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NEWS IN PEDIATRIC
GASTROENTEROLOGY
PHARMACOLOGY
a cura di
Monica Paci
Trattamento della
epatite autoimmune giovanile
Management of juvenile autoimmune hepatitis
Giuseppe Maggiore (foto)
Silvia Nastasio1
Cristina Malaventura1
Marco Sciveres2
1
Dipartimento di Scienze Mediche,
Sezione di Pediatria, Azienda
Ospedaliero Universitaria Sant’Anna,
Università degli Studi di Ferrara;
2 Epatologia Pediatrica e Trapianto
di fegato, IRCCS-ISMETT, UPMC,
Palermo
1 Key words
Juvenile autoimmune hepatitis
• Autoimmune hepatitis • Immunosuppressive
treatment • Liver tranplantation • Fulminant hepatic
failure
Abstract
Juvenile autoimmune hepatitis characteristically progresses to cirrhosis and organ failure
if untreated. Treatment consists of immunosuppressive drugs, mainly prednisone and azathioprine, except in cases presenting with fulminant
hepatic failure in which liver transplant may be
immediately necessary. The majority of patients
respond to immunosuppression. However, this
needs to be prolonged, at the lowest possible
dose, due to the substantial risk of relapse.
Indirizzo per la corrispondenza
Giuseppe Maggiore
Dipartimento di Scienze Mediche, Sezione di
Pediatria, Azienda Ospedaliero Universitaria
Sant’Anna, Università degli Studi di Ferrara
via Aldo Moro 8, 44124 Cona (FE)
E-mail: [email protected]
162
Il trattamento dell’epatite autoimmune giovanile (EAIG)
si basa sull’immunosoppressione farmacologica, con
l’eccezione di quei casi che esordiscono con il quadro
dell’epatite fulminante, per cui può rendersi immediatamente necessario il trapianto di fegato 1. In generale,
il trattamento dell’EAIG si articola in due fasi: la fase
di induzione della remissione e quella del suo mantenimento. La prima fase si avvale di farmaci ad azione
rapida e potente, nella maggior parte dei casi il prednisone o, in alternativa, la ciclosporina. Protagonisti della fase di mantenimento sono i farmaci ad azione più
lenta, ma in generale ben tollerati in caso di terapie di
lunga durata come, ad esempio, l’azatioprina.
Esistono poi trattamenti che non rientrano in nessuna delle due categorie: ad esempio l’utilizzo di farmaci
biologici, sempre più frequentemente segnalato in forma aneddotica in letteratura.
In Tabella I sono riassunti i farmaci con evidenza di
efficacia nel trattamento dell’EAIG.
Trattamento d'attacco
Nella fase di induzione, l’obiettivo è ottenere: 1) la remissione completa della malattia epatica (segni, sintomi e attività biochimica); 2) la normalizzazione della
funzione epatocellulare (attività protrombinica; INR),
se alterata alla diagnosi; 3) l’arresto della progressione
della malattia in termini di fibrosi.
In particolare, transaminasi e gammaGT dovranno essere ricondotte strettamente entro l’intervallo di normalità, così come, più lentamente, anche il livello di
IgG. La scomparsa della sieroreattività autoanticorpale
non è un requisito obbligatorio per definire la remissione di malattia. La situazione più comune è una fluttuazione della rilevabilità degli autoanticorpi con occasionale presenza a basso titolo 2, 3, 4. La ricomparsa
di positività ad alto titolo, specie in corso di variazioni
di posologia o tentativi di sospensione, deve tuttavia
indurre a particolare prudenza e vigilanza.
La remissione clinica e biochimica di malattia non sempre riflette la remissione tissutale; la prova istologica di
questa non è richiesta in questa fase del trattamento.
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:162-166; doi: 10.19208/2282-2453-135
GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY
Trattamento della epatite autoimmune giovanile
NEWS IN PEDIATRIC
Tabella I.
Farmaci utilizzati per il trattamento dell’EAIG.
