MI - PERIODICO D’INFORMAZIONE E CULTURA MUSICALE - N. 4 /2016 Poste Italiane SpA. Spedizione in abbonamento postale 70% – CN/BO – Bimestrale n. 4/2016 – anno XXV/BO - € 2,00 ottobre/novembre 2016 Da Martin Fröst all’Emerson Quartet: autunno in festa per i trent’anni di Musica Insieme Cederna, Lucchesini e il Lyskamm danno nuova voce ai Canti di Leopardi Due leggende: DeJohnette e Krakauer per la I edizione di Bologna Modern Il 17 ottobre Musica Insieme porta al Comunale per Bologna Modern il clarinetto virtuoso di David Krakauer SOMMARIO n. 4 ottobre - novembre 2016 Musica a Bologna - I programmi di Musica Insieme Editoriale Oltre i numeri di Fabrizio Festa L’intervista Francesco Ubertini di Fulvia de Colle Bologna Modern Prime assolute di Nicola Sani Musica e poesia Giacomo Leopardi: Canti Profili (Ri)conoscere Beethoven di Roberto Verti I luoghi della musica La nuova Arena Pasolini di Maria Pace Marzocchi I concerti ottobre/novembre 2016 Articoli e interviste Amsterdam Sinfonietta, Martin Fröst Quartetto di Cremona, Enrico Bronzi, Riccardo Donati, Gloria Campaner Emerson String Quartet St. Paul Chamber Orchestra, Patricia Kopatchinskaja Per leggere Musica assoluta: Brunello / Zagrebelsky, Mioli e Dahlhaus di Chiara Sirk Da ascoltare Le sfumature di DeJohnette, Quartetto di Cremona e Fröst di Piero Mioli 12 MI MUSICA INSIEME 15 18 Amsterdam Sinfonietta 20 24 Giuseppe Cederna 26 28 35 41 46 50 56 Trio DeJohnette Enrico Bronzi Emerson String Quartet 58 In copertina: Jack DeJohnette (foto di James Adams) Patricia Kopatchinskaja EDITORIALE OLTRE i numeri Siamo inclini a considerare i numeri come una misura della quantità. Una pietruzza dopo l’altra: calculi appunto. Più raramente pensiamo ai numeri come indicatori della e delle qualità. Eppure i numeri molto spesso esprimono con chiarezza e determinazione proprio la misura della qualità, di un fattore cioè che saremmo piuttosto tendenti a lasciare nel regno opinabile, e perciò sostanzialmente privo di dirimenti certezze, dell’opinione. Quando pensiamo alla nostra trentesima stagione non vediamo un lungo elenco di quantità: quanti concerti abbiamo realizzato, quanti artisti abbiamo ospitato, quante composizioni abbiamo presentato in prima esecuzione assoluta e/o commissionato, quanti progetti speciali e quante produzioni abbiamo presentato al nostro pubblico. E non vediamo neanche il ‘tutto esaurito’, gli abbonamenti che non bastano più, gli autobus che vengono dai comuni della provincia bolognese e gli studenti delle scuole medie superiori, che partecipano da anni alle nostre iniziative assieme ai loro colleghi dell’università. Tutto questo, del resto, lo potrete trovare nel volume, che abbiamo or ora pubblicato proprio per fornire a chi ci segue dati e informazioni sulla nostra attività in questi trent’anni. Quelle tre decine, invece, per noi rappresentano sostanzialmente la misura di un impegno, sia morale, sia culturale. Vorremmo, cioè, che dicessero a tutti qualcosa che non sta nella quantità, ma che è altrettanto e forse più importante: che dicessero come abbiamo lavorato, come abbiamo progettato, come abbiamo fatto le nostre scelte e quindi spiegassero come e perché siamo arrivati oggi a festeggiare un risultato così importante. Il ‘come’ non è riducibile, però, ad un mucchio di sassolini, piccolo o grande che sia. Sta, invece, nel modo in cui abbiamo preso uno ad uno quei sassolini, quelle pietruzze. Nel modo in cui abbiamo composto quello che oggi appare un complesso, ma coerente, mosaico. Soprattutto sta nelle convinzioni e nelle idee, che ci hanno spinto ad agire, a scegliere, a costruire. Di tutto ciò vuole essere testimonianza la stagione che ora comincia, alla quale del resto si affianca subito la partecipazione a Bologna Modern, il primo Festival per le musiche contemporanee della nostra città, che ci vede al fianco del Teatro Comunale. Qui Musica Insieme affronta il grande jazz, operando quindi ancora una scelta nel contesto della qualità e della diversificazione, che la qualità impone per mantenersi al livello che in questi trent’anni abbiamo appunto raggiunto. Una sorta di doppia inaugurazione, nella convinzione consolidata che chi opera per la cultura e per le arti debba sempre aver presente la centralità del come agisce e delle sue ragioni. Ci vuole cuore in questo ‘mestiere’. Ci vuole quel sentimento che non si esaurisce, quell’emozione che non si spegne. Tutto ciò, insomma, che anche i numeri potrebbero dirci se li leggessimo in trasparenza, andando a guardare ciò che sta al di là dei numeri stessi. Fabrizio Festa MI MUSICA INSIEME 15 L’intervista BONONIA docet Illuminanti le riflessioni sulla città e sulla cultura di Francesco Ubertini, Magnifico Rettore dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna dal novembre 2015 D al suo osservatorio, come ‘fotograferebbe’ lo studente medio che oggi frequenta l’Ateneo felsineo? Ha notato cambiamenti in questi anni, sulla base della sua esperienza come docente e ora Rettore, nel livello culturale o nel modo di affrontare i programmi curricolari, nei rapporti con i docenti, nell’impegno sociale degli studenti stessi? «È difficile fare un discorso unitario che riesca a fotografare una popolazione di quasi 80.000 studenti. In effetti, se dovessi far riferimento alla mia esperienza di docente ancora prima che a quella di Rettore, dovrei dire che negli ultimi anni, forse anche per ragioni legate alle modifiche del nostro sistema didattico, ci sono stati cambiamenti notevoli, soprattutto per il modo con cui gli studenti si stanno adattando ai tempi richiesti per arrivare alla laurea. Un altro fatto per me interessante è che molti studenti, di aree diverse, sentono la necessità di allargare le prospettive di studio magari attra- 18 MI MUSICA INSIEME verso incontri, dibattiti, seminari che possono essere di natura anche molto diversa rispetto alle materie ufficiali dei loro corsi. Questa curiosità è un dato positivo, forse Bologna si caratterizza per la ricchezza di offerte culturali che Università e città riescono ad offrire». L’Università è strettamente connessa alla città in cui ‘vive’, entrambe antiche, entrambe gloriose, ma certo con le problematiche di cui si legge quotidianamente, come il degrado nella zona di Via Zamboni. Qual è la strategia per combattere questa non facile battaglia? «Il degrado è un fenomeno che caratterizza tutte le città, il problema è che a Bologna il cuore della vita universitaria coincide con luoghi storici che vanno valorizzati e tutelati. Insieme ad alcuni architetti e urbanisti stiamo pensando a un progetto di riqualificazione molto ampio, che condividiamo con l’amministrazione cittadina. Per ora, il primo passo è stato quello di rendere vivibile e visitabile via Zamboni attraverso aperture straordinarie, visite nei palazzi universitari, programmazione di eventi per tutta l’estate». Quali ritiene siano le principali criticità di Bologna città universitaria e quali le caratteristiche che invece la rendono unica rispetto alle altre realtà italiane? “Musica Insieme è per noi un partner prestigioso, tramite il quale riusciamo a rendere più intensi i rapporti con la città” «L’unicità consiste, come ho detto, nell’ampiezza di offerte formative e culturali che lo studente trova a Bologna. La criticità sta nel rendere sempre più organiche, razionalizzate, strutturate queste offerte. Unibo è la risorsa principale di questa città, è un luogo dove si trasmettono saperi e si sperimentano ogni giorno decine di nuovi progetti, è un multicampus che si diffonde per tutta la Romagna, toccando città che hanno vissuto mutamenti profondi proprio grazie alla presenza di corsi di laurea e sedi accademiche. Credo che nessuna università italiana possieda oggi queste caratteristiche, che noi consideriamo un tesoro da rendere sempre più vivo». A proposito del legame culturale e sociale fra l’Università e il tessuto cittadino dove essa agisce, come vorrebbe (ri-)disegnare il rapporto fra l’istituzione universitaria e la città, anche in termini di relazioni fra le attività universitarie e le iniziative culturali cittadine? «Importante è dialogare, collaborare, mettere sul piatto la creatività dei due interlocutori. Unibo è un laboratorio di idee, che vengono offerte alla città, che la città deve ricevere come un dono di cui andar orgogliosa. Dal mio insediamento, i rapporti con il sindaco Merola e con la sua giunta sono diventati un fatto imprescindibile, si tratta di un confronto che considero essenziale. Non è un caso che molti dei festeggiamenti per il nono centenario del Comune siano avvenuti nell’Aula magna di Santa Lucia, cioè nello spazio che contiene i momenti più alti della vita dell’Alma Mater. Ricordo poi la presenza di Merola, pochi giorni dopo la sua vittoria, alla cerimonia dei dottori di ricerca, in un momento emozionante e molto alto». A tale proposito, ormai vent’anni fa, grazie alla illuminata lungimiranza dell’allora Rettore Pier Ugo Calzolari, nasceva Musica Insieme in Ateneo, che per la prima volta vedeva collaborare l’Università bolognese con una fondazione privata per offrire agli studenti felsinei un’occasione di incontro con la musica: non soltanto con il concerto, che veniva e viene sempre offerto loro gratuitamente, ma anche con interventi di musicologi e degli stessi artisti sul palco, a preparare l’ascolto con apposite conversazioni introduttive. Qual è la sua ‘politica cultu- rale’, in particolare rispetto alle arti, come Rettore dell’Università di Bologna? «L’incontro con la musica e con le arti è un bene prezioso che dobbiamo assolutamente incentivare. Musica Insieme è per noi un partner prestigioso, tramite il quale riusciamo a rendere più intensi i rapporti con la città. Se posso permettermi un riferimento personale, è per me un motivo di orgoglio continuare nella direzione aperta da un ingegnere illuminato e colto come il Rettore Calzolari». Ricerca e lavoro: sono temi di scottante attualità, se da decenni si discute di cervelli in fuga e finanziamenti alla ricerca, come pure di agevolazioni per l’accesso al mondo del lavoro da parte dei neolaureati: quali azioni intende portare avanti per questa ‘buona causa’ durante il suo mandato? «Gli investimenti sulla ricerca da parte di Unibo sono sempre stati e continueranno a essere fondamentali. Il problema della cosiddetta fuga dei cervelli è molte volte mal posto, quello a cui si deve arrivare è un continuo processo di scambi tra intelligenze italiane e intelligenze che vengono da fuori. Del resto i laureati italiani risultano sempre ai primi posti quando partecipano a selezioni in territori stranieri, e questo deve essere un motivo di vanto per il nostro sistema universitario». Il Cortile d’Ercole di Palazzo Poggi, sede del rettorato dell’Università di Bologna MI MUSICA INSIEME 19 Bologna Modern PRIME assolute Il nuovo Festival dedicato all’attualità musicale riunisce le forze del Teatro Comunale e di Musica Insieme – che presenterà due leggende come Krakauer e DeJohnette – per offrire alla città una panoramica delle migliori esperienze compositive dell’oggi di Nicola Sani A Bologna, capitale della musica moderna, non poteva mancare un festival di respiro internazionale dedicato al grande repertorio sinfonico del nostro tempo e alle nuove proposte del panorama attuale. Bologna Modern esplora i diversi linguaggi sonori di oggi e la scrittura sinfonica contemporanea. Teatro Comunale e Musica Insieme aprono all’attualità con i protagonisti dell’avanguardia, del nuovo jazz, della scena multimediale. Un festival, ma anche un think-tank sul rapporto musica/cultura/società, grazie all’alleanza con TEDx Bologna, che per la prima volta si svolgerà al Teatro Comunale proprio nel quadro del Festival (il 22 ottobre dalle ore 10 alle ore 18), nonché alla partnership con la Fondazione Golinelli. Quattro concerti sinfonici presentano importanti autori di oggi, tra i quali Kurtág, Scelsi, Hosokawa, Haas, Cerha, Sciarrino, Oppo, Adams, Rihm, Roqué Alsina. Di quest’ultimo sarà eseguita in prima assoluta una nuova composizione com- missionata dalla Regia Accademia Filarmonica di Bologna; prime assolute anche per gli italiani Caprioli, Perezzani e Traversa. I concerti sono diretti da Nikolaj Znaider (14 ottobre, inaugurazione), con la straordinaria violinista Arabella Steinbacher per il Concerto “Alla memoria di un angelo” di Berg; Marco Angius (15 e 19 ottobre) e Tonino Battista (22 ottobre). Nel programma di Bologna Modern due straordinari eventi curati da Musica Insieme: il 17 ottobre David Krakauer, grande clarinettista klezmer e sperimentatore delle nuove vie del clarinetto contemporaneo con il suo gruppo Krakauer’s Ancestral Groove; il 23 ottobre il trio di all-star con Jack DeJohnette (batteria, pianoforte) e due figli d’arte: Ravi Coltrane (sassofono) e Matthew Garrison (basso elettrico). Per il teatro musicale del nostro tempo: Conversazioni con Chomsky 2.0 del catanese Emanuele Casale (20 e 21 ottobre, all’Arena del Sole) è un lavoro multimediale con la regia e i video di Fabio Scacchioli, la direzione d’orchestra di Yoichi Sugiyama e la straordinaria e poliedrica voce di Diana Torto. Altre iniziative collaterali sono in corso di definizione con Fondazione Golinelli e Università di Bologna. I concerti avranno luogo al Teatro Comunale, Conversazioni con Chomsky 2.0 all'Arena del Sole. Bologna Modern si realizza con il contributo di Paola e Marino Golinelli per la Fondazione Golinelli. I biglietti (da 10 a 40 euro) sono in vendita sia online sul sito www.tcbo.it sia presso la biglietteria del Teatro Comunale di Bologna. Per i due concerti organizzati da Musica Insieme è previsto uno sconto del 20% per tutti i settori (tranne quelli con biglietto a 10 euro) per gli abbonati di Musica Insieme e del Teatro Comunale di Bologna, i possessori della Card Musei Metropolitani e della Bologna Jazz Card. I biglietti per l’opera multimediale