Musicoterapie in ascolto Archivio 2009 Articoli

Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2009
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Musicoterapie
in ascolto
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Archivio 2009
A cura di Giangiuseppe Bonardi
Articoli
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più datato
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Indice
4 Bonardi Giangiuseppe, E come... emozioni
6 Neri Simona, In ascolto di SIDEROS: la musica delle nostre emozioni
8 Deodato Rosaria, Dialogo di emozioni in musicoterapia
12 Da Rold Marzia, Quando la musicoterapia è creativa, le emozioni felici...
risuonano
14 Panebianco Maria Carmela, In musicoterapia la musica media le emozioni
16 Tatulli Lucia, La musicoterapia va a scuola. Sì. Ma come?
20 Bonardi Giangiuseppe, Emozioni condivise: appunti di viaggio
21 Bonardi Giangiuseppe, Che cosa é la musicoterapia?
22 Bonardi Giangiuseppe, Echi di... emozioni
24 Lamberti Rosaria, Musa
24 Bonardi Giangiuseppe, A come... analogia
26 Navone Stefano, Diventare musicoterapista oggi
28 Parker Deborah, In viaggio con Eleonora, alla ricerca di una base sicura...
sonora
31 Bonardi Giangiuseppe, Alla ricerca del senso del musicale in musicoterapia
35 Bertozzini Riccardo, “Dall’altra parte” ... in ascolto delle emozioni di
Francesco
37 Carli Giovanni, Gli 'affetti vitali' di Franco
41 Bonardi Giangiuseppe, Suoni e significati nel pensiero di Marius Schneider
45 Bonardi Giangiuseppe, Strumenti musicali e significati nella prospettiva di
Marius Schneider
47 Bonardi Giangiuseppe, Simboli e significati nella prospettiva di Marius
Schneider
48 Bonardi Giangiuseppe, Numeri e significati nella prospettiva di Marius
Schneider
50 Di Sabbato Daniela, Clelia 'suona'... le sue emozioni
55 Bonardi Giangiuseppe, La 'musica' di Danilo*
59 Bonardi Giangiuseppe, Io suono con... gli altri
60 Bonardi Giangiuseppe, Io suono con... l'altro
61 Bonardi Giangiuseppe, Io osservo...
62 Bonardi Giangiuseppe, Dimensioni sonoro-musicali a confronto
63 Cavallini Daria, Gli adolescenti e la musica
66 Cavallini Daria, A come... adolescenza
74 Lamberti Rosaria, Perdersi
75 Lamberti Rosaria, Attimo
75 Bonardi Giangiuseppe, Una musica del… cuore
79 Lamberti Rosaria, Stupore
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80 Lamberti Rosaria, Sapere
80 Lamberti Rosaria, Nei crepacci della vita
81 Bonardi Giangiuseppe, Analogie musicali… particolari
83 Lamberti Rosaria, Vivere
83 Bonardi Giangiuseppe, Modelli o metodiche musicoterapiche?
85 Bonardi Giangiuseppe, Dvořák letto con gli “occhi” di… Schneider!
89 Bonardi Giangiuseppe, Musicoterapia o… musicoterapie?
103 Bonardi Giangiuseppe (a cura di), Musica tra le menti: il libro di Stefano
Navone
104 Bonardi Giangiuseppe (a cura di), Il contributo di Gilbert Rouget alla
riflessione musicoterapica.
109 Neri Simona, In ascolto dell'anima e del cuore
112 Bonardi Giangiuseppe, Tutto è terapia?
113 Bonardi Giangiuseppe, M come... musica
114 Bonardi Giangiuseppe, L’essenza della ‘musica’ è in ogni cosa
117 Di Sabbato Daniela, Prime riflessioni...
118 Di Sabbato Daniela, Il suono bianco del terremoto
119 Bonardi Giangiuseppe, La musica è tempo-spazio vissuto e oggettivo
120 Bonardi Giangiuseppe, Tempo, spazio, vissuti
122 Cavallini Daria, Gli adolescenti, la scuola e... il progetto di musicoterapia
128 Marius Schneider, Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella
mitologia e nella scultura antiche
129 Di Sabbato Daniela, Montesilvano
129 Di Sabbato Daniela, L’Aquila finalmente… ri-suona
130 Bonardi Giangiuseppe, La prassi musicoterapica è, essenzialmente, tempospazio vissuto
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Gennaio
Bonardi Giangiuseppe, E come... emozioni
Pubblicato il 31 gennaio 2009
La via verso l'interiorità[1]
Chi ha trovato la via verso l'interiorità
chi nell'ardore dell'introspezione
ha intuito il nucleo della verità,
sa che ognuno si sceglie Dio e creato
come immagine e parabola soltanto:
per lui ogni agire, ogni pensare
non è che dialogo con la propria anima
che Dio e creato in sé racchiude.
Hermann Esse
Leggendo con attenzione gli articoli e i numerosi commenti, sinora
pubblicati, percepisco la piacevole sensazione che Musicoterapie, sia ora,
in... ascolto delle emozioni. Così, dopo aver preso atto di questo
irrefutabile dato di fatto, sorge in me un ragionevole interrogativo. Perché
molti autori, che peraltro sono in maggioranza musicoterapisti
neofiti e/o professionisti, insistono sul tema delle emozioni?
Essendo musicoterapista, ormai da molti anni, so per esperienza che questa
professione offre un'opportunità unica in quanto, mettendomi in rapporto
autentico con l'altro, vivo "giocoforza" innumerevoli emozioni spesso
contrastanti.Per questa ragione è per me chiaro il fatto che la maggior parte
dei colleghi parlino di emozioni, interrogandosi, riflettendo lungamente su di
esse. Che cosa sono le emozioni? Le "emozioni (sono) esperienze
soggettive d'intensità rilevante, accompagnate sempre da
modificazioni
fisiologiche
e
spesso
da
modificazioni
comportamentali ed espressive dell'organismo[2]...". In relazione
alla definizione riportata, le emozioni sono quindi esperienze
soggettive, molto intense, vissute a livello corporeo. La percezione
delle emozioni è quindi corporea ed è per questa ragione che ogni discorso
teorico sulle emozioni può apparire arduo o, talvolta, un po' sterile perché le
emozioni non possono essere analizzate ma semplicemente ascoltate, ossia
accolte. Le emozioni sono quindi i nostri 'vissuti', così dinamici, vivi,
vitali e sfuggenti; essi caratterizzano la nostra vita interiore, sfuggendo al
giudizio della nostra mente che, si sa bene, è falsa per definizione perché...
mente! Chi può guidarci verso l'ascolto dei propri vissuti? In verità gli
unici veri insegnanti che possono condurci all'ascolto-accoglienza dei vissuti
siamo noi stessi. Siamo noi che, nolenti o volenti, decidiamo quando, come e
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perché vogliamo e desideriamo ascoltare, accogliere i vissuti che proviamo. Il
dialogo con noi stessi è una nostra scelta, per cui a volte lo vogliamo fare e, in
altre circostanze, decidiamo di sospenderlo. In questo cammino ci vuole
indulgenza con noi stessi e prudenza perché non abbiamo obiettivi o finalità
da raggiungere; non abbiamo la necessità di dimostrare nulla a nessuno
giacché dobbiamo solo interloquire con il nostro sé. Quali vissuti provo?
La riflessione sui vissuti esperiti è nata quasi per caso, interagendo
musicalmente con persone, tendenzialmente , aggressive. Così, casualmente,
al termine delle sedute di musicoterapia, mentre stilavo il protocollo in forma
sintetica, iniziavo a riflettere, a pormi in ascolto sulla strana presenza di
leggere lacrimazioni, normalmente non presenti in altri ambiti ma ricorrenti
lì. Pian piano mi sono messo in ascolto del mio corpo, chiedendomi che cosa
mi dicesse. In realtà il mio corpo non comunicava concetti complessi e
raffinati, mi chiedeva semplicemente e _ insistentemente _ di ascoltarlo.
Potevo ignorarlo, far finta di niente ma ho deciso che era giunto il momento
di ascoltare l'invito e così, con estrema cautela, mi sono aperto all'accoglienza
dei miei vissuti. La prima difficoltà che incontrai fu quella di assegnare un
nome ai vissuti provati per cercare di capire meglio ciò che stavo vivendo.
Così, pian piano, ho creato 'il lessico dei miei vissuti'. Accelerazione
cardiaca, adeguatezza, astenia, benessere, calore, contrazione muscolare,
decelerazione cardiaca, disgusto, disorientamento, dolore timpanico,
emissione di muco, euforia, gioia, impotenza, inadeguatezza, freddo,
intesa, lacrimazione, nausea, paura, perplessità, piacere, preoccupazione,
prurito, rabbia, rammarico, raucedine, salivazione, soddisfazione,
sonnolenza, sollievo, sorpresa, sudorazione, tenerezza, tensione. Come
riesco ad accogliere i miei vissuti? Nominare i vissuti è stato il primo
arduo passo mentre, il successivo, è stato quello di accoglierli. Ammettere di
provare adeguatezza, benessere, euforia, gioia, intesa, piacere,
soddisfazione, sollievo, sorpresa, tenerezza, era un'attività appagante
e tutto procedeva bene. Nel momento in cui mi rendevo conto che provavo
anche accelerazione cardiaca, astenia, calore, contrazione muscolare,
decelerazione cardiaca, disgusto, disorientamento, dolore timpanico,
emissione di muco, impotenza, inadeguatezza, freddo, lacrimazione, nausea,
paura, perplessità, preoccupazione, prurito, rabbia, rammarico, raucedine,
salivazione, sonnolenza, sudorazione, tenerezza, tensione, il mio stato
emotivo si arrabbiava un pochino. Come si fa ad ammettere la propria
impotenza, il proprio fallimento? È una situazione intollerabile per cui ecco
la soluzione escogitata della mente, che come ho già scritto, è falsa per
definizione perché... mente. "Ovvia-mente è l'altro che mi fa star male.
Io ho fatto di tutto... ma non c'è stato nulla da fare e ora, per colpa sua... ".
Ancora una volta la mia mente, mente, invitandomi a lanciare il mio doloroso
vissuto sull'altro che sicuramente è ignaro della tempesta emotiva che sto
vivendo. Che cosa faccio? Che cosa decido? "Tappo" le orecchie al mio dolore
e faccio finta di niente, lo ignoro o... cerco di ascoltarlo? Ancora una volta
sono costretto a prendere una decisione e, dopo aver ripetuto più e, più volte
questa esperienza, finalmente abbandono i consigli menzogneri della mente e
cerco, con estrema fatica di ammettere di poter provare anche l'impotenza, la
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rabbia, la paura, il rammarico, il fallimento, ecc. Sì la soluzione è lapalissiana
ma di difficile applicazione poiché non è per nulla automatico ammettere di
poter provare vissuti dolorosi. Ma così facendo, accogliendo al meglio il mio
dolore, che mi fa paura, scorgo l'altra parte della mia dimensione interiore: il
mio 'lato oscuro[3]' e mi ritrovo in ascolto delle "musiche" che scaturiscono
dall'incessante dialogo dei miei vissuti, ora piacevoli, ora spiacevoli. Sono
musiche private che cantano il mio dualismo[4]interiore che, pulsando, svela
la dinamica vitalità della mia anima.
Giangiuseppe Bonardi
[email protected]
[1]Esse Hermann, Sull'anima, Newton & Compton, Roma 1996, pag.61.
[2]Lemma tratto da: AA. VV., (2006), Enciclopedia tematica. Vol. 14 Filosofia A-M, RCS Quotidiani, su licenza Garzanti, Milano, pag. 302.
[3] Per ulteriori approfondimenti si consiglia la lettura di Bonardi G., (2007),
Dall'ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul Maturo (PU),
pag. 38-42.
[4] Bonardi G., (2008), "Marius Schneider e la... Musicoterapia",
http://musicoterapie.over-blog.com/article-24493424.html
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Neri Simona, In ascolto di SIDEROS: la musica delle nostre emozioni
Pubblicato il 23 gennaio 2009 da http://musicoterapie.over-blog.com/
"... quasi tutti gli uomini brancolano nel fango e alcuni mirano le
stelle."[1]
Le parole di O. Wilde non sono vane ma vanno al cuore dell'uomo: l'uomo
desidera star bene, non solo nell'istante presente MA PER SEMPRE.
La parola DE-SIDERIO ha la propria radice in SIDEROS[2], stella e vuol dire
vengo dalle stelle, mi mancano le stelle.
Il mito di Icaro documenta bene questo desiderio ma le ali di cera si sciolgono
e il giovane temerario che ha voluto sfidare gli dei muore. Così la VITA
UMANA è segnata dal DIS-ASTRO opposto anche etimologicamente
(astro=stella) al desiderio di cui è fatta.
La malattia fa sperimentare all'uomo tutta la ferita del proprio LIMITE che
sembra vanificare il desiderio di infinito, di pienezza. La richiesta di SALUTE
fisica porta dentro una domanda di "salvezza" e di significato di quello che sta
capitando. Pur con la consapevolezza di non essere sempre in grado di
guarire, la nostra tradizione ha saputo accogliere questo grido, con la
COSCIENZA che la PERSONA ha un valore più grande della malattia. La
cura dei malati è iniziata così, dalla compassione all'umano di chi sa
condividerne lo stesso destino, lo stesso desiderio, lo stesso limite. Per noi la
cura passa attraverso l'ACCOGLIENZA e questa accoglienza ci rende
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sensibili ad un ascolto profondo fatto di mille voci, di mille emozioni, di mille
limiti che non sono solo nostri ma di chiunque sta intorno a noi e con noi
cammina.
Meglio non poteva citare Borgna: "... siamo in cammino, certo
accompagnati senza fine dai segni, dai pensieri, da emozioni, da
fantasie, da richieste d'aiuto, che non possiamo non cercare ogni
volta di interpretare, di portare alla luce della conoscenza, nella
vita di ogni giorno. La cascata infinita e impalpabile delle ragioni
del cuore, della intuizione fenomenologica, ci consente di solcare
le acque inebrianti delle emozioni e delle espressioni emozionali:
decifrandone il senso segreto e nascosto, umbratile e sfuggente.
Ma cosa sono le RAGIONI DEL CUORE SE NON VASCELLI LIBERI
E TEMERARI CHE SFIDANO I MARI TEMPESTOSI, MA ANCHE
L'INERZIA DELLE PALUDI OPACHE E IMMOBILI?
Le ragioni del cuore, sonde friabili e luminose, consentono di
intravedere il senso delle esperienze umane, e di andare al di là
delle loro apparenze; afferrandone e interpretandone, la visione
profonda e radicale." [3]
Borgna dice che la parola può salvare una persona; lavorando, facendo
esperienza comincio a credere che lo stesso concetto valga per il suono ed
ogni forma di comunicazione che non sia verbale e che in musicoterapia
sempre utilizziamo.
La parola, il suono è esposto a rischi molto alti; ogni suono, ogni silenzio,
può essere di volta in volta quello decisivo: il suono che crea fiducia
stabilisce un contatto emozionale "... che incrina le solitudini e
libera gli aquiloni della speranza nei vortici storditi del
vento..."[4].
Come dice Gebsattel V. E. : "... ogni parola è terapeutica nella misura
in cui, a chiunque si rivolga (persona depressa, angosciata, nevrotica,
psicotica, ecc... ) riesca ad essere una parola AUTENTICA e possa
essere colta, possa essere RI-CONOSCIUTA, nella sua trasparenza
e nella sua assolutezza da chiunque la ascolti.
Non ogni cosa può essere comunicata, del resto, ad ogni paziente; ci sono
cose essenziali e cose NON essenziali; ci sono cose che allontanano, e
dilatano le distanze, e ci sono cose che avvicinano e allentano le
solitudini."[5]
LE PAROLE essenziali hanno una dimensione, un'anima sonora e,
in ragione di ciò, i suoni significativi per la persona NON
FERISCONO MAI perché sono autentici, sinceri e NON sollecitano
ambiguità.
I suoni autentici favoriscono così LA COMUNICAZIONE, ossia il
colloquio di emozioni che NASCE NEL CONTESTO DI UNA
RELAZIONE INTERPERSONALE che sollecita, giocoforza, l'ascolto
del nostro sé e, in particolare, dei nostri vissuti dolorosi che, se
non accolti, ci fanno smarrire la nostra dimensione di luminoso
benessere.
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Nei momenti difficili, così abituali nella nostra professione, credo che in
fondo non dobbiamo mai scordare di "mirare le stelle", come facevano gli
antichi, e in esse trovavano le risposte.
De-sideriamo aneliamo a "di più..." poiché tutto "grida di più".
Simona Neri
[email protected]
[1] Wilde O. , Aforismi in:
http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/wilde.htm
[2] L'etimologia della parola desiderio ("de sideribus") ci rimanda al De bello
Gallico: i desiderantes erano i soldati che stavano sotto le stelle ad aspettare
quelli che dopo aver combattuto durante il giorno, non erano ancora tornati.
Da qui il significato del verbo desiderare: stare sotto le stelle ed
attendere.
Il lemma è tratto da: http://it.wikipedia.org/wiki/Desiderio
[3] Borgna E. , (2003), Le intermittenze del cuore, Feltrinelli,
Milano, pag.44.
[4] Borgna E. , (2003), Le intermittenze del cuore , Feltrinelli,
Milano, pag.45.
[5] Gebsattel V. E. von, (1954), Prolegomena einer medizinischen
Anthropologie, Springer, Berlin- GottingenHeidelberg, citato in Borgna E. , (2003), Le intermittenze del
cuore, Feltrinelli, Milano, pag.45.
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Deodato Rosaria, *Dialogo di emozioni in musicoterapia
Pubblicato il 11 gennaio 2009
Mediati dai nostri corpi e dalla voce, i "nostri dialoghi" rievocavano ciò che
avveniva "... tra madre e bambino prima che questi acquisisca il
linguaggio..."[1].
Agivamo
ciascuno
ai
segnali
dell'altro,
improvvisando,
influenzandoci reciprocamente.
Io non sapevo come avrebbe risposto Walter alle mie
sollecitazioni.
Talvolta cambiava espressione, si ritirava dentro se stesso o era attratto da un
oggetto esterno.
Mi lasciavo guidare, modulando i miei comportamenti su quelli di Walter,
così apprendevo man mano a conoscerlo, ad anticiparlo sempre meglio e a
rispondere in modo adeguato.
Cercavo di essere uno «specchio biologico»[2] per il bambino e
svolgevo, al meglio delle mie possibilità, una funzione analoga a
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quella originariamente svolta dalla madre, di «organizzazione dei
comportamenti spontanei del bambino»[3].
Pazientemente cercavo di trasformare le comunicazioni sonore
casuali di Walter in qualcosa di maggiormente strutturato.
Nel gioco, piacere di condividere un'esperienza insieme,
improvvisavo con la tastiera, con il tamburo, con la voce e con il
corpo, rispecchiando tempo -durata, pulsazione, ritmo- ed energia
delle espressioni del bambino, dando ad esse un valore affettivocomunicativo nella relazione, o introducevo variazioni. Creavo
così un equilibrio tra familiarità e novità, prevedibilità ed
imprevedibilità, conferma ed accoglienza del sé del bambino,
sollecitazione al suo aprirsi all'altro da sé.
Personalmente ho riscontrato un'analogia tra le affermazioni di Scardovelli
riguardanti la relazione madre-bambino e gli "elementi più primitivi della
comunicazione" (tempo ed energia), e le ricerche svolte da Daniel Stern.
Secondo Stern, il bambino nei primi due mesi ha la capacità non consapevole
e innata, detta percezione amodale, di cogliere forma (caratteristiche
spaziali), intensità e tempo (pulsazione, durata e ritmo) che Stern chiama «le
qualità più globali dell'esperienza»[4], e di trasferirle da una modalità
sensoriale all'altra.
Le varie esperienze vengono così messe in relazione e attraverso la rilevazione
di queste costanti, il bambino sperimenta l'emergere del sé e
complementarmente dell'altro da sé.
Allo stesso modo il bambino coglie nei comportamenti e nei sentimenti il
modo, il come, cioè gli «affetti vitali»[5], ad esempio esplodere, crescendo,
decrescendo, svanire, trascorrere.
Questo «senso del sé emergente»[6] coesiste con i successivi sensi del sé che
si vanno formando, proprietà diverse dell'esperienza del sé, ciascuna della
quali perdura tutta la vita.
Tra i due e i sei mesi si forma il «sé nucleare o fisico»[7] e
complementarmente il senso dell'altro nucleare, interlocutore separato da sé:
il bambino fa esperienza di «essere con un altro regolatore del sé»[8]. In
questo periodo i genitori presentano comportamenti tipici come il linguaggio
e le facce infantili.
I giochi seguono il modello del "tema con variazioni", che mantiene
l'attenzione del bambino (variazioni), il quale può anche identificare le
caratteristiche costanti nei comportamenti interpersonali (familiarità).
Il livello di eccitazione del bambino è regolato reciprocamente da madre e
bambino. Questi infatti gira lo sguardo per interrompere una stimolazione
eccessiva e attraverso smorfie e sguardi ricerca nuovi e più alti livelli di
eccitazione. Si può pensare dunque che il bambino senta la presenza dell'altro
come separato e la propria capacità di modificarne il comportamento.
Successivamente tra il settimo e il nono mese il bambino si accorge, sempre
senza esserne necessariamente consapevole, che gli altri pur separati e distinti
da lui, possono avere uno stato mentale simile al suo. Egli diviene in grado di
condividere l'esperienza soggettiva.
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Appare
così
l'«intersoggettività»[9]
caratterizzata
da:
•compartecipazione dell'attenzione, che conduce gradualmente
all'attenzione congiunta: il bambino sente di poter concentrare la sua
attenzione su un obiettivo e che anche la madre può farlo;
•compartecipazione delle intenzioni, che implica la volontà e non
casualità dei gesti-comunicazione: il bambino attribuisce all'altro la
comprensione della sua intenzione e la volontà di soddisfarla;
•compartecipazione degli affetti, condivisione di un'emozione o di uno
stato d'animo.
Nelle sintonizzazioni affettive la madre legge i sentimenti del bambino nei
suoi comportamenti manifesti e risponde per via transmodale, cogliendo
sempre forma, intensità e tempo.
Ad esempio ad un movimento del bambino segue la risposta della madre che
con la voce ne rispecchia lo sforzo fisico.
Nelle sintonizzazioni di comunione, la madre "è con" il bambino, partecipa,
condivide. Nelle sintonizzazioni volutamente imperfette la madre varia
intensità, tempo e forma del proprio comportamento, provocando
l'interruzione o la modificazione di quello del bambino che coglie così
somiglianze e differenze.
Le funzioni del sé individuate da Stern e riguardanti i primi mesi di vita nello
sviluppo normale, preverbale e non consapevole, corrispondono ad alcune
modalità di funzionamento dei bambini autistici, come se questi si fossero
fermati lì. Io stessa ho colto analogie con quanto accadeva negli incontri di
musicoterapia con Walter. In particolare è significativo che le qualità cui si
riferisce Stern sono decodificabili in modo naturale prescindendo dal livello
di sviluppo affettivo e cognitivo e costituiscono la struttura stessa della
musica e del suono.
«L'apertura di un canale di comunicazione con il bambino autistico sembra
derivare dalla capacità del suono e della musica di riattivare queste modalità
di relazione arcaiche ma ancora presenti nel terapista e nel bambino»[10].
Possiamo dunque dire che «creando una situazione con il soggetto autistico
che rispecchi la precoce interazione tra il neonato e chi se ne prende cura, si
rivivono le primissime interazioni sociali fondamentali»[11] e ancora che
«iniziare il processo comunicativo dando significato alle espressioni non
comunicative del bambino è la base per lo sviluppo del linguaggio normale e
della comunicazione»[12].
*Titolo originale del contributo
Deodato Rosaria (2003), "Dalla conoscenza della dimensione
sonoro-musicale di Walter all'intervento musicoterapico, Relatore:
Prof. Giangiuseppe Bonardi, Tesi di Diploma, Corso Quadriennale di
Musicoterapia, Pro Civitate Christiana, Assisi.
Contenuti
Premessa. Analisi della situazione problema. L'intervento musicoterapico. Il
colloquio. L'osservazione ambientale. L'osservazione musicoterapica. Analisi
della situazione. Il progetto di intervento.
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La fase iniziale della prassi musicoterapica individuale. La fase intermedia
della prassi musicoterapica individuale. La fase finale della prassi
musicoterapica individuale. Conclusioni. Bibliografia.
Argomento
Rosaria Deodato, con garbo e acutezza riflessiva, conduce il lettore all'interno
del processo musicoterapico da lei intrapreso. Così, leggendo l'elaborato,
ampiamente documentato con accurate schede di rilevazione, si giunge al
cuore del percorso: la nascita del processo relazionale che scaturisce tra la
scrivente e Walter, un bimbo autistico.
Il processo relazionale, molto 'materno', è riletto dall'autrice con il pensiero di
Daniel Stern e Mauro Scardovelli.
Reperibilità
La tesi è consultabile presso la segreteria del Corso Quadriennale di
Musicoterapia, Pro Civitate Christiana, Assisi Centralino 075/813231 Fax
075/8112288 [email protected] o, contattando direttamente l'Autore.
Contatto con l'Autore
[email protected]
[1] Scardovelli Mauro, (1992), Il dialogo sonoro, Bologna, Cappelli, p. 12.
[2] Scardovelli Mauro, (1992), Il dialogo sonoro, Bologna, Cappelli, p. 46.
[3] Scardovelli Mauro, (1992), Il dialogo sonoro, Bologna, Cappelli, p. 45.
[4] Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino,
Bollati Boringhieri, p. 67.
[5] Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino,
Bollati Boringhieri, p. 69.
[6] Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino,
Bollati Boringhieri, p. 75.
[7] Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino,
Bollati Boringhieri, p. 111.
[8] Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino,
Bollati Boringhieri, p. 116.
[9] Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino,
Bollati Boringhieri, p. 134.
[10] D'Ulisse M. Emerenziana, Polcaro Federica, a cura di, (2000),
Musicoterapia e autismo, Roma, Phoenix, p. 27.
[11] Jordan Rita, Powell Stuart, (1997), Autismo e intervento educativo.
Comunicazione, emotività e pensiero, Trento, Erickson, p. 65.
[12] Jordan Rita, Powell Stuart, (1997), Autismo e intervento educativo.
Comunicazione, emotività e pensiero, Trento, Erickson, p. 89.
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Da Rold Marzia, *Quando la musicoterapia è creativa, le emozioni felici...
risuonano
Pubblicato il 5 gennaio 2009 da http://musicoterapie.over-blog.com/
12
«Ciò che noi ricerchiamo è l'impatto emotivo
che l'azione più semplice può avere sul senso di sé della persona.
Se muove la mano in modo nuovo
o emette un suono, prima d'ora mai udito,
o suona una battuta per la prima volta,
quella persona ha compiuto un atto creativo.
Questo atto creativo,
se riconosciuto e ampliato musicalmente,
può dare origine allo stimolo innato di spingersi in fuori,
di spaziare,
di crescere[1]»
(Edith Boxill).
Un atto creativo generato dall'impatto emotivo, che può dare
origine ad uno stimolo innato di spingersi in fuori, spaziare e
crescere.
È ciò che cerco di leggere in quello che ho esposto nelle pagine di
questo lavoro, cercando di mettere insieme i piccoli successi che hanno
dato lo slancio per conseguire alcuni obiettivi.
La situazione di partenza era tutt'altro che felice.
Mi poneva davanti una persona, Ilaria, che a molteplici livelli era privata di
stimoli, di modi di vedere, sentire, toccare, comunicare.
L'aggancio con il suono è stato un passo importante per aiutarla ad
uscire, a mettere in moto le sue risorse, per portarla a dire e a
comunicare la sua presenza[2].
Partecipare a questo processo di scoperta e di crescita è stato un passo
importante, nell'esplorare e sperimentare insieme i modi di favorire ed
incrementare l'ascolto nella consapevolezza di sé e dell'altro.
Al termine del percorso, ho potuto così rendermi conto di quanto è maturato
complessivamente in questi due anni, e di quanto questi incontri sono stati
fecondi nel generare in I. quegli atti creativi di cui parla la Boxill.
Riassumere in modo schematico le potenzialità ritrovate e rinnovate può
servire per avere una visione unitaria dell'intero processo musicoterapico nei
suoi sviluppi più felici.
Ciò che, in sintesi, ha caratterizzato il cammino di apertura di Ilaria lo posso
visualizzare a questo punto in questi brevi punti:
 sviluppo di modalità comunicative vocali intenzionali;
 sviluppo di modalità comunicative e di risposta "strumentali" attraverso
il battito delle mani;
 comparsa dell'imitazione, attraverso il la la la muto;
 diminuzione notevole della rigidità corporea;
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maturazione di un contatto corporeo spontaneo ed intenzionale;
 intensità della relazione, attraverso il movimento corporeo intenzionale
e in risposta a stimoli sonoro-musicali ben precisi.
In sostanza, un piccolo grado di consapevolezza raggiunta nel percepire se
stessa e la realtà attorno a sé, interessandola al suo esserci nel mondo.
«Il nostro corpo è qualcosa di più delle possibilità che gli
concedono i sensi, la sua vita può essere al di sopra o al di sotto di
queste possibilità, perché a decidere del suo grado di vitalità non
sono i sensi, ma il suo interesse per il mondo[3]».
Le sedute sono terminate il 16 ottobre 2001.
Con un alto grado di accoglienza anche gli operatori del Centro Diurno hanno
constatato l'efficacia del mezzo musicoterapico, e la famiglia stessa si è
espressa favorevole e soddisfatta, richiedendo la ripresa dell'attività.
La piccola trasformazione si è rivelata una grande fonte di luce in chi non
riusciva a dare senso e speranza là dove tutto pareva inutile assenza di
significato.

Marzia Da Rold
*Titolo originale del contributo
Da Rold Marzia, (2002), Il canto e le emozioni che risvegliano il
corpo. Ilaria: immagini di una esperienza, Relatore: Prof.
Giangiuseppe Bonardi, Tesi di Diploma, Corso Quadriennale di
Musicoterapia, Pro Civitate Christiana, Assisi.
Contenuti
Premessa. Quale musicoterapia. Una porta aperta sulla vita di Ilaria. Primi
approcci: l'osservazione ambientale. L'inizio del processo di trattamento:
l'osservazione musicoterapica relazionale. La fase metodica iniziale. La fase
metodica intermedia. La fase metodica finale. Conclusioni. Bibliografia.
Argomento
L'elaborato della Collega Marizia Da Rold seduce il lettore, coinvolgendolo
nella tesi focale del suo lavoro: la musicoterapia, quando è creativa,
coglie l'anima emozionale delle persone coinvolte, facendole
risuonare di... gioia.
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14
Reperibilità
La tesi è consultabile presso la segreteria del Corso Quadriennale di
Musicoterapia, Pro Civitate Christiana, Assisi Centralino 075/813231 Fax
075/8112288 [email protected] o, contattando direttamente l'Autore.
Contatto con l'Autore
[email protected]
[1] Boxill, p. 117.
[2] Ivi: «Il terapista ha la funzione di far entrare la persona di essere
consapevole a tutti i livelli (fisico, mentale, emotivo), di aiutarla a mettere in
moto l'energia e le risorse interne, di concederle il tempo di assimilare
l'attenzione destata e la consapevolezza crescente, di portarla dall'azione
interna verso l'azione esterna».
[3] U. Galimberti, Il corpo, p. 71.
Con tag Musicoterapia e ritardo mentale
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Panebianco Maria Carmela, In musicoterapia la musica media le emozioni
Pubblicato il 3 gennaio 2009
Il lavoro terapeutico indirizzato all’apertura di canali comunicativi ha
determinato miglioramenti sul piano cognitivo, affettivo, così Michele (nome
di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy), inizialmente chiuso nelle
stereotipie e incapace di comunicare adeguatamente i propri bisogni e le
proprie emozioni, ha raggiunto adeguati risultati sul piano del funzionamento
personale e sociale.
Ha iniziato a maturare una più strutturata percezione del proprio sé, oltre che
dell’immagine corporea: sia nella stanza di musicoterapia che nella scuola,
egli si è gradualmente compreso che in quel luogo (spazio) e in quelle ore
(tempo) andava per svolgere determinate attività.
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A conclusione di questo percorso terapeutico, ha manifestato maggiore
autonomia di orientamento spazio - tempo, una maggiore percezione in
merito agli stimoli presentati e l’attivazione di semplici modalità di
comprensione e apprendimento.
Se all'inizio del percorso i miei tentativi di comunicare con Michele non sono
riusciti, nel corso del trattamento le produzioni sonore e/o musicali
di entrambe hanno rivestito connotati emotivi che riguardavano
“me e lui”, le emozioni e i vissuti condivisi nello spazio tra di noi.
Egli è riuscito non solo ad identificare le parti del corpo, ma ha iniziato a
relazionare con l'ambiente esterno e con gli altri, sperimentando una forma di
intimità che ha incominciato ad intravedere i caratteri dell'intenzionalità
piuttosto che della casualità.
Infatti, attraverso il contatto visivo e la vicinanza fisica egli ha iniziato a
“scrutare” l'altro da sé, uscendo dal nucleo egocentrico in cui ricadeva a causa
della propria patologia.
Il lavoro esperienziale di musicoterapia con Michele è stato determinante: la
creazione, il mantenimento e il rafforzamento di una relazione psicocorporea, attraverso la musica, gli ha consentito di diluire il circolo vizioso
delle stereotipie.
Altro elemento da non tralasciare è quello di esternare le proprie
emozioni con parole al fine di farsi comprendere, ripetendole in
modo perentorio e chiaro sino a quando non veniva soddisfatta
una sua richiesta.
Il mio contributo è stato quello di organizzare lo spazio sonoro per creare e
stabilizzare nuovi equilibri tra ciò che esisteva e il nuovo; in questo senso esso
è diventato un punto di riferimento di conoscenza per fornire una sicurezza
emotiva e un’armoniosa relazione senza ostacoli e condizionamenti interni ed
esterni.
In questa esperienza l’individuazione dello “spazio sonoro” è stata il risultato
di momenti di sintonizzazione in cui sono avvenuti scambi sonori e/o
musicali al fine di costituire una relazione comunicativa/interattiva.
Ciò è stato reso possibile perché ho cercato nei migliori dei modi di superare
un atteggiamento personale per dare la possibilità a Michele di muoversi
senza idee preconcette e bisogni del terapeuta.
La proposizione di esperienze d’interazione gratificanti per il ragazzo ha
avvalorato l’aspetto qualitativo e ha favorito le condizioni per poter creare in
modo spontaneo comportamenti più motivati ed espressivi.
La regolarità nella frequenza di Michele agli incontri, precisi tempi prefissati
e la costanza nell’effettuazione delle sedute hanno assicurato stabilità e
continuità e garantito solidità: durata nel tempo e orientamento.
L’acquisizione di un’etica professionale mi ha garantito esclusività e
riservatezza.
Nel delineare le prospettive future del presente lavoro esperienziale di
musicoterapia ho avvalorato l’ipotesi che la prosecuzione del trattamento
permetterebbe al ragazzo il conseguimento di sicure modalità di ascolto
maggiormente orientate verso l’altro da sé, di vivere la propria affettività
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oltre i confini familiari per diventare un mezzo privilegiato di sviluppo della
sfera affettiva.
I genitori e i componenti della famiglia hanno acconsentito di proseguire
perché questa esperienza l’hanno ritenuta valida per il ragazzo che l’ha
riconosciuta come un momento in cui ritagliarsi uno spazio appartato e
riservato in cui potesse esprimersi.
È stata una preziosa esperienza perché si è creata una relazione tra me e
Michele ed è stata positiva per la mia formazione e crescita personale.
Attraverso i continui confronti con l’insegnante di sostegno e la psicologa, si è
potuto effettuare un monitoraggio attento volto alla modifica e al
miglioramento di modalità d’intervento anche nell’ambito scolastico. Gli
incontri mensili con la famiglia del ragazzo hanno permesso un
coinvolgimento più responsabile dei genitori, che inizialmente erano restii a
collaborare, impedendo per quanto possibile che le resistenze inconsce al
trattamento potessero, qualora agite, porre fine o semplicemente intralciare le
attività. La conclusione di questo percorso terapeutico mi ha portato a
considerare come la musica ricalca “multisensorialmente” il mondo
interno ed esterno di ogni persona in maniera tale da acquisire
una completa conoscenza del suo modo di essere aldilà del
linguaggio verbale. La musica ha costituito per Michele un autentico
strumento per avviare una relazione in cui venisse resa manifesta la presenza
dell'altro: questo aspetto si collega a una costruzione a un riconoscimento di
uno spazio musicoterapico nel quale sono presenti gli elementi legati
all’ambiente, a uno strumentario e alla relazione. La “musica di per sé” e la
musica come terapia rientrano nel vasto patrimonio culturale del servizio, di
cura della persona, di sviluppo di una comunicazione non verbale che
favorisce il potenziamento di possibilità espressive e la realizzazione di un
precorso relazionale dove emergono i processi interni della comunicazione.
Maria Carmela Panebianco
[email protected]
Con tag Espereinze brevi di musicoterapia
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Tatulli Lucia, *La musicoterapia va a scuola. Sì. Ma come?
Pubblicato il 2 gennaio 2009
Nell'introdurre la musicoterapia nella scuola si fa una scelta di campo che
investe l'intera utenza scolastica e non solo gli alunni con handicap e vi è la
necessità di pensare a un progetto educativo scolastico rivolto non solo al
recupero e alla riabilitazione, ma anche alla prevenzione.
Prevenzione è potenziare lo sviluppo di valenze positive che gli
alunni posseggono e che sono trascurate; è educazione all'ascolto in senso
positivo, provocando l'attivazione di canali espressivi e comunicativi che di
solito non sono valorizzati.
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La scuola non fa terapia: essa promuove l'integrazione dell'alunno
portatore di handicap con modalità operative plurime e la sua
valenza è essenzialmente pedagogica.
Nel caso in cui ci si trova di fronte ad alunni gravi, gravissimi, psicotici,
bisognerebbe procedere, attraverso la musicoterapia, tramite un approccio
integrato tra operatori della scuola e operatori del campo della riabilitazione e
della terapia.
Scuola e musicoterapia possono avere in comune il tema
dell'ascolto, non di quello passivo dei brani o delle lezioni, ma
l'ascolto della persona-alunno.
Aiutare la persona-alunno a mettersi in comunicazione anche attraverso gli
aspetti non semantici della comunicazione, significa educare il singolo
soggetto al riconoscimento delle capacità espressive sonore del proprio corpo
e del patrimonio di esperienze sonore accumulato che lo caratterizza.
