Domanda, offerta, beneficio marginale, costo marginale e surplus
(Suppongo noto il criterio di Pareto, e la definizione di ottimo paretiano)
Il comportamento dei consumatori relativamente ad un certo bene viene, come noto, descritto di
solito tramite una curva di domanda: una curva di domanda individuale ci informa circa quanto bene verrebbe acquistato da un consumatore per ogni diverso livello del prezzo. Un curva di domanda
di mercato di quel bene ci informa invece su quanto tutti i consumatori domanderebbero al variare
del prezzo: è la somma delle diverse domande individuali per ogni dato prezzo. Tutti intuiscono che
una curva di domanda è decrescente: se il prezzo aumenta la domanda di quel bene diminuisce.
Perché questo? Si consideri la seguente figura 1:
Figura 1: domanda, ovvero beneficio marginale
prezzo
D
P
A
domanda = BMa(S)
O
quantità
Q
Si deve immaginare che le unità del bene siano tra loro “molto piccole”, situate le une vicine alle
altre (sono un “continuo”). Bene: perché al prezzo P i consumatori desiderano proprio la quantità Q,
e non qualcosa in più o qualcosa in meno? La riposta è: non vogliono qualcosa in più, cioè non vogliono qualche unità più a destra di Q, perché per essere indotti a comprare quelle altre unità il
prezzo dovrebbe essere più basso, proprio come indicato dai punti sulla curva di domanda per quantità maggiori di Q. In altri termini, unità più a destra di Q per i consumatori valgono meno di quanto
valga l’unità in posizione Q (NB l’unità in posizione Q coincide con il punto Q): il loro acquisto
non è conveniente per i consumatori. Ma cosa significa “valere” per i consumatori? Siccome
l’obiettivo dei consumatori è ottenere beneficio dal consumo del bene, possiamo dire che le unità
più a destra di Q arrecano loro un beneficio inferiore a quello arrecato dall’unità in posizione Q.
Dunque, l’altezza della curva di domanda in corrispondenza di ogni diversa unità misura il beneficio arrecato dall’unità in quella posizione. Nella figura 1 la lunghezza del segmento QA misura
appunto il beneficio marginale dell’unità in posizione Q, mentre invece la lunghezza del segmento
OD misura il beneficio marginale della primissima unità consumata. Come si vede, il beneficio
marginale decresce all’aumentare della quantità già consumata, un’idea molto ragionevole (la decima mela mi arreca meno beneficio della nona, e a maggior ragione della prima).
Figura 2: il beneficio marginale diminuisce se la quantità aumenta
prezzo
D
P
A
domanda = BMa(S)
O
Q
quantità
1
Siccome il beneficio di cui stiamo parlando è il beneficio aggiuntivo arrecato da ogni nuova unità, esso viene chiamato in economia beneficio marginale, e indicato con il simbolo BMa. Se poi la
curva di domanda è quella di mercato, essa indica il beneficio aggiuntivo arrecato a tutta la società
(chiunque dei consumatori la acquisti e consumi), cioè è il beneficio marginale sociale, indicato con
BMaS.
La figura 2 illustra appunto il fatto che unità più a destra (sinistra) di Q forniscono un beneficio
marginale maggiore (minore) di quella in posizione Q (le unità sarebbero ‘vicinissime’ tra loro, ma
per chiarezza sono state disegnate un po’ lontane da Q)
Possiamo allora affermare che il prezzo che induce i consumatori a domandare una certa quantità
misura il beneficio arrecato loro dall’ultima unità da loro effettivamente acquistata a quel prezzo. Al
prezzo P i consumatori non acquistano meno (più) di Q perché le unità più a sinistra (destra) di Q
arrecano un beneficio superiore (inferiore) al prezzo P che devono pagare. Dunque, concludiamo
che il prezzo misura il beneficio marginale dei consumatori, e la curva di domanda può essere interpretata come curva di beneficio marginale. Supponendo per il momento che gli unici soggetti della
società che ottengono benefici dall’esistenza del bene siano i suoi consumatori1, possiamo dire che
la curva di domanda di mercato coincide con la curva di beneficio marginale sociale (BMaS).
