Recensione del libro “IL GENE EGOISTA”

- Recensione del libro “IL GENE EGOISTA” TITOLO ORIGINALE: “The selfish gene”
AUTORE: Richard Dawkins
CASA EDITRICE: Mondadori
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1995
(prima pubblicazione 1976, Oxford University Press) (1989 Edizione rivisitata)
TRADUTTORI: Giorgio Corte & Adriana Serra
Brevi cenni biografici e bibliografici sull’autore
Richard Dawkins nacque a Nairobi nel 1941. Nel 1949 ritornò con la sua famiglia in Inghilterra, stato che il padre
aveva abbandonato per unirsi, durante la Seconda Guerra Mondiale, alle Forze Alleate in Kenya. Studiò all’Università
di Oxford e si laureò nel 1962. Si trattenne in questa città per lavorare al suo dottorato con l’etologo Niko Tinbergen.
Tra il 1967 e il 1969 svolse la professione di assistente di zoologia all’Università della California a Berkeley. Nel
1970 diventò professore in zoologia all’Università di Oxford e un membro del “New College”. Nel 1976 pubblicò il
suo primo libro “Il Gene Egoista” che diventò immediatamente un bestseller internazionale e, come un altro suo libro,
“L’Orologiaio Cieco” (1986), venne tradotto in tutte le principali lingue. Con questa sua seconda opera, nel 1987,
Dawkins vinse sia il premio della “Royal Society of Literature”, sia quello del “Los Angeles Times”. Nel 1995 fu il
detentore del Premio Charles Simonyi per la Divulgazione Scientifica. Nel 1996 venne eletto Umanista dell’anno e
nel 1997 entrò a far parte della “Royal Society of Literature”. Dawkins, esponente della corrente del fondamentalismo
darwiniano ha quindi pubblicato i seguenti libri: The Selfish Gene; The Blind Whatchmaker; The Extended
Phenotype; River out of Even.
Concetti fondamentali espressi nel libro
- L'universo e' costituito da schemi stabili di atomi e fra essi vi sono le molecole replicatori, le cui
proprietà
fondamentali sono la fecondità, l'accuratezza o fedeltà della replicazione, la longevità, l'essere soggette ad errori
(caratteristica che favorisce l’evoluzione).
I replicatori che sono sopravvissuti nel tempo sono i geni, e per sopravvivere (per propagarsi come replicatori), hanno
costruito veicoli, macchine di sopravvivenza (animali, vegetali, uomo); di conseguenza anche noi siamo macchine da
sopravvivenza programmate per preservare i geni
I geni sono unità che sopravvivono "passando attraverso un gran numero di corpi successivi" e risulta, quindi, ovvio
che la loro aspettativa di vita è lunghissima
L'origine dei replicatori, secondo l'autore, è casuale, ma una molecola che produce copie di se stessa è sufficiente che
compaia una sola volta per potersi propagare, ovviamente se avrà più successo di quelle già presenti
- I geni sono le unità base dell'egoismo ovvero si evolvono sviluppando capacità che possono favorire se stessi sono i
primi; inoltre questi replicatori immortali sono i primi sia per importanza che per comparsa e, perché esista la vita, è
necessaria la loro presenza, non quella dei singoli corpi.
Le macchine da sopravvivenza o, meglio, i geni che le controllano, hanno due priorità: la sopravvivenza individuale e
la riproduzione. La morte del singolo organismo è, infatti, meno importante, ciò che conta è il ciclo della riproduzione
che origina nuove generazioni che conterranno geni dei due genitori
- L'influenza del gene su una determinata caratteristica di un organismo è sempre indiretta, direttamente i geni
possono influenzare solo la sintesi delle proteine.