Ascoltare l'alunno significa andare oltre le abituali situazioni scolastiche in cui
vige un rapporto frontale e una comunicazione che si orienta "dall'alto verso il
basso".
L'ascolto attento pone l'insegnante nella dimensione di compiere
una valutazione del processo di apprendimento in cui non è
trascurata la riflessione sul processo di insegnamento.
Attraverso l'incontro con la musicoterapia l'insegnante può maturare questa
consapevolezza tenendo presenti i concetti di transfert e contro-transfert su
cui si basa, in musicoterapia, il rapporto di ascolto.
La competenza musicoterapica può essere, quindi, un'occasione per lo
sviluppo di un'attitudine all'ascolto e alla comprensione dell'altro, oltre che di
se stessi[1].
Se volessimo dare una definizione di cosa significhi fare musicoterapia a
scuola, per un insegnante, posso affermare che è "l'opportunità che si
presenta agli insegnanti di musica con competenze musicoterapiche di fare il
proprio mestiere d'insegnanti in maniera più illuminata, creativa e
completa (...), intervenendo non solo direttamente sull'apprendimento di
una materia, la musica per l'appunto, ma anche e soprattutto creando le
premesse per una positiva esperienza scolastica, sia dal punto di vista dei
vissuti che di quello dei risultati"[2].
Potremmo affermare, dunque, che anche se in ambito scolastico gli interventi
sono principalmente di carattere educativo-preventivo, si può parlare di
educazione curativa, ponendosi nell'ottica di un insegnante che utilizzi tutte
le risorse a sua disposizione (tempo, spazi, materiali, se stesso, ...) non solo
per le attività di insegnamento-apprendimento ma anche e soprattutto per
l'educazione globale del bambino e per la sua cura, intendendo col termine
curare il ricostituire una condizione di armonia psicofisica o costruirne una
nuova.
Inoltre, nell'ambito di interventi in età evolutiva (ma anche in età adulta) è
importante non dimenticare che non operiamo sul funzionamento cognitivo o
affettivo separatamente, ma vi è sempre un'unità mente-corpo che prevede
un'integrazione delle funzioni cognitive e affettive che si influenzano a
vicenda. In questo senso, l'ambito scolastico può essere davvero un ambiente
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favorevole per attuare strategie d'intervento che offrano ai bambini varie e
diverse occasioni in cui potersi esprimere e agli insegnanti l'opportunità di
cogliere le necessità e i bisogni degli alunni in modo da riabilitare quelle
funzioni affettivo-relazionali indebolite o mai sviluppate che possono avere
una ricaduta positiva anche sul livello di motivazione.
L'insegnante che si propone con il sonoro deve però, innanzitutto, lavorare a
lungo su se stesso per individuarsi sul piano sonoro, per identificare poi i
canali di comunicazione privilegiati e non, per meglio corrispondere all'altro.
Non è possibile individuare la "modalità" sonora più giusta, ma tante
possibilità, libere da statici riferimenti teorici e da concezioni
preminentemente estetiche, recuperando il corpo, il movimento, la voce e le
emozioni che con essi entrano in vibrazione.
L'ascolto sarà sempre l'elemento fondamentale: innanzitutto sapersi
ascoltare, poi saper ascoltare l'altro, quindi saper ascoltare ritmi, melodie,
sonorità.
Ascoltare per «stare» nell'ascolto.
Ascoltare per discriminare, per individuare sia ciò che acquista un particolare
valore affettivo, sia i canali espressivi che concorrono a definire la sonorità.
Ascoltare per imitare, elaborare, variare, inventare, ricreare generi musicali e
per individuare nuclearità sonore significative[3].
Lucia Tatulli
*Titolo originale del contributo
Tatulli Lucia (2008), Ascolto, relazione e musica per dare voce al
silenzio, Relatore: Prof. Giangiuseppe Bonardi, Tesi di Diploma, Corso
Quadriennale di Musicoterapia, Pro Civitate Christiana, Assisi.
Contenuti
Indice. Introduzione. Ascolto, relazione e musica. Accogliere e conoscere.
Fonosimbolismo e schemi di rappresentazione. Musicoterapia a scuola.
Insegnante alunno:cooperazione creativa. Per dare voce al silenzio... Il
mutismo selettivo. Illustrazione del percorso. La musica dei bambini. Dal
silenzio alla voce. Altri ponti... Conclusioni. Bibliografia. Discografia.
Argomento
Con questo elaborato, l'autrice, Insegnante di Scuola Primaria e musicofila,
conduce il lettore nell'insidioso ambito applicativo della musicoterapia nella
scuola. La chiarezza espositiva di Lucia Tatulli non lascia dubbi in quanto "...
la scuola non fa terapia" ma "... scuola e musicoterapia possono avere in
comune il tema dell'ascolto, non di quello passivo dei brani o delle lezioni,
ma l'ascolto della persona-alunno."
Reperibilità
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La tesi è consultabile presso la segreteria del Corso Quadriennale di
Musicoterapia, Pro Civitate Christiana, Assisi Centralino 075/813231 Fax
075/8112288 [email protected] o, contattando direttamente l'Autore.
Contatto con l'Autore
[email protected]
[1]Galante B., La scuola e lo sviluppo della comunicazione non verbale. Un
approccio: la musicoterapia, in G. Di Franco, R. De Michele (a cura di),
Musicoterapia in Italia, Idelson, Napoli, 1995, pagg. 15-16.
[2]Postacchini Pier Luigi, Ricciotti Andrea, Borghesi Massimo, (1998)
Lineamenti di musicoterapia, Carocci, Roma, pag. 58.
[3]Facchini D., Esperienze creative per una didattica musicale orientata alla
musicoterapia, in G. Di Franco, R. De Michele (a cura di), Musicoterapia in
Italia, Idelson, Napoli, 1995, pag. 11.
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Bonardi Giangiuseppe, Emozioni condivise: appunti di viaggio
Pubblicato il 1 gennaio 2009 da http://musicoterapie.over-blog.com/
Nel 2008, ad Assisi e a Thiene abbiamo compiuto un viaggio, addentrandoci nel
pensiero di Marius Schneider.
Ripercorro con la memoria le tappe fondamentali del percorso:
REALTA'
↓
DUALISMO
↓
FENOMENI
↓
RITMO
↓
IMITAZIONE
↓
VOCE
↓
ANIMA
↓
EMOZIONI
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Con timore e stupore, ne colgo il senso di quel faticoso tragitto poiché solo ora mi
rendo conto che posso concepire la mia vita come una serie di campi analoghi, in
perpetua interazione, che promanano dalla REALTA' per giungere al mio centro, così
dinamico, fragile e carico di EMOZIONI.
Sì, nel mio centro, coabitano: gioia, dolore, piacere, noia, tensione, benessere, paura,
tranquillità, allegria, ansia, euforia, timore, pienezza, impotenza, perplessità,
rammarico, intesa, sorpresa, rabbia, preoccupazione, euforia, sudore, calore, freddo,
timore, disgusto, trepidazione, sonnolenza,...
E così, come sempre, si giunge lì alle EMOZIONI così indissolubilmente legate alla
dimensione acustica.
Al momento non mi interessa una definizione rassicurante e razionale; poco importa
che siano primarie o secondarie e, quantomeno, possano essere regolate o no.
Il problema reale è, come sempre, ASCOLTARLE, ACCOGLIERLE per poterle
nominare: riconoscerle, sapendo bene che in questa impresa nessuno mi potrà
sostituire.
Qualcuno mi potrà aiutare ma poi, con fatica, solo io le nominerò, così intonandole ne
carpirò l'intima vera essenza acustica e allora, per qualche istante, il perenne tumulto
interiore si calmerà.
Giangiuseppe Bonardi
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Febbraio
Bonardi Giangiuseppe, Che cosa é la musicoterapia?
Pubblicato il 15 febbraio 2009 da Musicoterapie in... ascolto
http://musicoterapie.over-blog.com/
Il termine musicoterapia indica il rapporto di equilibrio che sussiste tra la
musica e la terapia.
La musica è qui intesa come la manifestazione acustica del mondo interno (il
tempo, ossia la dimensione emotiva) della persona che l’ha creata.
Terapia, dal greco “therapeia”, significa: assistere, aiutare la persona.
La musicoterapia è quindi l’adozione della musica, significativa per la persona
(minore o adulto), volta a migliorare il proprio stato emotivo.
La prassi musicoterapica è, normalmente, mirata al trattamento di una
determinata patologia: cerebropatia,
ritardo mentale, autismo, sindrome, demenza senile, psicosi, schizofrenia,
tossicodipendenza, stato di coma, cancro, immuno deficienza acquisita, ecc.
In relazione al tipo di patologia affrontata, la prassi musicoterapica è
realizzata adottando una precisa metodica applicativa.
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Un esempio specifico di prassi musicoterapica
La prassi musicoterapica, rivolta a soggetti diversamente abili con grave
ritardo mentale, essendo calibrata sulla persona, è articolata in alcune fasi:
 il colloquio;
 l’osservazione ambientale;
 l’osservazione musicoterapica;
 l’interazione individuale;
 l’interazione di gruppo.
Il colloquio è il primo indispensabile momento di incontro tra il terapista e le
figure parentali e/o professionali che accudiscono la persona.
In tal modo è possibile conoscere:
 le motivazioni che hanno ispirato la scelta dell’intervento;
 la diagnosi patologica;
 i gusti musicali della persona presa in esame.
L’osservazione ambientale:
 fornisce precise indicazioni in merito alle sonorità e alle musiche esperite
abitualmente dalla persona presa in esame;
 diviene il luogo dove si verificano i primi informali incontri tra
l’osservatore e l’osservato.
L’osservazione musicoterapica è volta a individuare:
 l’eventuale presenza delle problematiche emotive vissute dalla persona;
 i ‘mezzi’ scelti dalla persona per poter affrontare le problematiche rilevate.
Le problematiche emotive riguardano tre tipi di disadattamento:
 temporale (catastrofe emotiva);
 spaziale (contrasto emotivo
 relazionale (disagio emotivo).
I ‘mezzi’, scelti dalla persona, sono:
 le musiche;
 le sonorità;
 gli strumenti musicali
Il progetto di intervento
Al termine del periodo di osservazione, in relazione ai dati individuati e
tabulati nelle schede di rilevazione o in protocolli, si elaborano le linee guida
del tipo di intervento ritenuto maggiormente idoneo per la persona.
Tipi di trattamento musicoterapico:
 individuale;
 di gruppo.
Il trattamento musicoterapico individuale è volto a integrare lo stato emotivo
della persona.
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Il trattamento musicoterapico di gruppo è volto a migliorare e potenziare
l’integrazione emotiva di una persona, inserendola nel contesto del piccolo
gruppo formato da tre persone e un conduttore.
Giangiuseppe Bonardi
[email protected]
Con tag Riferimenti teorici di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Bonardi Giangiuseppe, Echi di... emozioni
Pubblicato il 14 febbraio 2009 da http://musicoterapie.over-blog.com/
Sono in automobile, é sera, dopo una lunga giornata di lavoro finalmente
sono in ascolto... della mia musica preferita.
Così, mentre sfreccio nel traffico urbano per ritornare a casa, il lettore
diffonde nell'abitacolo, uno dopo l'altro, "Before Night falls" ( 2 parte) di
L'Hoir B.; "Bubbling coulors" di De Mallio C. Tedesca M.; "Chloe's
Day" di Marck J.; "Evening Pine Logs On An Open Fire" di Jon M.;
"Floating Clouds" di Wakeman R.; "Gentle rain 1" di Hawkshaw A.;
"Inner Peace" di Hlpern S.; "Kiso" di Keysuke Doi; "Quietude" di Kater Nakai; "Silk Scarf" di Baker J. Borden S.; "Sparrow Hill" di Danna &
Clement.
Inspiegabilmente, quasi automaticamente, traduco gli eventi musicali in
vissuti e dolci riflessioni: calma... leggerezza... tranquillità... tensione
leggera...
solletico...
dolcezza...
pienezza...
benessere...
tenerezza... timore...
Avverto con piacere che il respiro diventa sempre più lento.
Di tanto in tanto percepisco con nitida chiarezza un frammento
melodico dolce, discreto, ripetuto, eseguito con il pianoforte: un
grappolo di succose note che mi richiamano delicatamente.
Cerco di indovinare le altezze che lo formano ma poi eccomi infastidito dalla
presenza di altri suoni eccessivamente acuti che presto lasciano il passo a
una gragnola di scintillanti altezze sintetizzate ma gradevoli.
Il tempo fluisce senza forzature così come il viaggio finché giungo alla
meta e l'incanto dell'ascolto privato si conclude.
L'esperienza dell'ascolto personale mi solletica un intrigante interrogativo.
"Before Night falls", "Bubbling coulors", "Chloe's Day", "Evening
Pine Logs On An Open Fire", "Floating Clouds", "Gentle rain 1",
"Inner Peace", "Kiso", "Quietude", "Silk Scarf", "Sparrow Hill",
sono eventi musicali certamente sconosciuti alla maggioranza delle persone
che conosco, ma per me celano significati: quali?
Mi rendo conto che mentre ascolto gli eventi musicali preferiti provo:
♥ emozioni (calma... leggerezza... tranquillità...
dolcezza... pienezza... benessere... tenerezza...
timore...);
♥ sensazioni (tensione leggera... solletico... il respiro
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diventa sempre più lento...);
♥ riflessioni (percepisco... un frammento melodico dolce,
discreto, ripetuto...: un grappolo di succose
note che mi richiamano delicatamente...).
Queste musiche, in particolare, mi dischiudono quindi, con dolcezza e
leggerezza, alcuni aspetti della mia dimensione interiore... probabilmente
quelli un po' sopiti.
L'ascolto, che in prima battuta potrebbe apparire casuale, di fatto, implica
sempre una mia scelta: un atto di volontà.
Una scelta leggera, non di certo sofferta e tormentata, un atto di
affermazione personale perché, sebbene non ne sia totalmente
cosciente, grazie a queste musiche, cerco di stabilire un rapporto
intersoggettivo con... me: cerco di accogliere me stesso.
Così, guidato dalla musica, giungo verso l'accoglienza della mia
interiorità, accettando i contenuti che popolano le dimensioni che
la caratterizzano.
Non è la musica quindi che è terapeutica
di per sé ma sono le musiche
significative in cui mi rispecchio
che mi aiutano a stare meglio.
Il benessere non è celato quindi nei
meandri della sintassi musicale ma è dato
dal rapporto intersoggettivo che io, come
persona, stabilisco durante l'ascolto
perché in realtà io sono ciò che...
ascolto[1].
Giangiuseppe Bonardi
[1] Per ulteriori approfondimenti si consiglia la lettura di Situazioni d'ascolto
e Io sono come... ascolto di Bonardi G., (2007), Dall'ascolto alla
musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU), pag. 11- 20 e
Greco Marina (2008), La Dinamica dell'accoglienza nella relazione
musicoterapica come forma di ascolto evoluta e privilegiata,*L'accoglienza
come forma d'ascolto evoluta e privilegiata delle... emozioni, di Marina Greco
( 6/09/2008 pubblicato in : Esperienze sul blog http://musicoterapie.overblog.com/ Relatore: Prof. Giangiuseppe Bonardi, Tesi di Diploma, Corso
Quadriennale di Musicoterapia, Pro Civitate Christiana, Assisi.
Con tag Riflessioni...
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24
Marzo
Lamberti Rosaria, Musa
Pubblicato il 28 marzo 2009
Musa
Ascoltare ciò che nessuno può udire e sentire che la vita ti ama e ti conduce
in luoghi ai più sconosciuti.
Voce interiore che guida i tuoi passi anche quando senti di non poter
camminare, quando i muscoli dolgono e la mente è troppo stanca per
pensare.
È allora che finalmente ti affidi, per scoprire che in ogni momento c’è chi ti
conduce amorevolmente verso una meta che credevi irraggiungibile e che tu
stesso non riuscivi a concepire.
Cosa ti trattiene ancora dal credere che tutto si muove in un’energia
amorevole che si cura anche di te, che considera la tua esistenza importante
e grandiosa come quella di chiunque altro?
Perché non vuoi accettare ciò che la vita ti ha messo a disposizione per
compiere il tuo cammino?
Cosa pensi ti conduca ogni giorno là dove riesci ad andare?
2 dicembre 2008 Rosaria Lamberti
[email protected]
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Bonardi Giangiuseppe, A come... analogia
Pubblicato il 26 marzo 2009
Sono fermamente convinto che la prassi musicoterapica, utilizzando
strumenti musicali o eventi ascoltati, medi,
di fatto, le emozioni vissute dai
partecipanti. Le persone coinvolte, gli
strumenti, le musiche ascoltate, agite,
condivise, i silenzi, le relazioni scaturite, il
tempo, lo spazio e le emozioni vissute sono
quindi i fenomeni essenziali che,
dinamicamente, entrano in gioco in
qualsiasi processo musicoterapico. La
prassi musicoterapica è una realtà
complessa costituita da fenomeni dinamici
che interagiscono tra loro, ma come è
possibile comprenderli? Quali sono i 'fattori S'[1] che li pongono in relazione?
La realtà musicoterapica sfugge spesso all'analisi dei nessi causali giacché
Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2009
Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2009
25
difficilmente è possibile individuare, con logica deduzione, le cause e gli effetti
dei 'fenomeni'che la costituiscono. In musicoterapia difficilmente troviamo il
nesso causale che spiega, ad esempio, il senso che intercorre tra l'esecuzione
di evento musicale suonato da una persona e l'emozione da lei espressa
mediante la sua musica 'naturale'. L'identità tra la musica eseguita e
l'emozione provata dalla persona non è, di fatto, dimostrabile con scientifica
certezza[2] perciò è necessario porsi in un'altra dimensione quella analogica
volta a ricercare, con estrema pazienza e perseveranza, gli elementi ('i fattori
S') che simbolicamente mettono in relazione l'evento musicale eseguito con
l'emozione provata. I rapporti che intercorrono tra i vari fenomeni
musicoterapici non sono quindi di identità ma soggiacciono, sovente, alla
somiglianza, all'analogia. La realtà musicoterapica può quindi esser letta,
ossia interpretata, ricercando quegli elementi (i 'fattori S') che li pongono in
relazione di affinità. In questa prospettiva il pensiero di Marius Schneider
offre un prezioso contributo a questa indagine quando evidenzia l'indubbio
apporto dell'arcaico ragionamento per analogia volto all'interpretazione di
'realtà complesse' come lo è, di fatto, la prassi musicoterapica. Per il
pensatore alsaziano[3] due fenomeni hanno una relazione di analogia quando
individuiamo il 'fattore S', ossia il "ritmo simbolo" che, comune a entrambe i
'fenomeni', li pone in un rapporto di somiglianza. Per Schneider, gli elementi
comuni a fenomeni morfologicamente differenti sono: 'il timbro della voce, il
ritmo ambulatorio, la forma del movimento, il colore, il materiale'. Nella sua
proficua ricerca antropologica, Schneider[4] giunge a ipotizzare
corrispondenze analogiche tra ben dodici 'fenomeni' appartenenti a piani
morfologici differenti.
Schneider così indica, con estrema chiarezza, la possibilità di ricercare
relazioni analogiche che intercorrono tra: le altezze, gli elementi, gli astri, i
colori, i sensi, gli animali, i simboli, i numeri, le ore e le case, le ideologie, le
persone, gli strumenti musicali. La rappresentazione cosmogonica così
ottenuta può apparire stravagante, ma in realtà offre un prezioso stimolo a
ricercare il senso delle cose, ponendole in relazione tra di loro, abbandonando
la vana ricerca di spiegazioni causali che spesso
risultano poco convincenti. Il pensatore
alsaziano non dà certezze ma stimola la ricerca
di un senso possibile e, per questa ragione,
perfettibile. Solamente la persona interessata in
questa ricerca individuerà con convinzione gli
elementi acustici (il timbro della voce), dinamici
(il ritmo e la forma del movimento), e visivi (il
colore e la materia) che possono mettere in
relazione di analogia fenomeni alquanto diversi.
Ponendo particolare attenzione alle relazioni di
affinità che, secondo il pensiero schnederiano,
intercorrono tra le altezze (le cosiddette note), le emozioni (le ideologie), i
numeri (i piedi metrici), i simboli e gli strumenti musicali, si favorisce la
ricerca di percorsi di senso volti a chiarire ciò che accade durante il processo
musicoterapico.
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26
Schneider offre così una 'mappa' per orientarci nella ricerca del senso di
quanto accade in musicoterapia. Sì, una 'mappa', una 'carta geografica', ossia
un mezzo che ci può orientare nella nostra ricerca perché l'attribuzione di
senso non è decisa da Schneider ma dalla persona che la formula, ossia da noi
che ne siamo gli unici veri responsabili.
Giangiuseppe Bonardi
[1] I termini riportati in corsivo e virgolettati sono desunti dalla terminologia
schenideriana tratta, in particolare, dal I capitolo dell'opera citatanella nota
n.4 di questo contributo.
[2] Al fine di un approfondimento di questa tematica si consigliano queste
letture... Marconi L., (2001), Musica, espressione, emozione, Clueb, Bologna.
Postacchini P., (2006), "Quando la musica diventa terapia", pag. 155-156, in:
Clarkson G., (1998), " I reame I was normal. A music therapist's journey into
the Realms of Autism", MMB Music, Inc. Saint Luis, U.S.A.; trad. it.: "Ho
sognato di essere normale. Il viaggio di una musicoterapeuta nel mondo
dell'autismo", Cittadella Editrice, Assisi 2006. Manarolo G., (2006), Manuale
generale della musicoterapia, Cosmopolis, Torino, pag. 57-146.
[3] Bonardi G., (2008), Marius Schneider e la... Musicoterapia!,
http://musicoterapie.over-blog.com/ Pubblicato, giovedì 6 novembre, nella
categoria: Marius Schneider.
[4] Schneider Marius, (1946), El origen de los animales - sìmbolos en la
mitologìa y la escultura antiguas, Barcelona, Instituto Español de
Musicologia, trad. it., Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella
mitologia e nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986, pag. 217-241.
Con tag Il senso del musicale in musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Navone Stefano, Diventare musicoterapista oggi
Pubblicato il 23 marzo 2009
Diventare musicoterapista oggi significa entrare in un ambito professionale
ampio, dinamico ed in continua evoluzione, in cui le competenze musicali ed
espressive del musicista e del fare musica in senso moderno vengono ad
interagire con il mondo della sofferenza e del disagio psico-fisico.
Questo orientamento di studi necessità di grande umiltà, motivazione e
consapevolezza delle proprie risorse umane ben al di là della sfera artistica ed
estetica o di qualsiasi approccio didattico della musica.
Il musicoterapista, infatti, oggi in Italia opera nelle ASL, nelle Scuole, negli
Istituti di Riabilitazione, in collaborazione con psicologi, medici ed altre
figure sanitarie; tratta casi di sofferenza psichica e fisica che vanno dalla
sindrome di Down ai deficit o difficoltà percettive, di espressione motoria, del
linguaggio, emotive, fino alle alterazioni di personalità, all'autismo, al
supporto per il risveglio dal coma. L'approccio musicoterapico può essere
preventivo, di mantenimento o di sostegno, evolutivo, a seconda che il tipo di
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problematica abbia radici nel genetico, in lesioni pre e post natali,
nell'organico e/o nello psichico.
Nel corso dell'ultimo ventennio la Musicoterapia ha registrato una
concentrazione sempre crescente di figure professionali provenienti dalle più
svariate discipline scientifiche. Ciò richiede una regolamentazione e un
inquadramento professionale del Musicoterapista, inteso quale figura
professionale "emergente" e parallelamente della sua formazione specifica.
A tale fine risulta opportuno definire gli ambiti di intervento in un contesto
che appare caratterizzato da iniziative multiformi. Le diverse esperienze
maturate in ambito clinico negli ultimi vent'anni e i risultati della ricerca
consentono di configurare la peculiarità scientifica e metodologica della
Musicoterapia, nonché gli obbiettivi connessi a percorsi di formazione in tale
ambito.
La Musicoterapia infatti, utilizza l'elemento sonoro-musicale all'interno della
relazione persona-operatore per conseguire finalità preventive, riabilitative e
terapeutiche attraverso l'uso di metodologie di lavoro diversificate per ambiti
applicativi.
Il Corso di Formazione Triennale in Musicoterpia del "Centro
Studi Musicoterapia Alto Vicentino" si prefigge l'ambizioso obbiettivo di
dotare gli allievi di quel patrimonio di saperi, conoscenze ed abilità necessarie
all'esercizio della professione e, nello specifico, di:
• fornire conoscenze teoriche, metodologiche e applicative per la
professionalizzazione della figura del musicoterapista;
• sviluppare la consapevolezza dei rapporti uomo-suono-musica e la
capacità di osservarli e di descriverli;
• sviluppare le competenze musicali di base già acquisite ed atte a
decodificare il linguaggio sonoro-musicale, a comprendere le caratteristiche
della propria identità sonoro-musicale e a sviluppare consapevolmente la
propria espressività e creatività musicale tramite tecniche improvvisative e
compositive;
• approfondire le conoscenze sull'uomo di natura biologica, antropologica,
psicologica, medico-clinica;
• approfondire l'utilizzo di metodologie per la programmazione e la
realizzazione di trattamenti di carattere preventivo, riabilitativo e terapeutico
attraverso il mediatore sonoro-musicale;
• acquisire conoscenze psicologiche finalizzate all'osservazione dell'essere
umano per comprendere comportamenti adattivi e disadattivi;
• prendere coscienza delle caratteristiche della propria identità sonoromusicale relativamente a dinamiche gruppali a contesti clinici;
• fornire all'allievo le conoscenze informatiche fondamentali per la gestione
del personal computer e del software utilizzato per la stesura di documenti e
ricerche, facendo particolare riferimento alla cura del layout di un
documento.
Stefano Navone
[email protected]
Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2009
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www.istitutomusicaleveneto.it
Istituto Musicale Veneto Città di Thiene
28
Via Carlo Del Prete,43 Thiene (Vicenza)
Tel/fax 0445/ 364102
Cell.338.4670716 - 347 8518151
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Parker Deborah, *In viaggio con Eleonora, alla ricerca di una base sicura...
sonora
Pubblicato il 18 marzo 2009 da http://musicoterapie.over-blog.com/
Questa tesi non è altro che una virgola, un respiro tra una frase già
composta
e
un'altra
ancora
da
concepirsi.
Rende conto dell'esperienza
personale in un periodo breve dal 2005 fino ad oggi - ma
intensissimo di formazione e
lavoro
nel
campo
della
musicoterapia.
Non ha la presunzione di
condurre a risultati sicuri,
ma indaga sull'impiego del 'musicale' come struttura e contenuto della
relazione terapeutica.
L'uso del termine 'musicale', in tutta questa tesi, denota l'intera
gamma di fenomeni - provenienti dall'ambiente o espressi da una
persona col proprio corpo o agendo su oggetti - che possono
essere descritti nei termini dei parametri musicali.
Sono inclusi fenomeni non sonori (per esempio gesti nel silenzio)
che hanno proprietà musicali.
L'usuale distinzione tra "suono" e "rumore", invece, si ritiene fuorviante e
quindi non applicabile.
Esponendo e esplorando materiali sonoro-musicali ricavati
direttamente da sedute di musicoterapia, rifletto sul mio ruolo di
terapista, sulle mie proposte e risposte, identificando le
caratteristiche di una base sicura sonora e tracciando la sua
evoluzione.
I soggetti dello studio sono due: la persona in terapia, conoscibile solo
attraverso i comportamenti nel contesto della relazione musicale,
e io musicoterapista, nel ruolo della "figura di attaccamento" che
contribuisce allo sviluppo di una base sicura per chi è in terapia.
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Questa prospettiva è di grande importanza per me perché rappresenta
il concetto più illuminante del processo formativo.
Inoltre mi sollecita una sfida infinitamente stimolante, quella di essere
sempre in una posizione di ricerca e di nutrire in me stessa la mia base sicura:
l'accoglienza e l'ascolto dell'altro sono possibili solo se si riesce ad
accogliere ed ascoltare se stessi.
C'è qualcosa di paradossale nello stendere una tesi utilizzando, come è
inevitabile fare, il sistema comunicativo verbale, che porta però in
discussione il sistema comunicativo 'musicale'.
Rispetto al 'musicale', il linguaggio verbale non è migliore, è semplicemente
diverso; comunica contenuti diversi e non è in grado di sostituire il musicale:
"La musica è intellegibile e intraducibile. E proprio per questa
irriducibilità può essere il discorso che riesce a dire qualcosa là
dove il linguaggio incontra un limite." [1]
Per questo motivo questa tesi lascia ampio spazio alla musica, avvalendosi
dei codici condivisi di trascrizione musicale per presentare prima di tutto i
vissuti musicali in musicoterapia (capitolo I).
Per chi legge una partitura con la stessa facilità di un testo verbale, la
'rilettura' che segue ogni trascrizione sarà tautologica.
Invece le analisi musicali danno inizio al cammino dall'esperienza
fenomenologica, verso una teorizzazione necessaria per fare di una pratica un
modello concettuale corredato da un'adeguata metodologia.
I capitoli II, III e IV riportano gli studi e le considerazioni che mi hanno
permesso di individuare una struttura teorica di partenza nella quale
collocare la mia pratica di musicoterapia, sempre in riferimento al 'leitmotif'
della base sicura. Come sintesi finale, il capitolo V presenta la mia 'presa di
coscienza' da musicoterapista nei confronti del percorso osservato e descritto
nel primo capitolo, con un'interpretazione in chiave psicodinamica che rende
esplicita la terapia nella musica, appoggiata sulla costruzione consapevole
della base sicura sonora.
Deborah Parker
*Titolo originale del contributo
Parker Deborah, (2009), "Alla ricerca di una base sicura sonora.
Osservazione, analisi e interpretazione dei processi musicali in
musicoterapia improvvisata", Relatore: Prof. Ferdinando Suvini, Tesi di
Diploma, Corso Quadriennale di Musicoterapia, Pro Civitate Christiana,
Assisi.
Indice.
DVD. Documentazione audiovisiva relativa al caso clinico presentato.
Ringraziamenti. Nota al lettore. Preludio. I Esposizione e Sviluppo.
Descrizione, trascrizione e analisi musicale del percorso in musicoterapia di
Eleonora. Descrizione del caso - anamnesi. Fase di osservazione. Le musiche.
Trascrizione I. Trascrizione II. Trascrizione IIIa. Trascrizione IIIb.
Trascrizione IIIc. Trascrizione Iva. Trascrizione IVb. Trascrizione V. Una
conclusione provvisoria. II La Base Sicura. Cornice psicologica per la
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relazione terapeutica. III Musica come comunicazione. Contesto per la
relazione terapeutica sonora. La funzione primaria del musicale nell'uomo - la
teoria del "Hmmmmm". Percezione amodale e percezione musicale.
L'intersoggettività e il musicale. La sintonizzazione degli affetti e il musicale .
La regolazione delle emozioni e il musicale. Conclusione. IV Quale
Musicoterapia? Strumenti concettuali, metodologici, concreti e percettibili.
Gli strumenti concettuali. Modelli di riferimento classici. Modelli di
riferimento contemporanei. Gli strumenti metodologici. Gli strumenti
concreti. Gli strumenti percettibili. V Ripresa. Interpretazione dei processi
musicali nel percorso di Eleonora. Conoscenza - trascrizione I .
Avvicinamento e travolgimento - trascrizione II. Differenziazione trascrizioni IIIa, b. Il canto come difesa - trascrizione IIIc. Consapevolezza trascrizioni IVa, b. E-mozione - trascrizione V. Postludio. Appendice.
Spiegazione dei segni non convenzionali utilizzati nelle trascrizioni.
Bibliografia. Inserto - le partiture delle trascrizioni.
Argomento
L'elaborato di Deborah Parker è un'opera geniale che merita di essere
studiata. Scritta come una forma musicale, la tesi dischiude all'interno
l'evoluzione processo musicoterapico condotto con una persona autistica,
'visualizzandola' in partiture. Deborah Parker, indagando il senso del
musicale in musicoterapia, ha accolto il messaggio lanciato ormai da anni dal
Dott. Pier Luigi Postacchini e il suo lavoro si inserisce a pieno titolo nel nuovo
filone di ricerca della musicoterapia italiana. Così eccola cimentarsi in
problemi di trascrizione (emica, etica, del modello) di quanto avviene
musicalmente durante le sedute. La componente musicologica dell'esperienza
dell'autrice si inserisce perfettamente nel quadro teorico di riferimento
musicoterapico di orientamento psicodinamico e umanistico. Appassionante
è altresì l'apporto antropologico musicale quando la Parker espone la teoria
del "Hmmmmm" di Mithen S. tuttora sconosciuta al pubblico italiano. In
questa prospettiva il lavoro dell'autrice deve essere letto da diverse
prospettive: musicoterapica, musicologica, antropologica e terapeutica.
Parker definisce la sua 'tesi', una "virgola"... ma che virgola!
Reperibilità
La tesi è consultabile presso la segreteria del Corso Quadriennale di
Musicoterapia, Pro Civitate Christiana, Assisi Centralino 075/813231 Fax
075/8112288 [email protected] o, contattando direttamente l'Autore.
Contatto con l'Autore
[email protected]
[1] Gaita (1991), "Il pensiero del cuore", Bompiani, Milano, p. 17
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31
Bonardi Giangiuseppe, Alla ricerca del senso del musicale in musicoterapia
Pubblicato il 12 marzo 2009
È da molto tempo ormai che quotidianamente mi interrogo sul senso del
musicale in musicoterapia. Le 'musiche' di Pamela, di Giorgio, di Marina[1] e
degli altri ragazzi, con i quali interagisco quotidianamente, cosa vorranno
comunicare? È evidente che sono in ascolto di musiche "naturali[2]" che non
soggiacciono ad un "programma estetico[3]" perciò le componenti formali
che le caratterizzano non rientrano nelle tipologie dell'analisi musicologica
classica e, per questo motivo, sono inevitabilmente costretto a ricercare una
forma di trascrizione idonea per poterle analizzare. È maggiormente
opportuno adottare il tipo di trascrizione "etica", "emica" o del
"modello"?[4]" Sì, mi sono imbattuto nel dilemma di dover scegliere tra un
tipo di trascrizione integrale ("etica") o di un'altra che coglie solamente gli
aspetti essenziali ("emica") o ancora individuare il "modello" comune a
differenti esecuzioni. La ricerca dei significati sottesi al musicale in
musicoterapica solleva quindi ben due dilemmi:
 cosa rappresentare;
 come rappresentare.
Ora ho scelto il tipo di trascrizione "emica", cercando di visualizzare gli
aspetti musicali maggiormente evidenti, tralasciando altri, certamente
importanti, ma difficilmente decifrabili. Le rappresentazioni grafiche, del
musicale preso in esame, debbono essere considerate quindi come segni
acustici, che ho scelto, al fine di accingermi alla ricerca dei significati sottesi,
senza rinunciare all'apporto fondamentale dell'ascolto delle rispettive tracce
audio.
Scrosci
Ascolto Pamela, mentre scuote imperterrita l'ocean drum. Seduta
comodamente sul tappeto, la bimba è visibilmente catalizzata dallo strumento
che guarda con una concentrazione impressionante. Nulla la distoglie dalla
sua attività. Pamela scuote l'ocean drum con forza, mentre io rimango lì
pensieroso, estromesso dal gioco, poiché ogni mio tentativo di parteciparvi
sortisce un chiaro rifiuto. Non mi rimane altro che chiedermi che cosa stia
ascoltando la bimba. L'evento musicale è un insieme caotico di sonorità che
vaga all'interno dello strumento: un timbro fragoroso, così caotico, simile ad
uno scroscio, ripetuto, forte, duro, vagamente metallico e... indefinito.
Così, tra lo stupore e lo sgomento, mi
sovviene l'idea che l'ocean drum è per Pamela
un oggetto 'magico' con il quale la bimba
possa esprimere il suo mondo interno.
Pamela ha trovato quindi lo strumento
musicale che gli fa da eco, rendendole udibile
il suo sé acusticamente... indefinito.
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32
Rimbombi
Giorgio è seduto comodamente sulla sedia posta di fronte alla conga. Prende i
battenti in mano e inizia a suonare la percussione.
Lo sguardo è fisso sullo strumento e pian piano
l'ambiente si satura di rimbombi, tendenzialmente
forti, ripetuti incessantemente per molto, molto
tempo. Ben presto la stanza è satura e quelle
rombanti sonorità diventano una barriera che
separa Giorgio da me.
Non mi rimane altro da fare che ascoltare la sua
'musica' così ripetitiva. Probabilmente Giorgio è contento perché, grazie al
mediatore che ha scelto, è in contatto con il suo mondo interiore così
acusticamente ossessivo, per lui vitale, forse, mentre io mi trovo nella difficile
condizione di ascoltarlo, ossia di accoglierlo.
Silenzi
Marina è seduta di fronte alla tastiera ed io sono di
fronte a lei seduto dalla parte opposta. Marina
batte le mani in modo stereotipato poi le abbassa e
si ferma, mi guarda. Silenzio. Suono un tasto acuto
della tastiera. Silenzio. Lo risuono un'altra volta.
Silenzio. Aspetto un po' e ci riprovo. Finalmente
Marina alza le braccia portando le mani poco
sopra la tastiera. Premo un tasto grave. Silenzio.
Riprovo a pigiare il tasto. Silenzio. Quasi
inaspettatamente, Marina abbassa contemporaneamente le mani sulla
tastiera, ottenendo un dissonante cluster. Poi... nulla ed io rimango, ancora
una volta, nella difficile situazione d'ascolto-accoglienza di quel 'rumoroso'
silenzio che, probamente, esprime l'indicibile difficoltà di Marina ad esistere
almeno acusticamente.
Riflessioni
Sono ormai convinto che la musica sia l'espressione del tempo vissuto dalla
persona che la fa. Il tempo è il nostro mondo interno, il sé acustico che si
manifesta, diventando musica. Per cui suonando, Pamela, Giorgio, Marina
esprimono a se stessi e, inevitabilmente, a chi li ascolta, l'organizzazione del
proprio mondo interiore. In questa prospettiva gli scrosci di Pamela, i
rimbombi di Giorgio e i silenzi di Marina mi 'invitano' all'accoglienza del
mondo interno di queste persone. Così, ben presto, il disagio, il fastidio, il
senso di impotenza o di esclusione che queste musiche possono suscitare in
me, unico ascoltatore, cedono il passo alla consapevolezza di essere al
cospetto di tre mondi diversi. Pamela, suonando l'ocean drum, 'scruta' le parti
del suo sé che vagano disarticolate, cozzando fragorosamente sulle pareti del
proprio mondo interno. Giorgio, percuotendo la conga, cerca di riordinare
ossessivamente ciò che percepisce di sé, esprimendo musicalmente la fatica di
questa ricerca. Marina, avvolta nel silenzio, esprime, musicalmente, la
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difficoltà ad esistere. Non sono quindi 'musiche' piacevoli o accattivanti, ma
hanno l'indubbio pregio di svelare i vissuti delle persone che le eseguono,
esprimendo molto probabilmente la disgregazione (Pamela), la rigidità
(Giorgio) o il congelamento
(Marina) del proprio sé.
