Caro Bronio… Caro Stas Malinowski fra Conrad e Rivers ALBERTO M. SOBRERO Caro Bronio… Caro Stas Malinowski fra Conrad e Rivers ARACNE Copyright © MMIII ARACNE editrice S.r.l. 00173 Roma via Raffaele Garofalo, 133 A/B 06 93781065 www.aracneeditrice.it [email protected] ISBN 88-7999-576-6 Progetto grafico e redazione di Maria Chiara Santoro I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. I edizione: dicembre 2003 Presentazione Il presente saggio, pensato e scritto come primo capitolo di un libro in corso d’opera sul rapporto fra antropologi e letteratura, nasce dagli appunti di tre lezioni universitarie: due tenute per il corso di Etnoantropologia dell’a.a. 1999–’00 e una tenuta nell’anno accademico 2002–’03 per gli studenti della laurea specialistica di Discipline Etnoantropologiche (nuovo ordinamento). In base a programmi e tempi generali di ricerca, il libro doveva essere già finito da tempo, ma gli impegni accademici legati all’avvio della riforma universitaria hanno reso tutto più lungo e più difficile. La ricerca la si fa per gli studenti e gli studenti, anche se a volte non sembra, a loro modo crescono e passano. Invece di aspettare due tre anni, ho, perciò, ritenuto opportuno cominciare ad offrire agli studenti presenti il materiale del libro e in particolare questo capitolo sui diari malinowskiani che mi sembra stia effettivamente e in ogni senso all’inizio di tutto il percorso. Un ringraziamento particolare va a Eugenio Testa che ha letto e discusso questo testo proponendo importanti modifiche e a Massimo Canevacci che, come sempre con grande amicizia, mi ha messo a disposizione la sua preziosa biblioteca. Alberto M. Sobrero Viterbo, agosto 2003 5 Figura. 1 Witkiewicz, Helena Biedrzycka e Malinowski. 1. Non ho l’obbligo di andare oltre Il Malinowski che incontriamo in questo saggio è ben diverso da quello che siamo abituati a frequentare: non è l’eroe fondatore, il teorico del fieldwork e della osservazione partecipante; è, piuttosto, un uomo tormentato da debolezze fisiche e morali, spesso depresso, ancora incerto sul suo futuro. Un Malinowski senz’altro minore, nascosto negli scritti della sua formazione, nei lavori filosofici e nei primi saggi antropologici, e principalmente nelle pagine di quei diari che aveva iniziato a scrivere in Polonia e che continuerà a scrivere nel periodo della sua ricerca etnografica. I recenti studi malinowskiani hanno sottolineato l’influenza dei lavori giovanili sulle teorie successive 1, ma la formazio1. Robert J. Thorton e Peter Skalník, The early writings of Bronislaw Malinowski, Cambridge University Press, Cambridge, 1993. Nel lavoro sono riportati i principali scritti giovanili di Malinowski: Osservazioni sulla nascita della tragedia di Fredrich Nietzsche, probabilmente in coincidenza con un corso universitario seguito nel 1904–’05; la tesi di dottorato sul neopositivismo di Ernest Mach, e Richard Avenarius, 1906; le lunghe recensioni su Frazer, Il Ramo d’oro, Totemismo e Esogamia. In particolare è evidente l’influenza del pensiero di Mach sia in alcuni aspetti di metodo teorizzati in Argonauti, sia nell’impostazione economica proposta in Argonauti e in Coral Gardens. E, per 7 ne giovanile avrà influenza principalmente sul modo in cui Malinowski, prima del suo definitivo ritorno in Inghilterra2, concepisce la propria vita: una lotta eroica, un conflitto senza tregua fra esaltazione e depressione, fra l’ordine verso cui lo spinge l’educazione borghese e la tentazione di vivere senza limiti (“Martedì 13–11–1917… insomma tento di superare il rimorso metafisico di non potrai mai fotterle tutte”3); fra l’antropologo come eroe e l’uomo senza qualità altro verso, Mach era solito esporre le sue argomentazioni ricorrendo ad esempi tratti dall’etnologia. Come ha osservato Robert Thorton la scarsa frequenza di riferimenti di Malinowski ai suoi studi precedenti si deve probabilmente alla tensione, forte in quel momento in Inghilterra, di dare all’etnologia un suo statuto autonomo. 