UNIVERSITÁ POLITECNICA DELLE MARCHE FACOLTÁ DI MEDICINA E CHIRURGIA Dottorato di Ricerca X ciclo- Nuova serie Curriculum “Oncologia” MUTAZIONI GERMINALI DI GENI CORRELATI ALLA SINDROME DI LYNCH Tesi di Dottorato di: Relatore: Chiar.mo Dott.ssa Cristiana Brugiati Prof. Stefano Cascinu Anno Accademico 2010/2011 INDICE 1. RIASSUNTO 2. INTRODUZIONE 1 2.1 Epidemiologia delle neoplasie del colon-retto 1 2.2 Sindrome di Lynch 2 2.3 Il Sistema del MMR (Mis Match Repair) 4 2.4 I geni del MMR 6 2.5 Instabilità microsatellitare (MSI) 8 2.6 Cancerogenesi associata al difetto del MMR 10 2.7 Frequenza delle mutazioni germinali nei geni del MMR associate alla sindrome di Lynch 11 3. SCOPO DELLO STUDIO 13 4. PAZIENTI E METODI 15 4.1 Selezione dei pazienti 15 4.2. Preparazione dei campioni 16 4.2 a) Purificazione di acidi nucleici da sangue periferico 16 4.2 b) Estrazione del DNA genomico da tessuto incluso in paraffina 17 4.3 Studio delle mutazioni germinali dei geni MLH1 e MSH2 18 4.3a) Amplificazione dei geni MLH1, MSH2 e MSH6 tramite PCR 18 4.3b) Sequenziamento automatico 25 4.3c) Interpretazione dell’analisi di sequenza 28 4.4 Analisi dei microsatelliti 28 4.5 Amplificazione dei microsatelliti tramite PCR 29 4.6 Analisi microsatellitare tramite GeneScan 30 4.7 Interpretazione dello studio dell’instabilità microsatellitare 31 4.8 Immunoistochimica 32 4.9 Multiplex Ligation Dependent Probe Amplification (MLPA) 33 5. RISULTATI 38 5.1 Caratteristiche dei pazienti 38 5.2 Studio delle mutazioni germinali di MLH1, MSH2 e MSH6 39 5.3 Analisi di ampi riarrangiamenti genici mediante MLPA 42 5.4 Analisi dell’instabilità microsatellitare 42 5.5 Analisi immunoistochimica di MLH1, MSH2 e MSH6 48 5.6 Test genetico predittivo per la Sindrome di Lynch 50 DISCUSSIONE 51 BIBLIOGRAFIA 58 ABSTRACT Lynch syndrome (also called Hereditary Non Polyposis Colorectal Cancer, HNPCC) is the term used to indicate genetic susceptibility to Colorectal cancer. Hereditary Non Polyposis Colorectal Cancer (HNPCC) is a syndrome of cancer predisposition linked to inherited mutations of genes participating in postreplicative DNA mismatch repair (MMR), and gives an account of 5%10% of all cancers of the large intestine. The purpose of this study was to identify rearrangements in the MMR genes, in a cohort of higt-risk subject. The genes involved in the MMR system and presumably involved in Lynch syndrome identified to date are: MLH1 (3p21), MLH3 (14q24.3), PMS2 (7p22), MSH2 (2p22), MSH3 (5q11) and MSH6 (2p16); MLH1 and MSH2 these are the most frequently mutated. The identification of candidates for genetic testing was performed by using specific clinical criteria and the Bethesda Guidelines. We used direct sequencing of DNA and MLPA for studying the entire MLH1 ,MSH2 and MSH6 coding sequence of 313 subjects (181 female, 132 male). We found 11 different MLH1 mutations in 19 distinct subject (7 missense, 1 silent and 3 splice site mutations), 16 different MSH2 mutations in 24 distinct subject (8 missense, 3 frameshift, 2 nonsense, 1 splice site mutations and 2 gene rearrangements) and 4 different MSH6 mutation in 5 distinct subject (2 missense, 1 frameshift and 1 nonsense mutations). Genetic analysis has also been extended to 69 healthy subjects from families in which there was a mutation in the genes MLH1, MSH2, or MSH6, to identify carriers of the mutation and start them in screening programs. Twenty-seven of the 64 individuals tested were carriers of the molecular defect identified in the family, while 37 subjects were negative for the mutation characteristic of the immediate family. RIASSUNTO La Sindrome di Lynch (anche chiamata Hereditary Non Polyposis Colorectal Cancer, HNPCC) è il termine usato per indicare la predisposizione genetica a sviluppare il tumore del colon-retto non poliposico e, in misura minore, in altri distretti. La sindrome di Lynch è trasmessa con modalità autosomica dominante a penetranza incompleta, e rende conto del 5%-10% di tutte le neoplasie del grosso intestino. A livello molecolare, la sindrome di Lynch è correlata a mutazioni germinali di uno dei geni che caratterizzano il MMR (MisMatch Repair), un complesso multienzimatico preposto alla riparazione degli errori di replicazione del DNA e che svolge un ruolo fondamentale nel mantenimento della stabilità dell’informazione genetica. I geni coinvolti nel sistema del MMR, presumibilmente implicati nella sindrome di Lynch finora identificati, sono: MLH1 (3p21), MLH3 (14q24.3), PMS2 (7p22), MSH2 (2p22), MSH3 (5q11) e MSH6 (2p16); di questi MLH1 e MSH2 rappresentano quelli più frequentemente mutati con un’ incidenza pari al 50 e 40 %. L’identificazione dei soggetti candidati allo studio si è basata sulle caratteristiche dell’anamnesi familiare e sulle linee guida di Bethesda, riviste nel 2003. Lo studio della sequenza nucleotidica di tutti gli esoni dei geni MLH1, MSH2 e MSH6 è stato effettuato tramite sequenziamento diretto, usando un sequenziatore automatico a capillare e MLPA (Multiplex Ligation Probe Amplification). Fino ad oggi, sono entrati in studio 313 pazienti, di cui 181 donne e 132 uomini, con un’età mediana di 48 anni (range 16-85). Sono state identificate 11 diverse mutazioni di MLH1 in 19 pazienti differenti, di cui 7 missenso, 1 silente e 3 mutazioni nel sito di splicing. Nel gene MSH2, sono state individuate 16 diverse mutazioni germinali in 24 pazienti: 8 di tipo missenso, 3 mutazioni frameshift, 2 mutazioni non-senso, 1 nel sito di splicing e 2 riarrangiamenti genici, quest’ultimi rilevati tramite MLPA. A carico del gene MSH6 sono state trovate 4 diverse mutazioni germinali in 5 pazienti: 2 mutazioni missenso, 1 frameshift e 1 mutazione non-senso. L’analisi genetica è stata inoltre estesa a 69 soggetti sani, appartenenti a famiglie in cui è stata riscontrata una mutazione nei geni MLH1, MSH2 o MSH6, per identificare i portatori sani della mutazione ed avviarli a programmi di screening. Ventisette dei 64 soggetti analizzati sono risultati portatori del difetto molecolare individuato nella famiglia, mentre 37 soggetti sono risultati negativi per la mutazione caratteristica della famiglia di appartenenza. INTRODUZIONE 2.1 Epidemiologia delle neoplasie del colon-retto Attualmente, le neoplasie del colon-retto risultano al terzo posto, per incidenza, tra tutti i tumori in entrambi i sessi, costituendo nel mondo occidentale il 15% di tutte le neoplasie. Esse rappresentano la seconda causa di decesso per neoplasia nella popolazione maschile e la terza nella popolazione femminile (1). Dati epidemiologici indicano che il 75% dei casi di carcinoma colo-rettale può essere definito sporadico, ovvero insorto senza alcuna causa genetica predisponente, ma come conseguenza dello stile di vita e delle abitudini alimentari (2), considerati i principali fattori di rischio per lo sviluppo di tale neoplasia. Una dieta ricca di grassi e povera di fibre, tipica del mondo occidentale, favorisce l’insorgenza di queste neoplasie, in seguito all’accumulo nel lume intestinale di sostanze cancerogene derivanti dal metabolismo dei grassi. Un’alimentazione ricca di fibre invece, nell’aiutare la regolare funzionalità intestinale, limita l’esposizione a potenziali cancerogeni, proteggendo l’organismo dal rischio di sviluppare il tumore (3). Un altro importante fattore di rischio nell’insorgenza della neoplasia colorettale è rappresentato dall’aggregazione familiare, soprattutto se si manifesta in età precoce (1). Nel 20-25% degli individui affetti da carcinoma colo-rettale infatti, la malattia si sviluppa su base eredo- familiare. Le neoplasie colo-rettali di carattere ereditario si manifestano principalmente in due forme clinico-patologiche: la FAP (Familial Adenomatous Polyposis) trasmessa in maniera autosomica dominante e associata a mutazioni 1 germinali del gene APC, e la Sindrome di Lynch (anche chiamata Hereditary Non Polyposis Colorectal Cancer, HNPCC), riscontrabile in circa il 5%-10% di tutte le neoplasie colo-rettali (2, 4). Esiste inoltre un consistente gruppo di neoplasie (fino al 15-18% dei casi) definite aspecifiche che, pur essendo insorte su base familiare, non rientrano in una sindrome ereditaria ben definita, poichè non si conoscono ancora i determinanti genetici responsabili della relativa insorgenza (2). Fig. 2.1: Incidenza delle neoplasie eredo-familiari del colon-retto 2.2 Sindrome di Lynch La Sindrome di Lynch rappresenta la più comune condizione ereditaria responsabile della suscettibilità a neoplasie del colon-retto, con una prevalenza stimata tra 1:200 e 1:1000 individui nel mondo occidentale. La sindrome è trasmessa con modalità autosomica dominante a penetranza incompleta, ed è caratterizzata dalla elevata suscettibilità a sviluppare neoplasie del colon-retto e di altri organi quali endometrio, pelvi renale, tratto biliare, ovaio, intestino tenue e stomaco (5, 6). 