Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre Tesi Scuola Italiana di Playback Theatre IL CORPO DELLA STORIA Tatiana Sicouri Novembre 2009 Tatiana Sicouri 1 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre Indice Libere associazioni sulla scena .....................Pagina 3 Introduzione ................................................................................................5 IPTN - RETE INTERNAZIONALE STRUMENTI ESPRESSIVI .................7 ESTETICA IN AZIONE - Il qui e ora in scena ............................................8 STRUMENTI ESPRESSIVI …...................................................................11 Uso della voce ….......................................................................................11 Abitare il corpo …......................................................................................12 • Corpo come 'soggetto simbolico' • Corpo come luogo di sensazioni • Luogo dell'associazione originaria • Azione segue ad azione • Dare voce al corpo RELAZIONE TRA GLI ATTORI e STUDIO …............................................14 • Il 'terzo occhio' • Ritmo del gruppo • Contaminazione reciproca • Autonomia espressiva • Consapevolezza corporea • Buona integrazione respirazione-movimento • Leadership ENTRARE E USCIRE DAL RUOLO ….....................................................17 GLI ATTORI PERSONE - Dal tuo al mio dal mio al tuo e viceversa .......19 Bibliografia Tatiana Sicouri 2 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre Libere associazioni sulla scena Gli attori mettono in scena le storie e le emozioni raccontate dal pubblico. Gli attori incarnano le storie narrate e le emozioni che le rivestono. Gli attori assumono su di sé le emozioni non narrate, che nascono sulla scena, nel momento in cui l'azione restituisce vita alla narrazione. Le narrazioni si susseguono e gli attori entrano ed escono dai ruoli. I ruoli nascono sulla scena, a partire dai racconti del pubblico. I ruoli nascono nell'azione. Gli attori diventano persone, oggetti, sentimenti, emozioni, concetti, voci, suoni, parole. Gli attori danno corpo alle emozioni regalate. I corpi degli attori vivono la storia. Il corpo dell'attore vive ciò che accade sulla scena. Il corpo vive. Il corpo è. Il corpo si trasforma sulla scena, mentre gli tutti sono corpo e voce. La voce e il corpo si lasciano vivere e agire. La voce è corpo dell'emozione dell'attimo. In un attimo la scena cambia e l'attore vive se stesso nella trasformazione. Nuove forme costringono il corpo ad essere altro. Sento il mio corpo e trovo un suono. Suono e corpo diventano esistenza reale. Relazione tra esseri viventi che cambiano continuamente. Io sono la mia voce, sono il mio corpo, sono quello che sento mentre accade quello che faccio, mentre sento ciò che accade. Tatiana Sicouri 3 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre Divento continuamente senza poter pensare di scegliere cosa essere. Ma scelgo come fare ciò che sono, quando riesco a vedere me stessa mentre faccio ciò che accade. Non l'avevo scelto, ma adesso che ci sono dentro posso scegliere di non esserlo. O di modificarlo, ampliarlo, ridurlo, offrirlo a chi vive con me questa trasformazione, o fermarmi e guardare chi mi ha permesso di esplorare questa parte di me. Di noi. Perchè siamo lì insieme a raccontarci storie. Vere, false. Storie. Siamo due parti della stessa storia. Tu dici e io provo ad essere. Noi diventiamo insieme ciò che tu dici. Sono così come sono, con il mio corpo e la mia voce, mentre cerco di non pensare e allo stesso tempo lascio che i pensieri mi attraversino, come immagini di un sogno ad occhi aperti. Freeze. Applausi. Ruolo neutro. Sguardo al narratore. Pronti. Via. Tatiana Sicouri 4 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre INTRODUZIONE Attenzione alla morale: ci svaluta di fronte a noi stessi Attenzione alla compassione: ci sovraccarica dell'indigenza altrui Attenzione alla 'spiritualità': ci corrompe il carattere, rendendo estremamente solitari: solitari, cioè non vincolati, disancorati... Friedrich Wilhelm Nietzsche Per quanto non ufficialmente teorizzata da Jonathan Fox, la funzione di specchio, o meglio di rispecchiamento, è a mio avviso uno dei principali strumenti di alleanza tra pubblico e compagnia di Playback Theatre, tale da permettere ad una performance di attraversare il proprio processo inatteso, doloroso o piacevole che sia, costruendo un dialogo trasformativo sempre nuovo. Gli attori restituiscono al narratore il corpo della storia. Sulla scena gli attori sono azione e parole, corpo e voce. Credo profondamente nel ruolo principe che svolge il corpo nell'azione scenica. Molto spesso le parole sono importanti, per capire il senso dell'azione o per arricchire di senso le forme, non sempre leggibili univocamente. Per questo preferisco però, scelta opinabile, un uso essenziale del linguaggio, al fine di evitare ridondanza e banalizzazione. Parole chiave e frasi mirate rendono davvero pregnante la scena, che a sua volta preferisco non eccessivamente lunga né straripante dal suo nucleo essenziale. Ma ancora più caro mi è l'uso che del corpo gli attori fanno sulla scena. Sono abbastanza convinta del valore iconico della scena essenziale. Credo che lo spettatore venga fortemente colpito dalla scena, per come si presenta ai suoi occhi, per l'immagine o fotografia mentale che gli lascia impressa nella memoria, dopo che la scena si è dileguata. Da un lato, dunque, credo che agli attori spetti il compito di curare l'equilibrio della scena esteticamente1, per l'uso