Istituto comprensivo
SCUOLA- CITTÀ PESTALOZZI
Scuola sperimentale statale
D.M. 10.03.06 - ex art. 11 D.P.R. n. 275/1999
Scuola Laboratorio - Centro Risorse per la formazione docenti
CONOSCENZA DI FORME TEATRALI
E CENNI DI STORIA DEL TEATRO
Riferimenti culturali
PARTE PRIMA
SPAZI, TEMPI E FORME
Nel teatro il concetto di spazio ha almeno due significati: il primo è lo spazio fisico, il luogo della
rappresentazione, il secondo è lo spazio dell'immaginazione.
Il luogo teatrale, spazio 'concreto' dell'azione scenica, può identificarsi con un teatro o una qualsiasi altra
struttura adatta a ospitare una rappresentazione (nel caso del teatro di strada, al contrario, sono attori e
pubblico ad adattarsi ad una struttura destinata ad altri scopi).
All'interno del luogo teatrale può essere delimitato lo spazio scenico, ovvero il perimetro della
rappresentazione vera e propria, affidata agli attori.
Lo spazio rappresentato, inesistente fino a un momento prima dell'inizio della rappresentazione, è il luogo
mentale che viene evocato, grazie all'immaginazione dello spettatore e alla maestrìa dell'artista che ne
crea i confini, con la possibilità, durante la performance, di variarne continuamente le dimensioni e la
forma (si pensi, a questo proposito, allo spazio creato dal gesto del mimo).
A volte, lo spazio rappresentato può coincidere con il luogo teatrale. È il caso di performances in cui gli
attori, rappresentando se stessi, compiono azioni teatrali in un luogo che coincide con il luogo reale in cui
essi potrebbero agire quotidianamente.
TEMPI TEATRALI
L'elemento temporale, in una rappresentazione teatrale, è ciò che ne determina più di ogni altra cosa
le caratteristiche di alterità rispetto all'esperienza quotidiana.
Dalla ideazione, attraverso il tempo dedicato alle prove, fino alla rappresentazione, i 'tempi teatrali'
prendono il sopravvento sul tempo individuale, coinvolgendo alla fine all'interno di coordinate extraquotidiane anche il pubblico, che tornerà al proprio tempo abituale al calare del sipario.
Lo studio del tempo è parte integrante e fondamentale dello studio dell'attore teatrale: evidente nel
caso di una battuta comica, la precisione di tempo e ritmo nella parola e nell'azione determina la
riuscita di una scena, e spesso dell'intera rappresentazione. Questo è particolarmente determinante
in ogni azione performativa che si svolga dal vivo, in cui il riscontro del pubblico è immediato: lo
spettatore stesso concorre a determinare il tempo comune dell'evento teatrale, di per sé irripetibile,
anche durante le repliche di uno stesso spettacolo.
La durata della rappresentazione come evento, nella storia del teatro, fu definita in ogni epoca con
modalità differenti.
Nel teatro greco, il tempo della rappresentazione coincideva con la durata di una intera giornata,
spesso coincidente con il tempo rappresentato nel testo (vedi l'esempio della tetralogia dell'Orestea
di Eschilo, che si apre all'alba concludendosi con il calare del giorno).
Nel teatro medioevale, si estese fino a comprendere, in alcuni misteri, anche 25 giorni consecutivi.
Nel teatro colto del Cinquecento si arrivò alla divisione in tre atti, fino ad arrivare ai giorni nostri ai
tradizionali due tempi con intervallo, rispettati nella maggior parte delle produzioni teatrali.
Sperimentazioni, nel senso della sintesi estrema o al contrario della dilatazione, sono state eseguite
da molti artisti e registi del Novecento. Un esempio di sperimentazione delle possibili variazioni
temporali nell'evento teatrale sono gli spettacoli itineranti, nei quali lo spettatore ha la possibilità di
fruire della rappresentazione da un punto non necessariamente coincidente con l'inizio, e ripetere la
visione per il tempo desiderato.
Il tempo narrato sulla scena, necessariamente 'al presente' anche quando si riferisca ad eventi
passati, è il frutto di una convenzione che intuitivamente si stabilisce tra i due protagonisti dell'evento:
l'artista e lo spettatore. Entrambi, sospendendo le regole che governano le rispettive esistenze, si
prestano ad una sorta di gioco, spendendo le proprie energie nel costruire il rapporto che si genera.
Nella convenzione teatrale, spesso allo spettatore è affidato il compito di ricomporre
cronologicamente i fatti che gli vengono presentati in una successione non sempre consequenziale.
Nell'Edipo Re di Sofocle, ad esempio, la storia inizia quasi dalla fine, nel giorno in cui Edipo, al
termine della sua avventura, vedrà palesarsi il suo destino tragico. In questo caso, l'intervento dei
messaggeri e del coro fornisce gli elementi necessari alla ricostruzione degli eventi. Nella tragedia
greca il coro era essenziale, per spiegare gli antefatti. In epoca rinascimentale, ad Aristotele vennero
attribuite le cosiddette tre unità, di azione, luogo e tempo.
Il teatro elisabettiano e spagnolo prima, e più radicalmente il teatro contemporaneo, hanno
mescolato e rivoluzionato non solo i generi, ma anche le convenzioni relative al tempo rappresentato.
Con Brecht, l'uso epico del tempo teatrale (definito nella modalità di un racconto distaccato di
avvenimenti lontani, anche quando il personaggio parla in prima persona) concorre all'effetto di
straniamento perseguito dall'autore, in Beckett la durata è determinata dal tempo del pensiero nonlogico, un tempo interiore contraddittorio, che rappresenta il dramma dei personaggi con l'utilizzo di
un linguaggio e di azioni apparentemente innocenti.
In Ionesco la definizione di tempi e silenzi è una precisa indicazione narrativa:
«Altro silenzio. La pendola suona sette volte. Silenzio. La pendola suona tre volte. Silenzio. La
pendola non suona affatto.»
(da La cantatrice calva)
FORME DI TEATRO
MIMO:
è una rappresentazione di azioni, caratteri e personaggi che si serve solamente della gestualità.
TRAGEDIA:
è un dramma di intento serio e di significato in genere elevato (vedi tragedia greca) in cui un personaggio
eroico affronta gli eventi o le conseguenze delle sue azioni, e generalmente si conclude con la morte dei
protagonisti o con la descrizione della loro pena.
COMMEDIA:
di solito a lieto fine, la commedia ha temi leggeri, si occupa di problemi quotidiani e mette a nudo le
debolezze dei suoi personaggi. La risata è il segno più forte di complicità tra spettatore e attore.
FARSA:
è un genere di opera teatrale la cui struttura e trama sono basate su situazioni e personaggi
stravaganti, anche se in generale viene mantenuto un certo realismo. Si distingue nel mostrare
eventi, storie e atmosfere quotidiane, ma declinate in modo grottesco e nei loro aspetti irrazionali. I
temi e i personaggi possono essere di fantasia, però devono risultare credibili e verosimili. Anche se
la farsa è prevalentemente comica, sono state scritte farse in tutti gli stili teatrali. La parola deriva dal
vocabolo latino farcire, per l'abitudine di impiegare le farse come brevi interludi 'riempitivi' tra due
drammi seri.
“La farsa è l'essenza del teatro. La farsa raffinata diventa alta commedia: la farsa brutalizzata diventa
tragedia. Ma la farsa è fondata sulle radici di tutti i drammi”.
Edward Gordon Craig
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SACRA RAPPRESENTAZIONE:
la sacra rappresentazione è un genere teatrale di argomento religioso. In Italia si sviluppò nel XV
secolo, in Toscana. Con questo termine si intende la narrazione di un "fatto religioso" compiuta in
maniera più articolata rispetto alla semplice lettura o declamazione di un testo.
TEATRO DI STRADA: i giullari e cantastorie medievali.
Il termine giullare deriva dal provenzale jonglar a sua volta derivante dal lemma latino iocularis e
designa tutti quegli artisti che, tra la fine della tarda antichità e l'avvento dell'età moderna, si
guadagnavano da vivere esibendosi davanti ad un pubblico: attori, mimi, musicisti, ciarlatani,
ammaestratori di animali, ballerini, acrobati.
Nel Duecento e nel Trecento i giullari, uomini di media cultura, che vivevano alla giornata facendo i
cantastorie, i buffoni e i giocolieri per le corti o per le piazze, divennero il maggior elemento di unione
tra la letteratura colta e quella popolare.