2. Malinowski parte per la Nuova Guinea il 10 (o l’11) giugno del 1914 e dopo due settimane di sosta a Ceylon arriva in Australia il 21 luglio. L’8 agosto ha inizio prima ad Adelaide e poi a Melbourne il Congresso della British Association for the Advancement of Science al quale Malinowski è invitato a partecipare come segretario della sezione antropologica. Dopo la chiusura del congresso (21 agosto) Malinowski (con Witkiewicz ) soggiorna a Sidney, dove il 25 tiene presso l’università una lezione su A Fundamental Problem of Religious Sociology. Lo scoppio della guerra lo pone, come cittadino austroungarico, di fronte ad una scelta: tornare in Polonia o accettare le condizioni di controllo poste dal governo australiano. Sceglie quest’ultima possibilità e riceve un finanziamento per la sua ricerca. Il 1 settembre parte per la Nuova Guinea (Port Moresby). In giugno (1915) inizierà il primo soggiorno (10 mesi) alle Trobriand. Malinowski tornerà in Inghilterra solo nel 1920. 3. Nei diari per sottolineare parole o concetti Malinowski usa lingue diverse dal polacco (in questo caso ad esempio l’espressione non potrai mai fotterle tutte traduce un’espressione che Malinoski scrive in russo). Nella traduzione italiana — Armando ed. 1992 — si è usato in questo caso il corsivo. In questo saggio lascio il corsivo dove si trova nella traduzione italiana, benché confessi di non capirne a volte l’origine e la logica. 8 (“la mia mancanza di eroismo”, “veramente non ho carattere”). Diciamolo subito: con i diari del periodo trobiandese siamo di fronte a uno dei punti più alti della riflessione antropologica moderna. Anzi siamo all’inizio dell’antropologia ‘moderna’, ma non per la questione del fieldwork, o dell’osservazione partecipante, ma perché nella riflessione di Malinowski prima del’20 prendono corpo alcune delle figure centrali dell’antropologia moderna e, anzi, della ‘modernità’ tout court: la problematicità (fino alla vanità) del viaggio, l’emergere nelle ricerca etnologica di un’alterità interiore assoluta, la scrittura come finction 4. Sono alcune delle figure che si addensano nel periodo della crisi del pensiero positivo. Più di quanto si creda, Malinowski si imparenta con la grande famiglia della filosofia e della letteratura mitteleuropea dei primi anni del secolo ventesimo e certamente con due grandi polacchi: Conrad e Stanislav Witkiewicz (lo Stas dei diari trobiandesi), pittore e romanziere, artefice di teatro, futuro punto di riferimento per Grotowski. Come tutti costoro è erede di Nietzsche (altro grande sedicente polacco: “Io sono un nobile polacco pur sang…” in Ecce homo) e legge Freud. Forse abbiamo iniziato correndo troppo. Andiamo con ordine e gradualmente. All’inizio degli anni Ottanta il dibattito sui diari trobiandesi di Malinowski ha avuto un ruolo centrale nel rinnovamento dei nostri studi. Le occasioni sono state diverse: le iniziative per il centenario della nascita, la pubblicazione dei lavori giovanili, dell’epistolario e di parte dei diari polacchi, la riscoperta in Polonia, ma non 4. Finction, non come qualcosa di falso, ma come qualcosa di costruito. C’è chi ha introdotto il neologismo Faction come via di mezzo fra finction e fact. 9 solo in Polonia, dell’opera di Stanislav Witkiewicz e non ultimo il ruolo attribuito a Malinowski nel progetto di storia antropologica dell’antropologia di George Stocking 5. Di fondo però c’è il clima di rivolta antipositivista che investì in quegli anni le nostre discipline, quel clima che da molti è indicato genericamente come post–moderno, ma che in ambito europeo sarebbe