che fanno del proprio corpo, della relazione con il corpo degli altri e dello spazio scenico su cui si muovono. Allo stesso tempo, esteticamente appunto, agli attori diventa necessario saper ascoltare sé stessi, i propri sentimenti, che sulla scena nascono inaspettati nell'improvvisazione collettiva. Ed è dal proprio corpo che arrivano i messaggi emotivi, dal corpo nascono le idee per l'evoluzione della scena, nel corpo si percepisce l'azione subita per mano di un controruolo, il corpo incarna bisogni del qui e ora e li esprime attraverso forme, suoni e parole. Un doppio livello di attenzione pone l'attore in un confine sottile, la cui esistenza va tutelata con cura e allenamento, tra controllo deliberato della propria azione e libera associazione corporea, spesso lasciata fluire tra l'abbandono al proprio corpo e l'affidamente alle proposte d'azione degli altri attori. Tra guidare e lasciarsi guidare, l'attore di PT deve allo stesso tempo pensare e non 1 Estetico, dal gr, Aistetikòs, sensibile, capace di sentire; dalla radice Aisthànomai, percepisco, sento per mezzo dei sensi, poi sensazione, sentimento; da cui il concetto di bello come percezione confusa che deriva dal sentimento; voc. Etim. Tatiana Sicouri 5 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre pensare, proporre e accogliere, essere e sentire, tenere vivi e presenti quelli che Moreno chiama Io Attore e Io Osservatore. In questo difficile processo di sviluppo della scena, rapido perchè improvvisato, credo sia molto importante la relazione dell'attore con il proprio corpo, la confidenza con cui ascolta i suoi messaggi e l'intenzionalità con cui lo muove. Da dove parte l'azione? Dalla testa, dal ragionamento, dalla progettazione di un attimo? Dalla posizione in cui mi trovo? Dalla frase pronunciata da un altro attore? Da un contatto? Da una parola? Da un impulso motorio? Da un gesto? Da un'idea? La risposta non è facile. Probabilmente questi e altri elementi sono contemporaneamente attivi o spenti in attimi diversi. Come performer a volte mi blocco, chiedendomi 'cosa faccio?' Allora scelgo di respirare. Tutto il resto segue. In queste pagine tenterò di portare le mie riflessioni (più esperienziali che teoriche) sul ruolo che la dimensione corporea svolge nel lavoro di attori di Playback Theatre. La premessa anticipava già una parte del processo di libere associazioni, che ho cercato di ricostruire a freddo, che sulla scena legano per me l'azione e il pensiero. Tatiana Sicouri 6 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre IPTN Internazional Playback Theatre Network2 RETE INTERNAZIONALE E STRUMENTI ESPRESSIVI International Playback Theatre Network è una rete internazionale che convoglia le compagnie di Playback Theatre (PT) di tutto il mondo. Per sua natura il PT è uno strumento di narrazione e di ascolto. Il fatto che abbia un riconoscimento internazionale ne valorizza la componente interculturale e sovranazionale, che io ritengo un elemento fondante la sua stessa esistenza. La mia prima esperienza 'internazionale' di PT è stata l'incontro con Jonathan Fox, nel 2002. In altre occasioni ho potuto partecipare a workshop che mi hanno, a più riprese, permesso di incontrare persone di differenti nazionalità, osservare come spettatore diversi usi della scena, agire sulla scena come performer nell'ascolto di altri linguaggi scenici. In tutte queste occasioni ho potuto riscontrare quanto valore abbia l'espressività dell'attore al di sopra del significato delle parole, se l'attore è consapevole degli altri strumenti di cui dispone. Il corpo e la voce. Corpo come plasmabile materia. Voce come strumento musicale, voce dell'anima, materia palpabile diretta ai sensi (le orecchie, gli occhi, la pelle, la mente). Gli scambi internazionali sono quasi impliciti all'esperienza e alla formazione di chi pratica PT. Numerose sono le occasioni di incontro per chi vuole cogliere dallo scambio e dal confronto buoni spunti per lavorare su di sé, come attore e come persona. In queste occasioni diventa necessario valicare i confini della propria appartenenza linguistica e culturale, per trovare punti di contatto e linguaggi condivisi con persone di altri paesi, con altri linguaggi verbali, altri linguaggi corporei, altri impliciti simbolici, altre attitudini relazionali e comunicative. Non è nei momenti informali di incontro che questo sforzo si mette in atto (perchè la comune lingua inglese solitamente corre in soccorso), ma sulla scena, nell'azione, nel reale momento in cui ogni attore è più che mai sé stesso, come persona in carne e ossa nell'hic et nunc di ciò che accade, nell'improvvisazione spontanea3. Sulla scena gli attori trovano, nei brevi attimi offerti dall'improvvisazione, punti di contatto per poter collaborare. Accade molto spesso che performer di diverse nazionalità usino sulla scena la propria lingua, anche se non è condivisa da tutti. Come questo rende possibile a tutti gli attori la partecipazione e la collaborazione? Il modo in cui un attore di PT è in scena, come incarna le parti di una storia, attraverso la sua persona, come corpo in azione e come voce delle proprie risonanze emotive, è accessibile a tutti i linguaggi, dunque utilizzabile sulla scena da tutti gli attori ed è questo che permette di valicare i confini linguistici. 