Conferenza di Copenaghen: crisi economica, crisi ecologica, il

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Conferenza di Copenaghen: crisi economica, crisi ecologica, il capitalismo non ha
soluzioni
fonte: Corrente Comunista Internazionale
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I rapporti che hanno accompagnato il Congresso Scientifico Internazionale sui Cambiamenti Climatici a Copenaghen
sono più negativi che mai. Essi mostrano che gli scenari più catastrofici sul previsto riscaldamento globale si stanno
realizzando con la previsione della distruzione dell’85% della foresta pluviale dell’Amazzonia e avvertono che il clima
potrebbe raggiungere un punto critico.
Ancora una volta, la logica del capitale della competizione tra le nazioni spinge nella direzione opposta persino le “migliori
intenzioni― della borghesia. La crisi economica, pur riducendo il livello di produzione, porterà ulteriori stress a livello
ecologico in tutti i paesi che cercheranno di rimanere competitivi. Anche le raccomandazioni degli esperti mondiali sui
cambiamenti climatici sono intrappolate nel quadro capitalista.
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Il congresso, tenutosi a marzo, ha tentato di apportare un aggiornamento al lavoro dell’Intergovernmental Panel on
Climate Change (IPCC: foro intergovernativo sui cambiamenti climatici), che ha prodotto il suo ultimo rapporto nel 2007.
Il Congresso ha avuto luogo nell’ambito della XV United Nations Conference of Parties to the Climate Change
Convention (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, COP-15), tenutasi anch’essa a
Copenhagen in dicembre.
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Durante il congresso, un rapporto del Met Office's Hadley Centre (Centro dell’Ufficio Meteorologico Hadley) ha previsto
che il maggior pericolo per la foresta amazzonica proviene dal riscaldamento globale, e non dalla deforestazione. “Si
dimostra che un aumento di 2°C sopra i livelli pre-industriali, generalmente considerato il miglior caso di scenario di
riscaldamento globale e l’obbiettivo degli ambiziosi piani internazionali di freno alle emissioni, potrebbe ancora portare
alla scomparsa del 20-40% dell’Amazzonia in 100 anni. Una crescita di 3°C potrebbe portare alla distruzione del 75% per
siccità nel secolo seguente, mentre un aumento di 4°C ne distruggerebbe l’85%.― (“Amazon could shrink by 85% du
climate change, scientists say―, guardian.co.uk, mercoledì 11 marzo 2009).
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La distruzione della foresta pluviale potrebbe condurre ad una “situazione di feedback positivo―, un circolo vizioso in cui il
rilascio di CO2 immagazzinato nella foresta si andrebbe ad aggiungere agli effetti dei cambiamenti climatici, fino alla
distruzione delle foreste pluviali. Il congresso è giunto alla conclusione che c’è oggi un più forte rischio di un brusco ed
irreversibile cambiamento climatico.
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Alla fine del congresso, gli scienziati hanno lanciato 6 messaggi chiave ai politici partecipanti al COP-15:
1.     Lo scenario peggiore di cambiamento climatico prospettato dall’IPCC si è già realizzato;
2.     Modesti cambiamenti sul clima possono avere enormi effetti sulle popolazioni più povere;
3.     È necessaria un’azione rapida per evitare un “pericoloso cambiamento del clima―;
4.     Gli effetti negativi del cambiamento climatico saranno avvertiti in modo ineguale. I più poveri, le generazioni future
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e la fauna selvatica saranno i più colpiti;
5.     Esistono già dei modi per invertire effettivamente il cambiamento climatico;
6.     Per cambiare è necessario rimuovere degli ostacoli come le sovvenzioni, gli interessi acquisiti, le istituzioni deboli
ed il controllo inefficace.
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Perché la borghesia non sta ascoltando
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Quali sono le possibilità che i politici accolgano e mettano in atto le raccomandazioni degli scienziati? Data la gravità delle
scoperte, potranno i politici mettere da parte le loro differenze per il bene dell’umanità ?
Per quanto possiamo acclamare gli sforzi degli scienziati di tutto il mondo diretti alla comprensione del fenomeno ed alle
cause umane del cambiamento climatico, c’è comunque un fattore che manca nell’equazione degli scienziati: il sistema
capitalista stesso. Le forze fondamentali che determinano il sistema capitalista alienano l’uomo dalla natura. Il capitalismo
è un sistema basato sullo sfruttamento del proletariato; è un sistema che per sopravvivere ha bisogno di espandersi, ed
è un sistema che, benché globale, non può superare la concorrenza tra gli stati nazionali al suo interno.
