈ Due le tematiche ricorrenti quest’anno per I Concerti all’ora del tè: il numero tre e l’essere donna. Tre spettacoli centrati sulle biografie e la riscrittura di altrettante tre icone di eroine femminili (Turandot, Tosca, Butterfly), dietro i quali hanno lavorato abili mani di donne (per la scrittura, l’interpretazione, la regia, la scenografia e i costumi). Chissà se si tratta di qualcosa di più di un caso. Il merito della riuscita di questa edizione de I Concerti all’ora del tè va, comunque, attribuito almeno a tre (di nuovo!) componenti. Da un lato va riconosciuta una notevole capacità registica di equilibrare con precisione le parti cantate con quelle recitate: risultato conseguito attraverso la fine operazione di alternare i due mondi senza però allontanarli mai nettamente (fonderli senza confonderli); emblematico l’utilizzo di determinati strumenti scenici, quali reti di tulle, giochi di luci che sfumavano su una parte per illuminare l’altra, e viceversa, contrasti di colori (bianco e nero, nero e rosso). La componente drammaturgica ha stimolato in modo preponderante l’interesse del pubblico, il quale si è trovato di fronte ad una trasposizione eccentrica ed ironica delle tradizionali e leggendarie icone dell’opera lirica. L’originalità dei testi teatrali ha sfoderato tre figure femminili bizzarre, nevrotiche e grottesche a volte, alle prese con scelte importanti, o non scelte altrettanto importanti e dolorose, con i fantasmi del passato o gli incubi del presente e del futuro, con se stesse in primis, e con la gestione delle proprie passioni e di tormenti intensi. Importante risulta, infine, il fatto che sia i cantanti lirici che le attrici abbiano saputo partecipare umilmente e abilmente al gioco delle parti, passandosi vicendevolmente il testimone, facendo attenzione a non invadere il territorio altrui, ma nemmeno a porre uno sbarramento tra i due territori, favorendo così un bilanciato processo di permeabilità. (Claudia Gelmi) Glauco Mauri in Il bugiardo Strange attractors di e con Stephen Petronio Albero RITORNO AL PAESE DEI CILIEGI Testi di Emanuela Rossini Regia di Cristina Pietrantonio Il tempo dei cuscini Ingannate e innamorate dello stesso uomo, Kate e Butterfly si fronteggiano sul palco, ognuna difendendo la propria storia d’amore, la propria verità: da una parte Kate, chiusa e dibattuta tra la rabbia e il dissapore che ancora nutre verso la sventurata geisha che le ha portato via il marito; dall’altra Butterfly, fragile come il suo parasole di carta di riso, richiamata alla memoria dalla moglie del suo amante, decisa a rinunciare alla vita per un amore impossibile ed eterno, generosa con la sua rivale a tal punto da lasciarle l’amato figlio. (Violetta Armanini) TURANDOT, L’INCOMPIUTA Testi di Emanuela Rossini Regia di Cristina Pietrantonio Turandot è, in questo caso, un’attrice di teatro, che vediamo alternativamente in un camerino rialzato, posto al centro del palco e in seguito su un divano laterale. E il desiderio, imprigionato e braccato, mai pienamente realizzabile, è forse il vero filo conduttore dello spettacolo, come sottolinea la presenza di numerose gabbie dorate, oggetto scenico fondamentale. Molto efficace anche l’alternarsi di cantato e recitato che contribuisce a mantenere un ritmo costante, dettato dalle esternazioni della brava protagonista, una convincente Cristina Ferrajoli. (Giacomo Zandonini) Il libro di Mago Calvino Hansel e Gretel giugno 2005 3 Le Muse LA FUNZIONE del critico teatrale TRE INTERVISTE SUL TEMA SULLA CRITICA TEATRALE… TEORIE E PRATICHE DEL TEATRO Come vedono la figura del critico teatrale gli accademici che si occupano del genere teatro? Esiste una permeabilità tra gli studi teorici e quello che viene rappresentato sul palcoscenico? Si parlano i due mondi della teoria e della pratica teatrale? E dove vanno a finire gli studi sul genere realizzati nelle università? Abbiamo chiesto a tre professori della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, che hanno apportato un loro contributo teorico all’interno del Laboratorio di Orientamento alla Critica Teatrale, un’opinione a riguardo. Interviste condotte da Claudia Gelmi La visita della vecchia signora Prof. Fabrizio Cambi docente di Letteratura tedesca e preside della Facoltà di Lettere Prof. Nestore Pirillo docente di Storia della Filosofia Prof. Pietro Taravacci docente di Letteratura spagnola «Requisito del critico teatrale in qualunque epoca è innanzitutto quello di possedere competenze nel campo delle rappresentazioni in scena, ovvero, egli deve sì conoscere la letteratura teatrale, ma anche andare a teatro: deve essere un critico “militante”, agire e scrivere a caldo. Funzione principale di tale figura è quella del mediatore culturale: il critico ha il dovere di provocare e stimolare il pubblico e gli stessi autori, di porsi come ponte tra questi due mondi. Per quanto riguarda invece il discorso sulle teorie e pratiche del teatro, il drammaturgo in genere conosce bene la letteratura teatrale, si documenta, benché esistano anche autori che scrivono a prescindere dalle conoscenze teoriche. Credo in ogni caso che la conoscenza delle teorie drammaturgiche sia fondamentale per chi fa teatro. Nell’ambito degli studi universitari infine, si sente poco quel genere di isolamento tipico dell’accademia. Chi insegna teatro possiede un rapporto concreto con l’ambiente del teatro: anche lo spazio di studio in questo caso è “militante”». «La funzione del critico teatrale, in particolare a Trento, è molto importante, in quanto la sua figura può concretamente operare quale ponte tra la prospettiva scientifico-teorica e l’esperienza teatrale. Purtroppo questo tipo di professionalità non è ancora del tutto consolidata, benché nel corso degli incontri organizzati dal Centro S. Chiara in collaborazione con l’Università, come ad esempio i Caffè del Teatro, sia emersa da parte del pubblico un’effettiva esigenza di una figura di riferimento. Oggi il critico teatrale racchiude in sé un’importante funzione: non deve più essere solo il tecnico dello spettacolo, ma colui che sappia gestire e presentare agli spettatori una complessa pluralità di saperi e di informazioni storiche e teoriche. Per quanto riguarda invece il discorso sulle teorie e sulle pratiche del teatro, io non trovo che siano due mondi così separati: certo le distanze esistono, ma si riscontra un profondissimo interesse verso un colloquio reciproco. L’urgenza è semmai quella di costruire spazi dove si possano alimentare il confronto e la discussione». «Guardando all’ambito della semiotica del teatro, trovo che esista una maggiore relazione tra gli studi e le forme in Germania ed in Spagna. Non riscontro invece in Italia una rilevante permeabilità tra le punte avanzate di critica teatrale e quello che si vede in palcoscenico, benché in Trentino vi sia un reale