- L'evoluzione e' il processo per cui alcuni geni diventano più numerosi di altri; l'amore universale, il benessere della
specie, l'altruismo sono concetti che non appartengono alla storia dell'evoluzione biologica. Siamo nati egoisti (a
causa dell’egoismo dei nostri geni), generosità e altruismo devono esserci insegnati. Soltanto capendo gli scopi dei
nostri geni egoisti, potremo almeno avere la possibilità di alterare i loro ‘progetti’. Nessun’altra specie può aspirare a
'ribellarsi’ ai propri geni; l’uomo è l'unico animale dominato dalla cultura, è l'eccezione alla regola dell'evoluzione
biologica o, più probabilmente, l'inizio di una nuova e diversa forma di evoluzione: il passaggio dai geni ai memi,
ovvero replicatori identificati come buone idee, invenzioni, scoperte, che passano di cervello in cervello per
imitazione subendo, talvolta, modifiche (involontarie o non) che li possono far evolvere.
- La selezione naturale può essere guardata da due punti di vista, quello del gene e quello dell'individuo. L’autore,
comunque, conferma la sua teoria affermando che l'unità fondamentale della selezione naturale è il gene che è, anche,
l'unità dell'ereditarietà e dell'egoismo.
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Charles Darwin è stato il primo a costruire una teoria coerente e difendibile che spieghi perché esistiamo, ed è la
nostra intelligenza che ci consente di elaborare una ragione dell'esistenza
- I geni che sopravvivono sono quelli che predispongono strategie evolutive stabili (che l’individuo attua
inconsciamente); esempi significativi sono: a) la procreazione e la cura;
b) produrre un numero uguale di maschi e di femmine.
- I singoli geni possono essere immortali, non il loro insieme che costituisce i singoli organismi:
I nostri memi possono avere al contrario una durata molto più lunga: "una volta che i geni hanno fornito alle loro
macchine da sopravvivenza cervelli capaci di imitazione rapida, i memi prenderanno il sopravvento".
Unici sul pianeta, abbiamo il potere di ribellarci ai nostri creatori, i replicatori egoisti: possiamo sviluppare l'altruismo
disinteressato, qualcosa che non esiste in natura
Per approfondire… Riassunti dei singoli capitoli
1. Perché la gente esiste?
La risposta a questa domanda, come sottolinea l’autore, si può facilmente ottenere prendendo in considerazione la teoria di
Darwin, secondo cui l’evoluzione avviene quando un individuo presenta qualità che gli permettono di sopravvivere a discapito
di altri individui e che, quindi, tenderà a propagare. Fin qui è tutto noto e normale ma ciò che vuole introdurre Dawkins è una
particolare interpretazione del processo evolutivo; l’autore, premettendo che a suo parere l’evoluzione sia da studiare non a
livello di individui o di gruppi di individui ma a livello di geni, crede che nella lotta per la sopravvivenza entri in gioco una
caratteristica dei geni che li spinge a tentare di essere migliore degli altri per potersi diffondere: l’egoismo.
Ovviamente l’egoismo dei geni è inconscio e non prevede discorsi morali, ma è una qualità che porta i geni a trovare ogni via
possibile (anche il falso altruismo) per avere la meglio su altri geni.
L’egoismo spietato dei geni, sostiene l’autore, è quella caratteristica che permette di propagare copie di sé e, quindi, nel corso
dell’evoluzione, è risultato decisamente vantaggioso e, proprio per questo, si è propagato ed è posseduto dai geni che sono
giunti al giorno d’oggi.
2. I replicatori
In questo capitolo l’autore prende in esame più approfonditamente le questioni della nascita della vita e dell’evoluzione.
La vita ebbe inizio in un brodo costituito da diverse sostanze quando, a causa di reazioni chimiche provocate dai raggi
ultravioletti o dalle scariche elettriche dei fulmini, si formarono complessi molecolari costituiti prevalentemente da basi
azotate, ovvero i ‘mattoni’ del DNA. La svolta che diede inizio al processo evolutivo si ebbe quando uno dei complessi
molecolari ‘viventi’ fu in grado di creare copie di se stesso; per questo motivo può essere chiamato replicatore. L’evoluzione,
seguendo la teoria darwinista, consiste, appunto, in errori di copiatura che, casualmente, possono aver favorito un replicatore
rispetto agli altri e averne, quindi, facilitato la diffusione.
