Sociologia G 4-5 aprile 2005

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Sociologia G -Argomenti della settimana 4- 5 aprile 2005
1. Sviluppi della teoria dell’azione di Weber a partire dalla razionalità come principio
ordinatore della società ai vari livelli.
1.0 Le teorie che sviluppano e articolano il presupposto dell’azione razionale di Weber sono guidate da tre assunti
a) le persone sono essenzialmente razionali
b) basano le azioni su ciò che percepiscono come i mezzi più efficaci per raggiungere i loro scopi.
c) prendono decisioni razionali in contesti di scarsità e incertezza (il fatto di non potere prevedere il futuro non significa
che le nostre azioni siano casuali e che non si possano adottare strategie razionali basate su ciò che conosciamo).
1.1. Il problema della razionalità applicata alla organizzazione della società.
Le critiche a Weber partono dall'impossibilità di applicare a organizzazioni complesse e che agiscono in
contesti incerti e instabili il presupposto dell'agire secondo un presupposto di razionalità tout court (o
razionalità sinottica), che tiene cioè conto di tutti gli elementi del contesto e riesce a prevedere le
conseguenze dell'azione a lungo termine, e che non siuboisce intoppi o deviazioni di percorso.
Bisogna anche tener conto del fatto che il tipo di burocrazia che ha in mente Weber è una burocrazia
relativamente semplice ( meccanica) non altamente professionalizzata e dunque esposta a rivendicazioni e
contrattazioni forti. Inoltre oggi accanto alle forme burocratiche di organizzazione esistono altre forme più
flessibioli, adeguate a realizzare processi complessi che richiedono il superamento della logica gerarchica o
della logica del distacco o dell'impersonalità.
Di qui il suggerimento da parte di autori contemporanei di categorie alternative come razionalità incrementale
(Lindblom), e di razionalità limitata (Simon). Herbert Simon, americano, contemporaneo, studioso di processi
organizzativi, sottolinea che una piena razionalità dell’azione (sia individuale che di attori collettivi come le
organizzazioni) non la si raggiunge praticamente mai.
Impossibile avere la conoscenza completa di tutte le conseguenze della scelta, né avere in mente tutte le
alternative all’azione intrapresa da cui il concetto di razionalità limitata, orientata a obiettivi non ottimali, ma
soddisfacenti, in vista dei quali il decisore trascura le catene degli effetti e delle alternative oltre un certo
orizzonte.
Questo tipo di analisi non va confusa con quella che riguarda il rapporto tra razionalità funzionale e
razionalità sostanziale.
Diversamente dalla razionalità funzionale , la razionalità sostanziale si interroga sui diversi aspetti connessi
ad una strategia di perseguimento di determinati fini con certi mezzi, arrivando a mettere in questione la
preferibilità di certi fini quando questi o i mezzi per raggiungerli abbiano implicazioni dannose o
problematiche per altri ambiti della vita sociale .
1.2 à Michel Crozier, sociologo francese contemporaneo (cfr. Anche Bagnasco, cap. I gruppi organizzati.
Associazioni e organizzazioni, par. 4) applica all’analisi dell’ organizzazione e del potere l’idea della
parziale imprevedibilità delle azioni degli altri propria di Weber, sviluppandola ulteriormente.
Ogni incertezza nella regolamentazione di un ruolo organizzativo comporta l’esistenza di un certo potere
discrezionale nelle mani di chi quel ruolo svolge. Potere =disporre della capacità di rendere imprevedibili le
proprie mosse rispetto a quelle degli altri. Dinamica organizzativa=dinamica della riduzione dell’incertezza
circa le mosse degli altri.
Nell’organizzazione ogni componente cercherà dunque di aumentare i propri margini di manovra e di ridurre
la dipendenza che lo lega ad altri.
Il continuo conflitto tra tentativi di mantenere la discrezionalità e sforzi per ridurla attraverso regole e
procedure che aumentino la prevedibilità delle mosse dentro l’organizzazione potrebbe stare alla base,
sostiene Crozier, dell’impasse della macchina burocratica (cfr anche Bagnasco, cap. su I gruppi organizzati.
associazioni e organizzazioni)
Ciò non toglie che la dipendenza sia in taluni casi una via più conveniente di altre verso una convivenza non
conflittuale dentro l’organizzazione.
Lezione conclusivaà: le regole dell’organizzazione non riescono a definire in tutto e per tutto le azioni degli
attori.
Accanto a investire nella propria missione le organizzazioni devono investire in gestione degli equilibri
interni.
