Il fine e il compito dell`educazione di Carlo Pantaleo

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Ass. Centro Studi
Nuove Generazioni
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“… capaci di trasmettere alle generazioni … ragioni di vita e di speranza”
Si trovano approfondimenti, anticipazioni e atti su:
www.associazionenuovegenerazioni.blogspot.com
Associazione nazionale sociosocio-culturale,
CentroCentro-Studi e di formazione attiva
per l’
l’umanesimo personalista
Il fine e il compito dell’educazione
di Carlo Pantaleo
Presidente Associazione
Centro Studi Nuove Generazioni
“Cercasi un fine.
Bisogna che sia onesto. Grande.
Che non presupponga nel ragazzo null'altro che d'essere uomo.
Cioè che vada bene per credenti e atei...
Il fine giusto è dedicarsi al prossimo.
E in questo secolo come si vuole amare
se non con la politica o col sindacato o con la scuola?...
Non è più il tempo delle elemosine, ma delle scelte”.
(Don Milani & la Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, pag. 94, LEF)
Chi educhiamo? Il protagonista centrale della relazione educativa, non il destinatario o l’utente, è colui
che si educa, l’educando. Educhiamo la persona umana, un essere unico, irripetibile, concreto. Educhiamo
alla formazione della persona umana nella sua totalità: “l’uomo dunque, ma l’uomo singolo e integrale,
nell’unità di corpo e anima, di cuore e coscienza, di intelletto e volontà” (Gaudium et Spes 3).
L’educazione non è un contratto o una concessione, ma quel rapporto che consente il processo per la
promozione e lo sviluppo della persona umana. Educare è il processo che normalmente fa essere l’uomo,
cioè sviluppa, manifesta e fa emergere le capacità solo implicite alla nascita. Il termine educazione deriva
dal latino educationis, che a sua volta deriva da educare (della stessa radice di ducere, cioè condurre,
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portare e seducere che significa condurre con sé) e che significa allevare, far crescere, nutrire sia
fisicamente sia moralmente. Quindi ha chiare affinità con il verbo edocere (ossia insegnare, istruire,
indicare, e al tempo stesso, dare modelli cui attenersi per poter imparare, si esplica nell’organizzazione di
ciò che già è dato e non nella costruzione di ciò che ancora non c’è, ma che sarebbe desiderabile che ci
fosse). Nel verbo italiano educare si fonde però anche con educere, ossia ex ducere, che significa in prima
battuta portar via, portare oltre, poi anche tirare fuori, trarre fuori dall’uomo sia le potenzialità positive
per sfruttarle ai fini del suo miglioramento, sia i difetti per liberarsene aiutando a superarli. Questi
due verbi latini hanno la stessa radice ma esprimono due sensi diversi che non devono essere confusi.
Educare vuol dire infatti “far emergere”, nonostante tutti i limiti legati all’esperienza di ciascuno di noi che
non ne tolgono la validità. Questo è un punto su cui non possiamo non trovarci d’accordo, perché ogni
ragazzo, ma anche l’adulto, ha bisogno di essere aiutato a scoprire e riscoprire il valore di se stesso,
delle cose e della realtà. Se con “far crescere” si intende la conseguenza esterna del processo educativo,
anche il significato di “trarre fuori” è limitante perché evidenzia soprattutto l’azione dell’educatore. Invece
è proprio non sostituendosi alla persona educanda, che questa può essere educata a conoscere, ad accettare,
a tirar fuori e costruire sé, entrando in rapporto con la realtà che la circonda. E la realtà è fatta di persone, di
fatti, di eventi, del presente e del passato, di cui lo stesso presente è figlio, ma anche “genitore” del futuro.
L’ideologia uccide la realtà, l’ipocrisia danneggia ed educe illusioni pericolose.
Si può, pertanto, sostenere che l’educazione contempli due particolari e differenziati modi d’essere del
rapporto interpersonale, promosso dall’educatore nei confronti dell’educando. Anzitutto si provvede a che le
condizioni adeguate siano poste affinché la crescita interiore ed esteriore del soggetto avvenga nel
migliore contesto possibile, oggettivo e soggettivo. Ma è proprio attraverso e insieme a quest’azione
che, ci si adopera soprattutto a un’opportuna pratica educativa per inverare ciò che già sussiste
nell’educando. Così il soggetto sente promossa, secondo una determinata linea di sviluppo, la propria
crescita globale ed è aiutato a trarre da se stesso ciò che è già presente. L’educazione è quella relazione
che introduce alla verità di sé e alla realtà, nel senso che da una parte propone attraverso i principi
ricevuti una visione del mondo necessaria affinché la persona sappia partire dalla stessa come un
metro di paragone da cui misurare tutte le altre proposte o possibilità; dall’altra si mostra adeguata
risposta a quel bisogno, propriamente umano, di trovare un significato unitario al reale che permetta
di rispondere delle proprie scelte, pena l’indifferenza o peggio il cinismo.
L’azione educativa deve tener conto della realtà e deve essere in relazione all’oggetto che è il soggetto
educando. L’educare non è né una convenienza né una convenzione, ma la profonda convinzione interiore
dell’uomo che sin dalla nascita non si fa da sé, non nasce da sé e non nasce da solo, non può crescere da
solo, non può vivere da solo. L’educabilità rimane una delle potenzialità fondamentali dell’umano e non
può diventare routine e abitudine, pena l’estraniarsi da se stessi e distrarsi dall’altro. Non si può pretendere
di educare gli altri senza, a sua volta, essere educati. Diceva John Wilmot conte di Rochester: “prima di
sposarmi avevo sei teorie sul modo di educare i bambini. Oggi ho sei bambini e nessuna teoria”. Infatti se
c’è qualcosa che si desidera cambiare negli altri, si deve prima esaminare bene e vedere se non è qualcosa
che bisogna cambiare in noi stessi. Lasciarsi educare ed educare se stessi è la spinta iniziale della
formazione di se stessi. E’ soprattutto compito personale che non si può demandare per formare persone
solide, capaci di comunicare collaborando con gli altri per il vero bene e per dare un senso alla propria vita.
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