Costoro erano guardati con sospetto dalla Chiesa che ne condannava il modello di vita e i canti
obscaena et turpia.
I giullari, considerati i primi veri professionisti delle lettere perché vivevano della loro arte, ebbero una
funzione molto importante nella diffusione di notizie, idee, forme di spettacolo e di intrattenimento
vario.
Diceva Teodorico il Grande in una lettera a Papa Simmaco (498 - 514), a proposito di uno di questi
attori: “Con un solo corpo rappresenta Ercole e Venere, fa la parte dell’uomo e della donna, del re e
del soldato, del vecchio e del giovane, al punto che crederesti di essere in presenza di una quantità
di gente, ed è uno solo!”
A Firenze i cantastorie recitavano davanti alla chiesa di San Martino vescovo, in piazza di San
Martino (doc. del 1425)
GRAMMELOT:
Si tratta di uno strumento organizzato su un tipo di recitazione onomatopeico, ossia usando suoni
privi di significato, che richiamino però le sonorità di una lingua o di un dialetto riconoscibile, e
riuscire, quindi, a comunicare attraverso suoni che non sono parole stabilite e convenzionali. Questo
modo di recitare, fu tipico dei giullari medievali e delle compagnie di teatro itineranti, che così
riuscivano a sortire effetti comici pur non parlando la lingua del pubblico davanti a cui si trovavano. I
giullari recitavano usando un intreccio di dialetti diversi e parole inventate, onomatopee e una
generosa dose di mimica. Riuscivano a rendere un discorso comprensibile a prescindere dalla lingua
dell'uditorio, aggiungendo effetti comici dovuti anche allo spaesamento linguistico e al richiamo di
lingue e nazionalità straniere, che rendevano la recitazione immediata e colorita. Predominava su
tutto la gestualità e la mimica accentuata, che fungono da fulcro del linguaggio universale. Il risultato
finale era una recitazione espressiva, iperbolica ed esilarante, comprensibile ad ogni spettatore.
Grazie al rapporto diretto che il giullare instaurava con il pubblico, il linguaggio usato perdeva il suo
significato letterale per diventare un artificio espressivo musicale, in grado di comunicare emozioni e
suggestioni.
Questo filone è stato recuperato e valorizzato da Dario Fo, Premio Nobel per la letteratura 1997, che
lo ha nuovamente in "Mistero buffo".
COMMEDIA DELL’ARTE:
è una rappresentazione in cui gli attori, basandosi su un canovaccio, rappresentano vicende ispirate
alla realtà quotidiana, arricchite con numeri acrobatici, danze e canti, e con l'ausilio di maschere.
TEATRO DI FIGURA, TEATRO D’ANIMAZIONE:
poiché in Italia si è sempre distinto il mestiere di burattinaio, marionettista, puparo e ombrista, si è
creato alla fine degli anni '70, il termine teatro di figura che include tutte queste tecniche. Questo
termine è stato accettato e quindi utilizzato dalle Circolari Ministeriali emanate dal Ministero dello
Spettacolo e dopo la sua abrogazione, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri presso il
Dipartimento dello Spettacolo.
Note sul teatro d’animazione
Parlando di Teatro d'Animazione si rischia facilmente di venire fraintesi. Per quanto mi riguarda
con Teatro d'Animazione intendo quel teatro dove a fianco di attori o al loro posto, si animano
oggetti o elementi non viventi che, animati, si fanno portatori di emozioni. Marionette, burattini,
pupazzi, ombre, possono definirsi il campo del Teatro di Figura, che è una parte importante del
Teatro d'Animazione. Ma il mondo degli oggetti e degli strumenti animabili sembra non abbia
confini. La commistione di queste forme d'arte, con quella dell'attore (ad esempio una scena
che vede fianco a fianco un attore e un pupazzo) è un terreno difficile e rischioso, ma è più
naturale di quanto si pensi. Infatti colui che dà movimento, voce e espressione, anzi più di
queste tre cose messe insieme, colui che è animatore, è un tipo particolare di attore. Una
presenza assenza. Da questa convinzione parte il percorso che propongo: il Teatro
d'Animazione è alla base delle forme spettacolari dove un elemento inanimato si fa carico di
comunicare emozioni; e per avvicinarsi a quest'arte, chi vuole essere animatore deve
conoscerne a sua volta le basi. E le basi sono particelle minime comuni all'arte dell'attore,
legate alla percezione dello spazio, del movimento e, infine, del muovere […] muovere... cosa?
Il vuoto, l'aria, la propria ombra, il compagno, lo sguardo di chi guarda, lo strumento per
muovere, un oggetto, una assenza, se stessi. Allora gli oggetti saranno tramite della nostra
"anima".
Tommaso Correale Santacroce - Milano 10 settembre 2005
TEATRO DEI BURATTINI:
è una forma di spettacolo teatrale in cui uno o più animatori danno vita ai personaggi tramite
particolari pupazzi. Nella tradizione il burattino è composto da testa e mani di legno fissate ad un
camiciotto (buratto) sul quale viene posto il vestito. L’animatore per muoverlo lo inguanta dandogli
vita. Il termine burattino sta genericamente ad indicare anche tutti gli oggetti animati ‘dal sotto’, dove
l’animatore è nascosto, mentre la marionetta viene animata 'da sopra', con dei fili. Solo a partire dalla
fine del XVIII secolo in Italia si cominciano ad avere notizie della diffusione del teatro dei burattini. Fin
dal Cinquecento, comunque, i burattini erano usati soprattutto come strumento pubblicitario, nelle
mani di venditori ambulanti. Verso la fine del '700 si ha una importante evoluzione: si sono ritrovati,
infatti, documenti che testimoniano la presenza di veri e propri spettacoli con burattini. Dalle semplici
farse, si passa a rappresentazioni drammatiche o melodrammatiche. L'affermazione del teatro dei
burattini avviene subito dopo la rivoluzione francese. Nel XIX secolo i burattini diventano un
fenomeno comune nelle piazze delle città, diventando un'attrazione in grado di coinvolgere un gran
numero di persone.
TEATRO DELLE MARIONETTE:
si dice marionetta tutto ciò che viene mosso dall'alto verso il basso, tramite dei fili attaccati alle
membra della marionetta.tà
Il teatro delle marionette è stato fin dalle origini uno spettacolo riservato ad un pubblico più
"raffinato", perché non era immediato come quello dei burattini. Il teatro delle marionette faceva del
dialogo la sua principale prerogativa, ma era un genere che affidava, la maggior parte delle volte, le
sue caratteristiche a stupire l'uditorio, per i suoi artifici meccanici e per la perfezione dei movimenti
stessi; tanto da far apparire le marionette come delle piccole persone in grado di compiere degli
esercizi, che un essere umano non riuscirebbe mai ad eseguire.
Nel '700 tutte le maggiori case signorili italiane possedevano all'interno un teatrino di marionette,
dove operatori specializzati si dilettavano nel comporre piccoli pezzi fantastici, che incantavano i
signori Con la crisi e la fine della società aristocratica e l'avvento della società borghese, anche la
marionetta trova un nuovo pubblico (dal teatrino di corte e di famiglia, le marionette escono per
occupare nuovi teatri, divenendo spettacolo urbano e borghese). Il pubblico quindi affollava questi
luoghi di spettacolo per vedersi rappresentare grandi componimenti tragici, o vere e proprie opere
musicali "in piccolo", visto che le protagoniste erano le marionette. Questo genere teatrale si è
sempre rivolto così ad una platea aristocratica o borghese, allargando solo a partire dal XIX secolo la
sua utenza, con la nascita delle compagnie girovaghe. Nelle grandi città invece, iniziava lo sviluppo
dei teatri stabili "popolari" per marionette: a Milano con il teatro Fiando - Gerolamo, a Roma con il
teatro Fiano, a Bologna nell'antica chiesa della Nosadella, sconsacrata da Napoleone. Racconta
Cervellati che, nel teatro della Nosadella "non solo si assisteva alla recita, ma ci si abbandonava ai
piaceri gastronomici ... alla Nosadella si mangiavano salsicce e bracciole di ottima qualità".Questi
teatri diventarono la meta di un pubblico che non si poteva permettere gli alti costi per frequentare i
teatri di opera lirica, e si accontentava di vedere "i piccoli" riadattamenti di opere liriche con le
marionette.
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L'Ottocento vede inoltre il costituirsi di compagnie marionettistiche stabili, che agivano in questi teatri
e compagnie di giro, impegnate in vere e proprie stagioni.
