Ottobre-Dicembre 2013 • Vol. 43 • N. 172 • Pp. 215-224 immunologia pediatrica Terapia con immunoglobuline: indicazioni, modalità di somministrazione e meccanismi d’azione Alessandro Plebani, Vassilios Lougaris, Annarosa Soresina, Raffaele Badolato Clinica Pediatrica Università degli Studi di Brescia e Spedali Civili di Brescia Riassunto I primi preparati di immunoglobuline sono stati impiegati a partire dal 1952 ed utilizzati come terapia sostitutiva allo stesso modo in cui l’insulina viene utilizzata nei diabetici. La via di somministrazione inizialmente impiegata (intramuscolare) non consentiva la somministrazione di un volume (ovvero di quantità di IgG) sufficiente a garantire un controllo soddisfacente degli episodi infettivi, ma questi preparati non potevano essere somministrati per via endovenosa che avrebbe consentito l’infusione di un volume maggiore, perché causavano gravi effetti collaterali. Pertanto un grande sforzo è stato compiuto per produrre preparazioni sicure ed efficaci da somministrare per via endovenosa, modalità largamente impiegata a partire dai primi anni ’80. A partire dal 2006, la disponibilità di preparati ad hoc e di pompe di infusione tecnicamente avanzate, hanno permesso di rivalutare la via di somministrazione sottocutanea, che in molte nazioni è diventata la via preferenzialmente utilizzata anche per rispondere alle esigenze di una minore medicalizzazione dei pazienti. A partire dai primi anni ’80 l’osservazione casuale che le immunoglobuline ad alte dosi erano in grado di normalizzare le piastrine nella porpora idiopatica trombocitopenica ha dato l’avvio al loro impiego come terapia immunomodulante in molte altre malattie autoimmuni e/o infiammatorie. La terapia immunomodulante prevede la somministrazione di un dosaggio di immunoglobuline superiore rispetto a quello della terapia sostitutiva. Ma se vi è consenso sul dosaggio, non ancora completamente definiti sono i meccanismi che stanno alla base di questa attività immunomodulante e in questo articolo ne vengono discussi quelli ipotizzati. In questi ultimi anni si è assistito ad un consumo mondiale progressivamente crescente delle immunoglobuline (si è passati da 7.400 kg nel 1984 a 94.860 kg nel 2010). Il consumo per la terapia immunomodulante (spesso per patologie in cui le immunoglobuline sono considerate una terapia off-label) ha di gran lunga superato quello per la terapia sostitutiva, richiamando l’attenzione degli organi competenti sulla formulazione di una scala di priorità per il loro impiego basata sui livelli di evidenza di efficacia. Summary The first preparations of immunoglobulins were introduced in 1952 and were used as a replacement treatment, similarly to the use of insulin in patients with diabetes. The initial route of administration (subcutaneous/intramuscular) did not allow the administration of a sufficient volume to guarantee a satisfactory control of infectious episodes. Moreover, those early preparations could not be administered intravenously due to severe adverse reactions. Therefore, significant effort was made in order to produce immunoglobulin preparations that were both safe and efficacious for intravenous administration, a route that was largely used starting from the 80’s. Since 2006, the availability of specific immunoglobulin preparations and technically advanced infusion pumps has allowed to reconsider the subcutaneous route of administration. This approach was also meant to reduce patients’medicalization. Subcutaneous administration of immunoglobulins has since become the preferred route of administration in many countries. Starting from the early 80’s, the serendipitous observation that immunoglobulin administration could restore platelet count in patients with idiopathic thrombocytopenic purpura (ITP), an autoimmune disorder, led to broaden use of immunoglobulins in the treatment of various autoimmune and/or inflammatory disorders. In such cases, immunoglobulins are not used as a replacement therapy, but rather as an immunomodulatory drug. Moreover, the dosage required to achieve immunomodulatory effects is higher than used for replacement treatment. The mechanisms underlying the immunomodulatory effect of immunoglobulins are still not clear; various hypotheses have been proposed and are discussed in this article. Importantly, in recent years the global consumption of immunoglobulins has raised significantly (from 7,400 kg in 1984 to 94,860 kg in 2010). The consumption of immunoglobulins as immunomodulatory therapy (in many cases still an off-label indication) has largely overtaken that of replacement therapy. Therefore, formulation of a priority scale by the competent authorities for immunoglobulin usage is of paramount importance. Parole chiave: immunoglobulina, terapia sostitutiva, terapia immunomodulante Key words: immunoglobulins, substitution therapy, immunomodulatory effect Introduzione: note storiche L’impiego clinico delle immunoglobuline come terapia empirica risale a più di 100 anni fa quando Emil Von Behring le utilizzò per il trattamento di malattie mediate da tossine (tetano e difterite), ma solo nel 1952 le immunoglobuline sono state impiegate in terapia sostitutiva con lo stesso criterio per cui l’insulina viene utilizzata per il trattamento del diabete di tipo 1. È infatti in quell’anno che Odgeon Bruton descrisse per la prima volta una forma di immunodeficienza primitiva, caratterizzata dall’assenza delle immunoglobuline sieriche, che verrà poi denominata malattia di Bruton o agammaglobulinemia X recessiva (Bruton, 1952). In quel periodo i linfociti T e i linfociti B non erano ancora stati identificati e non erano ancora disponibili metodiche per il dosaggio delle immunoglobuline nel siero. La diagnosi di agammaglobulinemia fu posta da Bruton sulla base dell’assenza del picco gamma all’elettroforesi delle proteine sieriche, esame eseguito mediante l’apparecchio di Arne Tiselius. Agli inizi degli anni ’40, Frederick Cohn e i suoi collaboratori del Dipartimento di Chimica Fisica della Harvard Medical School, avevano allestito un sistema di frazionamento del plasma per la produzione 215 A. Plebani et al. di emoderivati, mediante un procedimento di precipitazione a freddo con etanolo. La frazione II di Cohn derivata da questo processo di frazionamento e che era considerata un prodotto di “scarto”, conteneva la “frazione gamma”, quindi ricca di immunoglobuline sieriche. Bruton, seguendo un’intuizione geniale, ha somministrato per via sottocutanea la frazione II di Cohn, aprendo così la strada a quella che sarebbe poi diventata una terapia elettiva e salvavita per molte forme di immunodeficienza primitiva. In base alle prime esperienze, sembrava che le immunodeficienze primitive potessero rappresentare il gruppo di malattie per le quali la somministrazione di immunoglobuline trovasse l’indicazione non solo più razionale, ma di fatto anche esclusiva. Tuttavia, tale “esclusività” durò fino al 1981, anno in cui alcuni ricercatori svizzeri osservarono che la somministrazione di immunoglobuline ad alte dosi in due soggetti con