2 Le neoplasie che insorgono nell’ambito della sindrome di Lynch non sono associate ad un quadro di poliposi diffusa, come invece accade nella FAP (Familial Adenomatous Polyposis), ma si sviluppano a partire da un singolo polipo precursore. Sono state descritte due varianti cliniche della sindrome di Lynch: - Sindrome di Lynch di tipo 1, in cui si manifestano esclusivamente tumori colo-rettali. - Sindrome di Lynch di tipo 2, caratterizzata dall’associazione di tumori del colon con carcinomi dell’endometrio, dell’ovaio, dello stomaco, del piccolo intestino, del tratto biliare, dell’uretere e della pelvi renale (5). I criteri per l’identificazione di soggetti con sospetta Sindrome di Lynch sono stati stilati per la prima volta nel 1991 dall’International Collaborative Group on Hereditary Non-polyposis Colorectal Cancer, e sono noti come criteri di Amsterdam I. I criteri sono stati revisionati nel 1998 (AmsterdamII) per selezionare anche i pazienti affetti da Sindrome di Lynch di tipo 2. Nel 1997, il National Cancer Institute Workshop ha redatto le linee guida di Bethesda, successivamente riviste nel 2003, le quali sono meno restrittive rispetto a quelle di Amsterdam, ma più sensibili e permettono quindi di identificare un maggior numero di famiglie con sospetta Sindrome di Lynch, in particolare quelle in cui si sviluppano tumori extra-colici (6, 7). A livello molecolare la Sindrome di Lynch è riconducibile ad alterazioni genetiche germinali in uno dei geni del Mis Match Repair (MMR), un complesso multienzimatico coinvolto nella riparazione degli errori di 3 replicazione del DNA, quali disappaiamenti di base e anse di inserzione/delezione (IDLs). In particolare tali mutazioni riguardano più frequentemente i geni MLH1, MSH2, MSH6, PMS2 (8) e più raramente i geni MLH3 ed Exo1 (quest’ultimo coopera con il sistema MMR, senza farne strettamente parte) (9). Il genotipo più frequentemente osservato nei soggetti colpiti è quello della mutazione in eterozigosi nel locus MLH1 o MSH2. Tale condizione è generalmente associata alla manifestazione tumorale “tipica”: insorgenza precoce (mediamente all’età di 44 anni, contro i 64 delle forme sporadiche) di CRC sincroni o metacroni, localizzazione nel colon prossimale, istotipo mucinoso e scarsamente differenziato, presenza di anello linfocitario infiltrante ed elevata instabilità microsatellitare (MSI) (7, 9, 10). Ad ogni modo, mutazioni germinali nei geni MLH1 ed MSH2 possono anche essere associate ad una certa variabilità fenotipica, soprattutto nel caso in cui suddette siano di tipo missenso. Le mutazioni germinali a carico dei geni MSH6, PMS2, MLH3 ed Exo1 sono invece più frequentemente associate a fenotipi tumorali “atipici”, in particolare per quanto riguarda l‘età di insorgenza, la penetranza del tumore nella famiglia colpita ed il grado di instabilità microsatellitare (8). 2.3 Il Sistema del MMR (Mis Match Repair) Il Sistema Mis Match Repair è un complesso multienzimatico altamente conservato dal punto di vista filogenetico ed è responsabile del mantenimento della stabilità genomica, sia nelle cellule procariotiche che in quelle eucaristiche (11). Esso risulta coinvolto in molteplici meccanismi cellulari e svolge un ruolo di particolare importanza nel processo di 4 riparazione post-replicativa degli errori di appaiamento del DNA (12); inoltre riconosce e ripara i danni al DNA generati dal normale metabolismo intracellulare, come lo stress ossidativo, e quelli causati da agenti ambientali chimici o fisici (13). Il Sistema del MMR interviene a livello della doppia elica del DNA e più precisamente nel filamento stampo, quando si verificano lesioni non riparabili, attiva i punti di controllo del ciclo cellulare che inducono l’arresto in fase G2 e promuove l’apoptosi della cellula attraverso un meccanismo p53 dipendente (14). Alcune delle proteine MMR svolgono un’importante attività ricombinativa tra sequenze divergenti e sono coinvolte in alcuni riarrangiamenti durante la meiosi (15). Il MMR in alcuni casi sembra prendere parte a riarrangiamenti che portano ad un aumento della variabilità dell’informazione genetica, come per esempio nei meccanismi di espansione delle sequenze ripetute alla base di alcune patologie ereditarie, e nei riarrangiamenti linfocitari responsabili della diversificazione delle immunoglobuline (13, 15, 16). La riparazione degli errori di replicazione del DNA, quali mismatch e anse di inserzione/delezione (insertion/deletion loop, IDL), rimane comunque la principale funzione del sistema MMR. L’importanza del MMR nel mantenimento della stabilità genetica è dimostrato da una diminuzione della fedeltà di replicazione di 2-3 ordini di grandezza in seguito alla perdita di funzione delle proteine che lo costituiscono (17). 5 2.4 I geni del MMR I geni del MMR sono stati inizialmente caratterizzati nei batteri, come Escherichia coli, e nei lieviti, come Saccharomyces cerevisiae. In E. coli sono stati identificati tre geni che codificano per tre proteine appartenenti al sistema del MMR denominate MutS, MutL e MutH. MutS analizza il DNA e riconosce gli errori di appaiamento grazie alla distorsione che essi producono sulla doppia elica. Il complesso MutS-DNA contenente il mismatch recluta MutL che, a sua volta, attiva MutH il quale taglia il filamento a valle del punto in cui si trova l’appaiamento errato (18). In seguito a questa interruzione del legame fosfodiesterico interviene l’attività di una specifica elicasi (UvrD) e di un’esonucleasi. L’elicasi svolge il DNA a partire dall’incisione e si muove verso il sito del mismatch, mentre l’esonucleasi digerisce progressivamente la singola elica spostata, estendendo la propria attività oltre il nucleotide appaiato scorrettamente. Questi due enzimi producono, quindi, una regione a singolo filamento, che viene riempita dalla DNA polimerasi; al termine del processo la DNA ligasi salda il nick. Come risultato finale si ottiene la rimozione del mismatch e la sua sostituzione con una coppia di nucleotidi correttamente appaiati. I geni dell’MMR eucariotico sono omologhi dei geni Mut batterici (19): in particolare il gene umano omologo di MutS chiamato MSH (MutS Homologue) e l’omologo di MutL chiamato MLH (MutL Homologue). La scoperta che la predisposizione genetica al tumore del colon (carcinoma colo-rettale non-poliposico ereditario) è dovuta a mutazioni nei geni che codificano per gli omologhi umani di MutS e MutL, ha fornito una chiarissima evidenza del ruolo di fondamentale importanza che il sistema di riparazione dei mismatch gioca negli organismi superiori. 6 Il gene MSH2 è localizzato nella banda cromosomica 2p22 8(20), mentre il gene MLH1, nella banda cromosomica 3p21(21). Essi sono frequentemente mutati nei tumori eredo-familiari del colon-retto non poliposici. Le mutazioni segregano con la malattia e rendono conto di circa il 90% delle mutazioni nei casi di sospetta Sindrome di Lynch. In particolare, la frequenza di mutazione è del 50% per MLH1 e di circa il 40% per MSH2 (22). Circa il 30% delle mutazioni identificate nel gene MLH1 e circa il 15% di quelle rilevate nel gene MSH2 è rappresentato da mutazioni missenso, che comportano la sostituzione di una sola base azotata (23). Più rare sono le mutazioni frameshift, causate da delezioni o inserzioni di una o più basi, che determinano lo scivolamento della cornice di lettura del gene e favoriscono la comparsa di un codone di stop prematuro e la sintesi di una proteina tronca e non funzionale e le mutazioni non-senso. Le mutazioni frameshift sono generalmente di natura patogenetica, ma non si può dire lo stesso delle mutazioni missenso per le quali bisogna valutare la sostituzione aminoacidica determinata. Inoltre se la mutazione missenso rilevata si riscontra in più dell’1% della popolazione, viene definita polimorfismo frequente e non ha caratteristiche di patogenicità. Le alterazioni a carico di MLH1 e MSH2, pur rappresentando quasi la totalità delle mutazioni coinvolte nella sindrome di Lynch, lasciano scoperto un buon 10% di alterazioni; ciò ha portato all’identificazione di ulteriori geni coinvolti nel processo di riparazione del MMR: l’MSH6, localizzato sulla banda 2p16, il PMS2, sulla banda 7p22, l’MSH3, sulla banda 5q11 ed infine l’MLH3, localizzato sulla banda cromosomica 14q24 (24). 7 Un ruolo importante è svolto anche dal gene hEXO1, membro di una famiglia molto conservata di esonucleasi 5’→3’, che partecipa alla fase di riparazione dei mismatch, cooperando con il sistema, senza farne strettamente parte. Gene Locus Gene Numero (kb) esoni % mutazioni ORF (nt) MLH1 3p21 57,4 19 50% 2271 MSH2 2p22 80,1 16 40% 2805 MSH6 2p16 23,8 10 7-10% 4083 PMS2 7p22 35,9 15 1% 2589 MSH3 5q11 22,2 24 < 0,1% 3414 MLH3 14q24 37,8 13 1-3% 4362 Tabella 1.1 Caratteristiche dei geni e dei trascritti principali del MMR umano (ORF: Open Reading Frame) 2.5 Instabilità microsatellitare (MSI) L’inefficienza del MMR ha come diretta conseguenza l’accumulo di errori di replicazione del DNA nel corso delle successive divisioni cellulari. Esistono, tuttavia, regioni del genoma più soggette ad accumulare simili errori: si tratta delle sequenze microsatellitari. I microsatelliti sono brevi sequenze di DNA distribuite prevalentemente in regioni non codificanti del genoma e costituite da unità ripetitive di lunghezza variabile (fino a 5 nucleotidi), che si ripetono in tandem un numero n di volte geneticamente determinato per ciascun individuo. Sono sequenze altamente polimorfiche, ciò significa che la lunghezza delle unità ripetitive può variare, non solo tra individui diversi, ma anche in uno stesso 8 soggetto. Ciò avviene perché l’allele di derivazione materna e quello di derivazione paterna sono caratterizzati da un numero diverso di unità ripetitive e perciò da un diverso peso molecolare (25). Il numero di unità ripetitive presenti in ciascun locus microsatellitare è geneticamente determinato. In seguito alla perdita di funzione del MMR, può accadere che si verifichi una variazione del numero di ripetizioni di un particolare locus nel DNA tumorale rispetto a quello germinale di un individuo. Questo fenomeno, che prende il nome di instabilità microsatellitare (MicroSatellite Instability: MSI), è un marker fenotipico importante della sindrome di Lynch, essendo una condizione associata all’inattivazione del MMR (26). L’instabilità microsatellitare si manifesta con la presenza, nel tessuto tumorale, di un numero di unità ripetitive diverso rispetto al tessuto sano. Ciò accade poiché, durante la replicazione del DNA, il filamento stampo e quello neosintetizzato slittano l’uno sull’altro per un numero di nucleotidi pari alla lunghezza dell’unità ripetitiva o ad un suo multiplo. Qualora il MMR sia compromesso, le anse di delezione o di inserzione generatesi non vengono né riconosciute né riparate. La conseguenza è la trasmissione delle mutazioni, che diventano così parte del genoma delle successive cellule figlie. In particolare le ripetizioni mononucleotidiche, soprattutto del tipo (A)n e le ripetizioni dinucleotidiche, sono quelle maggiormente soggette a tali errori. Alterazioni microsatellitari sono riscontrabili nel 85-95% circa dei tumori associati alla sindrome Lynch e nel 15-25% dei casi di tumore sporadico del colon (27). Dal momento che i microsatelliti cadono solitamente in sequenze introniche, l’eventuale instabilità va interpretata come semplice spia di un’instabilità 9 genetica diffusa, derivante da un’alterazione a carico dei sistemi di rilevazione e riparazione degli errori del DNA e responsabile dello sviluppo e della progressione delle neoplasie eredo-familiari del colon. 