Tra l’educare e l’imparare c’è di mezzo il mare Educare è un verbo silenzioso, quasi come un palpito, una gemma che si presenta al mondo o la lancetta delle ore che scorre sul quadrante finché "caspita, s'è fatto tardi!". Allora forse è vero che educare è cosa del cuore, una costante contrazione, una sistole, e come tutte le cose che vengono da un muscolo involontario, rischia di passare inosservata, automatica e dovuta, fino al momento in cui questa macchina ricoperta di tessuto striato finisce di pompare sangue. Perché educare è sì un verbo transitivo, ma vale poco se non transita, è un moto da luogo che implica un ritorno, un po' come la nascita, un po' come il cuore, che scandendo con i battiti il ritmo della nostra vita, dà e riceve sangue, e non c'è sistole senza diastole. Educare significa anche spendersi. E la sua diastole, il ritorno di linfa senza il quale l'azione diventa solo in-segnamento, un puro marchiare prodotti di fabbrica, è il ricordo. Un riportare al cuore per poter ripartire dal cuore, al cor, cordis, come avevano intuito i Romani, quasi che ogni battito fosse lì a rammentarci qualcosa. E un tempo in cui davvero pochi riescono ancora a trasalire per un verso di Montale piuttosto che per un rigore concesso alla Juve, per gli scenari infernali dipinti da Bosh, piuttosto che per i paradisi di plastica offerti su Rete4, insomma, in tempo in cui dell'ipocrisia ci si compiace, c'è sempre più bisogno di educatori che siano prima di tutto testimoni, siano essi padri o professori. Se arrivi in classe costantemente in ritardo non sarai credibile nel momento in cui a me rinfaccerai lo stesso; se pretendi di rendermi saturo di nozioni lanciandole svogliatamente nel vuoto, come posso credere che ci si possa innamorare dei saperi a cui hai dedicato una vita? La scuola ha bisogno non solo di insegnanti, ma insegnanti che siano maestri credibili, coerenti. E se il maestro di Platone, una volta in carcere, avesse colto l'occasione della fuga, se il Maestro dei dodici, davanti a Pilato, ai sacerdoti del Sinedrio, davanti alla folla che sceglie sempre Barabba, avesse ritrattato, fatto un passo indietro, forse oggi avremmo un'altra storia e, invece di due testimoni, col migliore dei francesismi, due paraculo. La scuola ha bisogno di testimoni appassionati e appassionanti, perché educare è coltivare l'intelligenza, ossia la capacità di leggere tra le righe, far capire che la storia non è fatta di sole date, e che senza la matematica lo smartphone da cui sto scrivendo non esisterebbe. È condurre fuori (in latino ex ducere), estrarre un talento, accompagnare un potenziale nella giusta direzione, verso l'esterno, la sapiente arte delle osteriche durante il parto. Educare è abituare al rispetto del diverso e al confronto col diverso. È dare prova che la bellezza esiste e che magari Dostoevskij non mentiva nel dire che essa salverà il mondo. È far amare il bello senza nascondere il brutto, trasformandosi in un novello Picasso, capace di mutare in arte l'orrore squadrato e senza prospettiva della guerra. È creare il silenzio per la voce, sapersi mettere in gioco e di tanto in tanto scendere dal piedistallo: un cuore dà, un cuore riceve. Non è dire "non ce la farai mai", né "ce la farai sempre", ma essere sinceri: là fuori c'è un mondo! Educare non è guardare i banchi di una classe e vedere numeri, ma riconoscere persone, ognuna con le proprie battaglie tenute strette tra le viscere, proprio come te che dalla cattedra le guardi e dalle quali giustamente pretendi rispetto. Educare significa avere mani di artigiano, perché se la scuola è officina di umanità, per un’umanità di valore e di valori non possiamo permetterci produzioni industriali, catene di montaggio e prodotti in serie. Ma dobbiamo essere artigiani, seduti nella nostra officina, a curare nel dettaglio ogni elemento, a vedere del potenziale in un tronco nodoso e grezzo; con la testa china a limarne i contorni, senza fretta e senza urla, ascoltando il battito che pulsa, la voce delle cose che vengono dal cuore. Andrea Mainente (studente, segretario diocesano Movimento Studenti di Azione Cattolica)