IL CIBO NON È UNA MERCE. IN MEMORIA DELL`AGRICOLTURA

IL CIBO NON È UNA MERCE.
IN MEMORIA DELL'AGRICOLTURA SICILIANA
“Abbiamo abbandonato il nostro concetto di qualità per sostituirlo con dei parametri
che vanno bene per le macchine e non per l’essere umano. È stato come vendere la
nostra evoluzione per un piatto di lenticchie”.
“Il cibo non è una merce. Il cibo non è un insieme di
nutrienti chimici. Esso è una rete di rapporti tra un gran
numero di esseri viventi, umani e non umani, tutti
dipendenti gli uni dagli altri e tutti radicati nel terreno e
nutriti dalla luce del sole (Pollan).
Ma questo – come sostiene “Terra e LiberAzione” - è
possibile solo ad un’azienda agro-energetica che
appartenga ad un territorio che abbia la sovranità
alimentare e l’indipendenza”.
La terra e l’uomo che la coltiva sopravvivono, ormai da
tempo, a laceranti crisi che lasciano segni profondi non
solo nella nostra economia ma anche nelle nostre
coscienze.
Gli squarci provocati dagli uomini che hanno avuto in mano le sorti politiche dell’arte di
coltivare il suolo e l’illusione contadina di abbandonare la passione per la terra ed avvicinarsi al
profitto praticando la strada larga della chimica e dell’inquinamento, hanno provocato la
diaspora nelle campagne e la disgrazia nella popolazione rurale. La ruralità spiccata della
nostra Isola digerì il primo impatto con tutto ciò che arrivò da Oriente per consegnarlo ad un
Continente altrimenti affamato, divenendo pilastro del Mediterraneo.
Tempo perso. Secoli di storia e di esperienza svenduti, ai
giorni nostri, per poche palline colorate da banditori
idioti su mercati che non controllano più o che non
possono più controllare. È la Morte.
Ma la morte è una lunga attesa; essa dà all’uomo
sempre l’occasione di convertirsi, di ritrovarsi, di
ribellarsi all’inganno prima di passare oltre la linea di
demarcazione.
Allo stato attuale sembra incombere il Pericolo di
perdere le nostre aziende agricole, di perdere la nostra Terra, per sempre. E questo è il
Pericolo. Nelle pubblicità i diserbanti vengono definiti come “protettori delle colture dai loro
nemici naturali”.
L’occasione di cambiamento e salvezza dove sta? Innanzitutto, dobbiamo essere coscienti che
uscire dalla crisi non è solo un fattore economico, ma è principalmente un fattore umano.
L’uomo senza la conoscenza non è un attore, ma un servo, uno schiavo. Noi, senza nemmeno
accorgercene siamo divenuti schiavi di quelle transnazionali alle quali interessa solo il Profitto,
schiavi dei Poteri Forti che hanno provocato fame e sradicamento nel mondo distruggendo
intere Civiltà e creato in noi la paura del diverso, di tutto quello che proviene dal mare, dal
grano canadese, dall’ortofrutta africana ecc.
La paura è giustificata perché questi prodotti hanno distrutto i nostri mercati, hanno inquinato
le nostre mense, lasciano invenduti i nostri prodotti. Ma il potere a questi prodotti – non
sempre e necessariamente cattivi - lo abbiamo dato noi, perché abbiamo sostituito la nostra
ricca biodiversità con lo standard delle multinazionali. Abbiamo abbandonato il nostro concetto
di qualità per sostituirlo con dei parametri che vanno bene per le macchine e non per l’essere
umano. È stato come vendere la nostra evoluzione per un piatto di lenticchie.
Qualcuno propone una Riforma Agraria, noi proporremmo piuttosto una Riforma Agronomica e
Agroenergetica. Ne riparleremo. Il problema non nasce in questi ultimi anni, ma, in tempi
recenti, si profilò già alla fine della II Guerra Mondiale, quando le fabbriche di munizioni
rimasero con i magazzini pieni di Nitrato d’Ammonio che era stato utilizzato per fabbricare gli
esplosivi. Dopo una breve ricerca i fabbricanti di armi scoprirono che il solito amico Fritz, Haber
di cognome, un tedesco di origine ebraica, aveva capito, nel 1906, come dare il Nitrato
d’Ammonio ai vegetali.
Costui aveva anche inventato i gas mortali sparsi nelle trincee durante la I Guerra Mondiale e
lo Zyklon B usato per gasare gli ebrei nei campi di sterminio. Testati, poi, durante la guerra del
Vietnam e usati come Defolianti per scovare i terribili Vietcong, che difendevano le loro risaie,
nascondendosi nella vegetazione delle loro foreste. Da qui vennero fuori i gloriosi diserbanti
che nelle pubblicità vengono definiti come “protettori delle colture dai loro nemici naturali”.