1.3. Blau , sociologo delle organizzazioni, sostiene a sua volta che non bisogna sovrastimare la coesione, e la
capacità di un’organizzazione di finalizzare l’azione organizzativa ad obiettivi predeterminati dalla missione
dell’organizzazione. Infatti gli scopi dell’organizzazione non sono sempre sufficienti a spiegare il suo
comportamento: gli scopi dell’organizzazione sono infatti il prodotto di un compromesso e di una
contrattazione tra i diversi componenti dell’organizzazione. àVedi anche i problemi connessi di razionalità
individuale e collettiva. Di qui, anche, un imperativ o categorico di ogni organizzazione, che si affianca a
quelli connessi alla sua missione ufficiale. L’imperativo della gestione del conflitto.
2. Sviluppi della teoria dell’azione a partire dal presupposto dell’interazione sociale come
punto di partenza per leggere la società
Teoria
Autore/i
Concetti chiave
Confini
Network analysis
Milgram, Hannerz,
Granovetter (60-80)
Interazione
diretta/
indiretta
Interazionismo simbolico
Mead, Blumer (’30-’60)
Gli individui sono inseriti in reti sociali
Esse forniscono loro le risorse di sostegno e
informazione per orientare i loro comportamenti Reti
sociali àcanali attraverso cui scorrono sostegno,
influenza informazione
Le persone si comportano reciprocamente secondo il
significato che hanno appreso ad attribuire
Le istituzioni sociali sono micro-rappresentazioni in
cui ognuno tenta di creare una certa impressione
coerente alle aspettative altrui
IL comportamento in pubblico E. Goffman (’60-’80)
e il modello drammaturgico
Interazione
diretta
Interazione
diretta
2.1 Il concetto di rete .
Rete: legami che connettono direttamente e indirettamente individui e attraverso cui passano particolari tipi di risorse
(informazioni, influenza, sostegni di vario tipo).
L’informazione è una risorsa cruciale e specifica che scorre nelle reti. Cruciale perché non è costosa e quindi può non
dar luogo a richieste di reciprocità e inoltre perché la sua circolazione non comporta la perdita per alcuno.Il fatto che
ego disponga di un’informazione non significa che alter ne sia privo. In questo caso si dice che l’informazione non è a
somma zero. Le persone occupano diverse posizioni rispetto al flusso di informazioni e di altre risorse. Queste posizioni
possono essere considerate nodi di quella rete.
Ciascuna persona, oltre che a ricoprire un ruolo, costituisce quindi il terminale di una serie di informazioni o di altre
risorse che possono essere fatte circolare in specifiche occasioni.
La teoria delle reti ha matrici disciplinari diverse (antropologia, psicologia, ecc), ma le sue diverse
ramificazioni hanno in comune l’idea di superare il gap tra i livelli micro e i livelli macro di
analisi. Analizzando i legami di un individuo con altri getto luce ad un tempo sia sulle sue
possibilità di azione, sia sulle proprietà del contesto.
2.2. La lezione delle teorie delle reti.
àLe persone non vivono blindate nei propri ambiti di lavoro o familiari, ma entrano in relazione e hanno contatti diretti
e indiretti con altre persone anche fuori dei loro ambiti professionali o familiari. Poiché ciascuna persona è inserita in
una o più reti ogni contatto di ego con quella alter mette potenzialmente ego in contatto con le persone che fanno parte
della rete di alter e consente accesso ad alcune delle risorse di cui dispone quella rete.
Quando le persone di una rete attorno a ego si conoscono tra loro la rete si dice a maglia stretta. Quando le persone che
conoscono ego non si conoscono tra loro la rete si dice “ a maglia larga”.
Il vantaggio di questo secondo tipo di rete è ben dimostrato dalla ricerca di Granovetter su un campione di
professionisti e dirigenti americani, alla ricerca di un nuovo lavoro, ricerca svolta all’inizio degli anni’ 70 (1973).Il
vantaggio di questo secondo tipo di rete è quello di sviluppare legami che per la loro particolare caratteristica (l’essere
deboli, ovvero il fatto di costituirsi tra persone che hanno legami di semplice conoscenzaàweak ties) consentono di
raggiungere informazioni dislocate anche in punti lontani da ego. In particolari situazioni (quella di ricerca di un lavoro
qualificato) sono più efficaci i legami che come quelli deboli intercettano informazioni multiple e tali da non
sovrapporsi. Quando le reti sono dense o maglia stretta e i legami sono forti (parentela, amicizia) può accadere che
l’informazione circa un’occasione di lavoro posseduta da ego, sia nota anche agli altri componenti della rete e che
quindi sia poco utile utilizzare tutti i nodi della rete (che hanno la stessa informazione).