2 IPTN Website: www.playbacknet.org 3 Uso qui la parola spontaneo nell'accezione moreniana, che arricchisce di libero arbitrio la possibilità di essere innovativo o conservativo, secondo la propria disponibilità emotiva e livello di ansia, ovvero il migliore adattamento possibile ad una situazione nuova e difficile (da Lo psicodramma, Anne Ancelin Shutzenberger). Tatiana Sicouri 7 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre Nello specifico, le riflessioni che seguono mirano ad affrontare una parte dei temi che considero di importanza non marginale, per una consapevole assunzione del ruolo di performer. Non si pretende qui di completare esaustivamente la trattazione degli strumenti e delle competenze, che un buon attore Playback Theatre deve consevare nella propria 'cassetta degli attrezzi', anche perchè vedo prima di tutto me stessa parte di un processo di formazione in itinere ancora ben lungi dall'essere terminato. ESTETICA IN AZIONE Il qui e ora in scena “...il gesto non è una reazione a uno stimolo , ma è l'azione di un corpo su un ambiente complesso e qualificato come solo la vita e non la scienza è in grado di offrire”. Umberto Galimberti Essere in scena equivale a fare azione. Nel teatro, la separazione tra scena e pubblico (uditorio nel PT) mette luce su tutto ciò che sulla scena accade, anche semplicemente il fatto di esserci. L'attore di teatro è ben consapevole dell'importanza della presenza in scena e del peso che ogni piccolo gesto riveste, dell'amplificazione che subisce per effetto dello sguardo attivo dello spettatore. Un buon attore di PT deve ugualmente essere attento alla propria presenza sulla scena, non solo per il valore estetico-artistico che la propria parte riveste sul tutto, ma anche per il modo in cui sente di esserci (estetico-emozionale). La dimensione estetica ha una sua rilevanza nel PT, intendendo per estetica non soltanto il gusto del bello, ma anche e soprattutto il valore armonico dei particolari, nella visione globale di un frammento scenico, nonchè nel susseguirsi dei passaggi rituali di dialogo tra uditorio e compagnia di attori-musicisti-conduttore. Una 'buona forma' nel PT include il ritmo dell'azione, l'equilibrio spaziale tra gli attori in scena, una buona mediazione tra ricchezza di particolari (che non deve sfociare nella ridondanza) ed essenzialità (che non significa stereotipia o avarizia emotiva, piuttosto che povertà di contenuti). Altrettanto importante resta, allo stesso tempo, la capacità dell'attore di non sconfinare in un gusto estetico/estetizzante fine a sé stesso o nella propria gratificazione vanitosa, ma di saper mantenere alta la qualità espressiva, pur sapendosi perdere nel processo dell'azione con partecipazione emotiva. Quello che, nella mia modesta esperienza di Playback Theatre, ho potuto riscontrare come elemento caratterizzante una buona scena per chi narra e per chi guarda, l'ho Tatiana Sicouri 8 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre sperimentato come performer in ciò che chiamerei 'saper stare al gioco'. Giocare il gioco della scena (to play) è una delle possibilità che si offrono ad un attore di PT, se si rende disponibile emotivamente a farsi attraversare dal susseguirsi delle azioni. Gli altri attori propongono dei controruoli all'attore che si pone come 'protagonista' (ruolo) dell'azione del momento, ma si possono invertire le parti e il protagonista diventa a sua volta controruolo. Non c'è, in genere, una struttura precostituita sul dispiegamento della storia narrata. Unico canovaccio è la narrazione. Ma la narrazione è già nota a tutti i presenti. La novità consiste nello sviluppo della storia, che gli attori propongono a partire dalle proprie risonanze emotive, nel qui e ora della scena. “...il comportamento non ha un suo opposto. In altre parole non esiste qualcosa che sia un non-comportamento o, per dirla anche più semplicemente, non è possibile non avere un comportamento. Ora, se si accetta che l'intero comportamento in una situazione di interazione ha valore di messaggio, vale a dire è comunicazione, ne consegue che comunque ci si sforzi, non si può non comunicare. L'attività o l'inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicano anche loro. […] E neppure possiamo dire che la comunicazione ha luogo soltanto quando è intenzionale, conscia, o efficace, cioè quando si ha la comprensione reciproca”.4 Questo assioma metacomunicazionale basterebbe da solo a spiegare quanto lavoro deve fare un attore, in merito alla consapevolezza del proprio essere in scena, guardato da qualcuno. Uno spettatore è sufficiente perchè ci sia teatro. Lo spettatore è testimone di ciò che accade sulla scena. Chi guarda la scena legge le azioni secondo i propri schemi interpretativi, ascolta con la propria significazione del linguaggio, traduce gli avvenimenti attribuendo contenuti e significati, riconoscendosi in ciò che vede o prendendone distanza. Dal momento che non è possibile che il messaggio inviato agli spettatori sia sempre univocamente interpretato, l'attore di PT assume sulla scena un ruolo autentico. La sua presenza sulla scena, e il modo in cui interpreta personalmente la narrazione portata dall'uditorio, non è più funzione della mimetica rappresentazione di un 'riconoscibile' fare o dire, ma si traduce in un essere persona 'che è', persona 'che fa', che sente sulla propria pelle la storia dell'altro, lasciandosi attraversare dal flusso di azioni e parole che il gruppo di attori costruisce in itinere improvvisando. Allora il narratore-spettatore potrà sentirsi più o meno riconosciuto e riconoscersi a sua volta in una nuova versione di sé, a lui restituita come da uno specchio trasformativo. Galimberti5 si sofferma sul processo contemplativo gratuito di chi assiste ad uno stimolo estetico e ne percepisce il piacere, senza impegnare le condizioni di esistenza, dunque esonerando da qualsiasi azione di risposta. Ciò che differenzia, l'uomo dall'animale, dice, è proprio la possibilità di sospendere l'azione, anche di fronte ad uno stimolo che muove energia. 