LA CONCILIAZIONE SOCIETARIA – IPOTESI CONFLITTUALI OGGETTO DI POSSIBILE CONCILIAZIONE NELLE CONTROVERSIE TRA IMPRESE E NELLE VICENDE SOCIETARIE Relazione al Convegno del 23 ottobre 2008 Presso la Camera di Commercio di Modena Dott. Maurizio Bisi Commissione di studio Diritto societario Ordine Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili circoscrizione di Modena Lineamenti generali La conciliazione societaria rappresenta un importante passo avanti, nel nostro paese, verso il ricorso sistematico alla risoluzione alternativa delle controversie. Essa fa parte di un sistema unitario e alternativo a quello tradizionale di ricorso al Tribunale, la cui gestione del contenzioso è notoriamente in grave crisi. Le aziende che affrontano cause civili ordinarie devono sostenere spese elevate a fronte di tempi molto lunghi per ottenere la decisione finale, la sentenza, dai risultati spesso incerti. Con la conciliazione si instaura una procedura di “negoziazione assistita” in base alla quale un terzo neutrale (diverso dal magistrato), il conciliatore, favorisce la comunicazione tra i contendenti al fine di facilitare e promuovere la risoluzione consensuale del contenzioso tramite un accordo. La procedura di conciliazione consente così di ridurre la conflittualità tra le parti, aiutandole a trovare soluzioni innovative e favorendo l’eventuale prosecuzione dei rapporti tra queste anche dopo la lite, ciò difficilmente riscontrabile dopo una sentenza del Tribunale. La regolamentazione della conciliazione societaria si inserisce in una più ampia disciplina della risoluzione alternativa delle controversie (dette anche ADR-Alternative Dispute Resolution) basata, principalmente, su una consolidata pratica internazionale. Alcuni paesi hanno sviluppato oramai da decenni questo approccio alla soluzione delle controversie: negli Stati Uniti risale agli anni 70, in Australia e nel Regno Unito agli anni 80 e nei paesi europei di civil law agli anni 90. Proprio sulla spinta dei successi conseguiti dall’esperienza inglese anche l’Unione Europea ha stimolato alcuni interventi legislativi che regolamentassero e definissero le principali caratteristiche dei procedimenti di conciliazione stragiudiziale. Dopo le doverose premesse, entriamo nello specifico. La conciliazione, in via generale, si distingue in conciliazione “propria” e conciliazione “impropria”: la prima si caratterizza per il fatto che un terzo neutrale, “il conciliatore”, diverso dal giudice, favorisce la comunicazione e la negoziazione tra le parti in lite, al fine di promuovere la risoluzione consensuale tramite un accordo, la seconda definita “impropria” è tendenzialmente riconducibile al negozio tipico della transazione e la negoziazione ha luogo direttamente tra le parti in lite senza la presenza del terzo neutrale. La conciliazione “propria” è caratterizzata, pertanto, da quattro elementi: • presenza di un terzo soggetto neutrale e imparziale rispetto alle parti in contenzioso; • formazione del terzo quale esperto di tecniche di conciliazione; • mancanza di potere da parte del terzo di emettere decisioni vincolanti sulla controversia; - 1- • gestione della conciliazione secondo una procedura ben definita. Il modello procedimentale di riferimento deve essere potenzialmente in grado di massimizzare la probabilità che le parti in lite raggiungano un accordo. Esistono pertanto svariati modelli procedimentali i quali però si ispirano tutti ad un modello di riferimento che è basato essenzialmente su quattro fasi: 1) preparazione; 2) sessione iniziale congiunta; 3) negozio assistito (alternarsi di varie sessioni private); 4) chiusura. La conciliazione “propria” si distingue poi in conciliazione di diritto comune, applicabile a qualunque controversia in materia di diritti disponibili e conciliazione di diritto speciale che è invece disciplinata da altre leggi speciali. La conciliazione societaria è regolata dal D. Lgs n.5 del 17 febbraio 2003 “Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’art. 12 della Legge 3 ottobre 21 n.366” (artt. 38-40). La conciliazione societaria è un tipo di conciliazione propria di diritto speciale. Con questo provvedimento il