La raggiungibilità di un nodo all’interno di una rete (una persona influente di cui abbiamo bisogno, ecc). non dipende
tanto dalla distanza geografica ma dalla “attrezzatura del percorso” ovverosia dalla possibilità di usare diversi punti di
aggancio per andare avanti nel percorso.
Critica circa l’opportunismo nella rete (sollevata da Coleman, studioso americano, ad un altro studioso americano,
Granovetter, teorico della forza dei legami deboli (weak ties).
àpiù distanti sono i nodi e più aperte sono le reti (vedi anche illustrazione nel manuale di Bagnasco), più probabile è
l’occasione che si infrangano le regole senza che ciò abbia visibilità e si renda soggetta a sanzioni (riprovazioni, ecc).
Rischio di opportunismo, ovvero di chiusura anticipata della relazione di scambio interrompendo il patto di reciprocità.
2.3. Il capitale sociale
Essere inserito in una rete significa essere dotato di capitale sociale
Il capitale sociale è l’insieme di risorse di cui i soggetti possono disporre, ma che non sono veri e propri attributi dei
soggetti, in quanto derivano dalle reti di relazioni in cui i soggetti sono inseriti (Coleman). Il capitale sociale non è una
dotazione individuale, ma fa capo alla proprietà delle reti in cui è inserito. (Un buon vicinato costituisce un capitale
sociale per chi vi abita, ma se questa persona si trasferisce altrove lo perde, o meglio perde la capacità e la facilità ad
attivarlo (e dunque i vantaggi della custodia figli, della sicurezza abitativa, del soccorso immediato, della prossimità,
della confidenza e familiarità, ecc.)
Il capitale sociale è in qualche modo una risorsa virtuale che va attivata. L’aver compagni di scuola inseriti in gangli
cruciali della società può diventare capitale sociale quando l'individuo dimostra di saperlo attivare e mobilitare
Capitale sociale ascritto e capitale sociale acquisito. Il capitale si può ereditare, ad esempio succede quando un figlio
utilizza la rete di conoscenza dei genitori
Capitale sociale acquisito: capitale costruito attraverso proprie iniziative, attività
Il capitale sociale non è distribuito casualmente, ma varia in funzione della classe sociale di appartenenza, dell’età, dei
rapporti con il mercato, ecc.
In generale si può dire che più elevata è la classe sociale, più ampia sarà la rete accessibile da parte di egoàpiù
numerosi saranno i nodi attraverso cui circola informazione e altre risorse e più ampia sarà la porzione di società per
così dire scannerizzata, attraverso questi nodi (un esponente di una classe sociale elevata dispone di contatti di più vasto
raggio: oltre che amici avrà quindi molti conoscenti, che, come tali avranno una loro propria rete a cui in definitiva ego
potrà avere indirettamente accesso)..
All’interno della stessa classe sociale varia la forza del capitale sociale in ragione di diversi fattori, tra cui il particolare
tipo di attività. In particolare varia in funzione della diversa collocazione dei ruoli professionali che possono essere più
o meno aperti o chiusi a seconda che siano:
-ruoli di mercato (più apertura, più contatti su diversi fronti)
-ruoli organizzativi (meno apertura, meno contatti)
Anche all’interno dei ruoli di mercato si possono trovare ulteriori differenziazioni, che dipendono ad esempio da
caratteristiche ecologiche come la grandezza del centro urbano in cui si esercita l’attività, ecc.
2.4. La fiducia
Si riconosce ormai da più parti che qualsiasi scelta razionale, qualsiasi strategia che voglia massimizzare un’utilità
presuppone un contesto sociale in cui scorre fiducia.
La fiducia è dunque una sorta di alimentatore dello scambio sociale guidato da presupposti di agire razionale
Cos’ è la fiducia?
La fiducia àAspettiva da parte di ego, in situazione di incertezza, che il comportamento di alter non sarà lesivo nei
confronti di ego. Pertanto ottenere e mantenere la fiducia è un obiettivo di cruciale importanza, dal momento che essere
depositari di fiducia, essere affidabili o credibili, facilita la possibilità stessa, in un mondo caratterizzato da crescente
interdipendenza di funzioni e di attività, di perseguire i propri interessi. La fiducia rappresenta dunque un elemento
importantissimo nell’interazione umana, perché dare fiducia consente a entrambe le parti di fare delle cose “che
altrimenti non si potrebbero fare”
Gli acquisti via posta illustrano bene l’importanza della fiducia per il funzionamento della società moderna. Una delle
parti coinvolte nell’acquisto deve fare la prima mossa; o l’acquirente paga in anticipo oppure il venditore invia il bene al
compratore prima di essere pagato. Naturalmente esistono rete di protezione legale per ovviare a eventuali
comportamenti scorretti, ma è evidente che nessuno avrebbe voglia di avviare una causa per poche migliaia di lire.