Che senso hanno quei ritmi così simili ai metri greci?
Dopo molti incontri Pamela, con mia sorpresa, non si limita a scuotere l'ocean
drum, ma lo percuote, eseguendo brevi ritmi. La stessa cosa succede con
Maurizio, Alessio, Marta, Danilo e molte altre persone che inizialmente
realizzavano sonorità disgregate, mentre, durante la fase successiva degli
incontri, eseguono spontaneamente dei brevi incisi ritmici.
Cosa sarà successo? Come mai queste persone eseguono, spontaneamente, dei
ritmi? Io glieli proponevo, ma di certo non avevo la pretesa di insegnarli
perché queste persone non erano in grado di riprodurli e, fatto maggiormente
rilevante, lo scopo della mia attività non era quello di educare ma di facilitare
la nascita del processo relazionale. Ad una prima analisi i frammenti ritmici
presi in esame sono estremamente brevi e, osservandoli meglio, alcuni di loro
sono identici ai piedi ritmici greci, così cari alle indagini musicologiche di
Sachs[5] o a quelle poetiche di Arina[6]. Ora queste persone interagiscono
musicalmente
con
me
utilizzando
piedi
metrici:
Nella loro estrema semplicità,
i ritmi presi in esame
esprimono i rapporti di
equilibrio
dinamico
che
sussistono tra le forze in
opposizione[7]
che
li
formano,
manifestando
acusticamente il desiderio
nascente di iniziare ad
integrare o 'ammorbidire' gli aspetti del proprio sé. È evidente che queste
elementari organizzazioni ritmiche travalicano la dimensione musicologica
ma, quando li ascoltiamo in musicoterapia, sono un preziosissimo indicatore
della possibile nascita del processo di cambiamento.
Mi, fa... male!
Samuel giunge puntuale, come un orologio svizzero al centro, accompagnato
dal papà. Entra nell'atrio, saltella sulle sedie; obbliga il papà a sedersi, poi mi
vede. Samuel controlla che il papà sia seduto nel posto 'giusto', solo allora si
dirige con me verso la stanza. È teso come una corda di violino. Samuel, inizia
a parlare... con sé: "Dai... smettila... basta... Samuel... Adesso ho detto
basta..." Si calma un po'. Si precipita verso il pianoforte, si siede sullo sgabello
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e suona due altezze nel registro grave dello strumento, ripetendole
insistentemente: mi e fa.
Per alcune sedute, Samuel inizia
gli incontri con questo 'rito'. Al
termine dell'esecuzione musicale
la sua evidente tensione si
stempera. Solo allora mi guarda,
mi saluta e finalmente si
accomoda vicino a me, nello spazio relazionale sonoro-musicale... Qual è il
senso sotteso alla 'musica' di Samuel costituita esclusivamente dalla
ripetizione ossessiva di un intervallo di seconda minore? Perché Samuel,
avendo a disposizione innumerevoli tasti, ne sceglie solo due? Perché suona il
mi e il fa, soffermandosi ora sul mi e ora sul fa? Chiunque fosse stato
spettatore della scena é concorde nell'affermare che Samuel abbia espresso
musicalmente il proprio stato emotivo di evidente tensione. La mia attenzione
è attirata dalle altezze che Samuel ripete insistentemente. Che cosa comunica
il mi? Che cosa esprime il fa? Leggo vari trattati musicologici alla ricerca di un
po' di luce e, tra i molteplici, trovo una possibile chiave di lettura del mistero
acustico di cui sono stato osservatore partecipe. Nel quinto capitolo del libro
di Scheneider[8], l'autore alsaziano espone le corrispondenze analogiche che
intercorrono tra le altezze e ben altri undici realtà ( piani paralleli ) differenti
tra cui anche le emozioni ( ideologie ). Per Schneider l'altezza mi è posta in
relazione analogia con il dolore, mentre l'altezza fa è in rapporto di affinità
con la forza. Ad una prima chiave di lettura mi è evidente che Samuel, con
sole due note ( il mi e il fa ), sia stato in grado di comunicare l'essenza di ciò
che provava: il suo forte, persistente dolore. È lampante che non è possibile
applicare il pensiero schneideriano in modo pedissequo, ma è possibile
mettere in relazione analogica la personale osservazione dello stato emotivo
di Samuel con l'espressione musicale e la chiave di lettura schnederiana. In tal
modo otteniamo un quadro di relazioni analogiche pertinenti e,
verosimilmente, attendibili.
Stato emotivo osservato
↓
evento musicale percepito
↓
pensiero schenederiano
=
possibile significato.
L'applicazione del pensiero schneideriano quindi non è decisiva ai fini di una
ricerca del senso, ma concorre a delinearne il significato. Applicare
Schneider in una prospettiva di ragionamento causale: se una
persona suona il mi, allora esprime dolore, significa banalizzarlo,
svuotandolo di significato. Schneider non afferma corrispondenze
evidenti, ma indica delle coordinate di senso in cui orientare la
propria scelta interpretativa poiché, ancora una volta, anche in
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questo caso, l'attribuzione di senso deriva da una nostra precisa
scelta. La responsabilità della scelta di senso non è certamente
attribuibile a Schenider ma a noi stessi.
Bonardi Giangiuseppe
[email protected]
[1] I nomi riportati nel contributo sono puramente di fantasia, in
ottemperanza della legge della privacy.
[2] Schneider M., La nascita musicale del simbolo, pag. 96-97, in: "Il
significato della musica" Rusconi, Milano 1970.
[3] Schneider M., La nascita musicale del simbolo, pag. 96-97, in: "Il
significato della musica" Rusconi, Milano 1970.
[4] Postacchini P., (2006), "Quando la musica diventa terapia", pag. 155-156,
in: Clarkson G., (1998), " I reame I was normal. A music therapist's
journey into the Realms of Autism", MMB Music, Inc. Saint Luis, U.S.A. (
trad. it.: "Ho sognato di essere normale. Il viaggio di una
musicoterapeuta nel mondo dell'autismo", Cittadella Editrice, Assisi 2006.)
[5] Sachs C., The Rise of Music in The Ancient World East and West, W.W.
Norton e Company Inc., New York 1943. Trad. It. La musica nel mondo
antico, Rusconi, Milano 1992, pag. 258-259.
[6] Arina J., (1966), Possibilità ritmiche della poesia italiana, Tipomeccanica,
Napoli, pag. 30-32.
[7] Bonardi G., (2008), Marius Schneider e la... Musicoterapia! Pubblicato,
giovedì
6
novembre,
nella
categoria:
Marius
Schneider,
http://musicoterapie.over-blog.com/article-24493424.html
[8] Schneider, Marius, (1946), El origen de los animales - sìmbolos en la
mitologìa y la escultura antiguas, Barcelona, Instituto Español de
Musicologia, ( trad. it., Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella
mitologia e nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986 ), pag. 217 – 240.
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Bertozzini Riccardo, “Dall’altra parte” ... in ascolto delle emozioni di Francesco
Pubblicato il 12 marzo 2009
... Francesco* era solito sostare fuori dalla stanza di musicoterapia
attendendo il proprio turno.
In questa situazione era in grado di percepire ciò che stava accadendo
all'interno, sentendo rumori, timbri strumentali e musiche udite dalla
persona in seduta.
Ciò gli permise di ascoltare una musica che spesso utilizzavo
durante gli incontri dai toni estremamente rilassanti[1], permeata
da suoni naturali: corsi d’acqua, cinguettii, melodie in maggiore
eseguite da un flauto in legno e tappeti armonici composti da
sonorità morbide e prive di tensioni di risoluzione.
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Improvvisamente Francesco irruppe nella stanza chiedendomi se poi
avremmo ascoltato quella musica anche durante la sua seduta.
Ovviamente la nuova situazione che si era venuta a creare aveva permesso a
Francesco di aprirsi anche a questa esperienza con maggiore tranquillità.
Da quel momento le sedute furono incentrate prevalentemente sugli ascolti.
La reazione che ebbe al primo contatto con il brano sopra citato fu di stupore
dicendomi che quella musica era “bellissima” e che voleva
accomodarsi sui materassini per poterla ascoltare da sdraiato.
Alla fine dell’ascolto che durò trenta minuti (la durata dell'intero brano),
chiesi a Francesco che cosa avesse provato e quali le emozioni vissute; mi
comunicò che si era profondamente rilassato ma della
commozione visibile sul suo viso non ne parlò.
Decisi di concludere la seduta anche se non erano trascorsi tutti i minuti a
disposizione in quanto ritenni che il carico emotivo era grande per Francesco.
Ci congedammo e Francesco per la prima volta mi ringraziò.
Per circa tre sedute Francesco volle ascoltare lo stesso brano emozionandosi
visibilmente, astenendosi dal verbalizzare i suoi vissuti e dicendomi
semplicemente che la musica era commovente.
Gli rinnovai la richiesta di portare in seduta le sue musiche e finalmente si
presentò con il suo cd preferito.
Il materiale che mi portò fu un cd originale di King Diamond, gruppo dark
metal americano con chiari riferimenti satanisti sia nell'immagine di
copertina che nei testi.
Mi volle far ascoltare il suo brano preferito “From the other side”, ossia:
dall’altra parte.
Durante l’ascolto del brano, espressamente richiesto ad “alto” volume,
Francesco mimava i componenti del gruppo con espressioni facciali che
riprendevano quelle del cantante in copertina, aggressivo ed arrabbiato,
cantava a memoria molte parti del brano non avendo idea del significato ma
avendo appreso il significante.
In questi momenti il suo sguardo spesso era rivolto a me come a
controllare la mia reazione nei confronti di questa sua parte: la
rabbia.
Il mio atteggiamento fu quello di accogliere mimando con lui gli strumenti e
verbalizzando l’energia che tale musica trasmetteva.
Le verbalizzazioni successive all’ascolto da parte sua erano incentrate sulla
“carica” che tale musica gli passava, descrivendomi gli atteggiamenti e le
mimiche assunti dai musicisti del gruppo definendoli come “scatenati”.
Questa era la prima volte che Francesco riusciva a verbalizzare in
seduta il suo immaginario permettendo al suo vissuto di rabbia di
esprimersi trovando un canale “sicuro”.
Per tre sedute ascoltammo ripetutamente tale brano, come richiesto
espressamente da Francesco, anche due volte a seduta; al termine di tali
ascolti era sempre visibilmente commosso e stanco, tanto da chiedermi di
poter chiudere la seduta anticipatamente.
Anche se tale atteggiamento era contrario agli obbiettivi che ci eravamo posti
inizialmente quali l'aumento dei tempi di attenzione, permanenza e una più
Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2009
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approfondita verbalizzazione dei vissuti, ritenni insieme all'équipe del Centro
che in tale momento del percorso era consono lasciare un respiro alle sedute
in quanto Francesco stava finalmente portando elementi molto profondi che
lo accompagnavano da anni e che finalmente avevano trovato il giusto canale
di manifestazione.
I fenomeni di pantoclastia che accompagnavano Francesco periodicamente
erano spariti da tempo.
Successivamente chiesi a Francesco di farmi sentire sugli
strumenti questa energia creando così un dialogo sonoro
incentrato sulle sue dinamiche ma questa volta assieme,
diventando contenitore accogliente di questa sua parte aggressiva.
Riportare la parte emotiva sullo strumento permise di modellare il
suo vissuto attraverso una pratica che era diventata familiare, lo
strumento diventava così oggetto carico di vissuti e contenitore
gestibile di questi ultimi.
Partendo da una situazione di eccitazione provocata dall’ascolto del brano
sicuro “From the other side” riproducevamo insieme sullo strumento
scelto da Francesco, quasi esclusivamente la conga, tale emozione ed
attraverso un dialogo sonoro permeato di sintonizzazioni inesatte
manipolavamo tale vissuto iniziale per poi portare lentamente la produzione
sonora su tutt'altri toni attraverso l'abbandono della posizione eretta,
l'utilizzo delle mani direttamente sullo strumento, l'integrazione di altri
strumenti.
Al termine di una seduta accadde che mi diede in consegna il suo
cd chiedendomi di tenerlo e di restituirglielo se me lo avesse
richiesto.
Il “regalo” di Francesco venne letto dall'équipe come la consegna, simbolica,
della suo doloroso vissuto.
Francesco finalmente si fidava e mi affidava “l’altra” parte di sé,
consegnandomi, simbolicamente, la sua rabbia.
Riccardo Bertozzini
[email protected]
[1] Christopher Walcott, (ottobre 2003), Reiki-musica per il massaggio, la
meditazione, la terapia, Red, Como.
* Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy, evocante una
persona avente la sindrome di Williams.
Con tag Espereinze brevi di musicoterapia
Aprile
Carli Giovanni, *Gli 'affetti vitali' di Franco
Pubblicato il 22 aprile 2009
Così conobbi Franco[1]: 'il Poeta', mentre mi declamava, con voce roca e
affaticata, la sua dolorosa esperienza di vita...
E mi immergo
Chiudo gli occhi
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E mi immergo nel mio corpo
Lo percorro,
entro in ogni luogo, l'osservo,
e ne ascolto la voce
le piante... le caviglie... i polpacci... le ginocchia... le cosce... le anche...
il bacino... il ventre e la base della schiena...
la pancia e la schiena... il torace e le scapole... le spalle...
la spalla destra... il braccio... il gomito...
l'avambraccio... polso e mano destra insieme...
la spalla sinistra... il braccio... il gomito...
l'avambraccio... polso... mano sinistra...
le spalle... il collo... la testa
ho sentito d'esser dritto
e ho visto la parte destra più presente, più pesante
e c'era una voce dissonante
nella mano destra,
un'immagine incompleta,
priva del dorso, solo l'interno
il palmo con le dita molto sbiadite
Apro gli occhi...
Non mi piace guardare l'immagine nello specchio
nitida, i tratti sono così chiaramente delimitati...
troppo limitati.
Non mi piace guardarla
superficiale,
un rapido sguardo
mi mette a disagio e continuamente
con gli occhi cerco un riparo
Non mi piace guardarla
muta,
non sa parlare,
non ha voce
Ho trovato la mia stabilità
in un equilibrio di errori
e cerco la chiave
nella memoria delle sensazioni
per ognuna un tentativo,
pezzo per pezzo... non riesco
apro gli occhi e nello specchio trovo
l'esatta misura
delle mie difficoltà
e subito il desiderio di correggermi
ma devo tornare a me
chiudo gli occhi e ascolto
Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2009
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e cerco... meglio
lentamente
vago incerto
in cerca di una strada
in un labirinto fatto di sensazioni
che sembravano giuste
39
Stanco, apro gli occhi
Ed evito di guardare l'immagine
che mi sta di fronte
Evito di guardare in quegl'occhi
Che non sanno dire quello che ho visto
Franco
Al termine della lettura rimanemmo in silenzio: un silenzio, 'assordante',
carico di emozioni.
Mi sentivo affaticato poiché mentre ero in ascolto del suo doloroso canto
ricolmo di parole, suoni e lunghi silenzi, percepivo contemporaneamente i
miei stati d'animo.
I nostri sguardi si incrociano..., poi, per mia somma fortuna, Franco mi
propose l'ascolto di Laurens Walk (A. Badalamenti, Windham Hill 1999), un
brano lento composto per violino, chitarra e contrabbasso, in stile folk-blues
americano, tratto dalla colonna sonora del film The Straight Story di David
Lynch.
La tensione emotiva si stemperò un poco mentre la chitarra arpeggiava
l'accompagnamento su un accordo di tonica e il relativo minore sul quale si
librava la semplice melodia del violino evocando... serenità, calma,
distensione, tranquillità.
Mentre ascoltavo, meditavo e pian piano mi soggiunse l'idea che, in
quell'evento musicale, erano racchiusi gli 'affetti vitali', evocati
probabilmente dal violino, che esprimevano musicalmente quella
sensazione di intimità con il proprio corpo che Franco andava
disperatamente cercando.
Con naturalezza, iniziavo finalmente a conoscere Franco come
persona ricolma di emozioni e di sentimenti.
La musica di Franco e la mia (Farmer's Trust (P. Metheny, ECM 1983)
divennero ben presto i simboli della nascente relazione terapeutica che favorì,
al contempo, la buona riuscita del trattamento fisioterapico, così ben descritto
dal 'Poeta' in un'altra poesia:
La musica
Ed entra la musica
e ci incontriamo quaggiù
ci fondiamo in un unico mondo
e lentamente iniziamo a soffiare libertà
un pezzo alla volta
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spalmiamo il piede sinistro,
poi la gamba...
salgo, e mi sorprendo istintivo
nel correggere la stonatura nelle spalle...
non so, scopro una naturalità nuova
mi viene un sorriso di piacere
e sorrido...
e le geometrie prendono forma
condotte da un'armonia evocatrice
si compone bella e rassicurante
una nuova stanza dentro me
e già è riferimento per tutto il corpo
cadono le braccia
affondano liberi i piedi nel pavimento
40
Vincenzo porta la mia gamba ora avanti
ora dietro
in poco tempo mi raggiunge,
ci raggiunge, dentro la gamba
e si confonde in questa sintonia
ascolto in silenzio la gamba scorrere leggera
la voce serena, è naturale così
e non mi chiede d'esser aiutata
l'ascolto scorrere in questo nuovo livello d'intimità
sento d'esser rimasto solo in compagnia di questa serenità
e afferro il mio movimento
Franco
Giovanni Carli
*Titolo originale
Giovanni Carli, 2004, Una proposta di riabilitazione cognitivoemotiva nel trattamento dell'emilegico, Relatore: Prof. Pier Luigi
Postacchini, Pro Civitate Christiana, Assisi.
Indice
Premessa. La riabilitazione neurocognitiva e l'Esercizio Terapeutico
Conoscitivo. L'interpretazione della patologia. L'esercizio. Ipotesi percettiva e
operazioni conoscitive. Mondo esterno e mondo interno . Funzione canaledipendente e stato-dipendente». Coscienza e globalità percettiva . L'emotività
come senso . Coscienza estesa e memoria episodica. Limiti degli studi attuali
per una utilizzazione riabilitativa. Presupposti riabilitativi della proposta.
Metodica e casistica. Il protocollo operativo. Descrizione dei casi. Caso clinico
n. 1. E mi immergo. La musica. Caso clinico n. 2. Caso clinico n. 3.
Commento e conclusioni. Appendice. Bibliografia.
Argomento
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Chiara, scientificamente corretta, l'esperienza del collega Giovanni Carli
dischiude, con passione, il mondo della sofferenza emiplegica. Non è facile
svolgere l'attività musicoterapica in un contesto essenzialmente riabilitativo
poiché il rischio è di essere risucchiati dal vortice del tecnicismo. Ben
consapevole del pericolo, Giovanni Carli rimette in primo piano la persona e
in particolare i suoi 'affetti vitali', utilizzando la musica non come fine
ma come mezzo che aiuta, facendo quindi: musicoterapia.
Reperibilità La tesi è consultabile presso la segreteria del Corso
Quadriennale di Musicoterapia, Pro Civitate Christiana, Assisi Centralino
075/813231 Fax 075/8112288 [email protected] o, contattando
direttamente l'Autore.
Contatto con l'autore
[email protected]
[1] Nome di fantasia in ottemperanza alla legge della privacy.
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Bonardi Giangiuseppe, Suoni e significati nel pensiero di Marius Schneider
Pubblicato il 12 aprile 2009
Affrontare
il
problema
della
significazione in musica vuol dire
introdursi
nella
problematica
estetica e musicologica, tuttora
irrisolta, che indaga l’esistenza della
semanticità musicale[1]. Il pensiero
di Schneider può offrire una diversa
chiave di lettura del problema
ermeneutico, indagandolo in una
prospettiva
eminentemente
antropologica.
Studiando
e
comparando i contenuti delle
arcaiche culture musicali risalenti
sin all’epoca megalitica, Schneider
scopre che qualsiasi 'fenomeno' che
caratterizza la 'realtà' è e, al
contempo, ha un'essenza acustica.
L’essenza acustica della realtà è raffigurata da Schneider[2] mediante alcune
altezze poste in forma circolare, evidenziandone il carattere essenzialmente
dinamico della stessa.
In questa prospettiva anche i significati sono 'fenomeni' e, in ragione di ciò,
essi hanno un’essenza acustica che li pongono in relazione analogica con una
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determinata altezza. Per il pensatore alsaziano, ad ogni suono corrisponde
quindi una rete di significati in cui traluce l'essenza musicale degli stessi.
La 'forza'... fa
Marius Schneider evidenzia le relazioni di similarità che intercorrono tra
l’altezza fa[3] e alcuni significati: coraggio, autorità, potenza, purificazione
mistica, resurrezione, potenza sessuale maschile.
Il quadro di contenuti esposti dal pensatore alsaziano può sollecitare
innumerevoli percorsi interpretativi e, personalmente, reputo che, in virtù
della somiglianza dei termini presi in considerazione, il suono fa sia
l’espressione acustica dell’affermazione di sé. Un'affermazione che promana
dal probabile desiderio di rinascere ('purificazione mistica', 'resurrezione')
per affermare, ora con 'coraggio', ora con 'autorità', la propria presenza
acustica ('potenza'). La personale scelta è motivata da una circostanza vissuta
dallo scrivente mentre ascoltava un’esecuzione al pianoforte eseguita da una
persona che si soffermava lungamente sull’esecuzione e l’audizione del suono
fa eseguito nel registro grave dello strumento. Che cosa significava per la
persona quel suono? Perché si soffermava proprio sul fa grave? La persona
era visibilmente disturbata perché, poco prima dell’esecuzione strumentale,
esprimeva verbalmente vissuti dolorosi non derivanti dal contesto
terapeutico, mentre quando suonava il pianoforte pareva maggiormente
aderente alla realtà in ricerca d’affermazione e d’accoglienza di sé.
Indipendentemente dalla personale interpretazione, ancora una volta il
pensiero schneideriano ci sollecita a interrogarci sul senso e la presenza anche
di un suono, prendendolo in considerazione non solamente come realtà
musicologica, ossia inteso come altezza fa, ma andando oltre, ricercando nei
propri ambienti di rilevazione i possibili significati a esso sottesi.
Il 'dualismo' del... do
Per il pensatore alsaziano il suono do[4] presenta molteplici relazioni di
affinità con concetti apparentemente contrastanti: eco, legge dei Gemelli, riti
di guerra, di prosperità, di ascensione, di resurrezione, sapere chiaro, porta
verso Dio, tribunale, Paradiso, Inferno, nascita delle anime.
Un’attenta lettura del composito quadro polisemico dischiude la concezione
dualistica della realtà che, per il pensatore alsaziano, può sussistere
solamente come compresenza di forze contrastanti (monismo dinamico[5]).
La realtà ha quindi un aspetto duplice, come lo è la 'Legge dei Gemelli' e il
fenomeno acustico che meglio la esprime: l'Eco[6]'. In questa prospettiva la
realtà può essere intessuta di contrasti che coesistono dinamicamente,
oscillando tra l'angoscia ('Inferno'), la gioia ('Paradiso') e il giudizio
('Tribunale'). La realtà interiore è quindi caratterizzata dal perpetuo dissidio
('I riti di guerra') dei vissuti provati che, quando raggiungono l'agognato stato
di equilibrio dinamico, giunge finalmente allo stato di benessere ('Riti di
prosperità, resurrezione e ascensione'). Un dualismo che altresì annuncia
acusticamente la prima forma di consapevolezza del sé ('Nascita delle anime')
orientato ora verso una maggior chiarezza ('Sapere chiaro', 'Porta verso Dio').
Così, seguendo le considerazioni prese in esame, m’interrogo sul senso del
vocalizzo che ruota intorno al suono do, eseguito da un individuo che,
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verosimilmente, potrebbe esprimere acusticamente la difficile fatica di
convivere con emozioni contrastanti.
L’intuizione del... sol
Il suono sol[7], secondo il pensiero di Marius Schneider, dischiude relazioni
di analogia con evidenti concetti spirituali: lode, rito divino, sapere divino.
Per l’alsaziano, il sol esprime quindi la dimensione mistica dell’individuo che
svela, verosimilmente, la capacità di conoscere la realtà, e perciò se stessi, in
modo intuitivo ('Sapere divino', 'Rito divino', 'Lode'). L’intuizione quindi è
forma di percezione, paradossalmente superiore, benché non sia per nulla
razionale, ma istintiva, dischiude, anche a chi non ha la possibilità di
utilizzare il pensiero logico deduttivo, la possibilità di percepirsi come
persona, avvertendo, probabilmente, anche la realtà circostante. Ora
m’interrogo sul perché questo suono stenti a manifestarsi, con la voce o gli
strumenti musicali, nelle persone con cui quotidianamente interagisco
musicalmente.
Il linguaggio del... re
Il suono re[8] svela relazioni di somiglianza con contenuti che riguardano
l’espressività e la comunicazione: analogia fra cielo e terra, arte e scienza,
incarnazione, intelligenza, linguaggio, parabola, salute.
Parafrasando lo stimolo schneideriano, l’espressività ('Incarnazione') del sé
diventa quindi ('linguaggio', 'Parabola') quando la persona sta bene
('Salute') e mostra di integrare ('Relazione di analogia fra cielo e terra',
'Intelligenza', 'Arte e scienza' ) acusticamente il proprio sé. La comunicazione,
l'espressività è ora possibile, la persona si manifesta in modo equilibrato,
ossia musicalmente. Forse, questa strana congettura mi chiarisce lo stato di
benessere che provo quando sento la presenza del suono re, eseguito dalle
persone con cui interagisco musicalmente. Sì, mi sento bene, quasi felice,
poiché intuisco che la presenza di questa altezza annuncia, per la persona, un
grande cambiamento e mi sento l’ascoltatore privilegiato di questo
straordinario evento.
Gli affetti del... la
Il suono la[9] dischiude alcune relazioni di similitudine con le tematiche degli
affetti: fidanzamento, riti d’amore, vita erotica.
Le relazioni di analogia, proposte dall’alsaziano, rappresentano il suono la
come l’espressione acustica dell’affettività ('Vita erotica', 'Riti d'amore',
'Fidanzamento') del sé. Un’affettività che può rievocare quindi la presenza di
persone, stati d’animo e situazioni significative per il singolo. Riflettendo
ulteriormente sui significati analogici sollecitati dal la, sono ora alla ricerca di
una possibile chiave di lettura del mio modo di interloquire musicalmente con
le persone e, in particolare, mi chiedo perché eseguo con insistenza questa
specifica altezza. Forse, inconsciamente, vorrei tranquillizzarle, trasmettendo
la mia discreta presenza.
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Il dolore del... mi
Le relazioni di analogia, sollecitate dal suono mi[10], tracciano un quadro di
significati attinenti la pienezza del sé: coscienza del dovere, dolore,
matrimonio, offerta del sacrificio, riti di prosperità, sacrificio violento vita
vegetativa.
Schneider propone ora un quadro di corrispondenze analogiche che
evidenziano la maturità del sé ('Vita vegetativa', 'Matrimonio', 'Riti di
prosperità', 'Coscienza del dovere'). Un sé consapevole che deriva
dall'incessante lotta ('Sacrificio violento', 'Offerta del sacrificio') che
intercorre tra due forze antagoniste, probabilmente tra il benessere ('Riti di
prosperità') e la sofferenza ('Dolore'). Sovente mi sono interrogato sul perché
una persona eseguisse, con il pianoforte, spontaneamente e insistentemente
due altezze: il mi e fa, soffermandosi lungamente sul mi. Mi sono quindi
chiesto perché quella persona si fosse concentrata su quella particolare scelta.
La proposta schneideriana mi ha suggerito una possibile interpretazione, per
me convincente. Forse la persona, evidentemente agitata, esprimeva
musicalmente l’insistente (fa) presenza del proprio dolore (mi).
La malinconia del... si
Le relazioni di analogia, sollecitate dal suono si[11], indicano un quadro di
significati attinenti l’introspezione del sé: culto divino, malinconia, sapere
mistico.
'Malinconia', 'sapere mistico' e 'culto divino' tracciano il quadro delle
relazioni di analogie associate al suono si. Probabilmente, interpretando il
pensiero schnederiano, il suono si sollecita quindi una riflessione
sull’inquietudine del sé. Così, adottando la proposta del pensatore alsaziano,
mi interrogo sul possibile significato sotteso al suono si spesso vocalizzato da
una persona. Vorrà esprimere musicalmente la sua tristezza? La sua
disperazione? La sua angoscia?
Fa#, do#, sol#, mib, sib
Schneider non espone analiticamnte le altezze alterate, ad
eccezione del sib, ponendolo in analogia con il suono do*.
Nella tavola XII, le altezze fa#, do#, sol#, sono
collocate dall’alsaziano, tra il suono si e il fa, mentre il
mib é posto tra il fa e il do.
In questa prospettiva credo che sia possibile associare
analogicamente le altezze fa#, do# con i significati sottesi al suono si e, per
il suono sol#, a quelli relativi al suono fa. Parimenti il suono mib può essere
associato ai significati sottesi al suono fa.
Decifrare le altezze...
Indipendentemente
dalle
personali
interpretazioni
disseminate nel contributo, l’avvincente proposta di Marius
Schneider offre un importante stimolo di riflessione sul
musicale agito, sia esso formato anche da un unico suono,
prendendolo finalmente in considerazione, non solo come
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una realtà musicologica, ma anche come simbolo di senso. Un senso da
ricercare, interpretare, comprendere...
Giangiuseppe Bonardi
[email protected]
[1] Collisani A., (1988), "Musica e simboli", Sellerio, Palermo.
[2] Schneider M., (1946), Gli animali simbolici e la loro origine musicale
nella mitologia e nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986, pag. 416.
[3] Schneider M. Op. cit., pag. 218.
[4] Schneider M. Op. cit., pag. 219.
[5] Bonardi Giangiuseppe, (2008) Marius Schneider e la… Musicoterapia!
[6] Schneider M. Op. cit., pag. 226.
[7] Schneider M. Op. cit., pag. 230.
[8] Schneider M. Op. cit., pag. 231.
[9] Schneider M. Op. cit., pag. 234.
[10] Schneider M. Op. cit., pag. 236.
[11] Schneider M. Op. cit., pag. 240.
* Schneider M. Op. cit., pag. 223.
Con tag Il senso del musicale in musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Maggio
Bonardi Giangiuseppe, Strumenti musicali e significati nella prospettiva di
Marius Schneider
Pubblicato il 20 maggio 2009
Durante l'osservazione musicoterapica sono affascinato dalle scelte che le
persone manifestano quando iniziano, spontaneamente, a suonare alcuni
strumenti musicali. Quando qualcuno ne preferisce almeno uno in
particolare, io sono contento perché intravvedo, nello strumento musicale
scelto, la funzione di mediatore del futuro processo relazionale. In
musicoterapia, ho sempre considerato gli strumenti musicali come oggetti
mediatori di relazioni acustiche, ma spesso mi chiedo perché mai una persona
esegua una scelta così esclusiva. So di certo che i criteri di scelta degli
strumenti da porre nell'ambito musicoterapico sono molteplici e ricoprono
variegate prospettive teoriche ispiratrici che spaziano dagli approcci
psicodinamici a quelli musicologici[1]. La mia perplessità rimane pressoché
immutata poiché mi chiedo quale sia il criterio che spinga una persona a
compiere una scelta precisa, indipendentemente dalla sua competenza
culturale, evidentemente, ridotta. Il fatto sorprendente è che queste persone,
volenti o nolenti, compiono una scelta non dettata da cornici teoriche di
riferimento, ma da un proprio 'desiderio'. Perché una persona sceglie e suona
uno strumento musicale, spesso, a lei ignoto? Sembra una domanda ovvia ma,
di fatto, sottintende il personale desiderio di interrogarsi sul senso racchiuso
in quella scelta. Così, tra le molteplici classificazioni organologiche esistenti,
mi avvio a ricercare risposte al quesito, utilizzando, al meglio delle mie
possibilità la proposta schneideriana. Potrà sembrare strano, ma, anche in
questo contributo, non espongo la personale ipotesi interpretativa, offrendo al
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lettore l'opportunità di progettarne una propria, mettendo in relazione
analogica i suoni con gli strumenti musicali e, in un successivo momento, con
i significati[2]. Nelle tavole sono quindi esposte, in forma sintetica, solamente
le relazioni di analogia che, a parere di Marius Schneider[3], intercorrono tra
i suoni e gli strumenti musicali.
Fa, strumenti musicali: yu cinese, tamburo cornice circolare, ovale, a forma di
pila, schraper (bordone di legno con intagli che si gratta con un bastone).
Elementi misti fa-la: arco di terra, monocordi con 1 o 2 corde, vinā con 1 o 2
corde.
Do, strumenti musicali: cembali metallici e doppi aventi forma di mezzaluna,
corni a forma di S, flauto di Pan, kithara asimmetrica, trombe ricurve a forma
di zanna dell’elefante, trombe fabbricate con le zanne d’elefante, trombe
metalliche rettilinee, trombe a forma di S.
Elementi misti do-si: eco, conchiglia marina dell’oceano, conchiglia marina,
due flauti singoli legati con una corda, flauti di Pan doppi, flauto nasale,
hochetus (dissociazione = due suoni separati; associazione = emissione
simultanea dei suoni), litofoni a forma di squadra o di testa di cavallo, lur,
sistro, tamburo di pietra (litofono).
Sol, strumenti musicali: canto puro, campane per il culto divino, voce nasale,
punto coronato, bordone, fischio, fischietti ornati di piume, metallofono
(gong), roncador, tamburo a forma di clessidra, sillaba sacra vedica Hum,
sonagli legati agli indumenti sacerdotali.
Re, strumenti musicali: campane metalliche appese ad un telaio, tamburo
conico maschile, tamburo parlante, tamburo rettangolare piccolo.
Elementi misti re-fa: cetre, Ch’in (cetra cinese), kitahra a cinque corde, liuto
prototipo del taus indiano chiamato magiury ossia pavone, vinā.
Elementi misti re-si: aulos greco, oboe doppio con bordone e tre, quattro fori,
flauto conico con tre, quattro fori, ossia il flauto che parla, linguaggi con toni
musicali, flauto di Pan con tre, quattro o cinque canne.
La, strumenti musicali: battere, sfregare con un bastone o con la mano;
sonagliere fatte con zucche verdi a forma d’uovo; tamburo a forma di
clessidra; <<tamburo donna>> a forma di uovo.
Mi, strumenti musicali: battimani, tamburo a forma di cassa battuto con una
mazza, tamburo a forma di grosso vaso, zampogna.
Elementi misti mi-fa: Ch’in con sette corde, corni doppi, kithara con sette
corde, lira a sei/sette corde, tamburi fabbricati con una corazza di tartaruga o
con un grosso vaso.
Elementi misti mi-sol: campanacci, campana gialla cinese, dischi metallici
suonati con un martello, punto coronato strumentale, voce nel mi o voce di
“vacca”.
Si, strumenti musicali: flauto mistico femminile melanconico, cembali fissati
su una forca e suonati da donne, nacchere da, tamburi a forma di clessidra
con contorni simili al segno zodiacale dei pesci, tamburo a forma di coppa,
sistro.
Giangiuseppe Bonardi
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47
[1] Manarolo G., (2007), Manuale di Musicoterapia, Cosmopolis, Torino, pag.
204-214.
[2] Bonardi G., (2008), Suoni e significati nel pensiero di Marius Schneider,
http://musicoterapie.over-blog.com/ Pubblicato, giovedì 6 novembre, nella
categoria: Marius Schneider.
[3] Schneider M., (1946), Gli animali simbolici e la loro origine musicale
nella mitologia e nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986, pag. 217-240.
Con tag Il senso del musicale in musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Bonardi Giangiuseppe, Simboli e significati nella prospettiva di Marius
Schneider
Pubblicato il 16 maggio 2009
Sovente, durante la quotidiana attività musicoterapica, sono attratto dalle
strane forme ritmiche eseguite dalle persone con cui interloquisco. Talvolta
mi capita di assistere all'espressione di moti circolari o filiformi eseguiti con
le mani o i piedi. In altre circostanze, osservo perplesso la manifestazione
delle reiterate esplorazioni auto-tattili del collo, della spalla, del ventre e
anche delle zone erogene eseguite da persone assorbite in una sorta di autoascolto. Rimango meditabondo e affascinato quando un bimbo, giocando con
gli strumenti musicali, 'crea' particolari forme coniche, rettangolari o
trapezoidali, oppure trasforma gli strumenti in lance, spade, scudi o, ancora, li
fa rotolare. Queste azioni, apparentemente strane e immotivate, quali
significati racchiudono? Nella loro ritualità intravvedo la loro natura
simbolica. Con questi gesti, le persone, creano, di fatto, dei simboli[1] poiché,
con queste strane forme dinamiche e acustiche, esse 'celebrano' l'ossessiva
ricerca di unione con il proprio sé. Questa personale interpretazione non mi
soddisfa appieno perché intuisco che il significato profondo di quegli atti,
tuttora, mi sfugge. Ancora una volta il senso deve essere ricercato, utilizzando
il pensiero di Marius Schneider, scoprendo le relazioni di analogia che,
secondo l'alsaziano, possono intercorre tra i simboli e i significati[2]. Nel
presente contributo non è quindi offerta alcuna lettura interpretativa delle
situazioni vissute dallo scrivente, dando al lettore l'opportunità di elaborarne
una propria, sempre che ne abbia voglia. Per non appesantire la lettura, nelle
immagini sono proposte le relazioni di analogia che intercorrono tra i suoni e
i simboli. In un successivo momento il lettore potrà scoprire le analogie che
intercorrono tra i simboli e i significati[3], inoltrandosi sempre più nella
complessità della dimensione analogica.
Fa, simboli: bastone, cerchio, pila, lago di sangue, ovale, piede, spada.
Do, simboli: mandorla, ascia doppia, due linee parallele, coppia, porta, gola
di montagna, scala, piano inclinato, albero bruciato, arco spirale S,
biforcazione Y, collo, spalla.