Dawkins sostiene che per analizzare correttamente la possibilità di sopravvivenza e di diffusione dei replicatori bisogna
considerare tre loro caratteristiche: la longevità, la fecondità e la fedeltà di copiatura. La longevità risulta necessaria soltanto
per portare un replicatore in età riproduttiva poi, senza dubbio, gli elementi fondamentali per la propagazione di un certo
replicatore sono la fecondità e la fedeltà di copiatura; infatti ogni replicatore “vorrebbe” (ovviamente inconsciamente)
diffondere copie esatte di se stesso , ma, talvolta, si presentano degli errori di copiatura che, dopotutto, sono fondamentali per
l’evoluzione.
Un’altra caratteristica fondamentale dei replicatori, già individuata da Darwin, è la competizione che entra in gioco a causa
della non-infinitezza delle risorse vitali. L’evoluzione entra in gioco anche dal punto di vista della competizione facendo
sviluppare diversi elementi e tattiche d’attacco e di difesa per contrastare gli avversari; in questo modo si arrivò alla
costruzione di veri e propri ‘veicoli protettivi’, le cellule, che, dopo diversi passi evolutivi, furono organizzate in complesse
macchine da sopravvivenza, le piante e gli animali.
3. Eliche immortali
Il modo di Dawkins di interpretare l’evoluzione prevede, quindi, che i geni, e non gli individui, si siano evoluti con il passare
degli anni in una continua lotta gli uni contro gli altri. Secondo Dawkins, infatti, i corpi degli esseri viventi non sono altro che
“macchine” che i geni costruiscono e dirigono per poter sopravvivere e tramandare copie di se stessi (tramite la riproduzione).
Quindi si può concludere che i geni sono le vere unità evolutive, ovvero quelle unità che, grazie ad un casuale errore di
copiatura, da una generazione all’altra possono essere in grado di codificare un organismo intorno a loro che sia più adatto alla
sopravvivenza rispetto ad altri e li possa, quindi, favorire.
Si può anche affermare che i geni sono le unità di base di quell’egoismo che ne favorisce la sopravvivenza e, quindi, viene
tramandato; ovviamente quest’affermazione risulta difficile far conciliare con il fatto che la maggior parte dei geni lavora
‘collaborando’ con altri geni ma, se si analizza attentamente la situazione, si può notare che in realtà ogni gene ‘combatte’
contro i propri alleli, mentre gli altri geni rappresentano soltanto un ambiente circostante che spesso ne migliorano il
funzionamento.
Dawkins, infine, si interroga su una questione complessa: “Perché moriamo?” L’autore, seguendo la teoria di Medwar, prova
a fornire delle spiegazioni. La morte potrebbe essere, infatti, determinata da geni detti ‘letali’, geni che si attivano
tardivamente in quanto, essendo presumibilmente già avvenuta la riproduzione quando si è in età avanzata, essi possono
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essere tramandati. I geni letali potrebbero attivarsi, per esempio, in presenza di una particolare sostanza presente nei corpi
anziani; se così fosse si potrebbe “ingannarli” creando nell’organismo un ambiente simile a quello dei corpi giovani.
Ovviamente queste sono soltanto ipotesi.
4. La macchina dei geni
In questo capitolo Dawkins mette in luce il fatto che i corpi, benché siano colonie di geni, hanno indubbiamente acquisito
individualità nel comportamento. Soprattutto gli animali, infatti, sono stati in grado di sfruttare la velocità del sistema
comportamentale grazie ai tessuti muscolari e nervosi, che hanno permesso loro di muoversi coordinatamente per raggiungere
un fine, sopravvivere.
Il comportamento delle macchine da sopravvivenza, sottolinea l’autore, viene controlla dai geni non direttamente, ovvero
volta per volta al momento di dover agire, ma in modo indiretto, ovvero predisponendo anticipatamente il corpo ad assumere
determinate caratteristiche comportamentali e a poter apprendere particolari modi d’agire che, nell’ambiente in cui si troverà a
dover vivere, lo potranno favorire per la sopravvivenza.
