J.J. ROUSSEAU e la corruzione delle Tecnologie

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J.J. ROUSSEAU:
Considerazioni attuali su Educazione e Politica nel XXI SEC.
Sunto di una lezione tenuta nell’A.S. 2006/07 su invito di un gruppo di lavoro di
studenti in autogestione scolastica prima delle vacanze natalizie
I
Prefazione improvvisata
In considerazione del titolo che avete pensato di dare a questo seminario su
ROUSSEAU, relativo alle ricadute del suo discorso filosofico sulla società
contemporanea, ritengo di dover partire da alcune considerazioni preliminari.
L’autore di EMILIO e del CONTRATTO SOCIALE, scritti e pubblicati
contemporaneamente nel 1762, ha elaborato il suo umanismo filosofico in
termini provocatoriamente anti-illuministici già dieci anni prima dei suoi
capolavori.
Mi riferisco innanzitutto al DISCORSO SULLE SCIENZE E SULLE ARTI del
1750 e quello SULL’ORIGINE DELLA DISUGUAGLIANZA del 1753.
Personalmente ho deciso di far ruotare il mio intervento esattamente sul primo
DISCORSO del 1750, perché lo ritengo il centro di gravità non solo del pensiero
complessivo di Rousseau, ma della stessa attualità che il problema
dell’educazione e della filosofia hanno nella società attuale.
Vorrei impostare tutti i successivi punti di riflessione su un’ipotesi provocatoria
e, spero, interessante: Rousseau non fu affatto “illuminista”, ma la sua analisi
della società borghese a cui comunque apparteneva, lo portò ad assumere un
approccio ideale, “platonico”, fondato sulla necessaria utopia di una nuova
“Paideia”/Educazione morale dell’uomo nella società. Necessaria all’interno
della CRISI accertata di certi valori.
Lo definirei, per questo, un pensatore “romantico” ante litteram, nello stesso
senso in cui lo è stato Immanuel KANT nella sfera MORALE della sua filosofia
critica.
Questo mi porta preliminarmente a chiarire il senso negativo di quella cultura
illuministica che Rousseau critica e, in secondo luogo, il senso dell’attualità del
“Discorso sulle Scienze e sulle Arti” e della centralità che questo riveste rispetto
all’ “Emilio” e al “Contratto Sociale”.
Punto numero uno: L’Illuminismo come espressione della cultura/ideologia del
Welfare State borghese, produttivo, capitalista, efficientista – imprenditoriale,
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portatore sano di Civiltà – Progresso – Sviluppo e, inevitabilmente, di
etnocentrismo occidentale (culto della razza bianca – europea: non è un caso che
uno dei massimi apici della letteratura europea in questi anni sia stato toccato e
simboleggiato dal ROBINSON CRUSOE di Daniel Defoe!).
L’Illuminismo come portatore insano e contraddittorio di una laicità arroccata
sul culto della ragion tecnico-scientifica, economica, matematica, la cui identità
esclude le culture-Altre, destinate, marginalizzate e neutralizzate nel limbo
culturale della In-civiltà, della Barbarie (si pensi alla codificazione negativa, in
questo senso, della Cultura Medievale da parte di Voltaire all’interno del
progetto ideologico della Encyclopedie, per es.)codificate socialmente in termini
di “Diversità” o, più semplicemente, di “Follia”
Primo Excursus bibliografico-filosofico:
Chi riprende e attualizza gli effetti marginalizzanti della logica raziomaniaca –
raziocentrica dell’Illuminismo, la cui identità ideologica (cioè: egemonica) passa
attraverso la codificazione della Follia, è il filosofo francese Michel FOUCAULT,
autore del celebre saggio “Storia della Follia nell’Età Classica” (1966), dal cui
orizzonte teorico derivano i successivi contributi: “Sorvegliare e Punire”;
“Storia della Sessualità”. Si tratta di un grosso contributo che questo filosofo
riprende in parte da Rousseau, sullo svelamento delle pratiche e meccanismi
“castranti” e “repressivi” di ogni società del Benessere, in questo caso della
società Occidentale a partire dall’età classica (il XVIII secolo, per la precisione) e
in particolare a partire dalla logica strutturale implicita ad alcune Istituzioni