4 P.Watzlawick, e al., Pragmatica della comunicazione umana 5 Umberto Galimberti, Psiche e techne Tatiana Sicouri 9 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre “... contemplazione disinteressata. Disinteressata al mondo, ma interessata a sé. Nell'esperienza estetica, infatti, se non si attua una trasformazione utile al mondo esterno, si realizza una modificazione della propria condizione soggettiva; in un certo senso si rinuncia ad agire per esperire, nella sua generatività, il processo interiore dell'agire; si sprofonda in sé per riemergere con una visione del mondo modificata”. È a questo punto che si colloca l'impulso d'azione che muove il primo gesto, o il successivo gesto, nell'attore di PT, ciò che Galimberti chiama 'prosieguo di azione e ideazione', il momento generativo che nasce dalla contemplazione estetica, dall'ascolto dei propri moti sensoriali. Ecco, dunque, che si passa dall'esperienza interiore accumulata al suo impiego verso l'esterno, perchè “attraverso la produzione esterna è possibile, in direzione opposta, 'provare' quella trasformazione dello stato interiore che è la sua ricostruzione ad un altro livello”, la creazione artistica o azione scenica. In tutto questo complesso processo a più livelli, che l'attore subisce e agisce in un frame temporale di qualche fotogramma, secondi o minuti, il corpo gioca un ruolo elettivo. È il corpo l'autentico strumento di lettura, che assume un pezzo di vita su di sé (la narrazione diventa azione) e lo restituisce con forme tridimensionali, dinamiche (in movimento), attraverso una gamma di abiti espressivi, che va dal particolare e infinitamente piccolo (una palpebra che sbatte) al complesso e articolato insieme di forme (quattro attori che danzano, attraversando tutto lo spazio della scena). Nell'insieme di forme offerte dal corpo, lo spettatore sceglie il particolare o la gestalt globale in cui riconosce il proprio bisogno soddisfatto. O da cui nettamente sente di volersi distaccare. L'immagine s'impone fortemente sul piano emotivo e lascia una traccia nella memoria corporea, anche di chi guarda. Anche se non si è mosso. Perchè il corpo diventa strumento elettivo per essere in scena, esserci (da-sein) nell'hic et nunc? Tatiana Sicouri 10 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre STRUMENTI ESPRESSIVI “Molte cose cambiano quando, invece di restare alla superficie di un ruolo, si vive questo ruolo dall'interno con il proprio corpo. I partecipanti d'altronde capiscono prestissimo che devono dare prova, davanti ai propri occhi e a quelli degli altri, della loro capacità di non far finta di recitare (il che dà luogo generalmente a rappresentazioni comiche o stereotipate) ma di recitare sul serio, entrando in pieno in un ruolo, dimenticando che stanno recitando”. Didier Anzieu Uso della voce Prima ancora di scegliere di utilizzare scientemente parola e voce (contenuto e suo traduttore sonoro) l'attore di PT deve imparare a conoscere la propria peculiarità vocale, esplorare ed accogliere la propria voce, il proprio suono interno, sia piacevole o spiacevole la sua scoperta. Per dare spazio alla propria voce ogni attore deve consentirle di prendere corpo dentro di sé, al fine di lasciarla emergere dal corpo all'esterno, superando i confini dell'Io pelle. Una grande difficoltà in chi ascolta la propria voce registrata è riconoscerla, accettarla e apprezzarla. Oguno di noi è abituato ad ascoltarsi dall'interno, con un effetto uditivo completamente diverso. L'esplorazione vocale fa parte del lavoro di addestramento di un attore. Nel PT non sempre viene dedicato uno spazio dignitoso a questo strumento espressivo. Tra le tappe di un percorso psicovocale6, la prima fase reale di ricerca profonda, che un performer/attore deve esplorare e approfondire, è la “scoperta del proprio suono interiore attraverso l'uso, non intenzionale, dei muscoli preposti all'emissione del respiro. Il suono interiore esce liberamente dal profondo e può essere piacevole o non piacevole, ma è parte integrante della persona”. In una dimensione olistica Orioli presenta il seguente schema di integrazione psicosomatica degli strumenti espressivi, da sviluppare nel percorso di training. VOCE (spirito) AZIONE (corpo) 6 Dimensione olistica RITMO (spazio-tempo) Walter Orioli, Il teatro come terapia Tatiana Sicouri 11 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre Attraverso la voce l'attore può dire parole (è questo l'uso più quotidiano e familiare), ma anche e soprattutto emettere suoni, come uno strumento, esprimere intensità diverse (volumi e direzioni del suono-voce), inventare o riprodurre melodie, accompagnare azioni proprie o altrui (come una colonna sonora, una voce fuori campo, un'amplificazione o suoni di contrasto), così come scegliere di essere silenzio, assenza di parole o vuoto di suoni. Abitare il corpo “Nella performance, l'attore mostra un corpo che è la possibile sede dell'opera d'arte, dove non è la mente a decidere del corpo, ma è il corpo che decide di sé”. Walter Orioli L'esperienza primaria è corporea. Si sa. Il contatto materno, ancora prima di nascere, prepara alla vita di relazione e contatto con il mondo. Poi si sviluppa la mente e il corpo viene meno. Diventa un accessorio all'esistenza mentale, al punto che anche il respiro cambia. Naturalmente siamo portati alla