NOTAZIONI PSICOLOGICHE SULL’ IMMAGINE BAR CA
Si tende a credere che la verità sia generata dalla vista: “Tomaso non ci crede se non ci mette il naso”.
Ogni persona ha messo insieme delle immagini in cui è stata parte attiva: le ha create e raccolte dal mondo
della percezione, a volte con grande spavento a volte con profondo piacere (A. Ferruta: Pensare per
immagini, ed. Borla, 2005, pp. 108). Il carattere durevole dell’immagine è costituito dalla sua “bellezza”: un
luogo di scambio fra pensieri e parole. A volte questo scambio rispetto, per es., all’immagine barca è mediato anche dal nome che le viene dato o che conserva: oggetti inerti che così si animano , si mettono in
movimento.
L’immagine visiva di una barca, di un’isola o di un sito (baia, fondale…) riesce a sopravvivere nella mente di
una persona come prima forma di pensabilità. Magari per averla vista, vissuta, ascoltata o interiorizzata da
un film, da un libro (R.L. Stevenson: Il mio letto è una nave, ed. Feltrinelli, 1997, poesie) perché dotato di
bellezza cioè di un carattere che le conferisce forma in grado di abitare il mondo della mente con una sua
autonomia.L’immagine di qualcosa (il letto) che risponde alle esigenze di individuazione personale: un
modo per non perdersi, un modo per salvarsi, separarsi, andare, viaggiare.
Scrive V. Woolf dei marinai nei romanzi di J. Conrad ma anche, si può aggiungere, di quelli di Victor Hugo (I
lavoratori del mare, ed. Paoline, 1978): “Erano dei marinai abituati alla solitudine e al silenzio, in conflitto
con la natura e in pace con gli uomini”. C’era la lotta col mare e le sue creature reali divenute simboli delle
insondabili profondità interiori tra il bene e il male, il sapere e il mistero: che si chiamassero Achab con gli
occhi fissi, dal ponte della baleniera Pequod, sulla scia invisibile di Moby Dick o Nemo, in fondo al mare,
comandante-scienziato nel ventre metallico del Nautilus. “Sulla spiaggia di mondi senza fine, i bambini
giocano” scriveva R.Tagore.
Se pensiamo agli scritti di J. Slocum, B. Moitessier, E. Tabarly ma anche al mitico R. Crusoe e alla sua
isola, questa autonomia è presente. Trascende le persone: molte dicono che tale passione li ha presi da
piccoli…, che non se ne sono rese conto se non per quel tanto che la bellezza dell’immagine (barca,
isola,mare,fondale) le ha afferrate come un elemento autorganizzatore e che quindi si svincola dalla
persona stessa che lo produce e lo vive e dal confronto con la realtà psichica condivisa con gli altri e che si
consente di sopravvivere per forza propria. E’ la barca che si fa”sentire”, che ha un’”anima”, che …Oppure
perché “il mare è là”…
Era stato A. Pigafetta, imbarcatosi con Magellano per il giro del mondo – col suo racconto – a fondare un
nuovo genere: il giornale di bordo e il “reportage” di esplorazioni. Un misto di mitologia e scienza. Il
vicentino riportò il mito, fra altri, delle donne che restavano in cinta per effetto del vento, delle donne di
Malua (l’odierna Alof) che avevano le orecchie più grandi di tutto il corpo. O, ancora, quando lo stesso
riporta lo stupore degli indigeni nel pensare che le navi generassero battelli o canotti quando messi in
acqua dai marinai. O come quelli di Verzin (Brasile) che avvicinandosi ai fianchi delle navi credevano che
queste dessero loro latte (A.P.I.: E c’è di mezzo il mare, ed. F. Cesati, 2002, pp. 440, vol. I°).
In questo modo di “vedere”, l’immagine possiede una sua autonomia di esistenza, che ne fa un luogo di
scambio, uno smistatore di pensieri e parole che si “appoggiano” all’immagine per sviluppare nuovi
percorsi: parlar di barche, di ancoraggi, di dotazioni tecnologiche di bordo, di navigazioni riuscite, come
negli Zafarranchos di Tavola della Fratellanza della Costa. Tenendo conto che le immagini, le figure non si
possono ridurre in parole, rimane sempre uno scarto, una differenza: vi è autonomia fra “discorso e figura”.