Sol, simboli: mons mensae, triangolo con vertice schiacciato, martello.
Re, simboli: canna, cresta del pavone, forme coniche e rettangolari, lago di
montagna, petto (cuore), piano inclinato, trapezio con base ampia, ruota,
scudo.
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La, simboli: giara, pelle, ovale, ovale attraversato dall’asse fa/la, uovo.
Mi, simboli: arco, corazza, giogo, martello, mazza, ombelico, pelle, trapezio,
ventre.
Si, simboli: bambù, organi genitali mistici, triangolo con vertice in basso.
Giangiuseppe Bonardi
[1] Simbolo, termine di origine greca: symballō, ossia << metto
insieme >>, tratto da AA. VV., Enciclopedia Garzanti di Filosofia,
Garzanti, Milano 1981, pag. 861.
[2] Schneider M., (1946), Gli animali simbolici e la loro origine musicale
nella mitologia e nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986, pag. 218-240.
[3] Bonardi G., (2008), Suoni e significati nel pensiero di Marius Schneider,
http://musicoterapie.over-blog.com/ Pubblicato, giovedì 6 novembre, nella
categoria: Marius Schneider.
Con tag Il senso del musicale in musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Bonardi Giangiuseppe, Numeri e significati nella prospettiva di Marius
Schneider
Pubblicato il 9 maggio 2009
Ogni giorno, interloquendo musicalmente con persone, fortemente
compromesse a livello espressivo e
relazionale, rimango affascinato dalla loro
straordinaria
capacità
di
eseguire,
spontaneamente,
'frammenti'
ritmici
chiaramente rilevabili e perciò trascrivibili
molto simili a questi 
Al termine di ogni incontro, caratterizzato
ampiamente dall'esecuzione dialogica degli
eventi presi in esame, spesso mi interrogo
sul significato sotteso alle esperienze
musicali vissute. Come mai queste persone
sentono ora l'esigenza di esprimersi
musicalmente in questi modi, sebbene
abitualmente eseguano una quantità
considerevole di suoni o rimangono in
silenzio? Probabilmente, il tratto distintivo
che differenzia il 'nuovo' musicale da
quello usuale è l'organizzazione degli
elementi che lo costituisce. Le esecuzioni
musicali abituali sono caratterizzate, sostanzialmente, dalla ripetizione di
suoni o dall'assenza degli stessi, mentre i nuovi 'frammenti' presentano una
chiara, dinamica compresenza e articolazione di contrasti (lungo/corto o
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forte/piano). La novità è quindi relativa alla diversa articolazione del
materiale musicale; ma qual è il senso sotteso a queste manifestazioni
acustiche? Personalmente ritengo che la musica[1] sia l'espressione acustica
del sé e, in questa prospettiva, è verosimile ipotizzare che il 'nuovo' musicale
sia la manifestazione di un iniziale, sebbene parziale, processo di integrazione
dei contenuti del mondo interno del soggetto. L'ipotesi interpretativa
chiarisce il senso generale del verosimile processo psichico elaborato
dall'individuo, ma se queste persone eseguono inaspettatamente e in modo
spontaneo, questi specifici 'frammenti', molto simili ai piedi metrici greci, che
cosa vorranno comunicare? Una possibile chiave di lettura del difficile
dilemma è offerta, ancora una volta, dall'applicazione del ragionamento per
analogia, ponendo in relazione le cellule ritmiche con l'aspetto quantitativo
che le caratterizzano. Così facendo scopriamo la sorprendente similitudine
che intercorre tra i numeri e i ritmi, scoprendo altresì che i numeri in realtà
possono essere pensati e vissuti come fenomeni essenzialmente dinamici
perché racchiudono in sé 'un 'anima' ritmica. Non a caso Sant Agostino ha
dedicato allo studio dei numeri, il celebre "De Musica[2]". Fatto ancor più
interessante ai fini interpretativi, ponendo in relazione analogica i 'metri' con
i numeri è possibile applicare il pensiero schneideriano che, a sua volta, pone
in analogia i numeri con i suoni e i significati[3]. Il giuoco dei rimandi
analogici può impressionare il lettore, ma aiuta a considerare questi materiali
con la dovuta attenzione che meritano e, al contempo, sprona a ricercare i
possibili significati che potrebbero, analogicamente, evocare. Le
corrispondenze analogiche che intercorrono tra i numeri, i suoni e i
significati, proposte nelle immagini, sono desunte dal libro di Schneider M.,
(1946), Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella mitologia e
nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986, pag. 218-240, mentre la
corrispondenza analogica tra i diversi fenomeni (numeri, suoni e significati)
presi in esame e le 'cellule ritmiche' evidenziate è un'elaborazione dello
scrivente, ossia:

fa, numeri (piedi ritmici), 1 ( e ), ( q);

do, numeri (piedi ritmici), 2 ( e q ), ( q e), ( e e), ( q q);

sol, numeri (piedi ritmici), 3 ( eee ), ( ee q),

( q ee), ( eq q), ( q eq);

re, numeri (piedi ritmici), 4, 5 ( eeee ), (eee q), (e q e q), (q q ee q),

(eeee q);

la, numeri (piedi ritmici), 5 ( ee ee q) ( q q ee q), 6 ( ee ee ee),
( ee q ee q), ( eq eq eq);

mi, Numeri (piedi ritmici), 7 ( ee ee ee q), ( ee q ee q q);

si, numeri (piedi ritmici), 8 ( ee ee ee ee), ( ee q qq ee q ).
Giangiuseppe Bonardi
[1] Bonardi G. (2007), Dall'ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori,
Mercatello sul Metauro (PU), pag.18.
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[2] Bonardi G., (2008), Qual è il contributo del De Musica di Sant Agostino
alla...
musicoterapia, http://musicoterapie.over-blog.com/
Pubblicato,
martedì 9 dicembre, nella categoria:I contributi della musicologia alla
musicoterapia.
[3] Bonardi G., (2008), Suoni e significati nel pensiero di Marius Schneider,
http://musicoterapie.over-blog.com/ Pubblicato, giovedì 6 novembre, nella
categoria: Marius Schneider.
Con tag Il senso del musicale in musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
Giugno
Di Sabbato Daniela, Clelia 'suona'... le sue emozioni
Pubblicato il 13 giugno 2009
Clelia[1] rimaneva immobile e, dopo un lungo silenzio, le dissi: << Forse non
hai voglia? Forse non ti piace? Forse non ti piaccio?>>. Poco dopo emise una
"eh" piuttosto prolungata e, in quel preciso istante, mise le mani sulla
tastiera. Probabilmente si rese conto che, premendo i tasti, realizzava un
suono e, fatto importante, quel suono era lei a produrlo. Iniziò a
ridere a più non posso, così visibilmente divertita, premeva i tasti
simultaneamente, a intervalli quasi regolari, eseguendo sempre le stesse
altezze. Difficilmente avrei potuto inserirmi poiché aveva preso possesso di
tutta la tastiera, ma il fatto importante era che finalmente Clelia si esprimeva
'musicalmente'. Rideva con gli occhi, i suoi muscoli erano distesi, mentre
casualmente cambiava il timbro della tastiera, inserendo il vibrato,
amplificando ulteriormente il suo serafico stato di piacere. Mentre Clelia
suonava, ebbi l'impressione che osservasse le mie mani, anzi, il mio dito,
allora le suonai do, re e lei, guardando il suo dito indice, lo avvicinò ai tasti,
premendone uno, forse a caso, il fa. Suonò l'altezza fa per diverse volte,
almeno cinque, con intervalli tali da permettermi di inserirmi e suonare il do.
Avvicinando l'altra mano, suonava il si. Ero sempre io a proporre, mentre in
cuor mio, volevo che fosse Clelia a iniziare il 'dialogo', allora, durante il
successivo incontro, decisi di rimanere in attesa (silenzio). Dopo dieci
interminabili minuti, Clelia mi guardò negli occhi, sorrise, sollevò la schiena e
avvicinandosi appoggiò la sua testa sulla mia spalla, mentre io le facevo una
carezza, che accettava. Iniziò a emettere dei suoni gutturali: << Cu, cu, cu;
gh, gh gh... aaaa; mmm, mm >>, poi, con l'indice della mano destra,
suonò, uno dopo l'altra, le altezze si, fa e, con la mano sinistra, eseguì il
suono mi. Con l'avambraccio, Clelia eseguì un glissando e, ripetendolo alcune
volte, sembrava che suscitasse un effetto liberatorio. Mi inserivo solo quando
Clelia lo permetteva, eseguendo le stesse altezze o variandole. Ero incuriosita
poiché Clelia, benché cambiassi la disposizione della tastiera, eseguiva nel
registro grave sempre le stesse altezze: fa, si, mi.
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Fa, si, mi?
Perché Clelia suonava solamente quelle altezze? Cosa celavano quei suoni?
Questi interrogativi mi rimbalzavano in mente. Cercavo risposte, così
utilizzando il pensiero schneideriano iniziai a ricercare alcune associazioni
analogiche che potessero svelare il senso di quella precisa scelta musicale. Tra
le innumerevoli associazioni di analogia, proposte da Marius Schneider[2], ne
ho scelte alcune che mi sembravano maggiormente idonee a chiarire i
possibili significati sottesi al musicale manifestato da Clelia, confrontandole
con il doloroso stato psicofisico ed emotivo vissuto costantemente dalla
ragazza:
 si→l'udito (orecchio)→gli organi genitali→la malinconia;
 fa →la vista (occhio) →il piede →la purificazione mistica →l'autorità, il
coraggio e la forza;
 mi→il tatto (mano)→l'udito (orecchio)→la pelle →l'ombelico →il
ventre→il sacrificio violento→l'offerta del sacrificio →il dolore→la vita
vegetativa.
Con mia sorpresa scoprii che l'esecuzione musicale di Clelia non era così
casuale poiché lei comunicava musicalmente il suo dolore (mi), la costante
che caratterizzava la sua esistenza, aggravata dalla presenza di un forte (fa)
vissuto malinconico (si), probabilmente legato alla recente morte (fa-si) del
padre. Con queste altezze e, con questa musica, mi sembrava che Clelia
volesse esprimere le sue emozioni, le sue sensazioni, i suoi sentimenti, il suo
malessere interno, ma anche l'accettazione del dato di realtà: l'assenza del
padre. Reputando la mia interpretazione verosimile, decisi di proporre a
Clelia altre altezze evocanti significati simbolici diversi volti all'accoglienza,
alla rinascita, al linguaggio, all'accompagnamento, all'amore, ossia le altezze:
do, re, sol, la. In particolare scelsi, per ogni altezza considerata, queste
relazioni analogiche[3]:
 do→il collo e la spalla→vista e olfatto→resurrezione e
ascensione,
porta verso Dio, consapevolezza;
 re→il gusto (la lingua)→il petto, il cuore, il linguaggio;
 la→il tatto (mano)→l'udito→la pelle→i riti d'amore, l'affetto;
 sol→l'olfatto→il sapere Divino, ossia l'intuizione.
In un certo senso mi sembrava di utilizzare i suoni come se formassero le
altezze di un rāga "... chiamato a volte semplicemente un "modo" musicale,
nel quale si esprimono insieme una ideologia e una disposizione determinata
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di anima, che sono formulate mediante certi contorni melodici...[4]". Ho
creduto che, utilizzando questi suoni, Clelia avrebbe potuto sentirsi compresa
e, contemporaneamente, sollecitata ad esprimersi,
relazionando
musicalmente con me.
Con... tatti emotivi
Durante questi successivi incontri ho avuto l'impressione che qualcosa stesse
pian piano cambiando non solo in Clelia ma anche in me stessa. Non ebbi più
paura, mi sentii più rilassata, più disponibile ed attenta ad accogliere le sue
esigenze e le sue modalità di espressione. Clelia accettava anche il contatto
fisico poiché, quando le accarezzavo le mani, sorrideva, rilassava i muscoli e
mi guardava negli occhi. Percepivo che la 'nostra' relazione sonora assumeva
sempre più la dimensione del dialogo: uno scambio verbale... senza parole. Le
musiche che le facevo ascoltare avevano delle piccole variazioni ritmiche e di
intensità che creavano poi un andamento melodico, stimolandola e facilitando
la sua espressione, favorendo quindi un'importante 'apertura' al mondo
esterno (il nucleo familiare). La melodia improvvisata, che ho composto per
lei, la faceva stare bene e subito dopo averla ascoltata iniziava a suonare.
Mi sono resa
conto che, probabilmente, non solo le piaceva ma riusciva ad aiutarla ad
esternare ciò che aveva dentro perché si sentiva compresa, accolta, amata. Mi
sembrava che la musica le passasse nel corpo poiché modificava
l'atteggiamento posturale giacché Clelia riusciva a muovere in modo alternato
i piedi. Qualche volta mentre le suonavo la "nostra" melodia appoggiava il suo
indice vicino al mio, suonando: la, re, sol. Clelia esprimeva il suo disagio
emotivo non solo musicalmente, ma rimanendo in silenzio, ignorando la mia
presenza e la tastiera, guardando un punto della stanza. Cercavo di capire ciò
che esprimeva con il suo corpo, sforzandomi di raccogliere le sue richieste, i
suoi desideri, esprimendole, al meglio delle mie capacità, la mia accoglienza.
Rispettavo quindi i suoi lunghi silenzi carichi di emozioni. Avevo il
presentimento che stesse ricordando, con estrema nostalgia, qualcosa o
qualcuno a lei caro. Clelia alternava quindi stati emotivi di dolore con altri di
piacere e, in un momento di benessere, eseguì, prima in modo confuso,
suonando simultaneamente più note, poi con molta calma e precisione, il
suono sol, soffermandosi per molto tempo, inserendo brevi pause. Rimasi in
ascolto perché mi sembrava di "romper" qualcosa, ossia di bloccare la
scoperta di Clelia che, finalmente, intuiva (sol) la mia presenza, ponendosi in
una dimensione maggiormente relazionale sonoro-musicale. Negli incontri
successivi, Clelia era calma, sorridente e disponibile ad accogliere le mie
proposte musicali, osservandomi con attenzione, mentre suonavamo le
altezze: do, re, la, sebbene il mi facesse ancora capolino.
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Il regalo del nonno
Il ventesimo incontro fu determinante poiché compresi, con stupore, che il
lavoro che stavo facendo era stato riconosciuto anche dai familiari. Ebbi la
chiara percezione, che stavo donando a Clelia un 'mezzo' per comunicare le
sue emozioni, i suoi sentimenti, i suoi stati d'animo. Prima di iniziare la
seduta ho conosciuto il nonno con il quale ho parlato per pochi minuti. Quei
dieci minuti influenzarono sicuramente il mio stato d'animo in modo positivo,
anche se rimasi perplessa perché mi si accavallarono nella mente mille
domande. Quel signore dai capelli bianchi, tenendomi le mani con
un'espressione dolce ma triste, mi volle ringraziare. Inizialmente non riuscivo
a capire, poi mi disse che da quando ero presente nella vita di sua nipote,
secondo lui, era avvenuto un grande cambiamento: Clelia, per la prima volta
in ventisette anni, iniziò a guardarlo negli occhi, sorridendo. Non lo aveva mai
fatto. Era talmente emozionato che quasi non riusciva a parlare e, con fatica,
comunicò la sua preoccupazione, la sua ansia... il suo non capire. Lo rassicurai
dicendogli che, a parer mio, Clelia era una persona 'speciale' da accogliere,
cercando di ascoltare ciò che comunicava. Sicuramente, per il nonno, non è
stato facile accettare l'handicap della nipote, considerando il fatto che
difficilmente ci si pone in maniera 'aperta' verso questa problematica e che
non c'è nessuna persona in grado di far comprendere che questa dolorosa
realtà può svelare anche, insospettabili, luci. Quando rimasi sola con Clelia,
ero un po' pensierosa ma lei, con fatica, si avvicinò e cercò di accarezzarmi.
Aveva un'espressione stupenda negli occhi, non saprei descriverla ma in quel
momento ho percepito nettamente, anche sulla pelle, che lei aveva compreso
tutto.
Che cosa stava accadendo?
Le emozioni provate con il nonno e con Clelia mi hanno nuovamente
sollecitata a rielaborare quanto stavo realizzando, valutando, in particolare, se
il processo musicoterapico realizzato potesse dare dei risultati volti al
raggiungimento dell'obiettivo prefissato. Inizialmente mi è sembrato che gli
interventi sonoro-musicali abbiano favorito l'espressione di contenuti affettivi
ed emozionali di Clelia. Ci sono stati dei momenti di regressione che forse
l'hanno portata in un mondo e in situazioni che apparentemente sembravano
sopite, legate al mondo familiare che era ampiamente caratterizzato dalla
significativa presenza del padre. Chiesi alla madre se vi fosse stato qualche
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episodio che la facesse pensare al padre. La madre disse che, pronunciando il
nome del papà, Clelia diventava cupa, triste e orientava lo sguardo in un
punto fisso della stanza. Clelia quindi esprimeva le sue emozioni e, con me,
'suonava' il suo dolore emotivo, cercando di accettarlo. Proponendole suoni e
musiche, aventi per me significato simbolico opposto al dolore, mi sembrava
che l'intervento musicoterapico aiutasse Clelia a integrare gli affetti dolorosi
(le emozioni) provati, condividendoli con me, accogliendo maggiormente la
presenza dei familiari e degli operatori del centro in cui era inserita.
L'educatrice del centro frequentato da Clelia mi comunicò che la ragazza
sembrava essere più presente e partecipe alla vita di gruppo. Quando si
porgevano alcune richieste, Clelia rideva e, spesso, sorrideva agli altri ragazzi
iniziando a far sentire la sua 'voce'. Il 'nuovo' atteggiamento di Clelia è stato
notato dagli altri ragazzi che si avvicinavano e le parlavano molto più di
prima.
Tristezza e... gioia
Durante gli ultimi incontri gli occhi di Clelia esprimevano tristezza e, in un
certo senso, mi raccontavano la sua storia ma, quando le proponevo la
tastiera, visibilmente eccitata emetteva dei suoni gutturali ridendo e
dondolandosi. Spesso suonava le altezze sol, la, re e avevo l'impressione che
il coordinamento delle mani e delle braccia fosse ora più fluido.
Clelia suonava
una sequenza di tre note, mettendo il pollice sempre lontano dai tasti, sotto lo
strumento. Le piaceva giocare, fingendo di suonare la tastiera rideva
fragorosamente, richiamando anche l'attenzione della mamma al punto che,
un giorno, entrò nella stanza perché, stupita, non l'aveva mai sentita ridere in
quel modo. È stato veramente uno dei momenti più belli: eravamo in perfetta
sintonia. In alcuni momenti ebbi l'impressione che non volesse il mio
intervento perché copriva la tastiera con entrambe gli avambracci in modo
tale da non darmi la possibilità di inserirmi. Siccome lo faceva sorridendo ho
pensato che mi stesse chiedendo di essere ascoltata. Assecondavo la sua
richiesta. Imparai a rispettare i suoi tempi, a cercare di capire le sue esigenze,
le sue richieste e soprattutto a rispettare i suoi silenzi comunque carichi di
emozioni (di entrambe) e di sguardi.
Commiato
Era ormai giunto il termine del nostro 'viaggio', io ero triste mentre Clelia era
sorridente. Per quell'occasione particolare, la mamma mi chiese il permesso
di assistere all'incontro senza essere vista dalla figlia. Mentre noi suonavamo,
la signora si commosse nel vedere 'la sua bambina' che interagiva con me,
pigiando, con le mani, i tasti. Diversamente dal solito, il nostro incontro è
stato pressoché privo di interruzioni e di lunghi silenzi. Ricordo che le ultime
altezze suonate da Clelia sono state il re (linguaggio) e il la (amore) che ha
ripetuto a intervalli regolari per molte volte.
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L'ho lasciata sorridente, con gli occhi luminosi, promettendole di andarla a
trovare per stare ancora un po' insieme.
Daniela Di Sabbato
[email protected]
[1] Nome di fantasia, in ottemperanza della legge della privacy, evocante una
persona affetta da tetraparesi spastica.
[2] Schneider M. (1946), " Gli animali simbolici e la loro origine musicale
nella mitologia e nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986, pag. 217-240.
[3] Schneider M., Op. Cit., pag. 217-240.
[4] Schneider M., Op. Cit., pag. 37.
Con tag Musicoterapia e cerebropatia, Di Sabbato Daniela, Il senso del musicale in
musicoterapia
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Bonardi Giangiuseppe, La 'musica' di Danilo*
Pubblicato il 12 giugno 2009
Comodamente seduto sulla sedia posta di fronte allo xilofono basso, Danilo
eseguiva la sua 'musica'. Io ero di fronte a lui, anch'io seduto sulla sedia, con
lo sguardo meditabondo, lo ascoltavo, cercando di accogliere ciò che eseguiva.
Con il capo chino e lo sguardo fisso sullo strumento, Danilo lo percuoteva con
estrema forza, usando i battenti come fossero mazze o martelli. Ben presto
quei ticchettii melodici si trasformarono in crepitanti e assordanti suoni che
mi perforavano i timpani. Finalmente Danilo si fermò, ma solo per un istante,
giusto il tempo per volgere lo sguardo verso il timpano, che si trovava alla sua
destra e, gioiosamente, iniziò a percuoterlo, facendo vibrare qualsiasi cosa
fosse presente nella stanza, me compreso. L'esecuzione musicale sembrava
terminata, ma ancora una volta, l'attenzione di Danilo era catturata dal
glockenspiel. Inaspettatamente l'intensità si placò e Danilo, con estrema
delicatezza, suonava ogni piastra, prestando un'attenzione meticolosa
affinché non dimenticasse nessuna nota. La melodia scalare era spesso
interrotta e ripetuta da capo. Finalmente eravamo giunti al termine
dell'esecuzione ed io speravo che Danilo alzasse lo sguardo, incrociando
eventualmente il mio, dandomi un segno che anch'io esistessi. Con mio
estremo rammarico Danilo riprese la sua esecuzione musicale, mentre io
cercavo, con garbo, di entrare musicalmente in contatto con lui, ma ogni mio
tentativo fu vano. Tutto il tempo del 'nostro' incontro fu scandito dalla musica
di Danilo; io ero lì, ma vivevo la spiacevole sensazione di essere alla presenza
di un'invisibile barriera di suoni che impediva, di fatto, qualsiasi contatto. Al
termine dell'incontro ripensavo a ciò che avevo vissuto; ai sentimenti provati
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che, paradossalmente, assumevano la dimensione del contrasto. Ero appagato
e soddisfatto perché Danilo poteva finalmente esprimersi liberamente, ma, al
contempo, ero stordito dall'intensità dei
suoni percepiti e un senso di esclusione
e d'impotenza mi pervadeva poiché non
ero riuscito a penetrare la barriera dei
suoni che Danilo creava con estrema
cura. Ormai la musica di Danilo
assumeva sempre più l'aspetto di
un'eco, ossia di un ricordo, non sbiadito
ma vivido. Ripresomi dai vissuti
provati, ora riflettevo sulla musica di
Danilo che tracciava acusticamente il
suo tempo interno. Sostanzialmente,
per tutto il tempo della seduta, Danilo
eseguiva un'identica successione di
timbri strumentali: xilofono basso,
timpano, glockenspiel...
L'intensità di esecuzione era fortissima,
quando suonava lo xilofono e il
timpano,
mentre
diventava
maggiormente delicata, quando percuoteva il glockenspiel. Lo sguardo di
Danilo era concentrato esclusivamente sugli strumenti musicali e, per questa
ragione, probabilmente ascoltava, di fatto, se stesso. Che cosa ascoltava
Danilo con tanta attenzione? La musica
di Danilo era quindi ripetitiva, a tratti
ossessiva, chiusa in una spirale senza
fine.
Che cosa esprimeva Danilo percuotendo
lo xilofono basso e il timpano,
utilizzando i battenti come fossero delle
mazze? Perché Danilo, diminuiva l'intensità d'esecuzione quando percuoteva
il glockenspiel, utilizzando i battenti con inaspettata dolcezza? Quali emozioni
esprimeva Danilo eseguendo la sua musica? Ascoltando la musica di Danilo
percepivo la sua rabbia e la sua delicatezza: un contrasto emotivo incessante
che, probabilmente, lo ossessionava. Sapendo bene che Danilo non si
esprimeva verbalmente, come potevo verificare la veridicità della mia ipotesi
interpretativa? Non mi rimaneva che arrendermi al dato di realtà,
accontentandomi della mia modesta chiave di lettura? Non ero soddisfatto e,
in ragione di ciò, indagai ulteriormente il musicale di Danilo, utilizzando il
pensiero schneideriano, concentrandomi, in particolare sull'aspetto timbrico.
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Ripensavo alla forma degli strumenti musicali suonati da Danilo e notavo
che lo xilofono basso e il glockenspiel, visti dall'alto, avevano un profilo
trapezoidale, mentre le piastre sembravano costituire i pioli di una scala.
Il timpano, dall'inequivocabile aspetto cilindrico, era simile al tamburo
pentola.
Ricordavo perfettamente che Danilo utilizzava i battenti ora come mazze, ora
come bacchette. Dall'analisi iniziale, evidenziavo alcuni elementi:
 trapezio;
 scala;
 tamburo pentola;
 mazza;
 bacchetta (bastone).
Le parole chiave ottenute potevano
'aprire' nuovi percorsi di senso...
opinabili e, ovviamente, perfettibili. Il
simbolo del trapezio e della mazza[1],
per Schneider, è analogo al suono 'mi',
ossia alla dimensione del dolore e del
sacrificio. La scala[2] ha una relazione
d'analogia con il suono 'do', ossia con
la dimensione del dualismo. Il tamburo
pentola[3] e la bacchetta ("...battere o
sfregare con un bastone o con la
mano...[4]" ) sono analogamente imparentate con il suono 'la' ossia, con la
dimensione degli affetti e del piacere. Probabilmente la musica di Danilo
esprimeva quindi il suo dolore (xilofono basso - trapezio - mazza) che cozzava
con il probabile vissuto di piacere (timpano - tamburo pentola - affetto piacere) vivendo un contrasto stridente (scala - dualismo) che proseguiva,
attenuandosi un poco, quando il ragazzo suonava il glockenspiel (trapezio dolore), percuotendolo delicatamente (bacchetta), per poi riprendere...
inesorabilmente da capo. Forse, Danilo suonava la sua richiesta, cercando
ossessivamente, una risposta al dolore causato dal contrasto emotivo che lo
dilaniava? Quale dolore opprimeva Danilo? La risposta a questo interrogativo
avvenne dopo innumerevoli sedute, quando il ragazzo gridò il significato del
suo dolore, disarticolando le piastre dello xilofono basso, dicendo
disperatamente: "Rotto... tutto... rotto". Probabilmente Danilo gridava il
suo dolore, ossia di rompere ogni cosa che toccava e, contemporaneamente, di
percepire la spiacevole sensazione di essere, al contempo, rotto. Era quindi lì
il senso della sua dolorosa angoscia, così magistralmente decantata, ed io
finalmente non ero più sordo e ascoltavo quella musica, cercando, in tutti i
modi di ricomporre le rotture, rimettendo a posto simbolicamente le piastre
dello xilofono basso e gli altri strumenti musicali. Sì, perché è bene lenire
il dolore piuttosto che alimentarlo. Così, nei successivi incontri
cambiammo gli strumenti e la loro disposizione; mutò l'intensità espressiva di
Danilo e il contrasto emotivo pareva maggiormente integrato. Finalmente
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anch'io potevo ripetere qualche sequenza timbrica, molto diversa da quella
iniziale, e, per il momento ero soddisfatto.
Giangiuseppe Bonardi
[email protected]
*Nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy, evocante una
persona Down con psicosi di innesto.
[1] Schneider M., (1946), Gli animali simbolici e la loro origine musicale
nella mitologia e nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986, pag. 236.
[2] Schneider M., (1946), Op. cit., pag. 219.
[3] Schneider M., (1946), Op. cit., pag.. 234.
[4] Schneider M., (1946), Op. cit., pag. 235.
Con tag Il senso del musicale in musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Luglio
Bonardi Giangiuseppe, Io suono con... gli altri
Pubblicato il 31 luglio 2009 da http//musicoterapie.over-blog.com/
Giangiuseppe Bonardi
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Bonardi Giangiuseppe, Io suono con... l'altro
Pubblicato il 28 luglio 2009 da http//musicoterapie.over-blog.com/
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Giangiuseppe Bonardi
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Bonardi Giangiuseppe, Io osservo...
Pubblicato il 22 luglio 2009 da http//musicoterapie.over-blog.com/
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Bonardi Giangiuseppe
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Bonardi Giangiuseppe, Dimensioni sonoro-musicali a confronto
Pubblicato il 18 luglio 2009 da http//musicoterapie.over-blog.com/
62
Bonardi Giangiuseppe
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Cavallini Daria, Gli adolescenti e la musica
Pubblicato il 14 luglio 2009
In ogni cultura, in ogni società, in ogni epoca la musica è stata considerata
detentrice di un potere specifico sull'anima, sui sentimenti e sulla coscienza
degli individui; un potere di cui ciascuno di noi può fare esperienza diretta
nella quotidianità, quando l'ascolto casuale di una strofa di una canzone
amata o le note di una sonata classica o l'assolo di un pianista jazz giungono a
risvegliare memorie credute perse. Ecco allora che precipitiamo
all'improvviso - e volentieri - sotto il dominio di un'emozione pura e senza
nome, eppure così familiare. Sembrerebbe dunque un'esperienza
squisitamente personale, pur se condivisa da milioni di nostri simili e
sembrerebbe, altresì, che con il cambiare della musica non cambi il risultato
(allora, in questo campo, Bach "vale" come Laura Pausini?). Si sarebbe
tentati quindi, di pensare la musica come una potenza che sfugge alle
gerarchie e alle generalizzazioni, un dominio indifferenziato, caotico, forse
banale, ma è prudente sottovalutare un potere tanto universale da venire
spesso identificato come una delle impronte fondamentali della stessa natura
umana? Non dimentichiamo che la musica comporta la possibilità di alterare
e di modificare gli stati di coscienza dell'uomo, come avviene ad esempio nella
danza sacra dei Dervisci o come avveniva nei riti di guarigione delle
"tarantolate" dell'Italia meridionale. Il suono governa la mente degli uomini e
"poteri divini" sembrerebbero derivare da questa forma di espressione così
diffusa in tutte le culture, capace di suscitare emozioni profonde, di
commuovere, di deprimere, di eccitare persino di guarire come quando lo
sciamano africano rianima il giovane spossato percuotendo il suo piccolo
tamburo con un ritmo progressivamente identico a quello del cuore
riconducendolo pian piano al suo battito naturale. Suggestione? Forse, ma
soprattutto questione di ritmo, proprio come per il batterista che in concerto
azzecca l'assolo che strappa l'applauso. Se il suono musicale, integrato in quel
sistema di rappresentazioni che gli conferisce il suo specifico potere, ci
sorprende per come riesce ad intervenire in modo tanto diretto sullo stato di
coscienza degli individui, a maggior ragione ci impressiona la sua capacità di
arrivare a condizionare collettivamente i comportamenti di quegli stessi
individui. Il potere della musica non è forse mai stato pienamente
dimostrabile attraverso criteri scientifici, ma è sempre stato descrivibile,
infatti intere comunità appartenenti alle tradizioni e alle culture più diverse
non soltanto lo hanno descritto e accettato come fatto acquisito, ma si sono
impegnate collettivamente - con i loro riti, con le loro danze, con i loro canti,
con i loro corpi, con i loro strumenti -a celebrare testardamente l'evidenza di
tale potere. In fondo si potrebbe concludere affermando che, per tutti noi,
sembra valere la celebre osservazione di F. Nietzsche: "Senza la musica, la vita
sarebbe un errore".[1]
Emozioni e musica
Fin dall'antichità si è sempre riflettuto sul comportamento emozionale
dell'uomo e su come quest'ultimo ne abbia influenzato il percorso
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64
maturativo. A seconda del periodo storico o del contesto sociale di vita le
emozioni hanno avuto:
 accezioni negative, come nel periodo in cui visse Cartesio che operò una
distinzione netta tra mente e corpo, ragione ed emozione, per
proseguire con l'Illuminismo dove il 'lume' era posto in primo piano a
discapito di ogni manifestazione emotiva;
 accezioni positive come nel periodo romantico ('800) dove le stesse
emozioni, soprattutto in campo artistico, letterario e scientifico, ebbero
ruoli da protagonista; valgono per tutti gli studi di Darwin che fu il
primo ad indicarle come funzioni importanti per la sopravvivenza[2] e
la musica di Chopin dove l'espressione poetica si fonde con il
virtuosismo esecutivo.
Questo dualismo, da sempre compagno dell'essere umano nel viaggio del
progresso, è arrivato oggi a dare due connotazioni diverse alla risposta
emozionale: da una parte viene considerata come una "interferenza" rispetto
alle sequenze comportamentali, organizzate secondo piani finalizzati;
dall'altra è vista come un meccanismo essenzialmente adattivo e
motivazionale, attivato da specifici stimoli dell'ambiente, che permettono
all'uomo di affrontarlo.[3]Il sistema emozionale, pertanto, che si costituisce
attraverso componenti - cognitive, fisiologiche, motorie, soggettive - tra loro
interdipendenti, diventa un importante fattore di maturazione del sé e di
comunicazione intra ed inter soggettiva, anche se condizionata, nel suo
manifestarsi o regolarsi, dall'ambiente sociale e culturale in cui si esprime.
In questo contesto la musica si inserisce come fattore favorente l'espressione
delle emozioni: chi non ha mai sperimentato l'effetto rilassante, inebriante in una parola catartico- di un brano musicale? E ancora: chi di noi non si è
socialmente riconosciuto, soprattutto in adolescenza, in pezzi che ci facevano
sentire parte di un gruppo? Risposta ovvia, ma - forse - non proprio scontata:
Tutti! Capita infatti che a volte basti una canzone a dare un senso ad un
giorno qualunque; e ciò succede quando riusciamo a lasciarci andare alla
musica che, seppure costruita con strutture ben definite secondo regole
precise, con la sua armonia di suoni allenta le nostre difese aprendoci il cuore
a significati più profondi e più vivi. Proprio in questi momenti le emozioni
parlano raccontando qualcosa di noi a noi e agli altri, laddove la paura o il
dolore non impediscano questo contatto, ed ecco allora che la musica,
opportunamente utilizzata, può permettere all'individuo di ritrovare quelle
dissonanze percepite, ma spesso non riconosciute, trasformandole in
quell'amore per sé che ci permette di diventare ciò che si è dando vita a quelle
che potremmo definire 'relazioni autentiche'.
Musica e disagio giovanile: un possibile intervento?
Secondo il dizionario della lingua italiana per "disagio" si intende:
"Condizione o situazione sgradevole per motivi morali, economici,
di salute ". Quante volte lo si è sperimentato? Ma, quante volte lo si è
riconosciuto? Attualmente questo termine è prevalentemente utilizzato in
riferimento ai giovani, in particolare all'adolescenza, passaggio difficile cui
nessuno sfugge. Si è sempre posta l'attenzione, dal punto di vista psicologico
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al bambino e all'adulto e solo da qualche anno si sta dando la giusta
considerazione a questa fase. Spesso gli adulti osservando i ragazzi li
criticano, ne fanno oggetto di studio ma, quanto li " comprendono "(dal latino
cum prendere = prendere con sé)? Quanto si è in grado di ri-attivare quelle
stesse sensazioni che, anche se in epoca diversa, ci hanno attraversato
facendoci vedere gli adulti come altro da sé, come qualcuno cui non si doveva
somigliare, ma di cui, paradossalmente, si aveva bisogno in quel difficile
passaggio della crescita? Quanti uomini maturi di oggi che hanno fatto lotte,
rivoluzioni - a partire dal 1968 - contro le istituzioni e la morale di allora, sono
diventati ancor più materialisti in nome di una società dell'apparire, a
discapito di una società dell'essere tanto inneggiata? I giovani sono figli di
quegli uomini e chi trascorre con loro diverse ore nell'arco di una giornata
non può non accorgersi della loro solitudine, del loro non essere ascoltati ma
come burattini, di bello adornati, sono circondati da modelli il cui "credo"
sono l'apparire e la competitività a discapito del... "vero"! Il contatto con loro
ha ri-attivato, in me, il disagio, le antiche sicurezze nella lotta per coprire le
insicurezze della persona e allora mi scopro a guardarli con tenerezza, con
amore, con rabbia e con tanta voglia di ascoltarli, di cercare di comprendere le
loro emozioni, di meritarne la fiducia, di offrire loro la possibilità di imparare
a regolare le proprie emozioni, processo di per sé non proprio scontato e
purtroppo a volte carente soprattutto nelle figure di riferimento. Il giovane è
per eccellenza l'essere dai comportamenti immediati, non ha vie di mezzo o è
tutto istinto o tutta razionalità (apparente) dove le emozioni sono considerate
debolezza. Varie sono le tipologie di gruppi in cui si identificano per
"sentirsi": quelli inneggianti il "Che" e il comunismo con abbigliamento e
generi musicali caratterizzati da brani di musica popolare tipo " Bandiera
rossa " e di tendenza prodotta da gruppi come i " City Raimbols", "Banda
Bardot" e "99 Posse", quelli pro Bob Marley e marijuana, quelli pro abiti
firmati (qui a Pescara definiti anche "Truzzi") e house ecc., ma tutti, tutti loro
hanno, al di là della maschera indossata, una gran paura di crescere, di
prendere la responsabilità di se stessi, di capire cosa vogliono fare e di
imparare a ri-conoscere cosa si muove nel loro animo. A questo punto sorge
spontanea la domanda: "Come i ragazzi possono percorrere un cammino di
maturazione e di ricerca armonica quando il mondo adulto, quello che
dovrebbe essere di riferimento - fortunatamente non tutto - è una
manifestazione di incoerenza o per dirla musicalmente di dissonanza tra
quello che dice e quello che fa?" Dopo 20 anni nella danza e 15 nella scuola
superiore (dove opero come insegnante di sostegno) a contatto diretto con
loro - e non dietro la cattedra - ho visto il cambiamento che è avvenuto nella
popolazione giovanile e ho raccolto la loro denuncia: l'adulto, figura di per sé
demonizzata in quanto tale, ha perso quelle caratteristiche di riferimento e
coerenza che in passato rappresentava cioè un modello cui opporsi o da
seguire, ma comunque un modello che, nella sua essenza, era fondamentale
per la maturazione di quel sé caratteristico di ogni essere umano. Rimane
comunque mia profonda convinzione che esista la possibilità di un dialogo in
cui entrambi si possano incontrare su un terreno comune, imparando ad
arricchirsi in una relazione biunivoca. Come insegnante mi sono più volte
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chiesta quale potesse essere un comune denominatore e l'ho scoperto nella
danza e nella musica chiedendo ai ragazzi cosa amassero e cosa li
accomunasse. Quante risposte diverse, una presente in tutti: il bisogno di riconoscersi come persone in quanto facenti parte di un gruppo e la difficoltà a
ri-conoscersi in sé come individuo. Mi hanno raccontato dei râve, di questi
incontri in cui sanno di andare insieme, di essere insieme anche quando, sotto
l'effetto di sostanze insieme non sono più, ma liberi di agire seguendo
l'istinto, consapevoli che nessuno ricorderà cosa ha fatto o cosa ha fatto l'altro
quindi scevri da ogni forma di giudizio. Mi hanno raccontato del piacere
dell'immergersi in un mondo personale con gli mp3, isolandosi da tutti, ma
fisicamente rimanendo con tutti... mi hanno raccontato le emozioni, le
speranze, i timori che hanno ma che mai rivelerebbero al compagno per paura
di essere "colpiti", di essere traditi! Dalle loro parole emerge la solitudine, la
fragilità e l'estremo bisogno di essere compresi, di poter essere se stessi nella
ricerca del proprio sé; ed ecco allora che, forse, la mia musica e la loro musica
possono dialogare, cercando di creare quella strada che permetta ad entrambi
di divenire sempre più protagonisti coraggiosi della propria esistenza e
imparando ad accogliere se stessi e l'altro in una relazione in cui la fiducia e
il rispetto rappresentino gli elementi essenziali. E sulla base di quanto sopra
la musicoterapia si inserisce come possibile mezzo di intervento al fine di
offrire ai giovani la possibilità di conoscere e comprendere qualcosa in più di
se stessi. Non si pretende di cambiare la realtà attuale, ma si cerca di agire in
luogo o in parallelo del solo sterile discutere o puntare il dito rimanendo però
dietro la barricata o - per richiamare la letteratura - fare come Verga che tanto
scrisse della sua terra, del meridione e della povera gente, ma da ricco e
benestante! Facile descrivere quando non si è seduti a terra, allora avendo la
sedia cerchiamo almeno di tendere una mano!
