La disfatta dell'Invincibile Armada
Categoria : Recensioni
Pubblicato da Admin in 14/7/2009
La disfatta dell'Invincibile ArmadaAntonio MartelliIl Mulino, pp. 402 €. 28,00
Antonio Martelli, docente di Strategia e Politica Aziendale nell’Università Bocconi di Milano e
cultore di storia, in particolare marinara, che con il Mulino ha già pubblicato nel 2005 uno studio su
La lunga rotta per Trafalgar. Il conflitto navale anglo-francese 1688-1805, si è cimentato ora con La
disfatta dell’Invincibile Armada. La guerra anglo-spagnola e la campagna navale del 1588 (il
Mulino, Bologna 2008, pp. 402, euro 28).Tra la fine di luglio e i primi giorni dell’agosto 1588 si
svolge nel Canale della Manica una serie di scontri navali tra la flotta spagnola, denominata
Invincibile Armada, e la flotta inglese, che in nove giorni segnano un vero tornante della storia,
perché la sconfitta di misura dell’Armada, aggravata dal disastroso ritorno a casa nei mari
tempestosi della Scozia e dell'Irlanda, segna l'inizio della decadenza spagnola.
L’opera descrive la campagna navale con grande minuzia e al tempo stesso con la dovuta
attenzione al più ampio contesto storico. Nella prima parte viene ricostruita l'evoluzione della
guerra per mare nel secolo XVI, nonché il lento avvicinarsi al conflitto dei due paesi antagonisti;
nella seconda parte è seguito nei particolari lo svolgersi della campagna; infine, sono discusse le
conseguenze che il risultato dello scontro ebbe sugli equilibri europei. Il conflitto fra le due
superpotenze si delinea a partire dal biennio 1568-1569, quando gli inglesi, in ritardo
nell’espansione coloniale, attaccano direttamente il monopolio spagnolo nell’America del
Sud, praticando «lo sport di portare gli spagnoli all’esasperazione con la pirateria» (p. 112).
Da allora fra i due stati — retti rispettivamente dalla regina Elisabetta I Tudor e dal re Filippo II
d’Asburgo — s’instaura una sorta di guerra fredda, che nell’Atlantico diventa calda,
alimentata non solo dalla guerra di corsa degli inglesi ma anche dal conflitto religioso fra anglicani e
cattolici e dalla rivolta dei Paesi Bassi contro gli spagnoli, in cui l’Inghilterra era coinvolta con il
sostegno — esplicito dal 1585 — dato ai ribelli olandesi. L’esecuzione nel 1587, per ordine
della regina Elisabetta, della cattolica Maria Stuart, regina di Scozia, costituisce l’ultima e
decisiva spinta verso la guerra, e induce il re Filippo II a maturare l’idea di un attacco diretto
all’Inghilterra.Le pagine sul sovrano iberico, descritto come lavoratore instancabile, a tratti
maniacale, eppure dominato da un altissimo concetto della sua funzione, sono piuttosto equilibrate.
«Quella di Filippo era una mente complessa e capace di analisi sottili. [...] non gli si può negare la
capacità di aver soppesato attentamente i rischi che correva né di aver saputo valutare con
realismo il conto dei benefici e delle perdite che potevano derivare da una impresa. E questa
capacità non gli venne certo meno in questa occasione» (p. 145). Se l’obbiettivo massimo del
re era quello di sbarcare sulle coste inglesi e di conquistare Londra per poi — contrariamente a
quanto ha sostenuto a lungo la storiografia inglese — stipulare una pace generosa, finalizzata al
ritiro degli inglesi dalle Fiandre e alla libertà di culto per i cattolici inglesi, non era escluso
l’obbiettivo minimo di porre fine all’estenuante guerra di corsa con la sola minaccia di
un’invasione dell’isola.Il comando supremo è affidato ad Alonso Pérez de Guzmà n, duca
di Medina Sidonia: non un genio militare, «[...] ma quando si trovò, suo malgrado, a sostenere quel
peso fece del suo meglio, mostrò ottime doti di organizzatore e di coordinatore, esibì un coraggio
a tutta prova e in definitiva non fece troppo rimpiangere che al comando della flotta non fosse stato
designato qualcun altro» (pp. 187-188). In realtà , le navi spagnole — costruite avendo in mente
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più le condizioni del Mediterraneo che quelle dell’Atlantico — sono meno veloci e maneggevoli
di quelle inglesi, che inoltre hanno più cannoni, i quali a loro volta sparano più lontano e anche più
velocemente. In compenso, l’Armada tiene molto meglio la formazione e ha uno spirito
combattivo elevato, ma ciò non basta a sconfiggere la formazione inglese. «Combattono con
straordinaria forza e determinazione, ma noi li spenniamo una piuma alla volta» (p. 268),
commenta durante gli scontri lord Charles Howard, comandante della flotta di Elisabetta I.Il margine
di superiorità della marina inglese non era grande, ma comunque significativo. «Le cose sarebbero
potute andare anche in un altro modo e gli inglesi ebbero anche una buona dose di fortuna: ma alla
fine se esse andarono così fu perché quel margine esisteva» (p. 333). Ma la ragione principale
della disfatta dell’Armada — secondo Martelli — è la grandiosità stessa dell’impresa,
tale da rendere il successo estremamente improbabile. Â Francesco Pappalardo
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