tentativo di aprire l’offerta a realtà teatrali di avanguardia, diverse da quelle istituzionali classiche: ed è proprio nel mondo delle avanguardie che sono centrali gli studi sul teatro. Per quanto riguarda la figura del critico teatrale, manca oggi il tessuto connettivo che a partire da fine Ottocento fino a quasi tutto il Novecento ha fatto di questa figura un “opinion leader”. Oggi vi è una maggiore frammentazione: tutto è più complicato e complesso, poiché il teatro comprende diverse aree tematiche. Quella del critico teatrale diventa quindi inevitabilmente una professione più accademica, che deve conoscere le differenti teorie e tecniche, al fine di poter consapevolmente giudicare l’impatto dello spettacolo». IL GIOCO delle preferenze Spettacoli presi in considerazione: Così è (se vi pare) Napoli Hotel Excelsior Il Bugiardo La visita della vecchia signora L’Armata a cavallo Il Diavolo e il Buon Dio Persiani Il Fantasma dell’Opera. Nella stagione del Teatro Ragazzi: L’Albero Il tempo dei cuscini Hansel e Gretel Il libro di mago Calvino Mattia Zurbriggen. Migliore regia > Moni Ovadia per L’Armata a cavallo per aver saputo coordinare una scenografia complessa, fatta d’immagini e filmati, parti mobili e statiche, con i movimenti coreografici della compagnia che univa danza, recitazione, musica e canto. Altri registi in ordine di preferenza > > > > > > > Annig Raimondi per Il Diavolo e il Buon Dio Giulio Bosetti per Così è (se vi pare) Roberto Corona per Il libro di mago Calvino Vania Pucci e Lucio Diana per Albero Margherita Hoffer e Giovanna Palmieri per Il tempo dei cuscini Antonio Calenda nei Persiani Armando Pugliese per La visita della vecchia signora Miglior interprete > Moni Ovadia, narratore in L’Armata a cavallo narratore, attore, cantante tutte figure intensamente riunite in un unico personaggio. > Luca Lazzareschi, il messaggero e Re Serse nei Persiani per aver fatto rivivere i Persiani immaginati da Eschilo con un’interpretazione scolpita nel suo stesso corpo, portando in scena un dolore trasformato in follia e delirio. Altri attori e attrici particolarmente apprezzati > Carmen Pommella, lo scugnizzo in Napoli Hotel Excelsior per aver svolto in modo più rappresentativo il ruolo di personaggio di contrappunto tra gente comune e gente di strada > Isa Danieli, Claire Zachanassian ne La visita della vecchia signora per essere riuscita, con la sua grande scuola, a rappresentare le sfumature di drammaticità e comicità, austerità e inesorabilità del suo personaggio > Luca Fusi, Nasty ne Il Diavolo e il Buon Dio credibile rappresentante della figura di popolano militante con ottima presenza scenica Le Muse 4 giugno 2005 Il diavolo e il buon Dio > Glauco Mauri, Pantalone ne Il Bugiardo per la particolare forza della sua figura paterna, saggia e naïf al contempo > Giulio Bosetti, Lamberto Laudisi in Così è (se vi pare) per aver trasferito con sapienza la complessità del personaggio di Laudisi, ironico e progressista e per l’efficacia della recitazione in talune battute di estrema complessità del testo pirandelliano. > Roberto Sturno, Lelio ne Il Bugiardo per essere stato in grado di calarsi nella parte con disinvoltura, spontaneità ed ironia, dando vita ad un bugiardo adorabile, nonostante tutto. > Roberto Corona, narratore ne Il libro di mago Calvino grande prova di abilità istrionica e pedagogica, un eclettismo ammirevole. > Ombretta Zaglio, narratrice in Mattia Zurbriggen per le sue grandi capacità creative e comunicative espresse nell’utilizzo dello strumento multimediale in scena trattandolo quasi fosse un attore esso stesso, senza fare mai intrusioni violente a scapito della recitazione. Le migliori musiche di scena > > > > L’Armata a cavallo Persiani La visita della vecchia signora Il Bugiardo Elementi scenografici e di costume di maggior effetto > Lo sfondo di marmo in Così è (se vi pare) > Le scarpette gialle di Isa Danieli, in La visita della vecchia signora > Le altalene e lo sfondo del cielo ne Il Bugiardo > Gli alberi in L’Armata a cavallo > Le luci dell’albergo in Napoli Hotel Excelsior > L’arazzo e le luci nei Persiani > I costumi ne Il Fantasma dell’Opera > Le proiezioni in Albero (Teatro Ragazzi) > Le luci ne Il tempo dei cuscini (Teatro Ragazzi) MOMENTI “critici” Incontri, seminari e Caffè del teatro «Nel mestiere di attore e regista l’intelligenza conta poco. Conta di più uno strano istinto misterioso, per cui “si sente l’odore” delle cose. Per questo attore si nasce». «(…) i critici teatrali non ci sono più. O sono semplici cronisti oppure sono frustrati perché il caporedattore non lascia loro più di sei righe per esprimersi. Così va a svanire quel fecondo ed importante scambio di opinioni e di provocazioni tra artista e critica artistica». Giulio Bosetti “Caffè del teatro” sullo spettacolo Così è (se vi pare) di Pirandello, 14 gennaio 2005 «Sartre non dà mai soluzioni, mette in atto solo tentativi, in una situazione perennemente rischiosa. Ha in sé il problema, tutto borghese, dell’essere con gli altri nella storia. I suoi personaggi sono scarnificati, senza pelle, senza nervi: si fanno maciullare per poter rinascere dalle loro macerie». Annig Raimondi “Caffè del teatro” sullo spettacolo Il Diavolo e il Buon Dio di Sartre, 18 marzo 2005 «Oggi, Persiani non può non essere considerato un testo politico, perché lo è, eccome: non è un caso che sia stato rappresentato proprio in questi tempi». Piera Degli Esposti “Caffè del teatro” sullo spettacolo I Persiani di Eschilo, 1 aprile 2005 «Il bambino del teatro sta dentro lo spettacolo e dentro gli attori, non è seduto in platea. Lo sguardo-bambino non è semplice bambineria: l’attore ritrova il suo bambino e lo riporta ai bambini». Giovanna Palmieri Incontro sul Teatro Ragazzi, 26 gennaio 2005 «Il teatro è emozione. Emozione che deve forzare gli spazi e sfiorare il silenzio, tra parole dette e non dette». Emanuela Faitelli “Il Corpo dell’Attore”, laboratorio condotto da Emanuela Faitelli, 16 e 23 marzo, 13 aprile 2005 «All’ultimo piano del Teatro Sociale si cammina anche a piedi scalzi. E s’impara, col cuore a rilento, a raccogliere l’ambiente, ad assorbirlo. Cosa che noi del laboratorio di critica abbiamo fatto nel corso di alcuni incontri con Emanuela Faitelli: esercizi di respirazione, di silenzio, di prove pratiche di ascolto, di osservazione… Per rivalutare il Silenzio, prima e dopo le parole; per rimpossessarsi dello Spazio, teatrale e non, da difendere e rendere sacro; o per rendersi NEUTRI, asessuati, in pieno possesso di una maschera…». Nadia Martinelli Intervista con Glauco Mauri a cura di Paola Colacicchi e Vittorio Caratozzolo Glauco Mauri è nel suo camerino. Ha appena terminato la sua ultima replica trentina del Bugiardo di Goldoni. Non vorremmo disturbarlo mentre si toglie il cerone, ma la porta è aperta, ci vede e... ci invita ad attendere