Ora, se al prezzo P i consumatori acquistano tutta la quantità da O a Q, cioè acquistano tutte le
unità (vicinissime tra loro) incluse in quel segmento, qual è il beneficio totale che essi e ottengono?
Siccome ogni unità arreca un beneficio misurato dal segmento verticale sopra a quella unità, il beneficio totale sarà semplicemente la somma di tutti quei benefici marginali. Ma la somma di (infiniti) segmenti verticali uno vicino all’altro tra O e Q non è altro che l’area sotto la curva di beneficio
marginale, cioè l’area ODAQ della figura 3.
Figura 3: il beneficio totale
prezzo
D
A
domanda = BMa(S)
O
Q
quantità
1
In certi casi importanti, l’attività di consumo di un certo bene può produrre anche effetti su altri soggetti esterni al
mercato, cioè non interessati all’acquisto o alla vendita di quel bene. Questi effetti esterni possono essere ‘negativi’ (per
esempio il consumo di benzina, che arreca benefici ai suoi acquirenti e consumatori automobilisti, inquina l’ambiente e
dunque arreca un danno, o beneficio negativo) ai pedoni), oppure ‘positivi’ (per esempio l’acquisto e fruizioni di vasi di
fiori da mettere alla finestra fa piacere anche ai passanti; o, ancora, la fatica −non necessariamente il costo monetario−
di tenere pulita la propria strada fa piacere anche agli altri cittadini dotati di senso dell’ordine). Questo fenomeni vengono chiamati in economia “esternalità”. Il loro effetto è che il beneficio di tutta la società, cioè degli acquirenti e consumatori bel bene più tutti coloro raggiunti dagli effetti esterni, è diverso la beneficio dei soli acquirenti attivi. Dovremo
allora distinguere tra beneficio marginale privato (quello degli acquirenti e consumatori attivi, cioè la loro curva di domanda) e beneficio marginale sociale. Per il momento trascuriamo questi importanti fatti (e dunque i due benefici marginali coincidono, cioè la curva di domanda coincide con quella di beneficio marginale sociale); ma dovremo tornarci
più avanti.
2
Stiamo però attenti: per conseguire quel beneficio i consumatori debbono sopportare un costo,
cioè devono pagare la quantità che vogliono consumare. Quindi l’acquisto e il consumo di quella
quantità comporta due conseguenze per i consumatori: un beneficio e un costo. Appare ragionevole
pensare che ciò che davvero interessa al consumatori sia il saldo di queste due grandezze, cioè il risultato netto dell’operazione. La differenza tra beneficio e costo si chiama in economia surplus:
stiamo dunque parlando del surplus dei consumatori (anche le imprese hanno benefici −cioè ricavi−
e costi in seguito alla loro attività di produzione e vendita; quindi in quel caso parleremmo di surplus dei produttori, che in altri contesti si chiama profitto). In un certo senso, il surplus dei consumatori è “grasso che cola” per loro: infatti acquistano ad un prezzo dato tutte le unità del bene che
arrecano loro un beneficio marginale superiore al prezzo.
Vediamo questo aspetto del punto di vista grafico. Il costo, o spesa, dei consumatori per acquistare la quantità Q al prezzo unitario P è ovviamente data dal prodotto fra quantità e prezzo. Ma la
quantità è misurata dal segmento OQ, mentre il prezzo è misurato dal segmento OP. Dunque si tratta del prodotto fra base e altezza del rettangolo OPAQ, cioè della sua area. Si veda la seguente figura 4.
