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Caro Federico, ho dato una prima lettura rapida alla documentazione che mi hai mandato. Mamma
mia com’è interessante. Tra l'altro è scritta in maniera molto chiara e scorrevole: si capisce tutto a
meraviglia! Rispetto al lavoro su "Politiche economiche per la famiglia" che poi riprende,
ampliandoli, i due altri lavori che mi hai mandato, ti mando alcune osservazioni iniziali.
La prima riguarda il paragrafo Politiche per la natalità e la partecipazione femminile al mercato del
lavoro. L'elencazione dei possibili interventi a mio parere dovrebbe includere anche le azioni
positive previste dalla L. 125/91 che sostengono il passaggio dalla parità formale a quella
sostanziale sul mercato del lavoro tra uomini e donne oltre che favorire l'occupazione femminile.
Tra queste, di interesse sono sia quelle volontarie, che riguardano il settore privato, sia quelle
obbligatorie, che interessano il settore pubblico. Le prime, molto brevemente, consentono la
presentazione da parte delle imprese di progetti di azioni positive che è incentivata mediante la
previsione del rimborso totale o parziale degli oneri finanziari connessi alla loro attuazione. La
stessa cosa vale per gli enti pubblici, ma per loro è obbligatorio.
L’aspetto a mio parere è di grande criticità, perché questo importante strumento è scarsamente
utilizzato nel settore privato in generale e tanto più per le politiche di conciliazione o sostegno alla
famiglia. Da un’analisi che svolsi qualche tempo fa su un campione di aziende in provincia di Pavia
emerge addirittura che in generale le aziende non sono a conoscenza di tale opportunità
sottolineando forse la necessità della diffusione della cultura di PO e della tutela della famiglia
anche in azienda. E allora la conciliazione o fasi particolari della vita delle donne, come la
maternità, sono considerate come un problema (in parte è vero, come dare loro torto soprattutto se
sono aziende di piccole dimensioni o se si tratta di una donna dirigente o titolare di impresa) e
affrontato o caricando ulteriormente di lavoro le donne che restano o attraverso contratti atipici e
flessibilità. Personalmente mi chiedo se non possano essere introdotte, anche grazie alle azioni
positive, soluzioni diverse, innovative e più efficaci e non si fa fatica ad immaginarne qualcuna.
Il mio interrogativo, più in generale è: di fronte ad una insufficienza della politica pubblica e alle
reti di sostegno familiare che spesso sono insufficienti, può o deve il settore privato avere un ruolo?
D’altro canto molti dei problemi partono proprio da li. Questo è un punto che mi stimola molto e su
cui vorrei lavorare di più.
La seconda riflessione riguarda i nonni (se penso alla mia famiglia aggiungerei anche la zia
rispetto a mia nipote, ovvero forse parlerei più in generale di famiglia allargata pur non negando
l’importante ruolo che hanno i nonno anche dal punto di vista educativo). Su questo punto, un
ambito di approfondimento è sicuramente quello legato al trasferimento (per motivi di lavoro) del
nucleo familiare dal luogo di origine della famiglia. Si tratta di un fenomeno sempre più frequente
(in tal senso avevo letto un bel lavoro e se lo ritrovo te lo segnalo) che indebolisce questa forma di
solidarietà sociale. Nelle mia attività di volontariato sto però osservando un fenomeno
interessantissimo che però non so se è solo pavese. Le giovani coppie si sono trasferite per lo più
nei paesi limitrofi a Pavia dove gli appartamenti sono veramente costosi e in questi nuclei abitativi
generalmente di nuova realizzazione si instaurano reti di solidarietà sociale efficientissime tra le
famiglie. Dovresti vedere cosa succede se qualcuno si ammala è un’esplosione di umanità che nella
vita normale sembra essere celata da non so quale vincolo e che ti riempie il cuore.
Che stiano nascendo altre forme di reti? Sarebbe bello poter indagare magari insieme ad altri saperi
disciplinari.
Per il momento è tutto, se mi viene in mente altro ti riscrivo.
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