Farmaco
Posologia
Note
Farmaci per la fase d’induzione
Prednisone
2 mg/kg a scalare
Farmaco di prima linea nella maggior parte dei casi
Ciclosporina A
3-5 mg/kg/die
Efficace alternativa al prednisone
Tacrolimus
nd
Uso aneddotico, non chiari vantaggi sulla ciclosporina
Budesonide
6-9 mg/die
Scarsa esperienza, somministrazione problematica nei pazienti molto giovani
IVIG
1-2 g/kg
Efficacia temporanea, esperienza aneddotica
Farmaci per la fase di mantenimento
Azatioprina
1,5-2,5 mg/kg/die
Efficace in monoterapia per il mantenimento
Micofenolato Mofetil
20-40 mg/kg/die
Seconda linea, in alternativa ad azatioprina
Rituximab
nd
Uso aneddotico
Alentuzumab
nd
Uso aneddotico
Altri farmaci
Nd= non determinata
La rapidità della risposta al trattamento dipende dalla severità
dell’attività di malattia alla diagnosi; comunque, una risposta clinica
e di laboratorio misurabile è ottenibile in almeno il 90% dei casi,
entro otto settimane dall’inizio del
trattamento, mentre la completa
normalizzazione dei parametri di
laboratorio può richiedere anche
alcuni mesi.
Fallimento della
terapia d'attacco
Si definisce così l’assenza di una
risposta biochimica significativa in
seguito a una terapia immunosoppressiva con un farmaco di prima
linea (tipicamente steroide o ciclosporina) a dose piena.
In particolare i pazienti con malattia più aggressiva e/o avanzata
e che all’esordio presentano una
marcata compromissione della
funzione epatocellulare possono
presentare una risposta insoddisfacente alla terapia. È quindi
fondamentale verificare, nel più
breve tempo possibile, l’efficacia
del trattamento, per aggiungere,
eventualmente, un terzo farmaco
immunosoppressore “di salvataggio” (ad esempio associando
ciclosporina e steroide), tenendo
comunque sempre presente la
possibilità del trapianto epatico in
emergenza 1.
In ogni caso, prima di ogni altra
considerazione, sarà necessario
anche rivedere criticamente la
diagnosi: sono, ad esempio, descritti casi di leishmaniosi viscerale con caratteristiche bioumorali
e istologiche che ricordano quelle
dell’EAIG 5.
Mantenimento
della remissione
Una volta ottenuta la remissione,
l’obiettivo della fase di mantenimento è impedire il verificarsi di
recidive che, in ogni caso, devono essere tempestivamente identificate tramite una sorveglianza
serrata.
Nei singoli centri sono in uso differenti protocolli di riduzione del trattamento, che tuttavia andrebbero il
più possibile individualizzati in base
alla storia clinica del paziente. In
caso di trattamento steroideo, ad
esempio, la dose del prednisone
dovrà essere ridotta con l’obiettivo di guadagnare nel minor tempo
possibile uno schema di somministrazione a giorni alterni, che è
associato a una minore incidenza
di effetti collaterali, in particolare il
rallentamento della crescita staturale 7. L’azatioprina sarà mantenuta
a piena dose terapeutica. In questa
fase di riduzione posologica, potrà
manifestarsi in qualsiasi momento
una recidiva, specialmente in caso
di scarsa aderenza al trattamento
prescritto.
Durata della
terapia
Non esiste certezza sulla durata
totale del trattamento, anche se
esiste evidenza di come la recidiva sia molto probabile nel caso
in cui il trattamento sia sospeso
entro i primi due anni 2. L’esperienza personale suggerisce che
la remissione debba essere mantenuta per almeno cinque anni
prima di qualsiasi tentativo di sospensione. Una volta sospeso il
163
G. Maggiore et al.
prednisone, il paziente rimane in
monoterapia con azatioprina di
solito per almeno un anno, prima
di poter intraprendere un tentativo
di sospensione.