ipogammaglobulinemia, che casualmente presentavano anche una porpora trombocitopenica idiopatica (PTI), aumentava significativamente i livelli delle piastrine. Questi dati furono in seguito confermati in una casistica più ampia (Imbach et al.,1981;Fehr et al.,1982) e hanno portato alla formulazione del concetto di effetto “immunomodulante” delle immunoglobuline. Per estensione, a partire dalla PTI , la terapia con immunoglobuline è stata sperimentata, con risultati variabili, in molte altre malattie autoimmuni incluse diverse malattie neurologiche per le quali le opzioni terapeutiche sono limitate. Successivamente, l’utilizzo delle immogobuline è stato esteso anche a malattie infiammatorie, sfruttando il loro effetto immunomodulante ed utilizzando un dosaggio differente da quello impiegato nella terapia sostitutiva. Evoluzione della preparazione dei prodotti Nel tempo le modalità di preparazione e di somministrazione delle immunoglobuline hanno subito notevoli variazioni, sia per quanto riguarda il dosaggio che per quanto attiene la via di somministrazione. Contemporaneamente, sono state introdotte significative modifiche nei processi di preparazione delle immunoglobuline per uso terapeutico, con notevoli miglioramenti di sicurezza ed efficacia dei prodotti. Tali progressi si sono associati ad un significativo miglioramento delle prospettive e della qualità di vita dei pazienti trattati con terapia a base di immunoglobuline. Il primo prodotto impiegato da Bruton e somministrato per via sottocutanea, consisteva in un preparato di IGS (immune serum globulin) alla concentrazione di 165 mg/ml, a pH 6.8, che andava conservato a 5°C. In queste condizioni la soluzione nel tempo tendeva a formare aggregati responsabili di gravi effetti collaterali per via della loro capacità di attivare il complemento, se il preparato veniva somministrato per via endovenosa. Quindi i primi prodotti commerciali di immunoglobuline erano indicati esclusivamente per la somministrazione intramuscolare . Tuttavia era apparso subito evidente che l’effetto protettivo delle immunoglobuline somministrate attraverso queste vie era strettamente dipendente dal volume di preparato somministrato e che il volume necessario per somministrare una quantità protettiva di immunoglobuline sarebbe stato troppo elevato per essere accettato dal paziente, anche per via degli effetti collaterali, soprattutto locali. Da qui la necessità di sviluppare prodotti da somministrare per via endovenosa (IVIG). Il problema principale della somministrazione endovenosa è stato quello di eliminare l’attività anticomplementare. Tale obiettivo è stato perseguito mediante la digestione enzimatica, metodica applicata nella preparazione della formulazione dei primi preparati per via endovenosa (IVIG). Tuttavia la digestione con pepsina determinava la formazione di un prodotto contenente il frammento F(ab)2 e il frammento Fc, la digestione con 216 Figura 1. Rappresentazione schematica della molecola di immunoglobulina IgG. È costituita da due catene pesanti legate da ponti disolfuro e da due catene leggere ciascuna legata, sempre da ponti disolfuro, ad una catena pesante. Sia le catene leggere che quelle pesanti sono costituite da una parte variabile (V) e da una parte costante (C). All’interno della molecola intera si riconoscono la parte Fab e la parte Fc. La prima ha la funzione di legare gli antigeni specifici, la seconda di legarsi ai recettori per il frammento Fc (FcγRs) espressi sulle cellule del sistema immune. La digestione con pepsina dà luogo ad un singolo frammento F(ab)2 e ad un frammento Fc, mentre la digestione con papaina dà luogo a due frammenti Fab identici e a un frammento Fc (da Radosevich e Burnouf, 2010). papaina determinava la formazione di un prodotto contenente due frammenti identici di Fab e il frammento Fc e questi preparati sono risultati scarsamente efficaci (Radosevich e Burnouf, 2010) (Fig. 1). Da qui la necessità di produrre preparati con la minor attività anticomplementare possibile, ma al contempo più efficaci, cercando di mantenere intatta la struttura delle immunoglobuline, attraverso metodiche che le modificavano chimicamente. A questo si è arrivati tramite l’impiego di metodiche che facevano uso del trattamento con beta-propiolattone (alchilazione e acilazione di alcuni amminoacidi) o con sulfonazione/alchilazione (rottura del legami disolfidrici tra le catene leggere e quelle pesanti). Ma anche in questo caso il risultato non era soddisfacente, dal momento che questi prodotti chimicamente modificati avevano una vita media molto ridotta, venendo rapidamente eliminati dal sistema reticolo endoteliale. Ai prodotti attualmente disponibili, che sono a molecola IgG intatta e a scarso contenuto di aggregati, si è arrivati attraverso il trattamento del precipitato grezzo di IgG, ottenuto mediante frazionamento alcolico (la frazione II di Cohn), con uno dei seguenti metodi: o con debole trattamento acido (pH 4) in presenza di tracce di pepsina oppure con precipitazione con polietilenglicole (PEG), oppure con purificazione su resine a scambio ionico. Con questi trattamenti si ottengono i prodotti oggi commercialmente disponibili, che sono efficaci e ben tollerati dai pazienti (Tab. I). Per una più completa descrizione della modalità di preparazione dei vari prodotti si rimanda alla bibliografia (Radosevich e Burnouf, 2010). Terapia con immunoglobuline: indicazioni, modalità di somministrazione e meccanismi d’azione Tabella I. Preparati di immunoglobuline umane normali, attualmente disponibili in Italia (da www.codifa.it, settembre 2013). Prodotti per via endovenosa Prodotto Ditta Flebogamma Instituto Grifols Poligono Levante S.A. Gammagard Baxter S.p.A. Gamten Octapharma Italy S.p.A. Ig Vena Kedrion S.p.A. Intratect Biotest Pharma GmbH Keyven Kedrion S.p.A. Kiovig Baxter AG Octagam Octapharma Limited Pentaglobin Biotest Pharma GmbH Privigen CSL Behring GmbH Venital Kedrion S.p.A. Prodotti per via sottocutanea Prodotto Ditta Hizentra CSL Behring GmbH Subcuvia Baxter AG Vivaglobin CSL Behring GmbH Sicurezza dei preparati I vari prodotti di IVIG vengono preparati partendo da miscele di plasma di migliaia di donatori. Questo consente di disporre di preparati con elevati titoli anticorpali e ampio spettro di azione. Tuttavia, quanto più è elevato il numero dei donatori tanto più è elevata la probabilità che una donazione possa essere contaminata. Nonostante fosse noto che il frazionamento alcolico fosse in grado di ridurre il rischio di trasmissione di agenti virali, nel 1983 sono stati riportati diversi casi di trasmissione di epatite non A-non B (quella che adesso noi conosciamo con il nome di epatite C) occorsi in seguito alla somministrazione di diversi preparati di IVIG (Yap, 1996). Nonostante non fosse stata accertata la causa di queste trasmissioni, si è ritenuto che fosse da ricercarsi nella procedure di preparazione di questi prodotti. Questi casi hanno portato a rivedere e a migliorare i sistemi di controllo dell’inattivazione virale durante i processi di preparazione e ad estenderli su larga scala (Radosevich e Burnouf, 2010). Al riguardo sono stati introdotti diversi metodi quali: 1. la pastorizzazione: si tratta di un trattamento a 60°C per 10 ore che inattiva sia virus capsulati che non capsulati; al fine di evitare la formazione di aggregati vengono aggiunti degli stabilizzanti (sucroso o sorbitolo) che vengono poi rimossi attraverso la nanofiltrazione; 2. un trattamento con solvente (tri-n-butilfosfato)/detergente (polisorbato 80 e/o triton X-100) per 1-6 ore a 20-35°C. I solventi/ detergenti vengono poi rimossi tramite cromatografia. Efficace nella inattivazione dei virus capsulati; 3. un trattamento con acido caprilico per 1 ora a 20°C. Efficace nella inattivazione dei virus capsulati; 4. la nanofiltrazione. Può essere eseguita utilizzando filtri con pori differenti. Efficace nella rimozione di virus capsulati e non capsulati. Sembra efficace nella rimozione anche di proteine prioniche. L’applicazione di una o più di queste metodiche ha significativamente aumentato la sicurezza dei prodotti attualmente disponibili per quanto riguarda la trasmissione di virus. In ogni caso il controllo della qualità dei preparati inizia con l’identificazione e la selezione dei donatori sulla base della valutazione della storia clinica, tenendo anche in considerazione i dati di sorveglianza epidemiologica della popolazione di appartenenza. Ogni singolo donatore deve risultare negativo per la presenza di anticorpi contro l’HIV-1/2, l’HCV e per l’antigene di superficie dell’ HBV (HBsAg). Inoltre, su mini-pool di plasma, con sempre maggiore frequenza, viene eseguita la ricerca degli acidi nucleici per HIV, HBV, HCV, HAV e per parvovirus B19. Il pool di plasma finale da sottoporre alla procedura di frazionamento deve risultare negativo per gli acidi nucleici dell’HCV, per gli anticorpi anti HIV e per l’antigene HbsAg. Diverse aziende, oltre a queste indicazioni di legge, eseguono la ricerca anche degli acidi nucleici per l’HIV, l’HBV, il Parvovirus B19 e l’HAV. Tutte queste misure contribuiscono a ridurre il carico virale nel materiale di partenza. Caratteristiche dei prodotti Per essere efficace e il più possibile privo di effetti collaterali, il prodotto deve contenere livelli di IgG superiori al 95% con una fisiologica distribuzione delle singole sottoclassi delle IgG ed un ampio spettro di attività anticorpale, meno del 3% di aggregati di elevato peso molecolare e livelli minimi di IgA, titolo di isoemoagglutinine (anti A e anti B) <1/64, attività anticomplementare ≤1, concentrazioni di attivatore della prekallicreina <35UI/ml. Infine, il prodotto non deve contenere HBsAg né anticorpi anti HIV-1, HIV-2 e anti HCV. Una più completa descrizione dei parametri internazionali che riguardano il controllo di qualità dei preparati, secondo le Good Manufacturing Practices si può avere consultando i seguenti siti: http://www.nibsc. ac.uk/products/catalogue.html; http://www.who.int/bloodproducts/ catalogue/en/index.html). In Italia i prodotti di immunoglobuline sono erogati dal Servizio Sanitario Nazionale, attraverso le farmacie ospedaliere o le singole ASL. I prodotti ad oggi disponibili in Italia sono elencati in tabella I. Applicazioni terapeutiche e trattamento sostitutivo Indicazioni Il trattamento sostitutivo con Ig rappresenta la terapia elettiva e salvavita delle immunodeficienze primitive a prevalente difetto dell’immunità umorale, mentre per le forme di immunodeficienza combinata (umorale e cellulare) questo trattamento è di supporto al trapianto di midollo osseo che rappresenta la terapia elettiva (Tab. II). Il trattamento sostitutivo con Ig alle dosi considerate standard (vedere paragrafo successivo) ha significativamente ridotto la morbilità e mortalità e migliorato la qualità di vita di questi pazienti (Maarschalk-Ellerbroek et al., 2011). Prendendo ad esempio l’agammaglobulinemia, dai dati della letteratura pubblicati nella metà degli anni ’80 e ’90, la mortalità, principalmente di natura infettiva, era circa del 18% (Smith e Witte, 1999). In una casistica più recente di 73 pazienti (Plebani et al., 2002), ma confermata in una casistica più estesa di 180 pazienti registrati nella banca dati IPINET, la mortalità è risultata del 5%. La differenza tra le casistiche degli anni ’80 e ’90 e quelle più recenti sta nel fatto che le prime riguardavano molti più pazienti trattati a lungo con immunoglobuline intramuscolo e con una diagnosi tardiva, mentre le più recenti contengono pazienti con 217 A. Plebani et al. Tabella II. Indicazioni all’impiego delle IVIG. Per la terapia immunomodulante, lista abbreviata e formulata secondo le indicazioni dell’FDA (Gelfand, 2012). Terapia sostitutiva • Immunodeficienze primitive - Agammaglobulinemia X e autosomica recessiva - Immunodeficienza comune variabile - Immunodeficienza con Iper IgM - Sindrome linfoproliferativa X recessiva - Sindrome di Wiskott-Aldrich - Difetto anticorpale nella atassia-telengiectasia e nella Del22 - Immunodeficienze combinate • Immunodeficienze secondarie - Infezione pediatrica da HIV - Trapianto di midollo osseo alogeneico - Trapianto di rene in ricevente con titoli anticorpali elevati o un donatore ABO incompatibile - Leucemia linfocitica cronica e mieloma Terapia immunomodulante • Approvata - Porpora Idiopatica Trombocitopenica - Polineuropatia infiammatoria demielinizzante cronica - Malattia di Kawasaki - Neuropatia motoria multifocale • Approvata, ma se in presenza di alcune condizioni* Malattie neuromuscolari: - Sindrome di Guillain-Barrè - Sclerosi multipla ricorrente - Miastenia gravis - Polimiosite refrattaria - Poliradicoloneuropatia - Miastenia di Lambert-Eaton - Opsociono-Mioclono - Retinopatia di Birdshot - Dermatomiosite refrattaria Malattie ematologiche: - Anemia emolitica autoimmune - Grave anemia da parvovirus B19 - Neutropenia autoimmune - Trombocitopenia neonatale alloimmune - Trombocitopenia HIV associata - GVHD (Graft-versus-host disease) - Infezione da CMV o polmonite interstiziale in pazienti che devono fare trapianto di midollo Malattie dermatologiche: - Pemfigo volgare - Pemfigo foliaceo - Pemfigoide bolloso - Epidermolisi bollosa - Fascite necrotizzante - Necrolisi epidermica tossica * Diagnosi certa, fallimento o controindicazione ai trattamenti usuali, rapida progressione o ricaduta della malattia, miglioramento documentato dopo somministrazione di Ig. 218 diagnosi più precoce e che avevano iniziato il trattamento per via endovenosa subito dopo la diagnosi. Questo dimostra che una diagnosi precoce, prima che siano instaurate complicanze (soprattutto le bronchiectasie), associata ad un adeguato e tempestivo trattamento sostitutivo, sono le due condizioni essenziali per ridurre la mortalità e la morbilità e per garantire a questi pazienti una qualità di vita per molti versi simile a quella dei loro coetanei sani. Il follow-up prolungato di questi pazienti ha anche consentito di dimostrare che, mentre il trattamento sostitutivo controlla ottimamente le infezioni gravi (sepsi, encefaliti da enterovirus, ecc.), non altrettanto ottimale è il controllo delle infezioni a livello