NOTE QUARTETTO DELLA SCALA Dmitri Shostakovich (1906-1975) Quartetto n. 8 in do minore, op. 110 Solo tre giorni bastarono a Shostakovich per scrivere il Quartetto per archi n. 8 in do minore: era il 1960 e il compositore si trovava a Dresda per terminare la colonna sonora di Five days, five night, il film di Lev Arnshtam - coprodotto dall’Unione Sovietica e dalla Germania dell’Est - ambientato nei giorni del bombardamento sulla città, nel febbraio del 1945. I segni della distruzione erano ancora enormi e la cosa impressionò cosí fortmente il compositore che tra il 12 e il 14 giugno compose questo Quartetto. Sulla dedica “In ricordo delle vittime del fascismo e della guerra” sorse una piccola disputa: mentre il figlio Maxim interpretò ciò come un omaggio alle vittime di tutti i totalitarismi, la figlia Galina sostenne che la stessa fu un’imposizione delle autorità poiché Shostakovich voleva dedicare l’opera a sé stesso. Lev Lebedinsky, il caro amico, rivelò che Dmitri pensava a questo lavoro come a una sorta di epitaffio, accarezzando in quel momento l’idea del suicidio. Definito pseudo-tragico dallo stesso autore, il Quartetto si presenta nella inusuale forma in cinque movimenti, di cui i tre intermedi hanno le caratteristiche di una sonata, mentre i due atipici Largo esterni sono quelli che gli conferiscono il carattere di marcia funebre. La profonda tristezza che lo pervade deriva anche dall’anagramma musicale DSCH, ovvero le lettere del suo nome trasformate in note; lo stratagemma, usato anche da Bach, diverrà la firma musicale di Shostakovich che userà il tema Re-Mi bemolle-Do-Si (D-S=Es-C-H in notazione tedesca) in molti dei suoi lavori. Questo “motto” lento ed estremamente triste viene usato in tutti i movimenti del Quartetto. Il forte senso di tragicità che pervade l’opera è ottenuto con una scrittura di grande impatto emotivo, che si basa anche su materiale della tradizione popolare russa ed ebraica; inoltre l’autore cita si cita spesso: nel primo movimento c’è un richiamo alla Sinfonia n. 1 e alla n. 5; nell’Allegro molto c’è il tema di una canzone ebraica già usato nel Trio con pianoforte n. 2; nel terzo movimento troviamo una citazione dal Concerto per violoncello n. 1, composto poco tempo prima, e nel quarto una canzone rivoluzionaria del XIX secolo, “I tormenti di Grievous Bondage”, e l’aria “Seryozha, my love” dall’opera Una Lady Macbeth nel distretto di Mzensk. F. Schubert (1797-1828) La morte e la fanciulla Il 1824 non fu certo uno dei migliori nella vita di Franz Schubert, tormentato dall’aggravarsi della sifilide e con la cerchia degli amici più cari che si stava sfaldando. Come accade sovente i capolavori nascono dai momenti bui, così nel marzo di quell’anno venne composto il Quartetto in re minore D. 810 noto come La morte e la fanciulla (Der Todunddas Màdchen). Il titolo noto viene dall’uso che Schubert fa, solo nel secondo movimento, del tema di un lied assai famoso -appunto La morte e la fanciulla- composto nel 1817. L’ascoltatore resta indubbiamente coinvolto dalla quantità di sensazioni create da Schubert con “solo quattro strumenti a corda” che, però, nei momenti più intensi si esprimono come un’orchestra intera creando un’atmosfera a tratti lugubre e opprimente, ma sempre pervasa da una delicata malinconia. “Non sono cattiva, dolcemente dormirai tra le mie braccia”: così recita la Morte nella poesia di Matthias Claudius (da cui trae ispirazione l’opera); infatti il tema della morte è visto come promessa di serenità e si evidenzia con continui cambi di intensità che mai abbassano la tensione musicale. Il Quartetto è diviso in quattro movimenti con un Allegro iniziale in Re minore contraddistinto dalla forma sonata in tempo dilatato, prerogativa delle composizioni schubertiane dell’ultimo periodo. Il secondo tempo, Andante con moto, è il cuore dell’opera e presenta cinque variazioni della parte introduttiva e conclusiva del lied sopra menzionato; il Minuetto, che tradizionalmente segna il terzo movimento, è qua sostituito da uno Scherzo (Allegro molto) in Re minore. Tale tonalità distingue anche il finale: un Rondò agitato (Presto) in cui ricorre anche un tema di Tarantella e che precipita in un drammatico Prestissimo conclusivo. L’opera venne pubblicata postuma nel 1831.