Figura 4: il costo e il surplus dei consumatori
prezzo
D
P
Surplus dei
consumatori
A
domanda = BMa(S)
O
Q
quantità
Ne segue allora che il surplus dei consumatori, essendo la differenza tra beneficio e costo totali,
è la differenza fra le due aree discusse appena prima: si tratta allora dell’area del triangolo PDA, che
appare in bianco nella precedente figura. Possiamo dunque dire che se i consumatori stanno sulla
loro curva di domanda, cioè se al prezzo P acquistano e consumano proprio la quantità Q, allora ottengono il massimo surplus: infatti comprano e consumano solo tutte le unità che danno loro del
surplus, fino all’ultima in posizione Q, senza avventurarsi oltre (cosa che provocherebbe una diminuzione del loro surplus, in quanto le unità a destra di Q darebbero loro un surplus negativo, visto
che costerebbero più del beneficio marginale da esse arrecato).
Si noti che il surplus dei consumatori aumenta quando il prezzo del bene diminuisce e dunque la
quantità acquistata aumenta: semplicemente, l’area del triangolo prima evidenziato aumenta (siete
pregati di verificare voi questa cosa facendovi un grafico e facendo diminuire il prezzo, con conseguente aumento della quantità). Questo fatto è la rappresentazione, tramite strumenti un poco più
rigorosi, dell’idea che “i consumatori stanno meglio quando i prezzi diminuiscono”: lo star meglio è
da noi tradotto da un aumento del loro surplus.
In modo analogo, il comportamento dei produttori, o meglio degli offerenti, di un bene viene descritto da una curva d’offerta, che tutti immaginano ragionevolmente crescente: più aumenta il
prezzo e più si produce e vende di quel bene (per essere precisi, ciò accade quando i produttori sono
“piccoli”, cioè in un mondo perfettamente concorrenziale dove nessuno può influenzare il prezzo).
Ma perché accade questo? Semplicemente perché si immagina che i produttori sopportano, per ogni
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nuova unità prodotta, costi via via maggiori: in altri termini, il costo marginale di ogni nuova unità
aumenta all’aumentare della quantità. Dunque, per un dato prezzo, ai produttori conviene produrre
solo le unità di bene il cui costo marginale non ecceda il prezzo di vendita, e solo se il prezzo aumenta possono produrre ulteriori unità in modo conveniente.
Possiamo allora dire che la curva di offerta è anche la curva di costo marginale (CMa) dei produttori del bene. Supponendo per il momento che gli unici soggetti della società che sostengono costi per rendere disponibile il bene siano i suoi produttori2, allora la curva di offerta di mercato coincide con la curva di costo marginale sociale (CMaS).
Figura 5: offerta e costo marginale
prezzo
Offerta = CMa(S)
B
P
C
O
Q
quantità
Si consideri infatti la figura 5. Al prezzo P i produttori desiderano vendere la quantità Q, né di
più né di meno: infatti le unità più a sinistra comportano un costo marginale inferiore a P ed è dunque conveniente produrle, mentre quelle più a destra hanno un costo marginale superiore a P e non
è dunque conveniente produrle.
Figura 6: il surplus dei produttori
prezzo
Offerta = CMa(S)
B
P
C
O
Q
quantità
Ne segue che tutte le unità a sinistra di Q consentono di trarre un vantaggio netto positivo: sono
infatti vendute ad un prezzo che eccede il loro costo marginale di produzione. Producendo dunque
tutta la quantità Q (composta da tantissime piccole unità), i produttori ottengono dunque un saldo
2
Si veda la nota 1.
4
netto positivo, cioè la differenza fra il ricavo totale e il costo totale, spesso chiamata profitto ma che
qui conviene chiamare surplus dei produttori.
Non è difficile rappresentare graficamente il surplus dei produttori. Il ricavo totale è semplicemente il prodotto della quantità venduta per il prezzo unitario di vendita, e dunque nella figura 6 è il
prodotto del segmento OQ per il segmento OP: dunque è l’area del rettangolo OPBQ.
