CENTRO UMANISTICO PROGETTISTI: DELISABATINI architetti + Arch. Aurelia D’Andria + Arch. Agostino Bruni ANNO: 2008 DESCRIZIONE: CONCURSO DE IDEAS PARA LA RELICCION DE UN PROJECTO TECNICO DE CONSTRUCCION DE EDIFICIO PARA CENTRO HUMANISTICO, LA PUEBLA DE ALFINDEN LOCATION: SARAGOZZA COMMITTENTE: pubblico COLLABORATORI: Federico Marchi, Giovanni Battista Manai Descrizione dell’opera Affrontare la progettazione architettonica dell’edificio che ospiterà l’ampliamento del centro Umanistico della città di La Puebla de Alfinden per noi ha significato, innanzitutto, risolvere il tema ad una scala più grande, quella urbana. Qui l’importanza dell’oggetto architettonico, inteso nel suo individuarsi come elemento emergente ed unico, passa in secondo piano a favore di un più attento rispetto del luogo, attraverso un intervento misurato e discreto sull’involucro esterno. Alla chiarezza e semplicità di intervento sull’esterno dell’edificio si contrappone una grande ricchezza e complessità spaziale degli ambienti interni. Il sedime su cui sorgerà il nuovo edificio costituisce un angolo di un isolato, molto chiuso e compatto, del tessuto urbano della città di La Puebla. La città, nata attorno alla chiesa dell’Assunzione della Nostra Signora e la torre campanaria di stampo mudejar, ha una struttura urbana fondata sulla crescita per successivi accostamenti di singole unità immobiliari a schiera che, allineate lungo le strade, formano l’aggregato urbano. Ogni unità, perciò, presenta sulla strada un fronte pubblico, ufficiale ed unitario, dove si trovano gli accessi, e sul retro nei cortili privati un fronte intimo, più articolato e totalmente svincolato da qualsiasi regola geometrica, ma dimensionato in funzione delle necessità dei suoi abitanti. Siamo partiti quindi dallo studio, dall’analisi della costruzione/formazione della città, per poi progettare il corpo architettonico. Per noi il primo compito che l’edificio nuovo avrà, è quello di ridare, con la ricostruzione dell’angolo dell’isolato, qualità urbana allo spazio esterno, quello pubblico: effettuare una ricucitura di una parte del tessuto urbano. Questo si esplicita seguendo le leggi insediative del sistema a cui esso stesso appartiene. E’ un involucro che, allineato agli edifici confinanti, timidamente si affaccia, attestandosi, all’incrocio tra la Calle Mayor e la Calle Fuertes mostrando solo l’aspetto severo e forte del paramento murario dal carattere quasi monumentale. Ogni elemento decorativo o segno distintivo è qui assente. La parete muraria omogenea in pietra calcarea, materia che da forma al centro, è interrotta in pochi punti solo da due piccoli buchi-ingressi e da rade, ma misurate bucature; queste attirano e spingono ad oltrepassare la spessa muratura e a partecipare così alla vita del centro. Il secondo compito sarà quello di introiettare la forma dello spazio pubblico della città dentro l’involucro della costruzione diventando quindi compendio di quel tessuto urbano sinonimo di vivacità spaziale e sociale. L’organismo, infatti, è formato da tante scatole funzionali attigue quali la biblioteca, la sala espositiva, l’auditorium, ecc.. che, come le unità immobiliari della città, da un lato sono allineate alla strada, definendo così la forma dell’edificio, mentre dall’altro lato avanzano o arretrano sia in pianta sia in alzato sul grande cortile coperto, il Vestibolo, in base allo spazio necessario allo svolgimento delle attività al loro interno. Il Vestibolo, il grande e scenografico vuoto posto al centro dell’edificio, è totalmente celato alla vista dall’esterno. Si identifica come l’asse portante dell’impianto spaziale oltre che funzionale e distributivo. Infatti, questo, scavando la morbida pietra con la forza di un fiume carsico, ordina e connette tutte le attività racchiuse e nascoste dentro le solide scatole cave. Come in un ambientazione teatrale l’utente viene catapultato dentro una cava per l’estrazione della pietra. Tutto è di pietra: il pavimento, le pareti verticali e anche il soffitto. I grandi blocchi, come se squadrati dalle enormi seghe diamantate, hanno tutti altezze diverse. Lo spazio è immobile, calmo, forte; la luce filtra sezionando la copertura, dagli intercolunni del grande portico e da piccolissimi e numerosissimi buchetti concentrati su una parte della parete della Calle fuertes, i quali la trasformano in un cielo stellato. Si viene così a creare uno spazio labirintico, dalla grande complessità,che ha nel grande vuoto del Vestibolo a tutta altezza il punto di partenza e di arrivo. L’utente dal momento in cui si muove tra i blocchi, le funzioni, o vi sale sopra attraverso scale scavate nella pietra, da osservatore diventa protagonista assoluto e lo spazio omogeneo e monocromatico acquista colore e dinamismo. E’ un’architettura pesante dove l’idea del tempo che permane è percepita sin dal primo momento in cui si varcano le soglie dei due ingressi. Questi due, buchi scuri negli spessi muri di pietra, conducono verso la grande sala illuminata del vestibolo, di grande respiro e cuore nevralgico dell’intero complesso, scolpito da profonde lame di luce che entrano guidate dai lucernai della copertura e dagli stretti e lunghi spazi tra i pilastri del grande portico i quali scompongono la visione della torre mudejar in numerosi riquadri. La gravità è confermata anche dalla scelta architettonica di reinterpretare la muratura a sacco romana come struttura portante; le spesse lastre in pietra calcarea, come casseforme a perdere, conterranno il getto in calcestruzzo armato.