OPERA DEI PUPI:
L'Opera dei Pupi è una rappresentazione teatrale i cui protagonisti sono i Paladini di Carlomagno,
raffigurati da delle particolari marionette, dette Pupi e narra storie tratte dalla Chanson de Roland.
L'Opera è tipica della tradizione siciliana dei cuntastorie (cantastorie).
OMBRE CINESI:
Le ombre cinesi sono un tipo di spettacolo molto antico che veniva svolto in teatrini ambulanti che si
spostavano da un paese all'altro. Era normale trovare questi teatri ambulanti vicino ai templi, durante
le ricorrenze religiose, ma anche nelle feste laiche come il Capodanno o alle fiere di paese. Negli
spettacoli le figure non si vedono direttamente ma, come dice il nome stesso, appaiono solo le loro
ombre. Lo spettatore si pone davanti a uno schermo bianco semi-trasparente dietro il quale degli
attori manovrano le figure e recitano le varie parti. Una potente fonte di luce proietta le ombre
direttamente sullo schermo con l'effetto di ingigantirle e rendere animate le figure.
L'antica arte cinese è, poi, stata esportata in tutto il mondo e, al giorno d'oggi, con ombre cinesi si
indicano in generale tutte le ombre che vengono proiettate attraverso l'uso delle mani o di ritagli di carta o
cartoncini.
TEATRO NERO:
Jiří Srnec è stato l’ideatore del Teatro Nero di Praga e ha fondato la compagnia omonima alla fine
degli anni '60, facendola diventare un punto di riferimento per lo sviluppo di questa tecnica teatrale
nel resto del mondo. La compagnia del Teatro Nero di Praga è composta da artisti che realizzano sul
palco fantasie multicolori che prendono vita. È il teatro dell'illusione, è il teatro che mostra ciò che
non esiste. La connotazione coreografica di questo tipo di spettacolo è molto particolare: il
palcoscenico è bordato di nero, a rappresentare il nulla, da cui scaturisce magicamente l'idea, il
gesto, il movimento. Si vede ciò che si vuol fare credere, mentre si può solo immaginare ciò che
veramente è. Il Teatro Nero di Praga ha entusiasmato e stupito il pubblico di tutto il mondo.
TEATRO DELL'ASSURDO:
è in genere riferito ad un particolare stile teatrale di scrittori di teatro europei ed americani
sviluppatosi tra gli anni Quaranta e Sessanta del Novecento; si caratterizza per dialoghi
apparentemente senza significato, ripetitivi e senza connessioni logiche.
MELODRAMMA:
è uno spettacolo teatrale in cui gli attori cantano e narrano vicende attraverso la recitazione e il
canto. Le sue origini risalgono agli ultimi anni del Cinquecento, quando un gruppo di studiosi
fiorentini denominati “La Camerata Dei Bardi” cercò di far rivivere le antiche tragedie greche, creando
spettacoli teatrali che fossero anche cantati. Nacque così un nuovo genere compositivo, il
Melodramma, dove musica, poesia, costumi e scenografie si fondevano in un unico avvenimento.
OPERA LIRICA:
è un genere teatrale e musicale in cui l'azione scenica è sottolineata ed espressa prevalentemente
attraverso la musica ed il canto. I cantanti sono accompagnati da un complesso strumentale che può
allargarsi fino a formare una grande orchestra sinfonica. In genere non sono presenti attori, e il testo
letterario è chiamato libretto.
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DAL TEATRO GRECO ALLA COMMEDIA DELL'ARTE
IL TEATRO GRECO
Origine, struttura e funzione del teatro in Grecia.
Le notizie che si hanno sull'origine del teatro greco, ci vengono dai resti archeologici, dalla pittura
vascolare e dalle fonti scritte dagli scrittori del tempo. Si pensa che il teatro greco abbia avuto origine
dalle feste religiose in onore del dio Dioniso. In queste feste, che si svolgevano in primavera, gli abitanti di
Atene formavano delle processioni, durante le quali eseguivano canti.
Le forme teatrali che oggi conosciamo discendono da quelle che si praticavano e che vennero
perfezionate nella Atene del V secolo a.C.
Gli Ateniesi svilupparono la consuetudine di organizzare regolarmente grandi festival in cui i maggiori
autori teatrali dell'epoca gareggiavano per conquistarsi il favore del pubblico. Gli attori,
esclusivamente uomini anche nelle parti femminili, indossavano maschere che ne ampliavano la
voce. La recitazione era rigorosamente in versi, e alle parti soliste si accompagnava un Coro, gruppo
di attori che assolveva la funzione di collegamento delle scene, commento e narrazione della trama.
La forma d'arte di ispirazione più elevata era considerata la tragedia, i cui temi ricorrenti erano
derivati dai miti e dai racconti eroici. Le commedie, che spesso fungevano da intermezzo tra le
tragedie, di carattere più leggero e divertente, prendevano spesso di mira la politica e i personaggi
pubblici del tempo.
La tradizione attribuisce le prime forme di teatro a Tespi, giunto ad Atene dall'Icaria, verso la metà
del VI secolo. Si narra che sul suo carro trasportasse i primi attrezzi di scena, arredi scenografici,
costumi e maschere teatrali.
Il dramma satiresco era una delle forme, insieme alla tragedia, alla commedia e al mimo, in cui si
articolava la poesia drammatica greca. Riconducibile nella sfera del culto del dio Dioniso, si
caratterizzava per una struttura abbastanza semplice in cui il coro era costituto da elementi travestiti
da satiri caprini che si muovevano sulla scena al vivace ritmo della danza chiamata sìkinnis.
Nei concorsi, ciascuno dei tre poeti tragici presentava una tetralogia comprensiva di tre tragedie più
un dramma satiresco il cui compito era quello di rinfrancare l’animo degli spettatori rattristati dagli
episodi delle tragedie. La materia trattata era desunta dall’ epos e dal mito.
A noi è pervenuto un solo dramma satiresco integro, ossia il Ciclope di Euripide. Abbiamo però
anche parte di due drammi satireschi di Eschilo (i Pescatori con la rete e gli Spettatori o atleti ai
giochi istmici) e di uno di Sofocle (i Cercatori di tracce), oltre a vari frammenti.
La parola tragedia deriva dalle parole tragos e odè. Significa canto del capro. Il capro (caprone) era
l’animale sacro a Dioniso. La parola commedia deriva da come e odè che vuol dire festa del villaggio.
All’inizio, nella tragedia c’era un attore solo che faceva tutto e usava le maschere per cambiar di
ruolo.
La tragedia è il prodotto più significativo ed originale dell'Atene del V secolo a.C. Il soggetto della
tragedia è lo stesso dell'epica, del mito, ma dal punto di vista della comunicazione essa sviluppa
mezzi del tutto nuovi: la narrazione del mito (mythos, parola) si fonde con l'azione (drama, dramma,
deriva da drao, agire), il pubblico vede con i propri occhi i personaggi che compaiono come distinte
individualità che agiscono autonomamente sulla scena (skenè), provviste ciascuna di una propria vita
psicologica.
La commedia, nella sua forma scritta, ha origine in Grecia nel VI secolo a.C.
La prima gara teatrale fra autori comici si svolse ad Atene nel 486 a.C. In altre città si erano
sviluppate forme di spettacolo burlesche come le farse di Megara, composte di danze e scherzi, e
simili spettacoli si svolgevano alla corte del tiranno Gerone in Sicilia, di cui non ci sono pervenuti i
testi.
Eschilo, Sofocle, Euripide scrivevano tragedie.
Aristofane e Menandro scrivevano commedie.
C’erano tanti altri autori ma solo di questi sono arrivate le opere fino a noi.
Per i greci antichi il teatro era un vero e proprio rito collettivo. Per permettere a tutti, anche ai cittadini
più poveri di andare a vedere gli spettacoli, veniva loro dato del denaro per compensare la giornata
lavorativa persa.
Quando c’erano le rappresentazioni, si stava a teatro tutto il giorno.
Gli spettatori si portavano dietro il pranzo.
Nei teatri gli archeologi hanno ritrovato… noccioli di olive!
Nell'antico teatro greco il coro danzava e cantava, accompagnato dalla musica. Il coro aveva il compito di
commentare e spiegare l'azione. Il pubblico assisteva allo spettacolo seduto sui gradoni (cavea) che
circondano la scena. L'edificio, all'aperto ed a forma di semicerchio, era composto infatti, di tre parti: la
Cavea, ossia il luogo in cui si vede, la Scena, dove si recita, l'Orchestra, cioè il luogo dove si danza.