Il costo totale, poi, è la somma di tutti i costi marginali di ogni unità effettivamente prodotta,
cioè è la somma di tutti i segmenti verticali (vicinissimi tra loro) che vanno dall’asse orizzontale alla curva di costo marginale. Si tratta dunque dell’area OCBQ evidenziata in figura. Ne segue infine
che il surplus dei produttori è la differenza fra le due aree appena commentate, e cioè l’area del
triangolo bianco CPB.
Anche in questo caso, ribadiamo che se i produttori stanno sulla curva di offerta, cioè se al prezzo P vendono proprio la quantità Q, allora massimizzano il proprio surplus. Infine, è chiaro che se il
prezzo dovesse aumentare anche il surplus dei produttori aumenterebbe.
Come abbiamo visto, se il prezzo del bene varia i due surplus si muovono in direzione opposta.
Per la verità, l’economista non è interessato al solo surplus dei consumatori o a quello dei produttori, bensì al surplus complessivo della società, chiamato appunto surplus sociale.
Per capire cosa sia il surplus sociale, immaginiamo che l’attività economica non sia attuata attraverso un mercato dove si determina un prezzo e dove, di conseguenza, ogni individuo fa le sue scelte personali (di consumo o di produzione) sulla base del segnale di prezzo al fine di attenere il massimo risultato (benessere dal consumo o profitto dalla produzione). Immaginiamo invece che esista
un ‘pianificatore’ che vuole perseguire l’intero benessere sociale (pianificatore ‘benevolente’), sulla
base della conoscenza delle curve di costo marginale sociale e beneficio marginale sociale. Obiettivo di questo pianificatore sarebbe di ottenere il massimo risultato netto dalla’attività di produzione e
consumo del bene: il risultato netto è la differenza fra il beneficio che la collettività ottiene dalla
quantità consumata del bene e il costo che la collettività sopporta per produrre quella quantità.
Le due grandezze, il beneficio totale e il costo totale, possono (come ormai avete capito) essere
valutate a partire dalle curve di beneficio marginale sociale e costo marginale sociale: il beneficio
totale della società è, per ogni quantità, tutta l’area compresa sotto la curva di beneficio marginale
sociale e valutata sino alla quantità considerata; il costo totale della società è, per ogni quantità, tutta
l’area compresa sotto la curva di costo marginale sociale e valutata sino alla quantità considerata. Il
surplus sociale è la differenza fra le due aree. Consideriamo la seguente figura:
Figura 7: il surplus sociale
BMaS
CMaS
B
CMaS
C
F
E
G
D
A
O
BMaS
Q1
QE
5
Q2
quantità
Se per esempio si decide di produrre e consumare la quantità Q1, allora il beneficio totale è dato
dall’area OBCQ1, il costo totale è l’area OADQ1, e il surplus sociale è la differenza, cioè l’area
ABCD. Il surplus sociale è allora rappresentato dall’area fra le curve BMaS e CMaS, da zero sino
alla quantità prescelta. È allora chiaro che se si producesse la quantità QE il surplus sociale aumenterebbe, diventando pari all’area ABE. Se poi si producesse la quantità Q2, occorre capire che
l’ulteriore area EFG ha segno negativo, perché il surplus ottenuto dalle unità a destra di QE è negativo, in quanto il costo marginale di ognuna supera il suo beneficio marginale: quindi il surplus sociale diminuirebbe. Ne segue che il surplus sociale è massimo proprio in corrispondenza della quantità QE: tale quantità è detta socialmente efficiente.
La quantità socialmente efficiente è quella che è considerata la più desiderabile dagli economisti:
essa consente alla società di ottenere il massimo surplus sociale. In molti casi, però, il comportamento dei mercati lasciati a se stessi non consente di ottenere il massimo surplus sociale, e dunque
il suggerimento dell’economista è di individuare qualche rimedio. Addirittura, in alcuni casi un
mercato può scomparire (lo vedremo nel caso dell’informazione asimmetrica), e dunque scompare
tutto il surplus che la società potrebbe altrimenti ottenere.