Daria Cavallini
[email protected]
[1] F.Nietzsche - Il crepuscolo degli idoli, Adelphi
[2] A. Damasio "L'errore di Cartesio" - Adelphi -1995
[3] Ricci Bitti "Musica fuori di sé" - PCC - 1996
Con tag Musicoterapia e adolescenza, Cavallini Daria
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Cavallini Daria, A come... adolescenza
Pubblicato il 9 luglio 2009
L'adolescenza (14-18 anni), ha sempre rappresentato il più assillante e
sconcertante problema sia sul piano scientifico che su quello della realtà
umana. Essa infatti è una fase della realtà del tutto particolare e la crisi di
maturazione che presenta appartiene a tutte le culture, pur avendo in comune
le caratteristiche di transitorietà e temporaneità. L'adolescenza è
caratterizzata, secondo Lutte[1], "dall'aumento dei conflitti dell'individuo
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con sé stesso e con gli altri e da un aumento dei potenziali fisici, intellettivi
ed emotivi". Nell'attuale società, piena di contraddizioni e in crisi di crescita,
la problematica adolescenziale oggi è particolarmente accentuata.
L'adolescenza è il punto d'arrivo, secondo alcuni autori (D.Marcelli 1996, A.
Polmonari, F. Carugati, P.Ricci Bitti, G. Sarchielli 1979), di tre fondamentali
mutamenti che rappresentano altrettante conquiste, riguardanti
rispettivamente la maturazione somatica, il diverso rapporto psico-affettivo
con i genitori e l'acquisizione del ruolo di "adulto". Per quanto concerne la
prima di dette conquiste si può dire che al corpo infantile subentra un corpo
adolescenziale con aumento dell'armonia delle proporzioni corporee,
diminuzione della "goffaggine" ed aumento della forza fisica. Il rapporto con i
genitori dall'infanzia (seconda conquista) cede man mano il posto ad un
incontro che va diventando sempre più maturo. Alla perdita del ruolo
infantile, il ragazzo conquista un ruolo che si avvicina a quello dell'adulto. È
questo l'aspetto psicologico più difficile dell'adolescente perché, mentre egli
cerca in definitiva l'incontro, i genitori e la società tutta non sono in grado,
per la forte insicurezza insita in loro, di rispondere adeguatamente e di
infondere sicurezza, onde l'incontro si risolve in un aumento del senso di
insicurezza e sfiducia nei riguardi della società. L'adolescente sente, pur non
avendone tutte le possibilità, di dover fare da solo, il che può essere
fortemente pericoloso in quanto porta ad una supervalutazione di sé stessi e
delle proprie capacità e ad agire di conseguenza quasi come sotto l'effetto di
una "droga psicologica". Teso, inoltre, alla conquista dell'affermazione del
proprio Io e non trovando valide identificazioni con i genitori le cerca nel
gruppo. In effetti i rapporti con i genitori sono ambivalenti: la rivalità con essi
alimenta atteggiamenti di critica e di distacco dalla famiglia, ma
contemporaneamente è viva nel giovane l'esigenza di trovare sicurezza
attraverso un'identificazione positiva. Altra caratteristica tipica di quest'età
che si esprime spesso in maniera eclatante e che ancora così frequentemente
spaventa, è l'opposizione emotiva e anche razionale che l'adolescente
manifesta nei riguardi del mondo degli adulti. Dalla consapevolezza
dell'accrescersi in lui di energie di ogni natura, fisiche e psichiche, nasce la
tendenza all'autonomia da cui prende le mosse la caratteristica opposizione
che, preparata da quella già iniziata in fase pre-adolescenziale, è ora vissuta in
maniera tanto più drammatica quanto più l'adolescente ritiene di essere
fortemente minacciato. A questa situazione l'adolescente può rispondere con
atteggiamenti difensivi che possono concretizzarsi con uno stato di "malattia"
e con l'insorgenza di turbe del carattere o con vere e proprie fughe, oppure
con atteggiamenti "negativistici": comparsa di anoressia mentale (specie nelle
ragazze), apatia, mancanza di interessi, melanconia fino alla perdita
dell'istinto vitale, che in rari casi può sfociare nel suicidio. Non solo i genitori,
ma anche la scuola e la società non vengono incontro alle esigenze dei ragazzi
di questa età, alimentando con i loro atteggiamenti controproducenti lo stato
oppositorio. Se guardiamo ad esempio alla scuola vediamo che, malgrado i
progressi fatti, essa tuttora non aiuta ad assumere certe responsabilità, ancora
non formula del tutto i suoi programmi in rapporto alle esigenze psico-sociali
dell'adolescente e al suo sviluppo intellettivo, per cui non porta a capire le
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cose con la dovuta gradualità. Infatti nella scuola primaria si raccontano i
"fatterelli", nella secondaria di I grado i fatti sono arricchiti da tante e tante
nozioni (date, altezze, nomi, ecc.), nel liceo, infine, improvvisamente si
vogliono sapere i "perché". L'adolescente si sforza, acquista questa forma
mentis, ma poi la usa non solo per rispondere all'interrogazione scolastica, ma
per tutto ciò che lo circonda: la famiglia, l'autorità, la religione. Infine,
nell'atteggiamento della società di fronte all'inserimento del giovane c'è
sempre una situazione di rifiuto e permangono notevoli pregiudizi, a volte
indubbiamente sostenuti da quegli atteggiamenti di aggressività e di
opposizione dei giovani verso la società costituita. Ed ecco la reazione anche
violenta che chiude e sostiene il "giro vizioso" e la svalutazione di chi
rappresenta molto male "l'autorità": i genitori in primo luogo, gli insegnanti,
lo Stato. Da queste basilari premesse parte la necessità per l'adolescente e il
giovane di riunirsi in gruppi spontanei e di far parte di associazioni che si
fanno portatori di valori sentiti dall'adolescente e che, anche se
strumentalizzano, leniscono il suo stato d'insicurezza che il comportamento
degli adulti e del resto della società esaspera. Le esperienze di gruppo, non
sempre positive specie per la superficialità e l'instabilità delle identificazioni
secondarie, che agiscono più a livello di "suggestione" che a livello profondo,
possono tuttavia offrire all'adolescente l'opportunità di apprendimento e
maturazione psicologica. Se infatti egli riesce a stabilire un ruolo che lo
soddisfa profondamente nel gruppo dei coetanei, egli getta le basi del suo
ruolo successivo nel mondo sociale degli adulti. Dal punto di visto intellettivo,
dopo i quindici anni l'individuo dispone ormai dell'intelligenza formale e
astratta. In tal modo è capace di subordinare il reale al possibile ("conta il
risultato ottenuto, ma anche altri se ne sarebbero potuti ottenere") e di
scoprire operazioni combinatorie, vale a dire: vengono cioè considerate in
forma sistematica tutte le combinazioni possibili fra un insieme di dati e le
operazioni, in modo da raggiungere gradualmente il pensiero realistico
autonomo del giovane adulto ([2]). L'adolescente, nel passaggio dal controllo
parentale all'autonomia nei valori e nel comportamento, deve liberarsi anche
dal controllo "emotivo" dei genitori. Per raggiungere questo risultato cerca e
trova nel "gruppo" un sostegno ed una sicurezza che lo aiutano a vincere
queste invisibili barriere emotive di resistenza che spesso i genitori erigono. I
genitori ponendo, spesso inconsapevolmente, 'barriere emotive' non
riescono a comprendere questo atteggiamento e, con comportamenti
repressivi, talvolta aumentano le difficoltà, mentre dovrebbero cercare di
vivere i naturali conflitti come una normale fase di sviluppo dei figli verso
l'autonomia, cedendo via via il controllo in funzione della maturità acquisita
dall'adolescente. Il problema sta nel fatto che il giudizio su tale maturità si
basa su una 'percezione' influenzata dalle stesse 'barriere emotive' che,
avendo natura inconscia, sono difficili da riconoscere ed elaborare, laddove ne
esista la possibilità.
I nuovi adolescenti
Nel corso degli ultimi decenni l'adolescenza si è notevolmente
allungata. Anche i genitori degli adolescenti di oggi hanno vissuto
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un'adolescenza più simile a quella dei loro figli che a quella dei loro genitori,
ma la conquista delle libertà e dei riconoscimenti desiderati non è avvenuta
senza conflitti con la generazione dei padri. Mai come negli ultimi anni gli
adolescenti hanno vissuto il paradosso di una precoce e indolore
acquisizione di spazi di autonomia insieme ad un ritardo crescente
dell'entrata nell'età adulta. Il maturo e definitivo distacco dai genitori
risulta difficoltoso e spesso viene solo tardivamente raggiunto. Ovviamente
sono molte le cause sociali ed economiche che concorrono a determinare
questo fenomeno: la maggiore durata del corso di studi e della formazione al
lavoro, le difficoltà economiche che ritardano l'inizio di un inserimento
lavorativo stabile, il controllo delle nascite e la liberalizzazione sessuale, la
crisi dell'istituzione matrimoniale, una sempre più grande libertà dai vincoli
di tipo sociale. Le giovani generazioni non sono tenute a ripercorrere le strade
battute o segnate dalle generazioni precedenti, non sono gravate da
aspettative sociali vincolanti, ma piuttosto dall'aspettativa di una piena
realizzazione individuale; il passato perde importanza e si annulla quella
verticalità (distinzione, lungo termine, eternità) che consente il collegamento
tra passato, presente e futuro. La famiglia di oggi solitamente rifiuta i
modelli autoritari e accorda ai figli molta libertà, ma questa tendenza può
arrivare a degli eccessi che portano a lasciare l'adolescente in balia di se
stesso, delle proprie contraddizioni e dei propri bisogni, privato di riferimenti
adulti solidi a cui appoggiarsi per poter crescere. Questo tipo di contesto
riconosce l'adolescenza solo nella sua immagine più apparente e
superficiale e non ne riconosce i bisogni più profondi:
paradossalmente è proprio il bisogno di un tempo per crescere e per
rinsaldare la propria identità che non viene riconosciuto, dal momento
che viene negato il riconoscimento di persona in formazione, che deve
sperimentare ma anche ricevere sostegno e guida dagli adulti. L'esercizio della
libertà dell'individuo non può prescindere dalla sua maturità, il cui segno
evidente è la capacità di differire il soddisfacimento dei propri impulsi e
desideri. Per gli adolescenti saper accettare regole e limiti rappresenta un
segno di maturità, così come saper gestire i conflitti che nascono
nell'incontro con gli altri, ma ai ragazzi di oggi molto spesso è stato
'risparmiato' l'incontro con esperienze di questo tipo da adulti molto
protettivi nei confronti dei figli. Sembra che anche per gli adulti sia
diventato molto difficile accettare l'idea di dover imporre regole e limiti. In
questo modo gli adulti rischiano però di togliere agli adolescenti la possibilità
di misurarsi con le proprie capacità di affrontare le frustrazioni che la
realtà inevitabilmente infligge e di trasmettere un messaggio implicito di
mancanza di fiducia nelle proprie possibilità di crescere e di affrancarsi
dalla tutela protettiva e rassicurante dei genitori. Sia che l'adulto
abbandoni precocemente il ragazzo a se stesso sia che, al contrario, si
frapponga regolarmente tra quest'ultimo e le difficoltà che gli provengono dal
mondo esterno, l'adolescente si sentirà estremamente fragile, sentirà che per
lui le frustrazioni sono intollerabili e che solo i genitori le possono gestire,
mentre lui non ce la può fare. Un possibile modo per difendersi da questo
senso intollerabile di fragilità consiste nel deresponsabilizzarsi di fronte
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agli appuntamenti importanti della vita, sfruttando solo gli aspetti
immediatamente gratificanti della crescita, ubriacandosi di libertà, ma
restando profondamente insoddisfatti di se stessi e convinti di non farcela,
finendo per sentirsi depressi e privati della necessaria autostima. La famiglia
che privilegia il dialogo e la circolazione di affetti, che ha abbandonato certe
rigidità del passato per dare spazio ai diritti dei figli di esprimere le proprie
scelte e inclinazioni, non deve essere necessariamente una famiglia che nega
una importante funzione ai genitori di adolescenti. Quando l'adulto sostiene
la possibilità dell'adolescente di fare le proprie esperienze in una relativa
autonomia, ma mantiene il proprio ruolo di genitore - il che prevede
fiducia nelle risorse del figlio, gradualità nel permettergli di affrontare le
esperienze, presenza di un adulto che consente il distacco e l'allontanamento
ma anche il ritorno, che sa ascoltare e comprendere le difficoltà, che accetta di
poter avere dei conflitti con i figli senza sentirli come fallimenti - l'adolescente
si sente libero di vivere il tempo della ricerca e della sperimentazione di sé e
delle proprie risorse senza correre troppi rischi. In questo movimento di
andirivieni i genitori aiutano l'adolescente a tessere la stoffa della propria
identità senza disfarla notte tempo per paura della separazione. Scopo
finale dell'educazione è, infatti, quello di permettere ai figli di diventare
autonomi e di non dipendere più dall'autorità dei genitori. La maggior
parte dei conflitti tra genitori e figli riguardano la disponibilità e l'uso del
denaro, l'orario del rientro serale, le attività del tempo libero, il modo di
vestirsi. I conflitti su tali argomenti nascondono la preoccupazione relativa a
eventuali relazioni sentimentali dei figli e il tentativo di controllarle. I conflitti
sui valori morali, la politica, la religione e altre questioni fondamentali sono
piuttosto rari. Studiosi interessati alla psicologia sociale hanno messo in luce
come gli stili relazionali dei genitori si basino principalmente su due
dimensioni: l'accettazione ed il controllo. L'accettazione consiste
nell'apprezzare il figlio per quello che è, valorizzandone le qualità senza
pretendere che assomigli ai genitori. Il controllo consiste nel guidare il
ragazzo, sostenerlo e stimolarlo, dargli consigli. A seconda di quanto è
presente ognuna delle due dimensioni all'interno della relazione, originerà
differenti stili educativi:
 l'autorevolezza: implica la presenza in modo elevato sia del controllo
che dell'accettazione. I genitori autorevoli sono responsabili nei
confronti dei figli, fungono da sostegno e da guide. Sono sensibili ai
bisogni degli adolescenti e fanno loro delle richieste in relazione alle
abilità. Essi incoraggiano il dialogo e tendono a chiarire i motivi delle
concessioni e delle punizioni, incentivano il ragazzo nel percorso verso
l'autonomia dando responsabilità consone alle capacità. Avere genitori
autorevoli aiuta l'adolescente a sviluppare senso critico, sicurezza e
buona capacità di ambientamento;
 l'autorità: implica la presenza di elevato controllo ma di scarsa
accettazione. I genitori autoritari tentano di plasmare il figlio a seconda
di un loro ideale, senza accettarlo per quello che è, si esprimono con
valutazioni e giudizi ogni volta che il figlio si allontana dallo standard
previsto. Scoraggiano il dialogo perché pretendono di essere ubbiditi
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
71
senza discussione alcuna. I figli di genitori autoritari tendono a
diventare ansiosi e frustrati, sviluppano una bassa stima di sé e hanno
difficoltà di adattamento;
il permissivismo: implica la presenza di elevata accettazione ma scarso
controllo. I genitori permissivi non puniscono e non avanzano pretese,
non guidano i figli nelle loro scelte e ne soddisfano i desideri anche se
sono privi di senso. Accettano i ragazzi per quello che sono, senza
proporre standard di comportamento. I figli, a loro volta, considerano i
genitori distanti e privi di interessi nei loro confronti, si sentono privi di
sostegno nei momenti difficili.
L'adolescente e la scuola.
Il compito assegnato alla scuola è formare i giovani per la vita adulta. Questo
avviene sia insegnando loro competenze tecniche e scientifiche, sia
preparandoli alla vita sociale. Vivere nella società moderna richiede
conoscenze complesse che solo in parte possono essere trasmesse dalla
famiglia. Il fermarsi alla scuola dell'obbligo implica disporre di competenze
appena sufficienti per esercitare i propri diritti civili e svolgere un lavoro
subordinato, ad eccezione di quei giovani dotati di particolari potenzialità che
trovano un ambiente adeguato per svilupparle. Gli adolescenti che
frequentano la scuola la vivono come un percorso naturale per la loro
formazione, ne comprendono l'influenza che avrà sul loro futuro e la
giudicano un'esperienza difficile da affrontare. Nonostante i giovani siano
consapevoli dell'importanza della scuola, possono esserne spaventati dalle
difficoltà e vivere in maniera negativa la condizione di studente. Le ricerche
relative all'insuccesso scolastico hanno dimostrato che sono prevalentemente
i maschi ad esserne vittime, i quali discutono meno volentieri e più
superficialmente dei loro problemi scolastici. Sembrerebbe inoltre esserci una
correlazione negativa tra la motivazione verso l'apprendimento e
l'investimento scolastico a livello politico e istituzionale. Da quando
frequentare le scuole superiori è diventato possibile a tutti e non solo alle
classi agiate, come accadeva un tempo, si dà meno valore a questo beneficio.
D'altra parte, per il mondo degli adulti, avere buoni risultati scolastici
significa essere intelligenti, andare male a scuola vuol dire non esserlo.
Questa stretta corrispondenza è vissuta con disagio dagli studenti, spesso
vittime di ansia, paure e tensioni nei confronti delle prestazioni scolastiche e,
non per niente, l'uso degli psicofarmaci è diffuso. Al successo scolastico è
legata l'autostima (si pensa che chi va bene sia intelligente e avrà una buona
carriera), ma sono molti i giovani che, non conseguendo buoni risultati,
scelgono vie alternative per avere una positiva visione di sé, ad esempio in
una disciplina sportiva, nella musica, o ricercando la popolarità tra i coetanei.
Quei giovani che non vanno bene a scuola, ma non riescono a trovare vie
alternative di realizzazione, rischiano l'apatia o la depressione. Molto si parla
di 'sindrome da disagio scolastico[3]', definibile come malessere psicologico
causato da un'esperienza scolastica insoddisfacente da vari punti di vista. Tale
sindrome non è alimentata soltanto da eventuali carenze intellettive o dallo
scarso sostegno della famiglia, ma grande influenza è data dal clima
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psicologico della classe o dell'istituzione. Per clima psicologico si intende la
qualità dei rapporti che l'alunno ha con i compagni e con gli insegnanti, e il
modo in cui percepisce il regolamento scolastico. Gli insegnanti hanno un
ruolo rilevante nella formazione dei giovani, perché sono delle figure adulte
non legate agli allievi da rapporti affettivi, e per questo possono offrire un
modello sociale meno invischiante di quanto non lo siano i genitori. Un buon
insegnante, oltre a essere preparato professionalmente, dovrebbe possedere
capacità relazionali che gli permettano di essere in sintonia con gli allievi e far
funzionare bene la classe. Infatti, se l'insegnante si concentra sul singolo,
rischia di perdere il controllo del gruppo, cosa che aumenta la confusione,
mentre saper interagire con l'intera classe comporta maggiori livelli di
motivazione e partecipazione da parte di tutti gli studenti. L'esperienza
scolastica è la prima esperienza che l'individuo fa con un'istituzione sociale.
Gli studenti sperimentano quotidianamente rapporti simmetrici (con i loro
compagni) e rapporti asimmetrici (con insegnanti, personale amministrativo
e preside), non solo dipendenti da fattori di personalità, ma regolati da norme
di comportamento stabilite dal regolamento scolastico. Gli adolescenti
giudicano autorevoli quegli insegnanti ben preparati e con buone doti
relazionali, ma sanno comunque che chiunque rivesta la figura
dell'insegnante deve essere rispettato per il ruolo che ricopre. All'interno
dell'istituzione scolastica si mettono in atto le prime trasgressioni (fumare nei
bagni, non fare i compiti, marinare la scuola) e se ne pagano le sanzioni (note
sul registro, brutti voti, sospensioni). Gli studenti possono inoltre accettare le
regole scolastiche, metterle in discussione o non accettarle. Un atteggiamento
di sfiducia o di ribellione nei confronti dell'istituzione scolastica ha buone
probabilità di essere trasferito in età adulta alle istituzioni in genere, a meno
che il soggetto abbia in seguito la possibilità di sperimentare relazioni
soddisfacenti con altre istituzioni sociali. Attualmente essere adolescente
implica avere l'identità di studente. La scuola dovrebbe impegnare
l'adolescente almeno fino al raggiungimento della maggiore età, ma questo
non si verifica per tutti. Vi sono ancora ragazzi che interrompono
anticipatamente gli studi per vari motivi, come difficoltà familiari, processi di
socializzazione distorti, disagio sociale, handicap fisici o mentali o storie di
immigrazione. Questi giovani devono fondare la loro autostima su obbiettivi
extrascolastici e, in alcuni casi, la ricerca dell'autostima può portare
l'adolescente a sfidare le regole sociali, acquisendo comportamenti devianti,
o, all'estremo opposto, diventando demotivati e apatici. Gli psicologi
interessati al sociale si domandano se un individuo in età adolescenziale, che
non frequenti la scuola, viva l'adolescenza al pari dei coetanei, o si debba
parlare di "adolescenza mancata". In realtà, sembra che l'adolescenza sia
un'esperienza universale, sia per la maturazione fisica, sia per la definizione
dell'identità che comporta. È tipico di qualsiasi adolescente il conflitto con la
famiglia, la ricerca del sostegno genitoriale e il contemporaneo bisogno di
autonomia, la partecipazione a gruppi di coetanei e subire l'influenza delle
mode dettata dai mass-media. Per gli adolescenti che non vanno a scuola, è
probabile che il compito di ridefinire sé stessi risulti più complicato di chi è
studente. Questo è dovuto al fatto che la scuola fornisce maggiori competenze
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per rapportarsi con le istituzioni ed al fatto che ricoprire un ruolo marginale
rispetto, a chi è studente, aumenti la probabilità di essere vittime del
consumismo.
Riflessioni.
Si è parlato di autorevolezza, quante volte questo termine entra nel linguaggio
adulto, soprattutto di coloro che operano a contatto con bambini e
adolescenti, ma ne conosciamo il vero significato? E ancora, si parla tanto di
questo periodo difficile che è l'adolescenza, da tempo la si studia, la si
elabora, si cerca di comprenderla ma loro, i ragazzi, sappiamo ascoltarli? Chi
risponderebbe: "No!" - "Tutti siamo stati adolescenti!" - diciamo - ma, forse,
buona parte di noi ha realmente 'dimenticato' cosa accade e come si vive quel
periodo o forse, come sembrano indicare i più recenti studi, molti sono ancora
in quel periodo ben oltre i 25 anni! Sta di fatto che non è così semplice. Loro
hanno bisogno di noi, ma sono anche contro di noi e la ricetta che viene
generalmente data è: autorevolezza! Sì... ma cosa vuol dire? Forse
comprendere il marasma interiore e sconosciuto che li muove, saperlo
riconoscere, accoglierlo e restituirlo aiutandoli ad acquisire una propria
armonia interiore in relazione al mondo e a loro stessi, ma... siamo realmente
in grado di farlo? Anzi, come è possibile farlo se spesso noi stessi non
sappiamo riconoscere le nostre emozioni, le nostre pulsioni, le nostre difese
di fronte ad eventi e situazioni che si allacciano a profondi vissuti affettivi?
Quante volte si sente ripetere: "I ragazzi oggi non capiscono che hanno
tutto"... "Io ai miei tempi...",ecc. con quel tono di voce giudicante, pronto già
a 'condannare' prima ancora di provare a capire! È vero, ci sono molte
agevolazioni rispetto al passato, ma a che prezzo forse non l'abbiamo
considerato. Il bisogno impellente, oggi più di ieri, di conformarsi a modelli in
una società che vive di consumismo e apparenza, porta a relegare sempre più
a fondo tutta quella gamma di paure, incertezze che caratterizzano l'uomo ed
in particolare il giovane. Il giovane racconta e si racconta bugie per non
mostrare ciò che viene considerata debolezza e che, sempre più spesso, trova
la sua strada attraverso comportamenti devianti verso stupefacenti, alcool e
violenza. La maggior parte di loro ha difficoltà ad intessere relazioni profonde
con i coetanei, è diffidente verso i pari e paradossalmente cercano figure
adulte che possano fungere da modelli di riferimento, che non li tradiscano,
ma di frequente si scontrano con un mondo arroccato su vecchie concezioni e
modalità, dove chi viene scelto da un ragazzo, spesso non è in grado di capire
cosa prova e si difende puntando il dito e creando, quindi divari ancora più
ampi. Per essere autorevoli bisogna conoscersi, accettare i propri limiti,
potenziare le capacità in una ricerca umile e perseverante che dura tutta la
vita. Lo facciamo? Nel tempo del 'sempre giovani' è difficile accettare il
trascorrere degli anni, ma soprattutto è difficile ammettere che forse, di quei
giovani siamo in fondo invidiosi, invidiosi della loro età, della loro
progettualità e non capiamo che proprio questa potrebbe essere una grande
ricchezza, una grande possibilità per continuare a crescere noi e noi con loro
in uno scambio che permetta ai ragazzi di diventare uomini e agli uomini di
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non perdere il desiderio di andare avanti. Imparare ad 'ascoltarli' è
imparare ad 'ascoltarsi' per costruire insieme!
Daria Cavallini
[email protected]
[1] G. LUTTE " Psicologia degli adolescenti e dei giovani" 1986
[2] BERTI A. E. - BOMBI A.S. "Psicologia del bambino" 1985
[3] Articoli tratti dal sito "psicopedagogia.it"
Con tag Musicoterapia e adolescenza, Cavallini Daria
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Lamberti Rosaria, Perdersi
Pubblicato il 4 luglio 2009
Perdersi
Non sapere
ma sentire.
Avere il potere
e non volerlo.
Viaggiare a lungo
per non ritrovare
la strada del ritorno.
Guardarsi dentro
e scoprire
di non essere più
come prima.
Rosaria Lamberti
2 dicembre 2008
[email protected]
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Lamberti Rosaria, Attimo
Pubblicato il 3 luglio 2009
Attimo
Se ti trovassi
un giorno
a decidere
cosa trattenere
e cosa lasciare,
forse capiresti quanto importante sia
ogni attimo vissuto.
Rosaria Lamberti
2 dicembre 2008
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Agosto
Bonardi Giangiuseppe, Una musica del… cuore
Pubblicato il 21 agosto 2009
Ci sono musiche a noi particolarmente gradite in cui ci rispecchiamo poiché,
in esse, ascoltiamo intuitivamente l’eco acustica di alcuni aspetti del nostro sé.
Sono quelle innumerevoli musiche che popolano la nostra dimensione
sonoro-musicale[1] che scegliamo, apparentemente, in modo inconsapevole
ma alle quali siamo affettivamente legati. Tra i molteplici eventi musicali, che
mi appartengono, uno in particolare sollecita da tempo la mia attenzione
poiché spesso mi ritorna in mente, come se fosse una melodia ossessiva. È
una canzone infantile: ‘Ricordi[2]’, scritta alcuni anni fa per un pubblico di
scolari.
Cade un sasso là
mille cerchi fa
quasi per magia
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affiora un pensier.
Come il vento va
dolce messagger
sensazioni che ho
vissuto tempo fa
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Or mi vedo là
bimbo a giocar
con amici miei
a ridere e scherzar
Voci concitate
risa soffocate
volti spensierati…
Momenti ormai passati.
Bonardi Giangiuseppe
La canzone era stata pensata quindi per uno scopo didattico: un ‘materiale’
che potesse offrire all’isegnante e agli studenti l’opportunità di affrontare il
tema dell’incontro tra la musica e la poesia. La forma curvilinea della melodia
accompagna, nota dopo nota, i contenuti del ricordo infantile intriso di
spensieratezza e felicità, benchè all’ascolto ‘suoni’ stranamente sospesa, non
conclusa… misteriosa e inquietante. Tensione, mistero e inquietudine
pervadono la melodia forse perchè le altezze che la formano sembrano
delineare i gradi della scala di la minore naturale[3], così storicamente affine
alla modalità ecclesiastica eolia[4] o, analizzandole meglio, all’antichissima
scala eptatonica diatonica[5] di pitagorica memoria. Forse l’evento musicale
mi conduce nella dimensione temporale del mio passato che racchiude in sé le
tenere emozioni del dolce, felice ricordo, riportato nel testo con estrema
precisione? In ogni caso perché mai io, figlio dell’educazione tonale, ho
utilizzato, nel comporre la melodia, sistemi scalari a me poco familiari? Che
cosa eprimono queste altezze? Quali significati celano i suoni che la formano?
Suoni, significati… percorsi
Così, ancora una volta, sono alla ricerca di significati e in questa esplorazione
volgo lo sguardo ad un pensiero che superi l’angusta prospettiva di un’analisi
formale e tecnica dell’evento e che mi aiuti a comprendere i significati
profondi sottesi ad esso. In tal modo mi avvalgo del pensiero di Marius
Schneider[6] scegliendo, tra le innumerevoli relazioni analogiche proposte
dall’autore alsaziano, quelle che mi paiono maggiormente convincenti,
ponendo in relazione di somiglianza le altezze che formano la canzone e i
significati proposti dall’etnomusicologo tedesco.
Mi = dolente, triste, tormento, amarezza, maturità.
La = tenero sentimento, vissuto felice, dolcezza, affetto, tenerezza.
Si = malinconia, nostalgia.
Do = risonanze emotive, eco.
Fa = forza, coraggio, energia.
Re = espressione.
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Sol = intuizione, illuminazioni.
Profili melodici, altezze e… significati
Percorsi di... senso
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Dolente (mi) e improvviso riaffiora nella mia mente un tenero
sentimento (la) che malinconicamente (si) evoca risonanze
emotive (do) ora felici, ora tristi (mi).
La tormentata (mi) consapevolezza che il vissuto felice (la) sia
ora una nostalgica (si) eco (do) di un mio vissuto mi dà,
paradossalmente, forza, coraggio (fa).
Finalmente posso esprimere (re) la mia amarezza (mi) e questa
possibilità mi dà l’energia (fa) per poter ricordare l’affetto (la)
che, appena intuito (sol), suscita in me tenerezza (la).
Così mi trovo sospeso tra la malinconia (si) e la dolcezza (la):
illuminazioni (sol) nostalgiche (si) di un’età matura (mi).
Riflessioni… conclusive
Tra lo stupore e il timore ripenso al percorso di senso così delineato. Fatico
tutt’ora ad ammettere come, intuitivamente, sia riuscito ad esprimere, con
solo sette note, contenuti emotivi così contrastanti e, per lo più, spiacevoli.
Come è possibile rivelare, in una manciata di secondi, il dolore, la malinconia
e la dolcezza? Per quale motivo esprimo proprio quei sentimenti e non altri?
In cuor mio so bene di non aver risposte convincenti ai quesiti sollevati. Mi
piaccia o meno, debbo ammettere che il dolore, la malinconia e la dolcezza
sono vissuti che mi appartengono e, poiché sono appunto dei sentimenti
vissuti, appena li intuisco e li percepisco, si dileguano come neve al sole
perché essi sono, di fatto, suoni, ossia essenze squisitamente dinamiche del
mio mondo interiore. Ciò che spesso dimentico è che i vissuti non hanno una
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dimensione statica, non sono immobili, ma al contrario sono realtà temporali
mutevoli e in perpetua trasformazione che non si cristallizzano in forme
definite ma risuonano, di volta in volta, con intensità e tonalità differenti, ora
gradevoli, ora sgradevoli. Infine mi rendo conto che le tonalità emotive che
vivo, siano esse piacevoli o spiacevoli, mi appartengono e so che, prima o poi,
dovrò ascoltarle, accoglierle e accettarle, ma per far ciò ci vorrà molto,
molto… tempo.
Giangiuseppe Bonardi
[1]Bonardi G., (2007), “Dall’ascolto alla musicoterapia”, Progetti Sonori,
Mercatello sul Metauro (PU), pag. 23 e 51.
[2]Bonardi G., (1990), “Musica più” classe 4°, La Scuola, Brescia, pag. 21.
[3]Michels U., (1977), Atlante di musica, Sperling & Kupfer, Milano 2002,
pag. 76, 77.
[4] Michels U., op. cit. pag. 80, 81.
[5] Michels U., op. cit.pag. 79.
[6]Suoni e significati nel pensiero di Marius Schneider. Di Bonardi
Giangiuseppe - Domenica 12 aprile 2009 - Pubblicato in: Marius Schneider Da http://musicoterapie.over-blog.com/
Schneider M., (1946), Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella
mitologia e nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986, pag. 217 - 240 e la
Tavola XII allegata al testo citato.
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Lamberti Rosaria, Stupore
Pubblicato il 18 agosto 2009
Stupore
Fermai lo sguardo,
stupito di me stesso,
e colsi l’attimo
in cui sbocciò una rosa.
Svuotai la mente,
con immensa fatica,
e scoprii
l’armonia della vita.
Rosaria Lamberti
[email protected]
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Lamberti Rosaria, Sapere
Pubblicato il 16 agosto 2009
Sapere
Conoscere le scienze, la storia, la geografia e non sapere a chi affidarsi.
Triste consapevolezza di un’anima orfana e sola che mai può lasciare il suo
fardello e mai può chiedere sostegno.
Sapere di non potersi affidare proprio nei momenti più difficili e faticosi e
sperare continuamente che finiscano presto.
Sapere di dover continuare, nonostante tutto, e di non potersi fermare a
riposare.
Avere la consapevolezza che ciascuno vive la propria vita in estrema
solitudine, fino al giorno in cui non decide di lasciare che tutte le sue pene le
trasporti il vento, le sue lacrime le asciughi il sole, le sue malinconie le
abbracci la luna.
Scoprire, solo in quel momento, che la solitudine non esiste per
chi volge lo sguardo intorno a sé, aprendo le proprie porte, con
un sorriso per chiunque voglia accoglierlo.
Rosaria Lamberti
[email protected]
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Lamberti Rosaria, Nei crepacci della vita
Pubblicato il 13 agosto 2009
Nei crepacci della vita
Camminare al buio, per luoghi sconosciuti e ostili, senza sapere dove
conduce quel sentiero che hai imboccato.
Sentire impetuosa la voglia di lasciare tutto e tutti per poter ritrovare te
stesso, ormai perso nei crepacci della vita quotidiana.
Avere ancora la voglia di capire cosa ti accade per continuare a sentirti vivo,
anche se piange l’anima che è in te.
Non sapere cosa ti sarà concesso di capire eppure continuare a guardare
avanti, gli occhi fissi nel buio, con il desiderio che presto o tardi si faccia luce.
Voler fuggire lontano, nell’illusione di ritrovare un po’ di pace, ma sapere
che mai è possibile fuggire da se stessi.
Raccogliere la sfida della vita che ti chiede, ancora, di crescere e di
continuare ad essere ciò per cui hai scelto di vivere in questo istante, nel luogo
in cui ti trovi e con le persone di cui ti sei circondato.
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Forse un giorno si placherà il desiderio di avere risposte per lasciare spazio
alla pace che pervade i saggi, oppure non ti sarà dato di poterla conquistare.
Comunque sia avrai percorso il tuo tempo e la tua vita lasciando le tue
impronte ovunque tu sia passato e avrai seminato la terra dei semi che portavi
con te sin dal mattino.
Non rattristarti se per alcuni attimi ti sei fermato nel buio profondo, non
potevi far altro che attendere la forza ed il coraggio che avevi lasciato dietro di
te.
A tutti piacerebbe essere sempre pronti ma non è possibile e così ci si deve
ritrovare, davanti a se stessi, con il volto segnato dalla tensione o dal dubbio,
guardarsi intensamente e dirsi: “per oggi può andare bene anche così,
domani chissà”.
Rosaria Lamberti
[email protected]
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Bonardi Giangiuseppe, Analogie musicali… particolari
Pubblicato il 6 agosto 2009
Ripensando alle ‘musiche’ ascoltate e condivise quotidianamente con persone
diversamente abili, scopro con stupore come loro siano, di fatto, analoghe ai
“piedi metrici” greci. Sono musiche “naturali”, spesso caratterizzate
dall’espressione ritmica di un piede metrico particolare, ma elaborate ed
eseguite spontaneamente dalle persone con cui interloquisco.
‘Cellule ritmiche’ e ‘piedi metrici’ eseguiti prevalentemente.
‘Piedi metrici’ eseguiti occasionalmente.
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‘Piedi metrici’ eseguiti raramente.