(Orchestra deriva da orcheomai che vuol dire ballare).
C'erano numerose macchine teatrali che servivano a creare la scena e gli effetti speciali. Per gli
effetti c'erano le macchine per produrre suoni e fulmini, botole da cui spettri e spiriti facevano la loro
apparizione, torri, piattaforme basse su rotelle, carrucole con un gancio che servivano a sollevare e
abbassare le divinità, gru per portare via in fretta i cadaveri, anche se nell'epoca più antica non
potendosi mostrare le scene di violenza, esse venivano introdotte o raccontate da un messaggero.
Il teatro greco era costruito così bene che anche nelle gradinate più lontane si sentivano
perfettamente le parole degli attori. Per costruire un teatro, di solito, si sfruttava il fianco di una
collina.
Gli Abiti e le Maschere
Gli attori greci indossavano una tunica lunga dal collo fino alle caviglie, chitone, con le maniche
lunghe fino alle mani, ornata da vivacissimi disegni colorati e figure simboliche. I colori dovevano
servire a caratterizzare un personaggio e a esprimerne lo stato d'animo. Oltre la tunica gli attori
potevano avere un mantello corto portato sulla spalla sinistra che si chiamava clamide o un mantello
lungo sulla spalla destra che si chiamava himation. Ciascun personaggio aveva un oggetto che lo
faceva subito riconoscere: i re portavano una corona, i vecchi si appoggiavano a un bastone, Apollo
aveva l’arco, e così via.
Le calzature, coturni, avevano un'alta suola di legno. Servivano per rendere più visibile l'attore anche
agli spettatori più lontani. Contribuivano a ingigantire l'attore anche gli onkos, che erano parrucche
molto alte.
Le maschere usate dagli attori greci erano molte, fatte di stoffa gessata o di legno, esse avevano la
capacità di amplificare la voce come fossero dei microfoni. Naturalmente la maschera serviva a
caratterizzare il personaggio, quindi era fatta in modo tale da indicarne l'età, il ceto di appartenenza,
lo stato d'animo e il carattere.
Una mechanè era una gru usata nel teatro greco, in particolare nel V e IV secolo a.C. Composto da
bracci di legno e da un sistema di pulegge, questo marchingegno teatrale era usato per sollevare in
aria gli attori, simulandone il volo. Questo apparato era usato in particolare per portare gli dei sulla
scena, da cui il termine Deus ex machina (Dio dalla macchina). L'uso fatto da Euripide della
mechanè nella Medea, nel 431 a.C., è un notevole esempio dell'uso di questo marchingegno da
parte di un personaggio non divino. Veniva impiegata spesso anche da Eschilo.
ESCHILO
Eschilo (525 a.C.- 456 a.C.) è il più antico dei poeti tragici greci di cui ci sono pervenute opere per
intero.
Nacque a Eleusi, ed apparteneva a una nobile famiglia. Eschilo assistette all'instaurazione della
democrazia nel 510 a.C., partecipò alle guerre contro la Persia e fu presente alla battaglia di
Maratona (490 a.C.) e a quella di Salamina (480 a.C.), da lui descritta ne “I Persiani”. In proposito,
celebre il detto secondo il quale "mentre Eschilo combatteva a Salamina, Sofocle intonava il suo
primo canto, ed Euripide nasceva".
Il poeta morì a Gela, mentre era ospite per la seconda volta di Gerone, tiranno di Siracusa e
protettore delle arti e delle lettere. Secondo la leggenda morì colpito alla testa da una tartaruga,
lasciata cadere da un'aquila che scambiò la testa calva del poeta per un masso su cui rompere il
guscio della preda. Si compiva così l'oracolo secondo il quale la sua morte sarebbe venuta dall'alto.
Eschilo scrisse probabilmente una novantina di opere, ma di queste ne sono giunte ai giorni nostri
solo sette: I Persiani, Orestea (trilogia Agamennone - Coefore - Eumenidi), Prometeo incatenato,
Sette contro Tebe, Le Supplici.
SOFOCLE
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Sofocle (Colono 497 a.C. - Atene 406 a.C.) fu uno dei più celebri poeti tragici greci.
Nacque ad Atene, figlio di un ricco fabbricante d'armi, ricevette la migliore formazione culturale e
sportiva. Visse nel periodo dell'egemonia ateniese e in quello delle guerre del Peloponneso. Ricoprì
importanti cariche pubbliche, militari e religiose.
Riuscì vittorioso negli agoni drammatici del 468 a.C. alla sua prima partecipazione, superando
addirittura Eschilo. Inoltre, le ventiquattro vittorie che ottenne negli importanti concorsi rimangono a
testimonianza del favore degli ateniesi per lui.
Sofocle, inoltre, sciolse il legame delle trilogie presentando le tragedie in modo indipendente fra loro,
introdusse nella tragedia il terzo attore e portò da dodici a quindici i coreuti. L'introduzione del terzo
attore, avrebbe avuto per conseguenza una maggiore articolazione dei rapporti interpersonali (non
più solo due personaggi in contrapposizione) e cambiava il ritmo teatrale.
Sofocle scrisse, secondo la tradizione, ben centoventitre tragedie.
Di molte opere restano solo frammenti o titoli.
Ce ne rimangono solo sette: Antigone (442 a.C.), Aiace, Edipo re, Elettra, Filottete (409 a.C.), Le
Trachinie, Edipo a Colono
(406 a.C.)
Nel 1912 fu pubblicato un papiro scoperto in Egitto contenente circa 400 versi di un dramma satirico,
I cercatori di tracce. Visse fino a novant'anni, mantenendo fino all'ultimo intatta la propria energia
creatrice.
La tragedia di Sofocle rivelava la responsabilità che gli dei avevano del male dell'esistenza. La lingua
di Sofocle è considerata un modello di eleganza, di equilibrio e di chiarezza, espressione di un
pensiero razionale capace di dominare le vicende, i drammi e la desolazione del mondo. Sofocle
ricevette dagli ateniesi il culto riservato agli eroi.
Gli Ichneutai (“I Cercatori di Tracce” di Sofocle (estratto):
Apollo, scoperto il furto dei suoi buoi, ma non scoprendo la traccia del ladro, promette di
ricompensare chi saprà ritrovarli. Accorre Sileno, il capo dei satiri, e promette di ritrovare i buoi; in
cambio ottiene la promessa che lui e i suoi figli saranno liberi. I Satiri si mettono così alla caccia del
ladro, ma strada facendo scoprono un vero e proprio groviglio di orme che cercano di seguire. A un
tratto si fermano, sorpresi e preoccupati, nell’udire uno strano suono che non sono in grado di
decifrare. Sarà Cillene, nutrice e custode del piccolo Ermes, a spiegare loro l’origine del suono, per
mezzo di un enigma. Il suono è la voce di un animale morto, che da vivo non aveva voce: si tratta
della tartaruga, dal cui guscio Ermes ha ottenuto la lira dalla quale trae i suoi suoni. I Satiri intuiscono
che il ladro dei buoi è lui, Ermes, e lo denunciano ad Apollo. La parte ritrovata del dramma di Sofocle
si ferma qui; il seguito doveva essere il confronto fra il derubato e il ladro, che probabilmente gli
rubava anche l’arco e il finale doveva rappresentare la riconciliazione fra i due.
EURIPIDE
Euripide (Salamina 480 a.C. - Pella 406 a.C.) fu un poeta tragico greco.
Nacque nella regione o nell'isola di Salamina, pare, lo stesso giorno in cui avvenne la battaglia di
Salamina; sembra provenisse da una famiglia agiata; fu stimato sin da giovane da Socrate per le sue
singolari ed interessanti doti di scrittore. Quasi alla fine della sua vita, abbandonò Atene; rimase per
qualche anno a Magnesia, in Tessaglia, quindi presso la corte del re Archelao di Macedonia. La
leggenda vuole che quì, ad ottant'anni sia morto sbranato da un branco di cani. Ebbe tre figli, uno dei
quali, anche egli di nome Euripide, si prese carico della rappresentazione postuma di alcune opere
del padre. La letteratura di Euripide è molto diversa da quella di Eschilo e di Sofocle. Questi ultimi
scrivevano secondo i dogmi stabiliti, mentre Euripide li contestava, trovandoli privi di senso. La
curiosità scientifica lo spingeva alla ricerca di cause naturali a fenomeni considerati soprannaturali.