qualche minuto. Mantiene la parola. Ora che ha un aspetto piú “umano”, benché in accappatoio, accetta con grande cordialitá di scambiare due chiacchiere con noi. D - Avendo assistito a due recite consecutive, abbiamo notato una straordinaria capacità, da parte degli attori, di muoversi e ripetere battute e movimenti con un sincronismo davvero notevole. Complimenti! Ma... come fate? R - Innanzi tutto abbiamo già alle spalle quasi 200 recite... E poi, vedete, io come regista sono abbastanza maniacale in questo, perché penso che l’attore tragga giovamento dall’essere “inchiavardato” in una regia ben definita, come fosse un’armatura prestabilita rigorosamente. Credo addirittura che, paradossalmente, l’attore ne ottenga una gran libertà di esprimersi. Inoltre, tengo molto al rispetto dei tempi cronometrici, oltre che teatrali. A parità di ampiezza dei teatri, la variazione dei tempi per ogni atto può andare dai 40 secondi al minuto e mezzo. Le cose cambiano quando il palcoscenico è più grande, dove le uscite di scena e gli ingressi portano via più tempo. D - Ci è parsa una regia completamente fondata sul lavoro attoriale, con una scenografia, rarefatta, quasi a confermare una nostra impressione: che con attori così validi ed esperti avreste potuto recitare dovunque, ricreando la stessa tensione drammatica. Quelle nuvole tiepolesche rappresentano un po’ l’evanescenza delle bugie, che evaporano in aria? R - Sì, è una scenografia magrittiana, direi, molto bella, volutamente ridotta al minimo indispensabile. D - Allora, sig. Mauri, perché quell’aggiunta della lettera dettata da Pantalone a Balanzoni, relativa alla dote di Beatrice, nella scena delle due bici-gondolette a motore? R - Ci eravamo accorti che la scena introducente i due personaggi sui loro veicoli filava via troppo in fretta, e così ho pensato di farla durare un po’ di più inserendo appunto quel dialogo sul modo di imporre ad Ottavio la rinuncia alla dote di Beatrice, figlia del dott. Balanzoni. D - Non che sia risultata spiacevole, anzi... però quest’aggiunta “testualmente immotivata” ci aveva colpito. Dunque una ragione squisitamente teatrale, di regia... R - Non l’unica, come ha visto, ve ne sono altre, anche se abbiamo sostanzialmente seguito il testo originale. Il fi- nale, ad esempio, non è come lo ha voluto Goldoni, il quale fa del moralismo. Ho preferito evidenziare maggiormente la condizione del bugiardo, che viene trascinato nella vergogna dalle sue stesse bugie. La gente intorno a noi lavora già allo smontaggio delle scene e all’imballaggio dei materiali. Ripartono tutti per Thiene stasera stessa, pronti ad andare in scena domani. Vita da artisti. Una voce di corridoio ci racconta che Mauri ha una casa fissa solo da poco tempo: dall’età di 18 anni, quando da Pesaro andò a Roma per frequentare l’Accademia di Arte Drammatica, ha sempre vissuto in albergo... Ah, un’altra notizia di corridoio: quanti anni ha il giovane Lelio, così energico e pieno di “spiritose invenzioni”, fuori dalla scena? Ha l’età di Roberto Sturno che è nato nel... non sta bene spifferare queste cose, no? Ha l’età che dimostra, beato lui… I RACCONTI: sogni e incubi del critico teatrale Finalmente libera! di Violetta Armanini Anche oggi l’ho visto. L’ho visto al bistrot sorseggiare il suo vino bianco, di ottima etichetta e assaporare il suo Davidoff al gusto di anice. Anche oggi l’ho seguito. L’ho seguito, mentre con passo lento e rilassato, si tuffava con gli occhi dentro la pagina degli spettacoli nel quotidiano, che accuratamente, dopo averlo acquistato, ripone sotto il braccio. L’ho seguito dentro la grande sala, decorata con affreschi del Cinquecento, sedersi in prima fila e studiarsi attentamente le domande. Odio quell’understatement che usa nel vestirsi, nel pettinarsi, nell’essere sempre così dannatamente sciatto e allo stesso tempo elegante, come se fosse lui a salire sul palco. Invece lui è solo un critico! Vorrebbe lui recitare così! Vorrebbe lui avere quella voce, ed essere applaudito da un sacco di gente che ha pagato un biglietto dal prezzo salato solo per vederlo! Vorrebbe lui essere chiamato dai più importanti teatri d’Europa! Invece lui è solo un critico. E se ne sta lì, seduto in prima fila con quella testolina spelacchiata e quegli occhialetti tondi appoggiati sul naso, con addosso quel pullover color arancio pallido, a scrivere su un Moleskine, che ormai cade a pezzi, senza mai alzare la testa. Ma come fa a fare la recensione dello spettacolo se non si degna neanche di guardarlo? Ancora ricordo quella pessima giornata di pioggia. Io, bagnata fradicia da capo a piedi e infreddolita, e lui, con quelle magre e flaccide natiche sprofondate dentro una poltrona di finta pelle, con quell’aria da divo di Hollywood che sembra voglia dirti: «Ho aspettato troppo e adesso me ne vado». Ricordo ancora le sue stupide e impertinenti domande sulla mia vita privata e sui miei – secondo lui, dubbi – studi di teatro. Ricordo ancora le sue mordaci critiche su come avevo recitato questa e quell’altra battuta, su come ero entrata in scena, sul fatto che secondo lui avrei fatto meglio a prendere lezioni di dizione. E ricordo ancora la paura che mi prendeva alle gambe quando, una volta entrata in scena, lo scorgevo, in prima fila, osservarmi con quel ghigno che non promette nulla di buono. Soprattutto ricordo quella sera, quando fuggii da teatro perché non riuscivo a recitare neanche una battuta, mentre lui, sempre in prima fila, seguiva con uno sguardo compiaciuto la mia vergognosa fuga: «Che brava attrice sei! Te la svigni, eh?». Ma adesso basta, sono stufa di vederlo, fuori e dentro la mia vita. Stasera voglio vendetta. Lo cerco nel foyer del teatro, dove è solito intrattenersi con gli altri critici e magari con qualche attricetta dell’ultima ora. Lo cerco nei backstage, nei camerini dove riesce sempre ad intrufolarsi dopo lo spettacolo. Lo cerco tra gli ultimi spettatori che si attardano in platea. Lo cerco tra la folla di curiosi che si accalca nel retro del teatro, per strappare un autografo o per semplicemente vedere un attore da vicino. Lo cerco tra la coda di gente che attende pazientemente di riprendersi il proprio cappotto. Lo cerco tra gli avventori del bar dove si siede per bere l’ultimo bicchiere di vino. Ma eccolo qui. Eccolo qui fuori dal teatro, che passeggia fumando uno dei suoi puzzolenti Davidoff all’anice. Gli sto alle costole. Gli sono così vicino che riesco persino a contare i pochi peli che gli sono rimasti in testa. Addosso ha un cappotto nero: orribile. In una mano tiene una cartelletta nera di pelle, probabile regalo di laurea di due amorevoli genitori. Cammina ricurvo. Ad un tratto si gira e mi vede. Una fila di denti ingialliti dal tabacco: un bel sorriso di circostanza. Lui sa chi sono e io so chi è lui. Lui è quello che mi ha stroncato la carriera. Io, invece, sono