SERGEJ GLINKOV di Laura Bartoli Sergej Glinkov, artista ucraino trasferitosi a Venezia per studio e successivamente a Trieste per lavoro, descrive la sua pittura in questi termini: “E’ tutta una questione di fenomenologia della materia e del colore che per me è l’essenza della pittura mentre le forme sono impulsi e reazione. Nessuna pretesa d’innovazione formale o “stile” ma energia vitale messa in circolo tramite luce e colore”. Sarebbe riduttivo parlare del lavoro dell’artista facendo una descrizione didascalica dei suoi dipinti visto che Glinkov è un pittore colto che è arrivato a descrivere il suo io non solamente tramite il tecnicismo, ma soprattutto con uno studio approfondito della storia dell’arte, della filosofia e della psicologia della percezione. Di conseguenza nell’ascoltare tale descrizione e nel vedere le sue opere ho ricordato le parole di vari teorici dell’arte. Alhazen (morto nel 1038) diceva: “Nulla di ciò che è visibile è compreso dalla sola vista tranne la luce e i colori”. John Locke arrivò a negare tutte le idee innate affermando che ogni conoscenza ci perviene attraverso i sensi. Infatti se l’occhio reagisce solo alla luce e al colore, da dove viene la nostra conoscenza della terza dimensione? Solo nel 1709 Berkley riprese il problema giungendo alla conclusione che ogni nostra conoscenza dello spazio e del corporeo deve essere raggiunta attraverso il senso del tatto e il movimento. Per gli impressionisti il mondo esterno è in effetti il risultato di un processo psicologico complesso. E. H. Gombrich afferma a tale proposito che “non è difficile vedere in questo quadro della storia universale una ripresa di quelle mitologie romantiche che hanno avuto il loro apogeo con la filosofia della storia di Hegel. Secondo quest’ultimo “l’umanità è sprofondata nel materialismo… l’uomo è sprofondato nel sensibile, ma ha un’esigenza di soprasensibile, è sprofondato nel finito, nel materiale, ma ha esigenze spirituali.” Secondo Hegel le cose non sono mai statiche, ma tendono sempre a trasformarsi. TRASFORMAZIONE è percepibile nelle opere di Glinkov. Per Constable l’arte dà piacere con il RICORDO non con l’inganno e se scrivesse oggi, probabilmente userebbe il termine EVOCAZIONE. L’artista non pùò copiare un prato illuminato dal sole, ma può evocarlo. Nel testo Arte e Illusione E. H. Gombich afferma che “un pittore ciò che indaga non è la natura del mondo fisico, ma la natura delle nostre reazioni di fronte ad esso. Il pittore non si occupa delle cause ma dei meccanismi di certi effetti, il suo è un problema psicologico: quello di evocare un’immagine convincente, a onta del fatto che non una delle sue pennellate corrisponda a realtà”. Gustaf Britsch e Rudolf Arnheim hanno messo in evidenza che non c’è opposizione tra l’immagine elementare del mondo creata dal fanciullo o da un primitivo, e quella più ricca realizzata in immagini naturalistiche. Ogni arte ha una sua origine nella mente umana e nelle nostre reazioni al mondo, piuttosto che nel mondo visibile, e proprio perché ogni arte è “concettuale”, tutte le rappresentazioni sono riconducibili dal loro stile. “Noi non vediamo che colori piatti, e solo attraverso una serie di esperienze scopriamo che una macchia di nero o grigio indica il lato in ombra di un corpo solido, o che un leggero annebbiamento sta a significare che l’oggetto è lontano”. John Ruskin. Continua dicendo che la pittura si occupa solo di come la luce e il colore si riflettono sulla retina. Per riprodurre correttamente queste immagini il pittore deve quindi sgomberare la sua mente da tutto ciò che egli sa intorno agli oggetti che vede, far tabula rasa e far sì che la natura scriva da sé la sua storia. I dipinti di Glinkov sono “infiniti” segni di colore, di materia che si affaccia timida sullo sfondo asettico. Si è persuasi da due forze contrastanti: il divenire e il finire…dicotomia del perire e del divenire…la forma materica si palesa e si dissolve. Il movimento è continuo e l’esperienza del silenzio fa rumore nelle menti dell’osservatore. Nessun tecnicismo, ma sapiente conoscenza del proprio io, di quella energia vitale che non è mai statica, che muta forma e percezione ogni istante e che lascia una sensazione di malinconia.