Discussione Mendel e il contesto socio-economico Johann Mendel (1822-1884) nacque il 22 luglio in un piccolo paese dell’attuale Repubblica Ceca. Fin dall’adolescenza si trovò a stretto contatto con le tecniche d’ibridazione delle piante grazie al padre, un agricoltore che s’interessava delle nuove varietà di alberi da frutta. All’età di 21 anni, dopo varie vicissitudini, entrò come novizio presso l’Abbazia di San Tommaso a Brno in Moravia. L’ambiente nel quale Mendel si trovò a operare era il riflesso di una serie di circostanze storiche che, probabilmente si rivelarono fondamentali per la sua formazione e per le sue scoperte. Nel 1807, per disposizione delle autorità centrali dell’Impero di Austria ed Ungheria, gli Agostiniani di San Tommaso furono incaricati dell’organizzazione degli insegnamenti di matematica e di scienze naturali nel Collegio Teologico di Brno di recente istituzione. L’Abbazia si trasformò, pertanto, in un centro di vita intellettuale che accoglieva soprattutto monaci con un’istruzione di livello superiore, necessaria per fare fronte agli impegni d’insegnamento e di ricerca. Brno era divenuta il centro dell’industria tessile dell’impero austriaco: un problema particolarmente significativo era quello di poter disporre di varietà di pecore in grado di produrre lana di qualità e in grande quantità. Gli allevatori erano interessati a migliorare la qualità della lana prodotta dalle varietà locali incrociandole con quelle importate dalla Spagna. I risultati molto positivi ottenuti dagli allevatori della Moravia, e i vantaggi economici che ne trassero, orientarono l’interesse degli agricoltori verso l’applicazione della pratica dell’incrocio alle piante, al fine di produrre ibridi pregiati. Inoltre con il procedere incalzante della «rivoluzione industriale» si assistette a massici fenomeni di migrazione dalle campagne verso la città, con l’aumento conseguente della domanda di prodotti alimentari. Gli scienziati si andavano convincendo che, per migliorare la selezione artificiale degli animali e delle piante, si sarebbe dovuto prima comprendere cosa viene trasmesso e come viene trasmesso. Di tale idea era convinto sostenitore l’abate Napp, il quale, diventato superiore del convento di Brno, favorì in ogni modo gli studi del monaco Mendel, consentendogli di frequentare l’Università di Vienna nel periodo 1851-1853 dove fu allievo del fisico Doppler. Le teorie dell’ereditarietà prima di Mendel Fra i primi ad elaborare delle teorie sull’ereditarietà va menzionato Ippocrate, secondo cui all’interno del corpo si accumulava qualcosa, capace di incorporare le caratteristiche dell’individuo e questa entità materiale veniva trasmessa alla prole. Faceva probabilmente riferimento ad un altro filosofo, Anassagora, che riteneva che ogni cosa esistesse fin dal principio sotto forma di semi (spermata). Diversamente, Aristotele credeva che le caratteristiche di un individuo non risiedessero all’interno di un ente materiale (seme) e affermava piuttosto la presenza di un’essenza immateriale che veniva trasmessa attraverso lo sperma e il flusso mestruale durante il concepimento. Certamente, tutti erano d’accordo nell’accettare l’evidenza dell’ereditarietà dei tratti. Ciò che ha creato per lungo tempo non pochi problemi interpretativi nell’ambito dei vari modelli proposti, sono certe stranezze che si osservano, talvolta, nella modalità di trasmissione dei caratteri. Infatti, come è noto, a volte capita che i capelli biondi “saltino una generazione”, oppure gli occhi o la forma del mento vengano ripresi dal padre e non dalla madre. Che tali salti fossero noti, almeno agli uomini di cultura, lo sappiamo grazie, soprattutto, agli scritti di alcuni autori medioevali: lo scrittore ebreo Yehuda Ha-Levi nelle sue opere religiose descriveva proprio questi “salti” e denominava “dormienti” i tratti che ricomparivano; il medico arabo