quella che stroncherà la sua, stasera: vedrà che fine farà un grande critico come lui! Ecco che accelera il passo e fa ondeggiare quella testolina nera. Ma io sono più veloce di lui. Dalla mia borsa estraggo un pesante volume: il copione dello spettacolo che avrei dovuto recitare quella sera in cui scappai dal teatro. E ora giù, giù, giù su quella testolina pelata: «Ecco, critico, questo è il tuo spettacolo, scrivi la recensione su questo!» Lo lascio rantolante a terra e mi dileguo, felice. Adesso sono finalmente libera. Libera di tornare alla mia vita, al mio teatro. Libera di tornare a recitare i miei amati autori. Libera di calcare di nuovo le scene ed essere applaudita e amata dal mio pubblico. Libera di non vedere più quella testolina spelacchiata e quel pullover giallo pallido in prima fila, tutte le sere. Incubo di una notte di mezza estate di Nadia Martinelli È un lavoro affascinante ma quanto è difficile il nostro lavoro – disse la giovanissima critico teatrale neo-assunta al vecchio direttore dello Stabile. La ragazza mangiucchiava la penna e continuava a piegare l’angolo del quaderno a righe dove aveva scarabocchiato delle parole. Erano talmente illeggibili che, mentre parlava, continuava a chiedersi se fosse stata lei a consumare l’inchiostro della sua penna o se per caso avesse rubato il quaderno a qualcun altro. Il direttore l’osservava attraverso gli occhiali leggermente sfumati, la matita appoggiata sull’orecchio sinistro. Era seduto con aria triste e sconsolata e teneva i piedi uno sopra l’altro che sembravano avvitati. Aveva un sigaro spento tra le dita. Mia cara – disse schiarendosi la voce roca – lei ha un diploma e una specializzazione ottenuti presso la scuola di giornalismo, un buon curriculum, ma non basta. Dovrà impegnarsi duramente, imparare tutte le tecniche, i piccoli trucchi, dovrà, insomma, farsi le ossa. Si rende conto delle difficoltà, ragazza mia, che incontrerà lungo questo percorso? Il direttore corrugò la fronte, come chi sta per fare un discorso importante di fronte alla platea numerosa e attenta. Lei, invece spalancò gli occhi, si grattò leggermente la spalla destra e raddrizzò la schiena come chi s’appresta a sentire qualcosa di molto importante. Vede, ci sono cinquantacinque regole che la dovranno guidare nel suo lavoro presso la nostra agenzia. La prima, è la professionalità, che tradotto in parole semplici significa puntualità, serietà, correttezza, ...e così via. Nel cercare altre parole, il Direttore alzò l’indice destro in modo solenne, la giovane chinò la testa spaventata. La seconda, disse, alzandosi in piedi, è l’imparzialità, non se lo dimentichi mai! È la qualità di chi sa giudicare senza farsi influenzare dalle circostanze. Il direttore poi guardò fisso negli occhi la giovane critico teatrale, la quale rimase indecisa se distogliere lo sguardo o sostenerlo, mentre le spalle si abbassavano lentamente, dalla paura. La terza cosa è la democraticità: esprime la qualità di chi è democratico. Giovanna sudava, sudava sempre di più, le mani erano leggermente rossicce e non riusciva più a spostare le scarpe, sembravano incollate al pavimento, incollate usando quella pistola della colla a caldo. E ancora – disse, continuando con l’elenco – lei deve essere un critico severo, nei confronti di chi presenta questi spettacoli. Lei deve coglierne tutti gli aspetti anche quelli particolari. Ma lei deve anche osservarne tutte le sfumature, i toni tenendo ben presente il contesto di riferimento che fa da cornice…Lei deve capire fin dove può spingersi per dovere di cronaca…ma soprattutto quanto può essere dannosa nel suo mestiere la ricerca della popolarità presso il pubblico. Il direttore, senza mai distogliere lo sguardo da Giovanna, raccolse rapidamente la penna stilografica e l’agenda zeppa di carte, cartoline, buste, post-it e l’aprì... con rabbia strappò in piccoli pezzi, il... giugno 2005 5 Le Muse I RACCONTI… La sveglia suonò per la seconda volta e finalmente, il pulsante nero venne sfiorato dalle giovani dita ancora addormentate e ...sognanti. Trasalì, si guardò intorno, si alzò bruscamente e iniziò di nuovo a sudare. Superfluo, tutto questo, perché il suo contratto di lavoro riposava sul vecchio comò stile barocco. Giovanna aprì la finestra, c’era una palla giallo-arancio che le faceva l’occhiolino... ze degli svarioni di due “critici campanilisti”, come furono chiamati B. e T. Nessun giornale pubblicò più un loro articolo. B. e T. si ritirarono dall’albo e a nulla valse il tentativo di una loro nuova assunzione da parte di alcuni direttori per conclamato errore di valutazione. Si dice che B. e T. divennero grandi amici e continuarono in forma di scambio epistolare le loro appassionate recensioni. PS: ogni riferimento a fatti o nomi reali potrebbe non essere puramente casuale. B. e T. di Gianluca Zorzi B. e T. si odiavano a vicenda e cercavano di non incontrarsi mai, cosa improbabile visto che, pur lavorando per due quotidiani diversi, si occupavano dello stesso editoriale. Alla sezione Cultura dei rispettivi giornali la gente si divertiva a seguire i feroci attacchi a questo o a quello spettacolo, le stroncature di questo o quell’attore da parte di B., a cui si contrapponevano le delicate esplorazioni delle stesse opere e degli stessi artisti da parte di T. I due giornali andavano a ruba. Se si diffondeva la voce che B. si trovava al tal teatro per seguire la prima della tal opera, la gente affollava le platee durante le repliche nella speranza di vedere T. per canzonarlo o sostenerlo a seconda delle fazioni. A volte accadeva che i due, appunto, si incontrassero e allora erano scintille. Nascevano cori spontanei a sostegno dell’uno o dell’altro al punto che il personale del teatro era costretto ad accompagnarli in zone isolate per evitare ritardi imbarazzanti nell’apertura del sipario. In quei casi la rumorosa distrazione del pubblico costringeva la compagnia a lunghe pause tra una battuta e l’altra a sottolineare il fastidio di avere un continuo brusio di sottofondo. Intanto, da pertugi nascosti, B. e T. osservavano in silenzio e rigorosamente da soli lo spettacolo ed annotavano i propri commenti. «Un variopinto ed originale microcosmo la messinscena del regista» scandiva la recensione di T. di una pièce goldoniana. «Un nefasto retaggio di precedenti allestimenti» replicava B. per la stessa commedia. Oppure, commentando la performance del Parsifal, riferito al cantante, B. postillava: «Completamente sbilanciato, un bamboccio dagli occhi spiritati, con un modo di cantare da recital scolastico», a cui rispondeva T. con «un canto straordinario, intenso, senza fronzoli che suscita emozioni fortissime». Stralci di recensioni erano diventati addirittura dei veri e propri motti popolari, tanto che dai loggioni non si perdeva occasione di lanciarli come strali contro gli artisti. La