mucoso. Infatti durante il followup, a dispetto di un appropriato trattamento sostitutivo, le infezioni più frequenti erano le gastroenteriti e le bronchiti e broncopolmoniti, queste ultime responsabili dello sviluppo di pneumopatia cronica, che rappresenta tuttora la maggior causa di morte di questi pazienti. Questo dimostra che le immunoglobuline non raggiungono in modo ottimale le superfici mucose dove dovrebbero svolgere il loro maggiore effetto protettivo. Per questo motivo è importante associare alla terapia sostitutiva la fisioterapia respiratoria. Oltre all’uso nelle immunodeficienze primitive, la terapia sostitutiva con Ig è indicata anche in alcune condizioni che presentano un difetto anticorpale di tipo secondario come i tumori, l’infezione da HIV, alcune malattie oncoematologiche, il trapianto di midollo o di organi. Si tratta di indicazioni formulate in base al grado di raccomandazione ottenuto partendo dai livelli di evidenza di efficacia (Orange et al., 2006; Nimmerjahn e Ravetch, 2008; Gelfand, 2012). Per quanto riguarda l’impiego nei prematuri come prevenzione delle sepsi neonatali, una recente valutazione del Cochrane Neonatal Group riporta che il loro impiego riduce del 3% gli episodi di sepsi e del 4% le infezioni gravi, senza tuttavia incidere significativamente sulla mortalità (Soll, 2013). Vie di somministrazione e dosaggio utilizzato Le principali tappe riguardanti la via di somministrazione delle immunoglobuline sono riportate in Figura 2. È interessante notare come la prima somministrazione di Ig praticata da Bruton sia stata eseguita per via sottocutanea, via che in questi ultimi anni è stata di molto rivalutata e praticata. Il dosaggio arbitrariamente scelto da Bruton era di 3.2 g al mese (corrispondente a circa 100 mg/kg del suo paziente). Sono stati Janeway e Gitlin poco dopo a proporre la via di somministrazione intramuscolare, consensualmente accettata a livello internazionale. Tuttavia, il dosaggio proposto (100 mg/ kg/mese) risultava insufficiente a raggiungere livelli di IgG sieriche considerati protettivi, che avrebbero richiesto la somministrazione di volumi molto elevati, con conseguenti importanti effetti collaterali, soprattutto dolore locale, difficilmente accettabile da parte del paziente, soprattutto se di peso elevato. Inoltre, sebbene questo dosaggio risultasse efficace nel ridurre gli episodi di infezioni gravi (come la sepsi), non lo era nel controllare complicanze croniche a lungo termine come le bronchiectasie. Da qui la necessità di sviluppare prodotti che potessero essere somministrati per via endovenosa consentendo la somministrazione di volumi più elevati e quindi di raggiungere livelli sierici di IgG più efficaci. Questi prodotti si sono resi disponibili nella seconda metà degli anni ’80 e hanno rapidamente soppiantato i preparati per via intramuscolare. Inizialmente anche per i preparati per via endovenosa, il dosaggio raccomandato era di 100 mg/kg/mese. Fu in seguito al lavoro di Roifman (Roifman et al., 1987) che aveva dimostrato come il mantenimento di elevati livelli sierici di Ig (> 500 mg/dl) riducesse le complicanze polmonari, che la dose di 400 mg/kg/mese è stata considerata la dose standard. In ogni caso, il dosaggio può essere aggiustato secondo le Terapia con immunoglobuline: indicazioni, modalità di somministrazione e meccanismi d’azione Figura 2. Terapia sostitutiva con immunoglobuline: principali tappe storiche. varie necessità del paziente riducendo gli intervalli tra una somministrazione e l’altra o aumentando la dose. In questo secondo caso è stato dimostrato che un aumento di 100 mg/kg/mese determina un aumento di IgG sieriche di circa 120 mg/dl e che, ogni aumento di concentrazione di 100 mg/dl, determina una riduzione del 27% degli episodi infettivi. Ad esempio, la frequenza degli episodi di polmonite ad un dosaggio di IgG che mantiene i livelli sierici attorno ai 500 mg/dl è 5 volte superiore a quella osservata ad un dosaggio che mantenga i valori i IgG attorno ai 1000 mg/dl (Orange et al., 2010). Questo dimostra che il controllo delle infezioni delle basse vie aeree dipende principalmente dai livelli di IgG sieriche. Tuttavia, tali considerazioni valgono per l’agammaglobulinemia, ma non per l’immunodeficienza comune variabile, condizione che, a differenza dell’agammaglobulinemia può associarsi alla presenza di IgA. Le IgA presenti possono svolgere un parziale ruolo protettivo a livello delle mucose, consentendo di controllare gli episodi infettivi anche con un dosaggio inferiore di IgG (Quinti et al., 2011). In questi ultimi anni, vi è stato un ritorno alla somministrazione delle Ig per via sottocutanea. Ciò è stato reso possibile dalla commercializzazione di prodotti specificamente preparati per la somministrazione attraverso questa via. La disponibilità di pompe da infusione di dimensioni sempre più piccole e più efficaci, la possibilità di somministrare questi preparati a livello domiciliare, la farmacocinetica più fisiologica di questi preparati rispetto a quelli per via endovenosa (livelli costantemente stabili senza picco iniziale), il desiderio dei pazienti di essere meno medicalizzati e di programmare e adattare la terapia alle proprie necessità anche professionali, la pressocché assenza di effetti collaterali gravi, hanno contribuito, in questi ultimi anni, alla aumentata diffusione di questa via di somministrazione nella maggior parte delle nazioni. Inoltre analisi di farmacoeconomia hanno dimostrato che la somministrazione domiciliare sottocutanea è economicamente vantaggiosa per il servizio sanitario nazionale, consentendo di risparmiare sui costi dell’ospedalizzazione (Haddad, 2012). Il dosaggio utilizzato per la via sottocutanea è di 100 mg/kg/settimana, equivalente al dosaggio di 400 mg/kg/mese del preparato per via endovenosa. L’FDA americana, considerata la diversa biodisponibilità delle Ig per via sottocutanea rispetto a quelle per via endovenosa, raccomanda che il dosaggio delle IgG per via sottocutanea sia aumentato del 37% rispetto a quello per via endovenosa. Questa raccomandazione non è invece prevista nelle disposizioni europee, perché non da tutti gli autori condivisa. Trattamento immunomodulante Indicazioni Come precedentemente accennato, il riscontro di un aumento delle piastrine in un soggetto con PTI e ipogammaglobulinemia in seguito alla somministrazione di immunoglobuline indicate per la sua condizione di immunodeficienza ha dato l’avvio al loro impiego in molte altre forme di malattie autoimmuni/infiammatorie, postulando che le IgG agissero in questo caso con un effetto immunomodulante. In tabella II sono riportate le malattie per le quali le immunoglobuline sono utilizzate per questo effetto (Gelfand, 2012). Solo per poche malattie il loro uso è stato approvato; per la maggior parte il trattamento è ancora considerato off-label, oppure è suggerito sulla base di esperienze sporadiche, ma non esistono tuttora studi clinici controllati. Peraltro ci possono essere differenze tra le varie agenzie per quanto riguarda la classificazione off-label di alcune patologie (es. la Guillain-Barré approvata in Europa non lo è da parte dell’FDA) e per quanto riguarda la valutazione dei livelli di evidenza di efficacia delle IVIG tra le varie forme considerate off-label riportate nei vari lavori della letteratura, ai quali si rimanda per un maggiore approfondimento (Orange et al., 2006; Nimmerjahn e Ravetch, 2008, Gelfand, 2012). In ogni caso, l’orientamento attuale degli organi competenti è di autorizzare singoli prodotti per singole malattie, nelle quali sia stata dimostrata l’efficacia. Il dosaggio comunemente utilizzato come immunomodulante è di 2g/kg/dose per via endovenosa, in un intervallo di tempo che va dalla somministrazione in sole 12 ore fino anche a frazionare il do- 219 A. Plebani et al. Tabella III. Meccanismi dell’attività antiinfiammatoria e immunomodulante delle IgG. Attività mediata dal frammento Fab - Soppressione o neutralizzazione degli autoanticorpi - Sopressione o neutralizzazione delle citochine - Neutralizzazione dei componenti derivati dall’attivazione del complemento - Network idiotipo-antidiotipo - Blocco del legame con le proteine di adesione - Effetto su specifici recettori cellulari - Modulazione della maturazione e funzione delle cellule dendritiche Attività mediata dal frammento Fc - Blocco dell’FcRn - Blocco degli Fcγs attivatori - Aumentata espressione di FcgRIIB con attività inibitoria - Immunomodulazione attraverso la componente glicosilata delle IgG saggio in 4-5 giorni. Recenti trial hanno dimostrato l’efficacia anche della somministrazione per via sottocutanea nel trattamento di malattie neurologiche (Markvardsen et al., 2013). Meccanismi di azione Tuttora poco noti sono i meccanismi attraverso i quali le IgG ad alte dosi risultano essere efficaci. In particolare, è difficile comprendere, in special modo per le malattie causate da autoanticorpi, come una miscela policlonale di IgG possa sopprimere l’attività dello stesso isotipo di immunoglobulina che riconosce autoantigeni (autoanticorpo), fenomeno definito come “paradosso delle IgG endovena”. A complicare ulteriormente il quadro interpretativo vi è l’osservazione che questo trattamento si è dimostrato efficace anche per malattie che non sono mediate da autoanticorpi. Sulla base delle osservazioni cliniche e dei dati sperimentali disponibili, in modo particolare nel modello murino, sono state formulate varie ipotesi e costruiti modelli interpretativi che prendono in considerazione meccanismi mediati, da una parte, dalla porzione F(ab)2, e dall’altra, dalla porzione Fc delle IgG (Tab. III); il ruolo predominante comunque viene svolto dal frammento Fc. Inoltre non va trascurato l’effetto di altre molecole, non correlate alle immunoglobuline, che possono essere presenti nei diversi preparati. Sarebbe troppo lungo elencare le varie malattie nelle quali l’effetto immunomodulante si ipotizza venga svolto dalla porzione F(ab)2 o dalla porzione Fc della molecola immunoglobulinica; al riguardo rimando a eccellenti lavori di review che sono stati pubblicati sull’argomento (Nimmerjahn e Ravetch, 2008; Schwab e Nimmerjahn, 2013). A scopo esemplificativo citerò due dei possibili meccanismi attraverso i quali la porzione F(ab)2, svolge funzione immunomodulante: 1. la sua capacità di legare e quindi neutralizzare il C3a e il C5a che hanno una potente attività proinfiammatoria; 2. la presenza nel prodotto di anticorpi specifici per molecole del “self” (citochine, parte variabile delle IgG [anti-idiotipo], CD95, CD95L, BAFF, APRIL, ecc.) coinvolte nella risposta infiammatoria. In merito a questo secondo punto, è importante citare l’esempio della necrolisi epidermica tossica (TEN: toxic epidermal necrolysis), patologia indotta da farmaci e che è caratterizzata dal distacco dell’epidermide dal derma per apoptosi dei cheratinociti, causata dall’interazione del 220 CD95 (FAS) con il suo ligando (CD95L). La presenza nei preparati di immunoglobuline di anticorpi diretti contro il CD95 blocca questa interazione. Studi in vitro hanno infatti dimostrato che l’eliminazione di questi anticorpi dal preparato ne determinano la perdita di efficacia. Tuttavia, come già accennato, è l’interazione del frammento Fc con i vari recettori (FcgRs) espressi sulla superficie cellulare a svolgere la gran parte del ruolo immunomodulante attribuito alle IVIG. Va comunque sottolineato che i dati sperimentali al riguardo non sono sempre facilmente interpretabili e diversi meccanismi sono stati ipotizzati. I FcgRs sono una famiglia di diversi recettori con funzioni differenti (Fig. 3) e che sono largamente espressi, anche se a densità differente, sulle cellule del sistema immune, inclusi i basofili, gli eosinofili, le mastcellule, i monociti e i macrofagi. Diverse sono le ipotesi, non mutualmente esclusive, sul ruolo degli FcgRs nel condizionare l’effetto immunomodulante delle IgG (Schwab e Nimmerjahn, 2013) che sono di seguito riportate. Ruolo di FcRn (neonatal Fc receptor). Questo recettore appartiene alla famiglia delle molecole HLA di Classe I, regola la vita media delle IgG sieriche ed è espresso da una ampia varietà di cellule incluse le cellule endoteliali e i macrofagi. Modelli murini che mancano di questa proteina o della b2-microglobulina, presentano valori di Ig molto ridotte, come conseguenza della riduzione della loro vita media. La funzione di questo recettore è di legare le Ig sieriche, fagocitarle e reimmetterle in circolo dopo averle riespresse sulla superficie cellulare (Junghans e Anderson, 1996). In sua assenza questo processo non avviene e quindi le IgG vengono eliminate in poche ore con significativa riduzione della vita media (Li et al., 2005). Il ruolo immunomodulante delle IgG infuse ad elevate concentrazioni, consiste nella competizione con gli autoanticorpi circolanti del paziente per il legame con l’FcRn. In questo modo gli autoanticorpi sono esclusi dal processo di fagocitosi e reimmissione in circolo e pertanto vengono velocemente eliminati (Fig. 4, modello 1). Tuttavia questo modello è stato messo in discussione da un recente lavoro nel quale si dimostra che il miglioramento della PTI in seguito all’infusione di IgG si verifica anche in topi difettivi per FcRn (Crow et al., 2011). Ruolo degli FcgRs Partendo dal concetto che gli FcgRs svolgono un ruolo centrale nel mediare i meccanismi effettori anticorpo-dipendenti della risposta infiammatoria, è apparso ragionevole ipotizzare che il ruolo immunomodulante delle IgG infuse fosse di limitare l’accesso agli FcgRs attivatori degli immunocomplessi circolanti. Questa ipotesi era supportata dall’osservazione che la clearance dei globuli rossi opsonizzati con anticorpi anti D radiomarcati era ritardata nei pazienti con PTI trattati con IgG (Fehr et al., 1982). Ipotesi che in parte contraddice quella del modello precedente, perché se il ruolo delle IVIG è quello di bloccare l’FcRn, gli immunocomplessi radio marcati avrebbero dovuto essere eliminati più rapidamente. Tuttavia, alcuni studi hanno dimostrato che la somministrazione di anticorpi anti Rh (D) in pazienti con PTI Rh (D) positivi, (con conseguente formazione