Conversazioni con Chomsky 2.0 vanno da 15 a 20 euro. Informazioni su www.tcbo.it, www.musicainsiemebologna.it e www.tedxbologna.com 20 MI MUSICA INSIEME Foto Lars Gundersen venerdì 14 ottobre Il Festival Bologna Modern porterà per la prima volta in città una full immersion nella contemporanea: un repertorio ancora tutt’altro che familiare, specie in Italia… «Credo sia un problema universale: ricordiamoci che ogni artista è stato ‘contemporaneo’, o ‘moderno’ ai propri tempi; inoltre, circa un secolo fa è successo qualcosa. Due autori in particolare ne sono stati i protagonisti: Schoenberg, e a suo modo anche Stravinskij, hanno contribuito a sviluppare il linguaggio (anche l’ultimo Mahler lo ha fatto) sino ad un tale limite armonico, strutturale, concettuale che non vi era modo di andare oltre. Il passo successivo, come fecero Stravinskij e Schoenberg, era la creazione di un nuovo linguaggio. Certo c’erano autori come Richard Strauss o Elgar o Sibelius che componevano come un tempo, Marco Angius ma chiunque fosse nato dopo quel momento doveva fare i conti con un mondo nuovo, dove è cresciuta una grande generazione di compositori che scrivevano in forme predefinite, come il serialismo, portando spesso ad esercizi intellettuali che hanno causato uno scollamento con il pubblico. Credo che negli ultimi anni ci sia stato un cambiamento: personaggi come Boulez – peraltro un oratore affascinante – o Carter, la cui musica va in una direzione che dà grande soddisfazione nel suonarla, ma è di difficile ascolto, hanno lasciato il posto a compositori che ‘si fanno ascoltare’, e anche chi non conosce la classica può apprezzarli. Penso a Guillaume Connesson o a James MacMillan: la loro musica ti tocca al primo ascolto. È molto positivo quando la composizione possiede la facoltà di connettersi all’aspetto emotivo dell’arte». Accanto a una prima assoluta di Roqué Alsina, dirigerà anche un ‘classico’ come Mendelssohn: una combinazione che accontenterà tutti i palati? «Credo che accostare pezzi moderni e ‘familiari’ faccia bene ad entrambi: io stesso penso di non avere mai compreso Beethoven finché non ho suonato Schoenberg. Abbiamo bisogno di un contesto. Accostando i brani con intelligenza, credo che questo sia il modo più attraente per proporre la contemporanea. Dobbiamo sedurre il pubblico… e credo sia una buona cosa anche per Mendelssohn, che ascolteremo a fine programma, e suonerà sicuramente diverso». sabato 15 ottobre, mercoledì 19 ottobre Due concerti, i suoi, ricchi di prime assolute commissionate appositamente per Bologna Modern. Dirigendo musica di autori viventi, è prassi l’approfondimento delle partiture con i rispettivi autori? «Con autori come Alberto Caprioli o Martino Traversa ci conosciamo da diversi anni, quindi il lavoro procede in maniera parallela: vengo aggiornato via via che il pezzo viene elaborato, e posso averne un’idea progressiva. Nel caso in cui questo non accada, affronto il pezzo come una novità assoluta, e con la curiosità e lo spirito d’esplorazione che contraddistingue la contemporanea – che poi è sempre un’incognita anche per chi la esegue, non solo per il pubblico…» Fra le prime italiane spicca un lavoro di Salvatore Sciarrino: curioso che proprio un autore come lui veda solo ora una prima esecuzione nel suo paese… «È vero. Con il Teatro Comunale abbiamo recentemente presentato Luci mie traditrici, io stesso ne avevo diretto la prima italiana nel 2010. È un paradosso, che però è anche significativo e sintomatico del fatto che un autore italiano venga eseguito prima all’estero e poi torni in Italia in prima esecuzione nazionale. Per questo il fatto che un Teatro come quello di Bologna voglia inaugurare un nuovo festival tutto dedicato a musiche d’oggi è secondo me molto importante e va visto come un punto di riferimento, perché siFoto Silvia Lelli Nikolaj Znaider gnifica che c’è chi investe per mettersi al passo con gli altri paesi europei, che programmano la musica contemporanea. D’altro canto, questo fatto va visto come un’urgenza di scoperta e di aggiornamento che dovrebbe essere sicuramente più frequente e più sentita in Italia». Che cos’è per lei la “contemporaneità” in musica? «È un linguaggio che parla agli esseri presenti, non è legata tanto a un fattore stilistico, ma al fatto che individua degli interlocutori nelle persone che vivono ora, il che è il fatto più problematico; ma chiedersi “a chi parlo, quali sono i miei interlocutori?” è un dato fondamentale per i giovani compositori. È importante che un linguaggio, al di là di quanto sia sperimentale – e questo vale anche per la musica del Novecento – venga guardato con l’ottica del tempo in cui siamo». MI MUSICA INSIEME 21 Foto Jean Marc Lubrano Perché ha scelto il nome di Krakauer’s Ancestral Groove? «La mia band si chiamava Klezmer Madness: ma negli anni la mia musica si è evoluta, avvicinandosi a una dimensione ‘groove’ che attinge alle mie esperienze di americano del XXI secolo. Mi è sembrato quindi logico dare alla band un nome che riflettesse questi cambiamenti, pur mantenendo un richiamo ai miei antenati dell’Europa orientale». Come collocherebbe la sua esperienza all’interno del panorama musicale attuale? «È sempre stato difficile categorizzare la mia musica, e collocarla in uno ‘scomparto discografico’ preciso. Ognuno può David Krakauer guardare al mio lavoro da prospettive differenti, il che è estremamente interessante. Il magazine Downbeat ha assegnato 5 stelle al mio ultimo cd con Ancestral Groove, Checkpoint. La mia musica è considerata da sempre una diramazione del jazz, ma la nomination al Grammy che ho ricevuto l’anno passato era nella categoria “musica classica”! È una questione di prospettive…». Che peso ha la grande tradizione clarinettistica per lei? «Il suono del clarinetto è affine alla voce umana, perciò sono sempre stato attratto da stili dove questo aspetto viene enfatizzato. Ad esempio, reputo i maestri di New Orleans come Dodds, Bechet e Bigard molto più interessanti di altri, come Shaw o Goodman, per i colori e i timbri che usano. Suonare ‘semplicemente’ il clarinetto, seppure con una tecnica impeccabile, non mi entusiasma. Traggo invece grande ispirazione dalle Conversazioni con Chomsky 2.0 Pubblichiamo qui di seguito una breve presentazione dell’opera multimediale composta da Emanuele Casale, Conversazioni con Chomsky 2.0, unico spettacolo in cartellone che avrà luogo all’Arena del Sole anziché al Teatro Comunale di Bologna Conversazioni con Chomsky 2.0 è un’opera audiovisiva che prende spunto dal pensiero sociopolitico del noto linguista e attivista americano Noam Chomsky. Inizialmente ispirato all’opera lirica, questo lavoro ha poi assunto una fisionomia propria, con molti elementi di forte divergenza rispetto al teatro musicale convenzionale. Le parti visive e testuali mirano a comporre un mosaico di messaggi, opinioni 22 MI MUSICA INSIEME lunedì 17 ottobre tradizioni folk di tutto il mondo, dall’Albania alla Grecia e, certamente, dalle vecchie registrazioni dei maestri del klezmer dell’Europa orientale. A partire da queste influenze, il mio obiettivo è creare un suono distintivo con più colori e timbri possibili». Il 17 ottobre sarà la sua prima apparizione a Bologna con l’Ancestral Groove: che messaggio vorrebbe diffondere con questo nuovo progetto? «Penso che riunire vari stili rappresenti una metafora dell’unire persone e culture, e al giorno d’oggi questo è essenziale. Certo, non si tratta solo di fare un collage, il processo deve essere organico, e deve esaltare le caratteristiche comuni. Ancestral Groove riunisce gli ambiti klezmer, jazz, funk, hip-hop e la nuova musica classica. La sfida sta nel creare con questi elementi qualcosa di totalmente nuovo e inaspettato». giovedì 20 ottobre, venerdì 21 ottobre e discorsi che sfiorano temi tipici dell’attivismo chomskyano o fanno qualche allusione a essi: linguaggio, propaganda, mass media e politica. L’impostazione dello spazio scenico è semplice ed essenziale: uno schermo proietta video sincronizzati con un gruppo di musicisti dal vivo e una cantante (la splendida voce di Diana Torto). Non vi sono scenografie e attori in scena, perché i “personaggi” di quest’opera appaiono soltanto sul maxischermo: Margaret Thatcher, Milton Friedman, Ronald Reagan, Salvador Allende, lo stesso Noam Chomsky e altri. La componente sonora è guidata da un direttore d’orchestra (Yoichi Sugiyama) ed è arricchita da suoni elaborati al computer. Le musiche sono di Ema- Emanuele Casale nuele Casale, i video di Fabio Scacchioli. Le idee visive nascono dalla collaborazione tra il videomaker e il compositore. Tonino Battista sabato 22 ottobre Nel programma da lei diretto, Oppo, Perezzani e Hosokawa sono incorniciati da due ‘classici’ come Scelsi e Adams. C’è qualche relazione fra di loro? «Questo programma parte da presupposti di affinità e di interesse per identità linguistico-espressive pur diverse tra loro. Se prendo ad esempio i brani di Scelsi, Hosokawa e Adams, nessuna evidente matrice linguistica, tecnico-musicale o stilistica li accomuna; eppure ciascuno si fonda sul principio della fascinazione del suono, sulla possibilità di creare emozioni sensoriali che attengono alla percezione più istintuale. Franco Oppo mi interessa per il suo legame con le tradizioni musicali della sua terra e per come lui le legga attraverso la complessità del linguaggio colto, senza rinunciare alla visceralità del suono e dell’elemento melodico ancestrale. Paolo Perezzani è un autore che ammiro per la sua capacità di Jack DeJohnette Foto Carlos Pericás La formazione che ascolteremo è un trio un po’ atipico, formato da batteria, basso e sassofono. «Oltre alla batteria, suonerò anche il pianoforte, in più l’elettronica ci permette di creare un paesaggio sonoro quasi orchestrale. Ciò che cambia, rispetto al tradizionale trio di piano, batteria e contrabbasso, è il colore». A proposito di colore: l’ultima incisione di Coltrane, Interstellar Space, è per soli sax e batteria. Nel vostro ultimo cd In Movement sembra di porre la sua ricerca espressiva al servizio della comunicazione: i suoni dell’orchestra di Perezzani agiscono come personaggi, situazioni drammatiche di una scrittura teatrale». Come si può rendere più familiare il linguaggio musicale dell’oggi? «Il pubblico delle nostre sale da concerto è capace di trovare la propria modalità di relazione con l’opera, anche se si tratti di linguaggi non familiari, che presentino complessità stilistiche poco indulgenti con l’ascoltatore. Il problema della difficoltà di taluni linguaggi della contemporaneità a trovare favore, ed anche solo a incuriosire il pubblico, risiede proprio, a mio parere, nel grado di consapevolezza degli interpreti (nel caso dell’orchestra, dei direttori) e nella loro capacità di riuscire a rendere semplice quello che all’apparenza è difficile, di fornire la giusta chiave di lettura alla complessità per permettere al pubblico di ascoltare e “intendere” lingue diverse». Che cos’è per lei la “contemporaneità” in musica? «La contemporaneità siamo noi, è la nostra stessa esistenza, ci appartiene perché ne siamo parte e la sua complessità risiede proprio in questo. Non arriveremo mai a conoscerci abbastanza e le pieghe del nostro tempo non ancora decodificate ci spaventano: a volte siamo incuriositi e cerchiamo delle spiegazioni più o meno convincenti, a volte ci sentiamo a disagio per questa imponderabilità e ci rifugiamo, mistificandolo, nel passato». domenica 23 ottobre coglierne qualche suggestione… «Sì, nell’album c’è un brano dal titolo “Rashied”, per batteria e sax sopranino, che è dedicato proprio al batterista con il quale John Coltrane ha inciso Interstellar Space: Rashied Ali». Il programma che presenterete riprenderà brani dell’ultimo album? «Di certo ci saranno alcuni brani del cd, ma noi suoniamo ogni volta in maniera differente, la nostra musica è sempre ‘nuova’: l’album si chiama In Movement, e noi suoneremo proprio così, all’impronta, in movimento continuo. Ci sarà anche molta improvvisazione, il risultato di dieci anni di concerti insieme». Il trio è al suo debutto a Bologna: come presenterebbe i suoi due colleghi? «Ravi e Matt non sono soltanto i figli di John Coltrane e di Jimmy Garrison, che a loro volta hanno suonato molto insieme nella vita: entrambi possiedono una voce caratteristica e riconoscibile, sono innovatori e hanno a loro volta qualcosa da dire, come già i loro padri». Ha definito la sua musica “multidimensionale”, alludendo alla diversità di stili e di culture che essa accoglie: quale funzione ascrive alla sua musica? «La nostra intenzione è di infondere un’energia quasi terapeutica in chi ci ascolta. Penso che, in un momento come il presente, così stimolante ma anche turbolento e tragico, la musica dovrebbe dare alle persone vibrazioni positive per affrontare i problemi di ogni giorno». MI MUSICA INSIEME 23 Foto Johannes Gellner Musica e poesia GIACOMO LEOPARDI Canti Musica Insieme e Gruppo Unipol offrono in quattro serate la lettura integrale dei versi di uno dei massimi poeti italiani, grazie alla voce di Giuseppe Cederna e alle note di Schubert S ulla scorta dello straordinario successo che nelle scorse stagioni ha salutato Baudelaire: I fiori del male e «Vorrei essere scrittore di musica»: Pier Paolo Pasolini poeta dei suoni, Musica Insieme e Gruppo Unipol propongono per il prossimo autunno una nuova rassegna di poesia e musica, incentrata su una delle figure più significative della letteratura italiana, Giacomo Leopardi, e sulla lettura integrale della sua più importante raccolta poetica: i Canti, trentasei componimenti scritti durante l’arco di tutta la vita, in cui, con una voce ancora attualissima e capace di parlare all’uomo di ogni tempo, egli coglie i più urgenti interrogativi dell’umanità, l’ineffabilità dell’immateriale, la disperazione del dolore, l’amore, il senso della morte. L’Unipol