Giangiuseppe Bonardi
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Lamberti Rosaria, Vivere
Pubblicato il 4 agosto 2009
Vivere
Lasciare
che il flusso della vita
ti conduca,
con amore,
là dove i tuoi passi
vogliono andare.
2 agosto 2008
Rosaria Lamberti
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Settembre
Bonardi Giangiuseppe, Modelli o metodiche musicoterapiche?
Pubblicato il 28 settembre 2009 da Musicoterapie in... ascolto
http://musicoterapie.over-blog.com/
Chiunque voglia conoscere che cosa sia la musicoterapia, ancor prima di
imbattersi in una sua chiara definizione di questa disciplina-prassi, si deve
cimentare con la conoscenza dei ‘modelli teorici di riferimento’. Sicuramente
la questione del modello teorico di riferimento adottato in musicoterapia è un
tema importante poiché ben due manuali[1] dedicano un’ampia dissertazione
al riguardo. Che cosa significa quindi per chi fa musicoterapia adottare un
modello teorico di riferimento? Manarolo rileva come sia “… fondamentale
per ogni musicoterapista essere pienamente consapevole del proprio quadro
teorico di riferimento…”[2] In questa prospettiva il ‘modello’ teorico di
riferimento è ‘un quadro teorico di riferimento’. I colleghi d’oltralpe si
chiedono come sia “… possibile definire un modello di musicoterapia con una
parola diversa da ‘scuola’, ‘metodo’ o ‘tecnica’ ?”[3] Nel tentativo di dare una
risposta al crucial quesito, i colleghi anglofoni interpellano Bruscia che
definisce ‘modello’ “… come l’approccio unico e sistematico al metodo, alla
procedura e alla tecnica basati su determinati principi”.[4] Il modello
teorico di riferimento inerisce quindi all’elaborazione e all’applicazione di un
‘approccio unico e sistematico’ congruente a ‘determinati principi’. Così a
livello nazionale il ‘modello’ teorico di riferimento è un ‘quadro’, mentre a
livello internazionale è inteso, prevalentemente, come ‘approccio’. Ci risiamo,
ancora una volta l’uso improprio di un termine che appartiene all’ambito
Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2009
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disciplinare specifico, in questo caso all’epistemologia, crea confusione. Sì, il
termine in questione è: ‘modello’. In epistemologia, il termine ‘modello’ non è
sinonimo di ‘quadro’ o ‘approccio’ ma, come afferma Porzionato, è “… un
aspetto figurativo di una teoria. Ciò significa che il modello non è la teoria,
ma ne rappresenta (raffigura) un aspetto.” [5] Il modello teorico di
riferimento è quindi la rappresentazione di una teoria? Orbene, una teoria è
“un’asserzione o una serie di asserzioni che tentano di spiegare, in modo
molto generale, un’ampia fetta di realtà.”[6] Allo stato attuale delle cose mi
chiedo se oggidì esista una teoria che ‘spieghi’ la realtà musicoterapica
esperita. Evidentemente la risposta a questa domanda ora non c’è ma potrà
derivare solamente dall’analisi di ciò che si fa in musicoterapia, poiché, come
afferma Postacchini: “… è necessario riflettere su cosa esattamente
faccia un musicoterapista… a quale teoria si ispiri …, quale sia la
descrizione del processo terapeutico, … come vengano valutati i
risultati”[7]. Comprendo appieno il desiderio di scientificità della
musicoterapia ma, di fatto, la questione dei modelli e delle teorie è per ora
prematura poiché, attualmente, la prassi musicoterapica elabora e applica, di
fatto, metodiche, ossia “specifici modi di procedere e i relativi strumenti
d’indagine…”[8] per raggiungere il fine prefissato, ovvero la soluzione di un
problema. In musicoterapia, pertanto, ci sono, di fatto, metodiche;
alcune storicamente definite (i ‘modelli’) e altre che sono in via di
elaborazione, di definizione e di ‘legittimazione’. Una metodica è
ispirata da un orientamento teorico di riferimento, sintetizzato in
una definizione, da cui ne deriva un metodo, ossia un percorso
scelto per raggiungere il fine dichiarato teoricamente, unitamente
ai mezzi adottati per raggiungerlo. Solamente l’analisi delle differenti
metodiche esistenti renderà possibile, in un futuro, l’individuazione della
dimensione scientifica della prassi musicoterapica in cui sia possibile
rintracciare in essa: lo spirito del tempo (zeitgeist), la visione del mondo
(weltanschauung), il paradigma, la teoria, il modello, la legge, le ipotesi che la
ispirano rendendola viva e vitale. Per il momento è bene elaborare e
confrontare metodiche musicoterapiche differenti al fine di
affinare uno spirito alto, volto al dialogo dei diversi modi di fare e
intendere la musicoterapia, nella piena consapevolezza che la
propria metodica può essere idonea ed efficace con determinate
persone, ma ne può esistere un’altra altrettanto adeguata o, con
altri soggetti, è opportuno utilizzarne una maggiormente idonea e,
se non c’è, forse è il caso di inventarne una nuova.
Giangiuseppe Bonardi
[email protected]
[1] Wigram T., Pedersen N. I., Bonde O. L. , (2002), Guida generale alla
musicoterapia, ISMEZ, Roma 2003. Manarolo G., (2006), Manuale di
musicoterapia, Cosmopolis, Torino.
[2] Manarolo G., (2006), Manuale di musicoterapia, Cosmopolis, Torino, pag.
27.
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[3] Wigram T., Pedersen N. I., Bonde O. L. , (2002), Guida generale alla
musicoterapia, ISMEZ, Roma 2003, pag. 101.
[4] Wigram T., Pedersen N. I., Bonde O. L. , op. cit. pag. 101.
[5] Porzionato G., (1993), Lineamenti di metodologia della ricerca scientifica
in ambito musicale, Quaderni della SIEM n 4, Ricordi, Milano, Pag. 78.
[6] Porzionato G., Op. cit., pag. 78.
[7] Postacchini P. L., (2006), Criteri per un’analisi musicale in
musicoterapia, in Clarkson G., (1998), Ho sognato di essere normale,
Cittadella Editrice, Assisi 2006, pag. 154.
[8] Porzionato G., Op. cit., pag. 82.
Con tag Riferimenti teorici di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Bonardi Giangiuseppe, Dvořák letto con gli “occhi” di… Schneider!
Pubblicato il 21 settembre 2009 da Musicoterapie in... ascolto
http://musicoterapie.over-blog.com/
Sono sempre stato catturato da eventi musicali caratterizzati da disegni
melodici chiaramente definiti, che si imprimono con accattivante facilità nella
memoria, evocando negli ascoltatori risposte emotive spesso contrastanti. Tra
le molteplici musiche che ascolto, la mia attenzione analitica ricade ora sul
‘Largo’, il secondo movimento della 9° sinfonia di Anton Dvořák.
Gestalticamente preminente, la melodia cattura, seduce l’attenzione
dell’ascoltatore poiché i suoni delineano una vera e propria figura che si
staglia sullo sfondo armonico orchestrale… delicatissimo e a tratti, poco
percettibile. Una melodia che appare e si inabissa nelle trame armoniche,
riemergendo innumerevoli volte[1]. In particolare, le altezze, formanti il tema
iniziale, sono eseguite dal corno inglese (strumento traspositore) e, mentre lo
strumentista legge le note:
l’ascoltatore percepisce in realtà gli stessi suoni, trasportati una quinta sotto
le note eseguite dall’orchestrale.
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Nella seducente chiarezza esecutiva, l’andamento danzante dei suoni,
ammiccante al giambo greco, delinea un affascinante “mosaico acustico”
formato da effimere e rilucenti “tessere melodiche” che, magicamente
concatenate ad altre, rendono possibile la giustapposizione di tensioni e
digradanti rilassamenti, creando un caleidoscopico gioco di rimandi acustici
che svela la dinamica ritmica della melodia che ruota intorno al fa (modale),
ossia a un suono equidistante dal la bemolle (dominante), evocante
apprensione, e il re bemolle (tonica) che intona la momentanea presenza della
quiete. Come tessere di un “mosaico acustico”, l’equilibrio/tensione e
l’equilibro/rilassamento si succedono l’uno dopo l’altro descrivendo
frammenti melodici affini che formano un particolare profilo composto da
tratti discontinui evocanti altipiani, piani inclinati, archi, ingressi; disegni
fonici
giustapposti
e,
inspiegabilmente,
interconnessi.
La breve composizione,
dall’agogica
lenta
che
oscilla tra il “largo” e “un
poco
mosso”,
è
ampiamente caratterizzata
dalla presenza di una
debole intensità, spesso
tendente al piano. Il
tempo, in 4/4, organizza il
ritmo nella più classica e tranquillizzante scansione metrica a suddivisione
binaria. Solamente alla 34° misura il tempo è modificato in 2/4 per poi essere
ripreso immediatamente alla 35° battuta. La tonalità iniziale del movimento è
re bemolle maggiore, mentre la sinfonia è scritta nella tonalità di mi minore,
modulando in do# minore (46° battuta), do# maggiore (90° battuta),
concludendo il movimento nella tonalità di re bemolle maggiore (101°
battuta).
Il senso dei suoni
Ancora una volta un’analisi musicale classica
delinea alcuni aspetti formali dell’evento preso in
esame, ma non rileva i possibili percorsi di senso.
Rileggo ora l’evento con il contributo del pensiero
schneideriano e mi rendo conto che il discorso
musicale gravita armonicamente intorno alla
“zona si-fa[2]” (fa#, do#, sol#): un’area mistica
(cielo) in cui si realizza il “sacrificio di se
stessi[3]”, la “morte[4]”… spirituale e,
fatto singolare, i temi trascendenti risuonano nitidamente nelle altezze che
formano il profilo melodico ed evolvono sulle note formanti la linea “si-fado[5]”, ossia “morte, purificazione, resurrezione[6]”.
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Chiavi di lettura
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I suoni della melodia diventano ora le chiavi
di lettura del mio percorso di senso
analogico e, al fine di facilitare la
comprensione
della
mia
proposta
interpretativa, indico con il carattere corsivo
il significato attribuito dal pensatore
alsaziano, mentre con il carattere normale
individuo i possibili contenuti affini.
Fa = ardore (mare di fiamme) =
divampa, brucia, con entusiasmo, risplendente, lucente.
Lab = Sol#= morte = angoscia, tormento, inquietudine, dolore,
sofferenza,
Mib = resurrezione = rinascere, rinascita, riemergere, nuova vita,
desiderio di rinnovarsi.
Reb = Do# = sacrificio di se stessi = dono di se stessi.
Percorsi di senso
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Giangiuseppe Bonardi
[1]La melodia iniziale (battute 7° - 10°), oserei dire cantabile, é leggermente
ampliata dal corno inglese e dai clarinetti (misure 11° - 18°) per poi esser
ripresa dagli archi (misure 27° - 29°). Poco prima del cambio di tonalità in do
diesis minore, eccola riapparire nella 36° misura nuovamente suonata dal
corno inglese e, dalla 38° battuta, dal fagotto.
Quasi al termine del movimento, il corno inglese (101° misura) prima e,
leggermente variato dai violini (dalla 105° alla 113° misura) poi, ripropongono
il cantabile profilo melodico.
[2] Tavola XII allegata al testo di Schneider M., (1946), Gli animali simbolici
e la loro origine musicale nella mitologia e nella scultura antiche, Rusconi,
Milano 1986.
[3] Tavola XII, op. cit.
[4] Tavola XII, op. cit.
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[5] Schneider M., (1946), Gli animali simbolici e la loro origine musicale
nella mitologia e nella scultura
antiche, Rusconi, Milano 1986, pag. 240-249.
[6] Tavola XII, op. cit.
Con tag Il senso del musicale in musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Ottobre
Bonardi Giangiuseppe, Musicoterapia o… musicoterapie?
Pubblicato il 29 ottobre 2009 da Musicoterapie in... ascolto http://musicoterapie.overblog.com/
Sebbene datato, il pregevole libro del Dott. Bruscia[1], il maggior
‘epistemologo’ della musicoterapia internazionale, presenta ben quarantadue
definizioni di musicoterapia ufficialmente accreditate dalle associazioni di
categoria, sparse nel globo, ossia…
« Alley
La musicoterapia nelle scuole è l’uso funzionale della musica,
per accompagnare i progressi specifici dell’alunno in ambito
accademico, sociale, motorio o linguistico.
La musicoterapia per bambini speciali si occupa dei
comportamenti inappropriati o delle disabilità e delle funzioni
come servizio collegato, di supporto, che aiuta i bambini
handicappati a trarre beneficio dall’educazione speciale”
(1979, p.118)[2].
Alvin
“La musicoterapia è l'uso controllato della musica nel
trattamento, nella riabilitazione, nell’educazione e nella
preparazione di bambini ed adulti che soffrono di disturbi
fisici, mentali o emotivi” (1975 p.4)[3].
Associazione dei Musicoterapeuti Professionisti della Gran
Bretagna
“La musicoterapia è una forma di trattamento in cui si
instaura un mutuo rapporto fra paziente e terapeuta, che
permette il prodursi di cambiamenti nella condizione del
paziente, e l’attuazione della terapia.
Il terapeuta lavora con una varietà di pazienti, sia bambini che
adulti, che possono avere handicap emotivi, fisici, mentali o
psicologici.
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Attraverso l’uso della musica in maniera creativa in ambito
clinico, il terapeuta cerca di stabilire un’interazione,
un’esperienza ed un’attività musicale condivise che portano al
perseguimento degli scopi terapeutici determinati dalla
patologia del paziente.” (Pamphlet dell’Associazione intitolato
“Una carriera in Musicoterapia”)[4].
Associazione Australiana di Musicoterapia
La Musicoterapia è “l’uso pianificato’ della musica per
raggiungere gli obiettivi terapeutici con bambini ed adulti che
hanno speciali esigenze a causa di problemi sociali, emotivi,
fisici, o intellettuali” (Pamphlet dell’Associazione)[5].
Bang
“La musicoterapia è l’applicazione controllata di attività
musicali organizzate in modo speciale con l’intenzione di
favorire lo sviluppo e la cura durante il trattamento, l’educazione e la riabilitazione di bambini ed adulti con handicap
motori,
sensoriali
o
emozionali...
Lo
scopo
del
musicoterapeuta è centrato sul cliente, e non comincia dalla
musica” (1986, p.20)[6].
Barcellos
“La musicoterapia è l’uso della musica e/o dei suoi elementi
integrali come oggetto
intermediario di una relazione che
permette lo sviluppo di un processo terapeutico, mobilizzando
reazioni
bio-psicosociali
nell’individuo
allo
scopo
di
minimizzare i suoi problemi specifici e di facilitare la sua
integrazione/reintegrazione in un ambiente sociale normale”
(1982, p.2-3)[7].
Benenzon
“Da un punto di vista scientifico, la musicoterapia è un ramo
della scienza che tratta lo studio e la ricerca del complesso
suono-uomo, sia il suono musicale o no, per scoprire gli
elementi diagnostici e i metodi terapeutici ad esso inerenti.
Da un punto di vista terapeutico, la musicoterapia è una
disciplina paramedica che usa il suono, la musica e il moviMusicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2009
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mento per produrre effetti regressivi e per aprire canali di
comunicazione che ci mettano in grado di iniziare il processo
di preparazione e di recupero del paziente per la società”
(1981, p.3)[8].
Bonny
“La musicoterapia si può definire come l’applicazione
sistematica della musica condotta dal musicoterapeuta per
produrre cambiamenti nella salute emotiva e/o fisica della
persona.
Come tale, vengono enfatizzati i suoi aspetti funzionali
piuttosto che quelli estetici e di intrattenimento” (1986,
p.4)[9].
Boxill
“La musicoterapia è un amalgama di musica e terapia.
Quando la musica, in quanto agente del cambiamento, è
utilizzata per stabilire una relazione terapeutica, per favorire
la crescita e lo sviluppo della persona, per assisterla nella
realizzazione di sé, il processo è musicoterapia.
Ampliando la definizione, la musicoterapia è l’uso della musica
come strumento terapeutico per il ristabilimento, il
mantenimento e il miglioramento della salute psicologica,
mentale e fisiologica, e per l’abilitazione, la riabilitazione e il
mantenimento delle capacità comportamentali, evolutive,
fisiche e sociali - il tutto all’interno del contesto di una
relazione
cliente-terapeuta
(1985,
p.5)[10].
Bright
“La musicoterapia è l’uso pianificato della musica per
migliorare la funzionalità nel suo ambiente di un individuo o di
un gruppo di clienti che hanno bisogni sociali, intellettuali,
fisici o emotivi di speciale natura. La musicoterapia è
esercitata da un musicoterapeuta preparato che lavora
all’interno
di
un’équipe
clinica"
(1981,
p.1)[11].
Bruscia
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La musicoterapia è un processo interpersonale che coinvolge
il terapeuta ed il cliente in certe relazioni di ruolo, ed in una
varietà di esperienze musicali, tutte designate ad aiutare i
clienti a trovare le risorse necessarie per risolvere i problemi,
e ad aumentare il loro potenziale di benessere (1984b)[12].
Bruscia
“La musicoterapia è un processo interpersonale in cui le
esperienze musicali vengono usate per migliorare, mantenere
o ristabilire il benessere del cliente” (1986, p.1)[13].
“La musicoterapia è un processo finalizzato in cui il terapeuta
aiuta il cliente a migliorare, mantenere o ristabilire uno stato
di benessere, usando esperienze musicali e le relazioni che si
sviluppano
loro
tramite
come
forze
dinamiche
di
cambiamento”
(1987a,
p.5)[14].
Associazione Canadese di Musicoterapia
La musicoterapia è “l’uso della musica per favorire
l’integrazione fisica, psicologica ed emotiva dell’individuo, e
l’uso della musica nella cura di malattie e disabilità. Può
essere applicata a tutti i gruppi di età, in una varietà di ambiti
di cura. La musica ha una qualità non-verbale ma offre
un’ampia possibilità di espressione verbale e vocale.
Come membro di un’équipe terapeutica, il Musicoterapeuta
professionista partecipa all’accertamento dei bisogni del
cliente, alla formulazione di un approccio e di un programma
individuale per il cliente, e poi offre specifiche attività
musicali per raggiungere gli scopi.
Valutazioni regolari accertano ed assicurano l’efficacia del
programma.
La natura della musicoterapia amplifica l’approccio creativo
nel lavoro con gli individui handicappati.
La musicoterapia fornisce un approccio umanistico possibile
che riconosce e sviluppa le risorse interne del cliente spesso
non sfruttate.
I musicoterapeuti desiderano aiutare l’individuo per spingerlo
verso un migliore concetto di sé, e, nel senso più ampio, per
far conoscere ad ogni essere umano le proprie maggiori
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93
potenzialità" (Da un opuscolo intitolato “Sulla Musicoterapia”)[15]
Carter
“La musicoterapia è l’applicazione scientifica della musica o
delle attività musicali per raggiungere obiettivi terapeutici.
La musicoterapia si può anche definire come l’uso strutturato
della musica per apportare nel comportamento i cambiamenti
desiderati” 1982, p. 5)[16].
Codding
“La musicoterapia è l’applicazione scientifica della musica e
delle capacità del terapeuta per apportare i cambiamenti
desiderati nel comportamento umano... La struttura fornita
dall’ambiente terapeutico, ed il rapporto tra terapeuta e
bambino, bambino e suoi pari, facilita l’apprendimento delle
necessarie capacità vitali.
I bambini possono apprendere capacità che facilitano
l’effettiva funzionalità emotiva, sociale, comunicativa ed accademica
nel
tempo”
(1982,
p.
22)[17].
Colon
La musicoterapia è lo studio scientifico che impegna nella
ricerca e nell’analisi del complesso mondo sonoro-musicale
che ogni essere umano ha al suo interno, con l’obiettivo di
ottenere positivi cambiamenti nella sua condotta (Bruscia,
1984a, p.15)[18].
Fleshman & Fryear
La musicoterapia è l’uso della musica" in ambito terapeutico,
per
influenzare
cambiamenti
nei
sentimenti
e
nel
comportamento del cliente” (1981)[19].
Associazione Francese di Musicoterapia
La musicoterapia è “l’uso di suoni e musica in una relazione
psicoterapeutica” (Bruscia, 1984a, p.16)[20].
Guaraldi
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La musicoterapia è l’uso di “attività musicali attive e passive
per aiutare nella risocializzazione adulti o bambini con vari tipi
di handicap che limitano le loro esperienze relazionali o
sociali...”
(Bruscia,
1984a,
p.
17)[21].
Hadsell
La musicoterapia è “l’uso delle proprietà e delle potenzialità
uniche della musica in una situazione terapeutica allo scopo
di cambiare il comportamento umano così che l’individuo
malato sia più capace di agire come membro valido della
società odierna e futura” (1974, p. 114)[22].
Kenny
“La musicoterapia è un processo e una forma che combina gli
aspetti curativi della musica con le questioni inerenti le
necessità umane per il bene dell’individuo e quindi della
società.
Il musicoterapeuta serve da persona e da guida, che fornisce
esperienze musicali che conducono il cliente verso la salute e
il benessere” (1982, p.7)[23].
Regione Medio-Atlantica di Musicoterapia: Associazione
Nazionale di Musicoterapia
“La musicoterapia è l’uso strutturato della musica come
processo creativo per sviluppare e mantenere il massimo
potenziale umano.
La musicoterapia viene usata con successo nei campi dello
sviluppo delle capacità di comunicazione sociale, motoria, del
progresso accademico, e della gestione del comportamento.
Utilizzando gli
obiettivi
rieducativi, la musicoterapia
contribuisce a favorire le funzionalità ottimali attraverso una
varietà di esperienze” (da un opuscolo intitolato “La
Musicoterapia per la Salute Mentale”)[24]
Munro & Mount
“La musicoterapia è l’uso controllato della musica, dei suoi
elementi e della loro influenza sull’essere umano per favorire
l’integrazione fisiologica, psicologica ed emotiva dell’individuo
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durante la cura di una malattia o di una disfunzione” (1978, p.
1029)[25].
Associazione Nazionale di Musicoterapia[26]
La Musicoterapia è “l’uso della musica nella realizzazione
degli scopi terapeutici: il ristabilimento, il mantenimento e il
miglioramento della salute mentale e fisica.
È l’applicazione sistematica della musica, diretta dal
musicoterapeuta in un ambito terapeutico, per portare i
cambiamenti desiderati nel comportamento.
Tali cambiamenti permettono all’individuo di affrontare la
terapia per arrivare ad una maggiore comprensione di sé e del
mondo intorno a lui, e di ottenere quindi un più adeguato
adattamento alla società.
Come membro della squadra terapeutica il musicoterapeuta
professionista
prende
parte
all’analisi
dei
problemi
dell’individuo e alla formulazione degli obiettivi del piano
generale di trattamento, prima di progettare ed elaborare
specifiche attività musicali.
Valutazioni periodiche vengono fatte per determinare
l’efficacia delle procedure impiegate. (da un opuscolo
intitolato “Una carriera nella Musicoterapia”, 1980).
“La musicoterapia è l’uso specializzato della musica al
servizio delle persone con bisogni riguardanti la salute
mentale, fisica, di abilitazione, riabilitazione o di educazione
speciale... lo scopo è quello di aiutare gli individui ad ottenere
e mantenere i loro massimi livelli di funzionalità.” (da Gli
Standard di Pratica Clinica della NAMT 1983).
La musicoterapia è l’applicazione scientifica dell’arte della
musica per raggiungere obiettivi terapeutici.
È l’uso della musica e del sé del terapeuta per influenzare i
cambiamenti nel comportamento (1960, opuscolo intitolato
“Musicoterapia come Carriera”).
Unione Nazionale delle Associazioni delle Terapie dell’Arte
“La musicoterapia è l’uso della musica come strumento
terapeutico creativo e strutturato per migliorare e mantenere
le capacità di comunicazione, di socializzazione, di sviluppo e
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di funzionalità motoria, di impiego sensoriale e nelle aree
cognitiva ed affettiva (opuscolo della NCATA)[27].
Società Neozelandese di Musicoterapia
“La musica è uno strumento potente ed utile per stabilire
comunicazioni con i bambini e con gli adulti nell’aiutarli ad
imparare e a ri-imparare in ambito intellettivo, fisico, sociale
ed emotivo.
Tutto ciò prevede l’uso della musica a scopo di prevenzione e
di riabilitazione.
La musica così usata in una varietà di situazioni sia
individualmente che a gruppi è nota come MUSICOTERAPIA”
(Bruscia, 1984a, p.16)[28].
Odell
“La musicoterapia nel campo della salute mentale è l’uso della
musica come mezzo alternativo di comunicazione ed
espressione laddove le parole non siano necessariamente il
modo più efficace per soddisfare gli obiettivi terapeutici per il
cliente.
Si procede verso questi obiettivi attraverso un rapporto che si
instaura tra cliente e terapeuta con l’elaborazione pratica di
musica come mezzo principale...
Alcuni obiettivi comuni in musicoterapia sono: incoraggiare la
motivazione, fornire lo spazio per l’esplorazione dei
sentimenti, sviluppare le capacità sociali, la consapevolezza
di sé e degli altri, e la stimolazione del movimento attraverso
l’improvvisazione e la creazione spontanea di musica" (1988,
p.52)[29].
Orff
“La musicoterapia di Orff è una terapia multi-sensoriale.
L’utilizzo del materiale musicale - linguaggio fonetico-ritmico,
ritmo libero e metrico, melodia nel linguaggio e nel canto,
capacità di maneggiare gli strumenti - è organizzato in modo
tale da indirizzarsi a tutti i sensi ...” (1980, p.9)[30].
Paul
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“La musicoterapia è una scienza del comportamento e
un’esperienza estetica che utilizza la musica come strumento
per apportare cambiamenti positivi nel comportamento
umano.
Questi cambiamenti comprendono quelli educativi come
anche quelli riabilitativi, sociali o emotivi” (1982,p.3)[31].
Peters
La musicoterapia è “l’uso prescritto, strutturato della musica
o delle attività musicali sotto la direzione di personale
opportunamente preparato (ad es. musicoterapeuti) per
indurre cambiamenti in situazioni o in modelli di
comportamento maladattivi, aiutando quindi i clienti a
raggiungere gli scopi terapeutici” (1987, p.5)[32].
Plach
La Musicoterapia di gruppo è “l’uso della musica o delle
attività musicali come stimolo per promuovere nuovi
comportamenti e per esplorare predeterminati obiettivi individuali o di gruppo all’interno di una situazione di gruppo”
(1980, p.4).
I quattro vantaggi di usare la musica sono la sua capacità di:
richiamare sentimenti, fornire uno strumento espressivo,
stimolare la verbalizzazione e disporre un comune punto di
partenza.
Priestley
“La Musicoterapia Analitica è l’uso simbolico della musica
improvvisata dal musicoterapeuta e dal cliente per esplorare
la vita interiore del cliente ed offrire una spinta alla crescita.”
Non è una lezione di musica, né psicoanalisi, o una terapia
magica che mette il terapeuta o il paziente in condizione di
superare tutti i problemi; è piuttosto una forma di trattamento
come qualsiasi altra con i propri limiti e controindicazioni
(1980, p. 6-7)[33].
Rudenherg
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La musicoterapia è “l’uso della musica e delle attività
collegate alla musica sotto la supervisione di individui
professionalmente preparati (ad es. il musicoterapeuta) per
aiutare il cliente o il paziente a raggiungere un determinato
obiettivo terapeutico” (1982, p.1)[34].
Schmolz
“... prendendo in considerazione il livello di psicopatologia e di
personalità del paziente, la musicoterapia si prefigge di
trasformare e/o di influenzare certi aspetti della personalità
con mezzi musicali atti allo scopo, all’interno di un piano di
cura multi-medicale e/o di educazione speciale.
Questa musicoterapia integrata (non viene mai eseguita da sola) arricchisce dunque le possibilità terapeutiche non-verbali,
sia nella musicoterapia individuale che di gruppo” (Bruscia,
1984a, p.17)[35].
Schorner
“La musicoterapia può esser definita come l’applicazione della
musica allo scopo di apportare una condizione di benessere in
un individuo” (1973, p. 95)[36].
Sekeles
La musicoterapia è “l’uso diretto del suono e della musica allo
scopo di: supportare l’osservazione diagnostica tramite
specifici strumenti; favorire cambiamenti significativi
nell’organismo umano e migliorare lo stato psico-fisiologico;
sviluppare l’espressione musicale, che si presume essenziale
per una vita salubre.” (Bruscia, 1985, p. 10)[37].
Istituto Sudafricano
La musicoterapia è “l’uso pianificato della musica per
produrre effetti terapeutici” (Bruscia, 1984a, p.18).[38]
Supervisori di Musioterapia della Pennsylvania Sudorientale
“La musicoterapia è il processo attraverso cui gli elementi
dell’esperienza
musicale
vengono
applicati
in
modo
propositivo e sistematico per stabilire, migliorare e modificare
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le specifiche funzioni cognitive, emotive, fisiche e sociali, che
sono cruciali per lo sviluppo dell’individuo atipico” (da
“Standard di Pratica”)[39].
Steele
“La musicoterapia, come è praticata nei centri di assistenza, è
la strutturazione dell’apprendimento della musica e delle
esperienze di partecipazione, allo scopo di modificare modelli
inappropriati di comportamento e processi inefficaci
d’apprendimento.
La musica è usata in terapia come rinforzo, come ulteriore
stimolo uditivo, come esperienza di apprendimento della
musica, e come occasione per modificare i comportamenti
non-musicali” (1977, p. 102-103)[40].
Associazione Svedese di Musicoterapia
La musicoterapia è “l’uso della musica in campo educativo e
terapeutico allo scopo di fornire possibilità di crescita e
sviluppo ad individui con problemi psichici, fisici e sociali”
(Bruscia 1984a, p. 17)[41]
Associazione Uruguayana di Musicoterapia
La musicoterapia è “una carriera paramedica con principi
scientifici che comprende non solo gli aspetti terapeutici, ma
anche quelli diagnostici e relativi alla profilassi.
In questo processo abbiamo il paziente e il musicoterapeuta in
una determinata situazione con una struttura fissa, in cui
esiste un’integrazione dinamica per mezzo di uno stimolo
sonoro.
Il musicoterapeuta, lavorando con il gruppo utilizza stimoli
musicali sonori per stimolare i pazienti con problemi fisici,
psichici o psicosomatici, e osserva i cambiamenti inertici in
ciò che egli fa, in ciò che dice ed esprime attraverso altri
mezzi.
Il paziente risponde agli stimoli sonori del terapeuta e
reagisce a livello di integrazione sociale, organico,
emozionale, comportamentale, comunicativo e motorio.
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Il ruolo del musicoterapeuta è quello di impiegare lo stimolo
sonoro per stimolare le risposte di una data situazione che
tenderà a produrre cambiamenti nel comportamento del
paziente che gli permetteranno di integrarsi con il proprio
ambiente” (Bruscia 1984a, p. 15)[42].
Yamamatsu
“La psicoterapia attraverso la musica-musicoterapia dovrebbe
essere principalmente una parte di un’attività educativa non
del servizio medico: essa si prefigge di scoprire e coltivare le
potenzialità del cliente, non la cura della malattia.
In altre parole cercherebbe di rendere libera l’espressione di
sé del cliente” (Bruscia, 1984a, p. 15)[43]. ».
Riflettendo sulla ricerca del Dott. Bruscia si può constatare che, a livello
mondiale non esista, di fatto, un’unica definizione di musicoterapia ma ne
esistono quindi innumerevoli: esistono quindi molteplici… musicoterapie!
Se leggiamo con attenzione i vari manuali italiani, compreso il mio, si rilevano
ulteriori definizioni, ampliando considerevolmente il quadro delle
definizioni.
Il proliferare di definizioni può creare nel neofita o nell’accademico un certo
scetticismo o, quantomeno, una sacrosanta perplessità quando cerca di
comprendere che cosa sia la musicoterapia.
Sì, la domanda è legittima: che cos’è la musicoterapia se, di fatto, ne esistono
innumerevoli?
Allo stato attuale dei fatti quindi, in musicoterapia non c’è un unico modo di
intendere e di farla per cui è necessario chiedere al professionista che la
pratica di rispondere al fatidico quesito, poiché saper «… definire la
musicoterapia è parte integrante del bagaglio culturale di un
…»[44] musicoterapista che, definendo il proprio operato, si assume in toto la
responsabilità, teorica e pratica, del proprio lavoro, sapendo bene che il
proprio modo di ‘fare’ musicoterapia non è l’unico ed esclusivo, ma uno dei
possibili.
Personalmente ritengo che la musicoterapia sia una delle pratiche
che utilizzano la musica volta ad aiutare (terapia) la persona a
riattivare il processo relazionale ridotto o interrotto mediante la
sua musica (musica) agita, ascoltata e condivisa.
Giangiuseppe Bonardi
[1]Bruscia K., (1989), Definire la musicoterapia, ISMEZ , Roma 1993, pp. 129-135.
[2]Alley J. (1979), La musica nella IEP: Educazione terapeutica. journal of music
tberapy, 16.
[3]Alvin J. (1975), Music therapy (Edizione tascabile aggiornata). Londra: John Clare
Books.
Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2009
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101
[4]Associazione dei Musicoterapeuti Professionisti della Gran Bretagna (APMT)
(1982). Una carriera nella musicoterapia. Fulborn, Cambridge: Author.
[5]Associazione Australiana di Musicoterapia (AMTA). (1984). Definizione di
musicoterapia. In K. Bruscia (Ed.), International newsletter of music therapy,
Volume 2. Philadelphia, PA: Associazione
Americana di Musicoterapia, p.16.
[6]Bang, C. (1986). Un mondo di suono e di musica. La musicoterapia e la terapia del
linguaggio
musicale con bambini non udenti e handicappati multipli. In E. Ruud (Ed.), Music
and health.
Oslo, Norvegia: Norsk Musikforlag. p. 19-36.
[7]Barcellos L. (1982), La musica come elemento terapeutico. Documento presentato
al Primo Simposio Internazionale su Musica e Uomo. New York University, Giugno
1982, New York City.
[8]Benenzon, R. (1981). Music therapy manual. Springfield, IL: Charles C. Thomas
Publishers.
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[22]Hadsell N. (1974). Una teoria ed un approccio sociologico alla musicoterapia con
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Associazione nazionale di Musicoterapia (NAMT) (1983), Modelli di pratica clinica,
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[28]Società neozelandese di Musicoterapia. (1984). Definizione di musicoterapia. In
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[31]Paul, D. (1982). Music therapy far handicapped children: Emotionally disturbed.
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[32]Peters J.S., (1987). Music therapy: An introduction. Springfield, IL: Charles C.
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Traduzione inglese dal tedesco. Stoccarda, Germania: Klett-Cotta.
[34]Rudenberg, M., (1982), Music therapy for handicapped children: Orthopedically
handicapped. Washington Dc: Associazione nazionale di Musicoterapia.
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[36]Schomer, M., (1973), Un programma di sviluppo percettivo per il
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[37]Sekeles, C., (1985), Definizione di musicoterapia. In K. Bruscia (Ed.),
International newsletter of music therapy. Volume 3. Philadelphia, PA: Associazione
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[38]Bruscia, K (1984a). International newsletter 0f music therapy. Volume 2.
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[39]Supervisori di Musicoterapia della Pennsylvania Sud-orientale, (senza data).
Manuale sui Modelli di Pratica della musicoterapia. Manoscritto non pubblicato.
[40]Steele, A., Vaughan M., & Dolan C. (1976) Programma di supporto scolastico: la
musicoterapia nei problemi di adattamento nella scuola elementare: Journal of the
American Association for Music
Therapy, 4 (1), 29-38.
[41]Bruscia, K., (1984a). International newsletter 0f music therapy. Volume 2.
Philadelphia, PA: Associazione Americana di Musicoterapia.
[42]Bruscia, K., (1984a), Op. Cit.
[43]Bruscia, K., (1984a), Op. Cit.
[44] Bruscia K. Op. cit. pag.15.
Con tag Riferimenti teorici di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Bonardi Giangiuseppe (a cura di), Musica tra le menti: il libro di Stefano
Navone
Pubblicato il 20 ottobre 2009
Navone, nella sua opera prima: Musica tra le menti, si racconta, descrivendo
la sua poliedrica esperienza musicoterapica che abbraccia la riflessione
teorica, la ricerca e la pratica clinica.
La chiarezza espositiva della prosa di
Navone conduce il lettore nel mondo
della
musicoterapia,
con
estrema
naturalezza, riuscendo ad armonizzare i
concetti teorici di riferimento con le
esperienze ben documentate.
La leggerezza espositiva permette
chiunque ad affrontare i temi complessi
inerenti all’approccio psicodinamico
sotteso alla ‘prassi musicoterapica’
dell’autore.
Così, dalla lettura iniziale in cui si
enucleano le teorie di Stern, Postacchini,
Benenzon…, Navone ci conduce alle
esperienze, trasformando i protocolli in
sintetici racconti musicali quasi volesse
far risuonare nella mente del lettore ciò
che
ha
vissuto
nel
contesto
musicoterapico e, in questo, ci riesce
benissimo.
Giangiuseppe Bonardi
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Bonardi Giangiuseppe (a cura di), Il contributo di Gilbert Rouget alla riflessione
musicoterapica.
Pubblicato il 17 ottobre 2009 da Musicoterapie in... ascolto http://musicoterapie.overblog.com/
La riflessione in merito all’adozione della musica in musicoterapia trova
ulteriori spunti di indagine nelle ricerche etnomusicologiche di Gilbert
Rouget. Nel contributo proposto in questo articolo, l’etnomusicologo francese
analizza i livelli sollecitati dall’esecuzione e dall’ascolto della musica,
toccando anche il rapporto con la malattia. Sapendo bene come sia difficile,
per noi musicoterapisti, trovare gli eventi musicali idonei al nostro lavoro, il
pensiero di Rouget può aiutarci nell’accurata scelta degli eventi musicali
poiché essi potrebbero sollecitare risposte fisiologiche, psicologiche, affettive
e… terapeutiche che dobbiamo tenere necessariamente in considerazione
quando interagiamo con i nostri assistiti.
Giangiuseppe Bonardi
“La musica, gli dèi, la malattia[1]
[…] Quali campi del sentire tocca la musica?[2].
Semplificando al massimo, possiamo dire che si è sensibili alla musica a vari
livelli: fisiologico, psicologico, affettivo, estetico.