borghesi come le Carceri, gli Ospedali correzionali, la Scuola.
In ambito cinematografico il regista-filosofo Stanley KUBRIK ha espresso le
distorsioni e il Con-formismo (o de-formismo) imposto al soggetto da parte
della Società “normale” dell’ordine, sicurezza e “pulizia” (che fa rima con
Polizia) nella cornice di “Arancia Meccanica” …
Secondo excursus bibliografico-filosofico:
Allo stesso modo, l’esempio contemporaneo di critica agli effetti negativi della
Società del progresso e dell’“Ottimismo” è relativo alla posizione di Sigmund
FREUD che nello specifico ha scritto un capolavoro filosofico per chiarezza e
profondità: “Il Disagio della Civiltà”, nel 1929 (anno tragico per la Civiltà
borghese occidentale “a stelle e strisce” / alludo al Crollo della Borsa di WALL
STREET). Qui Freud sostiene che il presupposto necessario alla Civiltà è basato
sul “disagio” prodotto dalla neutralizzazione – repressione – castrazione dello
“stato di natura”, ovvero delle pulsioni istintuali che porterebbero l’uomo a
prevalere sui propri simili, secondo l’accezione datane da HOBBES dell’”Homo
Homini Lupus”…
Tornando a ROUSSEAU vorrei evacuare la nostra riflessione da possibili dubbi
relativi ad un suo ipotetico “disfattismo” circa le potenzialità della Civiltà
tecnica – tecnologica che lui non intende “buttare alle ortiche” totalmente, ma
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che d’altra parte intende relativizzare in una critica possibilmente oggettiva e
realistica (per intenderci: Rousseau non ha troppi peli sulla lingua nel liquidare
i facili “ottimismi” borghesi-illuministici di colleghi come Voltaire e,
soprattutto, LEIBNIZ che aveva visto persino una “Armonia prestabilita” in ciò
che non esitò a definire “il migliore dei mondi possibili”).
Rousseau, certamente, non invita ad un impossibile e assurdo ritorno allo
“Stato di Natura”: il Mito del “Buon Selvaggio” è appunto un mito, ovvero
un’ipotesi di lavoro. Gli serve per focalizzare oggettivamente i limiti impliciti al
Progresso dell’umanità e, d’altro canto, a scoprire la perdita di valori essenziali
(NATURALI, appunto) all’ umanità stessa, come per es. l’istinto di
autoconservazione e quello di socievolezza cooperazione in mezzo ai suoi
simili.
Nel DISCORSO SULLE ARTI E SULLE SCIENZE Rousseau sostiene che
l’umanità, come Civiltà borghese, ha “dimenticato” l’essenza dell’uomo, ovvero
la Virtù; ha “abdicato” (nel senso etimologico dell’AB-DICERE, cioè sottrarsi
dal parlarne) alla sua Cura, concentrandosi esclusivamente sulle qualità del
“cittadino”, quindi sull’esteriorità “legale” e di costume, dando vita ad un’Etica
dell’Ipocrisia e dell’Apparenza.
Oggi, diremmo, la Società tecnocratica pensa ai suoi “cittadini” sempre meno
come uomini e sempre più, essenzialmente, come “CONSUMATORI”.
In tal senso, a mio avviso, il Discorso di Rousseau è da affiancare a quello che
Kant elaborerà 38 anni più tardi nella CRITICA DELLA RAGION PRATICA:
rifondare una società, ovvero una Filosofia che non abdichi allo studio
dell’uomo e della sua essenza significa pensare ad un Imperativo categorico la
cui applicabilità DEVE consistere (un dovere fine a se stesso,
categorico!)consistere nel pensare e guardare i propri simili “sempre come fini
in se stessi e mai come mezzi per la propria massima soggettiva”, al di là di
ogni logica di ipocrisia e strumentalizzazione umana.
Contrariamente, come dato emergente della società odierna, i costumi (l’ETHOS
in genere) si fonderebbero su rapporti strumentali, per i quali l’uomo è
percepito come oggetto-mezzo, piuttosto che come soggetto, ovvero “subjectum”/fondamento morale autonomo; in una parola: libero.
Continuando il discorso sul carattere contemporaneo di Rousseau,
relativamente agli spunti di educazione e Politica del XXI sec., è innegabile
l’appropriatezza di certe affermazioni che continuano a loro volta a rinviare a
filosofi e filosofie contemporanei.