2.6 Cancerogenesi associata al difetto del MMR La frequenza di mutazioni sporadiche nelle cellule tumorali MMR-difettive è dalle 100 alle 1000 volte maggiore rispetto a quella riscontrabile nelle cellule con MMR funzionante. Tali mutazioni posso insorgere, oltre che nei microsatelliti, anche in geni fondamentali per la regolazione della crescita cellulare. In particolare, risultano maggiormente vulnerabili i geni che contengono sequenze ripetute: ad esempio geni cruciali come geni regolatori della crescita, proto-oncogeni e oncosoppressori. Si tratta per lo più di geni contenenti ripetizioni mononucleotidiche: ad esempio se una mutazione ricade in un allele di un proto-oncogene, a seguito di una delezione, un’inserzione o una mutazione puntiforme, ne comporta la trasformazione in un oncogene, dotato di un’espressione inappropriata e, di conseguenza, di una funzione anomala. Quando ciò accade, la cellula acquista una serie di caratteristiche dannose per la regolazione della crescita cellulare stessa. Un oncosoppressore codifica, invece, prodotti che normalmente esercitano un controllo negativo sulla crescita e la divisione cellulare, o che sono direttamente coinvolti nell’apoptosi (cioè nella morte cellulare programmata). Nelle cellule CRC MMR-difettive sono stati osservati numerosi geni bersaglio della destabilizzazione genica, quali gli oncosoppressori TGFβRII e TCF4 (28). L’accumulo delle mutazioni determina l’insorgenza e la progressione tumorale. Questo spiega perché 10 soggetti affetti da sindrome di Lynch presentano l’80% circa di probabilità di sviluppare nel corso della vita il CRC, contro il 5% della popolazione normale (29). L’instabilità genomica, dovuta all’inattivazione di un locus essenziale del MMR, può colpire anche i loci del medesimo sistema genico. In particolare MSH3 ed MSH6 sono molto vulnerabili, poiché contengono rispettivamente ripetizioni (A)8 e (C)8. Studi recenti hanno rivelato che le proteine del MMR hanno un ruolo importante anche nell’indurre l’apoptosi e l’arresto del ciclo cellulare. In seguito al riconoscimento di un errore di replicazione, infatti, è necessario produrre un segnale che induca la cellula a bloccare la proliferazione, per permettere la riparazione o, eventualmente, per indurne l’apoptosi. Un ruolo in questo senso sembra essere svolto da MSH2 e MLH1, la cui inattivazione potrebbe appunto compromettere la regolazione della morte cellulare e dell’attività proliferativa, fenomeno che permetterebbe alle cellule di propagarsi indefinitamente con il conseguente sviluppo della neoplasia (2). La specificità tissutale dei tumori associati al difetto del MMR potrebbe derivare proprio dalla particolare vulnerabilità di certi loci nei confronti dell’instabilità genomica (28). 2.7 Frequenza delle mutazioni germinali nei geni del MMR associate alla sindrome di Lynch L’Internetional Society of Gastointestinal Hereditary Tumors (INSiGHT) ha catalogato in un database le mutazioni germinali riportate in letteratura rilevate nell’ambito della sindrome di Lynch. Tale database annovera circa 450 mutazioni di probabile significato patogenetico, riscontrate in 750 11 famiglie, distribuite tra MLH1 (50%), MSH2 (39%), MSH6 (7%), MLH3 (3%), PMS2 (1%), PMS1 (<1%). Il database tiene conto sia di mutazioni patogenetiche (frameshift o non-senso) che di mutazioni missenso. Le mutazioni frameshift sono generalmente le più frequenti e rappresentano rispettivamente il 50%, il 45% ed il 40% delle alterazioni germinali registrate in MSH2, MLH1 e MSH6, mentre le mutazioni missenso rappresentano, in questi stessi geni, il 20%, il 30% ed il 40% delle varianti individuate. Le mutazioni germinali individuate nei geni del MMR sono distribuite uniformemente su tutta la sequenza codificante in quanto non esistono particolari “hot spot”. Alcune mutazioni puntiformi sono state infine osservate a livello del promotore di MLH1 e MSH2: tali mutazioni provocano l’inattivazione del promotore, che comporta la perdita dell’espressione del gene sotto il suo controllo. Per quanto riguarda l’associazione tra mutazioni di un determinato locus e le particolarità fenotipiche, è stato osservato che le alterazioni germinali di MSH2 comporterebbero un rischio maggiore di sviluppare tumori extra colon-retto, mentre le mutazioni germinali di MSH6 sarebbero associate ad un maggiore rischio di sviluppare il carcinoma all’endometrio. Inoltre le mutazioni germinali di PMS2 possono essere associate alla sindrome di Turcot che è caratterizzata dallo sviluppo contemporaneo di tumori cerebrali e colo-rettali (22). 12 SCOPO DELLO STUDIO Lo scopo di questo lavoro è stato quello di determinare l’incidenza di mutazioni germinali dei geni MLH1, MSH2 e MSH6 in un gruppo di pazienti affetti da carcinoma eredo-familiare del colon non poliposico, inquadrabili nella sindrome di Lynch, per individuare la mutazione causa di malattia, identificare familiari a rischio, migliorare la sorveglianza e lo sviluppo di approcci diagnostici e terapeutici. Tutte le famiglie risultate non portatrici di mutazioni in MLH1 e MSH2 sono state successivamente analizzate per la ricerca di mutazioni nel gene MSH6. Si è poi proceduto a verificare la relazione esistente tra le mutazioni germinali, riscontrate nei geni studiati, e l’instabilità microsatellitare (MicroSatellite Instability, MSI). Contemporaneamente è stata analizzata, con metodica immunoistochimica, la presenza della proteina prodotta da tali geni per valutare la correlazione tra l’eventuale mancanza d’espressione nel tessuto tumorale, l’incidenza di MSI e/o la presenza di mutazioni germinali a loro carico. Altro scopo di questa tesi è stato mettere a punto una tecnica innovativa, l’MLPA (Multiplex Ligation-dependent Probe Amplification), per la ricerca di ampi riarrangiamenti genici in MLH1, MSH2 e MSH6, al fine di poter effettuare una diagnosi molecolare più rapida, sensibile ed efficiente nei pazienti affetti da sospetta sindrome di Lynch. Lo studio si è articolato nelle seguenti fasi: 1. arruolamento dei pazienti affetti da sospetta sindrome di Lynch rispondenti alle linee guida di Bethesda riviste (2003); 13 2. analisi mutazionale, realizzata tramite sequenziamento automatico ed MLPA, dei geni MLH1, MSH2 e MSH6 nella linea germinale di ciascun paziente; 3. studio dell’instabilità microsatellitare presente nel DNA tumorale; 4. studio dell’espressione degli stessi “geni target” nei campioni di tessuto tumorale, realizzato con la tecnica immunoistochimica. 14 PAZIENTI E METODI 4.1 Selezione dei pazienti Nell’ambito dei pazienti affetti da tumore colo-rettale giunti all’osservazione del Centro Regionale di Genetica Oncologica, sono stati invitati a prendere parte alle indagini genetiche tutti i soggetti con una storia familiare che permetteva di ipotizzare una forma ereditaria riconducibile alla sindrome di Lynch, selezionati secondo le linee guida di Bethesda, stilate nel 1997 e riviste nel 2003, al fine di includere l’intero gruppo di neoplasie extra-coliche correlate alla sindrome di Lynch. Pertanto, sono stati ritenuti idonei allo studio tutti i pazienti che soddisfacevano almeno uno dei seguenti criteri: • diagnosi di carcinoma colo-rettale prima dei 50 anni; • individui con almeno due neoplasie HNPCC correlate sincrone o metacrone o altre neoplasie (che includono endometrio, stomaco, vescica, pelvi renale, glioblastoma, piccolo intestino, tratto epatobiliare, adenomi sebacei, cheratoacantoma); • carcinoma colo-rettale con elevata instabilità dei microsatelliti diagnosticato prima dei 60 anni; • individui con carcinoma colo-rettale con almeno un parente di primo grado affetto da carcinoma colo-rettale o da altra neoplasia HNPCCcorrelata. Una delle neoplasie deve essere stata diagnosticata prima dei 50 anni (inclusi adenomi, diagnosticati prima dei 40 anni); 15 • individui con carcinoma colo-rettale con almeno due parenti (di primo o di secondo grado) affetti da tumore colo-rettale o da altra neoplasia correlata all’HNPCC, indipendentemente dall’età d’insorgenza. In fase di counselling pre-test a tutti i pazienti, è stato chiesto il consenso informato per la realizzazione di test genetici, finalizzati alla ricerca di mutazioni germinali che potessero essere responsabili dell’insorgenza della malattia. Per motivi di riservatezza, a ciascun paziente è stato attribuito un numero identificativo e garantita la privacy dei risultati (7). 4.2. Preparazione dei campioni 4.2 a) Purificazione di acidi nucleici da sangue periferico Dopo aver ottenuto il consenso informato del paziente a partecipare allo studio, si è provveduto ad un prelievo di circa 15 ml di sangue periferico, 2 dei quali sono stati utilizzati per l’estrazione del DNA genomico. La purificazione del DNA è stata realizzata utilizzando il kit “Flexigene 3 ml Blood” (Qiagen), secondo le istruzioni del fornitore. Aliquote di campione ematico da 2 ml sono state poste in provette da 15 ml, a cui sono stati aggiunti 5 ml di buffer di lisi FG1 fornito dal kit. Il campione, così miscelato, è stato centrifugato per 5’ a 2000 g procedendo subito dopo all’eliminazione del sovranatante e al recupero del pellet. Quest’ultimo è stato poi risospeso in 1 ml di soluzione FG2/QIAGEN PROTEASE preparata con 1 ml di buffer FG2 e 10 µl di QIAGEN/PROTEASE (forniti dal kit); è seguita un’incubazione di 10’ alla temperatura di 65°C. Alla soluzione sono stati poi aggiunti 1.5 ml di isopropanolo assoluto, consentendo, con l’inversione della provetta, la 16 precipitazione del DNA genomico che assume un aspetto filamentoso. Il pellet recuperato dopo centrifugazione per 3’ a 2000 g è stato poi lavato con 1.5 ml di etanolo al 70% e di nuovo recuperato tramite centrifuga a 2000 g per 3’. Dopo aver scaricato il sovranatante la provetta è stata posta rovesciata su un foglio di carta assorbente per lasciar scolare bene l’etanolo, stando attenti che il pellet rimanesse ben adeso al fondo durante l’asciugatura. Infine, il DNA è stato risospeso in 200 µl di buffer FG3 (fornito dal kit) e lasciato a temperatura ambiente per tutta la notte, per favorire la completa solubilizzazione del DNA. 4.2 b) Estrazione del DNA genomico da tessuto incluso in paraffina Il tessuto tumorale dei pazienti conservato in paraffina è stato gentilmente fornito dall’Istituto di Anatomia e Istologia