Queste configurazioni, qui privilegiatamente nautiche, sono presenti nei film, anche nei sogni ad occhi
aperti, indipendentemente dal contenuto e dalla trama narrativa. Svolgono la funzione di strutture mitiche,
cioè di rappresentazioni tipiche ed efficaci di condizioni emotive, anche critiche, a cui si ricorre come prima
forma di rappresentazione, appunto ,figurata. Ne sono esempi: l’imbarco di Ismaele, “incipit” di Moby Dick,
la fuga nell’isolamento di R. Crusoe, il continuare il giro del mondo di B. Moitessier, l’ essere , ancora, come
Pinocchio, di legno… In questo senso Crusoe, Moitessier, Tabarly, Pinocchio ci hanno fatto sognare,
evitare… Le immagini senza discorso perdono di senso ma è anche vero che le immagini non possono
essere ridotte a parole(D.Chianese-A.Fontana: Immaginando. Ed. F.Angeli, 2010,pp.237). Semplicemente
non sono parole. Fanno venire alla luce mondi diversi da quelli che emergono dalle parole. Sognare una
barca è un’”esperienza visiva”, “un’esperienza estetica” solo in parte riducibile a discorso.
Sappiamo quanto la pensabilità sia costata a Moitessier nel far “uscire” i suoi ultimi libri, e come quelli di
Tabarly, il taciturno, siano tutti “suoi” ma mediati dalle “Redazioni” editoriali. La funzione di pensabilità
nasce proprio dalla sua qualità estetica (il Pen Duick, per es.) che le permette di apparire al’orizzonte della
mente come le barche dei primi grandi navigatori a vela. J. Slocum si “aggrappa” allo Spray e con esso si
“isola” restando legato però al vaticinio -scritto nell’ex ergo del suo libro- come un legame relazionale con
un’umanità fiduciosa, quello della ragazzina che disse: “Lo Spray tornerà”. E fu il I° giro del mondo a vela, in
solitario !
Questi due verbi “aggrapparsi” e “isolarsi” sono un modo di essere universale fra una persona e l’oggetto:
barca, ma, simbolicamente, anche altro. Un altro corpo: vivendo in barca non si “pensa” che si potrebbe
vivere in un altro corpo, sostitutivo… Dunque “aggrapparsi” ad un appoggio e spaziare nel vuoto (mare),
“isolarsi” dal contatto con il proprio psiche-soma (mente-corpo) ed avventurarsi su una barca verso il non
conosciuto, per incontrare l’altro, che è la parte di se stessi che si vorrebbe ri-conoscere (O. Pamuk: Il
castello bianco, ed. Einaudi, 2006, pp. 176). Stabilità e movimento, identità e alterità.
Sono state stampate più di 700 edizioni del libro di D. Defoe: Robinson Crusoe. La sua diffusione viene solo
dopo la Bibbia e i drammi di W. Shakespeare. Il mito di Robinson può essere considerato come la ricerca
dell’isola del “sentire integro” (A. Ferruta, op. cit.) nella quale non c’è nessun essere umano che depositi
l’impronta delle sue emozioni nella dimensione psichica della persona, per traslato, della nostra barca.
Quanto è difficile non segnare “precocemente”la nostra impronta di “Venerdì” sul terreno della psiche di
chi incontriamo, anche nella Fratellanza !
E che dire del film “Cast away”(2000, di R. Zemeckis) in cui è raccontato il mito dell’isolarsi come difesa
dalla perdita del senso del reale: abolire gli altri esseri umani per recuperare le proprie sensazioni e cercare
di riconoscersi “parlando” -come fa il protagonista- con “Wilson” ? Il problema è: come stare isolato senza
tuttavia essere distaccato (D. Winnicot: Comunicare e non comunicare: studi su alcuni opposti. 1963).
Anche i Sub hanno le loro “isole”, sommerse, a leggere G. Lo Verso (Dentro il mare, il mare dentro, ed.
Magenes, 2008, pp. 164,ill) dove è rappresentabile questa ricerca del “sentimento integro”. Come nei film
di: KUROSAWA: Dersu Uzala (1975), SPIELBERG: E.T. (1981) e Amistad (1997).
C’è il rischio che qualche “ritiro”, narcisistico, porti alla persona “evitante” anche un deterioramento
cognitivo-percettivo (detto volgarmente: rinco…”). Quando si creano buone occasioni ambientali, spesso,
tali persone non le vedono o non le sentono.
Il pensare per immagini (le riviste fanno “sempre” questo) è una forma di pensiero della mente
primitiva (guardare le figure) utilizzata per rappresentare proto-emozioni che vadano alla ricerca di
pensabilità, dunque. Tali configurazioni sembra abbiano un carattere di relativa universalità. Possono
essere esemplificate come “aggrapparsi” (che non è riempirsi di grappa !) e “isolarsi” (inteso come “portare
la massa-cerebrale- a terra”!) e dove la barca come mare dell’immagine passa al mare della parola che la
descrive, la magnifica, la stima in altre parole la passa al mare della cultura.
“Cogito ergo rum, per tutti !”
H.M. P 28 Lgt. in Tavola di Castel Lova, l’altra di Chioggia