Il tumore mammario, un modello per la RICERCA

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6-09-2006
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STORIA DELLA MEDICINA
LA RICERCA CONTINUA
Il tumore mammario,
un modello per la RICERCA
di Maria Giovanna Luini
ultimo secolo ha visto una nesi, direttore scientifico delnotevole evoluzione nella l’IEO e pioniere della senologia.
Per adattare selettivamente le
cura del cancro al seno che
ha portato a grandi progressi terapie alle persone è necessario
nella chirurgia, nella farmaco- avere ben chiaro il profilo genelogia e anche nella radioterapia: tico dei tumori: la strada intrapresa dalla ricerca
oggi è possibile
curare con una
Un secolo fa è quella giusta,
maggiore preci- un medico disse grazie allo sviluppo di tecniche
sione, elaborando
un piano tera- per la prima volta sempre più sofiche il tumore sticate di biologia
peutico adatto sia
alla malattia sia
si può curare molecolare.
alla paziente.
“Il cancro è una malattia I PIONIERI DELLA CURA
complessa, capace di adottare
È il 1894 quando il medico
diverse tecniche di difesa che statunitense William Steward
rendono le sue cellule difficili da Halsted ipotizza per la prima
distruggere definitivamente: per volta che il tumore maligno
questa ragione la battaglia deve della mammella sia una malatessere volta a personalizzare le tia curabile: è lui infatti l’inventerapie, perché non esiste una tore della mastectomia radicapersona uguale all’altra e non le, l’intervento di asportazione
esistono livelli di rischio tra loro del seno e dei muscoli sottoidentici” spiega Umberto Vero- stanti che oggi tende progressi-
L’
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Corbis
In un secolo si è passati dalla
chirurgia radicale alla terapia
mirata e all’analisi genetica:
il cancro del seno è un esempio
di quanto può fare la ricerca
per migliorare la prognosi
di una malattia
vamente a scomparire ma che,
per quel tempo, era una vera
innovazione.
Da quel momento, molti
contributi scientifici arricchiscono progressivamente la
conoscenza di questa patologia,
con importanti risvolti sulla
cura. Nel 1902, più di un secolo fa, lo scienziato tedesco
Theodor Boveri pubblica la sua
importante teoria secondo la
quale il tumore prenderebbe
origine da una mutazione
“somatica”, cioè, secondo il linguaggio della scienza di oggi,
una mutazione genetica a livello
del DNA di una cellula: si tratta di un’idea rivoluzionaria per
quei tempi, ed è impressionante
pensare che essa sia straordinariamente valida anche oggi.
Nel 1932 il medico francese Antoine Lacassagne, geniale
scienziato, dimostra che som-
ministrando a topi maschi alte
dosi di estrogeni è possibile stimolare la formazione di un
tumore mammario: la sensibilità agli estrogeni della maggioranza dei carcinomi del seno
viene così dimostrata in un
modello animale, e successivamente confermata anche nell’uomo. È da questa scoperta
che deriva la terapia con tamoxifene, farmaco in grado di
bloccare i recettori per gli
estrogeni, che impedisce l’effetto negativo di questi ormoni sul tumore del seno. Oggi il
tamoxifene viene usato per
prevenire le ricadute della
malattia ed è in sperimentazione anche per la prevenzione
del primo tumore: un bel
passo avanti che ha richiesto
quasi trent’anni di lavoro, dato
che la sintesi del tamoxifene
risale al 1973.
IL FARMACO BIOLOGICO
“Nel 1996 viene scoperto
HER2, un recettore posto sulla
membrana delle cellule che è
all’origine della rivoluzione più
recente nella terapia del carcinoma mammario” spiega Sylvie
Ménard, direttore dell’Unità
operativa Bersagli Molecolari
del Dipartimento di oncologia
sperimentale dell’Istituto nazionale tumori di Milano. “Questa
proteina è stata studiata con
estrema attenzione dagli scienziati, che ne conoscono l’esatta
conformazione sulla superficie
delle cellule tumorali e sono
stati in grado di sintetizzare una
molecola (chiamata trastuzumab) diretta esclusivamente
contro HER2 per distruggere le
cellule tumorali. In pratica,
quando la proteina è presente
sulla superficie delle cellule
tumorali il trastuzumab può
essere efficacemente impiegato
nella terapia. I risultati finora
ottenuti con questa terapia biologica sono molto convincenti”.