Ciò che abbiamo visto sopra ci consente di trarre una conclusione generale: ogni volta che un
decisore intende ottenere il miglior risultato, occorre che si preoccupi di scegliere una livello di attività tale per cui il beneficio marginale è uguale al costo marginale. Ciò è del tutto chiaro
nell’ultimo esempio: la società dovrebbe scegliere la quantità tale per cui il beneficio marginale sociale è uguale al costo marginale sociale.
Che dire invece della scelta dei consumatori? Considerate che, dal punto di vista dei consumatori
il prezzo del prodotto è il costo per ottenerne una unità aggiuntiva, e quindi può essere interpretato
come il loro costo marginale del bene consumato. Se, allora, tornate alla figura 4, vedrete che la
quantità domandata dai consumatori per ottenere il massimo surplus (dei consumatori) è proprio
quella tale per cui questo ‘costo marginale’ dei consumatori (il prezzo) è pari al loro beneficio marginale.
Per quanto riguarda infine i produttori (supponendo che siano molti e in concorrenza perfetta tra
loro), il beneficio che traggono dalla loro attività è il ricavo, e dunque il beneficio marginale è il ricavo ottenibile da ogni nuova unità venduta (che in questo caso viene chiamato ricavo marginale):
ma questo, in concorrenza perfetta, non è altro che il prezzo di vendita del bene. Se dunque andate
alle figura 6, trovate che la quantità prescelta per ottenere il massimo surplus dei produttori è proprio quella dove il loro beneficio marginale (il prezzo) è pari al loro costo marginale.
Il principio dell’uguaglianza fra costo marginale e beneficio marginale è centrale in quasi tutti i
problemi di scelta ottima in campo economico.
Per fare un ulteriore, utile, esempio di questo stesso fatto, possiamo considerare un’interpretazione alternativa di una figura fatta come la 6. Immaginiamo che esista una certa quantità di un bene
(“un sacco di mele”): nel discutere il beneficio marginale arrecato da quantità crescenti di mele avremmo una figura come la 1. Questo vale nel caso in cui si supponga che un soggetto non abbia
inizialmente alcuna mela: la figura 1 indica infatti quanto valgono per costui (quanto è disposto a
pagare per avere) le mele successive a partire dalla prima. Supponete invece che un soggetto abbia
già l’intero sacco di mele, e gli venga chiesto quanto gli costa privarsi di quantità successive di mele (dunque, qui l’asse della quantità misura le mele da cedere): ovviamente, cedere la prima mela gli
costa poco, in quanto egli si deve privare di una mela il cui beneficio marginale è basso, avendone
molte; la seconda mela gli costa un po’ di più; e così via. Vedete allora che si conferma l’idea secondo cui chi offre sopporta un costo marginale crescente.
6
Evidentemente, la curva che rappresenta quest’ultimo costo marginale può essere pensata come
orizzontalmente speculare alla figura 1. Sarà una figura in cui la quantità aumenta andando da destra verso sinistra: stare in fondo a destra significa non avere mele, per cui il loro beneficio marginale è elevato, e diminuisce man mano che si va a sinistra; stare in fondo sinistra significa invece avere già tutte le mele, per cui il beneficio marginale è basso, e aumenta man mano che si va verso destra, cioè se ne cedono. Quindi partire da sinistra significa immaginare a che prezzo si è disposti a
cedere ogni successiva mela, cioè il costo marginale.
La seguente figura illustra la situazione.