respirazione diaframmatica, che fortunatamente recuperiamo nel sonno, ma durante il giorno la maggior parte di noi accorcia il respiro, fermandolo al petto. Non a caso la base del trattamento dei disturbi d'ansia ha origine dalla respirazione. Sulla scena a volte bisogna ricordarsi di respirare. L'emozione, l'ansia (soprattutto nelle fasi iniziali di una performance) e il pensiero accelerato, che galleggia tra ascolto dei contenuti, percezione di sé e attenzione agli altri attori, a volte intralciano il naturale potenziale espressivo organico. Il corpo è ciò che si vede, ma anche ciò che si sente. Ad un attore di PT spetta il compito di improvvisare, sulla base di un contenuto già dato. Gli attori sulla scena provano e pensano cose diverse. Devono però amalgamarsi e trovare, senza progettualità condivisa, un'azione comune. Su questo si basa l'addestramento alla spontaneità di una compagnia di PT. Il corpo, sempre personalmente, è il reale tramite comunicativo tra tutti questi processi, intrapsichici e interpersonali. Proverò ad arricchire il mio pensiero di esempi. Lancio un'immagine. Una doccia calda. Io penso: una piacevole doccia calda. Qualcuno può visualizzare la propria doccia, i colori del bagno, il profumo del sapone, il calore sulla pelle, un ricordo, piacevole, spiacevole, non so. Colori per la vista, profumo per il naso, calore per il tatto, ricordo di emozioni, immagini visive, o altro. Banale esemplificazione. Lascio aleggiare le immagini possibili tra le righe, mentre si dipana il filo del discorso che prosegue. Tatiana Sicouri 12 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre Nella lettura del mondo di ognuno di noi si sovrappongono livelli diversi di 'traduzione' dei messaggi (lettura dei simboli e delle immagini). Bagaglio personale, familiare, sociale, cuturale, storico, etc. sono il filtro attraverso cui l'individuo attribuisce significati a ciò che vede. Il livello mentale ha la sua occupazione. E inizia un lavoro implicito, anche senza intenzione la mente crea collegamenti con il già noto. Questo vale per chi assiste (l'uditorio) e per chi è in scena (gli attori), mentre si guarda un'azione già avviata o prima di entrare in azione, nel ruolo neutro.7 Corpo come 'soggetto simbolico' Mentre la mente viaggia (sto pensando a quando d'inverno godo del calore dell'acqua sulla pelle, dopo aver levato i miei 27 strati di abiti, con i piedi ancora congelati...) un'immagine si offre ai miei occhi e la traduco in azione. Il mio corpo è simbolo di un'immagine, probabilmente familiare a molti, dichiaratamente leggibile per lo spettatore, iconograficamente univoca. Faccio un'azione descrittiva di un'immaginario noto. Non solo è facile riconoscerla, per chi guarda, ma è allo stesso tempo facile ritovare le sensazioni e i gesti di quella nota situazione, per chi la agisce. Joan Chodorow, analista junghiana e danzaterapeuta8, chiama inconscio culturale, il ponte verso immagini mitiche o nello sviluppo di forme culturali, che origina questo genere di matrice espressiva. Chiama, poi, movimento cosciente diretto dall'io, l'insieme di azioni fisiche intenzionali e volontarie, che producono immagini decodificate per tempo, spazio, contenuto, etc. Corpo come luogo di sensazioni Nel mio attimo di neutralità ancora non ho definito un'immagine. Respiro, per adesso è l'unica cosa che posso fare. Gli altri attori sono già in scena, non tutti. È una scultura fluida. Devo entrare. Vado. Mi ritrovo vicina ad un corpo, che si muove. Il contatto mi suscita sensazioni, non immagini. Le ascolto e le vivo, anche se non so cosa si vede da fuori (poi, magari, se ho tempo penso anche a quello). Sento la sensazione di quel contatto e mi concedo di assaporarla, se ho tempo la sviluppo, se c'è ascolto propongo un nuovo stimolo...eccetera eccetera. Le sensazioni che l'attore prova nel qui e ora della scena hanno dignità sufficiente, se non necessaria, per la sua stessa presenza in scena. Il corpo vive di quelle sensazioni, non nel privato autoreferenziale, ma in pubblico, umanamente. Ed è a sua volta il corpo, agito dalle sensazioni, che agisce, proponendo nuovi motori all'azione del gruppo. Riconosco (rendo conscie) le mie sensazioni e le traduco in azione. Tornando all'esempio, qualcuno potrebbe strofinarsi braccia e gambe sotto il mio braccio, attribuendomi il ruolo di doccia, oppure abbracciarmi calorosamente, mettendo in luce la sensazione di calore, intimità, abbandono, che per qualcuno può trasmettere 'la doccia calda'. Luogo dell'associazione originaria Jung chiamava immaginazione attiva l'istanza creativa capace di far incontrare conscio e inconscio, corpo e psiche: lascia spazio alla fantasia, mantenendo un punto di vista 7 Per l'esplorazione del ruolo neutro occorrerebbe un ampio spazio, data la complessità del concetto, ma soprattutto la difficoltà della sua pratica. Mi limito qui a considerare l'attimo della scena in cui si apre il momento preparatorio all'azione, libero da ruoli e pronto all'assunzione di ruolo. 