di immunocomplessi) aveva lo stesso effetto della somministrazione di IVIG (Crow e Lazarus, 2008). Questi lavori hanno quindi rafforzato l’ipotesi che l’attività immunomodulante delle IgG infuse dipenda dalla capacità di inibire, per competizione, il legame degli immunocomplessi circolanti agli FcgRs attivatori presenti sui macrofagi (Fig. 4, modello 2). Secondo questo modello, l’effetto immunomodulante delle IVIG viene svolto dagli immunocomplessi (aggregati) presenti negli stessi preparati. Questo può in parte spiegare perché Terapia con immunoglobuline: indicazioni, modalità di somministrazione e meccanismi d’azione Figura 3. Famiglia degli FcγRs dell’uomo. L’FcRn appartiene alla famiglia delle molecole HLA di classe I e controlla la vita media delle IgG. Gli altri recettori sono in grado di legare la parte Fc delle IgG e il loro coinvolgimento controlla la risposta cellulare. La molecola DC-SIGN è in grado di legare la componente glicosilata delle IgG e svolge attività antiinfiammatoria (da Schwab e Nimmerjahn, 2013). siano richieste elevate concentrazioni di IVIG per avere l’effetto immunomodulante. Ruolo di FcgRIIB L’osservazione che non sempre la somministrazione di anticorpi anti Rh(D) in pazienti con PTI Rh(D) positivi era efficace nel controllare i livelli di piastrine e che la presenza di dimeri o aggregati nei vari preparati di anticorpi anti Rh(D) non determinava un effetto terapeutico (Schwab e Nimmerjahn, 2013), ha portato a ipotizzare altri meccanismi, oltre a quello del blocco degli FcgRs. L’osservazione che topi difettivi in FcgRIIB, o topi nei quali questo recettore era stato bloccato con l’uso di Ab monoclonali – utilizzando sempre come modello la PTI – non rispondevano al trattamento con IVIG (Samuelsson et al., 2001), ha fatto ipotizzare che l’FcgRIIB, considerato un recettore con attività inibitoria, potesse giocare un ruolo significativo sull’effetto immunomodulante delle IVIG. Tale ipotesi è stata confermata da studi successivi condotti su modelli murini e umani, che hanno dimostrato che, in seguito alla somministrazione di IVIG, si ha un’aumentata densità di espressione di FcgRIIB sulle cellule della linea mieloide o un aumento del numero delle cellule mieloidi che esprimono questo recettore. (Tackenberg et al., 2009). Si avrebbe inoltre una redistribuzione dei recettori FcgRs con aumento degli inibitori rispetto agli attivatori. Gli immunocomplessi circolanti si legano quindi preferenzialmente a FcgRs con attività inibitoria. (Fig. 4, modello 3). Glicosilazione delle IgG Le IgG sono glicoproteine che contengono una catena glucidica legata al residuo di asparagina in posizione 297 di ciascuna catena del frammento Fc. L’importanza della catena glucidica sull’effetto immunomodulante delle IgG è dimostrata dal fatto che questo effetto viene eliminato se le IVIG sono deglicosilate. L’effetto terapeutico è mediato dalla parte glicosilata dell’Fc e non da quella del F(ab)2. È stato inoltre visto che l’attività immunomodulante viene abrogata in seguito alla rimozione di acido sialico terminale; viene al contrario potenziata se la catena glucidica viene arricchita in acido sialico. Recentemente sono state identificate diverse proteine, appartenenti alla famiglia delle molecole SIGLEC (sialic acid-binding Ig-like lec- tins) (Pillai et al., 2012), espresse sulla superficie delle cellule del sistema immune e che hanno la capacità di legare molecole che contengono residui terminali di acido sialico. Trattandosi di proteine che presentano nella parte intracellulare della molecola sequenze con attività inibitoria (ITIMs: immunoreceptor tyrosine-based inhibitory motif) è ragionevole pensare che anche queste molecole possano contribuire all’effetto immunomodulante delle IVIG. Inoltre, la dimostrazione che in topi deficitari della molecola SIGNR1 (ICAM-3 grabbing non-integrin-related 1) o trattati con anticorpi monoclonali diretti contro questa proteina veniva eliminato l’effetto immunomodulante delle IVIG (Anthony et al., 2008), ha permesso di attribuire a questa molecola un ruolo nei meccanismi della immunomodulazione. Si tratta di una proteina espressa da varie cellule del sistema immune con capacità di legare le glicoforme di IgG ricche in acido sialico. Agendo da recettore per le IgG glicosilate svolge una funzione simile a quella degli FcgRs. L’equivalente umano di SIGNR1 è DC-SIGN, espresso sulle cellule dendritiche, anch’esso in grado di legare le glicoforme di IgG ricche in acido sialico. In seguito a questo legame viene attivata la produzione di IL33 e IL4. Quest’ultima aumenta l’espressione del recettore FcgRIIB con attività inibitoria e riduce l’espressione di FcgRs con proprietà attivatorie sulle cellule macrofagiche; pertanto, gli immunocomplessi circolanti si legano preferenzialmente ai recettori inibitori evitando di svolgere attività infiammatoria (Antony et al., 2011). Recentemente è stato dimostrato che l’interazione delle IVIG con DC-SIGN determina anche espansione delle cellule Treg, mediata dalla produzione di prostaglandine E2 da parte delle cellule dendritiche (Trinath J et al., 2013). Secondo queste osservazioni sperimentali l’attività immunomodulante delle IgG dipende quindi anche dal contenuto in acido sialico delle varie glicoforme di IgG presenti in un preparato. Le ipotesi sopradescritte sono state formulate sulla base di protocolli sperimentali differenti ed è verosimile che ciascun protocollo metta in evidenza solo un aspetto del puzzle, peraltro complesso e non completamente chiarito, di come le IVIG svolgano l’effetto immunomodulante. In realtà è molto probabile che i vari meccanismi soprariportati concorrano, integrandosi l’uno con l’altro alla realizzazione di questo effetto. 221 A. Plebani et al. durante le prime somministrazioni del preparato o quando il paziente ha in corso un’infezione. Dopo qualche somministrazione dello stesso prodotto solitamente questi eventi tendono a scomparire, ma il 10-20% dei pazienti possono presentare reazioni anche dopo un periodo variabilmente lungo di trattamento ben tollerato. Da qui la necessità di monitorare sempre attentamente questi pazienti. Reazioni avverse gravi (anafilassi, crisi d’asma, sindrome di Stevens-Johnson, trombosi, citopenia, emolisi, convulsioni, meningite asettica, ecc.) sono fortunatamente più rare. Tra le complicanze rare è stata segnalata anche l’insufficienza renale, per lo più associata a prodotti contenenti stabilizzanti a base di zuccheri (saccarosio, maltosio glucosio). Pertanto, prodotti che contengono zuccheri vanno evitati nei pazienti con problemi renali per l’aumentato rischio di complicanze renali e nei pazienti diabetici al fine di evitare brusche variazioni dei livelli glicemici. L’osmolarità del preparato e la presenza di fattori procoagulanti vanno tenuti in considerazione per i pazienti con problemi cardiovascolari, disfunzione renale e rischio tromboembolico. Il passaggio alla somministrazione per via sottocutanea riduce il rischio di reazioni gravi e le reazioni avverse sono solitamente lievi e locali (rossore, gonfiore, ecc.). Considerazioni