meglio indicare come riattualizzazione della filosofia della crisi. Strano destino: chi era stato considerato apostolo dell’antropologia come scienza si ritrovava ad essere testa di ponte delle nuove correnti.6 5. Mi riferisco in particolare ai seguenti lavori: Roy Ellen, Ernest Gellner et alii, Malinowski between two worlds. The Polish roots of an anthropological tradition, Cambridge University Press, Cambridge, 1988; George W. Stocking Jr, The Ethnographer’s Magic and Other Essays in the History of Anthropology, The University of Wisconsin Press, 1992, in particolare i saggi The Ethnographer’s Magic: fieldwork in British Anthropology from Tylor to Malinowski (già pubblicato nel 1983) e Maclay, Kubary, Malinowski: Archetypes from the Dreamtime of Anthropology (1991). I diari di Malinowski sono pubblicati in diversi numeri della seconda metà degli anni ’90 della rivista Konteksty, Antropologia Kultury, Etnografia, Sztuka. In particolare cfr. il numero monografico Malinowski e Witkacy, n. 1–4, anno 2000. Per semplicità si rimanda alla stessa rivista (e al citato lavoro a cura di Roy Ellen e Ernest Gellner) per la bibliografia relativa alla pubblicazione degli epistolati malinowskiani (Frazer, Witkiewicz) e di altre parti del diario polacco. 6. Sulla ripresa dell’interesse intorno all’opera di Malinowski nella prima parte degli anni Ottanta si veda, ad esempio, il dibattito fra Andrzej Paluch, The Polish Background of Malinowski’work, in Man, n. 16, 1981, e Ivan Strenski, Malinowski: second positivism, second romanticism, in Man, vol. 17, n. 4, 1982 e gli interventi di C. Payne, Malinowski’s Style, in Proceeding of the American Philosophical Society, 125,1981, pp 416–440 e di Robert J. Thornton, Image yourself set down …, Mach, Frazer, Conrad, Bronislaw Malinowski and the role of imagination in ethnography, in Anthropology Today, vol.1, n5, 1985. Di 10 Malgrado le censure e gli omissis, i diari del periodo trobiandese, pubblicati postumi (1967) dalla seconda moglie Valetta Malinowska — non solo contro la volontà di Helena (figlia della prima moglie), ma anche contro il parere dei suoi allievi più diretti, Raymond Firth, Audry Richards, Edmond Leach — avevano messo in forte disagio l’antropologia inglese. A salvare l’onore del maestro e la credibilità dell’antropologia (le due cose spesso coincidevano) non era bastata l’introduzione di Firth: l’invito alla lettura dei Diari come spazio personale, privato, safety valve, e quindi in qualche modo come scrittura antropologica poco significativa.7 Certo si trattava di poca cosa rispetto a opere come Argonauti o Coral Gardens, ma rimaneva quel contrasto stridente fra il Malinowski canonizzato nei manuali e il Malinowski dei diari. Né si poteva risolvere la questione (come a volte lo stesso Malinowski aveva fatto) parlando di un primo Malinowski nietzscheano (My Nietzsche Period), surrealista avant lettre, in opposizione a un Malinowski maturo, convertito alla scienza, o parlando di un Maliquesta prima metà degli anni Ottanta sono anche i lavori di Clifford Gerrtz, James Clifford e Peter Skalnik di cui discuteremo in seguito. 7. Si può ricostruire la vicenda dell’immagine di Malinowski a partire dalla prima introduzione di Raymond Firth ai diari (1967 London: Routledge & Kegan Paul) fino alla seconda introduzione (1989, Stanford: Stanford University Press) e, facendo un passo indietro, dai saggi contenuti in R. firth (ed.) Man and Culture: An Evaluation of the Work of Bronislaw Malinowski, Routledge and Kegan Paul, London, 1957. Su quest’ultimo testo si può vedere, tuttavia, il giudizio di C. Geertz in The New York Review of Books, vol. 9, n.4, 14 settembre 1967: il libro “finì più per giustificare il disinteresse per Malinowski piuttosto che porvi fine”. Cfr., comunque, Nigel Rapport, Surely everything has already been said about Malinowski’s Diary, in Anthropology Today, vol.6, n. 1, 1990. 