Lo scetticismo di Euripide non poteva ammettere a lungo l'idea che gli dei mantenessero l'ordine
nell'universo. Ma se anche fosse stato così, non c'era certo da rallegrarsi. Le credenze che gli
ateniesi accettavano senza discussione, non erano accettate da Euripide, egli riteneva che gli dei
dell'Olimpo si mostrassero crudeli e mossi da desideri che in un essere umano sarebbero stati
vergognosi. A suo parere gli dei erano meno nobili di un uomo o di una donna di qualità. L'interesse
continuo per l'umanità e per i suoi comportamenti conferisce alle sue tragedie una forza che sfida
l'usura del tempo. Euripide visse nell'epoca della Guerra del Peloponneso e, come Aristofane, odiava
quella guerra e i danni che provocava. Delle 92 tragedie da lui scritte, ce ne sono giunte solo 17, tra
cui: Alcesti, Elettra, Le Baccanti, Medea, Le Troiane, Ifigenia in Aulide, Ifigenia in Tauride.
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ARISTOFANE
Aristofane (Atene 445 a.C. ca.- 385 ca.)
Ebbe un’ampia e accurata educazione letteraria e musicale. Conobbe a fondo non solo la poesia, in
modo particolare quella tragica, ma anche la filosofia. Aristofane fu il massimo rappresentante della
commedia antica greca.
Nomi d’arte di Aristofane: Callistrato, Filonide, Araros.
Esordì molto giovane: nel 427, a diciassette anni, con I Banchettanti, sotto il nome di Callistrato. Con
questo nome ottenne la prima vittoria nel 425, con Gli Arcanesi. Solo nel 424 il poeta presentò con il
proprio nome I Cavalieri, conseguendo un’altra vittoria. Aristofane continuò, però, ad usare ancora il
nome Callistrato per presentare Gli Uccelli e Lisistrata; per Procagone, Calabroni, Anfiarao e Le
Rane si presentò con il nome di Filonide. Di lui, unico fra tutti i comici greci, ci sono giunte alcune
opere complete. Le Nuvole (Dionisie 423), Calabroni (Leneo 422), Pace (Dionisie 421), Gli Uccelli
(Dionisie 414), Tesmoforiazuse (Leneo 411), Lisistrata (Dionisie 411), Le Rane (Leneo 405), Donne
all’assemblea (Leneo 393), Pluto (leneo 388). Inoltre ci è pervenuto circa un migliaio di frammenti.
L’ultima opera fu L’Aiolosicon nel 386 e la presentò con il nome del figlio Araros.
La maggior parte delle opere di Aristofane è costituita da uno schema ben preciso: un progetto
ideato dal protagonista per porre fine ad un male che colpisce la città, viene realizzato attraverso
varie vicende verso la metà delle commedia; dopo l’intervallo della parabasi, vale a dire quando il
corifeo si rivolgeva al pubblico in nome dell’autore, una serie di scene presenta realisticamente le
conseguenze della situazione mutata dopo i fatti narrati precedentemente, e spesso si chiude con un
banchetto, un corteo nuziale o una festa. La vera ispiratrice delle opere di Aristofane è Atene: la vita
quotidiana, la ricchezza spirituale, la tragedia di Atene. Aristofane è innamorato della sua città. Bella,
grande, felice, libera negli anni della sua adolescenza, decade completamente a causa della guerra
che viene ripetutamente citata da Aristofane nella maggior parte delle sue opere.
IL TEATRO LATINO
Gli antecedenti delle forme teatrali romane: i Carmina .
Proverbi, scongiuri, ninne nanne, preghiere, canti di trionfo, celebrazioni di eroi, di personaggi nobili. I
carmina sono tutto questo.
Sia i solenni e arcaici carmina rituali, sia quelli trionfali, a base di strofette licenziose cantate dai
soldati e dal popolo contro il trionfatore perché questi, colpito dai suoi difetti segreti, non si
inorgoglisse, erano manifestazioni pubbliche. I carmi trionfali ed i carmi conviviali possono ritenersi i
germi della poesia epica latina. L’elemento della processione, della danza, del corteo, dava al testo
poetico una esplicita visualità. Era in qualche modo spettacolo.
Carmina deriva da cano (canto)
IL MIMO
Il mimo consisteva in un’azione drammatica di breve durata, avente carattere principalmente
macchiettistico e caricaturale. In alcuni casi, esso si trasformava in uno spettacolo “composito” vero e
proprio, anche se la sua parte principale, “istintiva” era costituita più propriamente dal “gesto”. Inoltre
pare che esistessero vari tipi di mimo:
- Hypothèsesis - quando aveva una trama precisa;
- Paigna - quando invece consisteva in esercizi di destrezza,da giocolieri,in danze ecc... Tuttavia non
è possibile ricostruirne con esattezza, in prospettiva storica, la fase e la forma originarie. L’elemento
di maggiore differenziazione rispetto, per esempio all’atellana, sembra consistere nel fatto che
proprio per rimanere nell’imitazione della vita reale, esso ignorava l’uso delle maschere e di calzature
speciali e ricorreva ad interpreti di sesso femminile per i personaggi appunto femminili (nelle altre
interpretazioni gli attori di sesso maschile si mascheravano da donne). Nonostante gli attori
recitassero a viso scoperto erano facilmente riconoscibili grazie al loro abbigliamento che li
riconduceva a personaggi “fissi”.
L'ATELLANEA
In un’età più antica rispetto ai fescennini anche se con una maggiore consapevolezza artistica e un
maggiore livello tecnico si sviluppò la farsa osca o atellana. L’atellana prende il suo nome dalla città
in cui si sviluppò questo genere teatrale : la città osca di Atella. Ancora oggi non si conoscono con
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precisione i periodi di rappresentazione delle atellane ma si pensa che fossero rappresentate durante
le Quinquartuus e durante i Saturnalia, inizialmente solo ad Atella poi, grazie al successo ottenuto, in
tutta l’Italia. La principale caratteristica dell’atellana era la presenza di personaggi fissi, rappresentati
con maschere. Non se ne conosce una lista ufficiale ma ne sono stati individuati cinque principali: il
maccus (lo scemo o il ghiottone), il pappus (il vecchio rincitrullito), il bucco (il chiacchierone), il
dossenus (il gobbo) e il manducus (l’orco). Dapprima non ci si basava su un testo scritto ma sulla
capacità di improvvisazione degli attori (che comunque avevano un repertorio fisso di battute) che
conoscevano solo a grandi linee la trama. Solo in seguito questo tipo di rappresentazione assunse
caratteristiche letterarie, fu introdotto un canovaccio su cui basarsi. Il linguaggio dell’atellana era un
linguaggio volgare, molto spesso anche osceno. La rappresentazione consisteva nello scherno di
alcune categorie sociali oppure di particolari personaggi come il vecchio sciocco, il ghiotto, il gobbo
ecc.; ma anche i vizi dell’uomo comune in generale.
I FESCENNINI
Sull’origine del nome, Festo, ci offre due interpretazioni: la prima collega i Fescennini con la città
Etrusca Fescennium. La seconda interpretazione, invece, collega il nome alla parola Fascium
(malocchio), ponendo l’accento sulla funzione apotropaica del rito, cioè gli insulti e queste esibizioni
fungevano da scaccia-malocchio. I Fescennini sono delle opere preletterarie tipicamente popolari. La
maggior parte delle produzioni, di cui non ci rimane niente se non qualche frammento, sono
anonime. I contadini, dice Orazio, dopo aver messo il raccolto al sicuro, festeggiavano prima offrendo
doni agli dei, poi rappresentando questa forma di divertimento. I Fescennini nel 364 a. C., quando
questi racconti vennero rappresentati dagli attori etruschi, erano già diffusi in Italia. Si potevano
distinguere due tipi di Fescennini: quelli inscenati (vere e proprie rappresentazioni) e quelli liberi
(matrimoni, trionfi e feste contadine). In età imperiale rimasero solo i Fescennini liberi.
LA COMMEDIA LATINA E I SUOI PRIMI AUTORI
La palliata. È un genere di commedia latina. Il nome deriva dal pallio, abito nazionale greco,
indossato dagli attori.
Autori latini di opere di questo genere furono Plauto e Terenzio.
La fabula togata o commedia togata. È un tipo di rappresentazione teatrale latina documentata a
partire dal II secolo a.C. Essa nasce come rappresentazione teatrale di argomento e ambientazione
romana, a differenza della fabula palliata.