Affermazioni che rivendicano un chiaro statuto platonico alla filosofia, in un
contesto in cui il progresso conoscitivo ed efficientistico coincide
fatalmente/ineluttabilmente con il regresso della coscienza; della “coltivazione”
(secondo l’etimologia di EDUCERE, da cui EDUCAZIONE)della Virtù; di ciò
che i Greci chiamavano ARETE’ dello spirito, inteso come spirito critico di
autoconsapevolezza e/o di consapevolezza dei propri limiti (la “dotta
ignoranza” socratica del “SO DI NON SAPERE”).
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“GNOTI AUTON”
c’è scritto sul frontone del tempio di delfi dedicato ad Apollo e significa:
“CONOSCI TE STESSO”.
Rousseau riabilita esplicitamente l’antico senso socratico del filosofare la cui
urgenza si impone ancora oggi, nella misura in cui la nostra è una società del
Benessere, complessa, tecnologicamente avanzata ma anche TECNOCRATICA!;
la cui ideologia riposa cioè sul presupposto MASS-MEDIATICO della cultura
stessa.
La si chiama da parte di certo sedicente illuminismo politico contemporaneo la
Cultura delle tre “i”: Informatica, Impresa, Inglese.
A)
INFORMATICA (o anche Internet): le notizie e la cultura in-formano di
contenuti già pensati e/o pre-confezionati per cui la realtà è sempre meno
attinta direttamente come esperienza di “prima mano” e sempre più “subita”
come punto di vista altrui già interpretato. Effetto negativo: l’ESONERO dal
pensare autonomamente; l’ essere “irretiti”, appunto, in una rete di sensi (al
plurale) nella quale è difficile orientarsi se i valori-guida della cultura e del
sapere si riducono alla sfera del possesso, alla categoria dell’AVERE, non
essendo attinti nella sfera ben più ricca e profonda dell’ESSERE. Mi riferisco in
particolare al contributo bellissimo di un filosofo-sociologo-psicanalista che
faceva parte della cosiddetta SCUOLA DI FRANCOFORTA (anni ’30 del XX
sec): Eric FROMM, autore di “AVERE O ESSERE?” Andatevelo a leggere: è
chiaro, scorrevole e incisivo.
Naturalmente INTERNET, come spazio oggettivo, o il linguaggio informatico
sarebbe potenzialmente virtuoso se non fosse sottomesso alla generale/globale
logica della massificazione-omogeneizzazione-OMOLOGAZIONE della DOXA
individuale alla DOXA comune e imperante: le indagini-DOXA servono a
sondare il tasso di conformismo o, in ogni caso, a crearlo.
Quando la realtà si “frantuma” in interpretazioni e immagini già date e pensate
si ha la conseguenza tipica del potere della tecnica (o Volontà di Potenza) che fa
del soggetto un “DIVIDUUM”, ovvero un semplice oggetto “pensato” piuttosto
che effettivo agente “IN-DIVIDUUM” sulla e nella realtà. Tale conseguenza è
meglio nota sotto i termini di NICHILISMO “PASSIVO” cui già F. NIETZSCHE
alludeva nei suoi “Frammenti Postumi”.
B) IMPRESA: la cultura neo-illuminista si impone nella sua necessità (nel
senso
di
indispensabilità
tossica)
imperialistico-economica
di
NEOCAPITALISMO per cui la Politica di uno stato è condizionata dalla Politica
Economica planetaria in una sorta di gigantesco EFFETTO-DOMINO meno
poeticamente chiamato “NEW ECONOMY”, il cui codice è normativo per la
società stessa (e “normativo” implica più banalmente la Normalità dei valori
connessi). La Cultura dell’efficientismo, dell’esecuzione dei compiti
(meccanismo che è alla base del “ruolo” dello scolaro), algoritmi, pratiche
meccanizzate – automatizzate: ciò che KANT indicava negli “Imperativi
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Ipotetici”, fondanti semplici regole dell’abilità ma anche ETERONOMIA,
ovvero assenza di autonomia. Una cultura da “fighetti” o scimmie ammaestrate.
In tal senso l’INDUSTRIA DEL DIVERTIMENTO è l’arma più potente implicita
in questa logica efficientistica e globalizzante in cui più che di “popolo sovrano”
sarebbe più corretto parlare di “pubblico/ascoltatori sovrani”; è l’espressione di
una “violenza morbida” articolata sullo scopo dell’ASSUEFAZIONE del
pensiero non solo ad interpretazioni già precostituite della realtà ma