legislatore ha introdotto per la prima volta in Italia una forma di conciliazione di stampo privatistico e quindi basata sui principi negoziali del consenso, essa, tuttavia, presenta caratteri di stampo pubblicistico, che garantiscono la correttezza e la funzionalità dei rapporti societari, imponendo alle parti, che intervengono nel procedimento conciliativo, un atteggiamento serio, responsabile, senza malafede o con propositi dilatori. Affinché il tentativo di conciliazione ricada nell’ambito societario è necessario che la procedura sia connotata da tre requisiti fondamentali che riguardano l’ambito applicativo, gli organismi di conciliazione e la volontà delle parti di volere adire al tentativo di conciliazione. Di seguito li riassumo: Ambito di applicazione: è costituito dalle materie di cui all’art. 1 del D. Lgs n.5/2003 richiamate dall’art. 38: - i rapporti societari, compresi quelli delle società di fatto, l’accertamento, la costituzione, la modifica, l’estinzione di un rapporto societario; - le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i liquidatori e i direttori generali delle società, anche cooperative e mutue assicuratrici, nonché contro il soggetto incaricato della revisione contabile; - il trasferimento delle partecipazioni sociali e ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti; - i patti parasociali, anche diversi da quelli di cui all’art. 2341 bis c.c. e accordi di collaborazione di cui all’ultimo comma dello stesso articolo; possono essere anche oggetto di conciliazione: - i rapporti in materia di intermediazione mobiliare; - le materie di cui al D. Lgs n.385/1993 (testo unico bancario), quando la relativa controversia sia promossa da una banca nei confronti di un’altra banca ovvero da o contro associazioni di consumatori o camere di commercio; - il credito per le opere pubbliche. Organismi di Conciliazione: la procedura di conciliazione, di cui si dirà più avanti, deve essere amministrata esclusivamente dagli organismi di conciliazione accreditati dal Ministero di Giustizia che potranno servirsi di conciliatori a loro volta accreditati; tali organismi adottano specifiche procedure conformi ai regolamenti ministeriali nn. 222 e 223 del 23 luglio 2004. - 2- Questi organismi sono di fatto responsabili dell’accertamento dei requisiti minimi dei conciliatori iscritti nelle proprie liste, devono applicare un regolamento che risponda ai criteri della procedura previsti dal decreto, oltre a tariffe conformi al decreto stesso. Sia gli enti pubblici che quelli privati, che sono deputati a gestire il tentativo di conciliazione delle controversie, debbono essere iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero di Giustizia e, per ottenere l’iscrizione, debbono fornire “garanzie di serietà ed efficienza”. Tali garanzie debbono essere verificate da un responsabile preposto a valutare la professionalità ed efficienza del richiedente (grado di autonomia, onorabilità di coloro che contribuiscono allo svolgimento dell’attività dell’organismo, trasparenza amministrativa e contabile dell’ente, indipendenza, imparzialità e riservatezza nell’esecuzione del servizio, il numero dei conciliatori e la sede dell’organismo di conciliazione). Gli organi di conciliazione costituiti, anche in forma associata, dalle C.C.I.A.A. sono iscritti su “semplice domanda”. Gli organismi di conciliazione accreditati devono comunicare i nominativi dei propri conciliatori che devono essere in possesso di requisiti minimi previsti dal regolamento. Il quarto comma dell’art. 4 del decreto n. 222/2004 prescrive i seguenti requisiti minimi di professionalità e di onorabilità dei conciliatori: • essere professori universitari in materie giuridiche o economiche; oppure, • essere iscritti ad albi professionali nelle medesime materie con anzianità di iscrizione di almeno quindici anni; oppure, • essere magistrati in quiescenza; oppure, • aver partecipato a corsi di formazione tenuti da enti pubblici o da enti privati accreditati, • non aver riportato condanne definitive per delitti non colposi o a pena detentiva, applicata su richiesta delle parti, non inferiore a sei mesi, • non essere incorsi nell’interdizione