Auditorium di Via Stalingrado, già teatro delle due precedenti rassegne, ospiterà dunque tra ottobre e novembre 2016 i quattro appuntamenti di Giacomo Leopardi: Canti - Musicali accordi e sovrumani silenzi, durante i quali la lettura delle poesie sarà accostata 24 MI MUSICA INSIEME alla musica. Nelle sue pagine Leopardi ha infatti dedicato ampio spazio a profonde riflessioni sul significato di questa arte, la «più universale delle bellezze». Nello Zibaldone dei pensieri scrive che essa «produce nell’animo un ricreamento, l’innalza, o l’intenerisce secondo le disposizioni relative o dell’animo o della musica, immerge l’ascoltante in un abisso confuso di innumerabili e indefinite sensazioni». Nell’attribuire una veste musicale alle sue poesie è inevitabile pensare a Franz Schubert, cui lo accomuna già la biografia: nati a distanza di un anno, rispettivamente nel 1798 e nel 1797, furono entrambi enfant prodige imprigionati in un contesto provinciale soffocante per i loro aneliti di grandezza, per raggiungere una morte precoce che non ha impedito loro di lasciare una prolifica produzione, imprescindibile testamento per le generazioni future. «Le mie creazioni – scriveva Schubert – sono il frutto della conoscenza della musica e della mia conoscenza del dolore». Come non udire in queste parole l’eco dei versi di Leopardi? La lettura delle poesie sarà affidata a Giuseppe Cederna, uno dei più affermati attori italiani dei nostri giorni, con quasi quarant’anni di carriera sul palcoscenico come sul grande schermo. Premio Oscar con il film Mediterraneo di Salvatores nel 1991, ha lavorato con Scola, Monicelli, Lavia e i fratelli Taviani, parte- cipando a film e fiction di successo, come Marrakech Express, El Alamein e K2 - La montagna degli Italiani. A eseguire la musica di Schubert nella serata inaugurale (18 ottobre), dedicata all’antichità quale faro di luminosa ispirazione, attraverso le figure immortali di Bruto Minore, Leonida e di Dante, sarà il Quartetto Lyskamm, uno dei più richiesti e premiati ensemble italiani, che ascolteremo anche nel terzo appuntamento (10 novembre) con l’ultimo Quartetto del compositore austriaco a cornice dei versi più intimi, quelli degli affetti e dell’innocenza perduta, che risuonano ne Il sabato del villaggio e A Silvia. Il pianista Andrea Lucchesini, straordinario interprete al fianco di Claudio Abbado, Riccardo Chailly, Daniele Gatti e Daniel Harding, e unico italiano ad aver ricevuto il prestigioso Premio Internazionale Accademia Chigiana, accosterà invece il 25 ottobre le più celebri pagine pianistiche di Schubert a L’infinito e alle atmosfere intime e campestri de Il passero solitario e La sera del dì di festa, e, nella serata conclusiva del 24 novembre, agli appassionati versi d’amore per la donna celata sotto lo pseudonimo di Aspasia e a quelli disincantati de La ginestra, in cui la “pianta gentile” continua imperterrita a fiorire, come un estremo messaggio di dignità e solidarietà umana davanti alla vastità dell’Universo e alla crudele forza di una Natura “matrigna”. GIACOMO LEOPARDI: CANTI Musicali accordi e sovrumani silenzi Unipol Auditorium – ore 21 (Via Stalingrado, 37 – Bologna) ottobre - martedì 18 All’Italia Giuseppe Cederna voce / Quartetto Lyskamm ottobre - martedì 25 La vita solitaria Giuseppe Cederna voce / Andrea Lucchesini pianoforte novembre - giovedì 10 Le ricordanze Giuseppe Cederna voce / Quartetto Lyskamm novembre - giovedì 24 Il fiore del deserto Giuseppe Cederna voce / Andrea Lucchesini pianoforte Musiche di Franz Schubert L’ingresso ai concerti è gratuito, fino a esaurimento dei posti disponibili. Non è consentito l’accesso in sala a concerto iniziato. LA POESIA DI UNA VITA I Canti di Leopardi non sono solamente una raccolta di poesie. Ci sono modi diversi di leggerli e di avvicinare un’opera che rappresenta uno dei veri grandi capolavori dell’Ottocento. Innanzitutto i Canti sono il racconto in versi dei modi con cui Leopardi ha dato forma ai temi fondamentali del suo pensiero: l’amore, la passione vitale, la malinconia che deriva quando la giovinezza è finita, gli ideali della gloria umana, la forza della natura e la debolezza dell’uomo, il senso della storia, la visione negativa del presente. A questo, bisogna aggiungere che nei Canti si ritrovano, spesso trasfigurate, tutte le fasi della vita del poeta: la poesia giovanile, più vicina ai classici e interamente dedicata a temi eroici, la scoperta di un modo nuovo di esprimere l’interiorità negli Idilli, l’esaurirsi della vena poetica e il suo ritorno improvviso, nei canti composti a Pisa, il ciclo amoroso ispirato al soggiorno fiorentino, la scoperta dell’ironia e di un tono sarcastico che matura negli ultimi anni a Napoli. Dunque i Canti sono anche il libro dell’intera vita di Leopardi, il libro al quale il poeta lavora senza interruzione dall’adolescenza alla morte. Sono il libro dentro al quale possiamo leggere lo sviluppo della concezione poetica di Leopardi, e il modo con cui passando da uno all’altro Leopardi sperimenta sempre nuove soluzioni, senza mai arrendersi o cadere nelle abitudini. Ogni canto è un capolavoro, e ogni canto acquista valore se letto insieme a quelli che lo precedono e lo seguono. Per questo, una vera immagine del poeta oggi può darsi solamente se i Canti vengono letti nel loro insieme, così come sono stati costruiti, con grande attenzione ma anche con enorme fatica, dal loro autore. Se dividiamo i Canti in quattro sezioni, possiamo addirittura renderci conto di come questa costruzione sia perfetta, calibrata, calcolata, come se si trattasse di un organismo che palpita grazie alle voci di cui è fatto. Questo è il terzo aspetto con cui il libro si presenta a noi, a centonovant’anni da quando Leopardi decise di pubblicare la prima forma del libro, proprio a Bologna, con il titolo molto dimesso di Versi. I Canti sono un coro di voci, una specie di partitura composta di decine di voci diverse insieme alle quali sentiamo anche quella dell’autore: Saffo, il pastore errante, Bruto, Silvia, Consalvo, sono solo alcuni dei personaggi che parlano nei versi leopardiani. I Canti sono dunque un teatro del pensiero, un palcoscenico dove vengono messe in scena le passioni e le idee di un uomo che ha previsto, in un’altra epoca, tutto quello che i suoi posteri avrebbero poi sentito, immaginato, pensato intorno alla vita e alla morte. Marco Antonio Bazzocchi, Professore Ordinario di Letteratura Italiana Contemporanea, Università di Bologna MI MUSICA INSIEME 25 Profili (RI)CONOSCERE Beethoven Dieci anni fa ci lasciava troppo presto Roberto Verti: musicologo, autore di libri e saggi, dal 1980 critico musicale del Carlino e di molti periodici, Roberto Verti per Musica Insieme era soprattutto un amico. Appassionato e appassionante il modo in cui sapeva ‘parlar di musica’, proprio con lui inaugurammo, nell’ottobre 2004, questa rubrica che si proponeva di raccontare con taglio divulgativo i compositori in cartellone. Ripubblichiamo oggi il primo dei suoi contributi, dedicato a Beethoven (che l’Emerson Quartet eseguirà il 7 novembre); altri ne seguiranno, testimoniando ancora una volta l’attualità e luminosità del suo pensiero N on molti musicisti culti sono divenuti icone pop destinate alle t-shirt. Uno tra essi è Beethoven, il cui bicentenario della nascita cadeva nel 1970, in pieno tramonto beatlesiano, in tempo di autunni caldi e di rivolte, con Schroeder assatanato sul pianoforte giocattolo nelle strisce dei Peanuts, con Kubrick che stava per fare uscire Arancia meccanica, film ossessionato da Beethoven e dall’allucinata “cura Ludwig”. Andava di moda, Beethoven, negli anni Settanta. Se sfogliate le cronologie dei teatri italiani – in primis quella del Comunale di Bologna, che allora era la punta di diamante del “decentramento”, dell’idea cioè, partorita dalla forte sinistra di allora, di portare la musica colta al popolo, nelle biblioteche e nei centri civici e nelle fabbriche (a Milano con Nono, Abbado e Pollini) – se sfogliate quei repertori di Beethoven ne trovate parecchio. Ora, trent’anni dopo, molti frequentatori italiani delle sale da concerto non hanno mai ascoltato una Quinta Sinfonia dal vivo. Forse, Beethoven non è più di moda; forse, Beethoven sta ritornando. Probabilmente nessun autore attrae nella storia della musica tanta passione ideologica: a Beethoven, la giacchetta la tirano un po’ tutti, da sempre. Nei suoi saggi di fine anni Settanta, quando s’occupava della Krisis della cultura viennese, Massimo Cacciari (ma con lui tutti gli esegeti della seconda Joseph Karl Stieler, ritratto di Ludwig van Beethoven, 1820 26 MI MUSICA INSIEME Scuola di Vienna) per esempio buttava lì l’idea di uno sconvolgente “salto nella modernità” da parte dell’ultimo Beethoven. Il quale sarebbe stato un autore capace di prevedere e premonire, uno insomma che scriveva da novecentista, che immaginava la musica ante litteram, che, senza saperlo, era intento a preparare la strada maestra del Moderno viennese: Beethoven-Brahms-Schoenberg, come se un ineluttabile destino dovesse portare alla dodecafonia e poi allo strutturalismo del secondo dopoguerra. Questi anni passati dopo i Settanta sono serviti via via a sfumare, correggere e rivedere queste iperboli, e Beethoven sta tornando lentamente al suo posto. Ed è un posto unico, che appartiene solo a lui. Beethoven rappresentò un grande problema per i Romantici, che ne fecero un monumento ma ne furono pure schiacciati: sapevano della sua grandezza, ma per molto tempo non seppero se e come proseguire quella via. Beethoven fu un uomo molto serio e un artista profondamente etico (chissà se qui, nell’etica, si trova una delle ragioni recondite di quell’incessante esercizio di ideologia intorno alla sua opera). La sua musica – fatte poche eccezioni – trasuda “necessità”: hai sempre l’impressione che quella pagina “debba” essere così; la sua musica non conosce il disimpegno, ogni minimo inciso ritmico o melodico è lì per portare da qualche parte, ogni sua opera sinfonica, cameristica, pianistica è un piccolo grande “teatro” drammatico, è gravida di azione, di movimento. Rispetto ai predecessori scrisse poco: scriveva solo ciò che gli pareva di dovere dire. Beethoven mostra in modo esemplare la continuità senza soluzione tra il classicismo viennese e i linguaggi romantici. L’esercizio del contrappunto e della variazione, della scrittura colta e sapiente, innerva tutto il suo percorso e alla fine, nell’alveo di quello che Lenz definì a metà Ottocento come l’ultimo dei suoi “trois styles”, irrompe veemente dando vita alle pagine più “costruite” e anche, magicamente, più profondamente poetiche, espressive e “individuali” che Beethoven abbia concepito. (Roberto Verti, ottobre 2004) I luoghi della musica LA NUOVA Arena Pasolini Le celebrazioni dei cinquant’anni del Pilastro, con l’inaugurazione della nuova Arena Pasolini, confermano come il quartiere bolognese sia diventato una delle aree più vive e stimolanti della città di Maria Pace Marzocchi I Foto Mario Carlini, courtesy Laminarie/DOM la cupola del Pilastro l via per le celebrazioni dei cinquant’anni del Pilastro, e insieme per l’inaugurazione della nuova Arena Pasolini situata all’interno del Parco Pier Paolo Pasolini, era previsto per il 2 luglio, ma la pioggia ha fatto slittare al 19 il concerto straordinario “… in una notte di mezza estate” del Teatro Comunale al gran completo, orchestra e coro: Verdi e Rossini con le arie più famose, Mozart e Mendelssohn, entro un programma per un pubblico numerosissimo e variegato. Ma frattanto il 9 luglio, il vero compleanno del Pilastro – nello stesso giorno del 1966 avvenne infatti la posa della prima pietra per la costruzione del nuovo rione alla periferia di Bologna – c’è stata la spettacolare illuminazione delle quattro torri del Pilastro che affacciano sul Parco Pasolini, con installazioni audiovisive e la proiezione di materiali inediti relativi alla storia del quartiere tratti dall’Archivio digitale di Comunità. Entrambi gli eventi si sono svolti all’interno della rassegna estiva Vocazione al contatto – nell’ambito di bè Bolognaestate 2016 – progettata e curata da Laminarie/DOM la cupola del Pilastro, che in venti giorni ha portato sul nuovo palcoscenico i più svariati spettacoli: musica classica e rock, teatro, sport, arte visuale, confermando la rinascita del Pilastro, non più alienante “quartiere-dormitorio”, ma al presente una delle aree più vive e stimolanti della città. I lunghi anni di degrado ed abbandono avevano corroso anche il “cratere” teatro su cui ora insiste la nuova arena, per il quale circa 40 anni fa lo scultore Nicola Zamboni, chiamato a popolare di statue la zona del Virgolone ancora allo stato di pre- 28 MI MUSICA INSIEME fabbricato, aveva realizzato i sedili fatti di tronchi di legno come se il pubblico prendesse posto in mezzo ad un bosco appena tagliato. E finalmente i recentissimi interventi artistico-architettonici che rientrano nel “Progetto Pilastro 2016” hanno consegnato alla città un nuovo spazio per la cultura nelle più svariate espressioni, in grado di richiamare pubblico da vari luoghi della città, e dal centro alla periferia che si fa centro. Luogo della cultura, ma anche luogo del sociale: i lavori sono stati infatti realizzati dall’Associazione O.N.L.U.S. Terra Verde e dall’Istituto Professionale Edile insieme ad un gruppo di allievi della Scuola Cantiere, giovani in situazioni di disagio inseriti in un percorso formativo e lavorativo. L’Arena Pasolini è costituita in realtà da quattro arene, che possono ospitare 850 spettatori, in mezzo alle quali il palco costituisce un elemento cerniera, mentre le gradinate sono collocate in modo da formare una sorta di teatro greco. Anche alcune delle statue realizzate da Nicola Zamboni negli anni Settanta concorrono a questa rievocazione del teatro antico: sono state infatti collocate nel foyer, nelle ali acustiche e intorno agli ingressi dell’Arena, quasi a rievocare la frons scaenae dei teatri antichi. In un momento di forte dibattito ideologico sulle periferie che coinvolge gli architetti più impegnati nel sociale, che ne ripensano il ruolo anche in chiave culturale ed artistica, il rinnovato quartiere del Pilastro, con il suo Parco e la nuova Arena, può davvero indicare una strada che val la pena percorrere. E quanto agli spettacoli, è già in cantiere la prossima stagione estiva. Foto Marco Borggreve Patricia Kopatchinskaja di scena il 21 novembre 2016 con la St. Paul Chamber Orchestra I CONCERTI ottobre/novembre 2016 Lunedì 10 ottobre 2016 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 AMSTERDAM SINFONIETTA MARTIN FRÖST....................................................clarinetto CANDIDA THOMPSON.................................maestro concertatore Bruckner, Weber, Janáček, Brahms, tradizionale/Fröst, Bartók Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città metropolitana di Bologna Lunedì 24 ottobre 2016 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 QUARTETTO DI CREMONA ENRICO BRONZI.................................................violoncello RICCARDO DONATI........................................contrabbasso GLORIA CAMPANER.......................................pianoforte Schubert Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città metropolitana di Bologna Lunedì 7 novembre 2016 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 EMERSON STRING QUARTET Beethoven Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole” Lunedì 21 novembre 2016 ST. PAUL CHAMBER ORCHESTRA PATRICIA KOPATCHINSKAJA............ violino AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 Klein, Mendelssohn, Schubert, Dowland, Kurtág Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della Città metropolitana di Bologna Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme: Galleria Cavour, 2 - 40124 Bologna - tel. 051.271932 - fax 051.279278 [email protected] - www.musicainsiemebologna.it Lunedì 10 ottobre 2016 PER UN’EUROPA senza confini Si alza il sipario con uno straordinario debutto: quello dell’Amsterdam Sinfonietta e del clarinetto di Martin Fröst, in un viaggio alle radici della musica, tra suoni popolari e grande repertorio Foto Marco Borggreve di Luca Baccolini Lunedì 10 ottobre 2016 I l fulminante e cosmopolita attacco de La lingua salvata di Elias Canetti vale una lezione di convivenza e forse anche di musica. «Rustschuk, sul basso Danubio, dove sono venuto al mondo, era per un bambino una città meravigliosa, e quando dico che si trova in Bulgaria ne do un’immagine insufficiente, perché nella stessa Rustschuk vivevano persone di origine diversissima. In un solo giorno si potevano sentire sette o otto lingue. Oltre ai bulgari, che spesso venivano dalla campagna, c’erano molti turchi, che abitavano in un quartiere tutto per loro, che confinava col quartiere degli “spagnoli”, dove stavamo noi. C’erano greci, albanesi, armeni, zingari. Dalla riva opposta del fiume venivano i rumeni. C’era anche qualche russo, ma erano casi isolati». Le sette lingue rievocate da Canetti, all’alba del Novecento, sono le note di una Mitteleuropa che conosceva meno confini di quanti oggi si tenda a voler riedificare. Era l’Europa degli Imperi l’un contro l’altro armati, ma anche quella che, con poche ore di navigazione, portava architetti da Vienna fin quasi alle foci danubiane sul Mar Nero e, con percorso inverso, giovani rampanti della provincia, tal Gustav Mahler per esempio, verso il Teatro dell’Opera di Corte. La musica colta ha sempre rielaborato, corteggiato e talvolta inglobato i linguaggi che provenivano dai quattro lati delle periferie europee: Spagna, Scandinavia, Africa e Russia. Ma solo l’inizio del Novecento ha messo le basi per una lettura non solo coloristica ed esotica dell’enorme patrimonio popolare che il riemergere dei nazionalismi aveva fatto affiorare in superficie. Il risultato di questa irruzione non fece soltanto progredire gli studi di etnomusicologia, ma fornì anche agli stessi I PROTAGONISTI Amsterdam Sinfonietta, fondata nel 1988, ha calcato i palchi più prestigiosi, dalla Barbican Hall di Londra alla Konzerthaus di Berlino. Guidata dal primo violino e direttore artistico Candida Thompson, si esibisce senza direttore, una scelta che la distingue dalla maggioranza delle altre orchestre da camera, collaborando con solisti di fama internazionale, come David Fray, Janine Jansen, Dejan Lazic, Steven Isserlis. Martin Fröst è oggi uno dei clarinettisti più richiesti nel panorama internazionale. Attivo al fianco della Gewandhausorchester di Lipsia, come dell’Academy of St.-Martin-in-theFields, è Artista Residente al Concertgebouw di Amsterdam. Nel 2014 ha ricevuto il prestigioso “Léonie Sonning Prize”, assegnato negli anni a personalità quali Sviatoslav Richter, Cecilia Bartoli, Daniel Barenboim. 36 MI MUSICA INSIEME LUNEDÌ 10 OTTOBRE 2016 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 AMSTERDAM SINFONIETTA MARTIN FRÖST clarinetto CANDIDA THOMPSON maestro concertatore Adagio dal Quintetto per archi in fa maggiore WAB 112 Anton Bruckner Carl Maria von Weber Concerto n.1 in fa minore-maggiore op. 73 per clarinetto e archi Leoš Janáček Suite JW 6/2 per archi Johannes Brahms Danza ungherese n.14 (trascrizione per clarinetto e archi di Roland Pöntinen) Tradizionale/Göran Fröst Danza klezmer n. 2 per clarinetto e archi Béla Bartók Danze popolari rumene Sz. 68 (trascrizione per clarinetto e archi di Jonas Dominique) Tradizionale/Göran Fröst Danza klezmer n. 3 per clarinetto e archi Introduce Sandro Cappelletto, scrittore, storico della musica, giornalista de La Stampa compositori nuovi strumenti creativi, rivelando l’urgenza di affrancarsi (o semplicemente di prender respiro) dai modelli ottocenteschi tedeschi. «Lo studio di questa musica contadina – confessava Bartók – era per me di decisiva importanza, perché esso mi ha reso possibile la liberazione dalla tirannia dei sistemi maggiore e minore fino allora in vigore. Infatti la più gran parte e la più pregevole del materiale raccolto si basava sugli antichi modi ecclesiastici o greci o anche su scale più primitive. Mi resi conto allora che i modi antichi ed ormai fuori uso nella nostra musica d’autore non hanno perduto nulla della loro vitalità. Il loro reimpiego ha permesso combinazioni armoniche di nuovo tipo. L’impiego siffatto della scala diatonica ha condotto alla liberazione dal rigido esclusivismo delle scale maggiore e minore ed ebbe per ultima conseguenza la possibilità di impiegare ormai liberamente e indipendentemente tutti e dodici i suoni della scala cromatica». Ben prima degli approdi dodecafonici, insomma, fu il materiale popolare rumeno, ungherese e tzigano a fornire nuove possibilità espressive, accresciute poi dalla vivace porosità della musica klezmer, l’immenso crocevia presidiato dalla cultura ebraica quando questa venne a contatto con i popoli dell’Est Europa. In questo formidabile esercizio di sintesi, prima ancora che di stile, s’era buttato anche Johannes Brahms. Ma le sue Danze ungheresi (così come i Zigeunerlieder – Canti tzigani per coro e pianoforte), pur denotando forte curiosità verso quel versante, non costituivano che un fugace diversivo rispetto alla sua attività creativa principale. In Brahms, poi, il mondo tzigano spesso coincideva con il folklore magiaro: una confusione veniale, ma sintomatica del bisogno di chiarezza che avrebbe portato negli anni a seguire il contributo etnomusicologico di Janáček e Bartók. La simultaneità tra ricerca di suoni popolari e tradizione, in ogni caso, non smette mai di sorprendere. Due anni soltanto separano il Quintetto per archi in fa maggiore di Anton Bruckner (1879) dalla Suite per archi di Janáček (1877). Su di loro aleggia sempre il cromatismo wagneriano, spiccato nel primo (a tal punto che sembra quasi di sentirne già le estreme conseguenze della Scuola di Vienna), più soffuso nel secondo. Ma al di là di questa inevitabile influenza, siamo su due pianeti lontanissimi. Nella Suite, infatti, il giovane Janáček (ancora studente) riprende elementi della viva tradizione popolare morava, con una libertà rapsodica (e armonica) sideralmente distante Lo sapevate che dalla scuola tedesca. Quello che Martin Fröst è direttore Brahms, insomma, giudicava un curioso passatempo, per la nuova artistico del Vinterfest generazione ‘di periferia’ diventa di Mora in Svezia e palestra formativa e poi esigenza dell’International creativa. Di questo passaggio, che tra Brahms e Janáček avviene nelChamber Music Festival l’arco di una generazione e mezzo, di Stavanger in Norvegia si ha più ampia visione attraverso la gittata epocale che compie il clarinetto dalle mani di Carl Maria von Weber (17861826) a quelle di Stravinskij. Un secolo separa il Concerto per clarinetto n. 1 del primo dai Tre pezzi per clarinetto solo dell’altro. Al di là della libertà espressiva che si prende Stravinskij nel 1919, ciò che affiora è la progressiva acquisizione di linguaggi multiculturali dentro lo stesso strumento. Quella che per Weber, agli inizi dell’Ottocento, poteva essere una fascinazione popolaresca (filtrata dal contributo del primo romanticismo tedesco), nei compositori d’un secolo dopo diventa una lingua vera e propria, o più lingue contemporaneamente, padroneggiate per giunta con disinvoltura. Il merito è da attribuirsi senz’altro al repertorio delle periferie, e al contributo klezmer alla musica colta, che in Mahler trova il suo più sublime rappresentante. Ma che oggi, da Göran Fröst a Osvaldo Golijov, sembra non aver mai smesso di tacere il suo enorme potenziale. Canetti il poliglotta, col suo sfaccettato Danubio, insegna ancora oggi un linguaggio universale dei popoli. DISCOGRAFIA L’Amsterdam Sinfonietta non solo vanta una straordinaria carriera concertistica, ma anche un’importante attività discografica. Con Martin Fröst ha registrato, ad esempio, già nel 2003, un Concerto di Mozart (etichetta BIS). Solo un esempio appunto, che non dice però della vastità del catalogo e della varietà del medesimo. Solo per restare all’oggi, Schubert nel 2015 (i quintetti), un album tutto argentino, l’anno precedente Šostakovič, e Weinberg nel 2013. E prima Britten, Mahler, i Boemi (tutto Channel Classics), non potendo non citare la registrazione di Quasi parlando di Tigran Mansurian, realizzata nel 2014 per la prestigiosa ECM. MI MUSICA INSIEME 37 Alla ricerca delle radici > Intervista doppia > Candida Thompson e Martin Fröst ono ormai trascorsi dodici anni dal fortunato incontro fra Martin Fröst e la Amsterdam Sinfonietta, un incontro che ha dato vita ad almeno quattro tournée internazionali, l’ultima delle quali, il prossimo ottobre, toccherà per la prima volta in assoluto la nostra città, per proseguire poi verso Roma (Bologna e la capitale le uniche due date italiane del tour) e riattraversare i confini verso Gran Bretagna e Paesi Bassi. È lo stesso Martin Fröst, a due voci con Candida Thompson, maestro concertatore della compagine olandese, a raccontarci il loro incontro e l’originale progetto “The Roots”, che li vedrà esplorare letteralmente le origini del repertorio clarinettistico, ma anche di quel ‘popolare’ in musica che tanto ha affascinato – e continua ad affascinare – i compositori. S Signora Thompson, ci parlerebbe del ruolo del ‘Maestro concertatore’ in un’orchestra che si esibisce senza direttore? Thompson: «Ho assunto il ruolo di Maestro concertatore della Amsterdam Sinfonietta nel 2001. Quando si suona senza direttore, com’è il caso della Sinfonietta, per i musicisti l’esperienza diventa più assimilabile a quella della musica da camera. In ogni caso, il mio compito è quello di avere una visione generale molto chiara e onnicomprensiva di ciò che stiamo suonando, ma al contempo di ascoltare e rispettare tutti coloro che sono accanto a me, interagendo con loro costantemente. Si tratta in sostanza di mantenere sempre aperta, durante l’intero processo esecutivo, la comunicazione fra tutti gli aspetti e gli elementi in gioco». Come è nata la collaborazione con Martin Fröst? Come definirebbe questo straordinario artista? Thompson: «Abbiamo lavorato spessissimo con Martin. È senza dubbio un clarinettista incredibile: la sua tecnica e la sua espressività non conoscono limiti, quindi Martin può trasmettere le sue idee musicali senza la minima difficoltà. È anche molto creativo e ama infrangere la tradizione, ma solo per infonderle nuova vita». “I concerti più belli sono quelli in cui tutti siamo ‘lì’, insieme nel medesimo istante, la musica si libera, e tutte le voci si completano tra loro” Un’amicizia di lunga data, non una collaborazione occasionale: che ne pensa Martin Fröst? Fröst: «Credo che quando si continua a lavorare insieme così a lungo sia davvero un buon segno: i musicisti dell’Amsterdam Sinfonietta sono estremamente ricettivi e aperti, ed hanno un particolare entusiasmo per il ‘fare musica insieme’, il che è tutt’altro che ran Fröst, che le versioni per clarinetto e archi delle danze di Brahms e di Bartók, sono quindi delle ‘nuove’ letture di quelle musiche? «Sì, una conseguenza di queste libere trasformazioni è proprio il fatto che gli arrangiamenti, sia quelli del cd Roots che quelli che ascolterete a Bologna, non sono pure e semplici trascrizioni per clarinetto e orchestra. Il concetto è ben più ampio, e lo abbiamo pensato con la massima libertà. In fondo, tutta la musica che noi eseguiamo è sottoposta a una trasformazione, nel momento stesso in cui viene ri-suonata, nel presente e nel futuro “Tutta la musica che eseguiamo è sottoposta a una trasformazione nel momento stesso in cui viene ri-suonata, nel presente e nel futuro delle sue esecuzioni” Foto Marco Borggreve scontato. La loro reattività, la comunicazione costante, lo scambio reciproco di idee e stimoli fanno sì che non si tratti mai di ‘me e l’orchestra’, bensì di una vera e propria interpretazione condivisa. Ed è stato così fin dalla prima nota, dodici anni fa: tutto quello che abbiamo prodotto lo abbiamo creato noi, insieme. Amo davvero questo aspetto del far musica, e per l’Amsterdam Sinfonietta è semplicemente il loro modus operandi abituale. Si comportano esattamente come una band rock, o come un quartetto d’archi…». Signora Thompson, ha qualcosa da aggiungere? «Ne siamo lusingati! In effetti devo dire che fra le tantissime esperienze interessanti di questi anni, i concerti più belli sono quelli in cui tutti siamo ‘lì’, insieme nel medesimo istante, e la musica si libera, l’orchestra diventa un organismo estremamente flessibile, e tutte le voci si completano tra loro». Nel programma ideato per Bologna, la tradizione folk, con la voce solista del clarinetto, è alternata a due brani per archi. Ci parlereste del vostro approccio verso due opere così diverse come l’Adagio di Bruckner e la Suite di Janáček, e di come si leghino all’intero programma? Thompson: «Janáček è noto per la sua attenzione alla musica popolare, e così la sua musica e il suo pensiero si adattano perfettamente al programma. L’Adagio del Quintetto di Bruckner è un’opera incredibilmente bella e raccolta di un compositore molto più conosciuto per le sue sinfonie che non per la musica da camera. In questa versione per archi è possibile bilanciare la voce intima di Bruckner con la sonorità meravigliosa che si può creare con un ensemble d’archi. Non necessariamente e non sempre amo le trascrizioni per orchestra dei brani cameristici, ma in questo caso credo che la riuscita sia splendida». Maestro Fröst, da dove viene l’idea di questo programma? «Tutta la musica che conosciamo trae origine dalle tradizioni popolari, come pure dal repertorio sacro. Pochi mesi fa ho inciso un cd, dal titolo Roots [recensito in queste pagine nella rubrica Da ascoltare, ndr], che prende il via proprio da questa idea. Nel cd ero accompagnato dal coro e dagli strumenti della Royal Stockholm Philharmonic Orchestra, ma nel concerto per Bologna abbiamo voluto sperimentare un’altra formazione, inventandoci una versione ‘da viaggio’, forse ancor più interessante di quella più pomposa, a orchestra piena, del cd. Un ensemble come la Amsterdam Sinfonietta, del resto, è ben più flessibile di un’orchestra sinfonica in senso stretto. La musica gipsy del programma va dalle Danze rumene di Bartók a quelle ungheresi di Brahms, al klezmer ebraico: tutti repertori che suonano assai più affascinanti e briosi se interpretati da un ensemble contenuto di archi. Insomma, abbiamo trasformato la ‘versione di Stoccolma’ in un ‘format Amsterdam Sinfonietta’, e con fantastici risultati!». Sia le danze klezmer trascritte da suo fratello Gö- delle sue esecuzioni. Ad esempio, io interpreto alcune delle melodie klezmer rese famose da Giora Feidman. Credo che Giora (il celeberrimo clarinettista klezmer di origini argentino-israeliane) sia assolutamente eccezionale, tuttavia quando sono io ad eseguire il ‘suo’ klezmer, i brani ne escono reincarnati in qualcosa di completamente diverso, qualcosa che parla di me: è un processo naturale». Quindi, possiamo parlare anche in questo caso di una musica antica e contemporanea insieme? Fröst: «Noi musicisti ambiamo in definitiva ad una sola cosa: scoprire e ricreare la musica in modo che sia ogni volta fresca e nuova. Se ascoltiamo oggi un brano musicale, e subito dopo ne ascoltiamo l’esecuzione da parte di un artista o di un ensemble di cinquant’anni fa, lo stesso brano suona come qualcosa di completamente diverso. Probabilmente non ascoltiamo nemmeno la stessa melodia che sentiva Beethoven quando l’ha composta. Nel contempo, stiamo trasformando la musica in qualcosa che appartiene a noi, qui e oggi. È proprio questo il concetto che sta alla base di Roots: in che modo veniamo influenzati dal passato, e come noi lo influenziamo a nostra volta. Per me è di estrema importanza la consapevolezza di quel passato, la consapevolezza delle fonti». (si ringrazia Agnes van der Horst per il contributo di Martin Fröst) MI MUSICA INSIEME 39 Lunedì 24 ottobre 2016 SCHUBERT mon amour Il Quartetto italiano più acclamato al mondo con tre colleghi d’eccezione per immergerci nella produzione cameristica schubertiana, con il suo più emblematico quartetto e gli unici due quintetti della sua produzione di Maria Chiara Mazzi Lunedì 24 ottobre 2016 LUNEDÌ 24 OTTOBRE 2016 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 QUARTETTO DI CREMONA CRISTIANO GUALCO violino PAOLO ANDREOLI violino SIMONE GRAMAGLIA viola GIOVANNI SCAGLIONE violoncello ENRICO BRONZI violoncello RICCARDO DONATI contrabbasso GLORIA CAMPANER pianoforte Franz Schubert Quartetto n.14 in re minore D 810 La morte e la fanciulla Quintetto in do maggiore D 956 per due violini, viola e due violoncelli Quintetto in la maggiore D 667 per pianoforte, violino, viola, violoncello e contrabbasso – La trota Introduce Simone Gramaglia V ienna, tra 1815 e 1828: siamo nel pieno di quella Restaurazione che proprio dal Congresso di Vienna viene sancita e organizzata. In città l’aria è cambiata. Basta guerre e basta confusione: ciascuno a casa propria, nel proprio salotto, con la famiglia o con gli amici più I PROTAGONISTI Universalmente considerato l’erede del Quartetto Italiano, il Quartetto di Cremona è ospite delle principali sale e festival: dalla Konzerthaus di Berlino, al Coliseum di Buenos Aires, dal Bozar di Bruxelles, alla Wigmore Hall di Londra. Enrico Bronzi, violoncellista e direttore d’orchestra, ha calcato i più importanti palcoscenici internazionali, ricevendo nel 2001 il “Premio Abbiati” della critica musicale italiana. Riccardo Donati, primo contrabbasso dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, è vincitore nel 2005 del Primo Premio Assoluto al Concorso internazionale “Valentino Bucchi” di Roma. Gloria Campaner, prima pianista italiana ad aggiudicarsi il prestigioso “Premio Borletti-Buitoni Fellowship” nel 2014, si esibisce in Italia, Europa, Asia, Africa e Sud America. 42 MI MUSICA INSIEME cari, a leggere, suonare o semplicemente conversare. Non è più il tempo dei grandi ideali della Rivoluzione, ma quello delle piccole aspirazioni casalinghe incarnate dal Biedermeier. Da una parte tuttavia sta Beethoven, che qui vive e opera, i cui lavori sono ‘classici’ e a cui tutti devono fare riferimento, mentre lui sta già percorrendo strade fuori da ogni territorio conosciuto. Dall’altra, nella stessa città, abita Franz Schubert, del quale i concittadini apprezzano solo la Hausmusik, mentre i lavori più impegnativi, nei quali egli propone una visione dell’arte opposta a quella del suo illustre concittadino, sono quasi totalmente ignorati. Su questo sfondo storico e sociale si inquadra il viaggio, proposto dal concerto, nella grande produzione cameristica schubertiana, quella che, con ogni probabilità, i viennesi non conobbero nemmeno. Gli anni tra il 1824 e il 1826 sono quelli nei quali Beethoven compone gli ultimi quartetti, nei quali egli trasforma la dialettica della forma-sonata in un crogiolo di contrasti psicologici, caricandola di significati filosofici oltre che musicali, ma sono gli stessi nei quali Schubert stravolge quell’ideale, muovendosi verso la progressiva e totale dissoluzione della forma. Nei quindici quartetti del suo catalogo (scritti tra il 1812 e il 1828) assistiamo infatti ad un mutamento delle motivazioni e delle prospettive interiori: se i primi sono soprattutto esercizi stilistici ancora legati all’idea del fare musica in un ambito ristretto e familiare, successivamente l’idealità delle sonate e delle sinfonie comincia a far sentire il suo peso anche e in particolare sulle forme cameristiche che non prevedono il pianoforte, mentre negli ultimi capolavori per archi è definitiva la dicotomia tra Schubert e i contemporanei. In particolare, come afferma Einstein: «Mai egli si mostrò più indifferente verso Beethoven, come pure verso ogni altro modello, di quanto non lo sia stato in questi pezzi, i quali spiccano con grande rilievo nel panorama della musica romantica a causa che non hanno bisogno di pubblico e nemmeno, quasi, di un ascoltatore». L’edificio architettonico tradizionale, accettato esteriormente, viene dissolto dall’interno; la struttura, che pare solida, si frantuma in una serie di immagini che si susseguono per giustapposizione, nate dall’impossibilità dell’autore di resistere al fascino di un’idea o di una invenzione melodica che gli appaia alla mente. Con questa disposizione va ascoltato il Quartetto D 810 La morte e la fanciulla, del 1824, ma pubblicato postumo nel 1831, che nasce, come anche altre composizioni schubertiane, dalla germinazione di un Lied con lo stesso titolo. Un tema la cui scansione ritmica dattilico-spondaica – una lunga-due brevi/due lunghe – che caratterizza anche altre composizioni del musicista non determina solo l’Adagio, ma aleggia opportunamente trasformata fra le note di ciascun movimento della composizione. Quattro anni separano questo lavoro dal Quintetto D 956 che, composto nell’agosto e settembre 1828, fu completato solo due mesi prima della scomparsa del compositore. Nel marzo 1828 Schubert, benché malato e amareggiato per l’incomprensione del pubblico e l’opportunismo di editori che puntavano solo sulle opere più commerciali, riesce ad organizzare a Vienna un concerto per gli Amici della Musica interamente dedicato a proprie musiche. L’appuntamento riscuote un successo tale da convincerlo a dedicarsi con nuova lena all’attività compositiva: nascono così alcune opere di portata artistica straordinaria, tra cui le ultime tre sonate per pianoforte e, appunto, il Quintetto in do maggiore, che sarà eseguito in pubblico per la prima volta nel 1853 e pubblicato in partitura nel 1871. Questa, che è l’ultima composizione cameristica del Viennese e quasi un ‘testamento spirituale’, nulla ha a che fare infatti con i numerosi quintetti con lo stesso organico che Boccherini aveva composto agli inizi del secolo. Diverse erano le motivazioni e le intenzioni compositive, estetiche e sociali, e il raddoppio del vio- loncello, che in Boccherini è impiegato in senso armonico e strutturale, in Schubert dà invece un ‘colore’ cupo all’intera composizione, la quale si lega quindi alla profondità concettuale ed emotiva degli ulLo sapevate che timi quartetti. Il viaggio nel Gloria Campaner è camerismo di Schubert prostata protagonista del posto dal programma si conclude tornando cronologicadocumentario Heart of mente indietro, all’estate del Stone con la partecipazione 1819, durante la quale il dell’artista sardo Pinuccio compositore con un gruppo Sciola, conosciuto per di amici è in vacanza a Steyr. Presso la famiglia le sue sculture sonore Schellmann passa le serate a suonare e a cantare, e qui uno degli amici (Sylvester Paumgartner) gli chiede una composizione da suonare tutti insieme. Nasce così il Quintetto D 667, La trota, il cui organico strampalato (non l’unione fra pianoforte e quartetto d’archi, ma la presenza di un contrabbasso) è frutto appunto della richiesta del committente, affascinato dall’organico di un’analoga composizione di Hummel molto popolare all’epoca. Committente al quale si deve anche la richiesta dell’uso del Lied Die Forelle (La trota, appunto), che Schubert aveva composto due anni prima, come tema per le variazioni del movimento centrale. È questo lo spirito da cui nasce il Forellenquintett (pubblicato postumo nel 1829), affine a quello delle composizioni cameristiche per pianoforte a quattro mani, nelle quali Schubert, come raramente accade, sembra uscire dal suo isolamento culturale e si esprime invece con un senso di felice e spensierata conversazione. DA ASCOLTARE Quante incisioni esistono de La morte e la fanciulla? Difficile dirlo. E l’elenco pure per La trota non è meno lungo. Il Quartetto D 810 lo hanno registrato (lp poi riversato su cd, cd) tutti o quasi: Quartetto Italiano, Amadeus, Tokyo, Alban Berg, Emerson, Guarneri, e via così fino ai più recenti, a cominciare dallo Hagen. Inutile persino tentare di fare una sorta di classifica. Ancor più difficile discutere d’interpretazione. Negli ultimi ottant’anni è cambiato non solo il modo di registrare la musica, ma anche quello di interpretarla. Analogo il discorso per La trota. Fra le incisioni storiche segnaliamo, comunque, quella di Emil Gilels con l’Amadeus Quartet (su cd DGG dal 1995) e quella di Sviatoslav Richter con il Quartetto Borodin (su cd EMI dal 2010). MI MUSICA INSIEME 43 Musica è vita > Intervista doppia > Quartetto di Cremona e Gloria Campaner Simone Gramaglia e Gloria Campaner insieme il 24 ottobre sul palcoscenico di Musica Insieme per farci ascoltare quello che entrambi definiscono un unicum nella produzione di Schubert. Dalle parole di entrambi traspare un grande entusiasmo e una grande passione per la compagna di vita che hanno scelto: la Musica. Simone Gramaglia, violista del Quartetto di Cremona e la pianista Gloria Campaner si raccontano tra grandi soddisfazioni, incontri prestigiosi e sogni ancora da realizzare. Nel corso della vostra carriera avete avuto modo di incontrare artisti di fama internazionale, che fino a pochi anni fa pensavate irraggiungibili. Ci parlate di qualche incontro che ricordate con particolare affetto? Simone Gramaglia: «Quando sei ragazzino e studi, ascolti spesso molte registrazioni di artisti affermati e sogni di incontrarli. Suonare insieme ad alcuni di loro e diventarne amici è però qualcosa di entusiasmante. E inimmaginabile. Uno degli incontri più belli è stato quello con Lawrence Dutton, violista del Quartetto Emerson. Insieme a lui abbiamo passato giornate memorabili, registrando Beethoven, eseguendolo in concerto, anche da voi [il 25 novembre 2014 per Musica Insieme in Ateneo ndr], e condividendo esperienze, idee, ottimo cibo e buon vino!». Gloria Campaner: «Mi sento fortunatissima e privilegiata ad aver incontrato e conosciuto degli artisti incredibili, spesso anche miei stessi idoli pianistici, come ad esempio Martha Argerich, Grigory Sokolov o Mitsuko Uchida, la quale mi telefonò personalmente dopo la mia recente vittoria di uno dei premi del Borletti-Buitoni Trust di Londra: rimasi così sbalordita da pensare a uno scherzo telefonico!!! Ma la mia continua ricerca sperimentale in altri ge- neri musicali, dal jazz al rock all’elettronica mi ha portato anche a molte nuove memorabili collaborazioni artistiche con personaggi ineguagliabili, ad esempio Stefano Bollani, Leszek Mozdzer, Franco D’Andrea, Piero Pelù, i Daft Punk, Maurice Bejart, ecc.». Il programma che suonerete il 24 ottobre per Musica Insieme sarà dedicato alle più emblematiche composizioni di Franz Schubert. In che modo secondo voi la sua figura ha influito sulla storia della musica da camera? Simone Gramaglia: «Franz Schubert fa parte di quell’esiguo numero di compositori che hanno avuto il merito di aver reso la musica classica occidentale e, soprattutto, il genere cameristico e del quartetto per archi, immortale. Il periodo che va dal Settecento a metà Ottocento ha visto la nascita e la convivenza dei più grandi compositori che il nostro genere musicale annoveri. Un’età dell’oro: Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert, Brahms, Mendelssohn... Un fil rouge ha unito questi artisti che hanno saputo scrivere e passarsi l’un l’altro la scienza della composizione e l’amore per il quartetto d’archi, disciplina in cui sono riusciti a dare il massimo di se stessi. Schubert con La morte e la fanciulla, il Quintetto con due violoncelli e La trota ha raggiunto vette indescrivibili a parole, contribuendo a rendere immortale questo genere di musica». Gloria Campaner: «Qualunque mia risposta sarebbe riduttiva o troppo spiccia di fronte allo sconfinato universo musicale schubertiano. Il lucente e brioso Quintetto La trota rappresenta un unicum nella produzione di Schubert, nonché una rarità, come organico strumentale, anche tra le opere di altri compositori. Il pianoforte si trova a contatto musicale con un anomalo quartetto di archi che si estende fino al contrabbasso, quasi ad emulare una mini orchestra da camera, diciamo la più essenziale. Allo stesso tempo, non si percepisce però un grande distacco tra i due, ma una perfetta fusione cameristica». Volete descrivere in due parole i vostri compagni di palcoscenico in questa avventura? Simone Gramaglia: «Gloria Campaner: una giovane, brillante e sensibile artista con cui è un piacere collaborare. Enrico Bronzi: musicista raffinato, grande violoncellista e uomo di cultura. È sempre un piacere collaborare con lui. Riccardo Donati: senza dubbio uno dei migliori contrabbassisti italiani!». Gloria Campaner: «Questa meravigliosa avventura musicale monografica vedrà sul palco dei musicisti raffinatissimi, che ammiro anche sotto il profilo umano. In particolare, con il Quartetto di Cremona c’è anche una grande amicizia: ricordo quando ci incontrammo per la prima volta per un concerto in diretta dal Quirinale su Radio 3. Pensai: “Ragazzi, questo sì che è far Musica!!!”». Maestro Gramaglia, abbiamo avuto più volte il piacere di ascoltarvi nella nostra Stagione, come ricordate il nostro pubblico? Simone Gramaglia: «Suonare per Musica Insieme è sem- pre bello, ed una delle ragioni che rendono bello il farlo è proprio il pubblico. Elegante, colto, attento, appassionato e generoso negli applausi se ha amato il concerto». Signora Campaner, lei è al suo esordio nella Stagione di Musica Insieme; cosa si aspetta dal pubblico bolognese? Gloria Campaner: «Mi aspetto quello che spero di condividere con qualunque pubblico: cioè l’amore per la musica e la possibilità di far ascoltare dal vivo i capolavori del passato». Ci illustrate i vostri progetti per il futuro e, se lo avete, ci confidate qualche sogno che sperate di riuscire a realizzare? Simone Gramaglia: «Dopo le integrali di Beethoven e Mozart, concerti in tutto il mondo e bellissime collaborazioni, vorremmo semplicemente continuare a crescere come artisti, concentrandoci anche su qualche grande compositore del Novecento storico. Torneremo per la seconda volta in Cina, una terra dove c’è un grande entusiasmo per il quartetto d’archi. Saremo poi in Sudamerica e ancora negli Stati Uniti, e nel 2018 ad Amsterdam per la Biennale del Quartetto, uno degli eventi più prestigiosi in Europa. Abbiamo un paio di grosse collaborazioni in ballo, ma preferiamo non rivelarle per scaramanzia…». “Con La morte e la fanciulla, il Quintetto con due violoncelli e La trota, Schubert ha raggiunto vette indescrivibili, rendendo immortale questo genere di musica” Gloria Campaner: «Adoro poter portare la musica classica anche a chi non ha mai occasione di sentirla, a bimbi che non hanno mai visto un pianoforte o mai ascoltato un brano musicale: mi riempie il cuore di gioia e di energia vitale e sicuramente uno dei miei sogni è quello di non perdere mai il contatto con queste realtà e di trovare sempre il tempo per questi incontri. In ambito musicale, mi piacerebbe suonare in tanti bellissimi teatri dove non ho avuto ancora l’opportunità di esibirmi, per esempio in Italia, alla Scala. Tra i progetti futuri guardo con particolare emozione al mio debutto a Venezia con la Filarmonica della Fenice nel teatro che considero quindi ‘di casa’, all’uscita dei miei nuovi prossimi due dischi per Warner Classics, a nuovi tour da solista e con orchestre internazionali, a tante nuove collaborazioni cameristiche tra cui quella con una star del violoncello come Johannes Moser, e alla mia partecipazione al Festival di Marlboro l’estate prossima, a contatto con artisti come Mitsuko Uchida, Yo-Yo Ma…». (di Cristina Fossati) MI MUSICA INSIEME 45 VERSO il futuro L’Emerson String Quartet festeggia a Musica Insieme i suoi quarant’anni di attività con un programma tutto dedicato agli ultimi capolavori di Beethoven di Valentina De Ieso EMERSON STRING QUARTET L’Emerson String Quartet vanta una carriera coronata da oltre trenta incisioni discografiche e prestigiosi premi, tra cui nove Grammy, tre Gramophone Awards, oltre al Premio Avery Fisher, e il Premio come “Ensemble dell’anno” della rivista Musical America. L’intensa attività concertistica ha portato il Quartetto a calcare i palcoscenici più prestigiosi, con un progetto speciale, nel 2006/2007, per la Carnegie Hall: Perspectives, una serie di nove concerti intitolata Beethoven in Context, che rappresenta un riconoscimento mai tributato prima a un quartetto d’archi. Nel maggio 2013 il gruppo ha dato il benvenuto al violoncellista Paul Watkins, già attivo come solista e direttore. 46 MI MUSICA INSIEME N el 1826, tra maggio e giugno, Ludwig van Beethoven offriva a tre diverse case editrici il suo nuovo Quartetto in do diesis minore, quello che sarebbe stato poi pubblicato come opera 131. Le lettere tradiscono una certa ansia di concludere l’accordo e rispecchiano lo stato di salute fortemente minato del compositore, che sarebbe scomparso l’anno successivo. Fu solo la B. Schott Söhne a rispondere, aggiudicandosi il più misterioso e controverso dei quartetti di Beethoven. Il carteggio tra il musicista e l’editore rivela però una storia di reciproche accuse, sospetti di scorrettezze ed edizioni non autorizzate: il compositore, che si era sentito offeso dalla richiesta di un’opera originale, aveva ironicamente scritto sulla partitura inviata che si trattava di un’opera “rattoppata”, destando le ansie dell’editore. Per risolvere l’impasse servirono le scuse di Beethoven e dodici bottiglie di buon vino renano a carico di Schott. Queste difficoltà non fecero che acuire un momento già disperato a causa del tentativo di suicidio di Karl, l’amatissimo nipote di cui Beethoven era tutore. Soffocato dalle aspirazioni dello zio, il ragazzo, strappato alla madre e inadatto alla vita di studente, lottò a lungo tra la vita e la morte, dopo essersi sparato alla tempia. Fu uno de- Lunedì 7 novembre 2016 LUNEDÌ 7 NOVEMBRE 2016 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 EMERSON STRING QUARTET EUGENE DRUCKER violino PHILIP SETZER violino LAWRENCE DUTTON viola PAUL WATKINS violoncello Ludwig van Beethoven Quartetto n.14 in do diesis minore op.131 Quartetto n.13 in si bemolle maggiore op.130 Grande Fuga in si bemolle maggiore op.133 Introduce Fulvia de Colle. A Musica Insieme dal 1999, scrive di musica e traduce per Einaudi Editore gli amici all’epoca più vicini a Beethoven, il barone Joseph von Stutterheim, a interessarsi affinché Karl fosse avviato alla carriera militare, a lui più congeniale. Proprio al barone è dedicato il Quartetto, in segno di profonda riconoscenza. Fulgido esempio di quello che è stato definito il Terzo Stile, il Quartetto manifesta la sua peculiarità già dalla sua struttura formale, articolata in sette movimenti che si succedono senza soluzione di continuità, in un allucinato monologo di cui l’ascoltatore diviene solo attonito spettatore. I temi si frammentano, si interrompono dopo pochissime battute, tra repentini cambi di ritmo e armonie ardite. Il primo movimento è articolato come una fuga, in cui le voci fanno il loro ingresso in ordine, dalla più acuta alla più grave, intrecciandosi severamente fino a risolversi nel movimento seguente. Il fulcro della composizione è però l’Andante ma non troppo e molto cantabile centrale: un tema con variazioni costruito sulla delicata melodia di una ninna nanna che muove da una delicata atmosfera idilliaca per esplorare multiformi stati emotivi, approdando all’estasi dionisiaca tra continui crescendo e sforzando. Un brevissimo sesto movimento, l’unico a presentare la classica struttura della forma-sonata, collega il bisbigliato Presto al finale, una sorta di rievocazione dell’intera composizione, che parte proprio dal tema della fuga iniziale, ma riproposto con una carica enfatica a sostituzione del pensoso atteggiamento precedente. L’anno prima Beethoven aveva ultimato un altro caposaldo della sua produzione cameristica, il Quartetto in si bemolle maggiore op. 130, il prediletto del compositore, che confessava di provare una forte commozione ogni volta che ripensava a quelle note che però non poté mai udire eseguite. Il Principe Nikolaus Galitzin, a cui fu dedicato, scrisse a Beethoven in una lettera: «Il vostro genio ha superato i secoli, e non vi sono forse ascoltatori abbastanza illuminati per gustare la bellezza di questa musica: ma saranno i posteri a renderle omaggio e a benedire la vostra memoria». Come accade negli altri suoi quartetti coevi, i movimenti non sono i quattro canonici, ma sei, alternati a seconda del mutare dell’inarrestabile flusso creativo secondo il quale sono stati concepiti. L’Adagio ma non troppo è una delle pagine più enigmatiche mai scritte da Beethoven: corposo e carico di mistero, si dissolve nel silenzio per lasciare posto al frenetico Allegro. Il Quartetto procede ispezionando le cellule tematiche, esasperandone le tensioni latenti e rientrando improvvisamente all’interno di una apparente atmosfera galante, per inabissarsi nuovamente nelle profondità della mente. Nel movimento Alla danza tedesca riecheggiano Lieder popolari, ma la grazia idilliaca viene presto dimenticata nella Cavatina, doLo sapevate che loroso e poetico ripiegamento su se stesso. A conclusione del l’Emerson è stato il Quartetto, Beethoven aveva primo quartetto d’archi composto la Grande Fuga in della nostra epoca ad si bemolle maggiore, successivamente pubblicata come alternare i due violini nella Opera 133. Fu l’editore Artaria posizione di prime parti a convincere il compositore a sostituirla con un finale più dimesso, preoccupato di come il pubblico avrebbe accolto una pagina ta<nto insolita e dura. Tre fughe introdotte da una “Overtura” si alternano nel movimento, in un sinistro esercizio di contrappunto, forzato oltre i confini delle regole compositive. Non stupisce quindi lo sconcerto con cui fu accolta l’opera dai contemporanei, trovatisi improvvisamente ad assistere a uno scorcio di Novecento, apertosi misteriosamente nel 1827. DA ASCOLTARE Gli ormai quarant’anni di attività dell’Emerson, discograficamente parlando, sono stati quasi tutti trascorsi sotto l’etichetta DGG. Così non stupisce che la prestigiosa editrice tedesca abbia deciso nel giugno scorso di festeggiare l’Emerson pubblicando l’integrale di quanto l’ensemble americano aveva appunto inciso per i suoi tipi. Ne è sortita una collezione di dimensioni e vastità enciclopediche: 52 cd. Dall’Arte della fuga fino all’integrale di Bartók, è possibile trovarvi tutto (o quasi) sia stato composto o trascritto per due violini, viola e violoncello, oltre ai quintetti (con ospiti sempre eccellenti) e a molte rarità sia tratte dal repertorio classico, sia da quello più moderno. MI MUSICA INSIEME 47 Nozze di smeraldo > Intervista > EMERSON STRING QUARTET – Eugene Drucker Foto Liza Mazzucco Eugene Drucker, violinista del celebre quartetto americano, ce ne svela i segreti, fatti – come in un buon matrimonio – di rispetto reciproco e disciplina, esprit e umiltà. La vostra prima apparizione per Musica Insieme risale al 1997, l’ultima al 2013. Che ricordi avete di quei concerti? «Siamo rimasti molto colpiti dalla bellezza architettonica e dai tesori artistici di Bologna, e siamo impazienti di tornare. Ricordo in particolare il concerto del novembre 2013 perché erano i primi mesi con il nostro nuovo violoncellista, Paul Watkins. Abbiamo sempre apprezzato l’organizzazione di Musica Insieme. L’acustica della sala e un pubblico attento hanno contribuito a lasciarci un piacevole ricordo». “Le interpretazioni dell’Emerson rappresentano una straordinaria fusione, dove esperienza e autorevolezza incontrano audacia e freschezza”. Così il Boston Globe. Qual è il segreto di un’unione così longeva? «Il rispetto e il coinvolgimento