11 nowski figlio della cultura mitteleuropea (I’m a Western Slay with Teutonic Culture), contrapposto a un Malinowski affascinato dalla Britishness (“Io considero ogni cosa inglese come la migliore a priori” 8 ). A guardar bene, i termini della questione sono molto più intrecciati: il Malinowski sedicente nietzscheano proprio in quegli anni sceglierà la scienza, discutendo nel 1906 una tesi sul neopositivismo; e il Malinowski scienziato resterà sempre, e più di quanto non si creda, alla ricerca di una scrittura simile a quella di Frazer (di Zola e magari di Balzac). Ormai quasi alla fine della sua permanenza sul campo, nell’ottobre del 1917, Malinowski scrive a Frazer: “Ogni etnologo guarda a Lei come al leader della nostra disciplina… È principalmente attraverso lo studio dei suoi lavori che io sono giunto a comprendere la decisiva importanza di dare una descrizione della vita dei nativi piena di vita e di immediatezza. Io ricordo quale insegnamento ho ricavato nel trovare nel suo lavoro Totemismo e Esogamia una descrizione pittoresca dell’area dove vivevano le popolazioni studiate…”. 9 I diari polacchi e trobiandesi mettono in scena lacerazioni che attraversano tutto il percorso culturale e tutte le dimensioni della vita e, peraltro, la questione non può leggersi in termini personali: è piuttosto una guerra i cui esiti sembrano stare a fondamento della nostra disciplina. 8. Lettera a Aniela Zogórska, in Konteksty, cit. pp.66–80. Cito questa lettera perché è quella nella quale con più forza Malinowski espone la sua tendenza anglofila, ma sul suo desiderio di andare a completare i suoi studi in Inghilterra si possono leggere diverse lettere: ad esempio quella al padre datata 5 gennaio 1910, pubblicata in Roy Ellen, Ernest Gellner et alii, Malinowski between two worlds. cit., p.204 9. Lettera a Frazer del 25.10.1917, cit. in R. Thornton, Image yourself set down… cit., p.7 12 È una guerra fra due modi di pensare, fra due modi di vivere. Da tempo, probabilmente dal prima del 1910, Malinowski aveva maturato le sue scelte: l’Inghilterra piuttosto che la Polonia, l’antropologia piuttosto che la filosofia e la letteratura, la vita borghese della Londra di Thackeray, piuttosto che la Cracovia di Witkiewicz. La decisione è presa, ma sempre accompagnata dal rimorso, dalla tentazione di tornare indietro, dalla sensazione di fallimento, dal senso di inferiorità nei confronti dell’arte di Witkiewicz. Poco prima di partire per l’Australia, il 6 maggio del 1914 Malinowski aveva scritto nel suo diario: “Io ho creduto e ancora credo in Stas. Stas è per me l’incarnazione spirituale della superiorità e dell’unicità dell’animo polacco, ma anche la personificazione dei suoi lati peggiori e delle sue debolezze… A volte io cerco di dimenticare Stas. Scappare da lui. Io non entro nella profondità della sua condizione semplicemente per un istinto egoistico di sopravvivenza… Cerco di convincerlo con argomenti che io stesso percepisco come triviali e poveri. Nulla è vero, solo la morte. Ma io non posso, non ho l’obbligo di andare oltre (crs. nostro), di seguire un amico fino alle ultime porte dell’Ade, a meno che non sia per convincerlo a tornare indietro”. Quel che Malinowski scrive per Stas vale per l’arte, per la letteratura, per la filosofia, per la Polonia. Malinowski fa iniziare dal primo settembre la propria avventura etnografica: “Il primo settembre ebbe inizio una nuova epoca della mia vita: una spedizione da solo ai tropici…”. Una nuova epoca, da solo. Il primo settembre durante un’escursione non lontano da Brisbane si consuma la rottura fra i due amici. Quella con Stas è una rottura annunciata, inevitabile, ma non per questo il