dai pubblici uffici perpetua o temporanea, • non essere stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza. E’ importante notare come tale previsione normativa si applichi anche alle Camere di Commercio. Il conciliatore è comunque tenuto a svolgere il proprio incarico in via personale, a garantire la riservatezza su quanto appreso in ragione dell’opera e a sottoscrivere una dichiarazione di imparzialità, garantita dal fatto che non può percepire compensi dalle parti. Volontà delle parti al tentativo di conciliazione: le parti devono avere sottoscritto una clausola contrattuale o statutaria che preveda il ricorso al tentativo di conciliazione prima di adire alla giustizia ordinaria o all’arbitrato. La carenza di anche uno solo di questi requisiti “declasserebbe” la conciliazione societaria di diritto speciale in conciliazione di diritto comune; quest’ultima ha valore solo contrattuale in quanto integra o sostituisce il precedente contratto su cui è sorta la lite e, per esempio, non costituisce titolo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, caratteristiche proprie della conciliazione societaria. Il procedimento di conciliazione Il procedimento (regolato dall’art. 40 del D. Lgs. n. 5/2003) ha inizio su istanza di entrambe le parti o anche di una sola di loro all’organismo di conciliazione indicato nella clausola contrattuale o statutaria o risultante dall’accordo, all’insorgere della lite; in mancanza di un’esplicita previsione, la parte che prende l’iniziativa può rivolgersi a uno qualsiasi degli organismi accreditati presso il Registro del Ministero di Giustizia (potrebbe anche rivolgersi a un organismo non accreditato, ma in questo caso non usufruirebbe dei benefici derivanti dalla normativa in esame). - 3- Nell’ipotesi in cui il procedimento non sia stato attivato congiuntamente, la parte che ha proposto l’istanza ha l’onere imprescindibile di avvertire la controparte. A questo punto si possono presentare diversi scenari: il primo è quello in cui una delle parti non aderisca al tentativo di conciliazione; il secondo si verifica quando le parti, pur partecipando al tentativo di conciliazione non riescono a raggiungere un accordo; il terzo e ultimo è quello in cui la conciliazione si conclude con successo. Nella prima ipotesi, la mancata presentazione del convenuto al tentativo di conciliazione rende impossibile il suo svolgimento e quindi, il conciliatore redigerà un verbale di mancata presentazione che potrà essere presentato dal giudice in un futuro giudizio da parte del richiedente; il giudice adito potrà valutare la mancata comparizione della parte nel momento in cui deciderà, a norma dell’articolo 96 del c.p.c., sulla ripartizione delle spese processuali. Quanto detto porta a una logica ed estrema conseguenza: la parte vittoriosa nel procedimento giudiziale potrebbe anche essere condannata a pagare le spese della parte soccombente perché si è rifiutata di partecipare al tentativo di conciliazione e quindi essere sanzionata per la sua mancanza di volontà nella ricerca di un tentativo amichevole di soluzione della controversia. Sembra evidente, a questo punto, il favore che il Legislatore rivolge a questo tipo di risoluzione delle controversie e il suo impegno nel cercare di convincere le parti a farne uso. Nella seconda ipotesi, considerando il mancato raggiungimento di un accordo, il conciliatore redige un verbale di fallita conciliazione che non avrà nessuna conseguenza sulla futura decisione del giudice. Solo se entrambe le parti sono concordi, il conciliatore formula una proposta rispetto alla quale ciascuna di loro indica la propria posizione (approccio valutativo); di tali posizioni il conciliatore darà atto in un apposito verbale di fallita conciliazione. Ed è solo in questo caso, di espressa richiesta di una valutazione al conciliatore, che il giudice adito potrà valutare le posizioni tenute dalle parti nel corso del procedimento di conciliazione, anche ai fini della decisione sulle spese processuali ai sensi dell’articolo 96 del c.p.c.. L’ultima ipotesi da prendere in considerazione si verifica in caso di esito positivo della conciliazione; in ossequio all’ultimo comma