emotivo per il nostro repertorio sono stati una costante per tutta la nostra carriera, come dovrebbe essere per ogni quartetto. Ulteriore segreto di questa “longevità” è la stima reciproca e la consapevolezza che le nostre differenze, come persone e come musicisti, contribuiscano al successo del gruppo. È importante mantenere un certo sense of humor (senza mancare di umiltà)». Come definirebbe la personalità e il suono caratteristico dell’Emerson? «Apprezziamo l’andamento delle singole linee, e non solo nella musica contrappuntistica: i ruoli e gli intrecci delle voci si alternano continuamente nei grandi quartetti per archi. È importante ottenere la fusione del suono, ma l’eterogeneità deve bilanciare l’omogeneità al fine di servire la musica nella sua complessità, e mantenere vivo l’interesse del pubblico. Il vigore ritmico, un’articolazione precisa e una tavolozza timbrica varia sono essenziali. Non so se esista un suono caratteristico dell’Emerson, ma mi auguro che siamo capaci di produrre sonorità piene e robuste, o dolci ed eteree, a seconda di quel che richiede la partitura». La scorsa Stagione si è aperta con la pubblicazione di un cd, eletto “Best Classical Album of 2015”, insieme alla celebre soprano Renée Fleming. Come ricorda questa collaborazione? «In quanto quartetto d’archi, impariamo molto dalla collaborazione coi grandi cantanti sul fraseggio, i colori e la proiezione della voce. È stato un onore lavorare al fianco di Re48 MI MUSICA INSIEME née Fleming, sia in studio sia in concerto. Ci auguriamo di continuare questa collaborazione, e stiamo già discutendo un secondo possibile repertorio da preparare insieme». Come costruite i programmi dei vostri concerti? «Sono molti i fattori che influiscono sulla scelta di un programma: il raffronto tra compositori con personalità e stili diversi, o tra diversi periodi storici, assicurano un’ampia varietà timbrica, armonica e melodica. Se ci concentriamo su un solo autore, viceversa, è spesso per illustrarne la ricchezza di espressioni ed emozioni. È interessante anche indagare le sottili affinità fra compositori apparentemente molto lontani (per esempio il tardo Beethoven e Šostakovič, o Bartók). Ma spesso ci soffermiamo anche su un solo decennio, per mostrare la varietà di musica prodotta in un così breve lasso di tempo». “Siamo molto affascinati dagli ultimi quartetti di Beethoven, lavori seminali e pionieristici, che guardano al futuro e allo stesso tempo all’antico” Per Musica Insieme vi concentrerete sui capolavori dell’ultimo Beethoven… «Siamo affascinati dagli ultimi quartetti di Beethoven, lavori seminali e pionieristici, che guardano al futuro e allo stesso tempo all’antico. Nelle opere 131 e 130 Beethoven ha rivoluzionato sia il contrappunto, sia la tecnica della variazione. Un quartetto si apre con una fuga introversa, dalla sonorità antica; l’altro termina con un’audace fuga a più sezioni che ha disorientato i contemporanei, e che Stravinskij considerava il primo pezzo di musica moderna. I sette movimenti dell’opera 131 scorrono senza soluzione di continuità, in una sorta di ben strutturato flusso di coscienza. I sei distinti movimenti dell’opera 130 sembrano suggerire una suite neo-barocca. Credo che entrambi questi capolavori esplorino regni della psiche e dello spirito umano mai investigati prima, specie nell’ambito della cameristica. Sembra che la sordità di Beethoven abbia liberato la sua immaginazione; non era più condizionato dai suoni del mondo reale, e si è lasciato guidare solo dal suo orecchio interiore, sviluppando strutture che hanno cambiato il corso della storia della musica». (di Lavinia Sardelli) L’acclamatissimo ensemble americano, con una vulcanica Patricia Kopatchinskaja in veste di solista e arrangiatrice, propone un affascinante percorso intorno alla Morte e la fanciulla, complici le partiture ‘ritrovate’ di Klein e Mendelssohn di Francesco Corasaniti di vita Foto Marco Borggreve MESSAGGI Lunedì 21 novembre 2016 LUNEDÌ 21 NOVEMBRE 2016 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 ST. PAUL CHAMBER ORCHESTRA PATRICIA KOPATCHINSKAJA violino Gideon Klein Partita per archi (arr. di V. Saudek) Felix Mendelssohn-Bartholdy Concerto in re minore op. post. per violino e archi Anonimo Canto Bizantino sul Salmo 140 (arr. per archi di P. Kopatchinskaja) Franz Schubert Lied La morte e la fanciulla in re minore D 531 (arr. per archi di M. Wiancko) John Dowland Lachrimae Antiquae Novae per quintetto dÊarchi György Kurtág Ligatura - Message to Frances-Marie (The Answered Unanswered Question) op. 31b per celesta e archi Da Kafka Fragments op.24: Ruhelos per violino solo Franz Schubert Quartetto in re minore D810 - La morte e la fanciulla (arr. per violino e archi di P. Kopatchinskaja) Introduce Maria Chiara Mazzi, docente al Conservatorio di Pesaro e autrice di libri di educazione e storia musicale L a vita di Gideon Klein, pianista e compositore moravo, è un filo che si è drammaticamente intrecciato con una delle più crudeli tragedie del ventesimo secolo, la persecuzione nazista. Trasferitosi giovanissimo a Praga per studiare pianoforte, fu costretto a lasciare gli studi a causa dell’occupazione tedesca. Aveva vinto una borsa di studio per la Royal Academy of Music di Londra, ma gli fu impedito di lasciare il paese e a causa del divieto di esibirsi, in quanto ebreo, dovette adottare vari pseudonimi per lavorare in piccoli teatri d’avanguardia. Nel dicembre del ’41 fu deportato nel ghetto di Terezín, dove, nei suoi tre anni di permanenza, divenne il responsabile delle attività artistiche, incentivate dal regime che pensava di utilizzarle per controllare i prigionieri. Prima di trovare la morte, in circostanze mai chiarite, Klein aveva nascosto le sue composizioni in una valigia che al termine della guerra fu restituita alla sorella Eliska. L’ultima delle sue composizioni, il Trio per archi (che nella trascrizione per violino e orchestra di Vojtesk Saudek porta il titolo di Partita per archi) risale al 1944. Le sonorità popolari morave emergono nell’impianto ritmico, ma sono mediate da un linguaggio colto, contaminato dai linguaggi più diversi, dal jazz al serialismo: idee che si inanellano come un flusso di co- scienza, creando un nuovo e originale materiale sonoro. Il dolente secondo movimento riassume tutta la tragica situazione in cui l’opera ha visto la luce, ed è il fulcro di un brano tanto autobiografico da sembrare il testamento dell’artista. Come le note di Klein, anche il Concerto in re minore op. post. per violino e archi di Mendelssohn rimase dimenticato per decenni prima di rivedere la luce nel 1951, dopo quasi 130 anni di oblio, grazie a Yehudi Menuhin. Composto nel 1822 da un Mendelssohn tredicenne, era destinato ad allietare amici e familiari durante le serate musicali nella dimora berlinese della famiglia. La singolare storia di questo Concerto ha inizio nel 1853, quando la vedova di Mendelssohn regalò il manoscritto all’amico Ferdinand David, finché dalle mani del libraio Albi Rosenthal passò a quelle di Menuhin. In tre movimenti, il Concerto mostra il precocissimo genio compositivo del suo autore che, tra atmosfere eleganti e passaggi virtuosistici, riesce ad inserire temi popolari di struggente bellezza. Vita, morte, nuova vita: il tema della resurrezione, della reincarnazione, o comunque della ricerca di qualcosa di altro fa parte dell’uomo dalla notte dei tempi, ma in momenti particolarmente drammatici la riflessione su questo tema ha avuto un impatto profondo sulla cultura. La peste nera del Trecento e la famosa peste dei Promessi sposi hanno visto il fiorire di temi iconografici e letterari dove la morte entra nel quotidiano con prepotenza: nascono così le celebri e lugubri danze macabre, di cui le due composizioni di Schubert che portano il nome di La morte e la fanciulla sono un fulgido esempio musicale. La storia della giovinetta minacciata dalla personificazione della morte è in fondo di vecchia data: nella mitologia greca ha I PROTAGONISTI Riconosciuta come una delle migliori orchestre da camera al mondo, la St. Paul Chamber Orchestra, da quasi 60 anni sulle scene, suona per scelta senza direttore, collaborando con moltissimi partner artistici, da Roberto Abbado a Joshua Bell, da Pekka Kuusisto a Christian Zacharias. Patricia Kopatchinskaja vanta una carriera coronata da numerosi premi, dal Concorso internazionale “Szerying” in Messico al prestigioso “International Credit Suisse Group Young Artist Award”, e collaborazioni con compagini quali Wiener Philharmoniker, Mahler Chamber Orchestra, Orchestre des Champs-Elysées, nelle più importanti sale concertistiche, dalla Carnegie Hall di New York alla Wigmore Hall di Londra, dalla Sydney Opera House alla Berliner Philharmonie. MI MUSICA INSIEME 51 Lunedì 21 novembre 2016 luogo la vicenda di Persefone, rapita dal dio Ade, divenuta nel Rinascimento un topos indipendente, per approdare a Matthias Claudius, che scrisse il testo musicato da Schubert nel 1817 nel Lied La morte e la fanciulla D 531. Il tema del Lied verrà ripreso dal compositore, inglobandolo nel secondo movimento del Quartetto D 810, rinominato anch’esso La morte e la fanciulla. Intenso e commovente, il Quartetto traspone in musica il dialogo tra le due figure: agitate sono le note della fanciulla spaventata, suadenti quelle della Morte, giocando su un’ambiguità enigmatica, in cui la giovane pare allo stesso tempo terrorizzata e attratta. Come ‘antifona’ al Quartetto – che in questo concerto non verrà eseguito in un’unica soluzione, ma alternandone i movimenti a quattro diverse composizioni – è posta una trascrizione del Canto bizantino sul DISCOGRAFIA Potremmo cominciare da una rara incisione del ciclo vocale Open House, composto da William Bolcom. A dirigere la St. Paul Chamber Orchestra (SPCO) c’è Dennis Russell Davies, l’anno della pubblicazione è il 1976, l’etichetta la Nonesuch. Registrazione esemplare: dice molto della SPCO anche in sala d’incisione. 4 anni dopo vinse il Grammy per l’incisione della versione completa di Appalachian Spring di Copland, disco oggi ripubblicato dalla Sound 80 e che contiene anche il poco frequentato Ives di Three Places in New England. Non manca nella discografia della SPCO neppure il repertorio. Ci sono persino le Quattro stagioni vivaldiane, con Pinchas Zukerman, e via così fino al Novecento storico e più recente, a dimostrazione di una curiosa versatilità e del lungo percorso che la compagine del Minnesota ha compiuto dalla sua fondazione, nel 1959, a oggi. 52 MI MUSICA INSIEME Lo sapevate che prima di un concerto, Patricia Kopatchinskaja si è accorta di aver dimenticato le scarpe in albergo e si è esibita scalza: da allora ha deciso di suonare sempre a piedi nudi Salmo 140, che nella liturgia bizantina ha una valenza simbolica: viene intonato durante il Vespro, alternato a versetti che celebrano la Resurrezione di Cristo e la vita che vince sulla morte. A preludio dello Scherzo è posta una trascrizione delle Lachrimae Antiquae Novae di Dowland. Le sette pavane, pubblicate a Londra nel 1604, scandagliano la profondità del dolore in tutte le sfaccettature: un percorso dentro il lutto che si riflette all’interno del movimento schubertiano, costruito su un ritmo di danza. L’ultimo movimento è introdotto da Ligatura – Message to Frances-Marie (The Answered Unanswered Question) op. 31b di György Kurtág, nella versione per archi e celesta. Composta per la violoncellista Frances-Marie Uitti, Ligatura ‘risponde’ all’opera di Charles Ives La domanda senza risposta e alla sua “eterna domanda”. Nel brano l’orchestra si pone come il punto di domanda a questo interrogativo e la celesta ha invece il compito di fornire la risposta/non risposta. Sorta di compendio musicale del disagio esistenziale dell’uomo moderno è Kafka Fragments op. 24. Ispirata a pagine di diario e lettere di Kafka, si manifesta come un evocativo periplo attraverso le varie dimensioni dell’emotività, un affresco della rassegnazione e della debolezza umana. Un’intima risonanza > Intervista > Patricia Kopatchinskaja “Penso che il centro ipnotico di un concerto non sia il palcoscenico, ma il forte legame che si viene a creare tra interpreti e ascoltatori” ha competenza e gusti molto raffinati: parlare con gli ascoltatori dopo un concerto è una vera gioia. Inoltre, grazie alla tradizione lirica che rende unico il Bel Paese, gli italiani hanno un grande senso drammatico e dell’umorismo». Quali sono stati i modelli che più hanno influito sulla sua maturazione musicale? «Imparo ogni giorno, non solo dai musicisti, ma da tutto ciò che mi circonda, e spero di continuare a farlo sino alla fine dei miei giorni. Soprattutto, cerco di guardarmi dentro e di leggere le note, più che sulla carta, direttamente nella mia anima. Non posso tuttavia non menzionare Cecilia Bartoli, non solo per il suo virtuosismo e la sua creatività straordinari, ma soprattutto come esempio di una grande persona, sempre entusiasta di quello che fa. Noi musicisti, una volta sul palco, ci dimentichiamo spesso di divertirci: tutti i compiti più seri devono predominare nella fase di studio, ma un concerto dovrebbe essere coinvolgente e divertente perfino per un bambino». In questo concerto presenterà anche alcuni suoi arrangiamenti per archi. Come li ha costruiti? «L’arrangiamento per orchestra d’archi della Partita di Gideon Klein risale a molto tempo fa. Il primo arrangiamento de La morte e la fanciulla fu opera di Mahler. Mi inserisco in una lunga tradizione. Durante le prove ho avuto l’idea di suonare alcuni episodi solistici per mantenere flessibilità e trasparenza all’interno del programma. Ma naturalmente anche l’orchestra è stata fondamentale nella ricerca di colori, equilibri, sfumature. Sono sempre molto felice di provare in modo comunicativo, tanto che ognuno diviene parte di un grande flusso creativo». I movimenti de La morte e la