Albucasi, aveva osservato che, l’emofilia, era ereditata proprio come il colore dei capelli. Inoltre per secoli allevatori e agricoltori avevano selezionato animali e vegetali dalle caratteristiche utili a fini produttivi. Le attuali varietà di cane o di maiale, come moltissime colture vegetali, nascono in questo modo. Sul finire del ’700, Lamarck ipotizzò che tutta l’evoluzione degli organismi procedesse proprio per trasmissione di caratteri acquisiti: le giraffe sforzandosi di raggiungere i rami più alti fanno “crescere” il loro collo e trasmettono questa caratteristica alla prole. Sappiamo oggi che non funziona così. Si osserva, infatti, che l’ereditarietà vale solo per le caratteristiche presenti già alla nascita e non per quelle acquisite.. Ciò che accomuna questi autori è che nessuno di loro ha lavorato sistematicamente al tentativo di determinare una legge generale che descrivesse la trasmissione dei caratteri. Nessuno analizzò scrupolosamente queste caratteristiche per individuare la trama di un qualche principio. La cosa importante per gli allevatori e gli agricoltori era di avere delle pecore che producessero tanta lana o del grano molto produttivo per fare provvista. Furono, tuttavia, pubblicati manuali e trattati nei quali erano raccolte conoscenze e indicazioni pratiche relative alla selezione e all’ibridazione di piante e animali. Spesso gli autori di tali pubblicazioni erano coltivatori interessati alla salvaguardia delle migliori pratiche agronomiche. Tuttavia essi, prima di Mendel, misero in evidenza la complessità dei fenomeni legati all’eredità, anche se non provarono a darne una spiegazione. Come fanno notare alcuni storici della biologia, la questione della ricomparsa dei tratti nascosti nella seconda generazione di ibridi (vedi più avanti il concetto di segregazione) era già stata evidenziata da studiosi premendeliani, come Kölreuter, Knight, Sageret e Naudin. Quest’ultimo ebbe anche un lungo ed articolato scambio di vedute con Darwin sui temi dell’ereditarietà; il naturalista inglese, infatti, aveva per suo conto elaborato al riguardo la teoria della pangenesi. Secondo questa interpretazione ciascuna cellula, o le sue singole parti costituenti, produrrebbero delle gemmule corrispondenti alla cellula stessa o a una sua determinata parte. Le gemmule sarebbero in grado di circolare liberamente attraverso il corpo ed entrare nelle cellule sessuali. Ciascun ovulo e spermatozoo conterrebbe quindi le gemmule di tutti i tipi cellulari che devono essere trasferiti alla generazione successiva. Durante la fecondazione e lo sviluppo embrionale, le gemmule si fonderebbero con quelle dello stesso tipo provenienti dall’altro genitore, producendo le nuove cellule. Sarebbe per effetto di questa fusione e mescolanza dell’informazione che le cellule risultanti presentano caratteristiche spesso intermedie rispetto a quelle da cui hanno avuto origine. Può anche accadere che alcuni caratteri rimangano dormienti per varie generazioni. Va detto che questa teoria fu smentita da Galton, cugino del naturalista inglese, il quale condusse una serie di esperimenti tentando di cambiare il colore di ceppi di conigli bianchi o neri trasferendo loro delle gemmule prelevate dal circolo ematico. Come è noto l’esperimento fallì. A questo punto della storia fa la sua irruzione il monaco di Brno, il primo a fornire un modello matematico per prevedere quali fossero le probabilità di trasmissione dei caratteri somatici dai genitori ai figli e agli altri discendenti. Figura 1 Gregor Johann Mendel (www.biography.com) Nel periodo storico in cui visse non si conoscevano i cromosomi né la struttura e la fisiologia cellulare. Gli studi sull’ereditarietà avevano condotto alla teoria della mescolanza che presupponeva che nella prole i fattori ereditari si mescolassero: si riteneva infatti che nelle cellule uovo e negli spermatozoi fossero