dell’articolo 40, il conciliatore, in tale caso, redige separato processo verbale che è sottoscritto dalle parti e dal conciliatore. L’articolo 40, ultimo comma, sancisce che il processo verbale possa, in seguito alla richiesta di una parte, essere presentato al Presidente del Tribunale il quale, una volta accertata la regolarità formale dell’atto, procede alla sua omologazione. Una delle differenze fondamentali tra la conciliazione di diritto comune e quella prevista per le società (di diritto speciale) risiede proprio nel valore che si attribuisce all’accordo che le parti sottoscrivono per porre fine alla lite. Mentre nella conciliazione di diritto comune l’accordo ha esclusivamente valore contrattuale, nella conciliazione societaria, il verbale di conciliazione, se omologato, costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Il Presidente del Tribunale, prima di effettuare l’omologazione, accerta che sussistano i tre presupposti fondamentali della conciliazione societaria: ambito di applicazione, organismo di conciliazione accreditato e clausola o accordo tra le parti. La scelta di questo tipo di disciplina risiede sicuramente nella volontà del Legislatore di conferire all’istituto una maggiore attrattiva e una migliore efficacia come metodo di risoluzione delle controversie. Esistono pure alcuni incentivi fiscali che riguardanti l’esenzione dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura di tutti i documenti e provvedimenti relativi alla conciliazione. Inoltre, il verbale di conciliazione è esente dall’imposta di registro entro il limite di - 4- 25.000 euro, da calcolarsi sulla base del verbale di conciliazione e non della domanda o delle domande formulate dalle parti. La clausola di conciliazione L’art.40, co. 6, stabilisce che, qualora il contratto o lo statuto della società prevedano una clausola di conciliazione ed il tentativo di conciliazione in essa indicato non si sia svolto, il giudice, su richiesta di una parte, disponga la sospensione del procedimento, fissando un termine per il deposito dell’istanza di conciliazione. E’ possibile considerare questa ipotesi come una forma di conciliazione, lato sensu, obbligatoria. Ciò detto, però, occorre rilevare la natura convenzionale di tale obbligatorietà (perché pattuita dalle parti, seppure in un momento precedente alla nascita della controversia). Essa appare dunque come una manifestazione della volontà delle parti di volere adire ad una soluzione alternativa delle controversie sorte. Il vero valore di una clausola di conciliazione inserita, per esempio, in uno statuto, si concreta più sul piano dei comportamenti delle parti che non sotto l’aspetto formale. Proporre l’incontro di conciliazione è spesso vissuto dalla parte che riceve l’invito come un segno, secondo i casi, di debolezza o di aggressione proveniente dall’altra parte. La previsione, invece, di un reciproco impegno a partecipare ad un incontro di conciliazione già concordato prima dell’insorgenza della lite, potrebbe pertanto risultare un’efficace soluzione per evitare il rischio di rifiuto che caratterizza la scelta partecipativa iniziale. In questa prospettiva, l’inserimento di una clausola di conciliazione appare, dunque, una scelta percorribile senza particolari rischi e con tutti i vantaggi offerti dall’utilizzo dello strumento. Si riporta di seguito un esempio di clausola di conciliazione che è possibile inserire negli statuti di società: CLAUSOLA CONCILIATIVA “Tutte le controversie che dovessero insorgere tra i soci, ovvero tra i soci e la società, ovvero promosse da o nei confronti di amministratori, liquidatori o sindaci, in relazione all’esistenza, validità, interpretazione, inadempimento e/o risoluzione del presente statuto, o comunque collegate allo stesso e/o più in generale, all’esercizio dell’attività sociale, comprese quelle relative alla validità delle delibere assembleari, saranno devolute ad un tentativo di conciliazione da espletarsi secondo la procedura di conciliazione definita nel Regolamento di Conciliazione de________________________, con sede legale in ____________via ___________________n. ____. Le parti si impegnano a ricorrere alla