L`illusione della realtà

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Città di Pavullo nel Frignano
Assessorato alle Attività Culturali
Pinacoteca Dinamica
un percorso per l’arte dei giovani
Lorenzo Mesini
L’illusione della realtà
L’arte ha sempre a che fare con la realtà. Anche quando il gesto artistico sembra distaccarsi del tutto dalle forme
note del visibile, il suo oggetto rimane la realtà. Si tratterà semmai di chiarire cosa si intenda per “realtà”, quali ne
siano i caratteri, quali i limiti e soprattutto le forme.
Lorenzo Mesini probabilmente definisce “realtà” la forma immediata e potremmo dire “ottica” delle cose. La
realtà, nella sua pittura, è ciò che l’occhio vede. A partire da questo assunto il pittore registra, più fedelmente che
può, quel che l’occhio gli indica: le forme e i colori naturali, i manufatti dell’uomo, i segni delle variazioni
climatiche e stagionali. Il pittore sarebbe così per prima cosa un osservatore, quindi un rilevatore del visibile. Si
potrebbe obiettare allora: questa definizione più che a un pittore si attanaglia a un fotografo. E in effetti è così. E
in mostra non mancano accanto ai quadri le belle fotografie di Paolo Pierotti a indicare la consapevolezza del
raccordo tra fotografia e pittura, nesso che ha radici storiche.
Prima dell’invenzione della fotografia la pittura ha esaudito per secoli alla necessità di rappresentare il reale
affinando tecniche sublimi, dai paesaggi rinascimentali alle nature morte iperrealiste dei fiamminghi, capaci d
rendere la rugosità microscopica di una buccia di limone, il bagliore madreperlaceo di un’ostrica, il piumaggio
iridato di un fagiano su un vassoio di peltro su cui scatta il bagliore di un raggio di luce (nel quale potrebbe
inscriversi il ritrattino rispecchiato del pittore che sta dipingendo).
Con la fotografia questo appannaggio della pittura sul “reale” si interrompe e sarà la tecnologia a incaricarsi del
prelievo del dato visivo diciamo “oggettivo”. Ma proprio questo scippo di funzioni porta in evidenza un
paradosso: la pittura infatti non ha mai ritratto la realtà “oggettiva” perché muovendosi nella stessa direzione
delle forme visibili ha finito col superarle, rendendole ora realistiche (ma non reali), ora iperreali, ora simboliche e
inquietate da metafore e da sentimenti umani. La fotografia stessa, salvo un’euforia superficiale per cui parrebbe
compiere una cattura della realtà, ha dimostrato quanto questo non sia mai del tutto vero: basti pensare all’uso
mediatico del dato fotografico, dove la cosiddetta “realtà”, pur “fotografata”, si piega a ogni manomissione, a
ogni abuso. Quindi?
Quindi, tornando a Lorenzo Mesini, la sua scelta di dipingere la realtà come l’occhio la vede non è né semplice
né risolta. Perché nel suo fare il pittore si incammina verso la forma visibile, affinando i suoi strumenti riesce
persino a restituirla con una chiara riconoscibilità (per cui un albero è un albero, un sottobosco è un sottobosco e
una casa è effettivamente quella casa, così come noi li vediamo), e tuttavia aleggia sempre qualcosa di leggermente
modificato in queste “forme note”, nelle loro proporzioni vagamente inesatte, nei colori dal tono e dalla
luminosità caricati di un grado oltre la misura diurna, indizi sufficienti a risospingere queste pitture dalla zona del
realismo a una terra di mezzo tra l’ingenuità nativa e una dimensione impercettibilmente alterata, dove la realtà
stessa diventa una visione.
L’arte ha sempre colto come la realtà contenga il sospetto dell’illusione, il suggerimento sottilissimo che quanto
vediamo, pur con cristallina chiarezza, non sia l’immagine ultimativa delle cose ma ne contenga un’altra e un’altra
ancora, in una scatola cinese dove, oltre il raggio dell’occhio, ad aprire una distanza ulteriore e a scombinare le
carte a ogni realismo interviene il pensiero, la nostra necessità di inquietudine, pari se non superiore alla nostra
richiesta di certezza.
Paolo Donini
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