conflitto è risolto. Ci si è interrogati 13 spesso se i diari fossero o meno destinati alla pubblicazione. I diari erano appunti sulla propria esperienza di vita, studi di un pittore senza preoccuparsi troppo dell’opera. Dobbiamo pensare che Malinowski abbia letto i romanzi in forma di diario di Musil (1906) e di Rilke (1910) 10, di certo avrà letto l’Ecce homo11 e di certo avrà letto anche qualche pagina del diario di Stas, quel diario destinato a diventare, almeno nella finzione artistica, il nucleo autobiografico di Insaziabilità, il più noto romanzo di Witkiewicz (“Da quel giorno non smise più di coltivare quel mostriciattolo dentro di sé e tenne un diario che nel 1997 il dottor Wuchert avrebbe pubblicato con il titolo di Appunti di uno schizofrenico” 12). Una cosa è certa: Malinowski tornato definitivamente in Inghilterra non solo volle dimenticare quei diari nel fondo di un qualche cassetto, ma — cosa molto più significativa — smise di scrivere il diario, un’abitudine che lo aveva accompagnato già prima degli studi universitari. Messa da parte la rappresentazione caricaturale di un Malinowski buon etnografo, ma pessimo teorico, in questo saggio mi propongo di dimostrare: a) come Malinowski, ancora nel periodo trobiandese e sulla base dei suoi studi in Polonia e Germania, abbia tentato, anche se in maniera disordinata, di elaborare un metodo di ricerca e una possibilità di scrittura diversi da quelli che gli suggeriva l’antropologia inglese; b) come al realismo etnografico predicato 10. Intendo I turbamenti del giovane Törless e I quaderni di Malte Laurids Brigge . 11. Pubblicato, comunque, solo nel 1908 dopo lo scritto di Malinowski su La nascita della Tragedia, scritto legato probabilmente alla frequenza di corso universitario del 1904–’05. 12. Insaziabilità , trad. it., Garzanti, 1973, p. 45 14 in quegli anni dalla scuola di Cambridge, Malinowski contrapponga, più o meno consapevolmente, la necessità di esercitare immaginazione e come all’antropologo raccoglitore di dati “in maniera intensiva” (lunga permanenza sul campo, partecipazione etc.) contrapponga un antropologo capace di “vedere il mondo in maniera diversa”; c) come proprio la scrittura del diario — per dirla con Malinowski, “l’esperienza dello scrivere di sé”– sia il centro, l’asse portante, di una nuova, possibile metodologia. Ma il fine ultimo di questo lavoro è ancora un altro: cogliere il momento in cui la riflessione antropologica, legandosi strettamente alla ricerca etnografica, recide decisamente il suo legame con la letteratura. Qualcosa di analogo era accaduto a partire dal Cinquecento per le scienze esatte e accade ora, tra Ottocento e Novecento, in tutte le scienze sociali: in sociologia (con Durkheim), in psicologia (con Wilhelm Fechner, con Wilhelm Wundt, le cui lezioni Malinowski aveva seguito a Lipsia), in storia e in archeologia (con Ranke, con Mommsen, con Alan Gardiner, uno dei pochi studiosi citati da Malinowski nell’introduzione ad Argonauti): tutte le discipline sociali si liberano del fardello delle costruzioni fantastiche e delle ipotesi indimostrabili, sottolineano l’impostazione filologica, e per vie diverse rivendicano la loro autonomia e la loro appartenenza alla grande famiglia della scienza. Per molte di queste discipline l’età adulta era iniziata con l’emancipazione dalla filosofia, per l’antropologia significò emanciparsi dalla letteratura e in particolare dalla travel literature, oltre che dalla filosofia. La riflessione sul rapporto fra antropologi e letteratura potrebbe cominciare con un capitolo diverso, con altri personaggi, prima e altrove, ma è bene farla cominciare con Malinowski, alle Trobriand, là dove iniziano i manua15 li correnti, quando, almeno nel caso dell’antropologia inglese, questo intreccio con la letteratura