assuefazione al DIVERGERE del pensiero da se stesso, dal proprio centro di
gravità: la coscienza.
Ovvero: divergere dalla ri-flessione dell’uomo dal proprio centro, dalla propria
natura e dignità di “animale razionale” e “animale politico”.
Ci si disperde nelle situazioni e, peggio, nei bisogni artificiali prodotti e indotti
dalla Pubblicità.
Una piccola osservazione: Rousseau era un ugonotto, ovvero un calvinista
molto sensibile alla filosofia protestante francese del giansenismo, il cui punto
di riferimento è sempre stato Blaise PASCAL, che in tempi non sospetti aveva
parlato esplicitamente di “Spirito di DIVERTIMENTO” esattamente in questa
accezione di perdita di dignità e autonomia da parte dell’uomo.
C)
INGLESE: Al di là della sua innegabile utilità e fascino culturale(tanto
quanto, potenzialmente ogni lingua comunitaria ed extracomunitaria)la lingua
inglese è lo slang di appartenenza alla logica e sistema di mercato; pena:
l’esclusione dal “giro” che conta. L’inglese si impone come l’Esperanto del
nuovo millennio funzionale alla condivisione dei valori dominanti. Faccio u
esempio per rimanere aderente al Discorso sulle scienze e sulle arti di Rousseau:
la logica universitaria, come esecutrice della formazione della nuova e futura
classe dirigente, è impostata rigidamente sulla frattura tra facoltà Tecnicoscientifiche e facoltà umanistiche. Non è una semplice frattura, ma una
stratificazione: le facoltà tecniche devono sfornare i tecnici e colletti-bianchi
della società Plutocratica (fondata sui principi del Progresso e della ricchezza
delle nazioni: questo lo aveva intuito Adam SMITH, l’economista
dell’Illuminismno inglese, che Rousseau conosceva bene, dato che era vissuto
per diverso tempo in Inghilterra ospite del suo amico e collega David HUME).
Questa frattura, implicita nel sistema universitario è stata l’invenzione più
importante attuata da NAPOLEONE per strutturare la Francia come nazione
“civilizzatrice” di benessere e Progresso.
Oggi i simboli di tale Missione civilizzatrice sono costituiti dai Mc DONALDS,
depositari di un Benessere diffuso e obeso tendente a eliminare le specificità
economiche e culturali locali, in nome della Democrazia delle Multinazionali
I dialetti, le culture locali sono emarginati nel “Pittoresco” provincialismo o nel
“romantico” paradiso perduto di sapori e culture folkloriche della nonna (sia
questa nonna Pina, nonna Papera o la nonna tanto agognata della perfetta
Famiglia “Mulino Bianco”).
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II
Struttura e Citazioni dal “DISCORSO” di Rousseau
Prima di scandire alcune affermazioni chiare e significative del Rousseau del
1750, mi piace l’idea di fissare preliminarmente una frase che identifica in pieno
il progetto di educazione umanistica e civile (ciò che i greci chiamavano
PAIDEIA) del filosofo ginevrino e che, tra l’altro, costituisce il nocciolo
filosofico dell’EMILIO:
“Per insegnare latino a Giovannino non basta conoscere il latino, ma bisogna conoscere
Giovannino”
N.B.: la parola “insegnare”, che inizia per “i”, deriva da “in-signare”, “segnare
dentro”.
Se l’educazione non tenesse conto di ciò e della natura umana coinvolta
nell’insegnamento, la Cultura delle tre “i” sarà fatalmente caratterizzata da
Ignoranza, intolleranza e Impoverimento.
Il progresso, se considerato estremisticamente come fine a se stesso, conduce
alla mortificazione dell’autonomia, virtù e dignità morale dell’uomo.
Mi soffermo su alcuni snodi del DISCORSO del 1750, per possibili sviluppi da
parte vostra, ai fine magari dell’esame di Stato.
Innanzitutto:
Fare i conti con la propria coscienza contro il senso comune e la moda corrente.
Il DISCORSO si apre con una semplice domanda:
“Il Rinascimento delle scienze ha contribuito alla purificazione o alla
corruzione dei costumi? (…) Grande e bello spettacolo vedere l’uomo uscire dal
nulla per mezzo dei suoi propri sforzi”. (Rousseau, DISCORSO)