sull’uso appropriato della terapia con immunoglobuline Figura 4. Modelli che spiegano il ruolo immunomodulante delle IVIG mediato dal frammento Fc. a. Solitamente il recettore FcRn espresso dalle cellule endoteliali capta le IgG sieriche, le fagocita e le riesprime di nuovo in superficie, consentendone la loro reimmissione in circolo. È questo processo che determina la vita media delle IgG sieriche; quelle che non passano attraverso questo meccanismo vengono eliminate nel giro di qualche ora. Nel caso in circolo ci siano numerosi immunocomplessi, formati da autoanticorpi che legano l’autoantigene specifico, questi si legheranno ai recettori sia attivatori che inibitori, espressi sulle cellule del sistema immune (macrofago) e, a seconda della densità di espressione di questi recettori, si svilupperà il quadro infiammatorio. b. Sono illustrati i tre possibili modelli attraverso i quali si esplica l’effetto immunomodulante delle IVIG ad alte dosi. Modello 1. Le IVIG somministrate saturano i recettori FcRn, portando quindi alla rapida eliminazione degli autoanticorpi. Modello 2. Le IVIG competono con gli immunocomplessi circolanti per il legame con gli FcγRs presenti sui macrofagi. Modello 3. Le IVIG somministrate inducono un’aumentata espressione di recettori inibitori (FcγRIIB), che annullano l’effetto infiammatorio degli immunocomplessi circolanti (da Nimmerjahn e Ravetch, 2008). Tollerabilià e scelta del prodotto I prodotti oggi disponibili sono in genere ben tollerati. Dai numerosi studi della letteratura riportati, risulta che i più comuni eventi avversi sono di lieve entità (dolore addominale, lombare, cefalea, nausea, vomito, rash orticarioide, mialgia, asma lieve, febbre di media intensità). Tali eventi avversi si verificano nel 5-15% dei pazienti e, in genere, sono controllabili con l’interruzione del trattamento o con la riduzione nella velocità di somministrazione. La somministrazione di antiinfiammatori non steroidei e/o antiistaminici, può essere utile; qualora la risposta sia scarsa è indicata la somministrazione di steroidi (idrocortisone 10 mg/kg/dose). Le reazioni sono più frequenti 222 In queste ultime decadi si è assistito ad un considerevole allargamento delle indicazioni all’impiego terapeutico delle immunoglobuline tanto che il loro consumo ha significativamente superato quello di altri emoderivati come l’albumina, i fattori della coagulazione, ecc. Il mercato mondiale delle Ig è passato da 7.400 kg nel 1984 a 94.860 nel 2010. Questo aumento è dovuto ad una richiesta sempre maggiore del loro utilizzo come terapia immunomodulante e quindi ad uno spettro sempre più ampio di malattie (autoimmuni, infiammatorie, neurologiche, cutanee, ecc.) nelle quali le immunoglobuline sono state e vengono utilizzate. Tuttavia, per quanto riguarda queste malattie, è interessante osservare che solo il 40-50% delle immunoglobuline è stato utilizzato per il trattamento di malattie per le quali esiste un consenso generale; per il rimanente 60-50% il trattamento è off-label. Spesso il loro impiego è guidato da sporadiche segnalazioni della letteratura piuttosto che da robuste evidenze clinico-sperimentali; certo, in ogni caso si riferiscono a pazienti per i quali le opzioni terapeutiche classiche si erano rivelate fallimentari. Un eccessivo e ingiustificato loro utilizzo per malattie considerate off-label potrebbe riportare ad un esaurimento della disponibilità del prodotto, creando dei problemi per quelle patologie per le quali questo trattamento è di prima scelta, come si è verificato a partire dal 1997. Allora un insieme di fattori avevano portato ad una crisi di disponibilità di Ig, tra i quali la crescente domanda e la diminuzione dell’offerta per i problemi legati alla diffusione dell’AIDS e della malattia di Creutzfeldt-Jakob (vCJD). Questi ultimi hanno imposto una serie di misure precauzionali per assicurare la massima sicurezza degli emoderivati, che hanno influito sulla disponibilità di materiale: test di screening più specifici e sensibili, estensione e applicazione dei metodi di inattivazione virale, maggiori controlli sui donatori, ritiro dei prodotti provenienti da donatori a rischio di vCJD, divieto, per un determinato periodo di tempo, di usare plasma da sangue intero raccolto in Inghilterra e in altri paesi europei. Queste limitazioni costrinsero l’industria del plasma ad effettuare delle ristrutturazioni, alcune aziende chiusero, altre si fusero. Si arrivò nel Terapia con immunoglobuline: indicazioni, modalità di somministrazione e meccanismi d’azione 1998 ad una riduzione della produzione e ad una grave carenza di immunoglobuline. Negli USA la crisi fu così grave che il Congresso, in seguito alla sollecitazione della Immune Deficiency Foundation, emise una serie di provvedimenti volti ad aumentare la produzione di immunoglobuline. A partire dal 2006 produzione e fabbisogno si bilanciarono. A questo si è arrivati anche attraverso la formulazione, da parte di società scientifiche, di linee guida nelle quali le raccomandazioni all’impiego delle immunoglobuline erano definite sulla base di evidenze scientifiche (Orange et al., 2006). L’applicazione di queste indicazioni associate al monitoraggio del consumo delle IVIG rappresentano un importante strumento di controllo per ottimizzare l’utilizzo e garantire la disponibilità delle IVIG. Box di orientamento Cosa si sapeva prima Il primo impiego delle immunoglobuline come terapia sostitutiva è datato 1952, e coincide con la descrizione della prima immunodeficienza primitiva, caratterizzata dall’assenza delle immunoglobuline sieriche. Successivamente, questo trattamento è stato esteso anche ad altre forme di immunodeficienze primitive, per le quali costituisce il trattamento elettivo e salvavita. I primi prodotti utilizzati presentavano un’efficacia limitata per via della modalità di preparazione e della via di somministrazione; inoltre erano gravati da un maggior numero di effetti collaterali. Cosa sappiamo adesso I notevoli progressi tecnologici sviluppati verso la fine degli anni ’70 hanno consentito di produrre preparati di immunoglobuline somministrabili per via endovenosa più efficaci e sicuri. La via endovenosa, permettendo di somministrate quantità elevate di questi prodotti, ha dimostrato, inizialmente in modo del tutto casuale, l’efficacia della somministrazione delle immunoglobuline anche in malattie autoimmuni e/o infiammatorie, sfruttando il loro effetto immunomodulante. Ora sappiamo molto sui meccanismi attraverso i quali le immunoglobuline svolgono questo ruolo immunomodulante. Quali ricadute sulla pratica clinica La somministrazione di immunoglobuline come terapia sostitutiva per via endovenosa, e più recentemente per via sottocutanea, ha radicalmente migliorato la morbilità e la mortalità, nonché la qualità di vita dei pazienti con difetti dell’immunità. Il notevole consumo delle immunoglobuline, derivato in parte dal loro non giustificato impiego in un numero sempre maggiore di malattie autoimmuni e/o infiammatorie (per molte delle quali il trattamento è tuttora considerato