8 Joan Chodorow, Danzaterapia e psicologia del profondo Tatiana Sicouri 13 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre cosciente, un lavoro di attenzione fluttuante nel lasciar affiorare l'inconscio, per poi venire a patti con esso.9 Partendo da quello che J.Chodorow chiama inconscio personale (il collegamento nel corpo con il passato dell'individuo, come matrice del movimento espressivo), è il corpo a dare origine all'azione, movimento dell'ombra. Non c'è progettualità mentale, né gruppale. Non c'è rappresentazione iconografica, né descrittiva. Non si rimanda ad un contenuto noto. Il corpo, non la mente, dà il via ad un processo creativo spontaneo in cui lascia accadere qualcosa (non fa accadere): guidato dalle sensazioni interiori lascia emergere un'immagine e ne regge la tensione, emotiva e corporea, finchè dura l'immagine. Un tale processo creativo richiede l'allenamento a sostenere il difficile confine tra i due nuclei: motore inconscio e presenza cosciente al proprio essere/fare, tra ciò che sta accadendo a me (movimento inconscio non intenzionale) e ciò che sto facendo io (movimento intenzionale cosciente dell'Io). Azione segue ad azione Rimanda al concetto di ruolo-controruolo moreniano, quella spinta all'azione (ruolo agito) che deriva da una proposta d'azione esterna a sé (controruolo). Un attore sulla scena diventa ciò che gli viene attribuito da un altro attore, che per primo agisce. Di conseguenza, dalla prima azione può nascerne una seconda, stimolata dalla prima, che può invertire la relazione tra ruolo e controruolo, e creare nuovi ruoli e nuova azione. Dare voce al corpo Tornando all'uso della voce, come nel processo di libera associazione corporea si lascia emergere un'immagine spontaneamente, così dal corpo può nascere il desiderio, l'intenzione, l'idea di emettere un suono o una parola, che nasce nel qui e ora dell'azione e non viene pensata volontariamente. In questo senso il corpo produce suoni, nel momento in cui dal movimento/azione il suono diventa parte del processo creativo spontaneo promosso dall'immaginazione attiva. RELAZIONE TRA GLI ATTORI e STUDIO “D'altra parte, quando diversi attori spontanei recitano insieme, si pone il problema della loro interazione. Un simile attore deve essere nello stesso tempo capace di produrre e ricettivo alla produzione degli altri. Se si vuole evitare la caduta della creatività, si rivelano necessarie una certa disciplina e certe misure”. Didier Anzieu Accade spesso, nel 'mondo del PT' di trovarsi ad improvvisare con persone con cui non si è mai lavorato in precedenza. Per come è impostata la pratica del PT e grazie alla sua internazionalità, diventa possibile, oltre che interessante, realizzare una performance su 9 C.G.Jung, Riflessioni teoriche sull'essenza della psiche Tatiana Sicouri 14 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre due piedi, senza uno stile comune condiviso, ma attivando con forza e consapevolezza le proprie risorse attoriali di spontaneità, creatività10 e ascolto del gruppo. È certo che un gruppo che lavora insieme, che insieme si addestra e costruisce un linguaggio condiviso e implicito, può meglio affrontare la pratica dell'improvvisazione e la complessità offerta dal processo di una performance, in cui gruppo di attori, gruppo di spettatori, musicista e conduttore intendono dialogare. Mantenendo la stessa connessione, fin qui sviluppata, con la dimensione corporea di improvvisazione sulla scena, nel processo attoriale del playback theatre, mi soffermo sul terzo aspetto: l'ascolto del gruppo. Rientrano in questa competenza alcuni nodi comuni a diverse discipline artisticoespressive (dalla danza al teatro tradizionale), ma anche a pratiche di bioenergetica e processi gruppali: • • • • • • • il 'terzo occhio' ritmo del gruppo contaminazione reciproca autonomia espressiva consapevolezza corporea buona integrazione respirazione-movimento leadership ...e probabilmente molti altri. • Il 'terzo occhio' Solitamente, per terzo occhio si intende un occhio immaginario, che sa vedere dietro, capace di tenere un livello di attenzione ai movimenti del gruppo, degli altri, tale da consentire di muoversi come se la vista includesse lo spazio di 360° intorno al proprio corpo. È naturalmente un ideale a cui tendere! Offre l'opportunità per usare lo spazio anche ad occhi chiusi. • Ritmo del gruppo Uno dei modi per iniziare un'attività corporea di gruppo è quello di respirare coralmente. Respirare tutti insieme significa trovare un equilibrio tra le diverse velocità, ascoltare e farsi ascoltare (anche rendendo sonoro il respiro, o musicale). Il respiro è la base di ogni attività, di ogni movimento, di ogni percorso di esplorazione corporea. Partendo dal respiro comune, spesso non immediato, si possono costruire una serie di attività di movimento individuale, che hanno lo scopo di cercare la relazione tra le intenzioni dei singoli, nella costruzione di un 'prodotto' collettivo. Il ritmo comprende, non solo la possibilità di raggiungere un ritmo comune, ma anche la ricchezza di più registri ritmici, che si alternano con l'equilibrio dato dalla non sovrapposizione degli spazi e dei tempi. La distribuzione nello spazio costruisce la coreografia dell'azione e il suo equilibrio è dato dalla consapevolezza (terzo occhio) di sé in relazione agli altri, non solo dal punto di vista 10 Relativamente ai principi di Spontaneità e Creatività rimando all'elaborazione ampia e articolata che sviluppa J.L.Moreno nelle sue opere. Circa la loro specifica funzionalità nel Playback Theatre cito: “La spontaneità per tradursi in atto creativo ha bisogno di un medium, che costituisce al tempo stesso un vincolo ed una opportunità espressiva. Nel playback theatre ci interessano quei particolari medium o vincoli, che chiamiamo ruoli o strutture del rituale”, L.Dotti in Storie di vita in scena. Tatiana Sicouri 15 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre dei contenuti, ma anche delle forme. Allo stesso modo, l'alternanza dei tempi (occupati dai singoli o dai sottogruppi) può rendere un'azione più o meno incalzante, noiosa, rispettosa, frettolosa, equilibrata rispetto ai contenuti (per affinità o per contrasto), fluida o macchinosa, a singhiozzo o scorrevole e via così. “ 'inventare' l'unità corporea di gruppo. Si tratta di conservare, nutrire e tenere in forma un gruppo, curando ogni sua parte, ogni organo.