// settore in Italia oggi vale 900 mld. Per i mercati internazionali

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Mercoledì
14/09/2016
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// settore in Italia oggi vale 900 mld. Per i mercati internazionali
servono buoni partner Retail, estero e digitale le sfide Kotler: non
cercare profitto subito, la pubblicità è il cliente
DI IRENE GREGUOLI VENINI
Costruire brand forti in grado di
fidelizzare i clienti con progetti a
lungo termine, sfruttare il digitale
per offrire ai consumatori
un'esperienza unica attraverso
tutti i canali, dal web ai negozi, e
per conoscerli, ma anche
intemazionalizzarsi, cavalcando il
successo del made in Italy
all'estero (soprattutto cibo, moda e
design), sono le sfide cruciali per
il mondo del retail, che in Italia
vale 900 miliardi di euro con una
stima di crescita del 2,3% entro il
2020. A delineare questo scenario
sono gli esperti intervenuti al
Retail Summit (organizzato ieri a
Cernobbio da Confimprese con il
gruppo Food) durante il quale è
stata presentata la ricerca di EY
«Italian style, i modelli vincenti
nel food fashion & design». Il
vero problema dei retailer è, nella
visione di Philip Kotler, il guru
mondiale del marketing, «se
debbano agire nel breve o nel
lungo termine. Gran parte di loro
vuole restare in attività a lungo.
Molti vogliono essere come
McDonald's oppure Starbucks.
Questo non significa cercare
profitto nel breve termine ma
avere la pazienza di avere
un'azienda con un brand così forte
e apprezzato che i consumatori
tornino. Non solo tornino, ma
comprino di più e dicano ad altri
che grande esperienza hanno
avuto. Consigliamo alle aziende
di lavorare sodo per sviluppare un
brand unico per la loro attività.
Alcuni potrebbero dire che tutto
questo costa molto. Non è vero: la
migliore pubblicità la si ottiene
dai clienti». In Italia comunque,
rispetto a una situazione
economica stagnante, «il retail è
in controtendenza», osserva
Mario Resca,
presidente di Confimprese. «Lo
spending del consumatore è
aumentato dello 0,8% nel secondo
trimestre 2016 rispetto allo stesso
periodo del 2015. E un ruolo
particolare è ricoperto dal
franchising, che negli ultimi sette
anni ha registrato un incremento
del fatturato del 4%. Le nostre
catene stimano di chiudere il 2016
con 2 mila
omnicanale integrata, mettendo il
consumatore al centro del processo
di acquisto. È necessario
utilizzare nuove tecnologie e i
social media per conoscerlo meglio
e fidelizzarlo», continua Resca.
«La seconda sfida è quella
dell'internazionalizzazine: non
basta portare all'estero i nostri
prodotti, bisogna creare
oltreconfine le nostre reti di
vendita in grado di valorizzare al
meglio lo stile italiano». Per
rispondere allo scenario di oggi
«oltre l'80% dei retailer italiani si
sta attivando nella creazione di una
seamless customer experience,
ovvero senza barriere», osserva
Donato Iacovone, partner di EY
Italia, «investendo in ampliamento
e capillarità dei punti di contatto
con i propri consumatori, tanto che
nel 70% delle organizzazioni
l'aumento dell'attenzione sulla
customer experience sta
trainando le strategie di crescita
dei business. Molti hanno
intrapreso la via
dell'internazionalizzazione verso i
mercati esteri, dimostrando tassi di
crescita importanti. Le esportazioni
delle imprese italiane nel 2015
hanno registrato un +3,7% per un
fatturato di 413 miliardi di dollari
(circa 367,2 miliardi di euro, ndr)
grazie all'aumento delle richieste
del Made in Italy e di formule
vincenti quali il franchising». C'è
chi sceglie la via di cercare
partnership nell'ottica di espandere
il business, per esempio Ikea con il
progetto
strutture», racconta Alessandro
Lamon, retail asset manager di
Ikea Centres. Per Stefano Ferro,
consigliere di Gianfranco Lotti,
azienda specializzata in accessori
in pelle di lusso, fondamentale è
«muoversi anche su geografie
lontane dall'Europa, aprendo
negozi in Medio
Oriente, Cina e Corea, mondi
dove si sta determinando la
ricerca di qualcosa che sia molto
bello, ben fatto e vero». Anche
Francesco Pinto, presidente di
Inticom (proprietaria del marchio
di intimo Yamamay), vede nella
crescita all'estero un fattore
cruciale. «Andremo negli oltre
40 mercati internazionali in cui
siamo già presenti aumentando le
densità dei negozi: avendo un
modello monomarca in
franchising è però fondamentale
la scelta dei partner». Gruppo
Sebeto (che ha tra i suoi brand
Rossopomodoro) invece affianca
al franchising «lo sviluppo
diretto: solo il franchising è
rischioso e inoltre se si vogliono
fare sperimentazioni occorre
farle nei punti vendita diretti»,
osserva Franco Manna,
presidente del gruppo. «Per noi
inoltre sono strategici gli accordi
con Eataly e Cremonini che ci
hanno aperto in modo più veloce
porte dell'estero e di luoghi dove
era difficile entrare, come
autostrade e aeroporti». ———
©Riproduzione riservata——H
Ikea Centres, sul modello dei
centri commerciali. «Si è pensato
di mettere intorno ai nostri
negozi altri retailer, creando
luoghi di incontro per avere più
visitatori per noi e per gli altri. In
aperture». La prima sfida in tutto Italia stiamo aprendo questo tipo
di
ciò «è costruire una strategia
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