conciliazione prima di iniziare qualsiasi procedimento arbitrale o giudiziale, richiamando esplicitamente gli effetti e le conseguenze di cui al comma 6 dell’art.40 del D.Lgs n. 5/2003. Il tentativo di conciliazione dovrà essere esperito in base agli artt. 38-40 del D.Lgs n. 5/2003 e, per quanto con esso non contrastante, dal suddetto Regolamento di Conciliazione che le parti dichiarano di conoscere ed accettare integralmente”. (FACOLTATIVO) “Nell’ipotesi di mancato accordo, ovvero di rifiuto espresso del suddetto tentativo di conciliazione, o comunque dopo 30 giorni dalla data di deposito della domanda di conciliazione rimasta senza riscontro, si considera concluso il procedimento di conciliazione e la controversia sarà devoluta a decisione arbitrale secondo il Regolamento di Arbitrato di ___________________________, che le parti dichiarano di conoscere ed accettare integralmente. Il procedimento, rituale e di diritto, sarà regolato dagli articoli da 34 a 37 del D.Lgs n. 5/2003 e, per quanto non contrastante con esso, dal suddetto Regolamento, conosciuto ed accettato dalle parti.” (FACOLTATIVO) “La sede della procedura sarà ____________________e la stessa si terrà in lingua___________” - 5- Contenzioso in ambito societario risolvibile mediante la conciliazione Il commercialista ha occasione di riscontrare, nell’ambito della propria attività professionale, innumerevoli casi di dissidi tra soci e, spesso e volentieri, anche alla irreversibile rottura del loro rapporto. E’ proprio nei rapporti societari che la conciliazione trova il suo ambiente ideale, essa infatti permette di trovare soluzioni ai contenziosi e, in molti casi, assicura la prosecuzione e la conservazione del rapporto tra le parti, garantendo la continuità dell’impresa, evitando l’extrema ratio dello scioglimento della società. Anche quando è impossibile continuare il rapporto tra i soci, la conciliazione può essere la soluzione più efficace e congeniale per consentire l’uscita dalla società di uno dei soci, in modo non traumatico e a condizioni ritenute accettabili da parte di tutti gli interessati. Cerchiamo di immaginare, allora, nell’ambito dei rapporti societari, alcuni esempi di situazioni in cui la presenza di una clausola di conciliazione in statuto possa offrire la possibilità di risolvere uno stato di crisi. Un caso particolarmente critico del rapporto tra soci è quando si verifica uno stallo decisionale degli organi sociali. Un caso classico, ma non solo di scuola, può essere quello di una società di capitali composta da due soci che detengono, ciascuno, il 50% del capitale sociale e dei diritti di voto. In questa situazione, che è sempre meglio evitare a scopi preventivi, un contrasto tra i due soci, può facilmente degenerare in una prova di forza, che porta all’impossibilità di funzionamento dell’assemblea, risolvibile con lo scioglimento della società. La conciliazione può consentire di trovare una soluzione che permetta ai due soci la prosecuzione del rapporto sociale. Anche l’ipotesi di contrasto tra il gruppo di controllo della società, che detiene la maggioranza del capitale, e i soci di minoranza, può essere utilmente risolto ricorrendo alla procedura di conciliazione. Si pensi al tentativo, ahimè non del tutto infrequente, volto a ridurre sempre di più il peso dei soci di minoranza mediante ripetuti aumenti del capitale sociale a cui corrispondono altrettante richieste di versamenti in denaro da parte dei soci. Un aspetto molto delicato e fortemente vissuto dal nostro tessuto imprenditoriale è il momento del passaggio generazionale dell’impresa a base familiare. La clausola di conciliazione può consentire una gestione efficace anche dei dissidi sorti all’interno delle famiglie. Purtroppo vige la cattiva abitudine secondo la quale viene affrontato il problema del passaggio generazionale nelle imprese, solo al momento della morte del fondatore, che si è comportato di fatto come unico titolare dell’impresa, generando così una situazione potenzialmente pericolosa per i contrasti che possono derivare dalla divisione dell’asse ereditario comprendente l’azienda tra i successori. Un’altra ipotesi in cui il ricorso alla conciliazione