corrente opposta rispondeva con fischi e applausi per contrastare l’impertinenza. Famoso il botta e risposta che fece letteralmente ribaltare dalle risate e dall’indignazione il pubblico di un piccolo teatro nel bolognese. Tutto era nato da un battibecco giornalistico nell’ambito di una rassegna di tragedie classiche: il «quanta potenza c’è nella donna che appare in scena!» di T. nella bocca di B. era diventato «quanta potenza c’è nella donna che appare in scena? Nessuna!» Quella sera l’entrata dell’attrice fu salutata da un’imbeccata che partì dal loggione a cui rispose in coro la galleria intera. A quel «nessuna!» urlato all’unisono da un centinaio di persone l’attrice svenne sul palco e il capocomico chiamò un «giù il sipario» con tanto di gestaccio alle zone alte del teatro. Gira voce che l’attrice non poté più calcare le scene. In generale, però, le compagnie amavano recitare sapendo che B. o T. avrebbero assistito alla pièce. La loro disputa personale animava il mondo teatrale e lo rinvigoriva, tanto che si parlava di un «nuovo periodo d’oro». I teatri erano pieni, i giornalisti cercavano di imitare i loro maestri e le testate dedicavano a questo o a quel dramma anche i titoli in prima pagina. Il famoso attore P., capocomico di una nota compagnia stabile, fu il primo ad indignarsi. Secondo lui tutto questo clamore non derivava dalla bravura degli artisti, non cadeva «dalle impervie cime dell’arte», come scrisse in un articolo dal titolo “Invettiva contro il critico”, bensì dal basso, ossia per merito di coloro che di arte «scrivono molto, ma capiscono poco». Seguirono altri articoli e numerose compagnie si schierarono con il famoso attore P. in nome di un alto significato dell’arte, piuttosto che cedere alla mercé della critica che, fino a quel momento, aveva sempre avuto una parte marginale nella fama degli attori, con articoli insipidi che nessuno leggeva. Questa improvvisa influenza, seppur con infiniti vantaggi dal punto di vista economico e di fama, stava causando, a detta loro, «una dipendenza dell’arte dalle farneticazioni di due parvenus». In breve tempo successe l’irreparabile. In un repentino cambio di tendenza, si cominciarono a pubblicare articoli in premeditato contrasto con il linguaggio semplice ed appassionato di B. e T. Venne adottato un codice complicato e ricercato che la maggioranza degli impresari, giornalisti, attori e autori salutò come gesto di «rispetto nei confronti dell’arte con la A maiuscola». Le recensioni divennero un cifrario segreto che agli occhi dei sostenitori di questa nuova corrente rappresentava il futuro della critica. Risultato, B. e T. furono licenziati. Ma come accade quando si agisce troppo in anticipo rispetto a future tendenze, presto le vendite colarono a picco; i lettori assistettero con indifferenza al cambio di registro e passarono ad altro tipo di intrattenimento; alcuni teatri chiusero per mancanza di pubblico e le compagnie cominciarono a lamentare carenze di fondi. «Poco male», dissero alcuni, perché «almeno l’onore dell’arte con la A maiuscola è salvo» e non più alle dipenden- Le Muse 6 giugno 2005 Così è di Michele Ruele A teatro, l’altra sera, un Pirandello … In un capoluogo di provincia. – Oggi. Approfitto dell’intervallo per farmi una fumata. Non ho granché da pensare, come mi succede sempre quando sono appena uscito da teatro: sto lasciando che i pensieri ricevano una forma da sé, senza insistere a dargliene una posticcia. Il freddo di gennaio è secco e limpido. Già: oggi pomeriggio ho osservato la luna appena sorta in mezzo al cielo sereno, adesso se ne sta appesa da una parte come una lampadina solitaria. Sul retro dell’auditorium dove s’è radunata la folla del sabato sera c’è un’oscurità insolita. È la strada che faccio molte volte al giorno, questa, una scorciatoia per tornare a casa, o da casa andare verso scuola o in libreria… Non mi sono accorto prima dell’uomo a pochi metri. Contro il lume della luna, ho davanti a me una maschera scura e il cappello gli nasconde tutta la fascia superiore del volto. Forse è un tecnico o qualcuno della compagnia venuto fuori a fumare, anche lui. L’uscita del palco è proprio da questa parte. È un po’ ingobbito, e poi distinguo il mento affilato. Mi sembra che abbia voglia di parlare, ma forse non si fida. O forse vuole chiedermi di accendere. Vado io verso di lui. È sempre incerto. Gli sono ormai a due passi. Ci ritroviamo nel taglio di un angolo di ombra, lui nel nero e io alla luna. C’è il rumore abbastanza distante del traffico e di quando in quando le porte del teatro si aprono per qualche motivo e ci arriva l’eco di un comando o qualche accenno di discorsi di chissà chi. L’uomo mormora qualcosa. Io non capisco, poi le parole si fanno largo: «Soverchio amore». «Prego?» faccio io. «Soverchio amore» ripete l’uomo, più forte. «O forse nessun amore, o un amore diabolico, inaccettabile». «Dice di Così è (se vi pare)?», forse vuole parlare del dramma che stiamo vedendo. «Già, questo danno stasera, vero?» «Ma perché – gli chiedo – Lei non era dentro…?» L’ombra fa un gesto con la mano. Sarà un insonne che fa quattro passi. «Come Le pare… dico… lo spettacolo» ha una inflessione strana, un po’ sopra le righe e gelida, con una vocetta acuta. Allora gli interessa il teatro, non è qui solo per caso. «Vede…» attacco io, e sto per dirgli che appena vedo una scenografia con le due uscite laterali – a meno che non si tratti di una tragedia greca – di solito comincio a sentire un senso di noia che… Lui non mi lascia nemmeno cominciare. «Insistono tanto con queste entrate laterali, sarebbe meglio invece che l’andare e il venire dei personaggi fosse meno enfatico, e poi stasera, tutti quei movimenti dei personaggi tutti insieme, insomma, sembravano delle pecore…». Rifletto che forse è molto solo e ha voglia di parlare con qualcuno, uno qualsiasi. Non era qui per caso? Che ne sa dell’allestimento di uno spettacolo che dice di non avere visto? Spengo la cicca con movimenti vistosi e faccio per riavviarmi verso il teatro. La luce della luna è davvero limpida, stasera. L’uomo adesso ride, con una risata forte, sonora. Allora è pazzo – mi guardo un po’ intorno. Ma è sottile e anche anziano, cosa può farmi? «C’era tanta gente, vero?» dice. «Sì, sì, ce n’è tanta… Per Pirandello i teatri si riempiono sempre…» «E poi, cosa si guarda di solito?» chiede. Capisco che devo accondiscendere un po’, poi mi lascerà in pace: «Bè, Goldoni tiene molto…» «Chi?» «Goldoni, Carlo Goldoni, sicuramente lo conoscerà anche lei… sa, La locandiera, Le baruffe chiozzotte…» «Ah, quel veneziano del Settecento… viene rappresentato ancora?» «Ma sicuro, cosa vuol dire… certi testi non hanno tempo… per quanto Goldoni, in effetti… poi si vede molto Shakespeare, certo…» «Ah, sì – sembra entusiasta – sì certo, Shakespeare… e spero anche quegli spagnoli del Seicento, visto che le cose antiche ancora tengono…» «Mah, più Molière a dire il vero… e poi anche Novecento, parecchi francesi, ma creano un certo scandalo, come Genet, Sartre… e poi Beckett…» «Ah, il Novecento… – dice lui – … ma la storia è tutta quanta così caotica, non le pare?