Non esistono elementi di laboratorio o istologici certamente
predittivi di assenza di rischio di
ricadute. Perfino la dimostrazione di una completa remissione
tissutale, tramite biopsia epatica,
non risulta predittiva di assenza
di rischio 2 e, viceversa, la persistenza di un lieve infiltrato portale,
in assenza di attività d’interfaccia,
non rappresenta una controindicazione assoluta a un tentativo
di sospensione. Di conseguenza
la necessità del controllo istologico prima della sospensione della
terapia è oggetto di dibattito con
ampie diversità di opinione tra differenti centri di riferimento.
In alcune particolari forme di EAIG
quali quella associata alla malattia
celiaca o la forma sieronegativa
della EAIG, in particolare se non
associata a ipergammaglobulinemia, è possibile tentare una sospensione prima dei cinque anni
di trattamento.
Il trattamento
convenzionale
Il trattamento di “prima linea” o
“convenzionale” dell’EAIG utilizza
il prednisone (2 mg/kg/al giorno
fino alla dose massima giornaliera
di 60 mg) in monoterapia 2 o in associazione con l’azatioprina 3. L’azatioprina è dosata inizialmente a
1 mg/kg/die con progressivo aumento fino a 2-2,5 mg/kg/die, previa la verifica di assenza di segni di
tossicità. Il trattamento combinato
prednisone-azatioprina si è dimostrato più efficace del solo prednisone 6; ma, ancora più importante,
l’effetto “risparmiatore di steroidi”
dell’azatioprina permette una più
rapida riduzione della dose del
prednisone, limitandone gli effetti
collaterali.
164
Questa indicazione posologica si
riferisce in particolare alla forma
sintomatica all’esordio dell’EAIG
(ittero, astenia, marcata epatocitolisi, ipergammaglobulinemia)
che caratterizza circa i tre quarti
dei pazienti. Più difficile sarà la
scelta terapeutica, specialmente
nei termini di dose di corticosteroidi, per quei casi il cui esordio è
asintomatico, legato al riscontro
occasionale di un’epatomegalia
e/o splenomegalia o di un’elevazione degli enzimi epatici. In tali
casi, la dose dello steroide dovrà
essere personalizzata, partendo
da 1 mg/kg/die, sulla base di
una valutazione globale (biochimica e istologica) dell’attività di
malattia.
Come già accennato, in caso di
schema terapeutico convenzionale, la fase di transizione verso
la terapia di mantenimento passa attraverso il passaggio alla
somministrazione a giorni alterni dello steroide da completarsi idealmente, e nella migliore
delle ipotesi, dopo 6-12 mesi di
terapia. L’ulteriore riduzione della dose di prednisone, per una
durata complessiva di 2-4 anni
andrà compiuto riducendo ulteriormente, di solito per “fette”
di 2,5 mg, la dose di prednisone residua, fino a sospensione
completa, per lasciare il paziente
in monoterapia con azatioprina.
L’azatioprina è generalmente efficace nel mantenere la remissione
riducendo il rischio di ricadute 8 e
andrà mantenuta per almeno un
anno, per una durata complessiva di terapia, come si è detto, di
circa cinque anni.
in particolare, dall’eccessivo aumento del peso e dalla riduzione
della velocità di crescita staturale. Questi effetti, trascurabili se
i pazienti sono seguiti da medici
esperti, potranno sfociare in obesità, blocco della crescita, comparsa di strie cutanee deturpanti,
collasso vertebrale, cataratta sintomatica, iperglicemia e disturbi
psicotici se la dose di corticosteroidi dovesse essere mantenuta a livelli elevati e per periodi
prolungati. L’azatioprina è invece
raramente responsabile di effetti
collaterali gravi quali, in particolare, una citopenia tale da richiedere
la riduzione fino alla sospensione
del farmaco. La sua teratogenicità e oncogenità nell’uomo non
sono dimostrate con certezza. È
certamente auspicabile evitare
l’uso dell’azatioprina in corso di
gravidanza, anche se sono egualmente segnalate gravidanze con
buon esito in corso di trattamento con questo farmaco. In gravidanza basse dosi di prednisolone
sono l’alternativa all’azatioprina.
