VERBALE N° 24 Giulia Frittella 01/04/2016 JEAN JACQUES ROUSSEAU il filosofo “controcorrente” dell’Illuminismo francese Nato in Inghilterra intorno al XVIII secolo, l’Illuminismo è quella corrente culturale e filosofica che si proponeva di “illuminare” la società pervasa dall’ignoranza e dalla superstizione mediante le qualità dell’intelletto umano e delle scienze. Si diffuse rapidamente in Europa raggiungendo anche la Francia, dove i maggiori esponenti si riconoscono nelle figure di Voltaire, Montesquieu, Diderot e D’Alambert, questi ultimi editori nel 1751 dell’Encyclopédie, testo emblema dell’Illuminismo. L’opera, il cui frontespizio reca scritto Des Sciences, des arts et des métiers – delle scienze, delle arti e dei mestieri – tralascia completamente le materie umanistiche focalizzandosi, invece, su quelle scientifiche ed essenzialmente pratiche, considerate le uniche utili per il raggiungimento del successo. La volontà di affiancare l’Inghilterra nel progresso tecnico mediante la celebrazione della ragione si manifesta con evidenza nel mondo borghese, i cui esponenti si propongono di emergere proprio mediante le loro potenzialità: ciò sarebbe impensabile attraverso qualità umanistiche quali la letteratura, la poesia e la filosofia, che nel Settecento rimangono del tutto subordinate alle nuove tecnologie. In questo clima improntato ad utilitarismo e materialismo, il filosofo francese Jean Jacques Rousseau riveste un ruolo piuttosto isolato e addirittura, per le sue inconsuete ideologie, non viene considerato un filosofo illuminista, bensì un pre-romantico. Non a caso nel progetto dell’Encyclopédie cui aveva aderito, egli viene posto ad occuparsi della sezione musicale, rivestendo anche in questo senso un ruolo estremamente marginale. È con L’Emilio (1762), discorso ideale sulla pedagogia, che Rousseau propone un’educazione ideale dell’individuo – Emilio, appunto – da intendere come essere moralmente integro, dotato anche di qualità intellettuali, al fine di evitare che cada vittima di quel nichilismo morale generato dall’abuso delle qualità tecniche. Tuttavia la sua critica alla passività inferta all’uomo dalle scienze nasce, più che con il Contratto sociale e L’Emilio, con due elaborati presentati nel 1750 e 1755 per alcuni concorsi, rispettivamente il Discorso sulle scienze e le arti e il Discorso sull'origine e i fondamenti dell'ineguaglianza tra gli uomini. Proprio in questi trattati Rousseau presenta il suo punto di vista sulla nuova metodologia di realizzazione del progresso, ponendo l’attenzione sulla pericolosità di un modello culturale completamente basato sullo sviluppo delle tecnologie. Il filosofo francese aveva intuito che esse non avrebbero fatto altro che generare la mortificazione dell’uomo stesso, dei suoi valori morali e sociali, negando la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza – principi cardine dell’imminente Rivoluzione Francese. In altre parole, le scienze secondo Rousseau non possono essere il fine ma solamente uno dei mezzi per il raggiungimento del benessere e del progresso della società: ridurre l’essenza umana alla più pura razionalità porterebbe paradossalmente ad una nuova barbarie fondata sulla disuguaglianza e l’isolamento. Non a caso il Romanticismo prende proprio Rousseau come modello, osservando come l’Illuminismo avesse creato disuguaglianza sociale, arroganza e dibattiti. Dopo la proposta delle sue tesi, infatti, si sollevò un vero e proprio sondaggio al fine di comprendere quanti fossero i sostenitori degli antichi – che non conoscevano le tecniche, ma possedevano ancora dei valori morali – e quanti quelli dei moderni – che avevano guadagnato le tecniche a spese delle virtù etiche. Nonostante avesse cercato in questo senso di recuperare i messaggi spinoziani sulla ricerca dell’amor Dei Intellectualis, lo sforzo di Rousseau rimase pesantemente pervaso di una grande utopia nel contesto illuminista dell’epoca, quando la rivoluzione scientifica aveva innescato un progresso inarrestabile che avrebbe presto condotto ad una società terribilmente materialista.