… e Pirandello si rappresenta vero? Lo vanno a vedere volentieri…» «Sì, sì, sempre, è un classico, certo… non so se volentieri…» «Quegli altri, anche quelli che ha detto Lei, del Novecento, non le sembrano un po’… come dire… deboli di contenuti… gli manca forse del sentimento, quel patetico che consente anche all’intelligenza di cogliere certe assurdità… non le pare?» «Forse sì – rispondo – è un assurdo un po’ algido…» «Avete un bel teatro qui, forse un po’ grande e dispersivo…» «È un auditorium…» «Che parola antiquata per un oggetto moderno… E ci sono teatri come una volta, con la platea e i palchi, la ribalta… all’italiana?» È strano quest’uomo, vabbè, è chiaro che è svanito… Gli parlo scandendo bene: «Sì, certo, questa è una struttura moderna…» «Ma Pirandello va bene comunque…» «Sì, sì, …» Lui ride di nuovo e poi dice: «Ma senta, lei cos’ha capito di questa storia che sta guardando stasera?» «Io? Guardi, il testo lo conosco abbastanza bene, è chiaro che il genero e la suocera sono amanti, però mi chiedo se Pirandello volesse davvero farne il centro della vicenda oppure se gli indizi gli sono come dire sfuggiti dalla penna…» «Lo sapeva lo sapeva, non si preoccupi» dice lui. «… e poi mi guardo intorno e mi accorgo che la maggior parte degli spettatori ha voglia di lasciarsi consolare più che di farsi mettere in discussione – magari farsi fantasma o pazzo come qualcuno sulla scena… e inoltre, tutta questa ricerca, sembra un processo, ma i veri indiziati sono quelli che si impalcano a indagatori, a giudici…» «Lei pretende troppo, giovanotto…» Oh, insomma, anche farmi chiamare giovanotto… comincio ad averne abbastanza sul serio… «Ma la gente, dica, non trova questo dramma troppo… come dire… azzardato… o diabolico…?» chiede e gli scappano delle risate brevi, come se non riuscisse a trattenersi. È davvero pazzo, è evidente. Provo a dirgli qualcosa: «… oggi non si scandalizzano più di niente, ma forse non se ne coglie la portata… la gente non ha mica sempre desiderio di interrogarsi… e poi ancora oggi tutti credono che l’amore e lo spirito siano puri, innocenti, immuni da odio o da componenti oscure o da contraddizioni, invece Pirandello l’aveva già capito allora che c’è una zona oscura, alla quale occorre affacciarsi, che occorre essere tutti pazzi, o ebbri, perfino crudeli… Mah, non si possono dire esplicitamente queste cose, mica tutti le accettano…» «Non le sembrava – fa lui – un po’ troppo cupa, questa scena, in questo allestimento, tutto così grigio…?» e ancora ride. Ride anche mentre parlo, mi dà proprio fastidio. «Mah, forse…» voglio dirgli che il regista intendeva insistere sul testo del dramma e non gli interessa l’impatto della scena, che non deve prendere il sopravvento, e poi che in verità la maggior parte di quelli che sono sul palco sono morti, forse veramente o forse solo spiritualmente, che non si sa dove è il fantasma, dove la realtà… «Senta – mi interrompe lui e ride ancora – là non si sa dove è il fantasma, dove è la realtà… e nessuno pensa alla povera sposa, alla figlia, che è sempre assente… eppure tutti, tutti la desiderano, come la morte, la morte capisce, amano la morte, qualcosa che non c’è… e hanno tutti quei sensi di colpa, tutti sono pieni di sensi di colpa…. Solo Laudisi, che ride, che ride… lui sì… desiderano la ragazza e vorrebbero essere tutti come il genero, il signor Ponza…» L’ombra ride sempre più forte, la voce ha un riverbero strano contro le pareti delle costruzioni intorno e mi sento avvolto dall’eco. La luna per un momento mi sembra che oscilli nella sua altalena di cielo limpido, ho paura che scivoli in uno strappo del cielo e mi sento come se dovessi allungare le mani per salvarla, per non farla cadere giù. La guardo, poi mi osservo intorno. L’ombra non c’è più, nel suo angolo tagliato dal lume di luna. La vedo in fondo alla strada del teatro, ingobbita, fermarsi per un attimo poggiata al bastone e ridere, ridere forte, con la barba a pizzo sollevata nel chiaro di luna, ridere senza fermarsi più e urlarmi, sempre ridendo: «… rifletta, giovanotto, rifletta, ma non troppo, che tanto non serve a niente…» All’improvviso non voglio che se ne vada, tutto intorno mi diventa buio e insopportabile. «Ma chi sei, chi sei tu?» gli urlo. «Io… sono… ma che importa… Ah! ah! ah! ah!» Io sono paralizzato: «Torna qui! Dove vai?» «Non posso… vado di là… tu torna a teatro, ah!, vedrai che ridere…» Sul davanzale della finestra c’è una vecchia edizione Mondadori di Maschere nude, giallina con dei fregi floreali. C’è una pagina segnata da un giornale del 10 dicembre 1936. Un brano sottolineato a matita, con una riga regolare e perfettamente diritta, alla fine di Così è (se vi pare): Resteranno tutti, di nuovo, sbalorditi, in silenzio, a guardarsi tra loro. Laudisi (facendosi in mezzo). Ed ecco, signori, scoperta la verità! Scoppierà a ridere: Ah! ah! ah! ah! TELA Attività di formazione LIRICA 0405 I MESTIERI DELL’OPERA BORSE DI STUDIO Dal 1999, in collaborazione con la Fondazione Carlo, Aldo e Maria Stella Tartarotti, ogni anno il Centro prevede l’inserimento di alcuni borsisti, a fianco dei professionisti di livello internazionale impegnati nella produzione di apertura della Stagione lirica. In occasione della produzione di “Idomeneo” sono state assegnate quattro borse di studio, del valore complessivo di 6200 euro, volte alla formazione professionalizzante di un aiuto direttore di scena (Sonia Franzolin), un maestro collaboratore (Francesca Aste), un addetto alla sovratitolazione (Elena Nicolini) ed un assistente di produzione (Anna Maria Nardelli). QUATTRO PASSI ALL’OPERA IDOMENEO Al progetto “Quattro passi all’opera”, rivolto a studenti ed insegnanti delle scuole superiori, hanno partecipato tre istituti (Istituto Geometri Pozzo, I.T.I. Buonarroti ed Istituto Rosmini), per un totale di 136 studenti e 10 insegnanti. Il progetto, articolato in quattro tappe, ha visto gli studenti prendere parte ad un incontro introduttivo in classe, tenuto da Cristina Pietrantonio; la seconda tappa è stata la visita al Teatro Sociale, con la presentazione degli interpreti ed il racconto della trama da parte del regista, arricchita dall’esecuzione dal vivo delle principali arie; terzo passo è stata la partecipazione alla prova generale di “Idomeneo“ presso il Teatro Sociale. Il quarto passo, condotto in classe, è stato l’approfondimento dei contenuti trasmessi e la verifica degli stessi tramite questionario. Il tutto patrocinato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto. PERCORSO TEMATICO La Stagione Lirica del Centro viene presentata al pubblico