Ma poi aggiunge, più avanti:
“Il bisogno innalzò i troni; le Scienze e le Arti li hanno rafforzati”.
(Rousseau, D.)

Dunque Rousseau, nel suo caratteristico stile asciutto, senza « fronzoli », al
limite del cinismo, individua subito la chiave di volta della sua tesi principale :
la CORRUZIONE/INVOLUZIONE dalle premesse di autonomia alla logica del
potere/sottomissione della ragione ai suoi stessi effetti.
Rousseau, infatti, oltre a citare i fondamenti semplici ed esemplari della società
SPARTANA (che qui, ovviamente, ha la valenza evocativa di un Mito, ovvero
di una Ipotesi esattamente come il Mito dello “stato di natura” o del “Buon
selvaggio), rievoca il Mito di PROMETEO come inerente alla natura del
progresso dell’uomo attraverso la tecnica, che poi ha finito per ritorcersigli
contro. Come è noto Prometeo aveva sfidato gli dei rubando il Fuoco, simbolo
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della Civiltà, per farne dono all’umanità. Il prezzo che dovette pagare, secondo
il Mito, è l’erosione del proprio fegato da parte dell’aquila degli dei (simbolo
non solo della collera, ma della stessa MOIRA, ovvero dell’ordine e dei limiti
assegnati dal destino e oltre i quali non si può eccedere). La morale della favola
è che il progresso coincide certamente con l’emancipazione dell’umanità, ma
non senza i rischi impliciti ad ogni approccio arrogante e di super-potenza.
Rousseau riferisce che, nella mentalità sia greca che egizia,
“Un Dio, nemico della quiete degli uomini fosse l’inventore delle scienze”
(Rousseau, D.);

“il lusso procede raramente senza le scienze e le arti, e mai queste vanno
senza quello” (Rousseau, D.);

“E che diverrà la virtù quando occorrerà arricchirsi a qualsiasi prezzo? Gli
antichi politici parlavano senza posa di costumi e di virtù; I NOSTRI NON
PARLANO CHE DI COMMERCIO E DI DENARO” (Rousseau, D.).

Terzo excursus bibliografico-filosofico:
Qui vorrei inserire una parentesi non solo filosofica, ma letteraria, facendo
riferimento al potere del Duio-denaro, frutto e causa del benessere (quindi
all’origine di un circolo vizioso), fondamento e colante “morale” della società
contemporanea.
Il riferimento è al “TIMONE D’ATENE” di SHAKESPEARE e a pensarlo è,
niente meno che Karl MARX in un celebre passo sul concetto di “Denaro”
all’interno dei suoi “Manoscritti Economico-Filosofici” del 1844.
Vorrei con ciò dimostrare la compatibilità di certi riferimenti attuali, seppure
del 1844, con il “Discorso” di Rousseau che, quindi, è in tal senso da ritenersi
pionieristico.