[Piano fisiologico]
Sul piano fisiologico, se l’udito è la principale funzione sensoriale che
permette di percepire la musica, non è tuttavia l’unico canale di
percezione. Le vibrazioni musicali sono movimenti la cui ampiezza, se
riferita al corpo umano, è relativamente grande. Il movimento degli oggetti
che le generano _ o che queste imprimono agli oggetti, dato che tale azione
può esercitarsi in tutti e due i sensi _ è sempre sensibile e spesso persino
visibile, e quindi di natura direttamente materiale e concreta. Una
vibrazione musicale può essere qualcosa di palpabile. Basta toccare
la tavola armonica di un violino mentre viene suonato per sentire la
palpitazione dei suoni con la punta delle dita. Se ci si avvicina ai grossissimi
tamburi fatti risonare dagli Yoruba per le loro cerimonie segrete di oro, se
ne percepiscono le vibrazioni tanto con le orecchie quanto con il ventre. Se
invece ci si piazza accanto al piccolissimo tamburo che viene suonato
anch’esso per oro, ma la cui sottile tesissima membrana è frustata piuttosto
che battuta, prestissimo, con sottili bacchette, è tutta la testa che risuona.
Sulla tribuna di un organo in piena funzione, la musica invade il corpo
intero; il mondo trema e tutta l’atmosfera risuona. «Essere immersi nella
musica» non è una semplice metafora; accade veramente che la si
riceva fisicamente. Il vibrare della fiamma delle candele al suono
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105
dell’organo, in chiesa, è stato uno degli elementi che ha messo Louis Roger
(1748)[3] sulla strada della teoria degli effetti della musica sul corpo umano.
Il singolare uso fatto dai Tibetani della vibrazione di una pelle di
tamburo[4] deriva in fin dei conti da un’osservazione del medesimo tipo.
L’atto di soffiare nel clarinetto comporta la sensazione di movimento
dell’ancia fra le labbra. Percuotere una campana tenuta in mano fa entrare
in diretto contatto con le vibrazioni della sua parete. Scuotere un sonaglio
significa sentir vibrare il guscio della zucca sotto il cozzo dei semi. Suonare
un arco musicale o uno scacciapensieri vuol dire sentir muoversi la corda o
la linguetta sulla cavità orale. Ma non è solo l’apparato sensoriale esterno
ad entrare in gioco. Anche quello interno, fungendo da canale di trasmissione, viene sollecitato dalla musica. È infatti noto che nel parlare, e ancor più
nel cantare, si percepisce la propria voce dall’interno, ci si sente cantare. Si
sente allora vibrare, palpitare la laringe (diciamo più semplicemente il collo
o la gola). Come pure altre zone del corpo: la cavità orale, il torace e
l’addome, la regione pelvica[5]. La musica anima quindi gli oggetti e
fa insieme palpitare il corpo. […] Ci basterà sottolineare, comunque,
l’importanza del suo impatto fisico sull’ascoltatore nonché la modificazione
sensoriale della coscienza del proprio essere che questa comporta. Impatto
fisico peraltro deliberatamente ricercato dalla musica pop, che grazie all’uso
di amplificatori ottiene effetti di eccezionale violenza sonora. Dopo aver
segnalato che la potenza della musica generata da un certo musicista pop
«raggiungeva i 10000 watt» (!) e che «si poteva udire il festival di Wight
entro un raggio di 3 km», Alain Roux[6] (1973, p. 130) rileva che: Tale
potenza coinvolge direttamente il corpo, creando una partecipazione che
molti non raggiungono neppure durante l’atto sessuale. Si può resistere solo
fuggendo. Per via dell’amplificazione, la voce umana agisce sulla laringe.
[...] Le sonorità del basso elettrico (infrasuoni) provocano nell’addome
vibrazioni localizzabili in zone erogene interne. […] La ripetitività delle
melodie e i ronzii causano istantaneamente un leggero stato ipnotico. È
chiaramente a questo genere di effetti che mirano certe musiche di
possessione, come ad esempio quella dello ndöp[7]. D’altra parte, la
musica è per essenza movimento. Essa trae origine da movimenti
corporali _ cantare significa far vibrare la propria laringe, tambureggiare
comporta il movimento delle braccia, per suonare la viella si fanno scorrere
le dita lungo un manico e si strofina un archetto su una corda _ incitando di
rimando al movimento. Dal momento che, per definizione, la musica si
svolge nel tempo, i rapporti del suono con se stesso mutano costantemente
(anche se questo non varia, poiché il fatto di durare implica necessariamente
un mutamento di durata), e tali cambiamenti si inscrivono a vari livelli nello
spessore temporale. Anche sotto il suo aspetto più immateriale _ come nel
caso del suono totalmente isolato dalla sua fonte _ la musica viene
sentita come movimento che si realizza nello spazio. Evidentemente
lo è molto di più allorché la si esegue durante la danza o per la danza.
Danzare vuol dire inscrivere la musica nello spazio, cosa che avviene
attraverso una incessante modificazione dei rapporti delle diverse parti del
corpo fra di loro. La coscienza del corpo ne viene perciò completamente
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trasformata. In quanto incitamento alla danza, la musica si rivela pertanto
capace di modificare profondamente il rapporto dell’io con se stesso, in altri
termini la struttura della coscienza.
[Piano psicologico]
Sul piano psicologico, la musica influisce anche sulla percezione,
tanto spaziale quanto temporale, che si ha del proprio essere.
Analogamente al suono della parola, il suono musicale definisce lo spazio in
cui mi trovo come uno spazio abitato da uomini, nel quale vengo ad
assumere una certa collocazione. […] I rumori della natura mi informano
sui suoi movimenti, i suoni prodotti dagli uomini sulla loro presenza e la
natura di tali suoni sull’attività che stanno svolgendo […]. Sento la presenza
di uomini che stanno facendo qualcosa. I suoni che odo costellano lo
spazio e mi consentono di integrarmi in esso. Nella dimensione
temporale, la musica modifica ancor più la coscienza del proprio essere. In
quanto architettura del tempo, gli conferisce una densità diversa da quella
quotidiana, una materialità insolita o di un altro ordine. La musica indica
che qualcosa sta succedendo; che il tempo è occupato da un’azione in
svolgimento, oppure che un certo stato regna sugli esseri. Ne è un esempio il
rullo del tamburo che risuona nel circo mentre il trapezista esegue un salto
mortale. Ancora un esempio: quel rituale per l’intronizzazione di un nuovo
depositario del potere di Ogun Edeyi, dio del ferro di una certa comunità
contadina in territorio nago-yoruba. Intorno al santuario è riunita una folla
di varie centinaia di persone, venute ad assembrarsi poco alla volta al
cadere del giorno. Rumore sordo. Viavai nell’oscurità punteggiata dalle luci
delle lampade a petrolio. Man mano, senza che ce ne si renda conto, le
lampade si spengono le une dopo le altre. Buio completo. Sonnolenza. Verso
mezzanotte si ode un grido, dal santuario esce una luce che sprizza scintille e
all’improvviso risuonano i tamburi. Il loro crepitio s’impossessa del mondo.
L’universo è mutato. Qualcosa sta accadendo. Echeggeranno senza posa per
otto o dieci ore. L’alba scaccerà la notte, il giorno scaccerà l’alba, il sole
scaccerà il fresco del mattino, senza che il battito dei tamburi si sia
interrotto per un solo istante. Più esattamente, del tamburo: quel piccolo
tamburo (ne abbiamo già parlato in precedenza) che risuona anche per oro,
poggiato per terra e suonato da due tamburini posti uno di fronte all’altro,
con due altri suonatori disposti lungo un asse perpendicolare a quello dei
primi due e pronti a dar loro il cambio. Contrariamente agli altri tamburi
insieme ai quali forma la batteria, questo piccolo tamburo non «parla», e
non svolge neppure quel ruolo metronomico che così spesso hanno i piccoli
tamburi. Batte più o meno rapidamente e più o meno forte, ora frenetico,
ora sommesso; di fatto non ha una vera e propria funzione ritmica. Tutto
indica che il suo ruolo è di mantenere una certa risonanza per garantire la
continuità dell’azione, di instaurare insomma un diverso ordine di durata o,
se si preferisce, di operare una sorta di cristallizzazione del tempo. Si tratta
qui di fermare il tempo, per un periodo relativamente lungo (una mezza
giornata), su di uno spazio relativamente vasto (il santuario e i luoghi
circostanti) a beneficio di un numero relativamente elevato di persone (una
ventina di protagonisti e varie centinaia di spettatori). In queste condizioni,
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la cristallizzazione del tempo non può mantenersi uniforme e attraversa
necessariamente momenti di intensificazione e di rilassamento. Ma ciò ha
poca importanza. Quel che conta è che essa non venga mai meno del tutto. A
questo livello assai elementare dell’organizzazione temporale attraverso la
musica se ne sovrappone un altro che è un'autentica architettura del tempo.
Le musiche di possessione non si servono solo, contrariamente a ciò che si
ritiene di solito, della ripetizione e dell’accumulazione. Le divise musicali
sono degli enunciati melodici o ritmici e quindi delle forme temporali,
suscettibili di variazioni e di ornamenti, che si susseguono nel corso della
cerimonia, formando delle sequenze che assolvono una funzione di
rinnovamento e di sviluppo del tempo musicale senza tuttavia intaccarne
l’unità, dal momento che i vari brani che si concatenano appartengono tutti
ad un unico genere. Trasformando pertanto in varia maniera il
modo di sentire il tempo e lo spazio, la musica modifica il nostro
«essere-nel-mondo».
[Piano affettivo]
La risonanza affettiva suscitata dalla musica _ per lo meno da certe
musiche _ in qualsiasi individuo costituisce un ulteriore aspetto dello
sconvolgimento da essa operato nella coscienza. La capacità della musica di
risvegliare associazioni emotive e di ricreare situazioni che coinvolgono
l’intera sensibilità dell’essere è unica, determinando uno stato interiore accompagnato da rapporti con il mondo in cui prevale l’affettività.
[Piano estetico]
Quando raggiunge le vette dell’arte, infine, la musica suscita un sentimento
di totale adesione dell’io a quanto sta accadendo intorno, e opera in tal senso
un’ulteriore trasformazione della struttura della coscienza, attuando un
particolarissimo rapporto dell’io con il mondo. Queste osservazioni assai
sommarie servono unicamente a ricordare che la musica modifica
profondamente e a vari livelli la coscienza di sé e del proprio
rapporto con il mondo. Tali modificazioni hanno essenzialmente a che
fare con la dimensione sensibile di questi rapporti. Vedremo come anche le
relazioni con gli dèi partecipino in parte di questa categoria.
[Una lettura antropologica della malattia]
Naturalmente non si può capire la possessione se non situandola nel quadro
delle rappresentazioni del mondo caratteristiche di una data società. Tali
rappresentazioni, a loro volta, devono essere messe in rapporto con il modo
in cui vengono vissute quotidianamente e in particolare con il modo in cui si
vive giorno per giorno, indipendentemente da ogni cerimonia, la presenza
degli dèi. Il minimo che si possa dire è che se ne hanno scarse informazioni.
Si sa, tuttavia, che nelle società di tipo arcaico, nelle quali si osservano
appunto i culti di possessione, l’individuo mantiene un costante contatto
sensoriale con la natura, e vive in un rapporto intimo con gli elementi, le
piante, gli animali. Per lui, la distinzione tra mondo animato e inanimato è
estremamente confusa. Uomini, bestie, piante, cose, tutto ha
un’anima. Ogni fenomeno lo si interpreta come il risultato
dell’azione o della presenza di un’anima e il visibile è sempre
animato dall’invisibile. In ogni oggetto, in ogni luogo familiare, in ogni
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attività quotidiana e in ogni fenomeno concreto egli riconosce la presenza di
un dio. Si è quindi in diritto di ritenere che per lui gli dèi siano esseri di cui
sente la vicinanza fisica. Questi sono all’origine, beninteso, di
rappresentazioni astratte, ma tutto indica che la loro esistenza è da lui fortemente vissuta a livello di esperienza sensibile. Aggiungiamo che, presso
parecchie società, la maggior parte delle anime che popolano l’invisibile
sono anime di morti accanto ai quali l’individuo vive talvolta fisicamente
(presso i fon e i gun, ossia nella terra dei vodun, i morti si seppelliscono
all’interno dell’abitazione) e a cui fa riferimento in ogni occasione. È noto del
resto come spessissimo egli attribuisca la malattia alla presenza di uno
spirito mal disposto verso di lui o che pretende da lui qualcosa, oppure alla
cattura della sua o di una delle sue anime da parte di uno di questi spiriti. In
tale contesto, è quindi legittimo interpretare la malattia come la
depossessione di sé da parte di un altro che succhia le proprie
forze, scinde la personalità, aliena le proprie capacità fisiche o
mentali. La malattia fisica deriva da sensazioni provenienti da
una parte ricalcitrarne del corpo _ più o meno importante, più o
meno localizzabile secondo i casi che invadono la coscienza. Per un
individuo che non concepisca il proprio corpo secondo le categorie
biologiche del mondo moderno e che non interpreti i disturbi del suo
funzionamento come alterazioni dovute ad agenti microbici o a squilibri
chimici, nulla di più naturale che vedere nella malattia il risultato di una
presenza estranea, dato che nella malattia non ci si riconosce e la parte
malata diventa un corpo estraneo, gli organi colpiti assumono un’esistenza
autonoma e sembrano abitati da una vita distinta. Sul piano mentale o
nervoso, la malattia, o solo la fatica, l’irritazione, l’ansietà, il
fastidio generano sensazioni interne confuse e moleste che
invadono la coscienza. Espressioni come «avere i nervi a fior di pelle»,
«essere in preda all’ira», essere «divorato» dalla febbre, essere «roso»
dall’impazienza _ presenti in ogni lingua e che dimostrano quindi che si
tratta di un’esperienza universale _ stanno a indicare esattamente
un’alterazione delle sensazioni corporee, una modificazione fisica dell’io, la
presenza di un essere vivente che alberga nel corpo. Nelle società di cui ci
occupiamo, tali stati interiori vengono percepiti a livello sensoriale tanto più
intensamente in quanto la vita quotidiana è soggetta al lavoro manuale, che
mantiene sveglia la coscienza del corpo. In queste condizioni, mettere in
relazione gli stati interiori con la presenza fisica di una di queste anime, di
questi spiriti o geni, di una di queste divinità insomma che popolano il
mondo esterno e ne governano tutti i fenomeni, vuol dire ascoltare il buon
senso. Un buon senso che si ricollega, tutto sommato, con la teoria comune
sul funzionamento generale del mondo. Se ne conclude che, nelle società di
cui ci occupiamo, sia il modo di sentire la musica che quello di vivere la
presenza degli dèi e di subire la malattia dipendono, sul piano della
struttura della coscienza, da un unico tipo di relazione con il mondo e con se
stessi. Ciò spiega come gli dèi, la malattia e la musica possano essere così
strettamente legati fra loro nei culti di possessione.”.
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109
[1] Rouget G., (1980), Musica e trance, Einaudi, Torino 1986, pp. 164-171.
[2] Argomento estremamente complesso la cui trattazione, per essere
esauriente, dovrebbe venire svolta a livello interdisciplinare. Per il momento
sembra che un lavoro di questo genere non sia stato ancora svolto.
Ricordiamo che l’opera di Robert Francès sulla percezione della musica
risponde a tutt'altre esigenze. Lo stesso autore ne parla infatti (Francés R.
(1958), La perception de la musique, Libraire philosophique Vrin, Paris 1972,
p. 414) come di «prolegomeni a una teoria del giudizio estetico» e afferma di
esser ricorso ai dati della psicologia sperimentale e sociale (ibid., p. 402)
senza tener conto, o quasi, di quelli forniti dalla fisiologia e senza stabilire
confronti.
[3] Carapetyan A., (1948), Music and Medicine in the Renaissance and in the
17th 18 th Centuries, in Schullian e Schoen (a cura di), Music and Medicine, p.
148.
[4] Un’antichissima forma di divinazione praticata dai Tibetani consiste nel
leggere gli spostamenti dei semi posti sulla membrana di un tamburo, causati
dalle vibrazioni di un tamburo vicino, percosso dall’indovino. Questi invoca
contemporaneamente le divinità del caso, chiedendo loro di rispondere alle
sue domande (Nebesky-Wojkowitz R., (1956), Oracles and Demons of Tibet,
Mouton, ‘s Gravenhage, pp. 457-60).
[5] Su questa topografia della sensibilità interna, cfr. Husson R., (1060) La
voix chantée, Gauthier-Villars, Paris, pp. 60 sgg.
[6] Roux A., (1973), La musique pop, in Paul Beaud e Alfred Willener,
Musique et vie quotidienne. Essai de sociologie d’une nouvelle culture, Mame,
Paris.
[7] Cerimonia di trance della zona di Dakar.
Con tag Il senso del musicale in musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Neri Simona, In ascolto dell'anima e del cuore
Pubblicato il 12 ottobre 2009 da http://musicoterapie.over-blog.com/
IN ASCOLTO DELL’ANIMA E DEL CUORE
… PENSIERI SOSPESI SUL FILO DELLE NOSTRE VIBRAZIONI…
DELLE NOSTRE EMOZIONI…
Angusti sono gli argini del cuoremisura come il marenel suo ritmo possente ed infinito
monotonia celeste
finché l’uragano lo infrange
e non appena da se stesso vede
insufficiente il suo spazio
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sconvolto il cuore impara che la calma
non è altro che un muro
di garza non violata
la spinta di un istante lo distrugge
il dubbio lo dissolve.
EMILY DICKINSON[1]
Ci sono momenti in cui anche mettersi in ascolto è assolutamente impossibile,
momenti in cui si desiderano solo attimi di silenzio e non si è disposti ad
ascoltare nessuno, nemmeno sé stessi.
Questi lunghi profondi attimi mi fanno riflettere e capire quanto io stessa
faccia fatica a mettermi in ascolto di me quando l’ascolto degli altri non è sulla
mia stessa frequenza.
Ma quale frequenza posso utilizzare?
Quale musica mi potrà aiutare?
Bonardi crede che sia ”una musica del cuore”[2] poiché ognuno di noi
percepisce qualcosa che parte da qualcos’Altro ancora più celato e intimo che
chiamiamo anima; l’anima sente questa “vibrazione” così simile a sé e la
rende propria.
Quando abbiamo una nostra musica ad un tratto ci sentiamo più forti, in essa
possiamo rifletterci, vederci e sentire tutta la felicità della nostra anima e al
contempo tutta la sua infelicità, la sua impotenza e il suo limite.
Una vibrazione che ci permette di essere gioia e dolore, felicità e tristezza,
malinconia e serenità contemporaneamente.
Così al di là delle parole che spesso ci confondono con i loro significati
diventiamo comunicazione semplice e sonora, e come definisce Borgna “noi
siamo un colloquio[3]” poiché tutto di noi è fatto per comunicare.
Così, riprendendo il pensiero di Bonardi[4], cerco di interrogarmi
costantemente sul senso della musica che utilizzo in musicoterapia poiché
questa ricerca non è un vezzo ma una necessità perché la musica diventa il
mezzo per aprire una porta lontanissima, a volte chiusa a doppia mandata che
svela il cuore e l’anima che allo stesso tempo mi coinvolge e mi sconvolge.
Perché la musica è un mezzo così ‘potente’ e così meraviglioso?
Credo che la musica ‘giusta’ risuoni e faccia risuonare le tonalità emotive mie
e dell’altro, vivendo così lo stimmung.
“… il termine Stimmung, che si vuole tradurre come TONALITA’
EMOTIVA deve essere qui svuotato da ogni significato psicologico e
restituito alla sua connessione etimologica Stimme e quindi alla sua
dimensione
acustico-musicale
(…
ossia)
una
ACUSTICA
DELL’ANIMA[5]”.
Come è possibile tradurre in parole le emozioni, le tonalità emotive che
ciascuno di noi prova ascoltando la musica ‘giusta’?
”(…) Al di là della sua inscindibilità e della sua resistenza a qualsiasi
traduzione discorsiva, la musica, questa musica, ci sottrae al dilagare
delle distrazioni mondane e all’esteriorità e ci fa ri-tornare nella nostra
Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2009
Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2009
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interiorità: NELL’AREA SCONFINATA DELLE NOSTRE EMOZIONI;
recuperandone il timbro inconfondibile e creativo.
I contenuti emozionali della musica, le risonanze emozionali e creative che
essa desta in ciascuno di noi, cambiano e si rinnovano nel contesto della
nostra diversa sensibilità e delle nostre diverse attitudini a sintonizzarsi con
essa; ma la luce abbagliante della gioia e della tristezza e della nostalgia
trapassa ogni indifferenza e ogni nostra apatia: trasformando
profondamente la nostra vita interiore e il nostro cuore, la nostra memoria e
la nostra percezione vissuta delle cose.”[6]
La musica è dunque qualcosa di impalpabile quasi inconsistente che è capace
di provocare in tutti noi evoluzioni e rivoluzioni impensabili diventa un
elemento vitale, indispensabile alla sopravvivenza umana; non a caso
Wittegestein era solito citare che il movimento lento del terzo quartetto di
Brahms lo aveva trattenuto quando si trovava sull’orlo del suicidio.
”… la musica fa dell’uomo un essere assurdo e appassionato e benché
rinnovabile lo Charme della musica gli è prezioso come lo sono l’infanzia,
l’innocenza o gli esseri cari destinati alla morte… lo charme è labile, fragile,
e il presentimento della sua caducità avvolge di una poesia malinconica lo
stato di grazia che esso suscita.” [7]
Il nostro lavoro musicoterapico quindi ci mette in stretto contatto con il
cuore, con le esigenze del nostro cuore e il cuore dei nostri assistiti,
imparando così ad ascoltare.
L’ascolto con il cuore è quindi una forma di conoscenza essenziale
complementare alla ragione; e il cuore, che non è infondo se non un’altra
immagine dell’intuizione (fenomenologica) e del conoscere ermeneutico.
L’ascolto con il cuore, come una sonda, consente di vedere la profondità
dell’anima: le sue espressioni, i suoi abissi, le sue lacerazioni possibili e le sue
increspature (Borgna).
Un ascolto quindi che si svela i possibili significati evocati dalla musica poiché
“… si presta meglio di ogni altra cosa a metaforizzare questo atteggiamento
proprio per il suo costitutivo non essere ancorata a dei significati definiti.
Per lo stesso motivo, la musica rappresenta in generale un costante invito
alla metafora.
Ogni metafora tenta di circoscriverla ma, per la sua stessa natura, che è
allusiva e antiesaustiva, non può farlo che in modo delicato e sfuggente; e
così rende al tempo stesso testimonianza alla sua inesauribile ricchezza.
La musica fornisce alla terapia molte suggestioni, che alimentano un
pensare analogico e metaforico: e questo certamente giova alla terapia
stessa, perché suggerisce di diventare più leggera e aperta.
Se l’indicibilità è l’essenza della musica, la terapia, nell’ispirarsi alla musica
per dire delle parole allusive, parole insoddisfacenti per l’intelletto
definitorio ma che nutrono la curiosità del viaggiatore, la sceglie come
madrina, una madrina elusiva,come elusiva vorrebbe essere anch’essa
l’analisi.”[8].
Il linguaggio misterioso e luminoso della musica, la sua essenza indecifrabile
e sfuggente (indicibile e ineffabile), si costituisce nondimeno come una
componente radicale della vita: della vita psichica e spirituale.
Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2009
Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2009
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Non bastano pochi secondi a rivelare tutta la malinconia o il dolore o la
felicità che le persone che incontriamo ci portano, ma dopo anni di ricerca
reciproca ecco che, nella lunga attesa, vedo apparire silenzioso e prepotente il
mio dolore, la mia malinconia e… la mia gioia.
Il condividere di entrambi (persona/terapeuta) diventa ascolto reciproco e
cammino insieme in questi momenti vivo il cambiamento poiché, con fatica,
a volte sono in sintonia, ascoltando il cuore dell’altro, accolgo il mio.
Così sono sempre maggiormente convinta che non c'è ascolto se siamo sordi
verso noi stessi poiché “scrivere ricette è la cosa più semplice al mondo;
ascoltare la gente che soffre e chiede l’aiuto del medico, è la cosa più difficile
e nobile.”[9].
Simona Neri
[email protected]
[1] Dickinson E., Tutte le Poesie, a cura di M. Bulgheroni, Mondadori, Milano
1998 e in Borgna E., Noi siamo un colloquio, Feltrinelli, Milano 2000, pag.
31.
[2] Bonardi G., (2009), Una musica del cuore, http://musicoterapie.overblog.com/
[3] Borgna E., Noi siamo un colloquio, Feltrinelli, Milano 2000.
[4] Bonardi G., (2009), M come… musica, http://musicoterapie.overblog.com/
[5] Agamben G., Il linguaggio e la morte, Einaudi, Torino 1982 e in Borgna
E., Noi siamo un colloquio, Feltrinelli, Milano 2000, pag.81.
[6] Borgna E., Noi siamo un colloquio, Feltrinelli, Milano 2000, pag. 84.
[7] Jankélévitch V., La musica e l’ineffabile, Bompiani, Milano 1998, e in
Borgna E., Noi siamo un colloquio, Feltrinelli, Milano 2000, pag. 84.
[8] Romano A., Musica e Psiche, Bollati Boringhieri, Torino 1999, e in
Borgna E., Noi siamo un colloquio, Feltrinelli, Milano 2000, pag. 85.
[9] Kafka F. Aforismi, edizioni Ten, citato anche in Kranz H.,
Depressionen,Bonaschewski, Munchen- Grafeling 1970 e in Borgna E., Noi
siamo un colloquio, Feltrinelli, Milano 2000, pag.97.
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Bonardi Giangiuseppe, Tutto è terapia?
Pubblicato il 11 ottobre 2009 da Musicoterapia in... ascolto http://musicoterapie.overblog.com/
Il termine terapia oggigiorno assume il significato ambiguo di “valore
aggiunto” per cui qualsiasi bene di consumo o attività sportiva o artistica, con
l’aggiunta della parola “terapia”, è considerata migliore di altre perché… fa
bene! In questa prospettiva il ‘mezzo’ è terapeutico in sé. In realtà il
termine terapia deriva dall’etimo greco “therapeía” (θεραπεία)
che significa assistere, curare. Il termine terapia si riferisce quindi non
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al ‘mezzo’ ma all’atto di assistere, curare, ossia all’attività compiuta da una
persona nei riguardi di un’altra. Il ‘mezzo’ utilizzato non ha alcuna proprietà
terapeutica in sé ma può acquistare una valenza d’aiuto se facilita una
specifica persona a migliorare il proprio stato psicofisico. È opportuno
ribadire quindi che non esiste una musica terapeutica in sé ma può
esistere un evento musicale specifico che aiuta, di fatto, la persona
a star meglio poiché è il singolo che stabilisce un rapporto
intersoggettivo significativo con quel particolare fatto musicale. È
quindi la ricerca e l'adozione di quell’evento musicale specifico che orienta il
nostro modo di rapportarsi con l’altro in senso terapeutico. Assistere è
un’attività che richiede quindi una paziente ricerca-ascolto della persona,
considerandola come il ‘vero’ soggetto della nostra attività terapeutica.
Giangiuseppe Bonardi
[email protected]
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Bonardi Giangiuseppe, M come... musica
Pubblicato il 3 ottobre 2009
Interrogarsi sul senso del termine musica in musicoterapia non è un mero
vezzo intellettuale ma è una necessità. Una riflessione obbligata in merito ad
un ‘argomento’ cruciale che costituisce il cuore del processo musicoterapico
giacché, di fatto, utilizziamo eventi musicali, ascoltati, agiti e/o improvvisati
per ottenere il fine terapeutico prefissato. Ma cosa significa il termine
musica? “È interessante osservare che nessuna lingua antica possedette un
vocabolo perfettamente rispondente al concetto di musica modernamente
inteso, cioè come arte di combinare e coordinare variamente nel
tempo e nello spazio i suoni, prodotti da voci o da strumenti e
ordinati in strutture quantificate secondo l’altezza, la durata,
l’intensità. Infatti, al di fuori dell’area colta europea la musica intesa
come «organizzazione umana del suono» (J. Blacking) e il musicale,
ossia «il sonoro costruito e conosciuto da una cultura» (J. Molino),
risultano sempre così intimamente correlati alla sapienza cosmologica e alla
narrazione mitologica, e funzionali ai momenti salienti della vita sociale (riti
di passaggio, celebrazioni calendariali ecc.) da non essere concepibili come
«cosa in sé». La musica come autonoma espressione estetica
sembra quindi appartenere al solo Occidente, che del resto non
l’intese con chiarezza come tale se non a partire dal tardo
Settecento.”[1] Grazie quindi all’etnomusicologia, il concetto di
musica non è inteso solamente dal punto di vista estetico ma soprattutto da
quello antropologico; viene così rilevata l’importanza del contesto culturale
che elabora e definisce la musica “… come una pratica…”, ossia “… ogni
fenomeno sonoro ad essa associato non riducibile al linguaggio
(…) e che presenti un certo livello di organizzazione ritmica o
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melodica…”[2]. Così possiamo considerare musica anche “… i suoni che
l’uomo emette spontaneamente, sia come espressione del ritmo
interiore della propria persona, sia come imitazione dei rumori
della natura…”[3] La cosiddetta ‘musica naturale’, di schneideriana
memoria, “… non dipende né da un metro convenzionale né da un
programma estetico elaborato da una determinata cultura. Si
tratta dunque di una musica essenzialmente improvvisata, o
conforme alle manifestazioni acustiche abituali di un
individuo.”[4] Estetica, pratica o naturale, la musica quindi è una
forma espressiva creata dall’uomo per manifestare acusticamente,
nello spazio, l’organizzazione temporale del proprio sé così
ricolmo di affetti. Il problema quindi non è quello di enfatizzare i presunti
aspetti terapeutici sottesi alla musica ma saperla ascoltare, accoglierla sia
quando essa ci appartiene come ‘oggetto’ estetico a noi noto, sia quando si
tratti di un evento ‘naturale’ a noi sconosciuto. Allo stato attuale non
sappiamo, con esattezza, quale sia la musica maggiormente idonea
a sortire un effetto terapeutico; sappiamo che gli eventi musicali
cari alla persona e le sue improvvisazioni canore e/o strumentali,
sono i soli ‘mezzi’ che abbiamo a disposizione per interloquire con
lei.
Giangiuseppe Bonardi
[1] AA. VV., (2006) Musica, Enciclopedia tematica Vol. 16, RCS, Milano 2006,
pag. 569.
[2] Rouget G., (1980), Musica e trance, Einaudi, Torino 1986, pag. 91.
[3] Schneider M., (1970), Il significato della musica, Rusconi, Milano, pag.
97.
[4] Schneider M., (1970), Op. Cit., pp. 96, 97.
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Novembre
Bonardi Giangiuseppe, L’essenza della ‘musica’ è in ogni cosa
Pubblicato il 19 novembre 2009
L’opera di Marius Schneider[1], a più riprese, delinea una precisa concezione
musicologica: qualsiasi fenomeno che percepiamo ha un’essenza
acustica, perciò musicale. Per il pensatore alsaziano gli eventi, le persone,
gli animali e le cose, hanno e sono ‘materializzazioni’ di una primaria sostanza
musicale. Pensare il mondo come una progressiva materializzazione di
un’originaria essenza acustica appartiene, di fatto, alla millenaria cultura
indiana di cui il pensatore alsaziano è stato un mirabile studioso ma, noi figli
dell’occidente imbevuti di razionalità fin dalla nascita, come possiamo intuire
la veridicità di un pensiero estremamente spirituale e poco dimostrabile? Al
fine di ricercare una risposta convincente è necessario rintracciare, nei
fenomeni, l’eventuale presenza della loro essenza musicale. A titolo
esemplificativo analizziamo due fenomeni alquanto differenti:
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 un componimento poetico;
 una semplice somma aritmetica.
Il punto di partenza quindi è quello di dimostrare che la poesia e la somma
aritmetica sono essenzialmente… musiche.
La poesia
Foglie d’autunno[2]
Spinte dal vento le foglie d’autunno:
danzano, scendono, salgono, volano.
Spinte dal vento le foglie d’autunno:
girano, girano, cadono, corrono.
Spinte dal vento le foglie d’autunno:
tremano, tremano, planano, posano.
Spinte dal vento le foglie d’autunno:
… dormono.
Giangiuseppe Bonardi
Ad una prima lettura del testo poetico
è difficile intravvedere
l’essenza
acustica che lo pervade ma, se lo si
analizza meglio, ecco che la musicalità
emerge prorompente, donando alla
poesia la sua essenza vitale: l’anima
acustica che la caratterizza.
La somma aritmetica
La somma aritmetica
esprime l’addizione di
quantità di cose per
cui
sembrerebbe
impossibile rintracciare in essa la sua
dimensione acustica ma, se esprimiamo
i numeri come
quantità
di…
suoni, ecco che
il freddo calcolo
aritmetico svela la sua essenza acustica,
dinamica vitale: la sua anima! Il nostro sguardo e il nostro orecchio supera
ora l’angusta visione dell’apparente staticità e freddezza dei numeri,
indicando la possibilità di scorgere la dinamicità musicale che la sottende,
così si può affermare che la matematica può diventare: «tutta un’altra
musica!».
Riflessioni... musicali
La poesia e la somma aritmetica sono fenomeni che culturalmente ci
appartengono e così ‘analizzati’ possono dischiudere la possibilità di
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intravvedere in essi l’essenza musicale che li pervade, accomunandoli
analogicamente. Rimane difficile rintracciare l’essenza musicale in altri
fenomeni ma è chiaro che questa ricerca richiede, in chi la fa, una fortissima
carica motivazionale a credere in essa, sapendo bene che l’espressività
musicale è la manifestazione acustica del proprio stato interno
(tempo) che si manifesta acusticamente nello spazio (spazio)
diventando musica. In persone gravemente compromesse sul
piano relazionale, l’espressione spontanea di piedi metrici, ossia
di ‘cellule ritmiche’, o di profili melodici maggiormente definiti
indica, inequivocabilmente, la manifestazione acustica dell’inizio
del processo di integrazione del mondo interno della persona. Un
mondo interno: ricolmo di vissuti (sensazioni corporee, emozioni,
tonalità emotive, sentimenti), di immagini analogiche e di pensieri
che faticosamente la persona inizia a organizzare. Il musicale agito
può essere quindi interpretato, ricercando, con estrema pazienza,
le chiavi di lettura che possano dischiudere i contenuti che
popolano il mondo acustico (interno) della persona, utilizzando
allo scopo il complesso pensiero schneideriano[3] che in questa
fase ci è d’aiuto.
Giangiuseppe Bonardi
[1] Per ulteriori approfondimenti si consiglia la lettura in particolare di:
 Schneider M., (1970), Il significato della musica, Rusconi, Milano
 Schneider M., (1946), Gli animali simbolici e la loro origine musicale
nella mitologia e nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986.
[2] Bonardi G., (1991), Musica più classe 5°, Editrice La Scuola, Brescia, pag.
47.
[3] Marius Schneider e la... Musicoterapia! Di Giangiuseppe Bonardi Giovedì 6 novembre 2008 - Pubblicato in: Marius Schneider - Da
http://musicoterapie.over-blog.com/
 Alla ricerca del senso del musicale in musicoterapia. Di Bonardi
Giangiuseppe - Giovedì 12 marzo 2009 - Pubblicato in:
L’interpretazione in musicoterapia - Da http://musicoterapie.overblog.com/
 A come... analogia. Di Bonardi Giangiuseppe - Giovedì 26 marzo 2009 Pubblicato in: Marius Schneider - Da http://musicoterapie.overblog.com/
 Suoni e significati nel pensiero di Marius Schneider. Di Bonardi
Giangiuseppe - Domenica 12 aprile 2009 - Pubblicato in: Marius
Schneider - Da http://musicoterapie.over-blog.com/
 Numeri e significati nella prospettiva di Marius Schneider. Di
Giangiuseppe Bonardi - Sabato 9 maggio 2009 - Pubblicato in: Marius
Schneider - Da http://musicoterapie.over-blog.com/
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Simboli e significati nella prospettiva di Marius Schneider. Di
Giangiuseppe Bonardi - Sabato 16 maggio 2009 – Pubblicato in: Marius
Schneider - Da http://musicoterapie.overblog.com/
 Strumenti musicali e significati nella prospettiva di Marius Schneider.
Di Giangiuseppe Bonardi - Mercoledì 20 maggio 2009 - Pubblicato in:
Marius Schneider - Da http://musicoterapie.over-blog.com/
 La ‘musica’ di Danilo. Di Bonardi Giangiuseppe - Mercoledì 3 giugno
2009 - Pubblicato in: L’interpretazione in musicoterapia - Da
http://musicoterapie.over-blog.com/
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Di Sabbato Daniela[1], Prime riflessioni...
Pubblicato il 16 novembre 2009
...
Piove!
Una musica melodica accompagna questo pianto universale.
Anche dentro di me piove.
Ma nulla accompagna il mio pianto, neanche le lacrime.
Sono vuota.
È come se mi vedessi dall’alto, dall’esterno, ma c’è qualcosa che mi
tiene saldamente ancorata a questo stupido corpo!
Ho voglia di USCIRE.
Vorrei volare lontano, ma sulle ali del tempo.
Mentre il mio pensiero vola sulle ali del tempo, resto seduta ai
bordi dell’aurora aspettando che il sole sorga per me!
Vorrei che il mio sogno volasse sopra ogni cosa per raggiungere
quella meta così assurda; che riuscissi per un lungo interminabile
attimo “fuggente” ad allungare le mie mani ed affondarle in
quell’impalpabile desiderio del mio cuore, per provare quella
sensazione che nei miei sogni diventa così reale che quasi mi
sembra
di
viverla
ogni
volta!
L’albero della mia vita sembrava essersi seccato.
Sembrava, ma la natura ha voluto premiare chi è sopravvissuto
alle avversità che si sono presentate.
Un giorno da quell’albero spunteranno tanti piccoli fiori profumati
che inebrieranno chiunque passi lì accanto!
Daniela Di Sabbato
[email protected]
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[1] Con queste ‘riflessioni’, la collega Daniela Di Sabbato esprime con sensibilità
poetica il suo tempo-spazio-vissuto che caratterizza la personale vita di chi, come
Lei, vive tuttora il post-terremoto aquilano.
È 'musica' ricolma di emozioni che risuonano nella mente e, soprattutto, nel cuore di
ogni lettore attento e sensibile.
Giangiuseppe Bonardi
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Di Sabbato Daniela[1], Il suono bianco del terremoto
Pubblicato il 12 novembre 2009
… un urlo squarcia il silenzio della notte...
non è umano... è la terra che grida!
È l’inizio o la fine?
Tanti tamburi, trombe e... forse corni
irrompono con forza nella mia testa.