bruscamente si interrompe. Siamo, peraltro, a un crocevia importante: i temi che da vent’anni a questa parte i teorici dell’antropolgia amano sottolineare, e non ultimo il rapporto fra antropologia e letteratura 13, sono già in buona parte presenti nei diari trobiandesi, con un’intensità che aveva di certo molte radici — non ultima la sensibilità che proveniva a Malinowski dal suo essere partecipe di più culture — ma comunque con una intensità che non troveremo facilmente fra i suoi successori. E meno che mai fra gli inglesi. La bibliografia sui diari di Malinowski è ormai imponente (e facilmente reperibile): prendo, dunque, brevemente in considerazione solo tre interventi utili al nostro percorso. I primi due interni al dibattito americano degli anni Ottanta sono ben noti in Italia: il saggio di Clifford Geertz, I–Witnessing: Malinowski’s Children (1983) e il saggio di James Clifford, On Ethonographic Self–fashioning: Conrad e Malinowski (1985) 14. Il terzo, forse meno noto, è il saggio di Peter Skalnik, Bronislaw Malinowski 13. Rimando per una prima, ma chiara introduzione al problema al saggio di Fabio Dei La libertà di inventare i fatti: antropologia e letteratura, in Il gallo silvestre, n.13, 2000, ora anche in www.antropologie.it/letteratura 14. Clifford Geertz, I–Witnessing: Malinowski’s Children (1983), poi in Works and Lives: The Anthropologist as Author, Stanford University Press, Stanford, 1988 (trad. it. Opere e vite, il Mulino, Bologna, 1990); James Clifford, On Ethonographic Self–fashioning: Conrad e Malinowski, in T. Heller et alii (eds), Reconstructing Individualism, Stanford University Press, Stanford, 1985, poi in The Predicament of Culture, Harvard University, Cambridge, Mass., 1988 (trad. it in I frutti puri impazziscono, Bollati, Torino, 1993). 16 and Stanislav Witkiewicz: Science versus art in the conceptualization of culture, pubblicato per la prima volta nel 1995 e più tardi ripubblicato nella rivista (bilingue, polacco e inglese) Konteksty, Antropologia Kultury, Etnografia, Sztuka, numero monografico del 2000 dedicato a Malinowski e Witkiewicz. Quest’ultimo lavoro mi sembra rappresenti bene l’indirizzo che il dibattito ha assunto negli anni Novanta, un indirizzo nuovo, determinato da due fatti culturali strettamente incatenati: la pubblicazione degli scritti giovanili di Malinowski e la riscoperta dell’opera di Stanislav Witkiewicz. Il passo successivo era obbligato: rileggere Malinowski alla luce del suo legame con Witkiewicz. Un passo obbligato specie nella Polonia degli anni Novanta, perché nella storia dell’amicizia fra i due uomini si riflette (fra l’altro) la controversia senza fine sull’identità polacca, sul carattere polacco, sull’anima slava o europea della Polonia, questioni tornate vive dopo la caduta del regime comunista. 15 15. Un’ampia bibliografia relativa all’opera di Stanislav Witkiewicz è pubblicata nel numero citato di Konteksty. In italiano oltre a Insaziabilità, sono stati tradotti Addio all’autunno (Mondadori, 1969), Le 622 cadute di Bungo (Il Caffé, 1970 nn. 4–5–6, 15–21). Una vasta scelta di scritti teorici è presentata in Witkiewicz, Forma, Teatro, Apocalissi, a cura di Francesco Bigazzi et alii, Bulzoni, Roma, 1988. Presso lo stesso editore è apparsa una vasta selezione in due volumi dei lavori teatrali: Teatro, Bulzoni editore, 1980. Recente è La Ditta dei ritratti (Pendragon, Bologna 2003) con saggi di Giovanna Tomassucci e Wojciech Sztaba e con un’ampia galleria di dipinti di Witkiewicz. Si rimanda comunque a questo volume per la bibliografia dei più importanti lavori di Witkiewicz tradotti in italiano. Per la bibliogrfia internazionale su Witkiewicz si può vedere invece il saggio Witkacy in the World di Janusz Degler in Konteksty, 2000, cit. Lavori importanti di 17