I geni, pur conferendo ai corpi la predisposizione di base del comportamento, non influenzano totalmente le decisioni prese
dagli animali; questo, infatti, è un compito del sistema nervoso, o meglio, del cervello che, più sviluppato è, più autonomia
può assumere rispetto ai geni stessi, anche se è raro che le decisioni prese vadano contro i due bisogni primari dei geni, ovvero
sopravvivere e riprodursi.
Alla fine del capitolo l’autore si sofferma ad analizzare un comportamento degno di nota, la comunicazione, definita come la
capacità di una macchina da sopravvivenza di influenzare il comportamento di un’altra macchina La comunicazione si è
evoluta (e continua ad evolversi) favorendo sai il mittente che il destinatario, anche se c’è il rischio che un individuo, nella
lotta per la sopravvivenza, la utilizzi a scopi personali a causa dell’egoismo che caratterizza i geni; ma è proprio questo uno
dei motivi che ne permette una continua evoluzione.
5. Aggressività: la stabilità e la macchina egoista
Per una macchina da sopravvivenza ogni altra macchina, soprattutto se della stessa specie, rappresenta un’avversaria nella
lotta per la sopravvivenza e questo è il motivo per cui si sviluppa un certo comportamento, l’aggressività. Ovviamente,
sottolinea l’autore, è molto difficile che si sviluppi aggressività tra parenti stretti in quanto, essendoci l’alta probabilità che
abbiano molti geni in comune tra loro, tendono a non ostacolarsi reciprocamente.
Le tattiche con cui affrontare un avversario sono molte e sono determinate dal corredo genetico che ha ‘preimpostato’ il corpo
a comportarsi in un determinato modo in base alla situazione in cui si viene a trovare
Lo schema di comportamento ‘programmato’ in base alle situazioni si può definire strategia, e una strategia si può dire
evolutivamente stabile (ESS) quando, adottata dalla maggior parte della popolazione, non può essere miglioratala
un’alternativa, la quale, invece, porterebbe uno squilibrio temporaneo che, in seguito, tornerebbe ad essere l’ESS iniziale.
Ovviamente, essendoci diverse strategie adottabili, in un sistema evolutivamente stabile, ovvero immune a cambiamenti, ne
possono convivere diverse.
Dawkins in questo capitolo mette anche in luce il fatto che le ESS variano soprattutto in base ai tipi di contese in cui si
trovano gli individui avversari; le contese si possono suddividere in due categorie: quelle simmetriche, in cui gli individui
sono totalmente identici ma adottano diverse strategie e quelle asimmetriche, cioè tra individui differenti per dimensioni, per
armamento o per ricompensa in caso di vittoria. Inoltre, nello studio delle contese, non bisogna trascurare il fatto che la
maggior parte di esse avviene tra individui della stessa specie in quanto tra individui di specie differenti ci sono meno interessi
comuni, fatta importante eccezione, ovviamente, per l’interesse al nutrimento.
Il concetto di ESS può essere concepito anche a livello di singoli geni; infatti particolari geni, adottando la strategia di
conferire ad un corpo una determinata caratteristica, possono complementarsi o essere compatibili con altri in un sistema
stabile che li favorisce nella lotta per la sopravvivenza. Un sistema stabile si può stabilire tra geni di corpi diversi ma anche
all’interno di un unico corpo costituendo un corredo genetico detto Serie evolutiva stabile, la quale, a detta dell’autore, avrà
successo se caratterizzata da geni determinanti comportamenti egoistici (ovviamente tranne che nei confronti dei parenti).
6. Genicità
Dawkins, in questo capitolo, analizza il fatto che i geni, oltre a favorire ovviamente se stessi, possono anche favorire loro
repliche presenti in altri corpi; ma l’autore ci tiene a sottolineare immediatamente che questo comportamento, pur sembrando
altruistico, cela il solito egoismo dei geni. E’ noto, infatti, che l’altruismo è un comportamento che si manifesta soprattutto tra
parenti stretti e questo, spiega Dawkins, avviene perché è facile che essi abbiano geni in comune; i geni di un individuo,
quindi, egoisticamente, lo fanno comportare in modo altruistico verso i parenti stretti che, molto probabilmente, contengono
copie dei geni considerati. Favorendo i parenti si verifica quella selezione naturale detta ‘per consanguinei’.