“Oro? Prezioso, scintillante, rosso oro? No, dei, non è frivola la mia
supplica. Tanto di questi fa il nero bianco, il brutto bello, il cattivo buono, il
vecchio giovane, il vile valoroso, l’ignobile nobile. Questo stacca (…) il prete
dall’altare; sì, questo rosso schiavo scioglie e annoda i legami sacri; benedice il
maledetto; fa la lebbra amabile; onora il ladro e gli dà il rango, le genuflessioni e
la influenza nel consiglio dei senatori; questo conduce dei pretendenti alla
troppo stagionata vedova; questo ringiovanisce, balsamico, in una gioventù di
maggioi, colei che è respinta con nausea, marcia com’è di ospedale e pestifere
piaghe. MALEDETTO METALLO, COMUNE PROSTITUTA DEGLI UOMINI,
CHE SCONVOLGI I POPOLI”
(W. Shakespeare, Timone d’Atene)

“Il denaro, poiché possiede la proprietà di comprar tutto, la proprietà di
appropriarsi tutti gli oggetti, è così l’OGGETTO in senso eminente.
L’Universalità della sua proprietà è l’onnipotenza del suo essere; esso VALE
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QUINDI COME ENTE ONNIPOTENTE(…) Uil denaro è l’INTERMEDIARIO
fra il bisogno e l’oggetto, fra la vita e il mezzo di vita dell’uomo. Ma ciò che mi
media la mia vita mi media anche l’esistenza degli altri uomini. Questo è il
prossimo per me…”
(K. Marx, manoscritti Economico-Filosofici)

“Shakespeare rileva nel denaro particolarmente due proprietà:
1) è la visibile deità, il tramutamento di ogni qualità umana e naturale nel suo
opposto, la generale CONFUSIONE e PERVERSIONE delle cose, la
conciliazione delle impossibilità;
2) è l’universale prostituta, l’universale mezzana di uomini e popoli”
(K. Marx, M.E.F.)
da questo excursus possiamo senz’altro approfittare di marx per prendergli in
prestito un concetto che ben si applica alla situazione che Rousseau sta
descrivendo, relativamente alle conseguenze negative del progresso :
l’ALIENAZIONE dell’uomo a se stesso e la sua dis-umanizzazione, nella
misura in cui egli stesso diventa rotella, e quindi merce-oggetto, dell’intero
ingranaggio.
Adesso lascio nuovamente la parola a Rousseau e, precisamente, alla II^ Parte
del “Discorso” e che ne costituisce anche il cuore.
Qui egli parla, passando in rassegna i possibili effetti negativi della mentalità
capitalista/”illuminista”, del triste destino del talento intellettuale, morale e
artistico di individui costretti a rinunciare alla propria essenza e dignità, per
poter sopravvivere negli ingranaggi del Sistema.

“Ogni artista vuol essere applaudito. Gli elogi dei suoi contemporanei sono
la parte più preziosa delle sue ricompense.
CHE FARA’ DUNQUE PER OTTENERLI SE HA LA DISGRAZIA DI ESSERE
NATO PRESSO UN POPOLO CHE NEI TEMPI IN CUI I SAPIENTI, VENUTI
DI MODA, HANNO MESSO UNA GIOVENTù FRIVOLA in grado di dare il
tono alla vita; in cui GLI UOMINI HANNO SACRIFICATO I LORO GUSTI
HAI TIRANNI DELLA LORO LIBERTA’; in cui non osando uno dei sessi
approvare SE NON QUELLO CHE E’ PROPORZIONATO ALLA
PUSILLANIMITA’ DELL’ALTRO, si lasciano cadere capolavori di poesia
drammaturgia, e prodigi di armonia vengono respinti duramente?
Egli abbasserà il suo genio al livello del suo secolo e preferirà comporre banali
che si ammirino nel corso della sua vita, anziché meraviglie che non si
ammirerebbero se non molto tempo dopo la sua morte.”
(Rousseau, D.)

“Così la DISSOLUZIONE DEI COSTUMI, conseguenza necessaria del
lusso, cagiona a sua volta la corruzione del gusto.
Che se per caso, fra gli uomini straordinari per il loro ingegno, se ne trovi
qualcuno che abbia fermezza nell’anima e che rifiuti di prestarsi al genio del
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suo secolo e di avvilirsi con produzioni puerili, guai a lui! Morrà nell’indigenza
e nell’oblio”
(Rousseau, D.)
Quarto excursus bibliografico-filosofico:
Mi viene in mente il testo bellissimo e “maledetto” di un autore contemporaneo,
un letterato e autore dei testi di certe trasmissioni radiofoniche o spettacoli
televisivi “alternativi” come ROCKPOLITIK; sto parlando di Diego CUGIA e
del suo “ALCATRAZ: Jack Folla, un DJ nel braccio della morte” (Piccola
Biblioteca Oscar Mondadori)sul ruolo e destino che oggi, per assurdo, un genio
come Leopardi avrebbe nella nostra società:

“173 GIORNI ALL’ESECUZIONE: (…) Attenti. Se sentite Jack dire quello
che gli pare perché non ha più niente da perdere, non significa che ci sia libertà
nel vostro paese, significa che qualcuno ci sta guadagnando sopra.
Diffidate, fratelli, diffidate. Lo fanno per l’AUDITEL, non per dar voce alle
vostre coscienze in gabbia. AUDITEL. Dovete odiarla questa parola, voi che fra
dieci vent’anni avrete l’Italia in mano, sempre che non vi abbiano talmente
corrotti, si da oggi, che quando il potere l’avrete, sarete come mummie e non vi
ricorderete più di Jack, il tuo te stesso che muore. AUDITEL. Pensate a un poeta
come Leopardi, oggi.
Sì. Se oggi Leopardi si presentasse al Maurizio Costanzo Show. E’ un cesso
d’uomo, ha la vocina stridula, parla con l’accento di recanati, ed è pure gobbo.
Ma non è un fenomeno da baraccone come tutti gli altri ospiti, è un poeta.
Costanzo gli dà la parola e lui comincia “SILVIA, RIMEMBRI ANCORA IL
TEMPO DELLA TUA VITA MORTALE…”, fischi, lazzi, l’AUDITEL che crolla.
Costanzo urla: “State ‘bboni: cacciate immediatamente via quel gobbo infame”.
Eccola, l’AUDITEL, forse c’è un nuovo Leopardi, si chiama ROSSI, BIANCHI,
Paolino Bonocore, che ne sai? Forse è gia stato in televisione, non gli hanno fatto
dire neanche “A”, l’hanno umiliato, offeso, ricacciato nell’anonimato. E
l’umanità ha fatto un passo indietro. Fanculo all’AUDITEL e a tutti i sondaggi.
Fissare la televisione come delle pecore morte non vuol dire “consenso”, non
vuol dire “successo”, vuol dire solo che tu hai il potere di farmi vedere quello
che ti pare e io non posso fare altro che subirlo. E non ditemi, Cristo, non ditemi
“spegnila, è un tuo diritto”. Non ditemelo. Mi avete assuefatto. A che cazzo
serve appiccicare sui pacchetti di sigarette la scritta “Fa venire il cancro”
quando poi a vendermele è il Monopolio di Stato?
Non vi lavate la coscienza, non con me. Va bene, fumiamoci ogni sera
quest’enorme sigarettona che è la TV. Ma almeno metteteci dentro un buon
tabacco, fateci respirare un grande aroma, non la puzza di broccoli e minestrone
delle vostre anime da caserma”.
(D. CUGIA, Alcatraz).
Tornando a Rousseau, il culto della scienza,
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“(…) ANCOR DI Più NUOCE ALLE QUALITA’ MORALI. Fino dai nostri
primi anni un’educazione insensata adorna il nostro spirito e corrompe il nostro
giudizio.
Vedo da ogni parte Istituti immensi, dove si alleva con grandi spese la gioventù
per insegnarle ogni cosa, TRANNE I SUOI DOVERI.
I vostri figli ignoreranno la propria lingua, ma ne parleranno altre che non sono
in uso in nessun luogo; sapranno comporre versi che potranno appena capire;
senza sapere discernere l’errore dalla verità, possiederanno l’arte di renderli
irriconoscibili agli altri con argomenti speciosi; ma queste parole di
magnanimità, di equità, di temperanza, di coraggio, di umanità, non sapranno
che cosa siano (…)
Avrei altrettanto caro, diceva il saggio, che il mio scolaro avesse passato il
tempo in un gioco di pallacorda; almeno il corpo sarebbe più gagliardo.
So che bisogna occupare i ragazzi, e che l’ozio è per essi il pericolo più temibile.
CHE COSA OCCORRE DUNQUE CHE IMPARINO? Ecco certo un bel
problema! CHE IMPARINO QUELLO CHE DEVONO FARE QUANDO
SARANNO UOMINI, e non ciò che devono dimenticare.”
(Rousseau, D.)