attraverso un filo rosso tematico individuato all’interno delle opere del cartellone. La proposta tematica è evidenziata nei testi di presentazione pubblicati sul libretto generale e sui programmi di sala e nella scelta iconografica a questi accostata. Il percorso 04-05 è stato incentrato sul tema del mare. I VIAGGI DE “GLI AMICI DELLA LIRICA” Ogni anno, ad arricchire le proposte della Stagione Lirica, il Centro organizza una serie di trasferte verso i maggiori teatri italiani, con guida all’ascolto del titolo di volta in volta proposto, tenuta sul pullman durante il viaggio di andata. Nella Stagione 04-05 gli appuntamenti, fino ad ora, sono stati: L’Europa ricostruita di Antonio Salieri al Teatro La Scala di Milano, Le Roi de Latore di Jules Massenet al Teatro La Fenice di Venezia e Porgy and Bess di George Gershwin al Teatro Cumunale di Bolzano. OPERA COCKTAIL La Stagione 04-05 ha proseguito con questa proposta, presso la sala Medievale e la Sala Volkenstein di Palazzo Festi. Nelle serate di debutto di ciascun titolo della Stagione Lirica l’attrice Giovanna Scardoni ha presentato la trama dell’opera, con la collaborazione dei maestri Eddi De Nadai, Andrea Albertin e Mauro Fabbri. Il pubblico ha poi avuto l’occasione di prenotare la cena con specialità “in tema”. I CONCERTI ALL’ORA DEL TÈ Onde sonore I tre testi teatrali, accompagnati dall’ascolto di arie dalle tre opere di Puccini, e non solo, sono nati dal tentativo di rileggere in controluce, con ironia e partecipazione, le diverse forme di amore e di passione vissute e rimaste per sempre fissate nelle storie di Turandot, Tosca e Butterfly. Rievocate dal canto e dalla memoria delle loro interpreti contemporanee, queste storie tragiche e sublimi hanno preso inaspettate direzioni e soluzioni: lo Studio di un Analista (per Turandot), le sedute da un Mago astrologo (per Tosca) e il desiderio del figlio di Butterfly di tornare a Nagasaky. Testi di Emanuela Rossini, regia di Cristina Pietrantonio, costumi di Chiara Defant. Hanno partecipato i soprani Elisabetta Battaglia, Manami Hama e Nunzia Santodirocco, il tenore Francesco Anile, il baritono Ste- A cura di Cristina Pietrantonio relazione conclusiva PROGETTI DI FORMAZIONE LIRICA 2004-2005 TOTALE PARTECIPANTI: 3.479 fano Anselmi; i pianisti Andrea Albertin, Gianfranco Iuzzolino, Valeria Vitaterna; le attrici Cristina Ferraioli, Emanuela Faitelli e Giovanna Scardoni. Complessivamente i tre appuntamenti hanno totalizzato 306 presenze. OPERA DOMANI L’amore delle tre melarance Opera Domani è un progetto volto ad avvicinare insegnanti e ragazzi al grande patrimonio dell’Opera lirica. Un patrimonio di valori ed emozioni che costituisce una parte importante della nostra cultura, rivolto al secondo ciclo delle scuole elementari e scuole medie del Trentino. Si inizia con una giornata di aggiornamento rivolta agli insegnanti. Durante l’anno scolastico poi, supportati dai docenti delle scuole musicali, gli insegnanti lavorano in classe con i ragazzi, entrando a poco a poco nel mondo dell’opera. In particolare si imparano a cantare una serie di cori e brani musicali tratti, quest’anno, dall’Amore delle tre melarance di Prokof’ev. L’obiettivo è quello di formare uno spettatore attento e consapevole. Ogni ragazzo ha una copia a stampa del libretto didattico che contiene una presentazione dell’opera, i testi del libretto, gli spartiti dei cori ed una serie di proposte di gioco ed attività didattiche. Viene messo a disposizione degli insegnanti un cd, appositamente predisposto, con i brani corali che i ragazzi memorizzeranno, in versione cantata ed in versione con la sola base musicale. Il 12 e il 13 aprile, ad ore 9.30 e ad ore 11.30, il Teatro Auditorium ha ospitato quattro recite de L’Amore delle tre melarance, in versione ridotta, cioè ripensata per un pubblico di giovanissimi. La durata è contenuta entro un’ora e mezza circa, viene effettuata una elaborazione drammaturgica e strumentale, le scenografie ed i costumi sono creati per narrare una bella storia ai ragazzi. I quali, nel corso dello spettacolo, vengono invitati dal direttore d’orchestra ad intervenire, cantando assieme ai protagonisti i brani imparati in classe e dando vita a piccole azioni sceniche. I cantanti sul palco sono i vincitori del concorso lirico internazionale AsLiCo. 2849 tra insegnanti e ragazzi hanno partecipato a questa VI edizione del progetto, provenienti dagli Istituti Comprensivi di: Aldeno-Mattarello; Andalo; Arco; Bassa Anaunia; C. Freinet Pergine; Cembra; Cles; Dro; Giudicarie esteriori; IseraRovereto; Ladino di Fassa; Lavis; Levico; Mezzolombardo; Primiero; Revò; Riva 2; Rovereto est; Taio; Trento 1; Trento 3; Trento 6; Trento 7. Le scuole musicali che hanno seguito e supportato il percorso: Il Diapason - Trento; Minipolifonici - Trento; Suono Immagine e Movimento - Borgo Valsugana; Centro Servizi Culturali C. Eccher - Cles; Scuola Musicale C. Moser Pergine; Civica Scuola Musicale R. Zandonai - Rovereto; Arte Musica - Riva del Garda; Scuola Musicale Primiero. Con la sovvenzione dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto. Dal 1999, anno in cui il Centro S. Chiara ha avviato questo progetto, più di 13.000 ragazzi, provenienti da tutto il territorio provinciale, hanno partecipato ai percorsi su Don Chisciotte, Falstaff, Guglielmo Tell, Orfeo ed Euridice, L’Elisir d’amore. Pubblichiamo alcuni stralci degli scritti a forma d’articolo pervenutici dagli studenti dell’ITI Buonarroti di Trento sul progetto “Quattro passi all’opera- Idomeneo, re di Creta” Idomeneo, re di sentimenti Pubblico giovane per un’Opera antica Tra spinte e battute, a frotte gli studenti escono dal teatro ed invadono via Oss Mazurana scappando poi velocemente verso casa. Forse in televisione c’è qualcosa di più appetitoso. «Non avrei mai pensato che una regia potesse influenzare in maniera così forte l’ambiente di una tragedia!» Mi giro e mi accorgo che a parlare tra la gente in uscita è un compagno più grande, di quarta Iti. L’osservazione mi trova d’accordo e mi incoraggia a scambiare qualche battuta con i miei amici di classe. Non è frequente avere la possibilità di assistere ad un’opera tea- L’amore delle tre melarance trale e se all’inizio c’è ritrosia, se durante la rappresentazione si sbuffa un po’ perché non è facile digerire uno spettacolo a cui non si è abituati, alla fine si rimane anche sorpresi per quanto si è potuto imparare. «Chi avrebbe potuto immaginare che una storia ambientata nell’antica Creta – dice Manuel – potesse essere riletta in un ambiente dei nostri giorni?». «Tu hai capito – aggiunge Simone – che cosa significa il clown proiettato sulla vela di quella barca?». Tornando a casa da solo riflettevo sulle scenografie, ma anche sui dialoghi dei protagonisti. Non era facile accettare lo spettacolo inconsueto, ma certamente ho scoperto un mondo