La gravidanza è di per sé un potente immunosoppressore nello
specifico caso dell’EAIG, tuttavia
i pazienti andranno sorvegliati con
attenzione sia durante la gravidanza che specialmente nel postpartum, per il possibile rischio di
ricaduta.
Da quanto detto si possono de-
Tabella II.
Controindicazioni relative alla terapia
“convenzionale”.
Obesità/eccesso di peso
Diabete mellito/intolleranza glucidica
Effetti collaterali
del trattamento
convenzionale
Sono quasi esclusivamente causati dai corticosteroidi, se mantenuti a dosi elevate e per periodi
prolungati e sono rappresentati,
Spurt puberale
Ipertensione arteriosa
Ipostaturalità
Problematiche psichiatriche
Candidiasi muco-cutanea e/o
viscerale
GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY
Trattamento della epatite autoimmune giovanile
NEWS IN PEDIATRIC
sumere le controindicazioni, tutte
relative, al trattamento convenzionale, riassunte in Tabella II.
Trattamenti
alternativi
La mancata risposta al trattamento convenzionale in circa il 10%
dei pazienti e i possibili effetti collaterali dei corticosteroidi hanno
stimolato la ricerca di soluzioni
terapeutiche alternative. La ciclosporina A, la cui prima segnalazione di efficacia nel trattamento
dell’epatite autoimmune risale al
1985, è certamente il farmaco per
cui esiste una consolidata esperienza di efficacia e di buona tollerabilità. La ciclosporina A (CYA) è
efficace nell’indurre in remissione
bambini e adolescenti con EAIG
alla dose mediana di 5 mg/kg/
die con ciclosporinemie residuali
corrispondenti a 200-250 ng/ml 9.
Una volta in remissione, la dose
andrà progressivamente ridotta
per ottenere ciclosporinemie residuali di 100-150 ng/ml. Il paziente
potrà allora essere orientato verso
un trattamento convenzionale di
mantenimento, sia esso con due
farmaci (azatioprina e prednisone
a dose intorno a 1 mg/kg/die), sia
con azatioprina in monoterapia.
Un’altra opzione è quella di continuare a utilizzare la CYA, a dosi
ulteriormente decrescenti fino a ottenere ciclosporinemie residuali tra
50 e 100 ng/ml. Gli effetti collaterali
della CYA, nel breve e medio termine, sono pochi, ben tollerati e comunque reversibili con la riduzione
della dose 9, 10, mentre non sono
stati ancora prodotti dati sull’efficacia e sulla sicurezza a lungo termine del trattamento con CYA.
Il micofenolato-mofetile (MFM,
20 mg/kg due volte al giorno) è
un’alternativa all’azatioprina per
consolidare il mantenimento o per
potenziare un farmaco di prima
linea come lo steroide o la ciclosporina.
È stato impiegato con successo
in associazione ai corticosteroidi
in pazienti intolleranti all’azatioprina o nei pazienti scarsamente responsivi alla terapia convenzionale. Gli effetti indesiderati del MFM
includono cefalea, diarrea, vertigini, perdita di capelli e neutropenia.
La budesonide, un corticosteroide rapidamente metabolizzato
e quindi con bassa distribuzione sistemica, è stato utilizzato in
associazione all’azatioprina con
minori effetti collaterali rispetto al
prednisone 11. Tuttavia la bassa
percentuale di remissione osservata in questo studio in rapporto
ad altri, suggerisce cautela nel
suo impiego come trattamento di
prima scelta dell’EAIG.
Più recentemente è stato riportato
l’uso del rituximab, un anticorpo
monoclonale anti-CD20 che produce una marcata deplezione dei
linfociti B, come terapia di salvataggio di pazienti non responsivi
ai trattamenti succitati.
Il trapianto di fegato può essere
discusso all’esordio, per quei pazienti che non rispondano al trattamento immunosoppressivo “di
salvataggio”, sia nel medio-lungo
termine per i pazienti con cirrosi
alla diagnosi, che sviluppino una
progressiva e irreversibile insufficienza epatica terminale.