Patologica dell’Università Politecnica delle Marche. L’estrazione di DNA da campioni di tumore inclusi in paraffina, necessario per l’analisi dei microsatelliti, è stata effettuata utilizzando il kit “QIAamp DNA Mini Kit” (Qiagen), secondo il protocollo contenuto all’interno del kit stesso. Sono stati sminuzzati circa 10 mg di tessuto incluso in paraffina, poi addizionati a 1,2 ml di xilene, necessario per dissolvere la paraffina. È stata effettuata un’agitazione tramite vortex, seguita da una centrifugazione a 14000 rpm per 5 minuti; il pellet così ottenuto è stato poi lavato per 3 volte con 1.2 ml di etanolo (100%) per rimuovere lo cilene residuo. Per eliminare completamente l’etanolo il pellet è stato essiccato in centrifuga Speed-Vac e in seguito risospeso in 180 µl di buffer di lisi ATL e 20 µl di Proteinasi K (20 mg/ml), forniti dal kit. E’ seguita un’ incubazione di 16 17 ore a 56°C. Dopo questo passaggio, al campione sono stati aggiunti 200 µl di buffer AL (fornito dal kit) e si è proceduti ad una seconda incubazione di 10 minuti a 70°C. Al campione sono stati poi aggiunti 200 µl di etanolo (100%) e tutta la miscela è stata caricata su una colonna cromatografica e centrifugata a 8000 rpm per 1 min. Successivamente la colonna è stata lavata per 2 volte, prima con 500 µl di buffer AW1, poi con 500 µl di buffer AW2 (forniti entrambi dal kit) e, dopo ciascuna aggiunta, i campioni sono stati centrifugati a 8000 rpm per un minuto. Per recuperare il DNA sono state effettuate 2 eluizioni in successione, realizzate ciascuna con 30 µl di buffer AE (fornito dal kit) e seguite da un’incubazione di alcuni minuti a temperatura ambiente, nonché da una centrifugazione di 1 minuto a 8000 rpm. 4.3 Studio delle mutazioni germinali dei geni MLH1 e MSH2 Abbiamo preso in considerazione i geni MLH1 e MSH2, fra tutti quelli che costituiscono il MMR, poiché sono i più coinvolti (90% circa dei casi) nelle neoplasie eredo-familiari del colon non poliposiche. 4.3a) Amplificazione dei geni MLH1, MSH2 e MSH6 tramite PCR L’analisi di MLH1, MSH2 e MSH6, al fine di riscontrare mutazioni germinali, è stata realizzata a partire da campioni di DNA genomico sottoposti ad amplificazione dei geni in questione, tramite reazione di PCR (Polymerase Chain Reaction: Reazione a Catena della Polimerasi) (31). 18 Questa tecnica consiste nella sintesi enzimatica in vitro di una sequenza specifica di DNA a partire da una miscela di frammenti; così facendo la sequenza viene replicata ripetutamente e selettivamente con efficienza elevata. La reazione avviene in presenza dei quattro deossinucleotidi trifosfato (dNTPs), di una DNA polimerasi e di due oligonucleotidi, denominati primers, che si legano selettivamente alle estremità del filamento che si intende amplificare, permettendo alla DNA polimerasi di iniziare la sintesi di una copia del filamento del DNA stampo. I primers devono essere disegnati sulla base della conoscenza, almeno parziale, della sequenza di DNA che si vuole replicare in vitro. Essi interagiscono con la sequenza “bersaglio” volgendo le proprie estremità 3’-OH libere verso l’interno del frammento, favorendo la sintesi biologica del DNA in direzione 5’→3’. La lunghezza dei primers da utilizzare deve essere generalmente compresa fra le 15 e le 30 bp ed i loro rapporti AT/GC non devono essere sbilanciati, per evitare temperature di associazione e dissociazione troppo diverse tra loro da cui risulterebbe una perdita della specificità della reazione. La temperatura di annealing (Tm) corrisponde alla temperatura alla quale ogni primer si dissocia o si riassocia alla sequenza bersaglio e dipende dalla forza ionica del mezzo oltre che dal contenuto in basi azotate. Nello specifico il gene MLH1 è costituito da 19 esoni, mentre il gene MSH2 da 16; per ciascuno di essi sono stati disegnati i primers utilizzati per la reazione di PCR (Tabelle 4.1 e 4.2). La DNA polimerasi utilizzata nel nostro laboratorio è chiamata Taq polimerasi poiché isolata dal batterio termofilo Thermus acquaticus ed è una DNA polimerasi termostabile. Infatti questo enzima ha un optimum di attività a 72°C ed è capace di mantenere la propria stabilità a temperature prossime ai 100°C per un tempo rilevante. 19 La reazione di PCR inizia con una denaturazione termica del DNA che funge da substrato; dopo la separazione dei filamenti stampo, la temperatura si abbassa gradualmente, fino al raggiungimento della Tm dei primers che permette l’associazione alle regioni specifiche del DNA. In seguito la temperatura viene innalzata fino al raggiungimento di quella ottimale della Taq polimerasi, in modo da consentire la sintesi dei filamenti complementari a quelli che fungono da stampo. Con la ripetizione ciclica di queste tre fasi (denaturazione, annealing ed elongazione) viene amplificata in modo esponenziale solo la regione da noi prescelta, delimitata dai due primers (Figura 4.1(32). Per il nostro studio la PCR è stata realizzata in un volume totale di 50 µl, comprendenti 50 mM di KCl, 10 mM di TRIS-HCl a PH 9.0, 2 mM di MgCl2, 0.2 mM di dATP, dCTP, dTTP, dGTP, 50 pmol di ciascun primer e 25 unità di Taq polimerasi (Platinum). A tale miscela sono stati infine aggiunti 20 ng/µl di DNA genomico del paziente. Utilizzando un thermal cycler, la miscela è stata sottoposta a denaturazione a 94°C per 2’, seguita da 35 cicli di amplificazione costituiti da: denaturazione a 94°C per 20’’, annealing alla Tm calcolata per ogni coppia di primers per 30’’ ed elongazione a 72°C per 30’’. Al termine dell’amplificazione il campione è stato mantenuto a 72°C per 7’ ed infine conservato a 4°C. Un’aliquota del campione, pari a 5µl del prodotto di reazione, è stata successivamente testata mediante elettroforesi in un gel d’agarosio all’1.5% per verificare di avere amplificato specificamente la sequenza target. La sequenza codificante di entrambi i geni è stata analizzata in toto, in modo da poter rilevare l’eventuale presenza di mutazioni germinali anche a livello dei siti accettore e donatore di ciascun esone, possibile causa di un 20 riarrangiamento nella sintesi della proteina corrispondente, con conseguente perdita della sua funzionalità. Figura 4.1: Rappresentazione schematica della reazione di PCR 21 Esone Sequenze primers Tm 1 5’ TGA AGG AAG AAC GTG AGC 3' S 5’ TCG TAG CCC TTA AGT GAG C 3’ AS 5’ TAC ATT AGA GTA GTT GCA GA S 5’ CAG AGA AAG GTC CTG ACT C 3’ AS 5’ AGA GAT TTG GAA AAA TGA GTA AC 3’ S 5’ ACA ATG TCA TCA CAG GAG G 3’ AS 5’ CAG TGA GTT TTT CTT TCA GT 3’ S 5’ ATT ACT CTG AGA CCT AGG C 3’ AS 5’ GAT TTT CTC TTT TCC CCT TGG G 3’ S 5’ ACA AAG CTT CAA CAA TTT ACT CT 3’ AS 5’ GGG TTT TAT TTT CAA GTA CTT CTA TG 3’ S 5’ CAT TAC TTT GAT GAC AAA TCT CAG A 3’ AS 5’ CTA GTG TGT GTT TTT GGC 3’ S 5’ CAT AAC CTT ATC TCC ACC 3’ AS 5’ CTC AGC CAT GAG ACA ATA AAT CC 3’ S 5’ AAT GTG ATG GAA TGA TAA ACC 3’ AS 5’ CAA AAG CTT CAG AAT CTC TTT T 3’ S 5’ TCC CTG TGG GTG TTT CCT GTG 3’ AS 5’CAT GAC TTT GTG TGA ATG TAC ACC 3’ S 5’TGA TAG AAC ATC TGT TCC TTG TGA G 3’ AS 5’ TCC CAC TAT CTA AGG TAA TTG 3’ S 5’ AGA AGT AGC TGG ATG AGA AG 3’ AS 5’ CTT CTT ATT CTG AGT CTC TCC ACT A 3’ S 5’ GGC AGT TTT ATT ACA GAA TAA AGG A 3’ AS 5’ TGC AAC CCA CAA AAT TTG GC 5’ S 5’ CTT TCT CCA TTT CCA AAA CC 3’ AS 5’ GTT GGT AGG ATT CTA TTA CT 3’ S 5’ ACC ATT GTT GTA GTA GCT CT 3’ AS 5’ TTG TAT CTC AAG CAT GAA TT 3’ S 5’ TTT TCA GAA ACG ATC AGT TG 3’ AS 5’ TCC TTC ATG TTC TTG CTT 3’ S 5’ CAG AAG TAT AAG AAT GGC 3’ AS 5’ GGA AAG CAC TGG AGA AAT GG 3’ S 5’ AGC ACA CAT GCA TGT ACC GAA AT 3’ AS 5’ GTA GTC TGT GAT CTC CGT TT 3’ S 5’ ATT GTA TGA GGT CCT GTC CTA 3’ AS 5’ CAA ACA GGG AGG CTT ATG A 3’ S 5’ AAA TAA GAA ATT ATG TTA AGA CAC ATC 3’ AS 60°C 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 58°C 62°C 56°C 58°C 64°C 58°C 54°C 60°C 60°C 60°C 60°C 54°C 52°C 50°C 50°C 62°C 56°C 54°C Tabella 4.1: Primers utilizzati per l’amplificazione di MLH1 22 Esone Sequenze primers Tm 1 5’ GCC CTG GAA GCT GAT TGG G 3’ S 5’ GTC CCT CCC CAG CAC GCG 3’ AS 5’ TTG AAC ATG TAA TAT CTC AAA TCT GT 3’ S 5’ AAA ACA CAA TTA AAT TCT TCA CAT T 3’ AS 5’ AGT ATG TTC AAG AGT TTG TT 3’ S 5’ GGA ATC TCC TCT ATC ACT AG 3’ AS 5’ CCT TTT CTC ATA GTA GTT TAA ACT AT 3’ S 5’ TAT TGT AAT TCA CAT TTA TAA TCC ATG T 3’ AS 5’ GTG GTA TAG AAA TCT TCG A 3’ S 5’ ACC ATT CAA CAT TTT TAA CC 3’ AS 5’ TTC ACT AAT GAG CTT GCC AT 3’ S 5’ GGT AAC TGC AGG TTA CAT AA 3’ AS 5’ ATT TAG TTG AGA CTT ACG 3’ S 5’ CAA AAA AAC AAA ATC ACT TGT 3’ AS 5’GAT TTG TAT TCT GTA AAA TGA GAT CT 3’ S 5’CTA CAA ACT TTC TTA AAG TGG CC 3’ AS 5’ TCT TTA CCC ATT ATT TAT AGG A 3’ S 5’ CAG TGT ATA GAC AAA AGA ATT 3’ AS 5’ GGT AGT AGG TAT TTA TGG AAT A 3’ S 5’ TAG GGA ATT AAT AAA GGG TT 3’ AS 5’ TCT AGT ACA CAT TTT AAT ATT TTT 3’ S 5’ CCA GGT GAC ATT CAG AAC AT 3’ AS 5’ CGG CTT ATA TCT GTT TAT TAT TCA GT 3’ S 5’ ACC CCC ACA AAG CCC AAA AAC CAG GTT TTT 3’ AS 5’ TGT CAG TGT AAA CCT ACG CG 3’ S 5’ TCC TTC TCA CAG GAC AGA GAC A 3’ AS 5’ TGT GAT GGG AAA TTT CAT G 3’ S 5’ GGT AGT AAG TTT CCC ATT A 3’ AS 5’ AAT TCC ATT TAC ATA AAT TGC TGT CTC 3’ S 5’ TGT AAT AAT AGA GAA GCT AAG TTA AAC 3’ AS 5’ ATA TTT TAA TTA CTA ATG GGA CAT TCA 3’ S 5’ TAT CAA TAT TAC CTT CAT TCC ATT ACT 3’ AS 62°C 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 Tabella 4.2: Primers utilizzati per l’amplificazione di MSH2 23 50°C 58°C 50°C 52°C 54°C 50°C 50°C 49°c 50°C 50°C 50°C 56°C 50°C 50°C 50°C Esone 1 2 3 4A 4B 4C 4D 4E 4F 4G 4H 5 6 7 8 9 10 Sequenza primers 5’ TTG GGC CTT GCC GGC TGT C 3’ 5’ CAA GCG CCC CGC CGC TAT G 3’ 5’ GTA GGT AAC TGC CTT TAA GG 3’ 5’ AGT CTG CCT GTC TGT CTG TT 3’ Tm S AS S AS 5’ GCA CCC GGC CCT TAT TGT TT 3’ S 5’ TGA ATG CTT GCC GTG TCC C 3’ AS 5’ TAC TCT TTC CTT GCC TGG CA 3’ S 5’ TGC TTG TTT GGT GGC TGA GG 3’ AS 5’ ATG GTG ACT GGA AAT GGC TC 3’ S 5’ CAC CTT GTA ACA GAT GAC AAG 3’ AS 5’ TGG TGG CAG ATT AAG TCT CA 3’ S 5’ TGT AGT TCT CAG AGG GAT CA 3’ AS 5’ AGG GAG ATC TGT AGG ATC AT 3’ S 5’ CCC AAT GCC ATC ACT TAG CT 3’ AS 5’ CTC TTC AGG AAG GTC TGA TA 3’ S 5’ AGT AGG GTT CCT TCA GTA GA 3’ AS 5’ CTA TCA ACG AAT GGT GCT AG 3’ S 5’ GCA ACT TCT TCC ATG ATC CC 3’ AS 5’ TTC TGC TCT GGA AGG ATT CA 3’ S 5’ ATA GAC TAT GGT CCT ACA GC 3’ AS 5’ AAA ATG AAC AGA GCC TCC TG 3’ S 5’ CAG CAC TAC TTA TCA AAG CC 3’ AS 5’ GAT AAA ACC CCC AAA CGA TG 3’ S 5’ CTG TGT TTG GAA AAT GAT CAC C 3’ AS 5’ ACC