Per ampliare il discorso riguardante l’apparente altruismo dei geni si può affermare che i geni predispongono un corpo a
rischiare la vita per un altro in base al rapporto costi-benefici, così da garantire il massimo vantaggio ai geni stessi (o alle loro
copie identiche). Le ‘stime’ di costi e benefici si basano sull’esperienza passata del gene o, anche se con meno garanzie, su
quella dell’individuo (grazie alla capacità di apprendimento); ovviamente le ‘stime’ risultano attendibili finché l’ambiente
circostante non varia.
Infine Dawkins osserva che alcuni individui “peccano” di eccessivo (inconscio) altruismo (talvolta indotti da altri individui
con geni più egoisti) e finiscono con il non favorire il proprio pool genetico ma quello di altri; ne è un esempio l’adozione.
7. Pianificazione familiare
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L’autore in questo capitolo ci fa notare che vi possono essere strategie evolutivamente stabili anche finalizzate alla
procreazione e alla cura dei piccoli, ovvero in campo cosiddetto familiare.
L’unica strategia che garantisce un moderato aumento della popolazione affinché i vari componenti non muoiano di fame,
osserva Dawkins, è il controllo delle nascite; è noto che gli animali attuano un tale controllo ma sorge spontanea una
domanda: il controllo delle nascite è un comportamento altruistico, ovvero per il bene della specie, o egoistico?
Dawkins ci presenta entrambe le interpretazioni di questo fenomeno. Secondo Wynne-Edwards, sostenitore della teoria della
selezione per specie, la riproduzione consentita soltanto a maschi che comandano un certo territorio o che si trovano in una
posizione sociale elevata è un comportamento finalizzato a non far aumentare il numero di individui e, quindi, a non fare
morir di fame parte della popolazione. La seconda interpretazione, fornita da Lack secondo la teoria del gene egoista (e par
questo sostenuta anche da Dawkins), afferma che la limitazione delle nascite tende a favorire i singoli individui (corredi
genetici) in quanto, avendo un numero limitato di cuccioli da sfamare in rapporto alle condizioni ambientali, ogni individuo
può curare più meticolosamente i propri piccoli e avere, quindi, più probabilità di propagare i propri geni.
8. La battaglia delle generazioni
Nell’ottavo capitolo Dawkins, chiedendosi se vi sono ragioni per cui una madre possa decidere se curarsi più di un figlio
rispetto ad un altro, afferma che una tale decisione in particolari situazione, come la presenza di un figlio troppo gracile per
curarsene, può essere favorevole alla propagazione dei geni stessi della madre.
Si può notare che ogni figlio tende ad assumere il più possibile di quell’investimento parentale che i genitori mettono a
disposizione per i figli; ma è pur vero che il comportamento egoistico verso i fratelli, in chiave di propagazione di geni, ha un
limite in quanto il grado di parentela tra fratelli è elevato.
In conclusione Dawkins spiega che, poiché i genitori tenderebbero a far sopravvivere quanti più figli possibili mentre ogni
figlio desidererebbe avere la maggior parte delle cure per sé, solitamente si giunge ad un compromesso che prevede una
mediazione tra la situazione desiderata dai genitori e quella voluta dal figlio.
9. La battaglia dei sessi
In questo capitolo Dawkins spiega che i vari tipi di ‘famiglia’ che si possono trovare negli animali possono essere compresi in
termini di conflitti di interessi fra maschi e femmine che, essendo legati solo dai figli, non hanno altri motivi genetici per cui
comportarsi altruisticamente l’uno verso l’altro. Durante la loro vita, gli individui di entrambi i sessi ‘vogliono’ ottimizzare il
loro risultato riproduttivo, per esempio cercando di lasciare al partner il compito di crescere i figli e, nel frattempo, accoppiarsi
con altri individui. A causa di una differenza fondamentale tra le dimensioni e il numero degli spermatozoi (più numerosi e
piccoli) e delle cellule uovo (meno numerose e più grandi), i maschi in generale tendono alla promiscuità e ad evitare le cure
parentali. Le femmine hanno a disposizione due contromisure principali, la strategia della gioia domestica, con cui la femmina
verifica la fedeltà del maschio prima di accoppiarsi e quella della scelta del maschio migliore. Ovviamente saranno le
caratteristiche della specie e le condizioni ambientali a determinare quale delle due strategie verrà scelta e quale sarà la
risposta dei maschi. In natura vi è una grandissima varietà di strategie che spesso si combinano tra loro costituendo sistemi
evolutivamente stabili.