presenti dei fattori ereditari e che dopo la fecondazione questi fattori si fondessero. Secondo la teoria della mescolanza, gli elementi ereditari, una volta fusi, non si sarebbero più potuti separare. Mendel, che conosceva perfettamente il lavoro dei suoi predecessori, si inventò un modello prima di sperimentare e con questo formulò alcune previsioni da sottoporre a verifica, scegliendo accuratamente le piante da incrociare, i caratteri da studiare e le condizioni sperimentali. Siamo in presenza di un fatto di portata storica: il metodo sperimentale fa il suo ingresso nel campo delle scienze biologiche. Egli ipotizza l’esistenza di fattori discreti, responsabili dell’eredità. In ciascun individuo essi si presentano come coppie distinte di particelle, ciascuna caratteristica fisica osservabile è associata ad una coppia ed è determinata da un solo elemento della coppia. Durante la formazione dei gameti gli elementi di ogni coppia si separano (in genetica si dice che segregano) in modo casuale e ogni gamete ne riceve uno soltanto. Mendel fa riferimento a tali fattori utilizzando dei simboli senza preoccuparsi di precisare che cosa siano esattamente. I fattori unitari dell’eredità oggi si chiamano geni e le forme diverse di uno stesso gene sono chiamate alleli. Oggi si sa che i geni sono localizzati nei cromosomi, strutture situate all’interno del nucleo delle cellule eucariotiche. Il setting sperimentale di Mendel Seguendo l’impostazione di Mendel diciamo che il carattere è una caratteristica fisica osservabile di un vivente (colore del fiore, colore del seme) mentre il tratto è una forma particolare assunta dal carattere (il viola o il bianco per il colore del fiore ad esempio). Un carattere ereditario è quello che si trasmette da genitore a figlio, una linea pura (restringendo per semplicità il raggio d’azione della nostra definizione alle varietà di piante analizzate dal botanico ceco) è una linea di discendenza di organismi in cui il tratto prescelto rimane costante per molte generazioni. Un ibrido (nell’accezione mendeliana) è, infine, il prodotto dell’incrocio tra due varietà di piante o animali appartenenti alla stessa specie che differiscono per uno o più tratti. Mendel, ben al corrente della letteratura sugli ibridi, era conscio dell’importanza di selezionare delle piante che avessero dei caratteri adatti alla sua ricerca. Le piante sperimentali dovevano necessariamente: · avere tratti distintivi costanti · i loro ibridi dovevano essere protetti dall’influenza di tutto il polline estraneo durante i periodi di infiorescenza o permettere facilmente questa protezione · non dovevano presentare fenomeni di marcata riduzione della fertilità degli ibridi e dei loro discendenti nelle successive generazioni. Per le suddette ragioni scelse il Pisum sativum: si trattava, infatti, di una pianta facile da coltivare, ermafrodita e che presentava sette caratteri facilmente identificabili, ognuno dei quali si manifesta in due forme distinte. I caratteri da studiare potevano essere di più o altri ma questi non avrebbero soddisfatto le condizioni sperimentali! Anche l’eventuale scelta di un’altra pianta, per esempio del pisello odoroso, Lathyrus odoratus, avrebbe generato piante con caratteri intermedi rispetto ai genitori e quindi non confacenti alle sue ipotesi. Mendel ebbe quindi il grande acume di scegliere con molta attenzione i caratteri da prendere in considerazione, limitando i propri studi a casi di eredità semplici che riteneva di poter tenere sotto controllo, vale a dire: · caratteri discreti che presentano solo due tratti antagonisti ben distinti e quindi facilmente identificabili; · genitori puri per questi tratti I sette caratteri del Pisum sativum selezionati sono rappresentati nella figura seguente: Figura 2 I sette caratteri del Pisum sativum Mendel realizzò diverse serie di incroci prendendo in considerazione