TTT TCC TCC CTC ATT CA 3’ S 5’ TGA ATG AGA ACT TAA GTG GG 3’ AS 5’ AGC TCA TGA TAG CTA TAT AAC C 3’ S 5’ TGC GTG CTC TAA AAA CAT TC 3’ AS 5’ GGA TGT ACT AAC CGA TGT TG 3’ S 5’ TAG CAA GAG AAG TGC CCT CT 3’ AS 5’ AGA GGG CAC TTC TCT TGC TA 3’ S 5’ CAT AGT GCA TCA TCC CTT CC 3’ AS 5’ GAA GTT TGC CTG GCT AGT GA 3’ S 5’ CAG AAG TCA ACT CAA AGC TTC C 3’ AS 66°C 60°C 64°C 56°C 58°C 50°C 50°C 56°C 54°c 52°C 52°C 56°C 50°C 52°C 54°C 62°C 52°C Tabella 4.3: Primers utilizzati per l’amplificazione di MSH6 24 4.3b) Sequenziamento automatico L’analisi della sequenza nucleotidica dei geni MLH1 e MSH2 è stata realizzata mediante sequenziamento automatico tramite elettroforesi su capillare, utilizzando uno strumento “Genetic Analyser 3100”. Questa tecnica permette di analizzare la sequenza di un numero elevato di campioni in tempi piuttosto brevi, garantendo un’elevata accuratezza ed affidabilità. Per l’analisi della sequenza è stato seguito il metodo Sanger che si basa sulla sintesi di un frammento di DNA a partire da DNA a singolo filamento che funge da stampo. Il sistema di reazione necessita di una DNA polimerasi, di un solo primer, dei quattro dNTPs e dei quattro dideossi nucleotiditrifosfati (ddNTPs) sprovvisti del gruppo ossidrilico in posizione 3’ e marcati a fluorescenza. Questi ultimi fungono da terminatori poiché interrompono l’allungamento del filamento di nuova sintesi, laddove incorporati nella catena nucleotidica, perché mancanti dell’OH in posizione 3’ necessario alla formazione del legame diestereo con il nucleotide successivo. Ciò determina la sintesi di un insieme di frammenti di diversa dimensione, ognuno terminante con uno specifico ddNTP. Dal momento che ciascun ddNTP è marcato in modo diverso, è possibile caratterizzare l’estremità di ogni classe di frammenti prodotta, risalendo pertanto alla sequenza del filamento stampo tramite confronto delle diverse classi in base alla lunghezza dei frammenti. Tale processo prende il nome di reazione di sequenza ed è stato automatizzato permettendo una ciclizzazione della reazione che si basa su successivi cicli di denaturazione, annealing e allungamento, che sono poi le fasi centrali del processo di PCR. Poiché nella miscela di reazione è presente un solo primer, viene amplificato uno solo dei due filamenti di DNA stampo. 25 La reazione di sequenza è stata realizzata utilizzando i tratti esonici dei due geni in esame, amplificati tramite PCR. I prodotti della reazione di amplificazione, prima di essere sottoposti alla suddetta reazione, sono stati purificati dai primers e dai nucleotidi in eccesso, non incorporati con la PCR, tramite il kit QIAquick PCR Purification kit (Qiagen). L’eluito è stato quindi quantizzato in gel d’agarosio all’1.5% tramite confronto con uno standard di peso molecolare. La reazione di sequenza è stata realizzata in un volume totale di 20 µl, usando il kit Abi Prism Ready reaction Big-Dye Terminator cycle sequencing kit con Amply Taq FS (Applied Biosystems). Per marcare ciascun frammento sono stati utilizzati dei terminatori rhodaminici (Big-Dye terminator) dotati di carbossifluoresceina, gruppo chimico che assorbe la luce ad una determinata lunghezza d’onda, per poi riemetterla sotto forma di fluorescenza. I terminatori specifici per ogni base che abbiamo utilizzato sono: dR6G (contenente adenina), dROX (contenente citosina), dR110 (contenente guanina) ed infine dTAMRA (contenente timina). Alla miscela sono stati aggiunti 10 ng del prodotto di PCR purificato e 5 pmol dell’unico primer. I campioni sono stati quindi sottoposti a 25 cicli di amplificazione, ciascuno caratterizzato dalle seguenti fasi: 96°C per 10’’, 50°C per 5’’ e 60°C per 4’. Successivamente, il prodotto della reazione di sequenza è stato purificato usando colonnine cromatografiche DyeEx2.0 Spin kit (Qiagen) Il campione è stato poi denaturato a 95°C per 3’ e caricata nello strumento dopo aver subito uno shock termico in ghiaccio, necessario per mantenere la separazione tra i due filamenti di DNA da analizzare (Fig. 4.2) 26 Per la reazione di sequenza sono stati utilizzati gli stessi primers impiegati per la PCR. Prodotto di amplificazione ddATP ddGTP ddTTP ddCTP Dideossi terminatori Primer di sequenza marcati Reazione di sequenza Caricamento nel capillare Eccitamento dei floruofori con un raggio laser Processamento dei dati al computer Rilevamento con fotomoltiplicatore Figura 4.2: Rappresentazione schematica della metodica utilizzata per il sequenziamento automatico 27 4.3c) Interpretazione dell’analisi di sequenza Il risultato dell’analisi della sequenza nucleotidica è un elettroferogramma costituito da una successione di picchi, ciascuno corrispondente ad un nucleotide, il cui colore identifica la base presente in quella posizione. La sequenza relativa agli esoni di ciascun gene, così ottenuta, è stata confrontata con quella selvatica disponibile in un database al sito Internet http://www.Ncbi.nlm.nih.gov/entrez/query.fcgi. Se nell’elettroferogramma in esame viene rilevato un picco di colore diverso rispetto alla sequenza originale di quel particolare esone, questo viene interpretato come una sostituzione di una base in quel punto. Inoltre, laddove si osserva la presenza di due picchi sovrapposti, la mutazione viene ritenuta in eterozigosi; se invece si rileva la presenza di un unico picco, si deduce che la stessa mutazione è presente in entrambi gli alleli del gene, rientrando pertanto in una condizione di omozigosi. Nel caso in cui si riscontri la mancanza o l’aggiunta di una o più basi ed il conseguente scompaginamento della sequenza a valle delle basi mancanti, si parla rispettivamente di delezioni o inserzioni associate a scivolamento della cornice di lettura del gene (mutazione frameshift). Tutte le sospette mutazioni rilevate sono poi state confermate ripetendo l’analisi mutazionale su un nuovo prodotto di PCR e ogni mutazione o polimorfismo rilevato è stato poi confrontato con le alterazioni riportate in letteratura e catalogate in un database, disponibile al sito internet http://www.ngdht.nl/database/mlh1-poly.htm. 4.4 Analisi dei microsatelliti Sono stati presi in considerazione cinque sistemi microsatellitari, consigliati dalle Linee Guida di Bethesda e che caratterizzano il Pannello NCI (National Cancer Institute) (30). Questi sistemi sono: BAT25, BAT26, D2S123, 28 D5S346, D17S250 (Tabella 4.4) e sono stati analizzati tramite elettroforesi capillare con applicazione GeneScan. Microsatelliti Locus cromosomico Unità ripetitiva BAT25 BAT26 D2S123 D2S346 D17S250 4q12 2p 2p16 5q21 - q22 17q11.2 - q12 Poly A Poly A CA CA CA Tabella 4.4: Sistemi microsatellitari studiati 4.5 Amplificazione dei microsatelliti tramite PCR I cinque loci microsatellitari studiati sono stati amplificati tramite PCR (utilizzando le stesse condizioni citate nel paragrafo 4.3a) a partire sia dal DNA genomico del paziente, che dal DNA estratto dal tessuto tumorale dello stesso, in modo da poter amplificare i microsatelliti nella linea germinale ed in quella tumorale, per poter poi effettuare il confronto. Per ognuno dei cinque sistemi amplificati sono stati disegnati i primers che delimitano le sequenze bersaglio (Tabella 4.5). In particolare il primer forward di ciascun microsatellite è stato marcato al 5’ con un fluorocromo: 5’-VIC (BAT26), 5’-NED (BAT25), 5’-FAM (D2S123), 5’-FAM (D17S250), 5’PET (D5S346), forniti dalla Applied Biosystems. 29 Locus Primer Tm 5’ TCG CCT CCA AGA ATG TAA GT 3’ S 5’ TCT CAT TTT AAC TAT GGC TC 3’ AS 50°C BAT25 5’ TGA CTA CTT TTG ACT TCA GCC 3’ S 5’ AAC CAT TCA ACA TTT TTA ACC C 3’ AS 50°C BAT26 5’ ACA TTG CTG GAA GTT CTG GC 3’ S 5’ CCT TTC TGA CTT GGA TAC CA 3’ AS 55°C D2S123 5’ TAT ATA TTT AAA CCA TTT GAA AGT G 3’ S 5’ TTC AGG GAA TTG AGA GTT ACA G 3’ AS 52°C D5S346 5’ AAT AG CAA TAA AAA TAT GTG GTG T 3’ S 5’ TAT ATA TTT AAT CCA TTT GAA AGT 3’ AS 52°C D17S250 Tabella 4.5: Sequenze dei primers senso (S) e antisenso (AS) utilizzate per l’amplificazione dei microsatelliti 4.6 Analisi microsatellitare tramite GeneScan I sistemi del Pool NCI amplificati tramite PCR sono stati poi preparati per l’analisi elettroforetica. Un µl di prodotto è stato miscelato in 12 µl di formamide deionizzata e 0,5 µl di GeneScan-500 LIZ Size Standard (Applied Biosystems), che consente la determinazione della taglia dei frammenti di DNA con una lunghezza compresa fra i 35 e i 500 nucleotidi. Questo standard viene preparato digerendo un plasmide con l’endonucleasi di restrizione PsTI e legando un oligodeossinucleotide di 22 bp, marcato con il dye LIZ, alle estremità del taglio. Un’ulteriore digestione enzimatica con BstUI produce frammenti di DNA contenenti un solo dye LIZ. Al momento della denaturazione i filamenti appaiati si separeranno e migreranno con velocità diverse nel capillare, ma, visto che la marcatura del frammento di DNA è asimmetrica, verrà rilevato solo il frammento marcato. La presenza 30 dello standard è essenziale per normalizzare le differenze di mobilità elettroforetica tra le varie iniezioni e per evitare di far correre più volte il ladder, favorendo l’analisi di più campioni. Una volta allestiti, i campioni sono stati denaturati a 95°C per 3 minuti, quindi sottoposti a shock termico ed infine caricati sullo strumento ABI PRISM 310 Genetic Analyser (Applied Biosystems), dove sottoposti ad elettroforesi capillare. I dati raccolti nelle corse elettroforetiche sono stati analizzati con il software GeneScan 3.7 (Applied Biosystems). Rispetto alle metodologie indirette il sistema automatico GeneScan offre notevoli vantaggi: accuratezza ed esattezza dei risultati, estrema specificità e sensibilità, riduzione dei costi e dei tempi di corsa. 