Alla fine del capitolo l’autore vuole sottolineare che un importante sistema stabile in ambito familiare è quello che prevede la
nascita di maschi e di femmine in numero uguale; equilibrio che, anche se subisse un cambiamento, si ristabilizzerebbe.
10. Tu mi gratti la schiena e io ti salto in groppa
L’autore analizza, in questo capitolo, il fatto che molti animali hanno la propensione alla vita di gruppo; ovviamente, secondo
la teoria del gene egoista, ciò significa che questi animali ottengono dalla vita associativa più di quanto danno.
Le aggregazioni avvengono, di solito, tra membri della stessa specie, ma capita che anche individui di specie differenti si
scambino favori; tali comportamenti secondo l’autore, pur sembrando altruistici, sono finalizzati a portare beneficio
immediato o futuro ai geni degli individui che li attuano o a copie degli stessi geni presenti in altri individui. Particolari
sistemi stabili di strategie collaborative citati dall’autore sono quelli che le formiche instaurano con gli afidi (allevati, munti e
protetti dalle formiche) o con i funghi (coltivati in depositi sotterranei dei nidi delle formiche).
11. Memi: i nuovi replicatori
La gran parte dei discorsi affrontati fin’ora, afferma l’autore, sono validi per tutte le macchine da sopravvivenza, mentre
alcuni si limitano soltanto al mondo animale; ma c’è qualcosa che caratterizza soltanto l’uomo? La risposta è si, infatti
l’uomo possiede un elemento insolito rispetto alle altre macchine, la cultura.
Dawkins osserva che la trasmissione culturale, in realtà, può essere paragonata a quella genetica; entrambe, infatti, possono
generare un’evoluzione. Le unità di base della trasmissione culturale, chiamate memi dall’autore, sono frasi, istruzioni, idee,
concetti etc. che vivono sul sostrato della cultura umana e ‘saltano’ di cervello in cervello subendo modifiche, ora volontarie
ora no, che permettono loro di evolversi. Per i memi sono sì importanti la longevità e la fedeltà di copiatura (anche se non
sempre), ma lo è soprattutto la fecondità, che dà loro la possibilità di diffondersi; ovviamente la diffusione di un meme
dipende sempre da quanto esso sarà accettato dalla popolazione.
Tra i memi la competizione non sembra essere così spietata come tra i geni, ma tra essi si può comunque individuare una
certa lotta per il tempo (in quanto il cervello non può fare più di una o due cose alla volta) e per lo spazio occupato in
memoria; tuttavia, oltre a competere, può capitare che i memi (come fanno i geni), collaborino rinforzandosi l’un l’altro.
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Alla domanda: ‘perché avviene lo sviluppo dei geni?’, Dawkins fornisce due possibili risposte: una afferma che lo sviluppo
dei memi avviene in base ai vantaggi che portano alla popolazione, l’altra ipotesi sostiene che essi si sviluppano perché
vantaggiosi per se stessi, cioè per facilitare la propria diffusione.
Infine l’autore mette in luce il fatto che l’uomo non può essere considerato una semplice macchina di geni coltivata come
macchina di memi, poiché sembra in grado di ribellarsi al controllo di questi replicatori, per esempio realizzando previsioni
sul futuro o essendo altruista con individui che non sono suoi parenti… Ma questa rimane una questione aperta.
