“Caro Johannes devo mandarti una parola per dirti quanto

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“Caro Johannes
devo mandarti una parola per dirti quanto profondamente sono stata colpita dalla tua sonata. L'ho ricevuta
oggi e naturalmente l'ho suonata tutta e poi, fuori di me dalla gioia, mi sono sfogata piangendo. Dopo il primo
movimento incantevole, e il secondo, puoi immaginare il mio piacere quando nel terzo ho ritrovato la mia
melodia, così ardentemente amata, con il suo delizioso ritmo di ottavi! Dico mia, poiché credo che non ci
sia nessuna persona che percepisce questa melodia in modo così gioioso e pieno di desiderio come.”
Con queste parole Clara Schumann, moglie di Robert Schumann e probabilmente amante di Johannes
Brahms, accoglie il manoscritto della Sonata per violino e pianoforte op. 78, inviatole dallo stesso
compositore.
La melodia a cui si fa riferimento è il tema del “Regenlied” (Canto della pioggia) op. 59,
precedentemente composto da Brahms in omaggio a Clara, il cui tema apre il terzo movimento della
sonata, chiamata infatti anche “Regensonate” (Sonata della pioggia).
Il ritmo puntato del motivo della pioggia è presente in realtà fin dall’incipit del primo movimento
(Vivace ma non troppo) e ritorna in tutta la sonata, tramutandosi in una sorta di marcia funebre nella
sezione centrale dell’Adagio, che si apre con un canto espressivo e morbido, la cui indefinita malinconia
permea anche l’Allegro molto moderato che segue. La sonata venne composta nel 1879, nel periodo di
più intensa elaborazione artistica di Brahms, che trova nella perfezione formale dei modelli di
composizione classici il mezzo ideale per esprimere una sensibilità profondamente romantica, come
testimonia il carattere intimo e meditativo di questa composizione, espressione nello stesso tempo di
sincera tenerezza e di malinconico rimpianto.
In modo molto diverso, anche l’opera di Fritz Kreisler è una sintesi di espressioni artistiche
apparentemente distanti fra loro: la tradizione musicale barocca ed il gusto per il virtuosismo tipicamente
ottocentesco. Kreisler, illustre violinista del novecento, era infatti solito comporre brani nello stile del
XVIII° secolo presentandoli come opere appartenenti ad autori come Vivaldi, Couperin, Porpora. E’ il
caso del “Praeludiom e allegro nello stile di Pugnani”, pubblicato nel 1905, spacciato da Kreisler come
un arrangiamento di un brano inedito del violinista settecentesco Gaetano Pugnani, per farsi beffe dei
critici che non si accorsero dell’inganno. La prima parte della composizione è solenne e drammatica,
mentre l’Allegro che segue è virtuosistico ed incalzante.
Come il genio di Brahms riuscì a dare nuova vita alla tradizione classica innestandovi l’ardore romantico,
un altro grande compositore, partendo da tutt’altro contesto, seppe rinnovare l’eredità musicale del
proprio paese grazie alle più varie influenze culturali. Si tratta di Astor Piazzolla, compositore argentino
di origine italiana che a partire circa dalla metà del novecento portò il tango, danza di origine popolare
tipica della sua terra, nelle sale da concerto, dando origine ad una nuova forma di composizione, che
prese il nome di “Nuevo Tango”. Piazzolla unisce la sensualità, il ritmo e l’istintualità della danza con la
ricercatezza armonica che apprese studiando a Parigi le composizioni di Stravinskij, Bartòk e Ravel, vi
inserisce elementi di improvvisazione jazzistica frutto dei lunghi periodi trascorsi negli Stati Uniti e si
lascia trasportare dalla malinconia della melodia partenopea con cui venne a contatto negli anni
dell’adolescenza trascorsi nel quartiere di Little Italy, a New York.
Il brano che più di ogni altro esprime il percorso creativo del compositore è “Libertango”, inciso a
Milano nel 1974, una sorta di manifesto con cui l’artista rivendica la propria libertà creativa, che fece
conoscere Piazzolla in tutta Europa. Il brano unisce il ritmo del tango ad una melodia sensuale e
malinconica, così come accade nella “Milonga dell’Angèl” (Danza dell’angelo) e nella struggente
“Oblivion” (Oblio), brano utilizzato come colonna sonora del film “Enrico IV” di M. Bellocchio. Quello
che però Piazzolla definì sempre il suo “Tango numero uno” è “Adiòs Nonino” (Addio Nonnino), brano
composto in una notte del 1959, quando l’artista si trovava in tournée e ricevette la notizia della morte
del padre, da lui chiamato affettuosamente “Nonino”.
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