[…] Costruire un gruppo significa creare l'illusione metaforica di un corpo inscindibile, un corpo più spirituale che materiale11”. • Contaminazione reciproca o autonomia espressiva Le immagini espesse dal corpo di ognuno circolano e si rimbalzano, anche al di sopra delle intenzioni. Spesso accade che un attore inizi a tradurre un'idea in azione e un altro attore faccia lo stesso in un'altra parte dello spazio scenico. I due corpi possono scegliere se farsi contaminare dalle immagini, ritmi, forme, suoni creati dall'altro o mantenere la propria direzione. Entrambe le strade possono essere interessanti dal punto di vista scenico e di evoluzione dell'azione. È importante essere consapevoli di ciò che si è scelto. Essere antropofagi nell'atto di nutrirsi del corpo-persona dell'altro: “...è fondamentale per noi affrontare l'altro e mangiarcelo, ritualmente, per poter prendere la forza, il potere dell'altro in modo che rimanga in noi, e attraverso il nostro metabolismo si liberi del superfluo e conservi l'essenziale12”. • Consapevolezza corporea In testa e a monte di tutto, la consapevolezza nell'utilizzo del proprio corpo come di uno strumento duttile, al servizio dei contenuti portati e delle forme vive, si pone alla base di una buona competenza, ma è anche meta ultima su cui continuamente formarsi. • Buona integrazione respirazione-movimento Imparare ad ascoltare il proprio respiro è una difficile acquisizione, proprio perchè ovvia la sua autonomia. Non è sempre vero. È vero che bene o male non si smette mai di respirare. Non è vero che il respiro non richieda, talvolta, il nostro aiuto. Autonomamente il respiro si adegua alle necessità di vita e alle richieste dell'ambiente, ma difficilmente nella vita quotidiana ci si propone di curarne l'equilibrio. Prestare attenzione al respiro, mentre sulla scena si costruisce l'azione, può dare buoni spunti. Accorgersi di come il proprio corpo abbia preso un suo ritmo può servire all'attore per adeguarsi ad esso, amplificarlo, dargli un suono, trasformarsi partendo da ciò che sente. Oppure può accorgersi del proprio bisogno di andare in un'altra direzione, di dirigere il proprio respiro verso altri ritmi (rallentare o accelerare, fare pause, sospendere...) per poter agire in forma corporea un impulso nato dalla mente, da un'immagine vista o pensata, da un'idea. • Leadership Il modo in cui un gruppo riconosce e gestisce la o le leadership è un complesso tema, che credo richieda ben più ampi spazi di elaborazione. È interessante però aprire questa piccola parentesi, a titolo interlocutorio. Se di leadership si può parlare, accade quasi sempre nel PT che sulla scena uno degli 11 W.Orioli, ibidem. 12 Discorso di Eugenio Barba a Scilla, Università del Teatro Eurasiano, 1996, cit. in Il teatro come terapia Tatiana Sicouri 16 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre attori faccia una proposta, per esempio entrando in scena per primo. Così si offre come leader. Il gruppo si trova facilitato, perchè ha una strada da seguire e il margine d'azione si restringe. A questo punto, può succedere che un altro attore offra un controruolo così forte da diventare il leader, scalzando il primo, che entrerà in scia nel processo del gruppo. Altrimenti può offrirsi l'opportunità per una scena con due poli, che evolvono in parallelo, arricchendo la complessità dell'offerta e della gestione della scena. Con maggiore finezza di ascolto ed espressione gli attori (tutti!) devono saper alzare ulteriormente il livello di attenzione (terzo occhio, ritmo, equilibrio dello spazio e dei tempi), per non sovrapporre le due azioni caoticamente, ma permettendo all'uditorio di apprezzarle entrambe. Devono, in aggiunta, lasciarsi l'apertura su eventuali trasformazioni ulteriori della scena, e non chiudersi in una sola direzione (contaminazione/autonomia). ENTRARE E USCIRE DAL RUOLO “D'altronde, la resistenza dell'attore al suo personaggio di teatro, quella della gente a molti ruoli che la società costringe a recitare, militano in favore dell'improvvisazione di ruolo, la sola capace di ridare ai rapporti socialmente prefissati tra le persone il calore di un incontro, di ravvivarne il senso ed il valore o di modificarli, e di promuovere, con l'emergere di nuovi ruoli, l'evoluzione individuale e sociale”. Didier Anzieu Durante una performance gli attori vestono e svestono velocemente sempre nuovi ruoli. Il cambio di ruolo a volte avviene all'interno della stessa scena, senza passaggi netti che lo contrassegnino. In questo senso credo rivesta un'importanza significativa la percezione interna degli attori nell'entrata e uscita dal ruolo. Nello psicodramma l'uscita dal ruolo (deroling) richiede una segnale forte: “...'togliersi la pelle del ruolo', liberarsi dell'energia del ruolo, spazzolandosi con forza, come se si fosse coperti da gocce di pioggia e di energia, derivanti dal ruolo tenuto. Poi, saltare sul posto e dire: 'Mi libero del ruolo di qualcuno, io sono me stesso', ripetendo più volte il proprio nome. È importante ricordare che l'inconscio non conosce differenza tra una frase affermativa e una frase negativa.” 