La palliata si sviluppò in area latina nel IV - III sec. a.C., diventando presto il genere teatrale più
amato dal pubblico romano. Grazie alla sua ambientazione greca (luoghi e costumi erano infatti
greci) aveva libertà, sia per la forma sia per il contenuto. Plauto fu il primo poeta latino a dedicarsi
per intero ad essa, come unico genere letterario. Nella struttura della commedia è presente il
prologo, mentre viene abolito il coro. Commedia d'intreccio, la palliata era per lo più mossa dalla voglia
amorosa di un giovane, che doveva superare, mediante le furbesche trovate di uno schiavo, gli ostacoli
che si opponevano al soddisfacimento dei suoi desideri. A tali canovacci Plauto dava vita, creando
un'azione continua, senza divisioni in atti (il capocomico poteva interrompere l'azione, se lo riteneva
necessario, per il mutamento della scena o per far riposare gli attori e colmare l'intervallo con l'esibizione
di un flautista o con un canto corale).
Il pubblico era inoltre solito interagire con gli attori, che facevano largo uso dell’ improvvisazione.
I personaggi della palliata. I personaggi erano di diversi ceti sociali, dallo schiavo al signore. Erano
descritti in modo spesso incoerente, ma sempre realistico. A Roma, la professione dell’attore non
godette di grande prestigio come in Grecia. Lo dimostra il fatto che gli attori erano degli schiavi, a
servizio del direttore della compagnia. Si dividevano in due categorie: gli histriones e i mimi. Gli
histriones erano di origine etrusca, e si esibivano in occasione delle celebrazioni religiose in onore
degli dei o per placarli. I mimi erano invece attori drammatici che si esibivano in rappresentazione di
breve durata (in alcuni casi queste si trasformavano in spettacoli veri e propri). Questo genere era
molto amato dal popolo romano, incline alla violenza e alle scene di lotta. Le troupe erano di solito
formate da 5 o 6 attori, tutti di sesso maschile, i cui ruoli erano riconosciuti sul palco grazie al belletto
e all’abito , oltre che ad indicatori elementari quali il bastone per il vecchio, il coltello per il cuoco, la
spada per il soldato, ecc. I singoli personaggi erano interpretati per intero da uno stesso attore,
mentre un attore poteva sostenere più parti solo se nettamente differenziate l'una dall'altra per età,
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sesso o grado sociale. All’inizio, come nella tradizione greca, venivano utilizzati delle maschere di
tela, con applicata una capigliatura, per facilitare l’interpretazione di vari personaggi da parte dello
stesso attore, o di personaggi di aspetto simile. In seguito scomparve, sostituito dal trucco e dalla
sempre più importante mimica facciale. Nessun mimo riuscì mai ad avere la popolarità degli aurighi,
degli atleti, dei gladiatori. Però gli attori, che venivano stipendiati con molte decine di migliaia di
denari all’anno come se fossero stati altissimi funzionari dello stato e che il governo imperiale
colmava di onori, di doni e di privilegi, erano tutti mimi. Recitavano a volto scoperto, in modo che le
loro fisionomie, divenute popolari, potessero esprimere, con l’accompagnamento della musica, quello
che le loro bocche non dicevano.
La musica. Alla musica, all'interno dello spettacolo, era affidata una funzione importantissima: il
flautista, "tibicen" accompagnava, con apposite melodie, gli attori. Sembra che i primi suonatori siano
venuti a Roma dall'Etruria. Il pubblico era in grado di capire il personaggio che sarebbe entrato, o
cosa sarebbe accaduto, dalla sola musica di introduzione. Purtroppo, la musica del teatro romano è
andata tutta perduta.
Prologo e coro. Il coro, venne abolito nella commedia latina, e con esso cadde anche la divisione in
atti, mentre presero grande sviluppo, almeno per quanto possiamo valutare da Plauto, proprio le parti
cantate dagli stessi attori. E’ interessante la notizia che il cantante, che intonava il suo canto stando
in primo piano sulla scena, talvolta si faceva letteralmente "doppiare", poiché si limitava a mimare il
canto, mentre un altro esecutore, nascosto in fondo alla scena, gli prestava la voce.
Gli spettatori. Il pubblico a cui il teatro romano si rivolgeva non era (a differenza di quello greco)
colto e raffinato. Di conseguenza, bisogna sottolineare come fosse difficile attirare l'attenzione di una
simile platea, sia per la sua irrequietezza, sia perché, contemporaneamente alle rappresentazioni
teatrali, venivano dati anche spettacoli di circo ed esibizioni di giocolieri. Gli spettatori dimostravano
preferire l'intreccio avventuroso, i duelli verbali preferibilmente scurrili, una scena movimentata da
ballerini e cantanti.
La genialità di Plauto consistette proprio nell'adattare le forme culturalmente più "mature" del teatro
greco a queste grossolane esigenze indigene: di qui, si spiega il suo clamoroso successo.
Le ricorrenze. Anche a Roma, come in Grecia, la maggior parte dell’attività teatrale si svolgeva nel
corso delle feste a carattere religioso e, anche se più raramente, in occasione di vittorie militari,
consacrazione di pubblici edifici, per i funerali di importanti personalità. Con la fondamentale
differenza che mentre ad Atene la partecipazione agli spettacoli rappresentava per il pubblico il
momento più alto ed intenso di un'esperienza insieme religiosa etica e politica, per il pubblico romano
fu sostanzialmente divertimento.
Le scenografie. Erano semplici, poiché l’ attenzione del pubblico doveva essere concentrata sui
dialoghi, e consisteva prevalentemente in "proscenium", "scenae fronts", "periaktoi" e "auleum". Gli
effetti speciali erano ottenuti con macchine teatrali di derivazione greca. Anche i costumi erano
prevalentemente greci.
Il "proscenium", in legno, che comprendeva ciò che noi oggi chiamiamo propriamente "scena",
ossia quella parte anteriore, dove gli attori recitano: esso raffigurava, in genere, una via o una piccola
piazza.
La "scenae fronts" (il "fondale"), era una parete dipinta, con un’architettura simile alla facciata di un
edificio, nella quale si aprivano diversi ingressi (due o tre porte) utilizzati dagli attori: se si tiene conto
dei passaggi laterali, le possibili uscite erano quattro o cinque. Comunque, mentre quelle sullo
sfondo raffiguravano, per così dire, gli "interni" della vicenda, le due laterali raffiguravano,
rispettivamente, quella di destra (dal punto di vista degli spettatori) la via che portava al foro, quella di
sinistra la via che portava al porto
(i due luoghi, cioè, più importanti della città. La convenzione teatrale prevedeva, poi, pressoché
stabilmente, che dietro le case, le cui porte si vedevano sul fondale, ci fosse un vicoletto
("angiportum"), che permetteva di raggiungere le case stesse attraverso il giardino, e comunque per
il retro.
I "periaktoi", di derivazione greca, erano prismi triangolari rotabili, con i lati dipinti con una scena tragica
su un lato, comica su un altro e satiresca sul terzo.
L’ "auleum" era un telo simile al nostro attuale sipario (attestato con sicurezza solo dall'epoca di
Cicerone, e sconosciuto invece ai Greci).
Negli anfiteatri gli effetti speciali erano realizzati spesso con l’utilizzo di macchine teatrali, anche
queste di derivazione greca.
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IL TEATRO NEL MEDIOEVO
Dopo la caduta dell'Impero Romano sembrò che il teatro fosse destinato a non esistere più. La
chiesa cattolica, ormai diffusa in tutta Europa, non apprezza il teatro ed addirittura scomunica gli
attori.
A questa situazione, però, sopravvivono i giullari, eredi del mimo e della farsa atellana. Intrattengono
la gente nelle città e nelle campagne con canti ed acrobazie e pende su di loro la condanna della
chiesa la quale, dal canto suo, dà origine ad un'altra forma di teatro: il dramma religioso, per mezzo
del quale i fedeli, spesso analfabeti, apprendono gli episodi cruciali delle Sacre scritture.