4.7 Interpretazione dello studio dell’instabilità microsatellitare Lo studio dell’instabilità microsatellitare è stato considerato soddisfacente solo quando almeno due dei cinque loci microsatellitari del Pool NCI sono stati amplificati con successo, sia dal DNA purificato dal sangue periferico, sia da quello purificato dal tessuto tumorale. Sono stati considerati, nella classificazione fenotipica dei tumori, informativi per l’instabilità microsatellitare solo quei microsatelliti che manifestavano un fenotipo RER+ (Replication ERror). Questo fenotipo è stato determinato tramite confronto fra le sequenze ripetitive amplificate a partire dalla linea germinale e da quella tumorale di ogni paziente, facendo ciò per ogni locus microsatellitare. In questo modo, l’instabilità microsatellitare o fenotipo RER+ è stata definita come la presenza di un pattern allelico diverso nel tessuto tumorale, rispetto a quello della linea germinale (comparsa di bande soprannumerarie e/o 31 variazioni del peso molecolare degli alleli), in uno o più sistemi microsatellitari. La situazione in cui uno solo degli alleli è presente nella linea tumorale, viene definita LOH (Lost of Heterozigosis) e non viene classificata come RER+. In base ai risultati ottenuti riguardo allo studio dell’instabilità, i tumori sono stati classificati in tre categorie: 1. MicroSatellite Stable (MSS): neoplasie stabili in cui non si evidenziano alterazioni delle sequenze microsatellitari; 2. MicroSatellite Instability Low (MSI-L): neoplasie con bassa instabilità in cui si è riscontrato un solo locus microsatellitare alterato (meno del 40% dei loci esaminati); 3. MicroSatellite Instability High (MSI-H): tumori ad elevata instabilità con due o più loci alterati (40% o più dei loci esaminati) (33). 4.8 Immunoistochimica La tecnica dell’immunoistochimica permette di rilevare un antigene in una sezione di tessuto congelato, fissato o fresco, utilizzando un anticorpo marcato, ottenuto dall’immunizzazione di un animale contro l’antigene che si vuole studiare. Per la marcatura è stata sfruttata la coniugazione dell’anticorpo con enzimi che, in presenza del loro substrato, permettono di identificare e di misurare l’attività enzimatica, la quale è indice del riconoscimento da parte dell’anticorpo dello specifico antigene ed è proporzionale al numero di anticorpi legati al tessuto. In tal modo, con anticorpi diretti contro le proteine codificate dai geni MLH1, MSH2 e MSH6 è possibile verificare l’espressione genica degli stessi nel tessuto tumorale dei 32 pazienti. Ciò ha permesso di studiare la correlazione tra la mancata espressione di uno dei due geni dell’MMR, la presenza di mutazioni germinali e l’instabilità microsatellitare. L’analisi immunoistochimica è stata seguita dal Prof. Bearzi dell’Istituto di Anatomia e Istologia Patologica dell’Università Politecnica delle Marche. 4.9 Multiplex Ligation Dependent Probe Amplification (MLPA) Le metodiche standard, utilizzate per l’esecuzione dei test genetici come ad esempio il sequenziamento automatico, non sono in grado di identificare riarrangiamenti genetici di maggior entità (delezioni o inserzioni di ampie porzioni del gene). Da qualche anno è stata messa a punto una metodica innovativa, relativamente semplice, detta MLPA (Multiplex Ligation Probe Amplification) che, per sua natura, non identifica il difetto preciso del DNA presente nel campione in esame, ma permette di osservare un difetto di “dose” suggestivo della presenza di una delezione o di una duplicazione. La tecnica MLPA identifica alterazioni in circa il 10% del casi risultati negativi al test genetico standard. L’MLPA offre notevoli vantaggi all’operatore: è estremamente sensibile in quanto riesce a distinguere sequenze che differiscono tra loro di un solo nucleotide, ha un elevato grado di riproducibilità ed è relativamente semplice. La reazione avviene infatti in un'unica provetta e in un unico step e si richiede esclusivamente un termociclatore ed un kit di amplificazione già disponibile in commercio (SALSA MLPA KIT MRC-Holland), contenente un mix di 33 oligonucleotidi fluorescenti che vanno a legarsi, in contemporanea, a tutti gli esoni del gene che si vuole studiare (34). La reazione di MLPA è stata effettuata utilizzando il seguente protocollo: - denaturazione di 50-100 ng di DNA mediante riscaldamento nel termociclatore a 98°C per 5'; - aggiunta delle sonde e del buffer per l’ibridazione e successiva incubazione nel termociclatore a 60°C per 16h; - aggiunta della ligasi-65 e del buffer per la ligazione delle sonde a 54°C per 15'; - inattivazione della ligasi mediante riscaldamento a 98°C; - aggiunta delle sonde, dNTPs e polimerasi, per iniziare la reazione di amplificazione delle sonde legate; - analisi e quantizzazione dei prodotti di amplificazione mediante elettroforesi capillare. Aliquote di DNA, ad una concentrazione di 50-100 ng, sono state diluite con TE in un volume finale di 5 µl e denaturate ad una temperatura di 98°C per 5 minuti. Dopo aggiunta di 1,5 µl di soluzione salina, contenente 1,5 M KCl, 300 mM Tris-HCl pH 8,5, 1 mM EDTA, e di 1,5 µl di Probe-mix, contenente 1-4 fmol di ciascun oligonucleotide (probe), i campioni sono stati denaturati per 1 minuto a 95°C per la completa denaturazione e poi incubati per 16 h a 60°C per la fase di ibridazione delle sonde alle specifiche sequenze esoniche dei geni MLH1, MSH2 e MSH6. La reazione di “ligazione” degli oligonucleotidi ibridanti la sequenza target è stata effettuata diluendo i campioni in un volume finale di 40 µl con una miscela di reazione (2,6 mM 34 MgCl2, 5 mM Tris-HCl pH 8,5, 0,013% di detergenti non-ionici, 0,2 mM di NAD) contenente 1 U di enzima Ligasi-65 e incubando a 54°C per 15 minuti. L’inattivazione termica dell’enzima Ligasi avviene mediante riscaldamento a 98°C per 5 minuti. 10 µl di tale reazione di “legazione” sono diluiti con 30 µl di una miscela di reazione costituita da 4µl PCR-Buffer (fornito dalla ditta produttrice) e 26µl di acqua sterile, per effettuare la reazione di amplificazione. Mentre tali campioni raggiungono nel termociclatore la temperatura di 60°C, sono addizionati 10 µl di una soluzione contenente 10 pmoli dei primers, 2.5 nmol di dNTPs e 2.5 U della polimerasi fornita dalla MRC-Holland. L’unica coppia di primers utilizzata per questa miscela è costituita da un Forward-primer marcato con fluorescente FAM e da un Reverse-primer non marcato. La PCR è stata effettuata con il seguente programma di amplificazione: 35 cicli 30" a 95°C (denaturazione) 30" a 60°C (appaiamento) 60" a 72°C (allungamento) 1 ciclo 20' di incubazione a 72°C (allungamento finale) I prodotti di amplificazione sono stati separati su capillare elettroforetico del tipo ABI PRISM 310. Per l’elettroforesi capillare è stata preparata una miscela contenente 0,75 µl di reazione PCR, 0,75 µl di acqua, 0,5 µl di standard interno (ROX-500 Genescan) e 13.5 µl di formammide HiDi, incubata per 2’ a 80°C e poi iniettata nel capillare. Contemporaneamente sono stati fatti correre dei DNA di controllo. L’analisi dei risultati è stata effettuata utilizzando il software Genescan e i fogli di lavoro Excel. 35 Fig 4.3: Elettroferogramma fornito dalla tecnica MLPA 36 Fig. 4.4: Rappresentazione schematica della reazione MLPA 37 RISULTATI 5.1 Caratteristiche dei pazienti In questo studio sono stati inclusi pazienti osservati presso il Centro Regionale di Genetica Oncologica fra giugno 1996 e dicembre 2011. Tutti i pazienti rispettavano i criteri definiti dalle linee guida di Bethesda riviste nel 2003, ed i pazienti studiati precedentemente che non rientravano in tali criteri sono stati esclusi dallo studio. A questi pazienti è stato dettagliatamente presentato lo scopo dello studio ed è stato chiesto loro il consenso informato per la realizzazione dei tests genetici volti alla ricerca delle mutazioni che potessero essere responsabili dell’insorgenza della neoplasia. E’ stata inoltre garantita la completa privacy dei risultati, anche nei confronti dei parenti. Dei 313 pazienti inclusi nello studio, 181 erano donne e 132 uomini, con un’età mediana d’insorgenza della malattia di 48 anni ed un range compreso tra i 16 ed gli 85 anni. Di questi, 81 rientravano nei criteri di Amsterdam e 232 rientravano nelle linee guida di Bethesda. Caratteristiche dei pazienti Numero dei pazienti 313 Età media di insorgenza del tumore del colon 48 (range16-85) Pz che soddisfano i criteri di Amsterdam 81 Pz che soddisfano le linee guida di Bethesda 232 Tabella 5.1: Caratteristiche dei pazienti inclusi nello studio 38 5.1 Studio delle mutazioni germinali di MLH1, MSH2 e MSH6 Il sequenziamento diretto è stato completato in 299 pazienti e sono stati individuati complessivamente 48 pazienti portatori di 31 diverse mutazioni. Nel gene MLH1 sono state riscontrate 11 diverse mutazioni germinali, in 19 pazienti: 7 sono mutazioni missenso, 1 silente e 3 nel sito di splicing (Tabella 5.2). Nel gene MSH2 sono state rilevate 16 diverse mutazioni germinali in 24 pazienti: 8 di tipo missenso, 3 mutazioni frameshift, 2 mutazioni non-senso, 1 nel sito di splicing e 2 riarrangiamenti genici (Tabella 5.3). A carico del gene MSH6 sono state trovate 4 diverse mutazioni germinali in 5 pazienti: 2 mutazioni missenso, 1 frameshift e 1 mutazione non-senso. (Tabella 5.4). Esone Tipo di mut 15 Missenso Leu559Arg 1 17 Missenso Tyr646Cys 3 16 Missenso Lys618Ala 2 17 Missenso Pro648Ser 1 18 Missenso Arg687Trp 1 18 Missenso Pro469Arg 1 12 Missenso Ser406Asn 1 14 Sito di splicing Splice acceptor site intron 13 3 Mutazione N° Pazienti IVS 13-G >T 9 Sito di splicing Splice donor site intron 9 4 c.790 +4A>T 4 Sito di splicing Splice acceptor site intron 3 1 IVS3-A >G 17 Silente L653L 1959 G>T Tabella 5.2: Mutazioni individuate nel gene MLH1 39 1 Esone Tipo di mut. Mutazione N° Pazienti 3 Missenso Asp167His 1 7 Missenso Arg359Ser 6 3 Missenso Gly162Arg 1 3 Missenso Val161Asp 3 3 Missenso Met152Ile 1 12 Missenso Asn618Ser 1 3 Missenso Ile145Met 1 5 Missenso Gly287Glu 1 12 Non-senso Arg621X C>T 1 3 Non-senso Gln170X C>T 2 9 Sito di splicing Splice acceptor site intron 9 1 IVS9-A >G 2 Frameshift Frameshift 93 (del TT al 278) 1 15 Frameshift Frameshift 876 (del AG al 2629) 1 3 Frameshift Frameshift (del GA al 611) 1 7-8 grande Del Ex 7-8 1 Del Ex 1-2 1 riarrangiamento 1-2 grande riarrangiamento Tabella 5.2: Mutazioni individuate nel gene MSH2 40 Esone Tipo di mut. Mutazione N° Pazienti 9 Missenso Arg1331Pro 1 4B Missenso Arg360Cys 2 4H Non-senso Tyr977X 1 4 Frameshift Frameshift 605 1 ( del TA al 1815-1816) stop codon: 638 Tabella5.4: Mutazioni individuate nel gene MSH6 Immagine 5.1: Esempio di analisi della sequenza di MSH2; a livello del codone 876 del gene, in corrispondenza del rettangolo, si nota uno scivolamento della cornice di lettura dovuto in questo caso, alla delezione di 2 basi (CT), con conseguente comparsa di un codone di stop prematuro al codone 879 41 5.3 Analisi di ampi riarrangiamenti genici mediante MLPA I campioni risultati negativi per la ricerca delle mutazioni puntiformi in MLH1, MSH2 e MSH6, sono stati selezionati per identificare l’eventuale presenza di ampie delezioni o duplicazioni nei geni MLH1, MSH2 e MSH6 mediante la metodica MLPA. Per tale analisi è stato eseguito il protocollo riportato nella sezione Materiali e Metodi e sono stati adoperati, come controlli esterni, campioni di DNA di soggetti normali. 