Questa fiducia è un acceleratore di decisioni, un potente strumento di fluidificazione di scambi sociali (se ci fidiamo di
qualcuno non è necessario ogni volta fare una lunga istruttoria sulla alternativa migliore, ad esempio per un acquisto,
una mossa impegnativa di lavoro, ecc., ma possiamo consegnarci alla sua capacità, lealtà, esperienza, ecc.)
Naturalmente la fiducia cresce con la durata della relazione. Essere di parola, attenersi alle norme, non trassare, può
quindi essere alla lunga conveniente, cioè può far parte del calcolo del singolo costruirsi una reputazione adeguata per
potere scambiare con continuità e sicurezza (ad esempio il venditore di macchine non bidonista ha interesse a mantenere
rapporti buoni con la propria stabile conosciuta clientela.)
2.4.Innovazione , propensione al rischio e circolazione della informazione
Il sociologo americano contemporaneo Coleman ha dimostrato che l’aver a disposizione reti
informate influisce sulla propensione al rischio (come nel caso dell’innovazione, che richiede
sempre un certa propensione al rischio, il quale rischio può però essere ridotto in presenza di
controllo informati…)
L’accettazione e la messa in pratica delle innovazioni dipende spesso dalla disponibilità, attorno al
singolo, di una rete informativa, che lo consigli e lo appoggi nell’accettazione dell’innovazione.
“Quando c’è qualcosa di nuovo le persone lo vengono a sapere, si consigliano con i loro amici e
successivamente agiscono” (Boudon)
Coleman ha dimostrato (e la dimostrazione è ripresa da Boudon ne “Il posto del disordine, 1984)
che un ambulatorio e un ospedale offrono, ad un qualsiasi medico, opportunità assai diverse di
adesione all’innovazione farmacologica proprio per la diversità delle reti di cui può disporre un
medico nei due contesti.
Nell’ospedale, il medico può mobilitare fonti di informazione facilmente accessibili, gratuite, ha più
facilità di valutare la attendibilità dei pareri dei colleghi con cui quotidianamente lavora, mentre il
medico di laboratorio, più isolato del primo, dovrebbe far riferimento ad altre fonti (pubblicazioni,
parere di qualche collega magari poco frequentato, ecc). Il reticolo relazionale del medico
ospedaliero è dunque più ricco di quello del medico ambulatoriale, dal momento che in questo
secondo caso procacciarsi l’informazione che aiuti a decidere se adottare o meno un certo farmaco è
più difficile e costosa. Ne conseguirà una diversa tempistica e una diversa struttura del processo di
adozione dell’innovazione.
3. L’ Interazionismo simbolico
Scenari
La corrente di pensiero che va sotto questo nome ha posto le proprie premesse negli anni' 30 a
Chicago, negli Stati Uniti, si è fortemente indebolita durante il periodo dominato dal funzionalismo
(anni 40 –50) e ha ritrovato poi forza e diffusione, ponendosi in forte contrasto con il
funzionalismo, negli anni '60 e '70.
………………………………………………vedi anche dispense prossima settimana
Differenza tra teoria dell’azione e interazionismo simbolicoàl’interazionismo simbolico si
focalizza sulla relazione faccia a faccia e assume che l’obiettivo della interazione sia la gestione dei
significati condivisi attraverso rappresentazioni di sé in contesti di relazione, appunto, diretta.
àLe impressioni che le persone si fanno le une delle altre costituiscono i fatti della società
àLa società è in altre parole un prodotto simbolico cioè un prodotto dello scambio sociale di
significati condivisi.
àVocabolario minimo
Simboloà elemento dotato di significato. Nell’interazione sociale il significato è espresso in un
gesto verbale o non verbale (il gesto è il “marcatore” di un atto quando esso non è automatico, ma
culturalmente costruito: il gesto di saluto, il gesto di noia, di diniego, il gesto di congedo, ecc.)
Simbolo si può anche definire come uno à stimolo la cui risposta è stata già data in precedenza.
(ogni simbolo presuppone che il significato sia noto e cioè che la risposta ad esso sia in qualche
modo prevista, poiché il simbolo e la comprensione di quel simbolo sono inseriti dentro un certo
modello culturale).
La interpretazione del significato delle azioni reciproche costruisce l’impressione –immagine che
ciascuno degli attori dà all’altro. L’impressione si deve conformare ad aspettative.
Le situazioni di per sé no n esistono: esistono i modi più o meno concordati di definirle
Prosegue la prossima settimana
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