Sono suoni a bassa frequenza, cupi...
da incubo!
La mia casa parla,
con un linguaggio da oltretomba!
«Fuori! Esci fuori! »…
Non respiro!
... Polvere bianca intorno a me!
Sono fuori;
i suoni cambiano...
Urla e pianti umani, diversi,
ma sommessi.
Bassa frequenza.
Il tempo passa...
suoni acuti che mi penetrano,
mi attraversano
come se il mio corpo non esistesse,
come se fossi aria.
Suoni acuti...
sono le sirene di ambulanze,
vigili del fuoco,
forze dell’ordine!
Quanto malessere danno!
Ancora un urlo...
della terra...
cupo...
di oltretomba...
mentre ancora tutto trema!
... é il suono della vibrazione della terra
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e di quello delle pareti che mi accompagna!
Ma quanti colori ho visto nel buio della mia camera, aggrappata
alla testata di un letto a castello che mi ha salvata!
... No nero...
ma rosso cupo,
azzurro e verde.
ll verde mi ha fatto sentire e vedere un serpente.
"Pochi" secondi e la tua vita è stravolta!
... E dopo, colori e suoni
che ti portano via come in un vortice...
seguiti da un silenzio esasperante e un
suono bianco.
Un silenzio che urla più di mille orchestre insieme,
ma sempre un silenzio bianco
e l’eco che senti è un suono bianco...
massacrante,
che ti resterà dentro per sempre!
Daniela Di Sabbato
[email protected]
[1]Ho chiesto da qualche tempo alla collega Aquilana Daniela Di Sabbato di
trascrivere ‘la musica’ dell’infernale terremoto che ha devastato il capoluogo
Abruzzese e che lei ha subito sulla propria pelle, facendoci così partecipi del
vivido ricordo del tempo-spazio da lei vissuto.
Giangiuseppe Bonardi
Con tag Di Sabbato Daniela, Riflessioni...
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Bonardi Giangiuseppe, La musica è tempo-spazio vissuto e oggettivo
Pubblicato il 10 novembre 2009 da Musicoterapie in... ascolto
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Qualsiasi evento musicale esiste in virtù della presenza di due dimensioni che
lo determinano:
 il tempo d’esecuzione;
 lo spazio d’esplicazione.
L’evento musicale è quindi l’espressione di un tempo-spazio vissuto perché
esiste nel momento in cui lo si realizza e lo si ascolta. In questa prospettiva la
musica è l’espressione dei vissuti (tempo) che si esplicano, e
diventano udibili, nello spazio. Qualsiasi musica può essere quindi
intesa come l’espressione di un tempo-spazio vissuto. Il tempo-spazio
musicale è quindi l’espressione di vissuti (sensazioni corporee,
emozioni, tonalità emotive, sentimenti) appartenenti al mondo
interno della persona (tempo) che sono udibili perché risuonano
nello spazio. Nel momento in cui trascrivo l’evento musicale in una forma
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semiografica formale o informale rappresento, di fatto, quell’evento musicale
come un tempo-spazio oggettivo.
L’evento musicale ha quindi due dimensioni complementari:
 un tempo-spazio vissuto (esecuzione e ascolto);
 un tempo-spazio oggettivo (analisi).
Entrambe le dimensioni di tempo-spazio hanno paritetica
importanza poiché l’analisi di un evento musicale (tempo-spazio oggettivo)
consente l’individuazione di aspetti formali che ‘visualizzano’ i contenuti dei
vissuti (tempo-spazio vissuto)[1] sottesi. Parimenti l’ascolto e l’esecuzione
(tempo-spazio vissuto) hanno la possibilità di essere rappresentati
semiograficamente al fine di ‘oggettivare’ l’esperienza musicale per poterla, in
seguito, analizzare e interpretare, facendo emergere alla coscienza i vissuti
esperiti.
Giangiuseppe Bonardi
[email protected]
[1] Al riguardo si consiglia la lettura:
Di Sabbato Daniela, (2009), Clelia 'suona'... le sue emozioni,
http//musicoterapie.over-blog.com/
Bonardi Giangiuseppe, (2009), La ‘musica’ di Danilo,
http//musicoterapie.over-blog.com/
Bonardi Giangiuseppe, (2009), Dvořák letto con gli occhi di...
Schneider!, http://musicoterapie.over-blog.com/
Bonardi Giangiuseppe, (2009), Una musica del cuore,
http://musicoterapie.over-blog.com/
Bonardi Giangiuseppe, (2009), Alla ricerca del senso del musicale in
musicoterapia, http//musicoterapie.over-blog.com/
Bonardi Giangiuseppe, (2009), M come... musica,
http://musicoterapie.over-blog.com/
Neri Simona, (2009), In ascolto dell’anima e del cuore,
http://musicoterapie.over-blog.com/
Con tag Il senso del musicale in musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Bonardi Giangiuseppe, Tempo, spazio, vissuti
Pubblicato il 6 novembre 2009 da Musicoterapie in... ascolto
http://musicoterapie.over-blog.com/
Quali sono i parametri fondamentali che caratterizzano una seduta di
musicoterapia, una lezione di educazione musicale e un laboratorio di
animazione musicale? Nella seduta di musicoterapia, la persona e il terapista,
intenti a interagire musicalmente, assumono posizioni e posture consone a
raggiungere lo scopo relazionale, vivendo l’esperienza per un determinato
tempo. Parimenti, nella lezione di educazione musicale, l’insegnante e gli
allievi, assumendo perlopiù una posizione frontale e una postura seduta,
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eseguono un’attività educativa, esperendola in un intervallo di tempo fissato.
In fine, durante l’attività d’animazione musicale, i partecipanti, condividendo
la musica, assumono posizioni e posture consone per raggiungere
l’interazione di gruppo, vivendo l’esperienza per un preciso intervallo di
tempo. La seduta, la lezione, il laboratorio sono situazioni esperite da persone
che le vivono in uno spazio e in un tempo. Lo spazio e il tempo sono
quindi i parametri fondamentali che caratterizzano le situazioni
(tempo-spazio oggettivo) considerate ma poiché il tempo e lo spazio
sono vissuti dalle persone coinvolte, è bene considerarli come
spazi vissuti e tempi vissuti (tempo-spazio vissuto). L’assunzione di
una postura e di una posizione manifestata in un ambiente e la durata di
permanenza in quel luogo può essere considerata quindi come la
manifestazione nello spazio e nel tempo dei vissuti che la persona esperisce
nel tempo e nello spazio di quella situazione. Lo spazio e il tempo sono
quindi le dimensioni espressive di sensazioni corporee, di
emozioni, di tonalità emotive, di sentimenti incarnati dalla
persona. In questa prospettiva la scelta di una postura o la durata di
permanenza in un ambiente sono quindi gli indicatori di uno stato affettivo.
Così una postura eretta può evocare tensione, quella prona o supina può
esprimere uno stato di regressione, mentre quella seduta su una sedia può
esprimere il desiderio di interloquire o ascoltare l’altro. Normalmente,
quando ci troviamo in un ambiente, assumiamo molteplici posture, vivendo
stati emotivi che, consciamente o inconsciamente, riusciamo a coordinare.
Una persona che enfatizza l’adozione di una postura, rimanendo
esclusivamente eretta o prona, come vivrà quello spazio-tempo? Quali vissuti
proverà quella persona? Una persona che permane poco tempo in qualsiasi
ambiente, che cosa starà provando? Ogni situazione di vita esiste in un
tempo e in uno spazio, dischiudendo la nostra dimensione interna
(il tempo vissuto dalla persona) ricolma di vissuti (sensazioni
corporee, emozioni, tonalità emotive, sentimenti) che si
manifestano nello spazio (posizioni e posture scelte dalla
persona). È interessante rilevare come in una seduta di musicoterapia
esista, all’interno del tempo-spazio preventivato, una varietà considerevole di
tempi-spazi. Il tempo-spazio vissuto dal terapista, il tempo-spazio vissuto
dalla persona e il tempo-spazio condiviso mentre si cerca di interagire
musicalmente. Quanti e quali vissuti riempiono la stanza durante la seduta di
musicoterapia? Piacevoli o spiacevoli, consapevoli o inconsapevoli noi
proviamo innumerevoli vissuti da nominare e accogliere con umana
comprensione.
Giangiuseppe Bonardi
[email protected]
Con tag Riferimenti teorici di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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Dicembre
Cavallini Daria, Gli adolescenti, la scuola e... il progetto di musicoterapia
Pubblicato il 29 dicembre 2009
Da anni si parla dell’importanza che dovrebbe essere data all’istruzione
scolastica non solo come trasmissione di contenuti, ma anche come
possibilità di crescita e maturazione dell’individuo. Purtroppo tra l’ampliarsi
dei programmi ministeriali e la modalità di rapportarsi delle attuali
generazioni è difficile per il corpo docente e per i discenti riuscire a modularsi
su nuove dinamiche e strategie nell’interazione alunno/docente. Questo sta
evidenziando sempre più il malessere della scuola stessa e l’allontanamento di
questa dall’obiettivo fondamentale cioè: la formazione di un individuo
fornendogli, unitamente alle relazione familiari, la possibilità di maturare ed
esplorare i percorsi della vita. Dopo anni di esperienza sono giunta alla
conclusione che sia possibile un recupero creando di fianco al percorso
didattico legato ai contenuti, un percorso che faccia leva sulla consapevolezza
emozionale permettendo agli alunni, ma anche agli insegnanti, di imparare ad
accogliere quella parte di noi più profonda che, una volta ri-conosciuta ed
accettata ci permetta di considerare lo studio come una ulteriore ricchezza da
utilizzare nella crescita. Da questa riflessione nasce il progetto di
musicoterapia concepito come possibile percorso educativo-emozionale, da
affiancare a quello didattico, al fine di comprendere (o dimostrare?) come un
possibile e armonico rapporto con se stessi porti, all’interno dell’istituzione
scolastica, alla costruzione di percorsi didattici proficui e soddisfacenti. Per
tutto ciò ormai da anni mi batto affinché si possano attuare percorsi paralleli
a quelli di natura disciplinare, in modo da poter aiutare i ragazzi ad avviare
una crescita squisitamente legata a contenuti che permettano lo sviluppo
armonico di un essere nella sua completezza di persona e di personastudente.
L’IPSSAR “F. De Cecco“ e la sua realtà scolastica
L’esperienza musicoterapica si è svolta presso l’Istituto Professionale di Stato
per i Servizi Alberghieri e della Ristorazione “Filippo De Cecco” (I.P.S.S.A.R.)
di Pescara, in Abruzzo. La scuola, dislocata in due sedi, raccoglie un’utenza
pari a circa 1200 ragazzi il cui obiettivo principale è legato non tanto
all’accrescimento culturale quanto al raggiungimento di una professionalità in
un campo dove ci sono ancora buone possibilità di lavoro. Va da sé che in
base alle esigenze sopra descritte, gli studenti provengono perlopiù da
ambienti sociali e culturali poveri e carenti di stimoli e pochi sono coloro che
scelgono questo tipo di indirizzo perché realmente interessati e appassionati
alle varie discipline. Nell’istituto operano 30 insegnanti di sostegno necessari
(e sono pochi) per seguire circa 80 ragazzi diversamente abili e per questo è
considerato nella provincia “scuola pilota”. Alcuni di loro hanno diagnosi
gravi per cui necessitano dell’assistente specialistico inviato dalla Provincia,
mentre la diagnosi più frequente è legata a ritardi nell’apprendimento dovuti
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a situazioni di disagio nell’ambito familiare. Accanto a queste situazioni,
ufficialmente riconosciute, ve ne sono altre - e non sono poche - in cui i
ragazzi manifestano disturbi dell’apprendimento e del comportamento dovuti
a vissuti emotivi difficili, in genere legati alle figure parentali. Opero come
insegnante di sostegno all’interno della scuola da 10 anni e da 9 faccio parte
del C.I.C. (Centro di Informazione e Consulenza). L’istituto ha anche annesso
un convitto femminile - ben lontano dall’idea di collegio elegante e
confortevole che si potrebbe immaginare – ed un convitto maschile situato in
un ex hotel a 7 km dalla scuola. I convittori trascorrono il loro tempo diviso
tra lezioni al mattino e studio al pomeriggio seguiti da alcuni istitutori.
Purtroppo la scuola si trova nella periferia della città e nelle 2 ore
pomeridiane di tempo libero che hanno non si muovono dall’Istituto stesso
perché anche con i mezzi non riuscirebbero ad avere il tempo materiale per
andare in centro, divertirsi e tornare, per cui passano il loro tempo extra
studio tra l’unica televisione e il biliardino. Questa situazione di stallo (da
anni si parla di una nuova struttura ormai divenuta utopia) esaspera, a volte, i
comportamenti dando vita a discussioni con i responsabili e fughe al bar –
unico luogo a pochi metri dalla scuola – con gran consumo di alcolici (birra) o
“spinelli” spesso introdotti da ex alunni che hanno lasciato la scuola e vivono
in quartieri, ben noti a coloro che si occupano delle tossicodipendenze, non
lontani dalla scuola. Con questa descrizione non voglio dare l’idea di una
situazione grave, ma nonostante la buona volontà degli educatori, non
sempre gli stimoli presenti sono sufficienti a rendere più fruttuoso e sereno il
loro soggiorno. Fortunatamente, secondo me, i giovani a differenza degli
adulti hanno un forte spirito di adattamento per cui riescono a trovare il
modo di riempire il tempo anche in maniera sana e rimangono, di fondo,
ragazzi puliti alla ricerca di qualcuno che gli mostri strade diverse da quelle in
cui sono cresciuti. La scuola ha due strutture: la prima divisa in due palazzine
è la sede (situata in periferia) ed è quella che ospita il convitto femminile, le
classi 1° e 2° e i laboratori di sala, cucina e reception; l’altra (situata in zona
più centrale) è un edificio del primo ‘900 nato come scuola e ospita le classi
3°, 4° e 5° ma nel pomeriggio è chiusa per cui tutte le attività pomeridiane si
svolgono in sede. I ragazzi fanno 40 ore settimanali di scuola (più di ogni altro
ordine) e quindi, tra teoria e pratica, passano diverse ore della giornata
nell’istituto. Il corpo docente è il più delle volte messo a dura prova perché
buona parte degli studenti non è motivata allo studio e quindi, come è
facilmente comprensibile, non ha un metodo per affrontarlo anche perché
spesso – come già detto – sono così incentrati su loro stessi e lo studio è
l’ultimo dei loro pensieri. Un gruppo di insegnanti, in particolare quelli del
biennio, è abbastanza attento e cerca veramente una modalità diversa nel
rapportarsi con loro, mentre buona parte di quelli del triennio è ancora
ancorato ad una mentalità del tipo: “Se non ti piace non vieni, non sei
obbligato!”, dimenticando che per buona parte di loro la scuola rappresenta
un luogo in cui, paradossalmente, si sentono quasi a casa, tant’è che spesso
ragazzi che hanno terminato il ciclo scolastico o hanno lasciato prima del
termine tornano a salutare o – come dicono loro – a “fare un giro”: mai visto
un istituto così frequentato da ex alunni. Va anche detto che ci sono
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insegnanti, tra i centodieci presenti, che cercano un dialogo che vada al di là
della sola materia e che sono disponibili al colloquio con i ragazzi di cui
spesso diventano punti di riferimento. Proprio alla luce di quanto sopra è
stato istituito il C.I.C. (Centro di Informazione e Consulenza) al cui interno
operano uno psicologo, operatori per la tossicodipendenza e alcuni insegnanti
– tra cui la sottoscritta – che prevede momenti dedicati all’ascolto ed è
proprio in questo ambiente, in accordo con la dottoressa che è nata l’idea di
presentare ed attuare (in quanto approvato ed inserito nel P.O.F. Piano di
Offerta Formativa della scuola) il Progetto di Musicoterapia. I ragazzi amano
la musica e amano parlare, se trovano persone disposte ad ascoltarli, ed unire
queste due modalità e offrirle a piccoli gruppi, opportunamente selezionati in
base alla modalità relazionale, poteva essere un modo diverso per aiutare gli
stessi a “comprendersi” o – per dirla con il prof. Bonardi – “accogliersi” un
po’ di più. Più volte mi ero resa conto, nei vari colloqui, di come esistesse una
forte settorialità nell’ascolto musicale: guai ad ascoltare qualcosa che non
fosse simbolo di riconoscimento del gruppo stesso! Il cantante melodico
napoletano Gianni Celeste, per fare un esempio, bandito ufficialmente da un
gruppo di “rappers”, si ascoltava ufficiosamente ma, come le società
carbonare, non si portava alla luce. Eppure quegli stessi ragazzi nel loro
percorso maturativo ad un certo punto disconoscevano il vecchio gruppo a
favore di un nuovo modello negando ciò che era stato, a discapito di un pezzo
di sé che era loro servito per crescere. Partendo da questa considerazione
sedute a tavolino abbiamo dato vita al progetto, il cui obiettivo fondamentale
era quello di offrire ai ragazzi l’opportunità di scoprire la possibilità di
ritrovare – o iniziare a cercare – una propria armonia interiore attraverso il
riconoscimento e la consapevolezza delle emozioni che sottendono il nostro
agire condividendolo con il gruppo dei pari; aiutandoli a comprendere come,
spesso, dietro l’oppositività scagliata verso un compagno più timido o verso
un’insegnante, si celino sentimenti di inadeguatezza e conflitto il più delle
volte originatisi all’interno delle relazioni familiari.
L’efficacia della musicoterapia nell’apprendimento in età
adolescenziale: il progetto di musicoterapia
Premessa
La musicoterapia è una modalità terapeutica atta a favorire la costruzione di
relazioni, attraverso un lavoro fondato su processi di “interazione empatica”
chiamate sintonizzazioni[1], le quali facilitano la comunicazione (verbale e
non verbale), la qualità dell’apprendimento e la disponibilità affettiva. È noto
che l’adolescenza sia un momento di passaggio tra l’infanzia e l’età adulta,
difficile e conflittuale verso se stessi e verso la realtà esterna. Spesso accade
che il ragazzo sia molto oppositivo verso tutto ciò che riguarda la regola
sociale, compreso quindi il suo percorso di studi, che ne risulta di
conseguenza compromesso. Intervenendo sulla “disarmonizzazione
interiore” ne segue un rapporto più fluido anche con la scuola e quindi un
miglioramento nei processi di apprendimento. In questo contesto, la
musicoterapia è importante perché avvalendosi di tecniche che vanno oltre
l’uso della parola, spesso utilizzata come difesa, ha la finalità di sviluppare
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una integrazione “armonica” delle varie facoltà all’interno dell’individuo
stesso favorendo quindi una relazione più fluida con la realtà esterna. Per
ciascun alunno, è necessario trovare un compromesso operativo che produca
una mediazione tra il bisogno di normalizzazione (saperi di base,
programmi ministeriali, aspettative della famiglia, ecc.) e quello di
individualizzazione il quale tenga conto dell’unicità di ogni singolo
individuo. Il compromesso educativo e operativo tra questi tipi di bisogni, a
mio avviso, si trova nella creazione e nell’uso di strategie didattiche e di
relazione che avvicinino l’integrazione tra i due tipi di bisogni. Una scuola
che si pone il problema di scegliere ed avvicinare obiettivi, contenuti e
strumenti di classe alle abilità di ogni singolo alunno (anche quelli con
sostegno) è una scuola ben avviata verso la ricerca di una integrazione di
qualità. La ricerca di un punto di contatto, anche quando le abilità degli
alunni risultino fortemente eterogenee, può essere consentita da particolari
tecniche e strategie già esistenti o da creare in situazione.
Finalità
Armonizzazione del senso di identità dell’alunno, sia nel rapporto tra il suo
mondo interno e quello esterno, che tra le varie parti del proprio mondo
interno. Migliorare, attraverso lo sviluppo armonico della propria persona,
l’apprendimento scolastico e le relazioni sociali.
Obiettivi
Mediante l’adozione delle musiche agite o ascoltate, ogni incontro è volto, per
ogni singolo allievo, a favorire:
 l’ascolto-accoglienza delle proprie emozioni (integrazione temporale);
 l’espressione sonoro-musicale dei propri vissuti (integrazione spaziale);
 l’interazione sonoro-musicale dei propri affetti (integrazione sociale).
Destinatari
 Piccoli gruppi omogenei per età formati da un minimo di 3 ad un
massimo di 6 partecipanti.
Luogo di svolgimento
 Un locale, appositamente attrezzato, ubicato presso la sede
dell’I.P.S.S.A.R. di Via Tirino a Pescara.
Operatori coinvolti nel progetto
 Progettista: Prof.ssa Daria Cavallini.
 Supervisore: Dott.ssa Daniela Quinto Psicologa del C.I.C.
Valutazione del livello di soddisfazione degli allievi
 Ogni alunno alla fine dell’esperienza esprimerà il proprio grado di
soddisfazione attraverso un breve scritto.
Programmazione dell’attività
 28 sedute a cadenza settimanale per un totale di 42 ore;
 stesura dei protocolli delle sedute;
 incontri settimanali di valutazione degli andamenti;
 3 incontri di supervisione con la Psicologa.
Mezzi occorrenti
 Strumentario Orff;
 eventi musicali proposti dal conduttore e dagli allievi.
Relazione finale dell’attività svolta
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
Valutazione conclusiva scritta del lavoro svolto.
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Le linee guida del progetto musicoterapico
Il progetto musicoterapico proposto è volto a favorire l’integrazione degli
adolescenti, riducendo l’insorgenza delle difficoltà d’apprendimento, in
quanto utilizza un mediatore particolare: la musica, intesa dalla scrivente
come “… il mezzo espressivo che l’uomo ha creato per rivitalizzare
incessantemente il proprio modo di essere persona che sente,
accoglie e ascolta sé per ascoltare gli altri”.[2] La musica, quindi,
racconta di noi, dei nostri vissuti o meglio delle emozioni e dei sentimenti che
li hanno caratterizzati dispiegandosi nel tempo (durata, ritmo ...) ed
espandendosi nello spazio (timbro, altezza, melodia, armonia), dimensioni
che caratterizzano il nostro esserci, il nostro percepirci e il nostro percepire
l’altro da sé nel momento in cui dal sentire passiamo all’ascoltare o, più
specificatamente, all’accogliere noi stessi come individui unici nella propria
essenza. Partendo da questo assunto di base possiamo esprimerci attraverso
diversi canali sonori che possono prevedere l’uso della voce, dello strumento o
l’ascolto di un brano appartenenti alla nostra dimensione sonoromusicale (D.S.M.)[3] , che in un qualche modo racconta di noi, spesso di
quel lato oscuro di noi cui non è dato di emergere alla coscienza.
L’adolescente nella sua dolorosa trasformazione fa dell’elemento sonoro un
compagno fedele che, probabilmente lo aiuta a calmare e/o a manifestare
quelle tensioni interne che, se opportunamente accolte e restituite, gli
permettono di “ esperire una ‘nuova’ situazione di ascolto, non solamente
incentrato sul sé, ma sui poli (sé e l’altro da sé) del processo relazionale”[4]
liberando parallelamente quell’energia necessaria anche al processo
cognitivo, base di ogni apprendimento, per armoniosamente descrivere il suo
percorso. La musica può divenire pertanto “un elemento integratore sul
piano emotivo, cognitivo e sociale, in relazione ai suoi parametri
fondamentali: timbro, ritmo e intonazione”[5] . Non è interpretando che ne
cogliamo l’essenza, ma accogliendo quanto l’altro ci dona impariamo ad
accogliere noi stessi, riuscendo lentamente a dare un nome alle emozioni che
ci attraversano: imparando a definirle sempre più ci prendiamo carico del
nostro sé (integrazione spaziale, temporale, sociale) che diventa così capace di
accogliere l’altro da sé per ciò che è e non per ciò che noi vorremmo fosse.
All’interno della relazione musicoterapica, in particolare con il gruppo di
ragazzi di cui tratta questo lavoro, mi sono resa conto di quanto sia
fondamentale saper trovare quella modalità di comunicazione, attraverso il
suono, che sia realmente funzionale alla relazione stessa permettendone un
costruttivo sviluppo. Di fatto ci siamo trovati a fronteggiare una situazione in
cui la modalità improvvisativa non diveniva più un mezzo di comunicazione e
aiuto (terapia), ma una spirale che avvolgeva la persona creandole intorno
una bolla cui non era dato accesso. Lo strumento, non più mediatore sonoro
ma prolungamento di sé, diveniva contenitore di vissuti dolorosi non
percepibili alla coscienza promuovendo, di conseguenza, l’isolamento della
persona e il condizionamento della relazione tra e con il resto del gruppo.
Ritengo che in tali situazioni sia fondamentale per il musicoterapista:
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riconoscere di trovarsi, talvolta, in una situazione di “stallo”;
 ascoltare e cercare di ri-conoscere ed elaborare le proprie emozioni per
poter poi cercare una strategia alternativa che sia consona – o ci si
augura tale – alle persone con cui si sta interagendo favorendo, di
conseguenza, la ripresa del processo relazionale.
Nello specifico si è rivelato fondamentale l’utilizzo dell’ascolto di brani
musicali proposti dalla sottoscritta e dalle ragazze tenendo presente che:
 si ascolta in base alla propria dimensione sonoro-musicale, per cui si
possono avere diversi vissuti;
 non è il brano in sé, ma ciò che provoca ad ognuno di noi ad
essere importante per imparare a ri-conoscersi.
Probabilmente il non dover essere in diretto contatto con lo strumento ha
permesso, ad una di loro in particolare, di potersi raccontare, di iniziare a
riconoscere il proprio lato oscuro e ad accoglierlo senza però che il dolore la
investisse talmente tanto da impedirle di prenderne coscienza e attraverso i
brani musicali e il contenuto di alcuni di essi si è cercato di portarla alla
consapevolezza di proprie emozioni, altrimenti celate.
Daria Cavallini
[email protected]

[1]POSTACCHINI P. L., RICCIOTTI A., BORGHESI M., “Musicoterapia”,
Carocci, Roma 2001, pag.107.
[2]BONARDI GIANGIUSEPPE, “Dall’ascolto alla musicoterapia”, Edizione
Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU) 2007, pag. 18.
[3]Ibidem, pag. 23.
[4]Ibidem, pag. 21. Si veda inoltre il testo: PAVLICEVIC M. “Musicoterapia
applicata al contesto”, Ismez, Roma 1997.
[5]POSTACCHINI PIER LUIGI, In viaggio attraverso la musicoterapia,
Edizioni Cosmopolis, 2006 pag. 51.
Si vedano inoltre i testi: GAITA D. “Il pensiero del cuore” , Bompiani, Milano
2000.
RICCI BITTI P.E. “Regolazioni delle emozioni e arti-terapie”, Carocci
Editore, Roma 2005
Con tag Musicoterapia e adolescenza, Cavallini Daria
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Marius Schneider, Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella
mitologia e nella scultura antiche
Pubblicato il 25 dicembre 2009
Ci sono libri unici e rari che incontriamo, quasi per caso, nei nostri percorsi
professionali e umani. Il testo di Marius Schneider è uno di questi rari testi.
Non è un manuale di musicoterapia né, tantomeno, un trattato di psicologia
della musica ma una ricerca, più unica che
rara, di etnomusicologia. Dopo molti anni
che leggo, rileggo e studio con pazienza
questo testo rimango sempre stupito perché
non mi sarei mai immaginato che un libro di
etnomusicologia
potesse
fornire
innumerevoli spunti di riflessione e di
analisi per il musicoterapista in formazione
o provetto. Sebbene l’opera sia chiaramente
un’esposizione avvincente dell’evoluzione
antropologica della cultura musicale antica
(India, Cina ed Europa medioevale in
particolare), essa offre fondamentali
tematiche di riflessione musicoterapica
esposte, in particolare, nel primo capitolo e
nei paragrafi quinto, sesto e settimo del
sesto capitolo. Nel primo capitolo Schneider
espone alcuni concetti fondamentali
inerenti l’arcaico modo di pensare: il
dualismo, il ragionamento per analogia, il
ritmo simbolo, la voce, l’imitazione, il concetto di ritmo. Nello stesso capitolo
l’autore alsaziano evidenzia alcune caratteristiche dell’osservazione,
mostrando la sua originaria e fondamentale dimensione acustica, fornendo
un prezioso apporto riflessivo ad una cruciale fase del processo
musicoterapico. Nel paragrafo quinto del sesto capitolo, Schneider espone le
relazioni di analogia che intercorrono tra ben dodici fenomeni differenti,
offrendo alcune chiavi di lettura interpretativa del musicale esteticamente
inteso e di quello eseguito naturalmente durante le sedute di musicoterapia. I
paragrafi sesto e settimo del sesto capitolo completano la ‘mappa’ da
utilizzare per eventuali letture interpretative. Schneider non offre scorciatoie
o facili percorsi interpretativi ma sollecita il lettore a ricercarne uno proprio,
diventando in tal modo protagonista delle proprie scelte. Il libro di Schneider
è stimolante e avvincente, sebbene di non facile lettura, sospinge il lettore a
riflettere, meditare, pensare… un’opera che vale la pena studiare con infinita
pazienza. Schneider Marius, (1946), Gli animali simbolici e la loro
origine musicale nella mitologia e nella scultura antiche, Rusconi,
Milano 1986.
Giangiuseppe Bonardi
[email protected]
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Di Sabbato Daniela, Montesilvano
Pubblicato il 22 dicembre 2009
... L’azzurro del cielo si confonde con l’azzurro del mare.
Guardo in alto e non vedo fine, vedo solo l’azzurro.
Guardo il mare e non vedo fine, vedo solo l’azzurro.
Soffia il vento, guardo in alto e non vedo più l’azzurro, è grigio, è cupo, le
nuvole corrono ma non lasciano spazio al sole!
Vorrei tendere una mano e cancellarle tutte, mandarle via, ma non posso...
Guardo il mare e non vedo l’azzurro, è grigio, è cupo, le onde vanno su e giù,
sembrano bisonti impazziti.
Vorrei tendere una mano e fermarle.
Ma non posso!
... Il grigio del cielo si confonde con il grigio del mare...
La loro pienezza e profondità mi spaventano; mi fanno sentire piccola, tanto
piccola da non esistere al loro confronto.
Il cielo e il mare si ribellano e nessuno può ostacolarli...
Ma io?...
Daniela Di Sabbato
Con tag Di Sabbato Daniela, Riflessioni...
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2 commenti
Di Sabbato Daniela, L’Aquila finalmente… ri-suona
Pubblicato il 20 dicembre 2009
Il vento soffia forte, il fiore si piega e a tratti sembra chiudere la sua corolla.
L’albero, i suoi rami sembrano volteggiare come tante braccia alzate che
seguono il ritmo di una musica.
Le foglie tremano come mani in movimento.
Sullo sfondo si erge maestosa la montagna!
... si alza polvere e sembra fumo, in alcuni momenti cambia persino il
colore: ora è grigio, ora è chiaro, secondo se il sole riesce a fare la sua
apparizione fra le nuvole.
È strano, secondo come ci sentiamo dentro, così ci appare la natura. Ciò che
ieri mi sembrava desolante, buio, oggi lo paragono addirittura ad una
danza.
È come se davanti a me avessi un palcoscenico: tanti colori che
armoniosamente si muovono fino a sembrare corpi che ballano.
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Sì, guardando gli alberi mi sembrano ballerini intenti a seguire una musica,
una musica quasi irreale che è quella del vento che soffia.
Tutti quei fiori, tanto piccoli, che si agitano sembrano spettatori che
battono le mani.
Daniela Di Sabbato
Con tag Riflessioni..., Di Sabbato Daniela
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Bonardi Giangiuseppe, La prassi musicoterapica è, essenzialmente, tempospazio vissuto
Pubblicato il 1 dicembre 2009 da Musicoterapie in... ascolto
http://musicoterapie.over-blog.com/
Durante una seduta di musicoterapia, utilizziamo gli strumenti musicali e/o le
musiche ascoltate al fine di relazionarci musicalmente con il nostro
interlocutore. Gli strumenti musicali e le musiche ascoltate, nella prassi
musicoterapica, sono quindi i mediatori del processo relazionale
musicoterapico. Così con gli strumenti musicali e le musiche ascoltate
mediamo, di fatto, i vissuti esperiti dal terapista e dalla persona. Sì, i vissuti,
provati e/o condivisi, impalpabili come i suoni che eseguiamo, risuonano in
ogni istante del trattamento. In questa prospettiva la persona e il terapista,
durante una seduta di musicoterapia, provano molteplici vissuti. Purtroppo,
interloquendo musicalmente con persone aventi perlopiù una modalità
comunicativa non verbale, è impossibile sapere con precisione che cosa stiano
provando mentre suonano con noi, per cui la nostra attenzione conoscitiva è
orientata alla conoscenza dei propri (del terapista) vissuti. Possiamo ignorarli
ma essi, come un’invisibile cortina di fumo, ci avvolgono, ci pervadono,
creando un’impalpabile barriera acustica che ci circonda, impedendoci, di
fatto, di interloquire con l’altra persona perché siamo, di fatto, immersi in
essi, in modo inconsapevole. Essendo i vissuti l’essenza della relazione
musicoterapica non rimane altro da fare che porre l’attenzione su ciò che
stiamo provando noi in quel momento, affinando così la nostra capacità di
ascolto e di accoglienza dei nostri vissuti. Questa attività, sebbene difficile, è
alquanto utile perché ci consente di:
 farli ‘fuoriuscire’ simbolicamente da noi;
 conoscere ciò che stiamo provando;
 distinguere chiaramente i vissuti provati da noi da quelli che l’altro
potrebbe provare nello stesso momento;
 impedire che i vissuti non riconosciuti creino, di fatto, una barriera
invisibile tra noi e l’altro, impedendo lo svolgimento del nostro
intervento.
Non esiste un metodo, una via sicura e precisa che conduca all’accoglienza
dei propri vissuti, esiste solamente la voglia di intraprendere questo cammino
che, dolorosamente, si inabissa nella nostra interiorità lastricata di… vissuti
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ora accolti, ora ripudiati. È un viaggio affascinante e al contempo lento con
innumerevoli pause e riprese. In questo percorso non c’è una meta; si sa solo
l’inizio ma si comprende ben presto che non potrà mai avere una fine. Come
viandante orientato all’accoglienza dei miei vissuti, posso solo ripercorrere le
tappe del mio viaggio, tuttora in corso. All’inizio del percorso, dopo aver
accettato di pormi in ascolto dei miei vissuti, è nata in me la necessità di
nominarli. Attribuire un nome ai vissuti è la prima tappa perché, nominarli,
significa riuscire a distinguerli, toccarli metaforicamente, assaporarli,
percepirne l’intensità, il ‘profumo’, il timbro, l’altezza, la durata…, ossia
riconoscerli. Nacque così, seduta dopo seduta, il lessico sonoro dei miei
vissuti. Non può esistere un lessico generale, che vada bene per tutti, perché i
vissuti sono percezioni soggettive e attribuire i nomi che li possano
identificare, placando momentaneamente il dinamismo che li pervade, è il
compito della persona che li ascolta. Nessuno si può sostituire al viandante
nel momento in cui cerca, con dubbi e affanni, di nominare ciò che prova,
perché nessuno potrà mai esperire, in modo identico, ciò che il viaggiatore ha
vissuto. Vent’anni fa ho iniziato pian piano a nominare i miei vissuti, creando
il lessico personale; un lessico che potrà essere da stimolo per chi vorrà
cimentarsi nella ricerca di un proprio vocabolario formato da termini chiari,
non ambigui che rispecchi con onestà ciò che sta provando.
Il lessico dei miei vissuti
 Affanno;
 adeguatezza;
 benessere;
 calore;
 contrazione muscolare;
 disgusto;
 disorientamento;
 dolore;
 euforia;
 gioia;
 inadeguatezza;
 freddo;
 intesa;
 paura;
 perplessità;
 piacere;
 preoccupazione;
 rabbia;
 rammarico;
 salivazione;
 soddisfazione;
 sonnolenza;
 sollievo;
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sorpresa;
 sudorazione;
 tenerezza;
 tensione;
 timore.
Leggendo con attenzione il lessico dei vissuti emerge chiaramente il dualismo
che li caratterizza: alcuni sono piacevoli, altri spiacevoli. Così il piacere e il
dispiacere albergano nei meandri della nostra anima, rimanendo in equilibrio
dinamico. La ‘nuova’ difficoltà da affrontare è: ammettere di poter provare
vissuti spiacevoli che volentieri ‘proiettiamo’ lontano da noi, nel vano
tentativo di allontanarli, attribuendo ad altri la causa della loro comparsa.
Accogliendo faticosamente i vissuti spiacevoli iniziamo, di fatto, ad
ammettere a noi stessi che è naturale poterli esperire. Ci rendiamo conto che
provare tensione, timore o quant’altro di sgradevole, fa parte della nostra
condizione umana, iniziando così la faticosa accoglienza degli stessi, nella
consapevolezza della loro effimera presenza e della loro normale
trasformazione. Solo ora, quando con tumulto ascoltiamo le melodie sensuali
e/o dissonanti dei nostri vissuti, siamo in grado di accogliere l’altro perché
abbiamo abbassato la barriera acustica e invisibile che ci avvolge,
permettendo al nostro sguardo e, ancor più, al nostro udito di accogliere
l’altro per quello che è in realtà e non siamo immersi nel vano tentativo di
scacciarli perché ora li ascoltiamo. Solo ora siamo in grado di ascoltare i
contenuti emozionali che l’altro ci trasmette con il proprio strumento
musicale accordato emotivamente con il nostro. In questo viaggio non c’è
l’esigenza di concettualizzare i vissuti in categorie concettuali oggettive:
sensazioni corporee, emozioni[1], tonalità emotive[2], affetti vitali[3], affetti
categoriali[4] e sentimenti perché questo è il percorso scelto da altri
viaggiatori impegnati a oggettivarli. Lasciamo quindi agli psicologi, agli
psicoanalisti, ai filosofi, agli antropologi l’arduo compito di concettualizzare i
vissuti, mentre noi rimaniamo fedeli esploratori del nostro dinamico, acustico
paesaggio dell’anima.
Giangiuseppe Bonardi
[email protected]

[1] AA. VV., (2006), Enciclopedia tematica. Vol. 14 - Filosofia A-M, RCS
Quotidiani, su licenza Garzanti, Milano.
[2] Bollnow F. O., (1956), Le tonalità emotive, Vita e Pensiero, Milano 2009.
[3] Stern D. N., (1985), Il mondo interpersonale del bambino, Bollati
Boringhieri, Torino 1987.
[4] Stern D. N., Op. cit.
Con tag Riferimenti teorici di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe
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