fanciulla di Schubert saranno intercalati da altri brani, che vanno da Dowland a Kurtág. Perché questa scelta? «Abbiamo cercato di esplorare il significato dei diversi movimenti de La morte e la fanciulla combinandoli con altri brani. Tanto per fare un esempio: il movimento lento del quartetto di Schubert (un tema con variazioni) è in forma di pavana, che era una danza di corte. Nell’omonimo Lied schubertiano, il ritmo della pavana si percepisce quando appare la morte, a significare il suo potere assoluto sulla vita. Abbiamo scelto di suonare anche una Pavana di Dowland per mostrare questo legame. La morte in Schubert ha molte facce: è scioccante, brutale, oscura, ma allo stesso tempo gentile, seducente, consolatoria; è la nostra ombra permanente, ed è affascinante scoprirne i vari volti e portarli alla luce». In questo programma, passato e presente s’intrecciano in una sorta di dialogo. Cos’è per lei il contemporaneo in musica? «La musica ha senso solo se dialoga con l’oggi; che si tratti di musica antica o contemporanea, non fa differenza. Non c’è ragione di suonare un brano a ripetizione, sempre allo stesso modo, cercando di renderlo ‘giusto’ per tutti: la musica è troppo soggettiva, quello che serve semmai è personalità, interpretazione. Beethoven o Schubert, Kurtág o Gesualdo, Galina Ustvol’skaja, Michael Hersch, per fare solo qualche nome: per me tutta la musica è contemporanea, e si manifesta nel momento del concerto. La sua casa non sono i dizionari o gli spartiti, ma i nostri cuori». (di Anastasia Miro) Foto Marco Borggreve Il riconoscimento che più conta per la geniale artista moldava è «la ‘risonanza’ che si crea con il pubblico, con i partner musicali, e con il mio stesso cuore». In queste righe, Patricia Kopatchinskaja racconta anche com’è nato l’originale programma che la vedrà calcare il palco dell’Auditorium Manzoni. Il nuovo progetto con la St. Paul Chamber Orchestra segna il suo attesissimo ritorno a Musica Insieme dopo il debutto, nel 2010, al fianco di un eccentrico Fazil Say. «Ricordo con piacere il mio debutto a Bologna, per Musica Insieme, con un pubblico aperto, interessato e caloroso. Penso che il ‘centro ipnotico’ di ogni concerto non sia il palcoscenico, ma il legame che si crea tra interpreti e ascoltatori. È un legame di grande importanza, perché le immagini, le emozioni, e tutto ciò che la musica è capace di evocare, dovrebbero materializzarsi nella fantasia di ciascuna persona presente in sala. In Italia il pubblico MI MUSICA INSIEME 53 Per leggere / di Chiara Sirk Carl Dahlhaus (traduzione a cura di Laura Dallapiccola) L’idea di musica assoluta (Astrolabio, 2016) La casa editrice Astrolabio, nata nel 1944 ad opera di Mario Ubaldini, che ne fu il fondatore e, finché visse (1984), il direttore, ha inserito nel proprio catalogo solo in tempi recenti (2006) una collana dedicata agli studi musicali: Adagio. Essa ha segnato l’ingresso in un’area nuova per la casa editrice e nel volgere di una decina d’anni annovera già un più che discreto numero di titoli. Tra i sedici saggi alcuni compaiono per la prima volta in italiano, altre volte vengono ristampati libri già apparsi in Italia, ma ormai introvabili. Come il noto L’idea di musica assoluta di Carl Dahlhaus. Uscito in Germania nel 1978, pubblicato in Italia da La Nuova Italia nel 1988 ed ora ripubblicato, nella medesima traduzione di Laura Dallapiccola, da Astrolabio. Trattandosi di un testo che ha segnato la storia dell’estetica musicale, l’editore romano ha fatto un grande regalo agli interessati agli argomenti trattati in questo fondamentale saggio, destinato ad un pubblico con una buona cultura filosofica. La trattazione del concetto di “musica assoluta”, infatti, attraversa la riflessione dei filosofi degli ultimi due secoli. Piero Mioli (a cura di) Per un Mahler cisalpino Un secolo di Sprechgesang (Pàtron, 2016) La Regia Accademia Filarmonica di Bologna pubblica un nuovo titolo nella sua preziosa collana “Volumi filarmonici” edita da Pàtron. Come di consueto il curatore è Piero Mioli, la novità è che per la prima volta sono raccolti in un unico libro due titoli afferenti ad altrettanti convegni. Il primo, svoltosi nel 2011, centenario della morte del compositore, s’intitola Per un Mahler cisalpino e indaga le fortune del compositore in Italia; il secondo, Un secolo di Sprechgesang, risale al 2012 e ricorda il particolarissimo stile di canto inaugurato, un secolo prima, nel Pierrot Lunaire di Arnold Schoenberg. La messe di contributi, in queste 226 pagine, è ricca e di qualità. Ricordiamo solo alcuni tra i nomi presenti: Aldo Nicastro, Gherardo Ghirardini, Antonio Castronuovo, il compianto Ermanno Comuzio. Il contributo di quest’ultimo s’intitola “Mahler nel cinema italiano? Dopo Morte a Venezia”. Per rimanere in tema, ecco Sergio Miceli (“Oltre i dialoghi. Relazione tra musica e voce nel cinema”), e ancora Giovanni Guanti, Marco Montaguti, Paolo Petazzi e altri. L’opera porta al lettore che s’interessi di musica molteplici e interessanti collegamenti e riflessioni su temi poco esplorati, facendo, al contempo, con rigore il punto su argomenti più rivolti agli studiosi. 56 MI MUSICA INSIEME MUSICA assoluta Un volume che indaga il rapporto tra musica e leggi, un testo che ha segnato la storia dell’estetica musicale e i tributi dell’Accademia Filarmonica a Mahler e allo Sprechgesang Da tempo sappiamo che Mario Brunello non è solo un ottimo violoncellista, impegnato in una carriera internazionale, ma è molto di più. Fa progetti, riflette, parla e, come raramente accade tra i musicisti, ha voluto offrire le proprie riflessioni in due libri. Risale al 2011 Fuori con la musica, nel 2015 uscì Silenzio, per Il Mulino, che ora pubblica anche Interpretare. Dialogo tra un musicista e un giurista. Un testo prezioso in cui Brunello si confronta con Gustavo Zagrebelsky, già Presidente della Corte costituzionale, Professore emerito di Diritto costituzionale all’Università di Torino. Cosa accomuna l’esecutore all’uomo di legge? Forse, se non fosse che Zagrebelsky è anche un discreto pianista ‘dilettante’ nessuno si sarebbe mai posto questa domanda. Invece, quando il Maestro Brunello ha scoperto le competenze musicali dello studioso, è subito arrivata l’idea di suonare insieme. Preparando una comune esecuzione sono scaturite varie riflessioni. Ne è nato questo libretto contenuto (144 pagine), eppure ricchissimo. È il dialogo fruttuoso fra due giganti nel loro rispettivo campo, per cui il lettore non resterà deluso. Certo, si mette bene in chiaro che musica e legge hanno leggi diverse, eppure hanno anche tanti punti in comune. A tutti verrà in mente l’interpretazione della musica e quella delle leggi. Ma chi si aspetterebbe una convergenza sul tema del “virtuosi- smo”? Invece esiste il virtuoso della tastiera (o dell’archetto) e quello della giurisprudenza. Del primo facilmente s’intuisce l’abilità a muoversi fra brani impervi, il secondo è rappresentato da legulei in grado di produrre concetti giuridici assai complessi e, in ogni caso, mai in contatto con la realtà. In entrambi i casi il biasimo supera l’apprezzamento, anche quando si tratta di un esecutore monstre. È un libro che intriga, avvincente, ironico perfino. Un esempio: si parla di leggi e Zagrebelsky ricorda la legge di stabilità del 2014, composta da 735 commi, «un mostro incomprensibile se non agli iniziati, che spostava denaro, dando o tagliando a destra e a manca. Ogni anno si approva poi un altro mostro, detto “decreto Milleproroghe […]». E Brunello risponde: «Anche nella musica contemporanea, soprattutto, ma anche in quella del passato, ci sono composizioni che potremmo in modo molto superficiale avvicinare al decreto Milleproroghe: sono variazioni di variazioni talvolta cervellotiche dello stesso materiale musicale». È solo un esempio della leggerezza con cui i due conversano di tutti i massimi problemi che si pongono al musicista come al giurista. Mario Brunello, Gustavo Zagrebelsky Interpretare. Dialogo tra un musicista e un giurista (Il Mulino, 2016) Da ascoltare / di Piero Mioli SFUMATURE di classico Lezione di jazz con il Trio DeJohnette, lo straordinario Beethoven del Quartetto di Cremona e la ricerca delle radici di Martin Fröst Quartetto di Cremona Beethoven, Complete String Quartets vol. VI (Audite, 2016) Avanti con i quartetti di Beethoven, avanti con una distribuzione del corpus più comoda che altro, avanti con la bravura di un gruppo italiano che non ha un bel niente da invidiare all’Oltralpe. Il Quartetto in la maggiore op. 18 n. 5 è considerato il più mozartiano dei sei? Il Quartetto di Cremona non fa una grinza, fra i trilli del primo Allegro, i pianissimi e i fortissimi del Minuetto con Trio, un Andante cantabile da sussurrare quasi tutto, un Allegro finale invece da “sforzare”. Mille volte più difficile il Quartetto in si bemolle maggiore op. 130, beethoveniano e stravagante quant’altro mai: ma i signori Cristiano Gualco, Paolo Andreoli, Simone Gramaglia e Giovanni Scaglione sanno essere di volta in volta misteriosi, frenetici, scherzosi, ‘tedeschi’, raccolti nei movimenti primo, secondo, terzo, quarto e sesto di quei quasi 43 minuti. Il quinto movimento? È l’ineffabile cavatina, un Adagio molto espressivo che dell’Andante di prima deve essere ancora più soft, con indicazioni come “sottovoce” e “sempre pianissimo”. Lo è, anche se per i cremonesi suono basso non significa virtuosismo tecnico bensì intensità d’eloquio. The Royal Stockholm Philharmonic Orchestra Martin Fröst Roots (Sony, 2015) Penderecki era il primo disco: bene, classicocontemporaneo; e French Beauties and Swedisch Beasts il secondo. Dunque il clarinettista Martin Fröst, nato a Uppsala nel 1970 ed esperto di ‘bestie svedesi’, doveva essere un tipetto un po’ anomalo. Oggi, parli la copertina di un cd dove la sua esile figura è tutta angolare, busto rispetto a gambe, una gamba rispetto all’altra, lo strumento rispetto alle braccia. E si imponga la musica relativa, una scorribanda attraverso 21 pezzi colti o popolari, firmati o anonimi, solo suonati o anche cantati, per clarinetto ma anche per violino, flauto, cimbalom. Tra i firmatari, i maggiori maestri del clarinettismo; se no, trascrizioni e canti tradizionali scandinavi, svedesi in particolare. Da ammirare la corsa del concerto di Telemann, la commozione del salmo svedese, la legatissima danza ungherese di Brahms, il lirismo del Langsam di Schumann, tutta la paletta espressiva delle danze rumene di Bartók, e poi una canzone, un blues, una polka. Fröst ha inciso anche Mozart e Weber, s’intende; ma spesso ne esce, da artista maturo qual è, si sbizzarrisce così, oltremodo sicuro delle sue Radici musicali. In movimento, perché? Tranne il gregoriano, forse, tutta la musica è motoria, e anzi fra le teorie sulle origini della musica ce n’è una, fra le più affidabili, che mette suono e canto in relazione a fatti ritmici come il camminare, il pascolare, il seminare, il cadenzare regolarmente qualcosa. Ma di movimento il jazz se ne intende assai, da sempre; per cui è possibile che il nuovo cd del nostro astuto trio voglia dire dell’altro, per esempio che quando si suona così bene, così intonati, così contrappuntati, così riccamente timbrati, il movimento, indubitabile, può anche sembrare un falso movimento, una colata di magnifiche note che non va da nessuna parte e diffonde, quasi dissipa, in ogni dove i suoi umori sonori per la delizia delle orecchie ascoltanti. Quando John Coltrane morì, a quarant’anni, nel 1967, Jack DeJohnette aveva 24 anni, e il figlio Ravi ne aveva appena due. L’eredità andava colta, e lo fu variamente negli anni: ma stavolta lo è precisamente e amorosamente, anche se non passivamente. Dunque Jack alla batteria, Ravi al sax, Matt Garrison (ancora più giovane, nuovayorkese del 1970) suonano ora liquidi e melodici, ora pimpanti e scattanti, ora incastrandosi ora alternandosi, ora commuovendosi ora sorridendo, tenendo quel tipo di basso profilo che discende direttamente dalla scienza e dall’esperienza musicale più alta. Nato a Chicago nel 1942 e allievo di quel Conservatorio, il vecchio DeJohnette è la mente, anzi il mentore del trio (anche perché oltre a battere sa anche tastare, ovviamente il piano), bravo a suonare da solo e in quartetto, capace di puntare l’occhio verso la musica africana e quella sudamericana, ‘sirena’ irresistibile per legioni di giovani jazzmen (com’era stato, in precedenza, a contatto con i più efficienti seniores), padrone di una discografia quanto meno invidiabile. Quando ha compiuto settant’anni, s’è beccato il National Endowement for the Arts Jazz Master Fellowship. I settantacinque sono imminenti: basta aspettare. Jack DeJohnette, Ravi Coltrane, Matthew Garrison In Movement (ECM, 2016) 58 MI MUSICA INSIEME Editore Fondazione Musica Insieme Galleria Cavour, 2 – 40124 Bologna Tel. 051 271932 – Fax 051 279278 Direttore responsabile Fabrizio Festa In redazione Bruno Borsari, Fulvia de Colle, Valentina De Ieso, Cristina Fossati, Alessandra Scardovi Hanno collaborato Luca Baccolini, Marco Antonio Bazzocchi, Francesco Corasaniti, Maria Pace Marzocchi, Maria Chiara Mazzi, Piero Mioli, Anastasia Miro, Nicola Sani, Lavinia Sardelli, Chiara Sirk Grafica e impaginazione Kore Edizioni - Bologna Stampa Grafiche Zanini - Anzola Emilia (Bologna) Registrazione al Tribunale di Bologna n° 6975 del 31-01-2000 Musica Insieme ringrazia: BANCA DI BOLOGNA, BPER BANCA, CAMST, CASSA DI RISPARMIO DI BOLOGNA, CENTRO AGRO ALIMENTARE DI BOLOGNA SCPA, COCCHI TECHNOLOGY, CONFCOMMERCIO ASCOM BOLOGNA, COOP ALLEANZA 3.0, FATRO, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI RAVENNA, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA, FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA, GRAFICHE ZANINI, GRUPPO GRANAROLO, GRUPPO HERA, MAURIZIO GUERMANDI E ASSOCIATI, MAX INFORMATION, M. 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