Il giullare. Figura emblematica del teatro medievale, è a tutti gli effetti un attore professionista, si
guadagna cioè da vivere divertendo il popolo nelle piazze od allietando i banchetti, le nozze, i festini
e le veglie. Prima che prevalesse il termine generico "Giullare" (dal latino Joculator), tali attori
venivano chiamati con appellativi specifici che designavano ogni "performer" secondo il suo campo
d'azione. C'erano i saltatores (saltinbanchi), i balatrones (ballerini) i bufones (comici) e persino i divini
(gli indovini) ed ancora trampolisti, vomitatori di amene scurrilità, acrobati. Alcuni di loro agivano sulla
pubblica piazza, alcuni nelle corti dei grandi signori; cantavano ai pellegrini le vite degli eroi e dei
santi. La chiesa li condannava perché rei di possedere le capacità di trasformare il loro corpo e la
loro espressione, andando così contro natura e quindi contro la volontà di Dio creatore; perché
girovaghi e conoscitori del mondo e per questo ragionevolmente irridenti nei confronti delle regole
monastiche.
Così a partire dal IX-X secolo abbiamo da un lato, sulle piazze, buffoni, giocolieri, mangiatori di fuoco e
di sciabole, specialmente durante il carnevale; dall'altro, dentro o intorno alla chiesa, nei momenti
salienti dell'anno liturgico, parti dialogate della Messa, drammatizzazioni di episodi del Vangelo o delle
vite dei santi. Questi spettacoli, all'inizio semplicissimi e, come si diceva, integrati al rito, poi via via più
complicati e autonomi, si chiamano di solito mystères o passions in Francia , autos sacramentales in
Spagna, geistspiele in Germania, miracle plays in Inghilterra, e drammi liturgici in Italia. Risale a questi
spettacoli, tra l'altro, una delle prime interessanti soluzioni al problema della scena, cioè dello sfondo o
spazio fittizio entro il quale si muovono i personaggi. Vari "luoghi deputati", dentro o davanti alla chiesa,
costituivano per così dire frammenti o spezzoni di palcoscenico, e l'azione si spostava dall'una all'altra
di queste mansiones.
Negli altri paesi, e specialmente in Francia, un teatro laico e satirico si affiancò presto a quello
religioso, spesso sotto lo stimolo di grandi feste popolari che non ebbero la stessa voga da noi (come
la fête des fous o des innocents), durante le quali venivano recitate farse e sotties (letteralmente
"sciocchezze").
In Italia i maggiori episodi teatrali del tardo Medioevo restano religiosi, come la lauda drammatica
umbra del Duecento (che culmina in un grande testo poetico di Jacopone da Todi: Donna del
Paradiso), o la sacra rappresentazione fiorentina del Quattrocento, che pur senza divisioni in atti e
scene, possiede ormai una struttura drammatica pienamente sviluppata, con molti personaggi,
precise indicazioni sceniche o didascalie, e testi di valore letterario.
"…tant'aggio ardire e conoscenza
che tengo senno e provvedenza
in ciascun mestiere:
k'eo so ben esser cavaliere
e donzello e bon scudiere
chierico so' e so cantare
so comporre … e so pensare."
Tratto da "Il Vanto" di Ruggieri Apugliese, sec. XIII
«Un giullare è un essere multiplo; è un musico, un poeta, un attore, un saltimbanco; è una sorta di
addetto ai piaceri alla corte del re e principi; è un vagabondo che vaga per le strade e dà spettacolo
nei villaggi; è il suonatore di ghironda che, a ogni tappa, canta le canzoni di gesta ai pellegrini; è il
ciarlatano che diverte la folla agli incroci delle strade; è l'autore e l'attore degli spettacoli che si danno
i giorni di festa all'uscita dalla chiesa; è il conduttore delle danze che fa ballare la gioventù; è il
cantimpanca [cantastorie]; è il suonatore di tromba che scandisce la marcia delle processioni; è
l'affabulatore, il cantore che rallegra festini, nozze, veglie; è il cavallerizzo che volteggia sui cavalli;
l'acrobata che danza sulle mani, che fa giochi coi coltelli, che attraversa i cerchi di corsa, che mangia
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il fuoco, che fa il contorsionista; il buffone che fa lo scemo e che dice scempiaggini; il giullare è tutto
ciò e altro ancora.»
(E.Faral, Les jongleurs en France au Moyen age [I giullari in Francia nel Medio Evo]
IL TEATRO RINASCIMENTALE
Il Rinascimento è stata l'età d'oro della commedia italiana in seguito al recupero dei testi classici
greco-latini degli Umanisti. Uno dei commediografi più rappresentativi del teatro rinascimentale è
stato Nicolò Machiavelli; il segretario fiorentino aveva scritto una delle commedie più importanti di
questo periodo, La Mandragola. Fra i molti che si cimentarono in composizioni di testi teatrali si
possono citare Donato Giannotti, Annibal Caro, Anton Francesco Grazzini detto Il Lasca, il nobile
senese Alessandro Piccolomini etc. Un posto particolare occupano Pietro Aretino, Ludovico Ariosto e
Angelo Beolco detto Ruzante perché rappresentano la figura dell'intellettuale che si mette al servizio
della corti. Per quella estense, Ariosto, oltre Orlando furioso, scriverà delle divertenti commedie come
La Cassaria. Nella Roma di Leone X imperverserà Pietro Aretino con le sue pasquinate ma anche
con commedie come La Cortigiana.
Dramma pastorale: Tipico genere drammatico rinascimentale, consistente in un componimento in versi
di ambientazione bucolica e di argomento amoroso. Capolavoro di questo genere è l'Aminta del Tasso
(1573).
“Farne un dramma”
Secondo il significato classico, derivato dagli antichi Greci, il dramma è qualsiasi opera letteraria le
cui vicende, anziché essere raccontate indirettamente (come nella narrativa o nell'epica), sono svolte
solo attraverso i dialoghi e i conflitti dei personaggi. In questo senso è dramma qualsiasi testo
destinato alla rappresentazione, indipendentemente dai suoi contenuti. A partire dal Settecento, e
pienamente nell'Ottocento, dramma indica un genere teatrale in cui si affrontano problemi individuali
e sociali senza proiettarli in una dimensione eroica o mitica.
Dramma liturgico. Forma di teatro sacro testimoniata in Europa dalla fine del IX sec. e collegata con
le grandi festività liturgiche dei cui riti costituiva un ampliamento. Veniva rappresentato in latino,
all'interno delle chiese, spesso dagli stessi diaconi.
Dramma satiresco. Genere teatrale della Grecia classica. Erano componimenti brevi di argomento
grottesco in cui agivano come coro dei satiri (donde il nome) e che venivano rappresentati come
momento di sollievo e svago al termine di una trilogia tragica. Di tutta la produzione antica ci è
pervenuto solo Il ciclope di Euripide.
pLA COMMEDIA DELL’ARTE (nascita ed evoluzione)
La Commedia dell'Arte si sviluppò in Italia nel corso del Cinquecento. Diffusasi poi in tutta Europa,
divenne molto popolare in Francia, dove veniva recitata dagli attori della Comédie-Italienne. È del
1545 il primo contratto che stabilisce la costituzione per un anno della compagnia di comici di Maffio
da Padova. Di una ventina d'anni più tardi (1568) è invece la prima descrizione di uno spettacolo dei
comici dell'arte. Sono state avanzate numerose ipotesi per spiegare le origini della Commedia
dell'Arte.
Secondo un'ipotesi discenderebbe dalla farsa atellana, tramandata dai mimi itineranti del medioevo.
La prova principale sarebbe la somiglianza dei personaggi fissi di entrambe le forme teatrali. Altri
studiosi sostengono che la Commedia dell'Arte è nata dalle improvvisazioni delle commedie di Plauto e
Terenzio. La definizione Commedia dell'Arte (dove arte ha il significato medievale di mestiere),
distingueva il teatro di attori di professione da quello praticato nelle corti da letterati e cortigiani e sui
sagrati delle chiese da chierici e diaconi. La definizione di "arte", per questo tipo di genere teatrale, è
molto recente risale al XVIII secolo,in origine veniva definita con vari nomi: commedia all'improvviso,
commedia a braccio o commedia degli Zanni.
Le compagnie professioniste erano composte da artisti e acrobati girovaghi, non mettevano in scena
testi d'autore ma, basandosi su un canovaccio, rappresentavano vicende ispirate alla realtà quotidiana,
arricchite con numeri acrobatici, danze e canti.
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Un canovaccio traccia sommariamente l'azione e i personaggi di una commedia o di una tragedia.
Alcune parti sono già elaborate e possono essere usate senza cambiamenti, il resto, è improvvisato. I
canovacci, permettevano a una compagnia teatrale esperta di mettere in scena testi attuali in poche
ore. I canovacci permettevano di creare rapidamente nuovi testi drammatici perché si basavano
sull'esperienza degli attori e al contempo offrivano dei moduli drammatici collaudati nel tempo e di
sicura presa sul pubblico. Inoltre gli attori potevano attingere le battute da alcuni repertori
(gli attori migliori ne avevano di personali).