off-label), può creare problemi di approvvigionamento nel tempo, a scapito di malattie considerate prioritarie. Da qui la necessità di un loro impiego basato sui livelli di evidenza di efficacia, formulate da competenti commissioni. Inoltre la conoscenza più approfondita dei meccanismi attraverso i quali le immunoglobuline esplicano il loro effetto immunomodulante, consentirà di produrre prodotti più efficaci e mirati. Bibliografia Anthony RM, Wermeling F, Karlsson MC et al. Identification of a receptor required for the anti-inflammatory activity of IVIG. Proc Natl Acad Sci, USA 2008;105:19571-8. **Si identifica la molecola SIGNR1come il recettore che, legando le forme glicosilate delle IgG, ne media il loro effetto immunomodulante. Antony RM, Kobayashi T, Wermeling F et al. Intravenous gglobulin suppresses inflammation through a novel Th2 pathway. Nature 2011;475:110-3. **Si dimostra una nuova modalità attraverso la quale le immunoglobuline esplicano la loro attività immunomodulante, per il coinvolgimento di IL13 e IL4. Bruton O C. Agammaglobulinemia. Pediatrics 1952;9:722-7. Crow AR, Lazarus AH. The mechanism of action of intravenous immunoglobulin and polyclonal anti-D immunoglobulin in the amelioration of immune thrombocytopenic purpura: what we really know? Transf Med Rev 2008;22:103-16. Crow AR, Suppa SJ, Chen X et al. The neonatal Fcreceptor (FcRn) is not required for IVIg or anti-CD44 monoclonal antibody-mediated amelioration of murine immune thrombocytopenia. Blood 2011;118:6403-6. Fehr J, Hofmann V, Kappeler U. Transient reversal of thtombocytopenic purpura by high –dose intravenous gamma globulin. N Eng J Med 1982;306:1254-8. Gelfand EW. Intravenous immune globulin in autoimmune and inflammatory diseases. N Eng J Med 2012;367:2015-25. **Revisione aggiornata sull’uso delle immunoglobuline nelle malattie autoimmuni e autoinfiammatorie. Haddad E, Barnes D, Kafal A. Home therapy with subcutaneous immunoglobulins for patients with primary antibody deficiencies. Transfus Apher Sci 2012;46:31521. Imbach P, Barandum S, d’Apuzzo V et al. High dose intrevenous gammaglobulin for idiopathic thrombocytopenic purpura in childhood. Lancet 1981;1:1228-31. Junghans RP, Anderson CL. The protection receptor for IgG catabolism is the b2microglobulin-containing neonatal intestinal transport receptor. Proc Natl Acad Sci USA 1996;93:5512-6. *Si dimostra che l’FcRn svolge un ruolo essenziale del determinare la vita media delle IgG circolanti. Li N, Zhao M, Hilario-Vargas J et al. Complete FcRn dependence for intravenous Ig therapy in autoimmune skin blistering diseases. J Clin Invest 2005;115:344050. *Si dimostra che le IgG somministrate svolgono il ruolo immunomodante saturando gli FcRn. Maarschalk-Ellerbroek LJ, Hoepelman IM, Ellerbroek PM. Immunoglobulin treatment in primary antibosy deficiency. Int J Antimicrob Ag 2011;37:396-04. *Review sulle indicazioni e sull’efficacia del trattamento sostitutivo nelle immunodeficienze primitive. Markvardsen LH, Debost JC, Harbo T et al. Subcutaneous immunoglobulin in responders to intravenous therapy with chronic inflammatory demyelinating polyradiculoneuropathy. Eur J Neurology 2013;20:836-42. Nimmerjahn F, Ravetch JV. Anti-inflammatory actions of intravenous immunoglobulin. Annu Rev Immunol 2008;26:513-33. Orange SJ, Hossny EM, Weiler CR et al. Use of intravenous immunoglobulin in human disease: A review of evidence by members of the Primary Immunodeficiency Committee of the American Academy of Allergy, Asthma and Immunology. J Allergy Clin Immunol 2006;117:S525-53. *Consenso sull’uso delle immunoglobuline nelle varie patologie basandosi sui livelli di evidenza di efficacia. Orange JS, Grossman WJ, Navickis RJ et al. Impact of trough IgG on pneumonia incidence in primary immunodeficiency: a meta-analysis of clinical studies. Clin Immunol 2010;137:21-30. *Si dimostra, attraverso una meta analisi, che il controllo delle infezioni delle basse vie respiratorie dipende dai livelli sierici delle IgG. Pillai S, Netravali IA, Cariappa A et al. Siglecs and immune regulation. Ann Rev Immunol 2012;30:357-92. Plebani A, Soresina A, Rondelli R et al. Clinical, immunological,and molecular analysis in a large cohort of patients with X-linked agammaglobulinemia: an Italian multicenter study. Clin Immunol 2002;104:221-30. *Valutazione delle complicanze a lungo termine di un’ampia casistica di pazienti con agammaglobulinemia. Quinti I, Soresina A, Guerra A et al. Effectiveness of Immunoglobulin Replacement Therapy on Clinical Outcome in Patients with Primary Antibody Deficiencies: Results from a Multicenter Prospective Cohort Study. J Clin Immunol 2011;31:315-22. 223 A. Plebani et al. *Vengono analizzati vari parametri che, oltre ai livelli sierici di IgG, contribuiscono al controllo delle infezioni. Radosevich M, Burnouf T. Intravenous immunoglobulin G: trends in production methods, quality control and quality assurance.Vox Sanguinis 2010;98:12-28. *Dettagliata descrizione sulle modalità di preparazione delle immunoglobuline e sui controlli per garantirne l’efficacia e la sicurezza. Roifman CM, Levison H, Gelfand EW. High-dose versus low-dose intravenous immunoglobulin in hypogammaglobulinemia and chronic lung disease. Lancet 1987;1:1075-7. Samuelsson A, Towers TL, Ravetch JV. Anti-inflammatory activity of IVIG mediated through the inhibitory Fc receptor. Science 2001:291:484-6. **Si dimostra, nel modello murino, che le IgG svolgono l’effetto immunomodulante aumentando l’espressione di FcgRIIB sui macrofagi. Schwab I, Nimmerjahn F. Intravenous immunoglobulin therapy: how does IgG modulate the immune system? Nature Reviews 2013;13:176-89. **Review aggiornata sui meccanismi mediante i quali le immunoglobuline esplicano il loro effetto immunomodulante. Smith CIE, Witte ON. X-linked agammaglobulinemia: a disease of Btk Tyrosine Kinase. In: Ochs HD, Smith CIE, Puck JM, eds. Primary Immunodeficiency Diseases. A molecular and gnetic approach. New York: Oxford università Press 1999:263-84. Soll RF. Calling time on intravenous immunoglobulin for preterm infants? [editorial]. Cochrane Database of Systematic Reviews 2013;7:ED000062. dx.doi. org/10.1002/14651858.ED000062 Tackenberg B, Jelcic I, Baerenwaldt A et al. Impaired inhibitory Fc receptor IIB expression on B cells in chronic inflammatory demyelinating polyneuropathy. Proc Natl Acad Sci USA 2009;106:4788-92. Trinath J, Hedge P, Sharma M et al. Intravenous immunoglobulin expands regulatory T cells via induction of cyclooxygenase-2-dependent prostaglandin E2 in human dendritic cells. Blood 2013;122:1419-27. **Dimostrazione che le cellule dendritiche contribuiscono all’effetto immunomodulante delle IVIG tramite espansione delle cellule Treg mediata dalle prostaglandine E2. Yap PL. Intravenous immunoglobulin and hepatitis C virus: an overview of transmission episodes with emphasis on manufacturing data. Clin Ther 1996;18:43-58. Corrispondenza Alessandro Plebani, Clinica Pediatrica, Università degli Studi di Brescia, Spedali Civili, P.le Spedali Civili, 1, Brescia. Tel.: 030 3995715. E-mail: [email protected] 224