la trasmissione di un solo carattere alla volta in un grande numero di piante. Per prima cosa provò ad incrociare una linea pura di piante a semi lisci con una linea pura di piante a semi rugosi, chiamò questa serie di piante generazione parentale. Dopo l’incrocio ottenne una prima generazione filiale di ibridi detta generazione F1, di piante che avevano tutte i semi lisci: la buccia rugosa sembrava scomparsa! Coltivò, quindi, le piante della generazione F1 ed eseguì una nuova serie di esperimenti. Ognuna di queste piante fu lasciata libera di autoimpollinarsi e produrre una seconda generazione filiale chiamata F2. Mendel analizzò una serie impressionante di dati (lavorò per otto anni ed esaminò centinaia di migliaia di semi e piante: riteneva, infatti, necessario osservare senza eccezione tutti i membri di una serie di discendenti in ogni generazione) utilizzando il calcolo delle probabilità e metodi statistici. Egli introdusse una modalità di lavoro che i genetisti adoperano ancora oggi. Di seguito una tabella in cui sono riportati i risultati ottenuti: Figura 3 Risultati degli incroci di Mendel Dunque tutti gli ibridi prodotti dal primo incrocio presentavano solo uno dei tratti contrapposti. Mendel introdusse il termine dominante per il tratto presente nella prima generazione e recessivo per il tratto alternativo. La generazione successiva, F2, mostrava (come era già stato osservato dagli studiosi precedenti) una variabilità maggiore con la ricomparsa del tratto recessivo. A differenza dei suoi predecessori Mendel fu in grado di mostrare, attraverso uno studio numerico, (in questo risiede la grande novità apportata dallo scienziato di Brno) l’esistenza di un rapporto semplice 3:1 tra le piante che portano il tratto dominante e quelle che portano il tratto recessivo. Nella generazione successiva, F3 (test cross o re-incrocio), Mendel trovò che mentre il gruppo di piante che mostrava il tratto recessivo si manteneva costante, solo 1/3 dell’altro gruppo rimaneva costante. Evidentemente la presenza del tratto dominante nella metà delle piante non consentiva di vedere che si trattava di ibridi. Di conseguenza il rapporto 3:1 era in realtà un rapporto 1:2:1. I risultati ottenuti confermavano le ipotesi del suo modello: il tratto recessivo rimaneva comunque presente nella generazione F1 (anche se nascosto) e si ripresentava in una forma visibile nella generazione F2 secondo rapporti ben definiti. In sostanza, fu in grado di dimostrare due fatti importanti dell’eredità: · il contributo uguale di entrambi i genitori · la conservazione dell’identità degli elementi differenti, che non si mescolano nelle successive generazioni. Il linguaggio della genetica Per descrivere in modo chiaro i meccanismi di trasmissione dei geni da una generazione all’altra, i genetisti hanno elaborato un linguaggio specifico e utilizzano strumenti grafici che permettono di prevedere gli esiti degli incroci tra gli individui. L’insieme degli alleli che determinano un carattere è detto genotipo mentre le caratteristica osservabile che essi determinano è detta fenotipo. Se i due alleli del genotipo sono uguali si dice che l’individuo è omozigote per quel carattere, se invece sono diversi l’individuo è detto eterozigote. L’esempio dell’incrocio tra le varietà pure di Pisum sativum seme liscio – seme rugoso può essere schematizzato utilizzando il quadrato di Punnett ideato nel 1905 dall’omonimo genetista inglese (con la lettera L indichiamo l’allele seme liscio, con la lettera l ci riferiamo al’allele seme rugoso): L L l Ll Ll l Ll Ll Tabella 1 Quadrato di Punnett Tutte le piante della generazione F1 hanno genotipo eterozigote e fenotipo a seme liscio che è un allele dominante. Di seguito la schematizzazione dell’incrocio tra gli ibridi di prima generazione: L l L LL Ll l Ll ll Tabella 2 Genotipi della generazione F2 La tabella precedente mette in