“(…) onde nascono tutti questi ABUSI, se non dalla DISUGUAGLIANZA
FUNESTA, introdotta fra gli uomini per via della distinzione degli ingegni e
dell’avvilimento della virtù?
Ecco l’effetto più evidente di tutti i nostri studi, e la più pericolosa di tutte le
loro conseguenze.
NON SI DOMANDA PIU’ DI UN UOMO SE ABBIA INGEGNO; NON DI UN
LIBRO SE SIA UTILE, MA SE SIA SCRITTO BENE.
Le ricompense sono prodigate ai begli ingegni; e la virtù resta senza onori;
MILLE PREMI PER I BEI DISCORSI MA NESSUNO PER LE BELLE AZIONI.
(…) Noi abbiamo tanti fisici, geometri, chimici, astronomi, poeti, musici, pittori;
MA NON ABBIAMO PIU’ CITTADINI; o se ce ne restano ancora, dispersi nelle
nostre campagne abbandonate, vi muoiono poveri e spregiati.”
(Rousseau, D.)

Il “DISCORSO” di Rousseau si conclude con il tentativo di risposta alla
“domanda delle domande”: CHE COS’E’ LA FILOSOFIA?
Risposta che verte sul coraggio e dignità di pensare in proprio, autonomamente,
in un orizzonte innanzitutto morale prima ancora che scientifico-tecnicospecialistico; all’interno dell’orizzonte autenticamente di Illuminismo
antropocentrico.
“(…) I BACONE, i DESCARTES, i NEWTON, questi maestri del genere
umano, non ne hanno avuti essi medesimi; e quali guide li avrebbero condotti
fin dove il loro vasto genio li ha portati? I maestri ordinari non avrebbero
potuto che rimpicciolire il loro intelletto (…) IN VIRTU’ DEI PRIMI OSTACOLI
HANNO APPRESO A FAR SFORZI e si sono ESERCITATI a superare lo spazio
immenso che hanno persorso. Se si deve permettere a qualcuno di darsi allo

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studio delle scienze e delle arti NON E’ CHE A QUELLI CHE SI SENTIRAN LA
FORZA DI PROCEDERE DA SOLI SULLE LORO ORME E DI SORPASSARLI
(…)
Sono le grandi occasioni che fanno grandi uomini”
(Rousseau, D.)
E’ il caso appena di notare che questo pensiero fonda ciò che autenticamente
per Immanuel KANT costituisce la sola risposta alla domanda “Che cos’è
l’Illuminismo?” Come è noto Kant risponde che l’Illuminismo è l’uscita dallo
stato di minorità che l’uomo deve solo imputare a se stesso. “SAPERE AUDE!”
è il monito filosofico che deve poter condurre a spezzare le catene della propria
normalità di pecore atrofizzate.
In particolare, riprendendo l’approccio pedagogico articolato da Rousseau
nell’EMILIO, potremmo correggere il tiro di quell’ultima affermazione appena
riportata, dicendo piuttosto che sono le naturali difficoltà. Ostacoli, problemi
della crescita individuale a fare i grandi individui; “grandi” innanzitutto per se
stessi, vivendo tutte le tappe necessarie della e alla maturazione non evitando, o
non permettendo che si eviti, la fase più problematica della “pubertà”, con
ricette accomodanti, artificiali (ma anche fatalmente narcotiche e morfinizzanti)
per gli adolescenti.
Concludo con le parole di Rousseau:
“Oh virtù! Scienza sublime delle anime semplici, occorre dunque tanta
pena e tanto apparato per conoscerti?
E non basta, per apprendere le tue leggi, di RIENTRARE IN SE STESSI ED
ASCOLTAR LA VOCE DELLA PROPRIA COSCIENZA NEL SILENZIO
DELLE PASSIONI? Ecco la vera filosofia.”
(Rousseau, D.)
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