Il fatto che il cambiamento del clima interesserà più i poveri che i ricchi non spingerà la borghesia a reagire. Il disprezzo
della borghesia per gli sfruttati lo si vede nella povertà più abbietta di milioni di persone nel mondo. Ed i tentativi della
classe lavoratrice di difendere e migliorare le proprie condizioni di vita sono stati frequentemente repressi con la
violenza. Anche le leggi introdotte nel 19° sec. per migliorare la salute pubblica non furono ispirate dalle condizioni della
classe operaia, ma dalla consapevolezza che i ricchi erano vulnerabili alle malattie causate dalle pessime condizioni
sanitarie delle città .
Il congresso si è concluso affermando che i metodi per invertire il cambiamento climatico esistono già . Tuttavia, le
misure economiche ecologiche proposte sono descritte in termini puramente capitalistici: nuove attività ecologiche in
nuove industrie per lo sviluppo dell’ambientalismo, riduzione dei costi derivante dal non dover far fronte a problemi di
salute e di distruzione ambientale, ecc. Ma il capitalismo può sopravvivere in modo sostenibile? Può continuare lo
sfruttamento delle classe operaia senza distruggere l’ambiente? Le lobby ambientaliste sottopongono questa carota
succulenta all’esame dei leader mondiali, che da tempo hanno però declinato l’offerta. Fondamentalmente, per il sistem
capitalista, la salvaguardia delle condizioni ambientali ha un costo, così come lo ha la salvaguardia della salute della
popolazione attiva. Questa è una somma tolta al reinvestimento nel capitale. Il governo americano non rimase sorpreso
nel 2007 quando l’IPCC annunciò che gli sforzi per invertire il cambiamento climatico sarebbero costati “solo― tra lo 0
il 3,0% del PIL annuale.
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Gli Stati non possono proteggere il pianeta
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Uno dei miti della sinistra e dei movimenti ambientalisti è che la mancanza di azione su problemi sociali ed ambientali
così importanti sia dovuta all’indebolimento degli apparati statali. Quanto un rafforzamento delle istituzioni internazionali
che regolano l’emissione di gas serra possa portare a rovesciare questa situazione catastrofica, lo stiamo vedendo. La
verità è che lo Stato opera soprattutto per difendere gli interessi nazionali della borghesia. Quando i governi di ciascun
paese stanno uno di fronte all’altro al tavolo delle trattative, si confrontano come imperialisti rivali. Un esempio lampante
ne sono le negoziazioni per la riduzione dei gas serra. Alla fine degli anni 90 la Gran Bretagna promise una maggiore
riduzione delle emissioni di CO2 rispetto ai suoi rivali non perché avesse una reale preoccupazione per lo stato del
pianeta, ma perché la sua base industriale tradizionale si era nel frattempo ridotta. E quando George Bush non volle
firmare nessun accordo sul clima che non includesse lo “sviluppo nazionale―, lo fece in difesa degli interessi imperialisti
degli Stati Uniti.
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Le negoziazioni del COP-15 di oggi non sono differenti. Mentre gli USA accusano la Cina di aver aumentato le emissioni
di CO2 più di ogni altro paese, la Cina risponde che l’occidente consuma la maggior parte dei beni che essa produce.
“Come uno dei paesi in via di sviluppo, noi rappresentiamo l’humus della linea di produzione dell’economia globale.
Produciamo cose che gli altri paesi consumano … Questa condivisione delle emissioni dovrebbe essere adottata dai
consumatori e non dai produttori, dice Li, funzionario cinese della potente Commissione per lo Sviluppo Nazionale e le
Riforme. Ed aggiunge che il 15–25% di tutte le emissioni di calore dei paesi mondiali deriva dall’esportazione dei
manufatti.― (“Consuming nations should pay for carbon dioxide emissions, not manufacturing countries, says China―,
guardian.co.uk, 17/3/9).
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Lo stesso articolo mette in evidenza che le nazioni europee hanno provato ad aggirare i limiti loro imposti sulle quote di
emissione attraverso l’acquisto di ulteriori “quote di emissione― dai paesi in via di sviluppo. Le promesse fatte dall’
Europea di elargire denaro alle “nazioni in via di sviluppo― per aiutarle ad introdurre tecnologie pulite sono state congelate
fino a che paesi come Cina e India non si impegneranno di più a ridurre l’emissione di gas serra. Anche il modo in cui
vengono calcolate le emissioni ha aperto una controversia.
Nessuno Stato può permettersi di essere generoso in un mercato mondiale strozzino, specialmente nell’attuale crisi
economica. La conferenza di Copenaghen di dicembre si è tenuta sullo sfondo della più grande crisi economica nella
storia del capitalismo. In questo contesto, raggiungere un traguardo sul piano della salvaguardia del pianeta che
minerebbe un eventuale recupero dell’economia è pura fantasia.
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Hugin, 4/4/2009
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