evidenza il rapporto 3:1 previsto da Mendel. In una seconda fase il botanico si occupò anche della trasmissione contemporanea di due caratteri diversi prendendo in considerazione il colore del seme (giallo o verde) e l’aspetto della buccia del seme (liscia o rugosa). Incrociò, dapprima, una varietà pura con semi gialli e lisci con una varietà pura con semi verdi e rugosi: ottenne nella generazione F1 piante che presentavano i due caratteri dominanti (giallo e liscio). Indicando con la coppia di lettere G/g, rispettivamente, gli alleli seme giallo – seme verde, la situazione si può rappresentare così: GL GL gl GgLl GgLl gl GgLl GgLl Tabella 3 Generazione F1 nata dall'incrocio di varietà pure giallo-liscio e verde-rugoso A questo punto procedette all’auto-impollinazione degli individui ibridi appartenenti alla generazione F1. Gli alleli dominanti L e G, entrambi presenti nell’ibrido di prima generazione, sarebbero finiti per forza insieme in uno stesso gamete? Oppure era possibile ottenere gameti che portavano una combinazione tra un allele dominante e uno recessivo (Gl oppure gL)? Naturalmente se i geni avessero conservato la relazione che avevano nella generazione parentale, gli individui F1 avrebbero prodotto due soli tipi di gameti (GL e gl) e la generazione F2, di conseguenza, avrebbe dovuto essere composta da piante con semi gialli e lisci e da piante con semi verdi e rugosi con un rapporto 3:1. Invece, furono osservati anche individui con semi gialli e rugosi e semi verdi e lisci: questo significava che i geni venivano trasmessi in modo indipendente ed erano possibili tutte le combinazioni tra gli alleli (LG, Lg, lG e lg). GL Gl gL gl GL GGLL GGLl GgLL GgLl Gl GGLl GGll GgLl GgLl gL GgLL Ggll ggLl ggLl gl GgLl Ggll ggLl ggll Tabella 4 Quadrato di Punnett della generazione F2 I quattro fenotipi (giallo-liscio, giallo-rugoso, verde-liscio, verde rugoso) si presentano nel rapporto 9:3:3:1. Dunque durante la formazione dei gameti, geni diversi segregano indipendentemente l’uno dall’altro! Un’interessante questione di calcolo combinatorio da sottoporre agli studenti potrebbe essere la seguente: Se si considerano simultaneamente tre caratteri (incrocio triibrido) quante caselle devo considerare per costruire il quadrato di Punnett relativo alla generazione F2? E se considero simultaneamente quattro caratteri (tetra ibridi)? Le leggi di Mendel Prima legge di Mendel (legge dell’uniformità degli ibridi di prima generazione) Negli ibridi F1 si esprime un solo tratto, quello dominante, che passa negli ibridi senza alcuna variazione. In termini più moderni, introducendo il concetto di gene, può essere espressa in questo modo: ogni carattere ereditato dipende dall’interazione di due alleli di un gene; di questi, uno è dominante rispetto all’altro ed è quello che si esprime nel fenotipo. Seconda legge di Mendel (legge della disgiunzione dei caratteri negli ibridi di seconda generazione) Negli ibridi F2 ricompare il tratto recessivo, manifesto nelle linee pure e non manifesto negli ibridi F1. In termini più moderni, questa legge può essere espressa in questo modo: quando si ha la formazione dei gameti, gli alleli si separano; ogni gamete riceve un solo allele. Terza legge di Mendel (legge della distribuzione indipendente) I caratteri vengono ereditati in modo indipendente l’uno dall’altro. Queste tre leggi costituiscono quella che può essere chiamata la teoria di Mendel, ma non hanno sicuramente validità generale. I sette caratteri di Pisum sativum utilizzati negli esperimenti di Mendel effettivamente segregavano indipendentemente, ma esperimenti successivi condotti su un altro organismo, la Drosophila melanogaster, hanno dimostrato che sebbene la maggior parte dei caratteri segreghino indipendentemente, alcuni sono tra loro in linkage, cioè legati, perché si trovano sufficientemente vicini sullo stesso cromosoma da non essere