può consentire di risolvere il problema in modo più efficace è il recesso del socio. In questi ultimi tempi, anche alla luce della recente riforma del diritto societario, si stanno verificando sempre con maggiore frequenza liti tra soci in ordine alla liquidazione della quota al socio recedente, che deve avvenire sulla base del valore effettivo della società. E’ facilmente comprensibile che quando ci si trova di fronte al recesso di un socio, la situazione sia molto problematica sia per il socio recedente, sia per gli altri soci, sia per la società stessa e, anche ricorrendo alle più raffinate tecniche di conciliazione, recuperare un rapporto oramai irrimediabilmente compromesso sia quasi impossibile. E’ però molto importante condividere una modalità di uscita dalla società che risulti accettabile sia da parte del socio recedente, sia da parte degli altri soci e della società stessa. - 6- Non dobbiamo dimenticare che il recesso di un socio, anche se titolare di una partecipazione di minoranza, e la relativa liquidazione della sua quota, può mettere in crisi la società fino a portarla al suo scioglimento. Tale esito, normalmente, non corrisponde neppure alle aspettative del socio receduto, che deve aspettare il termine della procedura di liquidazione della società prima di ottenere la liquidazione della quota e, magari, ricevere anche una somma inferiore a quella che avrebbe potuto incassare dalla società che prosegue l’attività. La conciliazione si presta dunque a trovare un accordo tra le parti che consente al socio recedente di ottenere il controvalore della sua quota, e alla società di fare fronte a questa situazione straordinaria senza entrare in crisi. Un altro caso esemplificativo di utile ricorso alla conciliazione societaria potrebbe essere quello previsto dall’articolo 2393 bis, comma 6 del c.c., secondo il quale è possibile rinunciare o transigere l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori da parte dei soci che l’hanno promossa, in tale ipotesi la norma stabilisce che il corrispettivo della rinuncia o transazione deve andare a vantaggio della società. E’ ovvio che la determinazione del corrispettivo sarà oggetto di negoziazione fra le parti, e, quindi, in caso di difficoltà nel raggiungimento di un accordo, potrebbe intervenire con sicuro successo la conciliazione societaria. La conciliazione potrebbe essere una soluzione utile in casi di violazione dei patti parasociali (sindacati di voto o di blocco), patti di consultazione (impegno a discutere le materie oggetto di voto in una prossima assemblea), patti di finanziamento alla società (impegno dei soci a effettuare finanziamenti alla Società). In caso di violazione di questi patti, che hanno efficacia obbligatoria tra le parti che vi aderiscono, la conciliazione può aiutare sia nell’identificazione del risarcimento dovuto a causa dell’inadempimento del patto, sia a trovare rimedi per una prosecuzione futura. Da queste poche esemplificazioni e, sulla base della mia esperienza personale, ritengo che sia opportuno che negli statuti e nei patti sociali vengano inserite clausole che prevedano l’esperimento di un tentativo di conciliazione, prima di rivolgersi al giudice ordinario oppure ricorrere alla nomina di un arbitro. A tutt’oggi però le clausole di conciliazione inserite negli statuti sono molto rare. E’ difficile trovare uno statuto che già contenga una clausola di conciliazione, mentre le clausole arbitrali hanno ormai raggiunto una notevolissima diffusione. Sta pertanto al consulente di impresa informare i propri clienti di queste opportunità e dei suoi innegabili pregi. Il disegno di legge collegato alla Finanziaria 2009, che prevede un consistente pacchetto di misure sul fronte della giustizia, in buona parte dedicato ai tempi della giustizia civile, contiene inoltre una delega al governo in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali al fine di rilanciare le soluzioni stragiudiziali delle controversie; da segnalare il dovere dell’avvocato di informare il cliente prima della instaurazione del giudizio della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione. Segno che i tempi stanno cambiando. - 7-