CAMBIA LA RICERCA
I più recenti progressi nel
trattamento del carcinoma
mammario nascono dalla decifrazione del genoma umano e
dalla sempre più stretta interazione tra ricerca di base e attività clinica, cioè quella del
medico dedito alla cura dei
pazienti. Lo studio dei geni è
diventato una branca dell’oncologia che applica tecniche di
biologia molecolare per analisi
utili alla prevenzione, alla diagnosi e alla prognosi. Da questa collaborazione sono già
nate alcune importanti scoperte: i geni BRCA 1 e 2, il
‘profilo genetico’ (una sorta
di carta d’identità del tumore), la conoscenza della proteina HER2.
“BRCA 1 e 2 sono geni,
posti rispettivamente sui cromosomi 17 e 13, la cui mutazione è molto rara nella popolazione generale (0,2 per cento):
quando presente, essa è responsabile di un rischio notevolmente aumentato di tumore della
mammella (e in molti casi
anche dell’ovaio)” spiega Veronesi. “Il punto cruciale, di fronte a una donna portatrice della
mutazione di uno dei due geni,
è decidere come affrontare il
rischio: la mastectomia profilattica (cioè l’asportazione del seno
quando è ancora sano per evitare che il cancro si formi) non è
certo un trionfo della scienza,
perché è una tecnica mutilante e
psicologicamente difficile da
accettare. Bisogna quindi individuare metodi di prevenzione
adeguati ma non sproporzionati. Per esempio si può lavorare
sulla chemioprevenzione, cioè
sull’individuazione di farmaci
in grado di impedire lo sviluppo
del tumore. Nel caso del seno,
uno studio di questo tipo è in
corso con la fenretinide, un
derivato della vitamina A”.
Lo studio del profilo genetico consiste nel costruire mappe
genetiche, cioè vere e proprie
fotografie del DNA dei tumori
da mettere in relazione con l’evoluzione della malattia. “Identificare quali profili genetici
siano più propensi a provocare
metastasi significa conoscere in
tempo la prognosi della singola
paziente, quindi adottare terapie adeguate al livello reale di
rischio” continua Veronesi. “Le
terapie, grazie al profilo genetico, saranno estremamente personalizzate e non risponderanno più a protocolli standard che
non sono in grado di tener
conto delle particolarità”.
“Per quanto riguarda la proteina HER2, si può dire che la
sua scoperta è stata molto
Sylvie Ménard
Istituto nazionale
tumori di Milano
importante non solo per il
beneficio in termini di cura
della malattia, ma anche perché
rappresenta il primo modello di
farmaco intelligente e mirato
attualmente esistente per il cancro della mammella, premessa
per lo sviluppo futuro di molte
altre molecole” aggiunge
Ménard.
LE NUOVE FRONTIERE
Nel futuro saranno probabilmente fondamentali gli
studi sulle cellule staminali
tumorali (vedi pagine 4 e 5), il
cui modello sembra in grado di
spiegare il comportamento
subdolo e imprevedibile dei
tumori: le staminali sono probabilmente all’origine di tutte
le masse tumorali, e hanno la
capacità di resistere ai trattamenti e rimanere ‘nascoste’
anche per molti anni dopo che
un tumore è stato curato con
chirurgia, radioterapia e terapia
farmacologica.
Le cellule staminali si autorinnovano e sono in grado di
formare un tumore primitivo
oppure una metastasi: sono
state identificate in alcuni
tumori maligni, compreso il
carcinoma mammario.
“L’aspetto inquietante di
queste cellule è che possiedono
risorse per resistere alle terapie e
per riparare il danno al DNA:
per questo sono molto difficili
da distruggere definitivamente”
spiega Veronesi. “La consapevolezza che all’interno dei
tumori esiste una quota di cellule staminali dovrebbe portare
gli scienziati a sviluppare tecniche per riconoscerle all’interno
degli organi o dei linfonodi colpiti da tumore, per modulare
adeguatamente le terapie”.
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