La sopravvivenza post-trapianto
in questi pazienti è dell’86% a cinque anni, tuttavia con un rischio di
recidiva dell’epatite autoimmune
sul graft variabile dal 15 al 39%,
quindi non trascurabile.
diagnosi e dove i pazienti che sopravvivevano, sempre senza trattamento, sviluppavano una cirrosi
in almeno il 40% dei casi.
Tuttavia l’evoluzione a lungo termine dei pazienti con EAIG, che
hanno risposto al trattamento immunosoppressivo, rimane ancora
poco conosciuta nei dettagli, anche se la prognosi è oggi considerata generalmente buona, anche
in termini di qualità di vita.
Nelle principali casistiche riportate, la sopravvivenza dei pazienti
trattati supera l’80% a dieci anni,
con fegato nativo in oltre il 60%
dei casi.
La presenza di cirrosi all’esordio
non sembra impattare negativamente sulla sopravvivenza a lungo
termine, mentre valori di bilirubina
e INR alterati alla diagnosi sono
stati identificati come rilevanti fattori di rischio di morte e/o di ricorso al trapianto di fegato.
Un trattamento immunosoppressivo, di solito rappresentato da
una monoterapia con azatioprina, è richiesto nella maggioranza
dei pazienti per il mantenimento
di una remissione nel lungo termine, anche se una percentuale
variabile dal 13 al 20% dei casi
riesce a mantenere una remissione stabile anche dopo la completa sospensione di ogni trattamento farmacologico. Lo sviluppo di
un’insufficienza epatica terminale
in pazienti cirrotici in remissione
bioumorale farmacologica è tuttavia possibile in un numero limitato
di pazienti giovani adulti.
Evoluzione a
lungo termine
Conclusioni
Il trattamento immunosoppressivo ha modificato radicalmente
l’evoluzione dell’EAIG rispetto alle
precedenti esperienze dell’adulto
con epatite autoimmune, dove circa il 40% dei pazienti con malattia
severa sintomatica, non trattati,
decedeva entro i sei mesi dalla
L’epatite autoimmune giovanile
sintomatica è una malattia rapidamente evolutiva verso la cirrosi
e l’insufficienza d’organo. La rapidità della sua evoluzione rende
necessaria una diagnosi precoce.
La maggioranza dei pazienti risponde efficacemente a un trattamento immunosoppressivo che
165
G. Maggiore et al.
deve essere tuttavia mantenuto nel
tempo, alla più bassa dose possibile, a causa del consistente rischio di ricaduta della malattia. Le
informazioni disponibili sul destino
a lungo termine di questi pazienti
sono limitate e quindi è auspicabile che siano prodotti nuovi studi
concernenti la possibilità di mantenere una condizione di remissione
stabile e persistente dopo sospensione del trattamento immunosoppressivo. Questa informazione
avrà una fondamentale rilevanza
per un adeguato “counselling” dei
pazienti alla diagnosi.
2
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• Il trattamento dell’EAIG si basa sull’immunosoppressione farmacologica. Nei casi di esordio con epatite fulminante
e nei casi di progressione di malattia con insufficienza epatica terminale può invece essere necessario un trapianto
epatico.
• Il trattamento consta di una prima fase di normalizzazione della funzione epatocellulare e di induzione della remissio-
ne clinica e biochimica della malattia e di una seconda fase di mantenimento volta a impedire il verificarsi di ricadute.
• Prednisone e azatioprina costituiscono il trattamento cosiddetto “convenzionale”, mentre tra le terapie “alternative”
la ciclosporina è il farmaco per cui esiste una più consolidata esperienza di efficacia.
• La durata ottimale del trattamento non è nota, ma dato il significativo rischio di ricadute, il trattamento, alla più bassa
dose possibile, deve certamente essere prolungato.
• La sopravvivenza dei pazienti trattati supera l’80% a dieci anni, con fegato nativo in oltre il 60% dei casi, tuttavia
l’evoluzione a lungo termine rimane ancora poco conosciuta.
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