SPAZI TEATRALI E RECITAZIONE
Per gli spettacoli, gli attori utilizzavano semplici palchi all'aperto o luoghi più convenzionali. Le
scenografie, se c’erano, erano molto semplici con una piazza al centro del palcoscenico e due quinte
praticabili sullo stile di quelle delle prime commedie del '500. Alla metà del secolo vennero costruiti dei
veri e propri spazi teatrali dedicati a questo genere teatrale.
Vennero costruiti, nelle principali città italiane i Teatri degli Zanni dei quali sono rimasti alcuni esempi
come il Teatrino di Baldracca a Firenze, il teatro di Porta Tosa a Milano e il San Carlino a Napoli.
Per distinguersi dalla gente comune, gli attori fanno uso di costumi variopinti, arricchiti di elementi
vistosi come grandi cappelli, ricchi di piume e di strumenti musicali per richiamare i passanti e dare
scansione ritimica alle scene improvvisate sul momento. Le commedie si basavano su personaggi ben
riconoscibili e dai caratteri stereotipati, su un'enfatica gestualità, dialoghi improvvisati, interludi musicali
e buffonerie, per soddisfare un vasto pubblico di diversa estrazione sociale e culturale. Tutti gli attori,
con l'eccezione della coppia dei giovani innamorati, portavano la maschera. Le maschere
riproducevano alcuni caratteri ben riconoscibili, tali da ovviare in parte all'assenza di un copione e da
orientare immediatamente la comprensione del pubblico. Gli attori della Commedia dell’Arte si
organizzano in gruppi ben formati, dandosi una struttura operativa e amministrativa: nascono le
condizioni per disciplinare l’attività teatrale con regolari contratti, sia per gli attori che vengono chiamati
a far parte del gruppo, sia per i rapporti con commercianti che ingaggiano gli attori per promuovere il
loro negozio, la loro merce. A differenza di quanto accadeva per le compagnie di teatro tradizionale,
quelle della Commedia dell'Arte avevano attrici professioniste invece di far recitare agli uomini le parti
femminili. La presenza della donna nella compagnia è una vera e propria rivoluzione poiché porta in
scena una realtà tenuta da sempre lontana e demandata ad attori maschili che dovevano travestirsi e
agire nelle vesti femminili. Il fenomeno di queste compagnie si allarga a macchia d’olio, tanto che nel
breve volger di tempo, si moltiplicano di città in città, di regione in regione fino a raggiungere il numero
di centocinquanta unità. Ed ogni compagnia genera personaggi, tipi, caratteri riconoscibili facilmente
perché appartenenti all’ambiente cittadino o regionale. Si moltiplicano così le maschere, i personaggi,
le caricature. Queste compagnie, per poter girare da un paese all’altro, in cerca sempre di nuovo
pubblico, introducono il concetto di biglietto da acquistare per coloro che vogliono assistere seduti
stando in un area circoscritta intorno al palcoscenico, destinata a chi vuol portare una sedia per
maggior comodità, oppure a raccogliere un un obulo, cioè una libera offerta, da tutti coloro che stanno
al di là dell’area circoscritta di solito con delle transenne. Per potersi spostare agilmente, si organizzano
dei carri in cui abitare, dormire e mangiare. Carrozzoni viaggianti in cui poter trasportare costumi,
maschere, bauli, strumenti musicali. Queste carovane passano da una regione all’altra, gli attori
adottano di conseguenza elementi gergali, espressioni dialettali, per meglio comunicare con il pubblico,
si informano sui personaggi più in vista per metterli in ridicolo, satireggiarli. La vita della compagnia è
una vita fatta in comune, disciplinata secondo le regole che i componenti si son date, controllate dal
capocomico. Tra un momento di vita quotidiana e l’altro, si provano le nuove scene, si scrivono i
canovacci, insomma si rinnova il repertorio. Una vita fatta di stenti e di enormi sacrifici. Ma nonostante
questa precarietà si affaccia sul mercato l’immagine delle compagnie professioniste, cioè composte da
attori che vivono solo ed esclusivamente del loro lavoro di artisti. I comici italiani emigrano in tutti i paesi
d’Europa, e trovano accoglienza soprattutto in Francia, dove si radicano fino a formare un teatro degli
italiani. Questa emigrazione ha portato con sé tutta l’arte dell’improvvisazione, un tasso di creatività tale
da contagiare altri attori, altri autori e tutte le altre arti, è riuscita ad attraversare un tempo secolare, fino
ad invadere il mondo. Il successo della Commedia dell’Arte sta nei linguaggi della comunicazione che
gli attori utilizzano per svolgere le loro perfomance, sta nella miscela e nell’uso di questi linguaggi:
basta prendere un personaggio della Commedia dell’Arte in azione per rendersi conto di come usa il
proprio corpo: gestualità fantasiosa, invenzioni vocali, costumi colorati e ricchi di fantasia, azioni
pantomimiche che sconfinano nella danza; ma soprattutto l’uso della maschera che subito annuncia la
tipologia del personaggio e del suo carattere. Sono tutti elementi leggibili a qualsiasi latitudine e da
qualsiasi persona, colta o non colta, anche se non conosce il valore semantico delle parole che
vengono pronunciate. La Commedia dell’Arte ha generato un linguaggio che appartiene all’Uomo e
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dopo cinque secoli continua a far parlare di sé: la ritroviamo riproposta in spettacoli di molti registi
contemporanei. Ma per praticare questo questo genere di teatro occorrono attori totali che sappiano
fare tutto: cantare, suonare, danzare, recitare, improvvisare. Le due caratteristiche fondamentali della
Commedia dell'Arte erano l’improvvisazione ed i personaggi fissi: gli attori partivano da un canovaccio,
sulla base del quale poi improvvisavano il dialogo e l’ azione, e ogni attore recitava sempre lo stesso
personaggio con il suo costume ed i suoi invariabili attributi. Ogni attore interpretava generalmente lo
stesso personaggio per tutta la vita, e questa pratica deve aver incoraggiato la ripetizione di battute e gesti
che si rivelavano particolarmente efficaci. I lazzi, interventi inizialmente mimici e poi anche verbali, che
l'attore introduceva per commentare e sottolineare comicamente l’ azione principale, venivano ripetuti e
fissati al punto da costituire un vero e proprio repertorio codificato dall'uso. I versetti rimati usati per
chiudere le scene erano ovviamente ripetuti a memoria, e gli attori che interpretavano la parte degli
innamorati venivano incoraggiati ad annotare e utilizzare le espressioni d’amore tratte dalla poesia e
dalla letteratura popolare. Gli scenari (brevi tracce scritte per l’azione drammatica che contenevano la
successione delle scene e spesso le indicazioni dei lazzi) si svilupparono e si perfezionarono nel
tempo, passando da una compagnia all'altra. Ne sono stati conservati più di mille: i cinquanta scenari
più antichi furono pubblicati da Flaminio Scala (che operò tra la fine del Cinquecento e l'inizio del
Seicento) nel 1611. La maggior parte di questi copioni era comica, ma qualcuno aveva un carattere
serio e molti avevano toni e sviluppi melodrammatici. La popolarità delle compagnie, comunque, era
affidata soprattutto alle commedie che rappresentavano storie d'amore intrighi, travestimenti ed
equivoci. Ogni compagnia aveva il suo bagaglio di personaggi fissi, ognuno con un nome e delle
caratteristiche che lo distinguevano dai personaggi simili presenti in altre compagnie.
INDICE
-PARTE PRIMA-
SPAZI TEMPI E FORME
LO SPAZIO DEL TEATRO
TEMPI TEATRALI
FORME DI TEATRO
DAL TEATRO GRECO ALLA COMMEDIA DELL'ARTE
IL TEATRO GRECO
ESCHILO
SOFOCLE
EURIPIDE
IL TEATRO LATINO
IL TEATRO NEL MEDIOEVO
IL TEATRO RINASCIMENTALE
LA COMMEDIA DELL’ ARTE
Nota: Gli argomenti trattati sono quelli che normalmente si affrontano con i ragazzi nel laboratorio di
teatro di Scuola - Città. Naturalmente tutte le variabili sono ammesse e, a seconda dei progetti, degli
interessi personali, delle proposte degli insegnanti di classe, subiscono necessariamente variazioni e
modifiche.
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