5.4 Analisi dell’instabilità microsatellitare E’ stata valutata l’instabilità microsatellitare dei cinque sistemi che caratterizzano il Pool NCI (BAT26, BAT25, D2S123, D17S250, D5S346), tramite elettroforesi capillare con applicazione GeneScan (Immagine 5.2). Tale analisi è stata condotta solo su 73 dei 313 pazienti inseriti nello studio, poiché solo per questi era disponibile il tessuto tumorale incluso in paraffina (Tabella 5.5). Il fenotipo RER+ o instabilità microsatellitare, è stato definito come l’esistenza di un pattern di corsa elettroforetica diverso tra la linea sana e quella tumorale, caratterizzato, nella linea tumorale, da bande soprannumerarie e/o con diverso peso molecolare (Immagine 5.2). La condizione opposta, secondo cui nella linea tumorale viene persa una delle bande alleliche, è definita LOH (Loss Of Heterozygosity) e non viene messa in relazione con la sindrome di Lynch, per cui non rientra nel fenotipo RER+. 42 In base all’entità di instabilità osservata, ogni tumore è stato classificato in una delle seguenti categorie: - MicroSatellite Stable (MSS): neoplasie stabili in cui non si evidenziano alterazioni delle sequenze microsatellitari; - MicroSatellite Instability Low (MSI-L): neoplasie con bassa instabilità in cui si è riscontrato un solo locus microsatellitare alterato (meno del 40% dei loci esaminati); - MicroSatellite Instability High (MSI-H): tumori ad elevata instabilità con due o più loci alterati (40% o più dei loci esaminati) [50]. In 23 casi (31,5%) si è riscontrata una MSI-H, in 7 casi (9,5%) una MSI-L e negli altri 43 campioni di tessuto analizzato (59%), non si è evidenziata MSI. Dei 43 pazienti con MSS, 2 di essi erano portatori di mutazioni di tipo missenso in MLH1, e 2 pazienti erano portatori di una mutazione di tipo frameshift e una mutazione missenso in MSH6. Nei 7 pazienti con MSI-L non è stata trovata alcuna mutazione. Infine dei 23 pazienti con MSI-H, sono state trovate 5 mutazioni a carico di MLH1 in 7 pazienti, e 4 mutazioni a carico di MSH2 in 7 pazienti. Non è stato possibile esaminare altri casi con GeneScan per mancanza di tessuto tumorale. In conclusone si può affermare, per quanto riguarda i portatori di mutazione nel gene MLH1, 7/19 presentavano MSI-H, mentre 2/15 hanno manifestato instabilità microsatellitare nulla (MSS) (Tabella 5.6). Per quello che riguarda, invece, i portatori di mutazione in MSH2, 8/24 sono risultati avere una MSI- 43 H (Tabella 5.7). Non è stato possibile analizzare gli altri casi per mancanza del DNA tumorale. Per quanto riguarda le mutazioni del gene MSH6, entrambi i portatori non manifestavano instabilità microsatellitare (Tabella 5.8). I loci più frequentemente mutati sono risultati essere BAT25 e BAT26 con rispettivamente il 30% ed il 28,6% dei casi alterati. Il terzo microsatellite più alterato è risultato essere il sistema CAT25 con il 23,6% dei casi alterati, come ci si aspettava dalla letteratura (Tabella 5.9). N° Pazienti Instabilità osservata Percentuale 43 MSS 59% 7 MSI-L 9.5% 23 MSI-H 31.5% Tabella 5.5: Instabilità microsatellitare nei pazienti studiati 44 Paziente Tipo di mut. Mutazione MSI 37 Missenso Tyr646Cys 0% 107 Missenso Lys618Ala ND 230 Missenso Leu559Arg 60% 277 Missenso Pro648Ser 40% 417 Missenso Tyr646Cys 40% 487 Missenso Pro469Arg 0% 582 Missenso Arg687Trp 80% 638 Missenso Lys618Ala ND 891 Missenso Tyr646cys ND 1114 Missenso Ser406Asn ND 215 Sito di splicing IV9c.790+4A>T 60% 649 Sito di splicing IV9c.790+4A>T 80% 674 Sito di splicing IV9c.790+4A>T 40% 907 Sito di splicing IVS13-G>T ND 479 Sito di splicing IVS13-G>T ND 516 Sito di splicing IVS13-G>T ND 521 Sito di splicing IVS13-G>T ND 630 Sito di splicing IVS3-A>G ND 1140 Non-senso L653L ND Tabella 5.6 :Instabilità microsatellitare in pazienti con mutazioni in MLH1 45 Paziente Tipo di mut. Mutazione MSI 126 Missenso Asp167His ND 140 Missenso Arg359Ser 60% 238 Missenso Arg359Ser 80% 247 Missenso Arg359Ser 60% 289 Missenso Gly162Arg 60% 416 Missenso Arg359Ser 40% 583 Missenso Val161Asp ND 627 Missenso Met152Ile ND 807 Missenso Val161Asp 40% 833 Missenso Val161Asp ND 935 Missenso Asn599Ser ND 1059-1165 Missenso Arg359Ser ND 1073 Missenso Gly287Glu ND 1192 Missenso Iso145Met ND 185 Frameshift Frameshift 876 ND 387 Frameshift Frameshift 93 ND 977 Frameshift Frameshift 611 ND 623 riarrangiamento Del Ex 7-8 40% 835 riarrangiamento Del Ex 1-2 ND 276 Sito di splicing IVS9-A>G 80% 915-916 Non senso Gln170X ND 783 Non senso Arg621X ND Tabella 5.7 Instabilità microsatellitare in pazienti con mutazioni in MSH2 46 Paziente Tipo di mut. Mutazione MSI 545 Missenso Arg1331Pro 0% 919 Missenso Arg360Cys ND 1035 Missenso Arg360Cys ND 463 Frameshift Frameshift 605 0% 935 Non-senso Tyr977X ND Tabella 5.8 Instabilità microsatellitare in pazienti con mutazioni in MSH6 Loci Unità ripetitiva Sentibilità (lettura) Risultati ottenuti BAT25 Poly A 100% 30% (21/70) BAT26 Poly A 94% 28,6% (20/70) D2S123 CA 72% 19,4% (13/67) D5S346 CA 50% 16% (11/68) CAT25 Poly T 100% 23,6% (13/55) Tabella 5.9: Percentuale di instabilità dei singoli loci studiati 47 Immagine 5.2: Esempio di corsa elettroforetica con GeneScan di tre sistemi microsatellitari di un paziente; nella linea tumorale (A) si evidenzia instabilità in tutti i tre sistemi rispetto alla linea germinale (B) 5.5 Analisi immunoistochimica diMLH1, MSh2 e MSH6 L’indagine immunoistochimica delle proteine MLH1, MSH2 E MSH6 è stata completata nei pazienti entrati in studio di cui si aveva disponibilità del preparato istologico tumorale incluso in paraffina. In particolare, l’analisi immunoistochimica di MLH1 e MSH2 è stata completata in 93 pazienti, quella di MSH6 in 74 pazienti. La mancata espressione di MLH1 è risultata in 15 casi, mentre la mancata espressione di MSH2 in 10 casi (Tabella 5.10). Infine la mancata espressione di MSH6 è risultata in 18 casi (Tabella 5.11). Dall’analisi è emerso che le mutazioni descritte per il gene MLH1 correlavano con la mancata espressione proteica corrispondente, fatta eccezione per il paziente 487 che manifestava la mutazione missenso Pro496Arg, associata 48 alla mancata espressione del gene MSH2 e la regolare espressione del gene MLH1. Lo stesso fenomeno si è verificato nel caso di MSH2: tutte le mutazioni riscontrate in questo gene correlavano con la mancata espressione dello stesso, ad eccezione del paziente 126, portatore della mutazione missenso Asp167His, che manifestava mancata espressione del gene MLH1 e regolare espressione di MSH2. La perdita dell’espressione della proteina MSH2 si è verificata nel paziente 545 portatore della mutazione missenso del gene MSH6. Il risultato ottenuto è sempre stato confrontato con un controllo positivo interno dato da cellule normali epiteliali, stromali e linfociti, tutti elementi cellulari che esprimono i geni in studio regolarmente. Analisi Immunoistochimica N° pazienti IHC MLH1 + 78 IHC MLH1 - 15 IHC MSH2 + 83 IHC MSH2 - 10 Tabella 5.10: Pazienti in cui è stata completata l’analisi immunoistochimica di MLH1 e MSH2 49 Analisi Immunoistochimica N° pazienti IHC MSH6 + 56 IHC MSH6 – 18 Tabella 5.11: Pazienti in cui è stata completata l’analisi immunoistochimica di MSH6 5.6 Test genetico predittivo per la sindrome di Lynch I risultati ottenuti in questo studio e riportati nei paragrafi precedenti, hanno reso possibile la messa a punto di una strategia ottimale di “screening” per la ricerca di mutazioni nei geni MMR in pazienti appartenenti a famiglie con sospetta sindrome di Lynch. Nei soggetti a rischio, appartenenti a famiglie in cui è stata riscontrata una mutazione nei geni MLH1, MSH2 o MSH6, è stato possibile effettuare una diagnosi molecolare presintomatica. Ventisette dei 64 soggetti analizzati sono risultati portatori del difetto molecolare individuato nella famiglia, mentre 37 soggetti sono risultati negativi per la mutazione caratteristica della famiglia di appartenenza. 50 DISCUSSIONE Questo studio si inserisce nell’ambito di un’indagine più ampia, inerente lo studio delle neoplasie eredo-familiari del colon-retto non poliposiche, iniziata nel laboratorio del Centro Regionale di Genetica Oncologica nel giugno del 1996. E’ stata studiata l’incidenza delle mutazioni germinali nei geni del MMR: MLH1, MSH2 e MSH6, il quadro d’instabilità microsatellitare ad esse associato e, tramite l’analisi immunoistochimica, l’espressione delle proteine. Mediante la ricostruzione della storia familiare, sono stati selezionati quei pazienti per i quali si poteva ipotizzare una forma ereditaria riconducibile alla sindrome di Lynch, così come definita dalle Linee Guida di Bethesda riviste nel 2003. Sono stati inseriti nello studio 313 pazienti a cui è stato spiegato dettagliatamente lo scopo dello studio e a cui è stato chiesto il consenso informato per la realizzazione di test genetici, volti alla ricerca di mutazioni responsabili dell’insorgenza della patologia. Dei 313 pazienti entrati in studio, 181 erano donne e 132 uomini, con età media di insorgenza della neoplasia di 48 anni ed un range compreso tra 16 e 85anni. Di questi, 81 rientravano nei criteri di Amsterdam e 232 rientravano nelle linee guida di Bethesda. L’analisi della sequenza dei geni MLH1, MSH2 e MSH6 è stata completata in 299 dei 313 pazienti coinvolti nello studio. Complessivamente sono state individuate 31 mutazioni. In MLH1 sono state identificate 11 mutazioni in 19 pazienti, di cui 7 di tipo missenso, 1 silente e 3 nel sito di splicing. La mutazione missenso Tyr646Cys è stata riscontrata in 3 famiglie diverse, 51 mentre la mutazione Lys618Ala è stata trovata in 2 membri della stessa famiglia. La mutazione del sito di splicing nell’introne 13 è stata riscontrata in 3 membri della stessa famiglia. Anche la mutazione del sito di splicing nell’introne 