13 Nel corpo prima di tutto si percepisce l'entrata e l'uscita dal ruolo. È il corpo che assume in sé un ruolo e le sue caratteristiche. È il corpo che sente di aver vestito panni altrui, come è il corpo che li deve svestire. Veronica Needa14 dedica una particolare attenzione al momento di passaggio tra la fine di una scena/azione e l'uscita dal ruolo. 13 Anne Ancelin Schutzenberger, Lo psicodramma. 14 Conduttrice e performer di Playback theatre, membro di due compagnie attive a Londra. Tatiana Sicouri 17 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre La chiusura di un'azione scenica prevede sempre un momento di freezing (immobilità di tutti gli attori). V.Needa sottolinea l'importanza di svestire il ruolo prima di rivolgere il rituale sguardo al narratore. È come persona che gli restituisco la mia offerta (act of service), non come 'personaggio in ruolo'. Dunque, i passaggi di uscita dal ruolo, che pure durano pochi secondi, sono molto importanti: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. scena-azione immobilità corale applauso e immobilità tenuta abbandono del ruolo – neutralità sguardo al narratore ritorno neutro a fondo scena ruolo neutro di attesa del nuovo ruolo, in ascolto e disponibilità In realtà questi passaggi non sono visibili dall'esterno, ma costituiscono per chi ha agito uno strumento di lavoro efficace ai fini di un buon atto di servizio e di una buona salvaguardia di sé. Il patrimonio emotivo vissuto sulla scena è una ricchissima esperienza per chi pratica playback, ma non è di secondo piano la capacità degli attori di saperlo gestire. Spetta agli attori la capacità di liberarsi di un ruolo con autonomia, di lasciare sulla scena i personaggi incarnati e le loro idiosincrasie. Non sempre si dedica a questo aspetto il giusto peso nell'addestramento ad attore di PT. Tatiana Sicouri 18 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre GLI ATTORI PERSONE Dal tuo al mio dal mio al tuo e viceversa “... è un errore credere che la spontaneità sia più legata all'emozione e all'azione che al pensiero e al riposo; lo stato più spontaneo non rompe mai definitivamente la dualità del soggetto, l'io appare diviso tra l'attore spontaneo ed un osservatore (che partecipa, come interno) contro-agente...”.15 L'attore di PT entra in scena primariamente con il suo essere persona. È vera l'importanza dell'addestramento alla metodologia di lavoro, al lavoro di gruppo, alla consapevolezza corporea come strumento d'azione, ma è soprattutto con la propria umanità che un attore di PT può essere in scena al servizio della narrazione (e non della propria gratificazione personale). L'uditorio è veramente grato alla compagnia di PT per il lavoro svolto, quando ha percepito l'autenticità degli attori nell'incarnare le storie, nel loro essere disponibili a lasciarsi attraversare dalle storie e dalle loro emozioni. Non è dall'errore o dal proprio limite che un performer si deve difendere. Una scena diventa poco efficace, per il processo messo in moto nella comunità da una performance, quando si traduce in una messinscena descrittiva della narrazione, che nulla aggiunge e nulla toglie alle parole dette, che non arricchisce di contenuti personali (degli attori) le parole offerte dal narratore. Il susseguirsi delle storie arricchisce il filo narrativo strada facendo. Gli attori, tanto quanto l'uditorio, contruibuiscono a dipanare e percorrere il filo rosso della narrazione. Attori e narratori si palleggiano i turni di una conversazione tra due gruppi. Dalle parole alle immagini e viceversa. Gli attori offrono una forma concreta e corporea, tangibile, colorata, dinamica alle parole. Allo stesso modo l'uditorio traduce in parole le immagini del corpo e le aperture all'immaginazione che queste possono offrire. Come gli attori aggiungono contenuti, sulla scena in azione, alle parole del narratore, così l'uditorio aggiunge significati e parole alle immagini nate e agite sulla scena. Il dialogo si alimenta nella reciprocità. 15 J.LMoreno cit. in Lo Psicodramma analitico del bambino e dell'adolescente, Didier Anzieu Tatiana Sicouri 19 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre Ringrazio Gigi, mio maestro di sempre, insostituibile faro e casa. La compagnia del Fare e Disfare, che mi ha aiutato a crescere. La compagnia Impronte, che ha dato nuova vita al mio amore per il playback e nuove spinte alla scoperta e al viaggio. Adriana, Carola, Claudia, Francesca, Giorgia, Giuliano, Irene, Susanna, Veronica, perchè lì c'è vita, amore, rabbia, paura, fatica, coraggio, tenacia, generosità e abbondanza, calore, fantasia, onestà. Marco per aver atteso con fiducia, tante volte. Tatiana Sicouri 20 Il corpo della storia Scuola Italiana di Playback Theatre Bibliografia Pragmatica della comunicazione umana, P.Watzlawick, J,H.Beavin, D.D.Jackson, Astrolabio, 1971 Danzaterapia e psicologia del profondo. L'uso psicoterapeutico del movimento espressivo e rituale, Joan Chodorow, Ed Red 2004 (Ed. originale 1991) Storie di vita in scena, Il teatro di improvvisazione al servizio del singolo, del gruppo, della comunità, Luigi Dotti, Ed. Ananke, 2006 Lo psicodramma, Anne Ancelin Shutzenberger, Ed it. Di Renzo Editore, 2008 (Le Psychodrame, 2003) Lo Psicodramma analitico del bambino e dell'adolescente, Didier Anzieu, Ed. it. Astrolabio, 1979 La volontà di potenza, Friedrich Wilhelm Nietzsche, ed it. Tascabili Newton, 1993 Psiche e techne. L'uomo nell'età della tecnica, Umberto Galimberti, Feltrinelli, 1999 Il teatro come terapia, Walter Orioli, Macro edizioni, 2001 Illustrazioni di: Giuseppe Braghiroli (da Fiabe della Sardegna, Alberto Melis, Giunti Kids, 2004) Quito Fotografie di: Pamela Baruffi Daniele Delcastillo Tatiana Sicouri Tatiana Sicouri 21