L’industria non si accontentò di vendere i suoi
“elisir”, ma rivolse l’attenzione anche alla cosa più
importante per il contadino: il seme, “a simenza”.
Se poniamo attenzione vediamo, quindi, che per fare
agricoltura stiamo utilizzando due “sistemi di distruzione
di massa”. La natura ringrazia insieme al consumatore
per la strage “differita” che stiamo provocando.
Differita perché non si muore subito ma dopo avere
consumato una buona dose di prodotti farmaceutici per
curare la salute rimpinguando anche le casse
dell’industria farmaceutica che qualche mese fa voleva
inoculare nel sangue della popolazione mondiale qualche
schifezza a pagamento, con tanto di promozione ministeriale. Forse potremmo abbassare pure
l’IRAP se mangiassimo sano.
Ciò non bastò, perché l’industria non si accontentò di vendere i suoi “elisir”, ma rivolse
l’attenzione anche alla cosa più importante per il contadino: il seme, “a simenza”. A questo
punto nasce l’altro inganno. Con il pretesto di risolvere la fame nel mondo gli “scienziati”
attivano una serie di mutagenesi indotte per modificare il mais, il grano tenero poi e per ultimo
il grano duro. Così il lavoro svolto dai contadini negli ultimi 10.000 – 15.000 anni, che
selezionarono, “con la loro ignoranza”, centinaia di popolazioni di frumento, rispettandone la
natura e adeguandole alla moltitudine di microclimi, consegnando alle generazioni future un
tesoro di biodiversità vegetale, venne messo al bando per promuovere il risultato ottenuto
“dalla scienza” in una notte del 1974 con l’ausilio di un cannone ai Raggi Gamma del Cobalto
inventandosi le Varietà di grano nanizzato - iperproduttivo che necessita di nitrato d’ammonio,
di diserbanti e di antifungini, la cui caratteristica, oltre a quella dell’iperglutine, è quella di
avere perduto la diversità ed acquisito l’omogeneità.
“Ovviamente le nuove varietà sono meno capaci di rispondere adattativamente ai futuri
cambiamenti climatici o alla comparsa di parassiti” - disse il Prof. Luigi Monti, durante la sua
Laudatio Academica all’Università degli Studi di Napoli Federico II Facoltà di Scienze
Biotecnologiche, in occasione del Conferimento della Laurea honoris causa a Gian Tommaso
Scarascia Mugnozza, l’artefice della mutagenesi indotta
applicata sui cereali nel suo progetto Campo Gamma, ed infne aggiunse: “Esiste, quindi, una contraddizione
tra il miglioramento genetico e la conservazione della
biodiversità, nel senso che le nuove varietà riducono la
diversità genetica presente nell'ecosistema”. Fu sincero
però.
"Le nostre aziende non hanno più la sovranità sul
seme, quindi, non abbiamo neppure quella
alimentare"
Lo stesso lavoro lo si sta facendo sull’umanità a discapito dell’identità e della diversità dei
popoli. Le nostre aziende non hanno più la sovranità sul seme, quindi, non abbiamo neppure
quella alimentare. E se il rapporto tra lo schiavo ed il padrone si risolve nella dazione o meno
del cibo possiamo dire che oggi siamo schiavi.
Credo, poi, che gli agricoltori non si rendano conto di cosa abbiano studiato a nostro danno.
L’agricoltore vende il grano a 15 - 16 euro a quintale, ossia a 10 euro in meno di quanto gli
costa produrlo. Eppure i raccolti continuano di anno in anno. Perché? Di fronte al prezzo basso,
il contadino, per pagare le fatture, l’Inps, onorare i debiti e mantenere i figli ha una sola
possibilità: produrre di più. Per aumentare le rese di qualche quintale per ettaro si impoverisce
la terra, si usano anche terreni marginali e si abusa di concimi chimici.
Ma più aumenta l’offerta di grano, più cala il prezzo. Spirale di follia. L’agricoltore continua a
misurare il suo lavoro in base ai quintali/ettaro, facendo magari a gara con il circondario,
mentre va verso il fallimento. Per il mercato, anche se fallisce un agricoltore, non è un
problema, la terra continua a produrre. Inoltre, i contributi che vanno nelle tasche degli
agricoltori, in realtà aiutano i compratori di grano a prezzi stracciati.
Saranno sempre i governi a guidare l’agricoltura. Oggi, le nostre aziende agricole sono dei
Centri di Trasformazione di Combustibili Fossili in Cibo. Un inganno, un bluff pare ci sia alla
base di questa crisi. Consolidatosi nell’arco di pochi lustri, divenuto verità difesa con
convinzione a tutti i livelli. Il cibo non è una merce.
(da Il Cambiamento – luglio 2013)