9 è stata riscontrata in 3 membri della stessa famiglia, a conferma della patogenicità della mutazione e in un paziente appartenente ad una famiglia diversa dalla precedente. Nei pazienti in cui era disponibile il pezzo tumorale è stato possibile effettuare l’analisi dei microsatelliti e l’analisi immunoistochimica. Due pazienti portatori di una mutazione di tipo missenso, mostravano stabilità microsatellitare (MSS), mentre altri 7 pazienti avevano una instabilità microsaterllitare elevata (MSH-I) e infine sui restanti 10 pazienti non è stato possibile effettuare tale analisi a causa della mancanza del pezzo tumorale. Nove pazienti inoltre mostravano la perdita di espressione del gene MLH1, per 9 pazienti non è stato possibile effettuare l’analisi immunoistochimica, per la mancanza del tessuto tumorale. E’ stato possibile attribuire un significato verosimilmente patogenetico a 8 delle 11 mutazioni trovate. L’eccezione è rappresentata dalla mutazione missenso in MLH1 Pro496Arg, nell’esone 13, che si è mostrata associata con la perdita di espressione di MSH2 e non di MLH1 come ci si aspettava. L’esecuzione di test funzionali ha permesso di stabilire che la mutazione non sembra essere correlata con la comparsa della neoplasia, trattandosi verosimilmente, di una variante non patogenetica. Sono in corso altri test funzionali per chiarire la causa della mancata espressione della proteina MSH2: ciò potrebbe essere dovuto a meccanismi epigenetici, come la metilazione del promotore. La restante mutazione missenso (Ser406Asn) e la 52 mutazione non-senso(L653L) in MLH1 sono ancora di dubbia patogenicità in quanto non sono ancora state studiate. L’analisi nucleotidica di MSH2 ha portato all’identificazione di 16 mutazioni in 24 pazienti: 8 mutazioni di tipo missenso, 3 mutazioni frameshift, 2 mutazioni non-senso, 1 nel sito di splicing e 2 grandi riarrangiamenti rispettivamente degli esoni 1-2 e degli esoni 7-8. La mutazione missenso Arg359Ser è stata rinvenuta in due famiglie diverse e in ciascuna, in tre componenti della famiglia stessa. L’elevata aggregazione familiare porterebbe a pensare che l’alterazione di tipo missenso abbia, in questo caso, un significato patogenetico. Inoltre tale mutazione è stata riscontrata anche in diversi soggetti sani appartenenti alle due famiglie in esame. Le mutazioni di tipo frameshift comportano lo scivolamento della cornice di lettura determinando la formazione di un codone di stop precoce con conseguente produzione di una proteina tronca: hanno quindi un chiaro significato patogenetico nel causare la suscettibilità alla malattia. Le mutazioni frameshift sono state riscontrate nel paziente 185 che rientrava nei criteri di Amsterdam I e che presenta la mancata espressione di MSH2, nel paziente 977 e 387 che rientravano nelle Linee Guida di Bethesda del 2002. In entrambi non è stato possibile verificare la mancata di espressione del gene MLH2 a causa dell’indisponibilità del tessuto tumorale. Per lo stesso motivo non si è potuto procedere con l’analisi dei microsatelliti. Sei pazienti portatori di mutazioni di tipo missenso, riscontrate nel gene MSH2, mostravano la mancanza di espressione del gene stesso, ad eccezione di un solo paziente (126) in cui la mutazione era associata alla mancata espressione di MLH1 e non di MSH2 come ci si aspettava. Tutte le mutazioni 53 missenso in cui è stato possibile determinare la MSI erano associate ad instabilità microsatellitare alta (MSI-H). Sono stati riscontrati due grandi riarrangiamenti, rispettivamente a carico degli esoni 7-8 e 1-2 che determinano la delezione degli stessi con chiare conseguenze a livello biologico sulla proteina. A carico del gene MSH6 sono state trovate 4 diverse mutazioni germinali in 5 pazienti. La mutazione missenso Arg360Cys nell’esone 4B, è stata identificata in due pazienti appartenenti alla stessa famiglia. La mutazione frameshift, riscontrata nel paziente 463, comporta la delezione dei nucleotidi T e A all’interno del frammento D dell’esone 9 che ha determinato la formazione di un codone di stop con la conseguente produzione di una proteina tronca e non funzionante. Tale mutazione è associata ad una mancata espressione del gene MSH6. In 2 dei 4 casi di mutazioni a carico del gene MSH6, è stato possibile correlare la mutazione con la mancata espressione della proteina corrispondente. Nelle famiglie HNPCC il 67% e il 50% delle mutazioni germinali riscontrate rispettivamente in MLH1 e in MSH2 sono di tipo missenso. Mentre per le mutazioni frameshift, per quelle che ricadono nei siti di splicing e per i grandi riarrangiamenti la patogenicità è facilmente prevedibile (poiché generano una proteina tronca) l’interpretazione delle conseguenze fenotipiche e del significato biologico delle mutazioni missenso risulta più difficile. Questo avviene sia perché mutazioni di questo tipo possono essere associate a fenotipi “atipici” di sindrome di Lynch e quindi non consentire un’agevole correlazione genotipo-fenotipo, sia per le difficoltà nella valutazione degli effetti (alterazioni funzionali e strutturali) correlati alle 54 proprietà chimico-fisiche degli aminoacidi coinvolti e alla regione interessata dalla mutazione nella proteina corrispondente. Riuscire a prevedere la patogenicità di una mutazione missenso riveste comunque un’importanza clinica notevole, poiché permette di individuare, tra i familiari del paziente, soggetti a rischio da inserire in un adeguato programma di screening preventivo, e permette di identificare familiari non portatori, che manifestano lo stesso rischio di insorgenza del tumore della popolazione generale, escludendoli da protocolli di indagine invasivi e rassicurandoli dal punto di vista psicologico. In particolare, per valutare il significato biologico di tali alterazioni, il protocollo individuato prevede di correlare la presenza di mutazioni germinali in MLH1 o MSH2 con dati clinico-patologici, con l’analisi dell’espressione di MLH1 e di MSH2 nel tessuto tumorale (IHC), con l’analisi dell’instabilità microsatellitare (MSI), con l’analisi del rischio di patogenicità stimato mediante strumenti in silico (software SIFT-Sorting Intolerant from Tolerant-) e con i risultati relativi agli assays funzionali di espressione, di interazione e di localizzazione subcellulare. L’analisi microsatellitare è stata possibile in 73 pazienti: 43 hanno mostrato assenza di instabilità (MSS), 7 pazienti bassa instabilità (MSI-L), 23 elevata instabilità microsatellitare (MSI-H). Quest’analisi può essere usata come prescreening per selezionare i pazienti da sottoporre ad analisi genetica completa per la ricerca di mutazioni responsabili dell’insorgenza di tumori ereditari del colon-retto o neoplasia associate alla sindrome di Lynch I loci presi in considerazione per lo studio dell’instabilità microsatellitare sono stati 6: BAT25, BAT26, D2S123, D17S250, D5S346 e CAT25. I loci più 55 frequentemente mutati sono risultati essere BAT25 e BAT26 seguiti da CAT25, D17S250, D2S123 e D5S346, in accordo con la letteratura. Questo studio è stato affiancato dall’analisi immunoistochimica per valutare l’espressione delle proteine MLH1, MSH2 e MSH6 nel tessuto tumorale. Lo studio è stato condotto su 93 dei 313 pazienti, in tutti quei casi dove era possibile reperire il materiale istologico. Le mutazioni trovate in MLH1 erano tutte associate a mancata espressione del gene stesso ad eccezione del paziente 487 in cui MLH1 è espresso. Le mutazioni del gene MSH2 si correlavano a mancata espressione del gene stesso ad eccezione del paziente 126 in cui MSH2 è espresso normalmente. Le mutazioni di MSH6 erano tutte associate a mancata espressione del gene stesso ad eccezione del paziente 463 in cui il gene è espresso. La perdita d’espressione di MLH1 e MSH2, accompagnata dall’assenza di mutazioni nel gene corrispondente, è stata uno dei fattori primari per selezionare i pazienti in cui studiare in futuro altri geni implicati nel MMR. In particolare l’assenza di espressione di MLH1, non affiancata da mutazioni del gene, è stata un parametro per selezionare i pazienti in cui studiare il gene PMS2. Infatti la perdita di espressione di MLH1 può, in certi casi, essere causata da mutazioni che risiedono in geni codificanti per proteine partners, ad esempio PMS2. Alternativamente, la mancata espressione potrebbe essere causata da alterazioni che risiedono nel promotore o nelle altre regioni regolatrici dell’espressione proteica. Mutazioni in queste aree potrebbero pregiudicare le interazioni con le strutture necessarie per la trascrizione. La perdita di espressione potrebbe essere anche causata da eventi epigenetici, come la metilazione del promotore, che impediscono comunque la 56 trascrizione e quindi la sintesi proteica. Anche in questo caso il laboratorio si è proposto di procedere all’analisi di questi eventi in pazienti selezionati. Da queste considerazioni si può concludere che l’analisi genetica eseguita, presenta un notevole grado di affidabilità e dimostra l’utilità di un test genetico rivolto alle famiglie con sospetta sindrome di Lynch. Si rende quindi possibile individuare soggetti portatori di mutazioni e quindi ad elevato rischio per lo sviluppo di tumori colo-rettali. Questi pazienti potranno avvalersi di programmi di screening clinico-strumentali, basati sulla colonscopia, in grado di ridurre la mortalità per queste neoplasie. Lo studio è tuttora in corso e si propone di estendere l’esecuzione del test genetico a ulteriori familiari dei pazienti portatori di mutazioni, qualora lo richiedano. Si propone inoltre di includere l’analisi della sequenza di altri geni del MMR già conosciuti come PMS2 e MSH3, e di ulteriori geni implicati, di cui non è ancora del tutto chiaro il meccanismo d’azione. 57 BIBLIOGRAFIA 1.MARRA G., BOLAND C. R., et al., Hereditary Nonpolyposis Colorectal Cancer: the Syndrome, the Genes, and Historical Perspectives. Journal of the National Cancer Institute87: 114-1122, 1995 2.HISAMUDDIN I. M., YANG V. W., Genetics of colorectal cancer. MedGenMed. 2004 Aug13;6(3):13 3.BERLAU J., GLEI M., et al., Colon cancer risk factors from nutrition.Anal Bioanal Chem. 2004 Feb;378(3):737-43. Epub 2003 Oct 30. 4.HENDRIKS Y. M., DE JONG A. 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