Figura 7: lo “scambio”
BMaI
C
BMaII
CMa
B
BMa
A
OI
Q*
OII
L’asse di sinistra misura, come al solito, il beneficio marginale per un soggetto, Primo, la cui origine è in posizione OI: in tale origine Primo non ha ancora mele. L’asse di destra misura invece il
beneficio marginale per un altro soggetto, Secondo, la cui origine è in posizione OII: in tale origine
Secondo non ha mele. La lettura “naturale” del grafico, cioè a partire da sinistra, significa considerare una situazione in cui Secondo ha tutte le mele e ne potrebbe cedere a Primo, che non ne ha. Il
segmento rosso indica la differenza fra quanto Primo sarebbe disposto a pagare per la “prima” mela
(altezza C) e il prezzo minimo che Secondo pretende per cederla (altezza A): naturalmente, in un
“continuo” quel segmento dovrebbe essere vicinissimo all’asse, ma lasciatemi passare questa imprecisione.
Qualsiasi prezzo compreso fra C e A sarebbe un prezzo che darebbe soddisfazione a entrambi:
per esempio, al prezzo B Primo guadagnerebbe un surplus (marginale, cioè di singola unità) pari al
segmento BC, in quanto pagherebbe B una cosa che per lui vale C; Secondo guadagnerebbe un surplus marginale pari al segmento AB, in quanto incasserebbe B per cedere una cosa che gli costa A
cedere. Il “surplus sociale marginale” di questo scambio sarebbe la somma dei due, cioè l’intero
segmento AB. Quindi, lo scambio della prima mela genera un surplus sociale: questo è indipendente
dal prezzo fissato, in quanto il prezzo semplicemente definisce come questo surplus viene suddiviso
tra le due parti (sappiamo che per il criterio di Pareto è indifferente la distribuzione del surplus; il
prezzo effettivo dipenderà, presumibilmente, dal potere contrattuale delle parti, che al momento non
ci interessa).
Quanto appena visto risponde al principio generale che è socialmente conveniente (cioè fa aumentare il surplus sociale) che una cosa passi da chi la valuta meno a chi la valuta di più, ovviamente compensando chi cede quella cosa con una somma che lo convinca a cederla.
Fino a che punto è conveniente ad entrambi effettuare scambi, cioè cessioni di mele da Secondo
a Primo ad un prezzo che avvantaggia entrambi? Ovviamente sino al livello Q*, e il surplus totale
che si genera è pari all’area ombreggiata. Notate che ogni diverso scambio potrebbe avvenire a condizioni, cioè prezzi, diversi: l’importante è che il prezzo si situi ad un livello che ogni volta è com7
preso verticalmente fra le due curve nel punto in cui si situa la mela che deve essere scambiata in
quel momento. Questa zona si restringe sempre di più mentre si procede verso il livello Q*, ma esisterà sempre un prezzo, sino a Q*, conveniente per entrambe le parti.
Capite bene che avremmo potuto procedere nell’ipotesi opposta, cioè immaginare che inizialmente fosse Primo a possedere tutte le mele (con beneficio marginale delle mele, cioè costo marginale a privarsene, inizialmente basso): la posizione iniziale sarebbe stata in OII, e sarebbe stato Primo a cedere mele a Secondo, che inizialmente le valuta molto non possedendone. I risultati sarebbero stati del tutto analoghi: si sarebbero cioè scambiate tutte le mele da OII a Q*, con un surplus totale per la “società” pari all’area del triangolo di destra fra le due curve (curve che sarebbero ovviamente scambiate di nome).
Quanto appena detto corrisponde ad un altro principio, talvolta chiamato “teorema di Coase”: indipendentemente dalla distribuzione iniziale (dei diritti a consumare le mele), se non esistono difficoltà ad effettuare scambi, le contrattazioni tra privati portano ad un livello efficiente delle quantità
possedute dalle parti, cioè ad una allocazione efficiente.
Le “difficoltà ad effettuare scambi”, dette anche costi di transazione, potrebbero in questo caso
derivare, per esempio, dai costi del mettersi d’accordo sui termini di scambio. Questi costi potrebbero essere molto importanti, ma in questa sede li trascuriamo.
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