12. I buoni arrivano primi
In questo capitolo l’autore prende in esame i comportamenti di cooperazione e di defezione che possono essere adottati dalle
macchine da sopravvivenza nelle più svariate situazioni. Tenendo in considerazione vantaggi e svantaggi che si possono
conseguire in base al proprio comportamento e a quello degli altri in diverse situazioni, afferma l’autore, ne risulta che essere
‘buoni’ e ‘altruisti’ è conveniente, ma soltanto a patto che i favori vengano contraccambiati. E’ ovvio che un individuo non
può avere la certezza che un altro gli contraccambierà un favore, e ciò potrebbe causargli grandi svantaggi; questo problema,
come insegnano molte specie animali, può essere risolto comportandosi altruisticamente soltanto verso individui che vivono
nella zona circostante al proprio luogo di nascita, così da essere sicuri (o quasi) che essi contraccambieranno il favore in
quanto adottano la stessa strategia
13. La lunga portata dei geni
In quest’ultimo capitolo Dawkins analizza il contrasto tra l’ipotesi secondo cui i geni sono gli agenti fondamentali della vita e
quella che afferma che lo sono i corpi, i quali, agli occhi, risultano integrati, complessi e coordinati da un cervello.
La risposta più plausibile, secondo la teoria del gene egoista, è che sono i geni gli agenti fondamentali della vita, non per la
loro natura, ma grazie agli effetti fenotipici che determinano e che li possono favorire rispetto ad altri. Gli effetti fenotipici di
un gene, tuttavia, non sono soltanto quelli che si manifestano su corpo in cui ritrova, ma anche quelli che influiscono sul
mondo esterno e su altri individui. Ovviamente tenendo presente che gli effetti che provoca un gene lo devono favorire, infatti
a prima vista può sembrare strano che degli organismi parassiti influenzino benevolmente il corpo ospitante con i loro effetti
fenotipici, ma tutto si chiarisce quando si scopre che i parassiti sfruttano le stesse vie dei corpi ospitanti per la trasmissione
genetica. Tuttavia ci sono anche parassiti che non vivono in corpi ospitanti e questo è reso possibile dal fatto che certi geni
possono agire influenzando anche a distanza; esempi tipici sono le strategie d’attrazione oppure delle tecniche di
manipolazione del comportamento (forse tramite sostanza chimiche) adottate da certi insetti.
Infine l’autore, riesaminando il quesito postosi inizialmente, conclude che i geni, essendo i veri replicatori, possono essere
indubbiamente considerati le unità fondamentali della selezione, mentre individui e comunità sono soltanto veicoli per i
replicatori. Tra i due tipi di ‘veicoli’ quelli che hanno maggior successo sono gli individui, perché ben definiti come entità e,
soprattutto, perché tutti i suoi geni hanno un unico canale di uscita; bisogna però fare eccezione per quegli sciami di insetti
che, avendo un’unica madre ed essendo sterili per la quasi totalità, si comportano come un unico individuo.
Commento personale
Ho apprezzato molto la lettura di questo libro in quanto Dawkins ci propone una visione della vita veramente
rivoluzionaria che, personalmente, non avevo mai sentito né immaginato. In un primo momento, lette le teorie
dell’autore, ero abbastanza scettico sulla possibilità che certe affermazioni fossero vere ma alla fine, grazie alle
convincenti argomentazioni di Dawkins costantemente sostenute da prove, esempi concreti e confutazione di ipotesi
contrarie, mi sono convinto della reale plausibilità dei concetti esposti nel libro
La semplicità con cui Dawkins tratta gli importanti argomenti contenuti nel libro fa sì che non si incontrino
difficoltà di alcun tipo nella lettura, infatti, ogni nuovo argomento citato viene prontamente spiegato, più o meno
brevemente, dall’autore cosicché non si rendono necessarie conoscenze specifiche.
Altro punto di forza di Dawkins sono, secondo me, le ipotesi provocatorie, come, per esempio, quella di poter
posticipare la morte o quella dei memi paragonati ai geni, che risultano particolarmente intriganti e suggestive e, a
mio parere, sono in grado di stimolare il lettore a non credere che le conoscenze attuali siano tutto ciò che è possibile
sapere, ma a vedere la natura come un mondo interessante tutto da scoprire.
Albani Silvio 4^I
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