diverso, una letteratura diversa. Il regista ha… ipotizzato oggetti lontani dal contesto cretese antico della vicenda… (per) spingere lo spettatore a capire, attraverso la simbologia, i significati dell’opera che superano i confini temporali della vicenda storica narrata, catturando l’attenzione degli spettatori con formidabili cambi di scena. La prima cosa che mi ha colpito, nell’assistere a quest’opera, è stata la semplicità e l’atrocità dell’argomento. Idomeneo sottovaluta la capricciosità del dio, pensa di venire a patti con lui. Questa è la presunzione di cui Nettuno si fa beffe. Un dio spietato, del quale mi sembrava quasi di sentire la risata… Mi sembra che quella risata sinistra e demoniaca affiori in ogni punto del dramma. Mi sembra di sentirla nel lieto fine quando, dopo aver costretto il povero re ad un passo dallo sgozzare il figlio, infine lo perdona, gli ferma la mano ma gli ordina di deporre lo scettro, lo umilia, lo spoglia definitivamente di qualsiasi velleità egli potesse aver coltivato dall’aver vinto contro i Troiani. Musiche di un Mozart già maturo si fondono con l’ottimo libretto di Giambattista Varesco in un’opera nella quale il rapporto uomo-Dio è al centro. Ottimamente viene rappresentato… l’incombere del secondo sul primo: sul palcoscenico e la platea sono issati due grandi teli bianchi leggermente drappeggiati che servono proprio a far intuire questo rapporto di forza. Molto bella anche la rappresentazione del mostro marino, con due teloni posti in modo verticale. Opera ben realizzata da un cast d’eccezione. Punti di forza sono: il coro, composto da quaranta voci strepitose, e la “nuova” concezione dello spazio. Lo spettacolo, infatti, si svolge non solo sul palco, ma su tutta la platea, addirittura nei palchi, rendendo lo spettatore un attore. Andrea De Rosa è riuscito ad allestire uno spettacolo originale e coinvolgente, capace di suscitare forti emozioni anche in chi andava a teatro per la prima volta. Nel complesso troviamo un’opera innovatrice che in alcuni casi sa offrire spunti di ottima qualità, quali i famosi “teli” e l’utilizzo pertinente di fari e proiettori per la creazione di bellissimi giochi di luci ed ombre. In altri casi pecca proprio di eccessiva tendenza innovatrice, come nel caso del Nettuno raffigurato da pagliaccio… Il tema, impregnato di sentimenti, ha saputo catturare l’attenzione di centinaia di ragazzi giunti dalle varie scuole di Trento. Martina Tomatis, Alessandro Sartori, Stefano Larentis, Alberto Batocchio (Iti Buonarroti) giugno 2005 7 Le Muse CA giugno 2005 Me 1 LEND Museo Tridentino di scienze naturali Incontro per un dialogo diretto: Caffè scientifici Lu O I AR 6 Atrio - Teatro Sociale ore 17.00 - ingresso libero Me 1 Orchestra Haydn, Conservatorio F.A. Bonporti di Trento e Conservatorio C. Monteverdi di Bolzano Rassegna cinematografica: CineAnime Teatro Cuminetti ore 21.00 - ingresso: biglietti euro 2,50 singolo film, abbonamento a sei film euro 7,50 Me 8 Scuola danza L’altro Movimento Spettacolo di fine anno Teatro Auditorium ore 20.30 - ingresso: biglietti euro 11 Concerto Orchestra Haydn con i migliori solisti allievi dei Conservatori di Musica di Trento e Bolzano Teatro Auditorium ore 20.30 - ingresso libero Associazione Anomalie Me 8 Museo Tridentino di scienze naturali Incontro per un dialogo diretto: Caffè scientifici Atrio - Teatro Sociale ore 17.00 - ingresso libero da Me Comune di Trento - Galleria Civica 1 a Do 12 Me 1 Mostra: “A scuola con gli Artisti 2005” Spazio Foyer - ingresso libero mercoledì 1 ore 17.00 da giovedì 2 a domenica 5 dalle 10.00 alle 18.00 Scuola Media Bonporti Me 8 Liceo G. Galilei Spettacolo teatrale: Passi sospesi Teatro S. Marco ore 20.30 - ingresso libero Me 8 Opera Universitaria Spettacolo teatrale: Odissea Teatro Cuminetti ore 21.00 - ingresso: biglietto unico euro 8 Spettacolo teatrale: Una losca congiura Teatro Cuminetti ore 10.30 ed ore 17.00 - ingresso libero Gio Ve 3 9 Scuola di Danza Classica G. Arnoldi Teatro Sociale ore 21.00 - ingresso: biglietti euro 25/20/15/10 Gio 4 Concerto de “I Solisti Veneti” e Uto Ughi Spettacolo di balletto Teatro Auditorium ore 20.30 - ingresso: biglietti euro 11 Sa I Solisti Veneti 9 Teatri Possibili Spettacolo teatrale: Vino dentro Teatro Cuminetti ore 21.00 - ingresso: biglietti euro 11 intero, 8 ridotto Atelier della Danza Trento di Rossana Liberalesso Saggio di fine anno “Carnevale a Venezia” Teatro Cuminetti ore 20.30 - ingresso libero Ve 10 Teatri in corso Spettacolo teatrale: L’idolo di Prospero Teatro Cuminetti ore 21.00 - ingresso: biglietti euro 8 intero, 6 ridotto Do 5 Club La Fourmie Spettacolo di Danza Moderna: Herry Potter Teatro Auditorium ore 20.30 - ingresso: biglietti euro 11 Gio 16 Provincia Autonoma di Trento - Servizio Attività Culturali Presentazione “Progetto Memoria” Teatro Sociale ore 21.00 - ingresso libero Do 5 Estroteatro Saggio di fine anno: La tempesta Teatro Cuminetti ore 21.00 - ingresso: biglietti euro 7 intero, 5 ridotto Gio 16 Teatri in corso Spettacolo Teatrale: Re Lear Teatro Cuminetti ore 21.00 - ingresso: biglietti euro 8 intero, 6 ridotto Lu 6 Club La Fourmie Spettacolo di Danza Moderna di Hip Hop: “Un secolo di…” Teatro Auditorium ore 20.30 - ingresso: biglietti euro 11 Lu 6 Provincia Autonoma di Trento - Servizio Formazione Professionale Chiusura corso Tecnico d’immagine Teatro S. Marco ore 14.30 - ingresso libero Ve 17 Sa 18 Me 22 Estroteatro Saggio di fine anno Teatro Cuminetti ore 21.00 - ingresso: biglietto unico euro 5 Opera Universitaria Concerto “Perturbazioni” Giardino - Centro Servizi Culturali S. Chiara ore 20.00 - ingresso libero Trento Estate, nei mesi di luglio e agosto, anima luoghi della città che possono essere finalmente “vissuti” grazie alla bella stagione. Piazze, giardini, parchi, cortili, in centro e nei sobborghi. È questa l’ispirazione base che ha portato il Comune di Trento e il Centro Servizi Culturali S. Chiara a sviluppare questa manifestazione nel corso degli anni, per dare un’opportunità di divertimento anche a chi resta in città. Numerosi i concerti proposti, di generi musicali diversi, a cui vanno aggiunti gli appuntamenti con il teatro nel giardino del Centro Servizi Culturali S. Chiara. Diversi saranno anche quest’anno, e distribuiti in diverse Circoscrizioni cittadine, gli spettacoli per i bambini. È proseguita anche la scelta di coinvolgere i Parchi cittadini in Trento Estate, con proposte mirate ad un giusto inserimento in una cornice naturale. La proposta complessiva della manifestazione è arricchita da iniziative di animazione, da momenti di festa popolare, da spunti nati spontaneamente dal ricco panorama dell’associazionismo e raccolti dalle Circoscrizioni che si sono spese in uno sforzo di raccordo e promozione su tutto il territorio cittadino. Il prossimo numero de “Le Muse” sarà dedicato a Trento Estate.