separati per effetto della ricombinazione. Il neomendelismo Il neomendelismo è lo studio dei fenomeni che modificano la trasmissione e la manifestazione dei caratteri ereditari rispetto alla schematica chiarezza delle leggi di Mendel. I caratteri scelti da Mendel per i suoi esperimenti erano diallelici (due alleli per ogni gene), segregavano indipendentemente e presentavano il fenomeno della dominanza. Se Mendel avesse scelto altri caratteri, avrebbe probabilmente trovato ed enunciato leggi diverse. La dominanza incompleta Se invece del colore dei piselli Mendel avesse studiato quello della Mirabilis jalapa, la bella di notte , la prima legge della genetica sarebbe stata la legge dell'eredità intermedia. In questo caso, infatti, gli eterozigoti hanno colore intermedio fra quelli degli omozigoti. Incrociando varietà pure rosse con varietà pure bianche si ottengono tutti individui con colore rosa; incrociando questi ultimi fra loro, si trova nella F2 un rapporto 1:2:1, cioè 25% rossi, 50% rosa, 25% bianchi. Conoscendo già il meccanismo, sappiamo che queste sono le proporzioni fra i due tipi di omozigoti e gli eterozigoti. Dal punto di vista del fenotipo dell'eterozigote, si può ritenere che ognuno dei due alleli vi contribuisca parzialmente, dando colore intermedio. Caratteri additivi Se Mendel avesse studiato il colore della pelle umana, della pelliccia del gatto o ancora il colore dell’iride umana, anziché quello dei piselli, avrebbe avuto molta difficoltà a formulare una legge semplice. Da molte ricerche successive appare che il colore della nostra pelle (oltre alle influenze ambientali, come l'esposizione al sole) presenta una variabilità continua, dovuta all’interazione di circa 9 geni diversi (polimeria). Nella variabilità discontinua (come nel caso della semplice alternativa tra giallo e verde) le leggi di Mendel trovano applicazione diretta, ma nella variabilità continua occorre un altro ragionamento di tipo statistico. Poliallelia Un carattere non è necessariamente diallelico. Se gli alleli alternativi per un singolo gene sono più di due, essi possono variamente interagire nei rispettivi eterozigoti. Un tale caso si troverà ad esempio per i tre alleli del gene relativo al gruppo sanguigno (A, B, 0), in cui gli omozigoti dei tre alleli hanno fenotipo rispettivo A, B e 0, ma negli eterozigoti A e B sono dominanti su 0, mentre nell'eterozigote AB si verifica il fenomeno della codominanza, in cui l’eterozigote manifesta il fenotipo di entrambi gli omozigoti. Naturalmente nel caso della poliallelia sarà più complessa la formulazione matematica ed il numero dei genotipi e dei fenotipi aumenterà. Un caso mendeliano nell’uomo: le malattie genetiche Oggi sappiamo che la specie umana può essere colpita da alcune migliaia di malattie genetiche. Per molte di esse il gene responsabile della malattia è localizzato nei cromosomi non sessuali (malattie autosomiche), altre invece hanno la loro origine nei cromosomi sessuali (malattie genetiche legate al sesso). Se l’allele responsabile della patologia è recessivo, la malattia si manifesta solo se l’individuo è omozigote. Gli eterozigoti, in questo caso, non presentano alcun sintomo e sono detti portatori sani. Esempi di malattie autosomiche recessive sono la fibrosi cistica, l’albinismo, l’anemia falciforme, ecc. Se, invece, l’allele responsabile della malattia è dominante, essa si manifesta in tutti gli individui che presentano tale allele nel loro genotipo. Non esistono i portatori sani! Un esempio di malattia autosomica dominante è la corea di Huntington. Tra le malattie genetiche recessive la cui origine è localizzata nel cromosoma X ricordiamo l’emofilia e il daltonismo. In questi casi si registra, naturalmente, una maggiore incidenza tra gli individui maschi. Un maschio può trasmettere la patologia soltanto alle figlie femmine e non si danno casi di maschi portatori sani.